Resoconto stenografico dell'Assemblea

Seduta n. 740 del 31/1/2006


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PRESIDENZA DEL VICEPRESIDENTE PUBLIO FIORI

La seduta comincia alle 11,35.

TEODORO BUONTEMPO, Segretario, legge il processo verbale della seduta di ieri.
(È approvato).

Missioni.

PRESIDENTE. Comunico che, ai sensi dell'articolo 46, comma 2, del regolamento, i deputati Armani, Boato, Bonaiuti, Bricolo, Colucci, Cusumano, Giordano, Giancarlo Giorgetti, Giovanardi, Intini, Martinelli, Martino, Molgora, Moroni, Pescante, Pisanu, Pistone, Romani, Sgobio, Stefani, Stradella, Stucchi, Tortoli, Valpiana, Violante, Volontè e Zanella sono in missione a decorrere dalla seduta odierna.
Pertanto i deputati complessivamente in missione sono ottantaquattro, come risulta dall'elenco depositato presso la Presidenza e che sarà pubblicato nell'allegato A al resoconto della seduta odierna.

Ulteriori comunicazioni all'Assemblea saranno pubblicate nell'allegato A al resoconto della seduta odierna.

Seguito della discussione della proposta di legge Pecorella: Modifiche al codice di procedura penale, in materia di inappellabilità delle sentenze di proscioglimento (Rinviata alle Camere dal Presidente della Repubblica) (A.C. 4604-C) (ore 11,40).

PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca il seguito della discussione della proposta di legge d'iniziativa del deputato Pecorella, rinviata alle Camere dal Presidente della Repubblica: Modifiche al codice di procedura penale, in materia di inappellabilità delle sentenze di proscioglimento.
Ricordo che nella seduta di ieri si è conclusa la discussione sulle linee generali.

(Esame di questioni pregiudiziali e di questioni sospensive - A.C. 4604-C)

PRESIDENTE. Ricordo che sono state presentate le questioni pregiudiziali per motivi di costituzionalità Zaccaria ed altri n. 1 e Finocchiaro ed altri n. 2 (vedi l'allegato A - A.C. 4604-C sezione 1) e le questioni sospensive Mantini ed altri n. 1 e Finocchiaro ed altri n. 2 (vedi l'allegato A - A.C. 4604-C sezione 2).
A norma dei commi 3 e 4 dell'articolo 40 del regolamento, nel concorso di più questioni pregiudiziali ha luogo un'unica discussione, nella quale potrà intervenire, oltre ad uno dei proponenti (purché appartenenti a gruppi diversi), per illustrare ciascuno degli strumenti presentati per non più di dieci minuti, un deputato per ognuno degli altri gruppi, per non più di cinque minuti.
Chiusa la discussione, l'Assemblea deciderà con unica votazione sulle questioni pregiudiziali sollevate per motivi di costituzionalità.
In caso di reiezione delle questioni pregiudiziali, passeremo, quindi, alla discussione e al voto sulle questioni sospensive presentate.
L'onorevole Zaccaria ha facoltà di illustrare la sua questione pregiudiziale per motivi di costituzionalità n. 1.


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ROBERTO ZACCARIA. Signor Presidente, ieri, nel corso della discussione sulle linee generali, la relatrice ha osservato che, non avendo noi posto una questione pregiudiziale per motivi di costituzionalità all'inizio dell'iter di questo provvedimento, sarebbe stato, in qualche modo, quasi inopportuno presentarle oggi. Vorrei dire che al Senato sono state poste due differenti questioni pregiudiziali, il 22 dicembre 2005, che avevano quali primi firmatari i senatori Zancan e Manzione. Successivamente, vi è stato il rinvio della legge da parte del Presidente della Repubblica, un rinvio molto ampio - straordinariamente ampio - in cui, voglio ricordarlo per chi non lo avesse presente nei dettagli, le obiezioni mosse dal Quirinale non si sono limitate a rilievi di carattere puntuale, come talvolta è accaduto nel corso di rinvii presidenziali di tal genere, ma hanno, cito espressamente, parlato di un «carattere disorganico e asistematico» della riforma, di «incongruenza della nuova legge», di «disorganicità», ancora, della riforma. Siamo di fronte ad un rilievo non solo di palese incostituzionalità, ma di incostituzionalità per il modo in cui la riforma è concepita nel suo insieme.
Vorrei ricordare, con le parole di un importante costituzionalista, ex presidente della Corte costituzionale, Valerio Onida, che, in questo caso, il Presidente della Repubblica non si è limitato a fare notazioni di palese incostituzionalità, che hanno riguardato il disegno di questa riforma, ma si è soffermato anche su valutazioni di merito costituzionale, indipendentemente da puntuali rilievi di contrasto di singole disposizioni con singoli precetti.
La legge contrasta con il principio del buon governo delle istituzioni e con gli obiettivi che la Costituzione intende perseguire nel suo insieme.
Siamo, quindi, di fronte ad un apparato di rilievi da parte del Presidente della Repubblica che giustifica la presentazione di una nuova questione pregiudiziale di costituzionalità.
Peraltro, è difficile non osservare che il testo al nostro esame, risultante dal lavoro in Commissione, si caratterizza per un mancato o, forse, un parziale accoglimento dei rilievi formulati dal Presidente della Repubblica. Capisco l'urgenza di approvare diversi provvedimenti, e questo in particolare; ma, in questo caso, sarebbe stato certamente molto più saggio tener conto integralmente delle osservazioni di sostanza svolte dal Presidente.
Il richiamo al principio del giusto processo è una ragione fondamentale di costituzionalità che ispira queste considerazioni. L'articolo 111 della Costituzione è stato approvato con grande consenso e stabilisce che la legge assicura la ragionevole durata del processo. L'articolo 6 della Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali stabilisce il diritto ad un processo equo (non ripropongo il testo integrale di tale norma, che è abbondantemente conosciuta dai parlamentari). La giurisprudenza della Corte di Strasburgo ha affermato che la realizzazione dell'equo processo costituisce un vero e proprio obbligo di risultato per il singolo Stato. Vorrei, ancora, ricordare la sentenza della Corte Costituzionale n. 353 del 1996 che ha affermato che, «pur essendo pienamente libero nella costruzione delle scansioni processuali, il legislatore non può, tuttavia, scegliere fra i possibili percorsi quello che comporti, sia pure in casi estremi, la paralisi o, comunque, il blocco dell'attività processuale, perché impedendo sistematicamente tale attività si finirebbe con il negare la stessa nozione di processo e si contribuirebbe ad arrecare danni evidenti all'amministrazione della giustizia».
Da ultimo, vorrei citare anche il primo presidente della Corte di cassazione Marvulli, il quale, nella sua relazione all'inaugurazione dell'anno giudiziario, ha affermato espressamente che «l'innovazione, la naturale e fisiologica evoluzione della giurisprudenza e del diritto devono conciliarsi con la certezza, perché il disordine della giurisprudenza non è meno dannoso del disordine della legislazione. Entrambi, in egual misura, uccidono la certezza, contraddicono lo Stato di diritto, travolgono


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quel sacro principio di democrazia che ci fa tutti uguali dinanzi alla legge».
Sono parole estremamente pesanti pronunciate pochi giorni fa, certamente anche alla luce di queste riforme o presunte tali.
Si possono svolgere ulteriori considerazioni sempre con riferimento al tema della ragionevole durata del processo. È rimasto invariato il testo del nuovo articolo 428 del codice di procedura penale, così come modificato attraverso l'articolo 4 della proposta di legge in esame: si tratta di una parte su cui il Presidente Ciampi si è soffermato quando ha parlato del rischio di una «regressione del processo». Peraltro, l'ingolfamento dell'attività della Cassazione è già allo stato attuale un rilevante problema del sistema giustizia, ed è stato rilevato dal Consiglio d'Europa, che ha censurato la quantità abnorme dei ricorsi che giungono in Cassazione rendendo ingovernabile la Corte. È stato Vittorio Grevi a muovere un tale rilievo.
Nel provvedimento rinviato si eliminava addirittura il riferimento al testo della sentenza; si è poi inserito tale riferimento (lo sappiamo), ma si è di nuovo prevista la possibilità di introdurre motivi di gravame riferiti ad atti interni al processo. Ciò significa trasformare la natura della Corte di cassazione e annullare la rilevanza dell'istituto del filtro di inammissibilità che la Corte ha esercitato in un numero elevatissimo di casi sulla base della motivazione e della sentenza. Oggi ciò diventa praticamente impossibile.
Vorrei fare un ultimo accenno, signor Presidente, ad un profilo che può essere rimasto nelle pieghe delle considerazioni e dell'esame del provvedimento e che, tuttavia, può comportare un altro probabile profilo di incostituzionalità.
Noi sappiamo che, sotto la vigenza del codice di procedura penale precedente, l'imputato assolto non si poteva appellare in determinate circostanze e in relazione a determinate formule assolutorie, quando rischiava di subire comunque un pregiudizio. La giurisprudenza della Corte, in una serie di sentenze molto importanti pronunciate sull'articolo 513 del codice di procedura penale, aveva sostanzialmente stigmatizzato e dichiarato illegittima tale impossibilità di appello. Essa ha dichiarato illegittime le disposizioni che non consentivano l'appello contro le sentenze di assoluzione per prescrizione o per estinzione del reato, anche in conseguenza dell'amnistia.
L'assoluzione per prescrizione, di regola, prescinde da un giudizio di colpevolezza dell'imputato - diceva la Corte -, ma ove a questa si giungesse, a seguito di un giudizio dibattimentale, considerate, quindi, le attenuanti per un imputato ritenuto colpevole di un reato estinto o prescritto, si priverebbe l'imputato di un mezzo generale di esercizio del diritto di difesa.
La mia conclusione è molto semplice: non c'è adempimento delle indicazioni del Presidente della Repubblica. Non c'è rispetto per i principi della Costituzione che ho richiamato e c'è il rischio che questa fretta eccessiva possa portare ad un provvedimento in grave violazione e disprezzo dei principi della nostra Costituzione (Applausi dei deputati del gruppo della Margherita, DL-L'Ulivo).

PRESIDENTE. Prima di dare la parola all'onorevole Siniscalchi, rivolgo un saluto agli studenti ed ai docenti dell'Istituto Luigi Sturzo di Gela, che stanno assistendo ai nostri lavori dalle tribune (Applausi).
L'onorevole Siniscalchi ha facoltà di illustrare la questione pregiudiziale per motivi di costituzionalità Finocchiaro n. 2, di cui è cofirmatario.

VINCENZO SINISCALCHI. Signor Presidente, abbiamo presentato, a prima firma dell'onorevole Finocchiaro, un'articolata questione pregiudiziale di costituzionalità. Onorevoli colleghi, non si tratta di una questione formale, né di una questione rituale, come spesso può ritenersi accada in materia di costituzionalità delle leggi.
Si tratta, invece, alla luce del testo inviato alle Camere dal Capo dello Stato e alla luce delle modifiche che abbiamo esaminato poco prima in Commissione, di un testo che presenta ancora, con viva


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forza, delle contraddizioni dal punto di vista dell'ammissibilità sul piano costituzionale.
Se possiamo riflettere in questa sede e dedicare un po' di attenzione a questa estrema legge in materia di giustizia, forse si eviterà che la Corte costituzionale entri in questa materia in un momento successivo.
A noi pare evidente, a parte le considerazioni svolte nel suo messaggio dal Capo dello Stato e a parte tutte le questioni che già avevamo sollevato in Commissione giustizia nei confronti del testo originario proposto dall'onorevole Pecorella, che vi siano questioni che devono essere oggetto di meditazione e di approfondimento.
Nella nostra questione pregiudiziale vi è un articolato e specifico riferimento alle norme costituzionali violate, non soltanto all'articolo 111 ma anche all'articolo 112 della Costituzione, relativo all'obbligatorietà dell'azione penale nel nostro sistema costituzionale e processuale.
Quindi, non si tratta di una questione di carattere meramente politico o convenzionale, ma di una questione che riguarda la nostra preoccupazione circa lo stravolgimento del sistema.
Forse si partiva da intenzioni condivisibili in relazione a principi sui quali la dottrina si è a lungo soffermata e che hanno avuto uno sbocco anche in valutazioni di carattere generale sul piano delle decisioni della Corte europea; forse si poteva fare una buona legge se i principi dai quali si è partiti avessero avuto ad oggetto un intervento organico ed articolato, ad esempio sul sistema delle impugnazioni nel processo penale. Duole dovere, ancora una volta, constatare che una sorta di improvvisazione legislativa, per cui si trae spunto da una prima proposta per agganciare una serie di altre norme, produca questo sostanziale sfascio estremo nei confronti del processo penale. Vi è il depotenziamento della ricerca della verità: non si tratta di privilegiare questa o quella parte processuale, ma di verificare se attraverso l'appello delle parti, in questo caso anche del pubblico ministero, titolare dell'azione penale, si possano avere sentenze più certe, più sicure, più complete in grado d'appello.
Vi segnalo un timore che si nasconde dietro la lettura di questa legge: il timore che si voglia arrivare - ma è altra cosa che appartiene ad una grande riforma - all'abolizione del doppio grado di giudizio. Non capisco come si possa pensare che al pubblico ministero debba essere vietato, non soltanto sul piano dell'articolo 111, ma anche sul piano dell'articolo 112 della Costituzione, di stimolare la ricerca della certezza, principio fondamentale - come tutti sappiamo - che regola l'acquisizione delle prove nel processo penale, anche proponendo appello nei confronti di una sentenza.
Si possono certo dire le cose che abbiamo ascoltato e che sono certamente meritevoli di apprezzamento, come la volontà di una deflazione, la volontà di evitare un lungo tormento processuale agli imputati una volta assolti. Ma in quale caso, nel nostro sistema, possiamo accogliere questo depotenziamento del dibattito processuale, questo arresto dell'azione penale? Possiamo accettarlo solamente, onorevoli colleghi, nei confronti di una sentenza che venga emessa secondo l'articolo 530, prima parte, del codice di procedura penale, con la più ampia delle formule. La stessa proposta di legge votata dalla maggioranza contiene, ad esempio, una disposizione in virtù della quale la condanna dev'essere pronunziata al di là di ogni ragionevole dubbio, che è principio certamente suggestivo. Non si capisce, però, per quale motivo, se l'assoluzione viene pronunciata nel dubbio, come prevede la seconda parte dell'articolo 530, non si debba, a tutela delle vittime e contro i reati, dare la possibilità di appello in un sistema di doppio grado di giudizio. Diverso sarebbe il caso in cui tutto fosse demandato ad un solo grado di giudizio di merito e, poi, all'intervento della Corte di cassazione.
Esaminiamo le sentenze anche di casi clamorosi conclusesi con il dubbio (in quel caso insufficienza di prove), presente nella seconda parte dell'articolo 530 del codice


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di procedura penale e non nella prima parte, su cui, in definitiva, si poteva anche essere d'accordo se si fosse fatta una specificazione, evitando di fare confusione e di ridurre in questo principio anche situazioni completamente disparate. Ebbene, il dubbio con cui il giudice pronunzia sentenza in un primo caso di accertamento nel primo grado può essere chiarito con una condanna in secondo grado, nell'inseguirsi delle ragioni del principio di certezza.
Non riusciamo a comprendere perché, ad esempio, la sentenza che dichiara un imputato prosciolto per intervenuta prescrizione a seguito della concessione delle attenuanti generiche da questa prodotte non debba essere impugnata, per consentire di verificare quelle attenuanti generiche e quella prescrizione (che cancella il reato ma non il fatto, perché la prescrizione è comunque un riconoscimento di responsabilità) e, nelle prime norme del provvedimento in esame, debba essere globalizzata all'interno del corretto principio che, quando si raggiunge l'evidenza dell'innocenza, è inutile proseguire. Ma l'evidenza, la certezza: altrimenti cosa si racconterà nei confronti di quei procedimenti affidati all'interpretazione di labili indizi, che possono registrare un più meditato giudizio in secondo grado? Questo significa, non depotenziare la funzione burocratica dell'accusa, ma aggredire l'articolo 111 della Costituzione.
Proseguo, andando anche al di là delle considerazioni, certo pregevoli, contenute nel messaggio alle Camere.

PRESIDENTE. Onorevole Siniscalchi, la invito a concludere.

VINCENZO SINISCALCHI. Qualche attimo, signor Presidente.
Siamo preoccupati di questo elemento di sostanziale eversione all'interno dell'ordinamento processuale e siamo stupiti che si debba, in un progetto simile, che sembra dedicato alle questioni dell'appellabilità e del secondo grado, assistere alla trasformazione completa del giudizio di Cassazione, per cui si limita il livello di merito del grado di appello e si aprono le porte al fatto innanzi alla Corte di cassazione con una modifica che, addirittura, dovrebbe consentire a questa corte di valutare non soltanto la sentenza per la verifica di legittimità ma le prove.
In definitiva si produce, con questa proposta di legge che viola gli articoli 111, 112 e 97 della Costituzione l'esatto inverso di ciò che si può raggiungere: non una semplificazione ma un'enorme complicazione che produrrà, indipendentemente da quali siano i beneficiari, ancora maggiore incertezza nell'amministrazione della giustizia nella sede delicatissima del processo penale.
Questi sono i motivi per cui insistiamo nella richiesta di votare a favore della questione pregiudiziale Finocchiaro ed altri n. 2.

PRESIDENTE. Constato l'assenza dell'onorevole Falanga, che aveva chiesto di parlare: si intende che vi abbia rinunziato.
Ha chiesto di parlare l'onorevole Gironda Veraldi. Ne ha facoltà.

AURELIO GIRONDA VERALDI. Egregio Presidente, onorevoli colleghi, quando vi è un messaggio da parte del Presidente della Repubblica, non si può assolutamente rimanere indifferenti.
Occorre attenzione e, soprattutto, meditazione, previo attenta e dettagliata lettura del messaggio stesso.
Il tema principale in discussione è quello relativo al principio, enunciato dalla proposta di legge, dell'inappellabilità della sentenza di assoluzione di primo grado.
Vorrei al riguardo svolgere una premessa. Questo principio è stato affermato dalla proposta di legge anche in relazione all'appello eventualmente proposto dall'imputato (anche l'imputato può proporre appello). Tuttavia, soffermandoci sul contenuto del messaggio, sorprende - e non poco - che lo stesso abbia dedicato pochissime parole al tema di fondo che ci interessa, quello relativo, appunto, al principio dell'inappellabilità della sentenza.
Nel messaggio si afferma, a proposito della soppressione dell'appello delle sentenze


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di proscioglimento che, la suddetta soppressione, a causa della disorganicità della riforma, fa sì che la stessa posizione delle parti nel processo venga ad assumere una condizione di disparità che supera quella compatibile con la diversità delle funzioni svolte dalle parti stesse nel processo.
Non vi è tempo e modo di riassumere tutto ciò che è stato scritto ad altissimo livello a proposito delle ragioni che determinano la modifica, ma vorrei ricordare, in ordine alla disparità di cui si parla, le osservazioni di un illustre giurista, il quale afferma di non essere d'accordo, rilevando che bisogna battersi contro la tesi assurda in base alla quale parità significa necessariamente uguaglianza di poteri. Parità significa possibilità di controbattere; è equilibrio, bilanciamento di poteri, non identità. Quindi, non è questo il tema che interessa ai fini della declaratoria di incostituzionalità.
L'impatto più notevole di questo messaggio è relativo ad un'altra parte della normativa, quella che ha innovato rispetto non alla valutazione della prova, ma al contenuto della censura della sentenza di merito.
Nel messaggio si afferma - vi prego di accordarmi un po' di attenzione - che queste modificazioni generano un'evidente mutazione della funzione della Corte di cassazione, da giudice di legittimità a giudice di merito, in palese contrasto con quanto stabilito dall'articolo 111 della Costituzione che, al penultimo comma, dispone che contro le sentenze e contro i provvedimenti sulla libertà personale pronunciati dagli organi giurisdizionali ordinari o speciali è sempre ammesso ricorso in Cassazione per violazione di legge.
Chi ha mai posto in contestazione questo principio? Anche quando si propone ricorso rispetto alla violazione di determinate norme, è sempre la violazione di legge che si segnala alla Corte dei cassazione.
Non dimenticate - mi rivolgo anche a tecnici della materia - che fra i motivi che si deducono ai fini della richiesta di annullamento vi sono gli articoli 125, comma 3, e 546 comma 3, del codice di procedura penale che prevedono la violazione di legge. Pertanto, di incostituzionale in questa norma vi è un solo profilo che segnalo con tutta franchezza e lealtà.
Mi riferisco al profilo relativo alla sistemazione dei fascicoli. Si impone alla Corte di cassazione, per decidere ciò che è doveroso decidere con modalità previste dalla legge, di richiamare tutti gli atti e ciò non è gradito.
Dunque, cercheremo in sede di Comitato dei nove, di offrire una soluzione che rimuova tali disagi, che sono alla base della valutazione di illegittimità costituzionale.

PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare l'onorevole Taormina. Ne ha facoltà.

CARLO TAORMINA. Signor Presidente, onorevoli colleghi, esprimo innanzitutto un sentimento di meraviglia in quanto eminenti giuristi che siedono in questi banchi - evidentemente, travolti dalla passione politica - dimostrano di aver dimenticato principi elementari del nostro ordinamento giuridico.
Come ho già affermato ieri in sede di discussione sulle linee generali, nemmeno il messaggio del Presidente della Repubblica si sottrae a censure che appartengono al nostro sapere giuridico. Oggi sento nuovamente tornare di attualità problemi di costituzionalità che si palesano chiaramente infondati.
Nella pregiudiziale di costituzionalità in esame si afferma che vi sarebbe una violazione del principio della parità delle armi tra accusa e difesa con riferimento all'appellabilità delle sentenze di assoluzione.
Probabilmente qualcuno dimentica - ma ritengo si tratti di una dimenticanza assolutamente voluta - che l'articolo 111 della Costituzione, più volte chiamato in causa, e spesso a sproposito, prevede certamente la parità delle armi con riferimento a tutto ciò che è riconducibile allo svolgimento del contraddittorio nell'ambito del processo penale. D'altra parte, non potrebbe essere diversamente per


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l'elementare ragione che da sempre, senza che dubbi al riguardo siano stati mai formulati, si è ritenuto che tutto ciò che appartiene ai poteri del pubblico ministero e, in particolare, al potere relativo all'esercizio dell'azione penale, non possa che essere configurato come una potestà rispetto alla quale il cittadino è sempre, e purtroppo, assoggettato.
Ciò significa che da questo angolo visuale non è assolutamente possibile discutere di parità delle armi. La parità delle armi riguarda altri settori; certamente non quello delle attività di impulso del processo penale.
Pertanto, ritengo che l'allineamento del nostro ordinamento alle previsioni non solo costituzionali, ma anche pattizie ed internazionali, sottraendo il cittadino ad una sorta di ricatto al quale è costretto per effetto dell'attribuzione del potere di appello avverso le sentenze di assoluzione, sia una proposizione assolutamente non accettabile.
Colgo l'occasione per ricordare, anche ad importanti esponenti dell'opposizione, che, siccome stiamo discutendo di principi costituzionali, non possiamo che fare richiamo alle grandi regole del diritto. L'onorevole Siniscalchi, che così autorevolmente è intervenuto, principalmente sul problema dell'appellabilità delle sentenze, in un'intervista rilasciata il 22 gennaio scorso al Corriere della sera, rileva al riguardo che si tratta di quel «principio generico di civiltà giuridica secondo il quale la pubblica accusa non deve accanirsi in presenza di una assoluzione piena di primo grado, una assoluzione ottenuta al di là di ogni ragionevole dubbio.» Chiedo all'onorevole Siniscalchi, che oggi introduce un distinguo, come ha fatto ieri, a proposito della previsione di assoluzione ex articolo 530, secondo comma, del codice di procedura penale se tale previsione non debba considerarsi assolutamente sullo stesso piano di quella di cui al primo comma; peraltro la sua osservazione risulta essere di carattere generale e in contrasto con quanto egli ha oggi dichiarato.
L'onorevole Finocchiaro, cui vanno la mia stima e la mia considerazione, in occasione di un intervento svolto il 10 novembre presso la Commissione giustizia, ha dichiarato quanto segue: «Per quanto riguarda la scelta di fondo» - si riferisce al provvedimento che stiamo discutendo per eliminare l'appello del pubblico ministero contro le sentenze di proscioglimento - «nessun principio costituzionale viene violato, come potrebbe avvenire nel caso in cui si optasse anche per l'eliminazione dell'appello del condannato contro la sentenza di condanna»: anche qui si tratta di un revirement assolutamente inaccettabile, del quale ormai abbiamo compreso le ragioni.

PRESIDENTE. Onorevole Taormina...

CARLO TAORMINA. Concludo, Presidente, svolgendo un'ultima osservazione sulla questione della trasformazione della Corte di cassazione in giudice di merito, nel momento in cui si reintroducono alcune possibilità di controllo della motivazione delle sentenze della Corte stessa, tornando ad un vecchio sistema. A tale proposito, aggiungendo una breve considerazione a ciò che osservava poco fa l'onorevole Gironda Veraldi, vorrei rilevare che esiste un principio, al di là di qualsiasi altra considerazione di opportunità, stabilito dalla Costituzione per cui i giudici debbono motivare le sentenze, che è un obbligo la cui inosservanza costituisce in pieno una violazione di legge: è stato sempre così nel nostro ordinamento ma è accaduto ad un certo punto della nostra storia che la Cassazione dava fastidio, che i giudici di merito dovevano fare tutto per conto loro e che quel controllo è stato abolito. Questa legge, tra le tante cose, sul piano della costituzionalità assolutamente ineccepibile, corregge anche questa diortosi del nostro ordinamento.

PRESIDENTE. Non essendovi altre richieste di intervento, dobbiamo passare alla votazione.
Avverto che è stata chiesta la votazione nominale mediante procedimento elettronico


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nonché, in riferimento alle questioni pregiudiziali presentate, lo scrutinio segreto.

Preavviso di votazioni elettroniche (ore 12,14).

PRESIDENTE. Poiché nel corso della seduta avranno luogo votazioni mediante procedimento elettronico, decorrono da questo momento i termini di preavviso di cinque e venti minuti previsti dall'articolo 49, comma 5, del regolamento.
Per consentire il decorso del termine regolamentare di preavviso, sospendo la seduta.

La seduta, sospesa alle 12,15, è ripresa alle 12,40.

Si riprende la discussione.

(Ripresa esame di questioni pregiudiziali e di questioni sospensive - A.C. 4604-C)

PRESIDENTE. Passiamo ai voti.
Ricordo che la prossima votazione avrà luogo a scrutinio segreto.
Indìco la votazione segreta, mediante procedimento elettronico, sulle questioni pregiudiziali Zaccaria ed altri n. 1 e Finocchiaro ed altri n. 2.
(Segue la votazione).

Dichiaro chiusa la votazione.
Comunico il risultato della votazione: la Camera respinge (Vedi votazioni).

(Presenti e votanti 454
Maggioranza 228
Voti favorevoli 204
Voti contrari 250).

Prendo atto che gli onorevoli Lucchese e Ottone non sono riusciti ad esprimere il proprio voto.
Passiamo all'esame delle questioni sospensive.
A norma dei commi 3 e 4 dell'articolo 40 del regolamento, nel concorso di più questioni sospensive ha luogo un'unica discussione, nella quale potrà intervenire, oltre ad uno dei proponenti (purché appartenenti a gruppi diversi), per illustrare ciascuno degli strumenti presentati per non più di dieci minuti, un deputato per ognuno degli altri gruppi, per non più di cinque minuti.
Chiusa la discussione, l'Assemblea deciderà con unica votazione sulle questioni sospensive.
L'onorevole Mantini ha facoltà di illustrare la sua questione sospensiva n. 1.

PIERLUIGI MANTINI. Signor Presidente, egregi colleghi, il provvedimento in esame, rinviato alle Camere il 20 gennaio scorso dal Presidente della Repubblica, ha una ratio a tutti ormai nota. Con esso si tende ad introdurre per la prima volta nel nostro ordinamento giudiziario il principio della inappellabilità da parte del pubblico ministero delle sentenze penali di proscioglimento. Naturalmente, come ben si intende, tale modifica comporta effetti rilevanti anche su altri aspetti. In particolare, sulle diverse competenze della Suprema Corte di cassazione, sul ruolo delle parti civili offese dal reato nel processo penale e su altri temi su cui ci soffermeremo nell'esame di merito.
La collega relatrice, onorevole Bertolini, ha sostenuto che, anche quando il confronto parlamentare è diventato più aspro, i più rappresentativi gruppi di opposizione non hanno mai messo in dubbio la costituzionalità del principio della inappellabilità per il pubblico ministero delle sentenze di proscioglimento. Pertanto, si legge nella relazione, è stata sostenuta l'opportunità di procedere alla riforma dei sistemi di impugnazione in maniera più organica e complessiva. Una cosa è dire: non si introduca nell'ordinamento il principio dell'inappellabilità, perché in contrasto con i principi costituzionali; altra cosa è dire: non si introduca tale principio perché è opportuno che prima sia riconsiderato nel complesso il sistema delle impugnazioni.


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Sulla parte del provvedimento che, invece, ha per oggetto i casi di ricorso in Cassazione, la collega relatrice riconosce che l'opposizione ha sempre manifestato contrarietà, a volte nel merito, altre volte sotto il profilo della costituzionalità. Per quanto tendenziosa, questa ricostruzione coglie in parte la verità, ma solo in parte, e sul punto è bene fare chiarezza.
Noi condividiamo integralmente i rilievi di incostituzionalità espressi dal Capo dello Stato nel suo messaggio di rinvio alle Camere. Li condividiamo nel merito del pericoloso e inaccettabile stravolgimento delle funzioni della Corte di cassazione che, nella formulazione del testo di legge rinviato alle Camere, perde il suo ruolo di giudice di legittimità per assumere una più ampia cognizione propria del giudice di merito, con effetti devastanti sulla funzionalità operativa del proprio già oneroso ruolo e, naturalmente, con ulteriore aggravamento della già irragionevole durata dei processi.
Tali rilievi li condividiamo anche in merito alla limitazione del ruolo delle parti civili che, nel testo approvato ed ora oggetto di modifiche, vedono compromessa la possibilità di far valere la pretesa risarcitoria all'interno del processo penale. Condividiamo, altresì, è bene ribadirlo onorevoli colleghi, i rilievi del Capo dello Stato anche in punto di violazione del principio di parità tra le parti stabilito dall'articolo 111 della Costituzione. Su tale tema ritengo siano utili alcune precisazioni, anche con riferimento a quanto affermato poc'anzi dal collega Taormina.
Noi non riteniamo affatto che l'attuale sistema delle impugnazioni nel processo penale non possa essere oggetto di riforma. Io stesso sono firmatario di una proposta di legge tesa alla sostanziale eliminazione, coerente con il rito accusatorio, del grado di appello nel processo penale, ma ciò deve valere per entrambe le parti, con conseguente modifica di alcune competenze della Corte di cassazione. Avvertiamo anche noi, e le condividiamo, le preoccupazioni di un rito, come quello attuale, che più volte ho definito una sorta di ircocervo perché somma le garanzie proprie del rito accusatorio, i principi di immediatezza e di oralità del contraddittorio, tesi a garantire e a prevenire l'errore nella formazione della prova nel giudizio, con quelle del rito inquisitorio, tra cui, appunto, l'appello di merito.
Siamo anche noi convinti che il grado di appello sia costituito da un giudizio sostanzialmente cartaceo ed estraneo ai principi di immediatezza ed oralità che caratterizzano l'esame delle prove nel rito accusatorio. In più si può rilevare che, essere condannati in appello, dopo essere stati assolti in primo grado con formula piena, e con un rito meno garantisca, costituisca un tema su cui è assai giusto soffermarsi. Ma questo vale, onorevoli colleghi, per entrambe le parti: quella pubblica e quella privata. Ciò perché noi riteniamo che nella società vi sono i diritti ma anche i doveri, e il primo di questi ultimi è quello di non delinquere. L'esercizio della potestà punitiva da parte dello Stato non ha un rango inferiore rispetto a quello della parte privata: il codice di procedura penale non è, come già scrisse Von Lizt, una mappa per la navigazione dei delinquenti. La simmetria tra pubblico ministero e imputato deve essere relativa, non di sistema.
Il principio della inappellabilità delle sentenze di proscioglimento da parte del pubblico ministero, affermato dall'articolo 1 della proposta di legge in esame, che modifica l'articolo 593 del codice di procedura penale, limita, invece, i casi di appello alle sole sentenze di condanna. Il Presidente della Repubblica ha correttamente ritenuto tale modifica al codice di rito non conforme alla Costituzione. Più precisamente, nel messaggio di rinvio del Capo dello Stato alle Camere della legge in esame si legge che la soppressione dell'appello delle sentenze di proscioglimento, a causa della disorganicità della riforma, fa sì che la stessa posizione delle parti nel processo venga ad assumere una condizione di disparità che supera quella compatibile con la diversità delle funzioni svolte dalle parti stesse nel processo. Viene ricordato, quindi, che le asimmetrie tra accusa e difesa, costituzionalmente compatibili,


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non devono mai travalicare i limiti fissati dal secondo comma dell'articolo 111 della Costituzione.
Inoltre, si ritiene incongruo - ed il punto merita la massima attenzione - che il pubblico ministero totalmente soccombente non possa proporre appello, mentre tale facoltà è prevista quando la sua soccombenza sia solo parziale (avendo egli ottenuto una pronuncia di condanna diversa, ad esempio ad una pena inferiore rispetto a quella richiesta). La prima censura del Capo dello Stato evidenzia, dunque, una disparità tra le parti processuali, poiché al pubblico ministero totalmente soccombente è stata sottratta la facoltà di proporre appello contro le sentenze di proscioglimento.
I colleghi della maggioranza richiamano spesso la sentenza n. 98 del 1994, con la quale la Corte costituzionale ha affermato che il riconoscimento del potere di impugnazione da parte dell'imputato non comporta, di per sé, un corrispondente potere del pubblico ministero. Tuttavia, non si è considerato che, dopo tale pronuncia, è intervenuta la riforma dell'articolo 111 della Costituzione, con la quale è stato sancito il principio della parità delle parti nel processo. Asimmetrie possono ben sussistere, dunque, tra pubblico ministero ed imputato, ma non possono essere elevate a sistema: non avrebbe senso logico, oltre che giuridico. D'altronde - riflettano bene i colleghi della maggioranza -, neanche con la riforma dell'ordinamento giudiziario è stato eliminato il principio secondo cui il pubblico ministero è obbligato a ricercare non soltanto gli elementi di colpevolezza, ...

PRESIDENTE. Onorevole Mantini, ...

PIERLUIGI MANTINI. ... ma anche quelli di non colpevolezza.
Esiste, in sostanza, una par condicio, alla quale, invero, siete allergici anche nel processo...!
Per queste ragioni, signor Presidente, chiediamo di sospendere l'esame del provvedimento e di non decidere su di esso senza una valutazione complessiva ed organica della riforma dell'appello. Come denunciava già Montesquieu, signor Presidente, le leggi inutili uccidono quelle necessarie (Applausi dei deputati del gruppo della Margherita, DL-L'Ulivo)!

PRESIDENTE. L'onorevole Kessler ha facoltà di illustrare la questione sospensiva Finocchiaro ed altri n. 2, di cui è cofirmatario.

GIOVANNI KESSLER. Signor Presidente, il migliore argomento per sostenere la questione sospensiva che mi accingo ad illustrare è fornito dagli avvenimenti di questi ultimi giorni, anzi di queste ore, da quello che sta avvenendo mentre si svolge la seduta odierna (sicuramente, non tutti i colleghi ne sono a conoscenza).
Dopo il messaggio con il quale il Capo dello Stato ha rifiutato la promulgazione ed ha rinviato la legge alle Camere, invitandole a riconsiderare il testo approvato, la Commissione giustizia si è riunita a tamburo battente nei giorni scorsi e la maggioranza ha approvato, in tutta fretta, alcune modifiche relative anche ad aspetti molto importanti.
Ebbene, dopo l'approvazione di tali modifiche da parte della maggioranza, il relatore ha presentato stamani, in Comitato dei nove, nuovi emendamenti che intervengono ulteriormente sulle modifiche già approvate dalla stessa maggioranza e dallo stesso relatore pochi giorni fa. Non basta: alcuni degli emendamenti presentati dal relatore stamani (un'ora fa) non sono stati ancora approvati dal Comitato dei nove, perché su di essi non si riesce a trovare un accordo all'interno della stessa maggioranza! Infatti, il capogruppo di Forza Italia in Commissione giustizia ha chiesto una sospensione dell'esame, ripreso durante la pausa dei lavori dell'Assemblea, poco fa. Onorevoli colleghi, la discussione, che non è ancora terminata, concerne punti essenziali della legge. In altre parole, la stessa maggioranza che ha voluto la legge non ha ancora trovato un accordo politico e tecnico sulle formulazioni da approvare!
La realtà, colleghi, è che la materia non si presta a ritocchi affrettati.


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Non è quella dell'appellabilità o dell'inappellabilità delle sentenze una materia che si può affrontare con comodi maquillages per poter dire che, in qualche modo, non si è stati sgarbati con il Capo dello Stato. Non è materia che può essere trattata nelle sospensioni dei lavori dell'Assemblea e chiusa, così come si chiude una pratica scomoda e fastidiosa (ma forse per qualcuno necessaria), nelle ultime ore concitate della legislatura: non ne siete nemmeno capaci dal punto di vista tecnico! Questo è ciò che sta accadendo e a cui stiamo assistendo in queste ore.
Tuttavia, anche considerazioni di carattere più generale ci portano a ritenere che, su questi temi, sia più necessario un approccio meditato, incompatibile con i tempi forzati di questa fine legislatura. Non si può trattare la questione dell'inappellabilità estraendola e astraendola da tutto il sistema delle impugnazioni del processo penale; non si può trattare questa materia così importante senza porla in riferimento anche al sistema del codice penale stesso (penso al regime della prescrizione).
Quali sono i poteri di cognizione della corte d'appello? Solo quello cartaceo, anche quello di valutazione o rivalutazione nel merito delle prove di rifacimento di un giudizio - o meglio di un dibattimento - con l'accesso diretto alle prove oppure solo alla documentazione delle stesse? Si tratta di temi fondamentali dopo la riforma del codice di procedura penale del 1989.
Quale ruolo si dovrebbe dare a tutte le impugnazioni? Quale ruolo dare alla Corte di cassazione? Giudice di legittimità o anche giudice di merito, così come questa proposta di legge sembra riproporre? Non si può toccare solo un punto del sistema delle impugnazioni senza curarsi di cosa avvenga nell'intero sistema, né si può parlare solo di impugnazioni senza parlare altresì del processo in sé! Questo è il difetto essenziale di questa proposta di legge, così come viene evidenziato in più punti dal Capo dello Stato, il quale ci parla di asistematicità in proposito, di approccio asistematico di questa proposta di legge e di disorganicità in merito a questo tipo di intervento: non possiamo rimediare alla disorganicità e al carattere asistematico di questa proposta di legge con gli affrettati, difficile ritocchi di queste ultime ore!
Qui stiamo parlando, cari colleghi, di una legge che avrà un insostenibile impatto sul sistema giudiziario, come già denunciato anche dal Capo dello Stato, che va contro il bene costituzionale dell'efficienza del processo.
Una legge approvata in fretta su questo punto, con norme transitorie così drastiche come quelle che sono previste, trasformerebbe completamente il ruolo della Corte di cassazione, allungando a dismisura i processi senza che si sia provveduto, con opportuni provvedimenti amministrativi e, forse, anche legislativi, a modificare la struttura stessa della Corte di cassazione e dei nostri uffici giudiziari.
Tuttavia, l'effetto di una legge affrettata non è solo quello dato dall'impatto sull'efficienza dei processi. Cari colleghi, noi andiamo anche ad incidere su punti essenziali dell'amministrazione della giustizia. Si parla della parità o della disparità delle parti, ma a noi non sta tanto a cuore solo il problema di guardare con il bilancino se il pubblico ministero abbia più o meno poteri della difesa nell'ambito del processo, che pure è un valore costituzionale. Dalla parità di questi poteri, dalla parità dei diritti e dei doveri delle parti di fronte al giudice deriva anche il risultato dell'attività del giudice, deriva la capacità dei nostri tribunali, delle nostre corti, di amministrare una giustizia vera.
Onorevoli colleghi, con una legge come questa noi lanciamo al giudice un messaggio secondo cui, se assolve per errore, nessuno gli potrà «fare le pulci», mentre se emette una condanna sbagliata la sua decisione potrà essere rivista più e più volte. In tal modo, andiamo ad incidere non soltanto sulle condizioni delle parti del processo, ma anche sul potenziale risultato dell'attività giurisdizionale, disequilibrandola e non assicurando più la possibilità di un giudizio equilibrato e giusto.


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Quello su cui, questa mattina, all'interno della stessa maggioranza, non si riesce a trovare l'accordo è un altro punto decisivo per arrivare a giudizi giusti. Il problema che si pone, che non è ancora stato risolto e che si vuole risolvere affrettatamente, in pochi minuti, nelle prossime riunioni del Comitato dei nove, è quello della prova decisiva che emerge dopo il giudizio di primo grado. Ebbene, secondo alcune formulazioni, c'è il rischio che, se emerge una prova importante o decisiva della colpevolezza dell'imputato dopo la sentenza di primo grado, questa prova non possa essere fatta valere nel giudizio. Si tratta di un punto essenziale, onorevoli colleghi, e ne va della giustizia nei nostri tribunali.

PRESIDENTE. Onorevole Kessler...

GIOVANNI KESSLER. Non è argomento da trattare alla stregua di una pratica fastidiosa, da chiudere in pochi minuti. Ecco perché è necessaria la sospensione della decisione di queste Camere. Le cose affrettate, infatti, non aiutano nessuno, né la maggioranza né l'opposizione; soprattutto, non aiutano la nostra giustizia.

PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare l'onorevole Perlini. Ne ha facoltà.

ITALICO PERLINI. Signor Presidente, onorevoli colleghi, le richieste di sospensione dell'esame di questo provvedimento appaiono destituite di ogni fondamento, perché rivelano soltanto la perseverante volontà dell'opposizione di bloccare l'iter di questa proposta di legge. Purtroppo, ai colleghi dell'opposizione è andato tutto male. Hanno sperato, per un momento, che noi non rispondessimo al messaggio del Capo dello Stato, ma sono stati smentiti, perché lo abbiamo affrontato punto per punto e abbiamo apportato al provvedimento le modifiche ritenute necessarie. Successivamente, hanno sperato che le Camere fossero sciolte anticipatamente, nel corso di questa settimana, ed anche questo disegno, questa loro aspirazione, è stata smentita. Poi, hanno cercato di bloccare in tutte le maniere i lavori in sede di Commissione, ma non ci sono riusciti. Oggi, chiedono una sospensione dell'esame del provvedimento sino al 20 marzo prossimo, in base al presupposto essenziale che occorrerebbe riesaminare tutto il sistema delle impugnazioni, le due richieste distinguendosi tra loro solo perché, nella prima, questa ragione è contenuta in motivazione mentre, nella seconda, è contenuta nella deliberazione finale.
Ebbene, signor Presidente, onorevoli colleghi, qualche notazione in più non guasta, per dimostrare la strumentalità di questa richiesta delle opposizioni. L'onorevole Kessler afferma - a livello di scandalo - che, oggi, il presidente del gruppo di Forza Italia avrebbe chiesto una breve sospensione per esaminare un problema posto all'attenzione del Comitato dei nove. Onorevole Kessler, quante decine e decine di volte è stata chiesta, nel corso di questa legislatura, la sospensione dei lavori per perfezionare l'articolato di un progetto di legge?
Ma soprattutto, onorevole Kessler, in questa sede, talvolta, quando si va avanti nei lavori rigettando questioni legate a discussioni di approfondimento, si osserva che noi siamo antidemocratici e che non vogliamo affrontare il contraddittorio; al contrario, quando si insiste nel confronto per perfezionare la norma, si fa rilevare che non si è agito per il meglio.
La verità è un'altra; tale approfondimento, che motiva le vostre istanze di sospensione dell'iter della proposta di legge, è tecnicamente e politicamente infondato.
Tecnicamente, perché, come sapete bene, è vero che, a Camere sciolte, un provvedimento rinviato ai sensi dell'articolo 74 della Costituzione può essere esaminato; ma è altrettanto vero che non si può estendere l'esame ad un intero sistema processuale - come sarebbe presupposto dalla vostra richiesta - e, quindi, al sistema delle impugnazioni: pertanto, è giuridicamente impossibile affrontare il problema così come da voi posto.


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Tuttavia, sotto il profilo politico, la questione è altrettanto infondata, perché voi perseverate nel vostro tentativo di impedire la formazione di leggi che, invece, sono alla base del nostro programma e della nostra concezione politica dello Stato.

PRESIDENTE. Onorevole...

ITALICO PERLINI. Concludo, signor Presidente.
Questa proposta di legge, peraltro - come si rileva dai numerosi interventi che mi hanno preceduto -, è conforme sia allo stesso dettato costituzionale sia all'interpretazione data da due sentenze della Corte costituzionale, e corrisponde alla nostra convinzione assoluta che il cittadino vada tutelato. È prevalente per noi l'obiettivo di garantire che il cittadino, una volta assolto, non debba ancora subire vessazioni giudiziarie per grande parte della sua vita.
Per tale motivo, noi riteniamo che la richiesta di sospensione dell'iter della proposta di legge in esame vada respinta e convintamente esprimeremo un voto contrario sulle questioni sospensive presentate (Applausi dei deputati del gruppo di Forza Italia).

PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare l'onorevole Cola. Ne ha facoltà.

SERGIO COLA. Signor Presidente, ritengo che l'approvazione di questa proposta di legge, così come è stato riconosciuto, almeno in linea di principio, da autorevoli rappresentanti dell'opposizione, costituisca veramente una conquista della nostra civiltà giuridica. Ebbene, si chiede di sospenderne l'esame con motivazioni veramente pretestuose; mi riferisco particolarmente allo striminzito testo della questione sospensiva a prima firma dell'onorevole Mantini, che non motiva nella maniera più assoluta la richiesta avanzata: abbiamo sentito solamente poc'anzi le motivazioni, che attengono al messaggio del Capo dello Stato, già ampiamente discusso nel corso dell'esame delle due questioni pregiudiziali per motivi di costituzionalità svoltosi precedentemente.
Vorrei soffermarmi, invece, sia pure telegraficamente, sulla seconda questione sospensiva, della quale è cofirmatario l'onorevole Kessler, che l'ha anche illustrata poc'anzi. Ebbene, sono dell'avviso che le motivazioni addotte, riposte in quattro punti, siano completamente infondate per i seguenti motivi.
Si afferma che l'approvazione di questa proposta di legge allungherebbe i tempi della celebrazione dei processi, ma vi è o no la soppressione di un grado di giudizio? Mi pare che la conseguenza sia, dunque, diametralmente opposta a quella segnalata.
Un'ulteriore affermazione è che si attribuirebbero alla Cassazione funzioni di merito, ma anche tale osservazione è fuor di luogo, perché in ogni caso ci troveremmo di fronte a violazioni di legge, così come previsto dal penultimo comma dell'articolo 111 della Costituzione. Vorrei peraltro chiedere all'onorevole Kessler: com'era formulato l'articolo 606 del codice di procedura penale prima della riforma del codice stesso che ha trasformato il rito da inquisitorio in accusatorio? Era formulato più o meno nella stessa maniera in cui l'abbiamo riformulato noi. Dunque, onorevole Kessler, dal 1948, data di entrata in vigore della Costituzione, al 1989, tutte le pronunce della Corte di cassazione sono state incostituzionali (Commenti del deputato Kessler)? Ma veramente vogliamo scherzare? Usiamo argomenti più seri e confacenti alla serietà dei problemi che stiamo affrontando!
L'onorevole Kessler ha formulato un'altra osservazione. Egli ha affermato, infatti, che si creerebbe una disparità di trattamento, soprattutto in relazione al giudizio d'appello, nonché con riferimento all'articolo 111 della Costituzione.
Vorrei replicare all'onorevole Kessler non solo con i ragionamenti già esposti - vale a dire che non sussiste alcuna disparità di trattamento, perché la parità delle parti va connessa esclusivamente alla fase processuale, rispettando la necessità che vi


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sia contraddittorio tra le parti -, ma anche con un altro argomento. La Carta costituzionale, infatti, non tutela anche il diritto del pubblico ministero a proporre impugnazione, poiché l'articolo 24 della nostra Costituzione protegge solamente il diritto di impugnazione dell'imputato.
Ciò non è stato stabilito per colpa di un'eventuale perdita di lucidità da parte del legislatore, poiché vorrei ricordare che tutte le Convenzioni internazionali (non ultima, la Convenzione europea dei diritti dell'uomo) prevedono che tale tutela venga assicurata solo ed esclusivamente all'imputato. Non si facciano, allora, affermazioni fuori da ogni logica, nonché dall'assetto normativo italiano, europeo ed internazionale, poiché il principio sopra citato è stato trasfuso nelle varie Convenzioni che tutelano i diritti umani.
Un'altra considerazione formulata dall'onorevole Kessler riguarda la durata dei processi e, soprattutto, la circostanza che sarebbe iniquo equiparare l'assoluzione con formula piena ex articolo 530, primo comma, del codice di procedura penale, con la fattispecie prevista dal secondo comma del medesimo articolo. Ritengo anche tale affermazione priva di fondamento, e pertanto non spenderò ulteriori parole in proposito.
Vorrei fare solo una precisazione, signor Presidente. L'onorevole Kessler ha affermato, qualche minuto fa...

PRESIDENTE. Onorevole Cola...

SERGIO COLA. ... che ci stiamo arrovellando per cercare di individuare una soluzione riguardo ad un argomento dirimente ed importantissimo.
Onorevole Kessler, il problema in questione riguarda effettivamente le prove decisive, ma la soluzione da adottare è una soltanto, poiché il tema è ineludibile. Su tale soluzione ci troviamo tutti quanti d'accordo, e vorrei ricordare che anche voi concordavate. L'unico dubbio - che è possibile risolvere senza alcuna difficoltà ed alcun danno - è stabilire se la deduzione di una prova sopravvenuta o scoperta e decisiva, debba essere proposta in appello o direttamente in Cassazione. Pertanto, non esiste nessuna di quelle problematiche che sono state segnalate come allarmanti, come siete abituati a fare, operando dei veri e propri travisamenti dei fatti!
Ritengo, in conclusione, che l'approvazione della proposta di legge in esame rappresenti una grande conquista di civiltà giuridica, e tutti i vostri tentativi dilatori non frapporranno assolutamente ostacoli al raggiungimento, da parte del Parlamento, di questo enorme ed importantissimo risultato (Applausi dei deputati dei gruppi di Alleanza Nazionale e di Forza Italia)!

PRESIDENTE. Nessun altro chiedendo di parlare, passiamo ai voti.
Avverto che la prossima votazione avrà luogo a scrutinio palese.
Indìco la votazione nominale, mediante procedimento elettronico, sulle questioni sospensive Mantini ed altri n. 1 e Finocchiaro ed altri n. 2.
(Segue la votazione - Commenti).

Scusate, onorevoli colleghi, ma abbiamo un problema: abbiate un attimo di pazienza (Commenti)...
Onorevoli colleghi, purtroppo dobbiamo sospendere la votazione, poiché vi è un problema tecnico.
Revoco pertanto l'indizione della votazione (Commenti).

ROBERTO GIACHETTI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

ROBERTO GIACHETTI. Signor Presidente, non vorrei ripetermi, ma le ricordo che un'alternativa al malfunzionamento dei dispositivi elettronici di voto esiste ed è prevista dal nostro regolamento: è sempre la procedura delle palline da deporre nelle urne. Quindi, le suggerirei di prendere in considerazione anche tale ipotesi, nel momento in cui, palesemente, il sistema


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elettronico non funziona (Applausi dei deputati del gruppo della Margherita, DL-L'Ulivo).

ELIO VITO. Votiamo per alzata di mano!

PRESIDENTE. Onorevoli colleghi, purtroppo permane un guasto tecnico che non ci consente di votare. Dunque, credo sarebbe opportuno rinviare ad oggi pomeriggio, alle 15,30, il prosieguo dei lavori.
Sospendo pertanto la seduta, che riprenderà alle 15,30, con immediate votazioni.

PRESIDENZA DEL VICEPRESIDENTE ALFREDO BIONDI

La seduta, sospesa alle 13,15, è ripresa alle 15,30.

Missioni.

PRESIDENTE. Comunico che, ai sensi dell'articolo 46, comma 2, del regolamento, i deputati Amoruso, Aprea, Armani, Ballaman, Boato, Bono, Bricolo, Caligiuri, Carrara, Colucci, Cordoni, Delfino, Dell'Elce, Deodato, Di Virgilio, Dozzo, Giordano, Giancarlo Giorgetti, Mazzocchi, Molgora, Palma, Pistone, Possa, Ramponi, Romani, Romano, Rosso, Saponara, Scarpa Bonazza Buora, Selva, Tanzilli, Tortoli, Valducci, Valentino, Valpiana, Viceconte, Violante e Vitali sono in missione a decorrere dalla ripresa pomeridiana della seduta odierna.
Pertanto i deputati complessivamente in missione sono ottantotto, come risulta dall'elenco depositato presso la Presidenza e che sarà pubblicato nell'allegato A al resoconto della seduta odierna.

Annunzio della convocazione straordinaria della Camera dei deputati.

PRESIDENTE. Essendo stata richiesta dal prescritto numero di deputati la convocazione straordinaria della Camera dei deputati, ai sensi dell'articolo 62, secondo comma, della Costituzione e 29, comma 1, del regolamento, per discutere mozioni e risoluzioni relative al tema della legalità della campagna elettorale e alle discriminazioni rappresentate nella presentazione delle liste elettorali per le prossime elezioni politiche, con particolare riguardo alla posizione de La Rosa nel Pugno, a seguito della odierna Conferenza dei presidenti di gruppo, la Presidenza ha stabilito di convocare la Camera in seduta straordinaria giovedì 2 febbraio; la riunione avrà luogo al termine della seduta ordinaria, una volta concluso l'esame del disegno di legge di conversione n. 6293. All'ordine del giorno sarà previsto l'esame della mozione Violante ed altri n. 1-00513, concernente l'esenzione dalla raccolta delle firme per la presentazione delle candidature alle elezioni politiche per i partiti o i gruppi che abbiano dimostrato una reale rappresentatività.

Calendario dei lavori dell'Assemblea per il mese di febbraio 2006.

PRESIDENTE. A seguito dell'odierna riunione della Conferenza dei presidenti di gruppo è stato predisposto, ai sensi dell'articolo 24, comma 3, del regolamento, il seguente calendario dei lavori per il mese di febbraio 2006:

Mercoledì 1o febbraio (antimeridiana e pomeridiana, con eventuale prosecuzione notturna) (con votazioni):
Seguito dell'esame della proposta di legge n. 4604-B - Modifiche al codice di procedura penale, in materia di inappellabilità delle sentenze di proscioglimento (Rinviata alle Camere dal Presidente della Repubblica) (ove non concluso).
Esame e votazione della questione pregiudiziale presentata al disegno di legge n. 6297 - Conversione in legge, con modificazioni, del decreto-legge 30 dicembre 2005, n. 272, recante misure urgenti per garantire la sicurezza ed i finanziamenti


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per le prossime Olimpiadi invernali, nonché la funzionalità dell'Amministrazione dell'interno. Disposizioni per favorire il recupero di tossicodipendenti recidivi (Approvato dal Senato - scadenza: 28 febbraio 2006).

Seguito dell'esame dei disegni di legge:
n. 6293 - Conversione in legge, con modificazioni, del decreto-legge 5 dicembre 2005, n. 250, recante misure urgenti in materia di università, beni culturali ed in favore di soggetti affetti da gravi patologie, nonché in tema di rinegoziazione di mutui (Approvato dal Senato - scadenza: 4 febbraio 2006);
n. 6259 - Conversione in legge del decreto-legge 10 gennaio 2006, n. 4, recante misure urgenti in materia di organizzazione e funzionamento della pubblica amministrazione (da inviare al Senato - scadenza: 12 marzo 2006).

Giovedì 2 febbraio (antimeridiana e pomeridiana, con eventuale prosecuzione notturna ed eventualmente nella giornata di venerdì 3 febbraio) (con votazioni):

Eventuale seguito dell'esame di argomenti non conclusi.

Seguito dell'esame dei disegni di legge:
n. 6293 - Conversione in legge, con modificazioni, del decreto-legge 5 dicembre 2005, n. 250, recante misure urgenti in materia di università, beni culturali ed in favore di soggetti affetti da gravi patologie, nonché in tema di rinegoziazione di mutui (Approvato dal Senato - scadenza: 4 febbraio 2006);
n. 6259 - Conversione in legge del decreto-legge 10 gennaio 2006, n. 4, recante misure urgenti in materia di organizzazione e funzionamento della pubblica amministrazione (da inviare al Senato - scadenza: 12 marzo 2006).

Esame delle proposte di legge:
n. 2406-B - Interventi dello Stato nel sistema fieristico nazionale (Approvata dalla Camera e modificata dal Senato);
n. 2 ed abbinate - Disposizioni in materia di polizia locale.

Al termine della seduta ordinaria, concluso l'esame del disegno di legge di conversione n. 6293, la Camera si riunirà in seduta straordinaria ai sensi dell'articolo 62 della Costituzione e dell'articolo 29, comma 1, del regolamento, per procedere all'esame della mozione Violante ed altri n. 1-00513 concernente l'esenzione dalla raccolta delle firme per la presentazione delle candidature alle elezioni politiche per i partiti o i gruppi che abbiano dimostrato una reale rappresentatività.

Venerdì 3 febbraio (e, ove necessario, nelle successive giornate di sabato e domenica):

Discussione sulle linee generali del disegno di legge n. 6297 - Conversione in legge, con modificazioni, del decreto-legge 30 dicembre 2005, n. 272, recante misure urgenti per garantire la sicurezza ed i finanziamenti per le prossime Olimpiadi invernali, nonché la funzionalità dell'Amministrazione dell'interno. Disposizioni per favorire il recupero di tossicodipendenti recidivi (Approvato dal Senato - scadenza: 28 febbraio 2006).

Lunedì 6 febbraio (antimeridiana e pomeridiana, con eventuale prosecuzione notturna e nel corso della settimana) (con votazioni):

Seguito dell'esame del disegno di legge n. 6297 - Conversione in legge, con modificazioni, del decreto-legge 30 dicembre 2005, n. 272, recante misure urgenti per garantire la sicurezza ed i finanziamenti per le prossime Olimpiadi invernali, nonché la funzionalità dell'Amministrazione dell'interno. Disposizioni per favorire il recupero di tossicodipendenti recidivi (Approvato dal Senato - scadenza: 28 febbraio 2006).


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Seguito dell'esame di argomenti previsti nella settimana precedente e non conclusi.

Settimane 13-17 e 20-24 febbraio, con votazioni orientativamente nelle giornate del mercoledì e del giovedì, salvo la previsione di ulteriori sedute per la conclusione di argomenti previsti in calendario (antimeridiana e pomeridiana, con eventuale prosecuzione notturna):

Seguito dell'esame di argomenti previsti nelle settimane precedenti e non conclusi.

Esame di disegni di legge (il Presidente si riserva di iscriverli all'ordine del giorno in base alla data di scadenza e alla conclusione dell'esame in sede referente da parte delle Commissioni) (potrebbe trattarsi di:
n. 6272 - Conversione in legge del decreto-legge 17 gennaio 2006, n. 10, recante disposizioni urgenti per la partecipazione italiana a missioni internazionali (da inviare al Senato - scadenza: 19 marzo 2006);
n. 6271 - Conversione in legge del decreto-legge 17 gennaio 2006, n. 9, recante disposizioni urgenti per la partecipazione italiana alla missione internazionale in Iraq (da inviare al Senato - scadenza: 19 marzo 2006);
S. 3715 - Conversione in legge del decreto-legge 30 dicembre 2005, n. 271, recante proroga di termini in materia di efficacia di nuove disposizioni che modificano il processo civile (ove trasmesso dal Senato - scadenza: 28 febbraio 2006);
S. 3717 - Conversione in legge del decreto-legge 30 dicembre 2005, n. 273, recante definizione e proroga di termini, nonché conseguenti disposizioni urgenti (ove trasmesso dal Senato - scadenza: 28 febbraio 2006);
S. 3723 - Conversione in legge del decreto-legge 10 gennaio 2006, n. 2, recante interventi urgenti per i settori dell'agricoltura, dell'agroindustria, della pesca, nonché in materia di fiscalità d'impresa (ove trasmesso dal Senato - scadenza: 12 marzo 2006);
S. 3731 - Conversione in legge del decreto-legge 17 gennaio 2006, n. 6, recante differimento dell'efficacia di talune disposizioni della legge 28 dicembre 2005, n. 262, sulla tutela del risparmio e la disciplina dei mercati finanziari, nonché finanziamento dell'Autorità per l'energia elettrica e il gas (ove trasmesso dal Senato - scadenza: 18 marzo 2006);
S. 3756 - Conversione in legge del decreto-legge 25 gennaio 2006, n. 19, recante misure urgenti per garantire l'approvvigionamento di gas naturale (ove trasmesso dal Senato - scadenza: 27 marzo 2006).

Il Presidente si riserva di inserire nel calendario l'esame di documenti licenziati dalla Giunta per le autorizzazioni concernenti l'autorizzazione a procedere per reati ministeriali, autorizzazioni all'utilizzazione di intercettazioni di conversazioni e insindacabilità, di progetti di legge di ratifica licenziati dalle Commissioni, nonché di documenti licenziati dalla Giunta delle elezioni.
Lo svolgimento di interrogazioni a risposta immediata (question time) avrà luogo mercoledì 1o e mercoledì 8 febbraio (dalle 15 alle 16).
Lo svolgimento di interrogazioni, di interpellanze e di interpellanze urgenti (prima dello scioglimento delle Camere) sarà previsto, ove possibile, nelle sedute del martedì, del giovedì o del venerdì, secondo l'andamento dei lavori dell'Assemblea.
L'organizzazione dei tempi per la discussione degli argomenti iscritti nel calendario dei lavori sarà pubblicata in calce al resoconto stenografico della seduta odierna.


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Proposta di assegnazione a Commissione in sede legislativa di una proposta di legge (ore 15,40).

PRESIDENTE. Comunico che sarà iscritta all'ordine del giorno della seduta di domani l'assegnazione, in sede legislativa, della seguente proposta di legge, che propongo alla Camera a norma del comma 1 dell'articolo 92 del regolamento:

alla IV Commissione (Difesa):
S. 2274-2275 - Senatori BONATESTA; NIEDDU ed altri: «Norme per la concessione di contributi statali alle associazioni combattentistiche» (Approvata, in un testo unificato, dal Senato) (6277) - Parere delle Commissioni I e V.

Si riprende la discussione della proposta di legge n. 4604-C (ore 15,42).

(Ripresa esame di questioni pregiudiziali e di questioni sospensive - A.C. 4604-C).

PRESIDENTE. Dobbiamo ora passare alla votazione delle questioni sospensive Mantini ed altri n. 1 e Finocchiaro ed altri n. 2, delle quali si è concluso l'esame nella parte antimeridiana della seduta.
In caso di reiezione delle questioni sospensive, passeremo agli interventi sul complesso degli emendamenti all'articolo 1 del provvedimento al nostro esame.
Come convenuto nella riunione della Conferenza dei presidenti di gruppo in considerazione del numero dei deputati che hanno preannunziato di voler prendere la parola, dopo alcuni interventi, il seguito dell'esame del provvedimento sarà rinviato alla seduta di domani. Subito dopo passeremo, pertanto, all'esame e alla votazione della questione pregiudiziale presentata al decreto-legge in materia di università e beni culturali; dopo tale votazione, procederemo al seguito dell'esame di questo stesso provvedimento.
Passiamo ai voti.
Indìco la votazione nominale, mediante procedimento elettronico, sulle questioni sospensive Mantini ed altri n. 1 e Finocchiaro ed altri n. 2.
(Segue la votazione).

RENZO INNOCENTI. Presidente!

ANTONIO LEONE. Presidente!

PIERO RUZZANTE. Signor Presidente, ci sono doppi voti!

ELIO VITO. Guarda là: le schede!

PRESIDENTE. Dichiaro chiusa la votazione.
Comunico il risultato della votazione: la Camera respinge (Vedi votazioni).

(Presenti 450
Votanti 449
Astenuti 1
Maggioranza 225
Hanno votato
209
Hanno votato
no 240).

Prendo atto che l'onorevole Giuseppe Gianni non è riuscito a votare.

ROBERTO GIACHETTI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà... Interviene sull'ordine dei lavori, onorevole Giachetti?

ROBERTO GIACHETTI. Signor Presidente, più precisamente mi richiamo all'articolo 53 del regolamento. Non vi è nulla di personale nei suoi confronti e nei confronti di chi l'ha preceduta. Tuttavia, non capisco perché vi sia, da parte della Presidenza, una certa idiosincrasia quando occorre procedere, secondo il regolamento, a votazioni in casi particolari.
In passato, nel momento in cui il risultato della votazione risultava incerto, mi era capitato di suggerire di applicare il regolamento e votare con il sistema delle palline da deporre nelle urne.


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Nella fattispecie, signor Presidente, oggi è accaduta una cosa ancora più particolare. Mi auguro che la decisione assunta dal Presidente non costituisca precedente. Non ha funzionato il sistema elettronico. Tuttavia, sfogliando le pagine del nostro regolamento e, nella fattispecie, leggendo il comma 2 dell'articolo 53, si trova una previsione specifica proprio in relazione alla mancata funzionalità del sistema elettronico. La norma prevede che, in caso di difetto dei dispositivi elettronici di voto, la controprova sia effettuata mediante divisione dell'aula. In tal caso, il Presidente indica da quale parte debbano mettersi i favorevoli e da quale parte debbano, invece, mettersi i contrari.
Non so perché, invece di procedere secondo il regolamento, si è deciso di sospendere la seduta e riprenderla nel pomeriggio, per fortuna con il sistema funzionante. Però c'è una previsione specifica nel regolamento...! Ogni tanto - vivaddio! - applichiamolo!

PRESIDENTE. Io non so, onorevole Giachetti, se la decisione da lei richiamata costituisca oppure no un precedente. Mi è parso, comunque, che il Presidente abbia interpretato l'unanime, seppur muto, consenso dei presenti.
Detto questo, il regolamento prescrive quanto da lei richiamato, ma non è detto che questa tassatività debba costituire un motivo per decidere l'uso delle palline nell'urna, che meno si usano e meglio è, secondo me (Applausi dei deputati del gruppo della Lega Nord Federazione Padana)... Parlo a titolo personale, ovviamente...

(Esame degli articoli - A.C. 4604-C)

PRESIDENTE. Ricordo che sono state respinte le questioni pregiudiziali di costituzionalità Zaccaria ed altri n. 1 e Finocchiaro ed altri n. 2, nonché le questioni sospensive Mantini ed altri n. 1 e Finocchiaro ed altri n. 2.
Passiamo, dunque, all'esame degli articoli della proposta di legge, nel testo della Commissione.
Avverto che la I Commissione (Affari costituzionali) ha espresso il prescritto parere (vedi l'allegato A - A.C. 4604-C sezione 3).

(Esame dell'articolo 1 - A.C. 4604-C)

PRESIDENTE. Passiamo all'esame dell'articolo 1 e delle proposte emendative ad esso presentate (vedi l'allegato A - A.C. 4604-C sezione 4).
Ha chiesto di parlare l'onorevole Maccanico. Ne ha facoltà.

ANTONIO MACCANICO. Signor Presidente, onorevoli colleghi, è con uno stato d'animo di grande amarezza che prendo la parola sul complesso degli emendamenti presentati alla proposta di legge in esame, che è stata oggetto di un motivatissimo messaggio di rinvio da parte del Presidente della Repubblica, dopo quanto è avvenuto nei giorni scorsi, in occasione dell'inaugurazione dell'anno giudiziario.
Non mi riferisco solo alla clamorosa protesta dei magistrati. Il vertice della maggioranza giudicante, il primo presidente della Corte di Cassazione, Marvulli, in un discorso fortemente critico, ha espresso un giudizio durissimo su questa proposta di legge, fatto senza precedenti nella storia della vita giudiziaria della nostra Repubblica. È significativo che, per effetto delle nuove norme sulla cerimonia di inizio dell'anno giudiziario, a parlare sia stato il primo presidente e non più il procuratore generale, e che tutti i suoi accenti critici siano stati anche più forti di quelli espressi dal procuratore generale lo scorso anno.
Ricordo che, nella fase finale della scorsa legislatura, la XIII, esattamente nel novembre del 1999, fu approvata, a larghissima maggioranza, una revisione dell'articolo 111 della Costituzione che sembrò aprire una stagione di riforme e di ammodernamento del nostro sistema giudiziario, in particolare del processo penale, sulla base di una normativa costituzionale chiara, di forte impronta garantista, assai avanzata nella concezione del


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giusto processo ed elaborata con ampio accordo tra maggioranza ed opposizione.
Ci si attendeva che su quella linea, nella nuova legislatura, ossia quella che sta per concludersi, potesse attuarsi un programma organico e concordato di iniziative volte a snellire i procedimenti, ad assicurare la ragionevole durata dei processi, in modo da togliere il nostro paese dal banco degli accusati, sul quale è da sempre in Europa per la inverosimile lentezza della nostra giustizia, e ad assicurare efficienza ed efficacia a questa funzione essenziale per un paese civile, sottraendola al degrado crescente che negli anni si era ingigantito.
Purtroppo, quell'attesa è andata totalmente delusa: in cinque anni nessun progresso è stato realizzato. Anzi, la situazione, nel complesso, si è aggravata al punto da provocare nelle voci più alte della nostra magistratura toni che sfiorano la disperazione. Si è rimostrato che una strategia seria ed ispirata agli interessi generali o al bene comune, in questo come in ogni campo, è impossibile quando la preoccupazione dominante è quella dell'interesse particolare a risolvere l'imponente mole di specifici problemi giudiziari, siano essi del Presidente del Consiglio o dei suoi amici e collaboratori. L'ottica dominante è quella dello scontro permanente con l'ordine giudiziario e con il ruolo di autonomia che per esso ha voluto la nostra Costituzione.
Non si possono perseguire obiettivi di rilevanza strategica in un settore assai delicato e nel quale esistono indubbiamente vischiosità corporative, comportamenti inaccettabili e deviazioni di vario titolo - problemi che, proprio per questo, richiederebbero accordi molto ampi per essere risolti - se ci si muove con l'intento di scardinare ab imis un assetto normativo dell'ordine giudiziario che costituisce uno dei pilastri della nostra Costituzione democratica.
Così, ad iniziative legislative frammentate, personalizzate e mirate a risolvere problemi particolari, le cosiddette leggi ad personam o contra personam, si aggiungono iniziative ispirate al pregiudizio della diffusa politicizzazione della magistratura, come quella riforma dell'ordinamento giudiziario che l'intera magistratura, anche negli elementi più moderati e responsabili, e la stragrande maggioranza degli studiosi considerano una iattura, che aggraverà notevolmente i problemi dell'ordine giudiziario. Si è perduta, così, una grande occasione attesa dall'entrata in vigore della Costituzione.
Si sono aggiunti, poi, provvedimenti come la ex Cirielli, di modifica delle norme sulla prescrizione, che, calata su una scarsa funzionalità degli uffici giudiziari, rischia di diventare una sorta di amnistia strisciante, con nocumento grave per il tasso di legalità, già così basso nel nostro sistema. Intanto, i mezzi a disposizione dell'amministrazione della giustizia si riducono sensibilmente, tanto che alcune attività informatiche dell'amministrazione devono essere sacrificate, mentre il procuratore antimafia Grasso dice a chiare lettere che con i mezzi di cui dispone la lotta alla criminalità organizzata è impossibile.
Per venire alla proposta di legge in esame, è di tutta evidenza che l'articolo 7, divenuto ora articolo 8, di modifica dell'articolo 606 del codice di procedura penale, che disciplina i casi di ricorso in Cassazione, costituisce una grave lesione dell'articolo 111 della Costituzione, per il quale sono ammessi ricorsi in Cassazione solo per violazione di legge. La nuova formulazione, perciò, obbligherà la Cassazione a procedere al controllo di legalità dell'intero processo in tutti i suoi atti e non al controllo di legalità della sola sentenza, come era nella precedente versione. È chiaro che ciò trasforma la Cassazione in giudice di merito, aggravandone i compiti e prolungando i tempi dei processi. È paradossale che un provvedimento che intende limitare l'appellabilità delle sentenze di primo grado abbia come effetto complessivo l'allungamento dei tempi del processo.
Quanto, poi, all'inappellabilità della sentenza di primo grado in caso di proscioglimento, questo principio sarebbe accettabile se riguardasse le sentenze di


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proscioglimento pieno, al di là di ogni ragionevole dubbio, e cioè perché il fatto non sussiste o l'imputato risulta estraneo ai fatti. Nella formulazione attuale, invece, è troppo evidente il contrasto con il secondo comma dell'articolo 111 della Costituzione, cioè la condizione di parità fra le parti. È singolare che ogni emendamento volto ad affermare questo principio nell'ipotesi prima indicata sia stato respinto dalla maggioranza della Commissione. È augurabile che in Assemblea tale avversione si riduca e che gli emendamenti presentati dall'opposizione siano valutati con attenzione, se si vuole evitare che le lievi modifiche introdotte siano solo un'inutile cosmesi della proposta di legge.
La verità è che la disorganicità ed asistematicità di questo come di altri interventi parziali per via di novelle legislative ha fatto del codice di procedura penale una sorta di colabrodo ingestibile, che renderà sempre più spinoso ed arduo il cammino della giustizia nel nostro paese.
Si tratta di una crisi grave, gravissima, di un capitolo tra i più dolorosi di un fenomeno di degrado complessivo delle istituzioni, di abbandono di quella linea di buon andamento e di imparzialità dell'amministrazione che, in base all'articolo 97 della Costituzione, è obbligo costituzionale per tutte le strutture pubbliche.
Per l'Italia, impegnata nel grande sforzo di riacquistare forte capacità competitiva come sistema paese nel quadro globale dell'economia mondiale e dell'Unione europea, ora, questo obiettivo è irraggiungibile, se le strutture portanti della statualità, e cioè la giustizia e l'amministrazione, sono colpite da disfunzioni croniche. Ed è veramente allarmante sentire il primo presidente della Suprema corte dichiarare che il prestigio dell'ordine giudiziario è in declino e leggere i primi risultati di un'inchiesta del Censis e de Il Sole 24 ore sulla crisi delle strutture statali, che provoca una sorta di svuotamento della stessa funzione pubblica.
Ha scritto Giuseppe De Rita: «Una società moderna è fatta certamente da una pluralità di soggetti di interessi, di potere. È strutturalmente policentrica, ma questo non vuol dire che non abbia bisogno di istituzioni, cioè di strutture capaci di collegare le dinamiche tra i diversi soggetti della società e di fare interagire società e politica. Le vuole distribuite, leggere, relazionali, ma le vuole».
Credo, onorevoli colleghi, che il voto contrario a questa proposta di legge, se non sarà corretta, debba essere la premessa ad un impegno ad iniziare, nella prossima legislatura, una stagione di rigenerazione istituzionale che ci porti fuori dalla «palude» nella quale siamo immersi e ridia slancio al nostro paese, che merita un grande avvenire (Applausi dei deputati dei gruppi della Margherita, DL-L'Ulivo e dei Democratici di sinistra-L'Ulivo).

PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare l'onorevole Micheli. Ne ha facoltà.

ENRICO LUIGI MICHELI. Signor Presidente, con l'atto in discussione il Governo rinnova con indomita determinazione il suo principale obiettivo, tenacemente perseguito in tutta la legislatura, quello cioè di paralizzare il sistema della giustizia in Italia. È il programma di evasione parlamentare dai processi e dalla responsabilità, messo in atto a vantaggio dei pochi e a danno dei molti.
Il Governo e la maggioranza hanno «imballato» di carte e di parole i problemi dell'Italia senza risolverli ed hanno prodotto lacerazioni che richiederanno un lungo lavoro per restituire al paese un livello accettabile di rispetto istituzionale, nel campo della giustizia, soprattutto. Il dissesto è stato inutilmente contrastato dalla magistratura che, non più tardi di qualche giorno fa, con la voce autorevole del primo presidente della Cassazione, ha denunciato i gravi errori commessi, le incoerenze e le improvvisate riforme della giustizia ed ha svolto una progressiva analisi del sistema anche in termini autocritici. Qualcuno della maggioranza non ha trovato di meglio che commentare le accorate denunce del magistrato come il frutto di una relazione comunista! Il giorno successivo, nelle cerimonie inaugurali


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presso le corti di appello, si è registrata la massiccia assenza dei magistrati.
Il dissesto della giustizia è stato denunciato, puntualmente, dall'opposizione in occasione di ogni legge di riforma; opposizione che ha contrastato le iniziative incompatibili con la Carta costituzionale ed ha proposto i miglioramenti dei testi per rendere più efficace il sistema. Ha trovato, però, una maggioranza sorda di fronte ad ogni proposta incompatibile con i suoi interessi.
Credo che, nei prossimi anni, guardando a questa legislatura, si cercherà di spiegare, in qualche modo, come esponenti della maggioranza di indiscussa onestà democratica e di alta preparazione giuridica abbiano potuto assecondare questo progetto: per calcolo politico, spesso, per incapacità di contrastare il Capo del Governo, per disattenzione agli interessi del paese, troppe volte.
In questo quadro desolante, anche di fronte alla riforma in materia di inappellabilità delle sentenze penali di proscioglimento, intendiamo riproporre il nostro impegno affinché, almeno in questo ulteriore scorcio di legislatura, il Parlamento trovi un momento di riflessione, sia pure nella diversità dei ruoli.
Il problema dell'inappellabilità della sentenza penale di proscioglimento certamente merita un'attenta considerazione dei diritti dell'imputato. Tutti sono consapevoli del dramma del processo per l'imputato e per la sua famiglia. Celerità del giudizio e tutela del diritto di difesa sono principi irrinunciabili, persino ovvi nella società democratica, ma, in questa prospettiva, non possono essere dimenticate le esigenze di difesa dello Stato, dei cittadini e delle vittime dei reati.
I temi sono stati evidenziati dal messaggio del Presidente della Repubblica, al quale va la gratitudine del Parlamento, della magistratura, come espresso di recente dal presidente della Cassazione, ma anche di tutto il paese, per la forza e la tenacia con cui tutela le istituzioni repubblicane ed i principi su cui si fondano.
Il Presidente della Repubblica ha formulato rilievi di incostituzionalità alla legge sull'inappellabilità della sentenza penale. In primo luogo, si avverte la necessità di ripensare l'intero sistema delle impugnazioni; la necessità cioè di una riforma di respiro complessivo organico, mentre l'attuale presenta un carattere disorganico ed asimmetrico. Si ingenera una mutazione, soprattutto, delle funzioni della Corte di Cassazione, da giudice di legittimità a giudice di merito, con disparità delle posizioni delle parti nel processo, dal momento che la parte pubblica non può appellare la sentenza di proscioglimento per chiedere la condanna dell'imputato.
La posizione della parte civile vede compromessa la possibilità di far valere pienamente la pretesa risarcitoria all'interno del processo penale.
Oggi viene riproposto un testo di legge che, pur con qualche miglioramento di contorno, non risolve le disarmonie messe in luce dal Presidente della Repubblica ed elude l'invito ad un approfondimento organico dei problemi sottostanti.
La disparità è il punto fondamentale della riforma. È vero che le disuguaglianze tra le parti nel processo penale sono configurabili, ma esse non possono alterare gli equilibri delle iniziative di appello.
L'imputato ha diritto a vedere riconosciuto l'errore della sentenza di primo grado che lo ha condannato, ma alla parte pubblica deve essere riconosciuto un corrispondente potere di chiedere il riconoscimento dell'errore inficiante la sentenza di proscioglimento.
Il nostro sistema tende al doppio grado di giudizio di merito per correggere gli errori, per cercare la verità.
Sotto il profilo considerato, la disuguaglianza a favore dell'imputato non può essere assoluta. L'opposizione ha cercato, in sede di Commissione, di trovare nuovi equilibri sul tema. Ha proposto di ridurre l'applicazione del principio della sentenza solo alle ipotesi in cui il proscioglimento sia stato pronunciato senza alcun dubbio sull'innocenza dell'imputato. Ha chiesto di eliminare dal testo la previsione che il giudice possa condannare l'imputato solo qualora risulti colpevole del reato contestatogli,


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al di là di ogni ragionevole dubbio. Ha rilevato che tale principio, tipico del sistema anglosassone, può trovare ospitalità solamente negli argomenti in cui il giudizio ha per oggetto la sussistenza o meno del fatto, essendo affidato ad una giuria popolare, non come da noi, lo sappiamo bene, soprattutto al giudice monocratico.
La maggioranza, ancora una volta, ha dunque respinto queste ovvie considerazioni e proposte.
Qualche sera fa, il Presidente del Consiglio, in una delle sue apparizioni televisive, ha dichiarato che la legge sull'inappellabilità trova riscontro nel sistema penale degli Stati Uniti. L'imputato assolto non può essere sottomesso al giudizio di appello. Questi riferimenti americani fanno venire in mente la storia di un ex campione di football, OJ Simpson, imputato di duplice omicidio e assolto dalla giuria popolare.
Si ricorda ancora l'immagine televisiva allegra del personaggio dopo il giudizio civile che lo aveva riconosciuto responsabile del duplice omicidio e lo aveva condannato ad un risarcimento miliardario del danno non eseguibile per carenza di disponibilità patrimoniale. A questa allegria si contrapponeva il dolore dei parenti delle vittime, convinti di un errore giudiziario commesso in sede penale.
L'appello contro il procedimento appare utile almeno nei casi di incertezza sull'innocenza dell'imputato, in quanto consente di eliminare gli effetti di tali errori attraverso la più fredda ponderazione del giudice di secondo grado. Sono problemi di grande impegno che non si prestano a soluzioni affrettate.
Altrettanto può dirsi per le ricadute che la riforma può avere sull'organizzazione della magistratura, sul ruolo e sul carico di lavoro della Corte di cassazione e sul rispetto del principio fondamentale della ragionevole durata del processo.
Il richiamo del Presidente della Repubblica ci impegna tutti ad una riflessione, che non deve essere influenzata dal particolare momento della vigilia elettorale.
Vorrei dire infine al Presidente del Consiglio Berlusconi, che usa togliere al proprio tempo utile di lavoro o al proprio tempo libero le ore necessarie alle frequentissime apparizioni televisive: signor Presidente, non consideri perse le due ore di partecipazione all'inaugurazione dell'anno giudiziario, dove la magistratura - cioè un potere istituzionale indipendente a cui va il rispetto di tutti i cittadini, compresi i governanti - emette giudizi, proposte, critiche e autocritiche importanti per il legislatore, ma anche per il Governo (Applausi dei deputati dei gruppi della Margherita, DL-L'Ulivo e dei Democratici di sinistra-L'Ulivo - Congratulazioni)!

PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare l'onorevole Lucidi. Ne ha facoltà.

MARCELLA LUCIDI. Signor Presidente, colleghi, nel mio intervento ribadirò alcune considerazioni che già ieri, in un'aula semivuota, ho svolto, con l'auspicio che ciò che non è stato ascoltato ieri possa esserlo oggi da una platea più vasta e, soprattutto, dai colleghi della maggioranza, i quali tuttavia stanno fornendo il segno di una vera e propria ottusità rispetto alle preoccupazioni e alle perplessità che l'opposizione ha espresso durante l'intero iter del provvedimento. Perplessità e preoccupazioni riproposte - con la forza e con la saggezza che gli sono proprie - dal Presidente della Repubblica.
Colleghi, in quest'ultimo passaggio dell'esame del provvedimento, i Democratici di sinistra hanno lavorato con intento costruttivo al fine di migliorarne il contenuto. È nota la nostra contrarietà sull'intero provvedimento, che abbiamo giudicato da subito asistemico e che non considera l'intero processo penale nella sua evoluzione, fotografandone soltanto un grado di giudizio, vale a dire quello di appello. Con il testo in esame si tenta di risolvere quelle questioni, quelle anomalie che anni di intervento frammentario sul processo consegnano oggi alla nostra attenzione.
Il primo presidente della Corte di cassazione, nella sua relazione di apertura


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dell'anno giudiziario, ha definito il nostro processo penale un relitto, e sicuramente lo è. È un complesso di norme che è stato eroso nel tempo da interventi legislativi o giurisprudenziali che lo hanno ridotto ad una condizione di incoerenza e di insufficienza inidonea a garantire ed a rispondere all'esigenza di giustizia che ogni cittadino ripone nel processo.
Il nostro intento costruttivo, che partiva da una posizione di contrarietà, si è mosso soprattutto in direzione dei rilievi costituzionali formulati dal Presidente della Repubblica nel messaggio di rinvio alle Camere.
A tale proposito abbiamo presentato emendamenti che, a partire dal tema dell'inappellabilità, hanno riguardato anche il processo di primo grado, affinché vengano considerati - come riteniamo necessario - i motivi che hanno determinato il proscioglimento, quei motivi che il nostro codice di procedura penale già oggi differenzia quanto all'esito del giudizio di primo grado.
Abbiamo voluto offrire con i nostri emendamenti una diversa considerazione della collocazione che la vittima ha nel processo penale quando si costituisce parte civile e chiede di veder soddisfatte in quella sede le proprie pretese risarcitorie. Sappiamo bene che si tratta di una questione aperta che meriterebbe una maggiore riflessione e considerazione, soprattutto relativamente agli strumenti di salvaguardia delle proprie pretese offerte oggi alla vittima in sede penale e in quella civile, strumenti che meriterebbero un maggior raccordo e una maggiore salvaguardia dei diritti che la parte sottopone al giudice affinché vengano tutelati.
Soprattutto, con i nostri emendamenti abbiamo rivolto lo sguardo alla funzione che viene attribuita attraverso questo provvedimento alla Corte di cassazione, la quale viene costretta a «cambiare mestiere», a venire meno a quella funzione normofilattica che gli è sempre stata attribuita dall'ordinamento e rispetto alla quale vi è sempre stata una conforme indicazione da parte della dottrina affinché, sempre di più, si evidenziasse un ruolo residuale, ultimo, solenne, di valutazione dei processi.
Colleghi, noi abbiamo condiviso i rilievi formulati dal Presidente della Repubblica a questo provvedimento; li abbiamo condivisi nel metodo e nel merito. Dico anche «nel metodo» perché non accettiamo e non condividiamo assolutamente quelle obiezioni e contestazioni che sono state mosse al Presidente della Repubblica, come se impropriamente avesse osato proferire parola nel merito di questo testo. Noi giudichiamo di grande equilibrio quell'intervento, che, soprattutto, ha tentato di ridisegnare la rotta che il legislatore deve percorrere, in relazione ai principi costituzionali, alla storia del diritto ed al diritto come oggi si pone alla nostra attenzione.
Ebbene, dai rilievi del Presidente della Repubblica ricaviamo, intanto, che l'inappellabilità della sentenza di proscioglimento, all'interno di una riforma disorganica, confligge con l'articolo 111 della Costituzione e con la pretesa risarcitoria della vittima. L'abbiamo già detto ieri: avete trattato la questione dell'inappellabilità delle sentenze di proscioglimento, questione sulla quale vi abbiamo riferito un nostro positivo interesse, come un pezzo di stoffa nuova cucita su un abito vecchio.
Le questioni poste dal Presidente della Repubblica sono del tutto vere, reali e lo restano ancora oggi, nonostante alcuni emendamenti della maggioranza, che costituiscono meri ritocchi, un po' di cipria messa per non aprire uno scontro.
Uno scontro che, seppure non evidente, resta comunque nelle vostre dichiarazioni e nelle scelte emendative che accompagnano oggi il provvedimento. È vero: questo provvedimento contrasta con l'articolo 111 della Costituzione proprio a causa della disorganicità della riforma, della modalità incoerente con cui l'inappellabilità si colloca all'interno del sistema processuale penale. L'articolo 111 chiede che ogni processo si svolga nel contraddittorio tra le parti, in condizioni di parità, davanti a un giudice terzo e imparziale: parla di


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processo, non di fase o di grado del giudizio. Peraltro, è valida anche la considerazione finalizzata a porre in evidenza come si sia dimenticato che parte del processo è anche la vittima del reato costituitasi parte civile, che vede compromessa dalla legge approvata la possibilità di far valere la sua pretesa risarcitoria all'interno del processo penale.
Colleghi, non vi può essere coerenza se si ripensa il sistema di gravame senza guardare al processo di primo grado; non vi può essere coerenza, non vi può essere garanzia rispetto all'articolo 111 della Costituzione se il sistema di gravame stesso viene rivisitato in modo parziale. Conosciamo tutti i limiti di un processo di appello ancora legato ad una pregressa concezione processuale. Sappiamo tutti quanta distanza vi sia rispetto ai requisiti del giusto processo nell'attuale grado di appello, così come è congegnato nel nostro codice, o quanto il principio di oralità della formazione della prova davanti al giudice terzo e imparziale contrasti, ponga dubbi, rispetto ad un giudizio di appello che, prevalentemente, è un giudizio cartaceo.
Tutto questo avrebbe imposto un ripensamento complessivo, non con la preoccupazione di affrettarsi perché occorre affrontare un processo in particolare, ma perché sono i processi dei cittadini a meritare considerazione. Ricordo che avevamo manifestato disponibilità ad affrontare un ragionamento più ampio in questo ambito. Una disponibilità che voi avete disatteso, perché, lo ripetiamo ancora oggi, non è nei vostri obiettivi curare le malattie del sistema giustizia: nei vostri obiettivi rientra invece quello di curare gli interessi di poche persone.
Quanto agli altri rilievi mossi dal Presidente della Repubblica, gli emendamenti che avete prodotto non risolvono le violazioni dei principi costituzionali, così come lo stesso Presidente ha indicato. L'estensione dei motivi di ricorso per Cassazione, che avete previsto con la modifica dell'articolo 606 del codice di procedura penale, contrasta con l'idea che la Corte di cassazione sia l'organo supremo della giustizia e costringe quest'ultima a svolgere una funzione di merito che gli è impropria, ad essere il terzo giudice di merito e non il giudice di legittimità. Ebbene, colleghi, sono ancora evidenti questi limiti nelle modifiche che proponete all'articolo 606, a cui noi non guardiamo con favore e che, quindi, non voteremo.
Quanto alla lettera d) di tale disposizione, la mancata assunzione di una prova decisiva prevede una prognosi postuma sul carattere di quella prova. La sua decisività, appunto, va valutata e si impone un confronto tra quanto è scritto nel provvedimento impugnato e quanto sarebbe potuto dipendere da quella prova. Ora, il richiamo che voi introducete, anche agli articoli 507 e 603, comma 2, del codice di procedura penale, estende quella prognosi a tutte le prove richieste dalla parte in ogni fase, anche a quelle prove sopravvenute e scoperte dopo il giudizio di primo grado che consentirebbero o avrebbero consentito all'imputato o al pubblico ministero di proporre appello contro le sentenze di proscioglimento.
Quanto poi alla lettera e), è vero che questa norma si richiama ad un vizio che risulta dal testo del provvedimento impugnato, ma si dice che la parte può allegare, può indicare altri atti del processo, che teoricamente possono essere tutti, sui quali chiedere una valutazione della Suprema Corte. In tal modo, però, si continua ad esercitare una pressione, che ricade sulla Corte di cassazione, che, lo ripeto, è ingiustificata e ingiustificabile alla luce sia dei principi dell'ordinamento sia della funzione svolta dalla Corte stessa, quella di giudice di legittimità, che noi riteniamo sia salvaguardata.
Ma la parte in cui si rende più evidente la vostra disattenzione verso i richiami del Presidente della Repubblica è il fatto che le modifiche introdotte all'ultima disposizione, la norma transitoria, e all'articolo 4 ignorano completamente i vincoli costituzionali che invece sarebbero imposti.
L'ultimo articolo, quello che prima della modifica era l'articolo 9, oggi modificato nel numero, prevede che le norme introdotte con questo provvedimento possano


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essere applicate a tutti i procedimenti pendenti. È del tutto evidente che, con una tale previsione, si comprendono anche i giudizi già pendenti in Cassazione e, quindi, anche in quella fase si potrà richiedere un termine per l'integrazione dei motivi di ricorso avvalendosi delle modifiche disposte all'articolo 606 del codice di procedura penale. Su tale aspetto il Presidente della Repubblica ha richiamato, in maniera rigorosa, il rischio che le modifiche introdotte producano un aggravio dei procedimenti e dei tempi del processo. Inoltre, aumenterebbe il numero dei ricorsi - crescerà sicuramente, se sarà approvato questo testo del provvedimento - producendo, conseguentemente, un sovraccarico di lavoro ad un organico limitato proprio perché pensato per svolgere un'altra funzione; ciò produrrà ritardi e, quindi, un arretrato in termini di decisione dei giudizi.
Il provvedimento in esame, pertanto, ha un effetto inflattivo e non certamente deflattivo, come invece tutti - magistrati, operatori del diritto e utenti della giustizia - oggi auspicherebbero.
Non c'è, inoltre, alcuna considerazione dell'articolo 4, ovvero della cancellazione della possibilità di appello per le sentenze di non luogo a procedere. Eppure su ciò il Presidente della Repubblica ha inteso evidenziare quanto la norma, così come è scritta (e così come rimane), produrrà un ulteriore aumento di lavoro per la Corte di cassazione.
Anche in caso di mancata conferma della sentenza di non luogo a procedere, il procedimento dovrà regredire e si allungheranno inevitabilmente i tempi per la sua definizione. Nulla ha a che vedere tale soluzione con il principio della ragionevole durata del processo e con quello del buon andamento dell'amministrazione (che riguarda anche il sistema giudiziario) di cui all'articolo 97 della Costituzione. Ne risulterà compromesso il bene costituzionale dell'efficienza del processo, come pure è stato sottolineato dal Presidente della Repubblica.
La considerazione di fondo che ci ispira il provvedimento in esame è che, alla fine, il processo è un riferimento secondario per le vostre scelte. Nella sua relazione, la collega Bertolini ha affermato che l'esigenza del cittadino di vedere tutelato il suo diritto di difesa può ben giustificare che passino in secondo piano altri principi. Noi, invece, crediamo non soltanto che non si avranno più sentenze ingiuste (come la collega chiede), ma che non ci saranno più sentenze e che il cittadino andrà incontro a denegata giustizia!
Con le leggi che avete approvato avete ridotto i termini di prescrizione dei processi. Il primo presidente della Corte di cassazione ha denunciato, pochi giorni fa, la gravità della situazione che vive un paese in cui non v'è più certezza della pena. Ebbene, la situazione diventa ancora più drammatica ove si consideri che questo paese non avrà più alcuna certezza dei processi: i processi non verranno celebrati ed il diritto delle vittime dei reati di ottenere la riparazione del danno sofferto anche attraverso il processo penale (come finora lo si è voluto concepire) non riceverà soddisfazione.
Il provvedimento in esame, di segno negativo, è stato associato dal primo presidente della Corte di cassazione ad altri approvati in precedenza - la riforma dell'ordinamento giudiziario, la legge sulle prescrizioni e sulla recidiva (la cosiddetta ex Cirielli) -, ugualmente contrassegnati da un segno negativo. Più che ai cittadini, i quali, purtroppo, ne dovranno pagare le conseguenze, state consegnando il provvedimento in esame (come avete già fatto con gli altri) nelle mani del Presidente del Consiglio, affinché ne possa usufruire già nel processo SME e possa constatare che la sua maggioranza gli è stata fedele in questi anni. Nei suoi ...

PRESIDENTE. Onorevole Lucidi, bisogna che concluda!

MARCELLA LUCIDI. ... percorsi processuali, la maggioranza ha scritto la giustizia dei ricchi, la giustizia dei potenti, di coloro che possono pagare bene gli avvocati, ed ha lasciato fuori dal sistema i più


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deboli, i più poveri, coloro che, come ho già detto ieri, non vedranno aprirsi davanti a loro le porte dell'impunità ma, più facilmente, e senza speranza, quelle del carcere.
È un sistema che respingiamo, che contrastiamo, che contrasteremo con la proposta di riforma del codice penale (da tempo depositata in Parlamento) e con una proposta di riforma del processo penale - tutto - che ci impegniamo ad approvare non appena ci sarà data la possibilità di governare il paese (Applausi dei deputati dei gruppi dei Democratici di sinistra-L'Ulivo e Misto-Comunisti italiani)!

PRESIDENTE. La ringrazio, onorevole Lucidi. Le ho consentito di superare di tre minuti il tempo a sua disposizione, ma, naturalmente, ciò non costituisce precedente ...!
Come già preannunciato alla ripresa pomeridiana della seduta, considerato l'alto numero di deputati che hanno chiesto di parlare sul complesso degli emendamenti presentati all'articolo 1, rinviamo, a questo punto, il seguito dell'esame del provvedimento alla seduta di domani.

RENZO INNOCENTI. Signor Presidente, quanti colleghi hanno chiesto di parlare?

PRESIDENTE. Sono tredici, onorevole Innocenti: un bel numero!
Il seguito del dibattito è rinviato alla seduta di domani.

Seguito della discussione del disegno di legge: S. 3684 - Conversione in legge, con modificazioni, del decreto-legge 5 dicembre 2005, n. 250, recante misure urgenti in materia di università, beni culturali ed in favore di soggetti affetti da gravi patologie, nonché in tema di rinegoziazione di mutui (Approvato dal Senato) (A.C. 6293) (ore 16,25).

PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca il seguito della discussione del disegno di legge, già approvato dal Senato: Conversione in legge, con modificazioni, del decreto-legge 5 dicembre 2005, n. 250, recante misure urgenti in materia di università, beni culturali ed in favore di soggetti affetti da gravi patologie, nonché in tema di rinegoziazione di mutui.
Ricordo che nella seduta di ieri si è conclusa la discussione sulle linee generali.

(Esame di una questione pregiudiziale - A.C. 6293)

PRESIDENTE. Ricordo che è stata presentata la questione pregiudiziale Grignaffini ed altri n. 1 (vedi l'allegato A - A.C. 6293 sezione 1).
A norma dei commi 3 e 4 dell'articolo 40 del regolamento, la questione pregiudiziale può essere illustrata per non più di dieci minuti da uno solo dei proponenti. Potrà altresì intervenire un deputato per ognuno degli altri gruppi per non più di cinque minuti.
L'onorevole Sasso ha facoltà di illustrare la questione pregiudiziale Grignaffini ed altri n. 1, di cui è cofirmataria.

ALBA SASSO. Il provvedimento in esame, dal titolo «Conversione in legge, con modificazioni, del decreto-legge 5 dicembre 2005, n. 250, recante misure urgenti in materia di università, beni culturali ed in favore di soggetti affetti da gravi patologie, nonché in tema di rinegoziazione di mutui», prevede al suo interno l'articolo aggiuntivo 1-bis, che intende regolamentare tutta la complessa disciplina delle scuole paritarie.
Vorrei semplicemente ricordare in questa sede che la legge n. 62 del 2000 sulla parità scolastica prevedeva che, allo scadere del terzo anno scolastico successivo a quello dell'entrata in vigore della legge stessa, il ministro dell'istruzione dovesse presentare al Parlamento una relazione sullo stato di attuazione della medesima e, con un proprio decreto, previo parere delle Commissioni parlamentari, proporre il definitivo superamento delle disposizioni del decreto legislativo n. 297 del 16 aprile


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1994, al fine di ricondurre tutte le scuole non statali a due tipologie: scuole paritarie e non.
Il ministro Moratti ha tardato nell'applicazione della legge fino ad arrivare a questa norma pasticciata, confusa, fatta a fine legislatura, inserita in un decreto omnibus che tratta di tutt'altro, soffocando così sia un dibattito in materia, sia alcune misure necessarie che, così come previste, risultano invece assolutamente illegittime e incostituzionali.
Vorrei anche ricordare che, nel frattempo, il Consiglio di Stato aveva respinto il regolamento di delegificazione adottato ex articolo 17, comma 2, della legge n. 400 del 1988 sulla base di varie motivazioni, tra cui il fatto che non erano state sentite le Commissioni parlamentari e che si poneva un problema di copertura finanziaria (problema che, peraltro, rimane anche con questo provvedimento).
I motivi che secondo noi costituiscono ragioni di incostituzionalità e di illegittimità sono i seguenti. L'articolo 1-bis, introdotto, peraltro, al Senato nel provvedimento in esame, reca norme di dettaglio relative alle modalità di erogazione dei contributi alle scuole paritarie. Ciò è in evidente contrasto con l'articolo 117, comma 3 e 6, della Costituzione, perché, come confermato dalla sentenza della Corte costituzionale n. 423 del 29 dicembre 2004, le funzioni amministrative relative ai contributi alle scuole non statali rientrano nell'ambito della competenza regionale, essendo riconducibili alla materia dell'istruzione, attribuita alla competenza legislativa concorrente e, dunque, spettando allo Stato solo la disciplina delle norme generali e dei livelli essenziali delle prestazioni. A me sembra che, in questa maniera, si legiferi in spregio alle modifiche apportate al Titolo V della Costituzione.
Come seconda questione, rilevo che nello stesso articolo 1-bis, ai commi 4 e 5, nel dettare le disposizioni relative alle scuole non paritarie, si viene meno al principio della «presa d'atto» in vigore per le scuole secondarie private, già richiamato dalla sentenza della Corte costituzionale n. 36 del 4 giugno 1958, interpretativa dell'articolo 33, terzo e quarto comma, della Costituzione. Voglio ricordare che, in base all'articolo 33, terzo comma, della Costituzione, enti e privati hanno il diritto di istituire scuole, senza oneri per lo Stato. A nostro modo di vedere, le scuole che non richiedono alcun finanziamento o che non inoltrano richiesta di parità non possono essere soggette alla disciplina dell'autorizzazione preventiva, come afferma la citata sentenza della Corte costituzionale. Eventualmente, i cittadini e le cittadine che hanno frequentato tali scuole, ove intendessero ottenere il medesimo titolo rilasciato dalle corrispettive scuole statali, dovrebbero sostenere un esame. Questa normativa non soltanto mette in discussione la citata sentenza della Corte costituzionale, intendendo in tal modo riportare la scuola indietro, ma suggerisce ed obbliga lo Stato a pretendere che le scuole private, nate per libera iniziativa, sottostiano, possiamo dire, alle stesse regole previste per la scuola paritaria.
Alcuni giorni fa, abbiamo svolto questa stessa discussione presso la VII Commissione permanente della Camera dei deputati e, in quella occasione, qualcuno ha rilevato come ci troviamo di fronte ad una situazione abbastanza paradossale. Infatti, mentre la Casa delle libertà mette in discussione dette scuole, con norme cogenti che ne impediscono e limitano l'organizzazione, l'opposizione rivendica, invece, il diritto delle scuole libere ad essere, appunto, libere.
Credo che su questa norma dobbiamo veramente riflettere. Infatti, stiamo mettendo in discussione un principio costituzionale. Personalmente, ed al pari di molti altri colleghi, non sono del tutto favorevole all'idea di scuole separate. Riteniamo, infatti, che le bambine ed i bambini crescano nel confronto di idee, religioni, convinzioni, e così via. Tuttavia, vorrei ricordare, in questa sede, un aforisma del grande François-Marie Arouet, meglio conosciuto come Voltaire, il quale affermava: non condivido le tue idee, anzi sono lontanissimo dalle tue idee, ma mi batterò


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fino alla morte perché tu possa continuare a professarle e a praticarle. Credo che sia questo il principio che ci suggerisce di mantenere tale posizione in merito alle scuole libere.
Altra questione di incostituzionalità deriva dalla previsione del comma 6 del citato articolo, secondo cui le scuole elementari parificate possono avere un trattamento economico superiore all'attuale, con conseguente incremento dei finanziamenti statali. La stessa disposizione, tuttavia, non prevede alcuna copertura finanziaria, in evidente contrasto con l'articolo 81, quarto comma, della Costituzione, quell'articolo 81 al quale - come ricordato, nella seduta di ieri, dal collega Tocci - questo Governo ha costantemente derogato.
È chiaro che il comma 6 dell'articolo 1-bis prevede un aumento della platea degli aventi diritto al beneficio, non solo perché incrementa il finanziamento per le scuole parificate - aumenta proprio quantitativamente il contributo - ma anche perché lo estende anche alle scuole paritarie; lo stesso articolo 1-bis, poi, prevede che non vi sia alcun maggiore onere a carico del bilancio dello Stato. A nostro avviso, ciò è motivo palese di incostituzionalità.
Infine, l'articolo 1-bis non menziona in alcun modo i doveri nei confronti dell'utenza, che invece erano previsti per le scuole parificate, «trasformandosi così il contributo per l'assolvimento di un servizio a determinate condizioni in un finanziamento diretto, in quanto tale, in contrasto con l'articolo 33 della Costituzione».
In sostanza, riteniamo che con questo provvedimento si modifichi la disciplina recata dalla legge n. 62 del 2000, che rimane per noi ancora la cornice entro la quale procedere a successive regolamentazioni e a definire la normativa secondaria che riguarda la materia della parità scolastica (Applausi dei deputati dei gruppi dei Democratici di sinistra-L'Ulivo e Misto-Comunisti italiani).

PRESIDENTE. La ringrazio, onorevole Sasso, per essere stata precisissima, anche nel rispetto dei tempi.
Ha chiesto di parlare l'onorevole Titti De Simone. Ne ha facoltà.

TITTI DE SIMONE. Signor Presidente, noi esprimeremo un voto favorevole sulla questione pregiudiziale presentata, perché riteniamo sussistano almeno due ragioni sostanziali per definire il provvedimento contrario alla nostra Costituzione.
Innanzitutto, la prima questione di fondo, che noi vogliamo in questa sede sottolineare e che denunciamo al paese, è il fatto che, con l'articolo 1-bis introdotto in questo decreto «minestrone», si introduce la possibilità di un finanziamento diretto alle scuole private; possibilità che è contraria all'articolo 33 della Costituzione.
È un punto, questo, sul quale la legge 10 marzo 2000, n. 62, in materia di parità scolastica, aveva, in qualche modo, delineato talune linee seppure, dal nostro punto di vista, non del tutto esaustive; comunque, anche se vi sarebbe bisogno di una modifica, questa non può certo essere quella proposta dalla maggioranza. Noi sosteniamo, infatti, il principio - che, al contrario, in questa sede si vuole tentare di manomettere - del primato della scuola pubblica statale, sulla base dei principi costituzionali, i quali stabiliscono che l'istruzione è una funzione fondamentale dello Stato svolta nell'interesse della collettività e che l'insegnamento è pertanto libero per tutti.
La legge n. 62 del 2000 ha escluso forme di finanziamento diretto o indiretto per le scuole private, come le rette o le convenzioni, facendo però salve quelle previste da una vecchia legge del 1935 per le scuole elementari cosiddette parificate che, nell'Italia del tempo - tempo fascista! -, svolgevano una funzione di accoglienza, attraverso la gratuità dell'iscrizione e della frequenza, di un certo numero di alunni. Ebbene, questa legge del 1935, dopo l'entrata in vigore della legge n. 62 del 2000, doveva gradualmente esaurire i suoi effetti; ma con questo decreto - e in particolare con l'articolo 1-bis - tale legge del


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periodo fascista viene rilanciata e addirittura estesa all'ipotesi che nuove scuole, non paritarie (quindi, scuole parificate), possano accedere, a richiesta, a nuove convenzioni onerose per lo Stato. Ciò, senza che neppure si stabiliscano i requisiti e gli obblighi, che invece la legge del 1935 prevedeva.
Per esempio, per quanto riguarda gli alunni, erano previsti sia la gratuità dell'iscrizione, sia il rispetto dei vincoli riguardanti la frequenza.
I dati ISTAT a nostra disposizione indicano che gli alunni delle scuole elementari non statali sono circa 190 mila; di questi, 130 mila frequentano le scuole già parificate in regime di convenzione, sulla base della citata legge del 1935. Ebbene, desidero sottolineare che si tratta di una convenzione che costa allo Stato 180 milioni di euro annui.
Con l'articolo in questione si allarga la platea degli aventi diritto e - colmo dei colmi! - senza prevedere la copertura dei costi aggiuntivi: ciò fa veramente meravigliare. Mi meraviglio, infatti, che la Commissione bilancio abbia potuto esprimere un parere favorevole, poiché è del tutto evidente che l'articolo 1-bis del decreto-legge in esame determina oneri aggiuntivi per lo Stato privi di idonea quantificazione e copertura finanziaria. Ancora una volta, quindi, il provvedimento in esame manifesta profili di incostituzionalità, perché risulta in contrasto con l'articolo 81 della nostra Costituzione.
Si tratta di una norma che riteniamo grave soprattutto sotto il profilo politico. L'Italia repubblicana ha conosciuto una grande espansione del sistema scolastico pubblico, ma durante la fase del Governo Berlusconi tale sistema ha ricevuto colpi durissimi. Infatti, sono stati chiusi classi ed istituti, l'istruzione pubblica ha subito tagli mai visti e gli organici sono stati ridotti drasticamente.

PRESIDENTE. Onorevole Titti De Simone...

TITTI DE SIMONE. Ci chiediamo che senso abbia riportare in auge una norma approvata nel 1935, se non quello di introdurre di soppiatto - come si vuol fare, attraverso una specie di «finestrella» contenuta in un «decreto minestrone» - un regime di finanziamento diretto alle scuole private. Ciò costituisce, per noi, un elemento del tutto inaccettabile, oltre che incostituzionale.
Il secondo aspetto che, in questa sede, voglio brevemente riassumere è anch'esso rilevante, e concerne la regolamentazione delle scuole private non paritarie, prevista dal comma 4 dell'articolo 1-bis del decreto-legge in esame, per le quali si crea il presupposto giuridico per l'effettuazione di controlli preventivi da parte del Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca...

PRESIDENTE. Onorevole Titti De Simone...

TITTI DE SIMONE. ... che una sentenza della Corte costituzionale del 1958 ha escluso con molta chiarezza.
Si tratta, quindi, di una grande questione, che non intendiamo sottovalutare e che riteniamo non debba essere sottovalutata. Infatti, non ci nascondiamo il fatto che, dietro ad una tale regolamentazione...

PRESIDENTE. Onorevole Titti De Simone, la prego di concludere!

TITTI DE SIMONE. ... si cela il delicato problema posto dallo sviluppo multietnico e multiconfessionale della nostra società.

PRESIDENTE. Bene...

TITTI DE SIMONE. Vorrei tuttavia osservare che non è mediante questa normativa che è possibile risolvere tale delicato problema. Peraltro, noi riteniamo, invece, che la centralità della scuola pubblica statale, laica e gratuita, rappresenti l'architrave con cui anche tale questione possa essere affrontata e dipanata, oltre ad essere l'architrave del patto di cittadinanza...


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PRESIDENTE. La ringrazio, onorevole Titti De Simone...

TITTI DE SIMONE. ... inscritto nella nostra Costituzione!

PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare l'onorevole Zanettin. Ne ha facoltà.
Onorevole Zanettin, le ricordo che anche lei ha cinque minuti a disposizione, anche se, per la mia nota cavalleria, ho precedentemente concesso all'onorevole Titti De Simone un tempo un po' più abbondante!

PIERANTONIO ZANETTIN. Signor Presidente, intervengo contro i rilievi di costituzionalità articolati dall'opposizione, in particolare contro quelli mossi nei confronti dell'articolo 1-bis del decreto-legge in esame, introdotto nel corso dell'esame da parte del Senato.
Vorrei osservare che, nell'ambito della questione pregiudiziale Grignaffini ed altri n. 1, il testo normativo al nostro esame viene contestato sotto quattro diversi profili, che cercheremo di esaminare nel loro merito.
Anzitutto, signor presidente, voglio ricordare che il testo di legge che stiamo esaminando, in particolare l'articolo 1-bis, in realtà non rappresenta altro che l'attuazione di un'indicazione che era già contenuta nell'articolo 1, comma 7, della legge 10 marzo 2000, n. 62, che comportava il superamento delle disposizioni in materia di scuole non statali, già contenute in un testo unico approvato con il decreto legislativo 16 aprile 1994, n. 297. Ciò per dire, signor Presidente, che il superamento di cui stiamo discutendo era già stato previsto dalla stessa legge n. 62 del 2000. La circostanza, poi, che vi sia la necessità di una norma primaria finalizzata a tale obiettivo è stata anche riconfermata dal Consiglio di Stato, il quale, su richiesta, ha reso un parere sullo schema di regolamento già predisposto dal Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca proprio per dare seguito alla previsione contenuta nella legge n. 62 del 2000, che aveva appunto indicato a tal fine un decreto, che il Consiglio di Stato ha ritenuto giuridicamente non idoneo al perseguimento della finalità posta. Quindi, vi è la necessità di una norma primaria.
Per quanto riguarda i sussidi ed i contributi, l'articolo 1 non fa altro che mantenere ferme le disposizioni già contenute nel testo unico, senza introdurre innovazioni al riguardo. Infatti, l'articolo 1-bis, come già prevedeva il testo unico, stabilisce che sussidi e contributi siano assegnati nei limiti degli stanziamenti iscritti a bilancio, confermando, quindi, gli strumenti e le modalità sanciti dalla precedente normativa. Dunque, la contestazione circa la mancata copertura di spesa non trova fondamento, ed infatti l'assegnazione di sussidi e contributi in favore delle scuole paritarie, per quanto riguarda le scuole primarie, è subordinata alla stipula di apposite convenzioni, al pari di quanto già avveniva in passato. Tali convenzioni sono, ovviamente, attivabili sempre che ne sussistano le condizioni e nei limiti delle risorse disponibili.
Passiamo, ora, signor Presidente, all'esame più dettagliato dei singoli rilievi di costituzionalità che vengono mossi dai nostri oppositori.
L'articolo 1, contrariamente a quanto affermato nella questione pregiudiziale Grignaffini ed altri n. 1, non reca alcuna norma di dettaglio. Esso si limita a definire le condizioni indispensabili affinché sorga il diritto al contributo. L'articolo di cui stiamo parlando non definisce né l'entità del contributo né il soggetto competente all'erogazione, né, infine, le modalità procedurali per l'erogazione stessa, ma ricollega l'insorgenza del diritto alle medesime condizioni che già erano state poste dal testo unico nei confronti di categorie di scuole non statali da ricondurre nell'ambito delle scuole paritarie. Anche il principio della presa d'atto, relativamente alle scuole private, richiamato dai nostri contradittori, in realtà, è pienamente osservato, poiché i commi 4 e 5 dell'articolo 2 non prevedono alcun tipo di autorizzazione per l'apertura o il funzionamento delle scuole private non paritarie, ma si limitano a dettare norme e condizioni


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minime affinché possano definirsi scuole nelle quali assolvere e svolgere il diritto all'istruzione ed alla formazione.
Sotto il terzo profilo, il comma 6 fissa la disciplina transitoria relativa alle scuole elementari parificate che ottengano la parità e chiedano di poter stipulare le convenzioni. Ciò è finalizzato alla necessità di evitare che esse subiscano un deterioramento del loro trattamento per effetto del concorso di nuovi aspiranti alle convenzioni medesime. Il comma 6, inoltre, stabilisce che l'entità del contributo non possa essere definita in misura inferiore a quella in precedenza corrisposta e che a tali scuole spetti una priorità ai fini della stipula delle nuove convenzioni. Quindi, signor Presidente, nessun onere nuovo o maggiore deriva da tale norma, che pertanto rispetta pienamente il dettato costituzionale.
Infine, non è assolutamente vero quanto affermato dall'opposizione in merito alla circostanza che il contributo possa essere corrisposto in difetto dei requisiti a favore dell'utenza, poiché il comma 6 prevede che la stipula della convenzione sia subordinata alla presenza dei requisiti definiti, come già previsto dall'articolo 345 del testo unico.
Per tutti questi motivi, signor Presidente, credo che la questione pregiudiziale Grignaffini ed altri n. 1 debba essere respinta e in tal senso voterà il gruppo di Forza Italia. La ringrazio, signor Presidente, per l'attenzione (Applausi dei deputati del gruppo di Forza Italia).

PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare l'onorevole Zaccaria. Ne ha facoltà.

ROBERTO ZACCARIA. Signor Presidente, intervengo a nome del gruppo della Margherita, DL-L'Ulivo sulla questione pregiudiziale riferita a questo ennesimo decreto-legge omnibus.
Tralascio in questo contesto le riflessioni sul metodo e sulle tecniche legislative già svolte più volte; vorrei invece soffermarmi sulla questione riguardante l'articolo 1-bis, sul quale poc'anzi è intervenuto il collega Zanettin, affermando con grande solennità che è richiesta una norma primaria. Su questo sono d'accordo: è richiesta una norma primaria; tuttavia, bisogna accertarsi che sia una norma ben fatta per rispondere all'obiettivo che viene delineato.
Vi sono alcune considerazioni che vorrei sintetizzare. La prima si riferisce al mancato rispetto - e questo non è consentito neanche ad una norma primaria - del riparto delle competenze tra Stato e regione alla luce delle modifiche introdotte con la riforma del 2001. La Corte costituzionale ha avuto occasione di pronunciarsi su questo aspetto e sull'inquadramento delle competenze in materia di istruzione, riconoscendo alle regioni potestà legislativa concorrente e allo Stato potestà legislativa esclusiva solo sulle norme generali in materia di istruzione.
Quindi, la normativa contenuta in questo decreto-legge non sembra conforme al riparto delle competenze stabilito dalla nostra Costituzione. Non è il caso di citare altra giurisprudenza, ma in particolare la sentenza n. 423 del 2004 lo afferma in maniera chiara. Gli eventuali contributi da erogare dovrebbero rispondere a criteri concreti, ed io credo che, quanto meno, bisognerebbe prevedere il parere della Conferenza Stato-regioni, che invece viene ignorata.
Dei problemi di copertura si è già parlato, tuttavia vorrei ribadire che il comma 6 dell'articolo 1-bis, in virtù del quale le nuove convenzioni stipulate dalle scuole primarie già parificate devono assicurare un contributo non inferiore a quello corrisposto alle convenzioni attuali, pare - dico pare, ma sono convinto di qualcosa di più - avere delle sicure ripercussioni sul bilancio statale, in contrasto con l'articolo 81, quarto comma, della Costituzione. Gli uffici di questa Camera hanno rilevato che, poiché la nuova disciplina permette alle scuole primarie di accedere, su richiesta, al regime di convenzione, la norma in esame potrebbe essere suscettibile di determinare nuovi oneri che non risultano coperti. È stato detto, tra l'altro, che potrebbero anche realizzarsi minori erogazioni nei confronti


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delle scuole primarie a cui non verrà riconosciuto lo status di paritarie; risparmi che andrebbero destinati alle nuove convenzioni anche se tale ipotesi non è disciplinata in maniera puntuale. Serve, quindi, assai poco l'indicazione contenuta nel comma 8, laddove si afferma che dall'attuazione di tale nuovo articolo non devono derivare nuovi oneri per lo Stato: è diventata, ormai, una mera formula di rito, del tutto priva di contenuto, un vero e proprio aggiramento della Costituzione.
Un altro rilievo riguarda le disposizioni contenute nei commi 4 e 5 dell'articolo 1-bis, secondo i quali si configura un intervento normativo assai puntuale e dettagliato a carico delle scuole non paritarie, le quali, in virtù del principio della libertà d'insegnamento - questo è un principio, ovviamente, importante, che la Costituzione ribadisce -, dovrebbero essere soggette ad una minore regolamentazione. È stata richiamata giustamente la sentenza n. 36 del 1958, e ne ricordo il passo che sancisce che il diritto di istituire e gestire scuole private rientra nel novero di quei diritti sui quali la cura dello Stato deve esercitarsi nel modo più assiduo, con studio degli interessi - di natura non soltanto educativa e culturale - dei singoli e della collettività; è naturale, quindi, che per tradizione il legislatore statale se ne sia preoccupato e continui a preoccuparsene. Tuttavia, secondo la Corte, gli istituti privati di istruzione non possono essere retaggio dell'autorità amministrativa, pena lo snaturamento del diritto stesso alla libertà della scuola.
Ben vengano, quindi, principi di disciplina comuni. Tuttavia, non si può pensare in alcun modo di vincolare una scuola totalmente privata, che magari non richiede neppure i finanziamenti, all'ordinamento scolastico dello Stato; né si può demandare la disciplina della materia ad un successivo regolamento governativo (ecco perché le fonti sono importanti!), in quanto ciò avrebbe l'effetto di imporre ulteriori vincoli in via amministrativa.
Vorrei svolgere un'ultima notazione di incostituzionalità (mi sembra che ve ne siano abbastanza!) in ordine al rispetto del citato articolo 33 della Costituzione. Si è parlato molto di questo articolo, ma vorrei aggiungere alcune considerazioni. La disciplina prevista nell'articolo che contestiamo in questa sede dovrebbe essere finalizzata a regolare un diritto - quello all'istruzione - ed a garantire, pertanto, una serie di servizi a favore degli utenti. L'insieme dei precetti costituzionali contenuti negli articoli 33 e 34 della Costituzione è rispettato - sia ben chiaro - se ci si pone nella prospettiva della garanzia del diritto all'istruzione e dell'articolo 3, secondo comma, della Costituzione. L'intervento statale, quindi, deve essere finalizzato a consentire l'assolvimento di un servizio, come avviene nei regimi sottoposti a convenzione, dove esiste una verifica del perseguimento dell'interesse generale.
Invece, nell'articolo 1-bis non sono in alcun modo menzionati i doveri nei confronti dell'utenza (ciò è stato detto, ma conviene ribadirlo), trasformandosi il contributo per l'assolvimento di un servizio in un finanziamento diretto, in quanto tale, in possibile contrasto con l'articolo 33 della Costituzione.

PRESIDENTE. È stato esauriente...

ROBERTO ZACCARIA. Credo che questi motivi siano sufficienti per affermare che la questione pregiudiziale di costituzionalità presentata è fondata (Applausi dei deputati del gruppo della Margherita, DL-L'Ulivo).

PRESIDENTE. Nessun altro chiedendo di parlare, passiamo ai voti.
Indìco la votazione nominale, mediante procedimento elettronico, sulla questione pregiudiziale Grignaffini ed altri n. 1.
(Segue la votazione).

Dichiaro chiusa la votazione.
Comunico il risultato della votazione: la Camera respinge (Vedi votazioni).

(Presenti e votanti 435
Maggioranza 218
Hanno votato
195
Hanno votato
no 240).


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Prendo atto che gli onorevoli Giuseppe Gianni e Grillo non sono riusciti a votare.

(Esame dell'articolo unico - A.C. 6293)

PRESIDENTE. Passiamo, dunque, all'esame dell'articolo unico del disegno di legge di conversione (vedi l'allegato A - A.C. 6293 sezione 5), nel testo recante le modificazioni apportate dal Senato (vedi l'allegato A - A.C. 6293 sezione 6).
Avverto che le proposte emendative presentate sono riferite agli articoli del decreto-legge, nel testo recante le modificazioni apportate dal Senato (vedi l'allegato A - A.C. 6293 sezione 7).
Ricordo che non sono state presentate proposte emendative riferite all'articolo unico del disegno di legge di conversione.
Avverto che le Commissioni I (Affari costituzionali) e V (Bilancio) hanno espresso i prescritti pareri (vedi l'allegato A - A.C. 6293 sezioni 3 e 4).
Avverto, altresì, che la Presidenza non ritiene ammissibili, ai sensi degli articoli 86, comma 1, e 96-bis, comma 7, del regolamento, i seguenti articoli aggiuntivi, non previamente presentati in Commissione, in quanto non strettamente attinenti alla materia del decreto-legge: Moroni 1-bis.03, Fatuzzo 1-bis.04, 1-bis.05, 1-bis.06 e 1-bis.07, concernenti il bando di un corso-concorso per dirigenti scolastici; Lucchese 1-quater.01, concernente il trattamento giuridico ed economico del personale docente delle istituzioni di alta formazione artistica e musicale; Vigni 1-sexies.01, relativo al trattamento fiscale delle contrade storiche di Siena; Adduce 1-sexies.02, concernente l'istituzione dell'Accademia di belle arti nella città di Matera; Sasso 3.01, relativo alla regolarizzazione previdenziale del personale assunto dal CNR ai sensi della legge n. 285 del 1977.
Avverto, inoltre, che la Presidenza non ritiene ammissibile, ai sensi dell'articolo 96-bis, comma 7, del regolamento, l'articolo aggiuntivo Carlucci 1-undecies.02, relativo all'ampliamento dell'università di Bari, in quanto non strettamente attinente alla materia del decreto-legge (vedi l'allegato A - A.C. 6293 sezione 2).
Ha chiesto di parlare l'onorevole Carli. Ne ha facoltà.

CARLO CARLI. Signor Presidente, onorevoli colleghi, rivolgendomi al Governo, in primo luogo, poiché si tratta di un decreto-legge, vorrei far notare che ci sono fondati motivi per individuare molti elementi di incostituzionalità in questo provvedimento. Già altri colleghi prima di me sono intervenuti. Anche ieri, nella discussione generale, il collega Tocci ha rilevato questo conflitto con il dettato costituzionale.
Anche in questo momento voglio porre tale questione all'attenzione del Governo e dell'Assemblea, perché siamo sempre in tempo: siamo sempre nella condizione di fare in modo che i colleghi della maggioranza e del Governo si ravvedano, ritirando questo provvedimento.
In particolare, mi pare evidente la questione di incostituzionalità riferita alla sentenza della Corte costituzionale del 1958, che fu assunta proprio per cancellare le norme precedenti che pretendevano di normare la scuola privata.
Sostanzialmente, come diceva ieri il collega Tocci, voi state cercando di riportare il paese al 1958, facendo come se la Corte costituzionale non si fosse espressa su una materia tanto delicata. Del resto, non è la prima volta che, purtroppo per il paese, adottate provvedimenti in materia scolastica che ritornano addirittura ad un tipo di scuola classista.
Il provvedimento che norma la nuova scuola dell'obbligo è ispirato a principi antecedenti l'importante riforma che diede vita alla scuola media unificata. Voi avete riportato indietro il paese, facendo sì che anche la scelta della prosecuzione degli studi sia anticipata rispetto al quattordicesimo anno di età, che era previsto dalla legge del 1962. Voglio ricordare a questo proposito il grande impegno dato dal fiorentino Tristano Codignola.
Vi è poi un altro aspetto di chiaro contrasto con la Carta costituzionale, ossia le competenze regionali introdotte dal Titolo


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V, di cui voi non tenete minimamente conto quando stabilite il rinvio ad un regolamento ministeriale per dettare i criteri attraverso i quali saranno erogati i contributi alle scuole ex parificate.
È fuori discussione, da parte nostra, l'opportunità di mantenere questi contributi alle scuole parificate, ma è evidente che i criteri attraverso i quali essi vengono erogati, dopo la modifica del Titolo V, debbono essere stabiliti in regime di concorrenza tra Stato e regioni. Quindi, ci deve essere una decisione in sede di Conferenza Stato-regioni, assunta sulla base di un'intesa tra lo Stato e le regioni, cosa che voi ignorate completamente.
Inoltre, vorrei far rilevare come questo decreto metta insieme argomenti profondamente diversi tra loro, molti dei quali non rientrano nei principi della decretazione d'urgenza. Diverse materie che oggi vengono esaminate, perché facenti parte del decreto-legge, non rivestono assolutamente quei caratteri di necessità e di urgenza che la Costituzione impone.
Sono leggi ed interventi che possono benissimo configurarsi come ad personam: sono rivolti a singoli enti e vengono assunti al di là di una programmazione generale, cosa che rende le norme ancora più complesse, farraginose e contorte.
Signor Presidente, il provvedimento in esame tratta anche di beni culturali, materia che in questi cinque anni ha avuto un costante e progressivo disinteresse dal punto di vista finanziario, con tagli enormi, e dal punto di vista dell'attenzione culturale e politica da parte del Governo. I tagli effettuati anche con l'ultima finanziaria stanno mettendo a rischio la stabilità di importanti monumenti che l'umanità ci invidia. Basta una pioggia, basta un temporale a far cadere importanti pezzi di monumenti che rappresentano un grande patrimonio non solo per l'Italia, ma anche per l'umanità intera.
Nelle norme che oggi ci sottoponete non c'è un impegno, un recupero di interesse, anche se nei pochissimi giorni rimasti di legislatura. Anzi, da notizie di stampa molto attendibili sembra sia stato varato dal Consiglio dei ministri, nella seduta del 26 gennaio, un provvedimento in cui vengono effettuati ulteriori tagli e rivisti scelte e programmi già adottati, mettendo in difficoltà quelle istituzioni che già avevano programmato per l'anno in corso, ad esempio, interventi di adeguamento alle norme di sicurezza o interventi di restauro volti al consolidamento ed alla valorizzazione di importanti opere. Vi è sconcerto e sgomento in coloro che hanno la responsabilità della gestione di tali importanti istituzioni.
Vorrei ricordare, ad esempio, le biblioteche statali, in particolare le due importanti biblioteche nazionali che il mondo ci invidia. Innanzitutto, la Biblioteca nazionale centrale di Firenze che ha bisogno di importanti finanziamenti perché la sua struttura così ampia e ricca ha bisogno di essere adeguata alle norme di sicurezza. Il personale è ormai largamente insufficiente, ma grazie alla professionalità ed alla dedizione di tale personale molti studenti e studiosi possono ancora oggi accedere a questo immenso patrimonio librario. Non è possibile dare corso neanche ai minimi interventi programmati perché il Governo ha deciso i suddetti tagli nella seduta del 26 gennaio scorso. Lo stesso vale per la Biblioteca nazionale centrale di Roma: anche in quel caso erano previsti interventi di ampliamento ed adeguamento e ci si trova nella condizione di dover rinunciare a tali interventi. Questi ultimi erano stati programmati per dare adeguata funzionalità ai servizi ed anche per renderla più adeguata alle richieste provenienti dal mondo della scuola con l'introduzione delle nuove tecnologie che sempre più i giovani richiedono per poter accedere a tale importante patrimonio librario. Ripeto, con i suddetti tagli non si può provvedere neanche alle minime esigenze richieste dal mondo della scuola e degli studiosi. Il Governo non rispetta neanche questi minimi impegni di civiltà.
Il caso più eclatante di finanziamento revocato riguarda il teatro Petroselli di Bari, per il restauro del quale erano stati previsti più di 4 milioni di euro, investimento che più volte il Governo aveva annunciato e sbandierato. Non so se Berlusconi


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lo abbia inserito nel carnet che in questi giorni, da tutte le parti, sta propinando agli italiani. Vi sono, però, altri importanti monumenti che rischiano di scomparire, di crollare, di essere sottoposti a danni non restaurabili, irreversibili, dato che un'opera d'arte quando viene danneggiata tale rimane, non potendosene fare una copia.
Altri 5 milioni di euro previsti per Villa D'Este a Tivoli vengono revocati e per quasi 3 milioni di euro destinati al Collegio romano e ad altre importanti strutture museali vi sono estreme difficoltà. Abbiamo già evidenziato come, nei periodi di fine ed inizio anno, i musei abbiano avuto difficoltà a rimanere aperti e rispondere alle richieste di visita dei turisti e degli stessi cittadini italiani. Si tratta di un patrimonio che dobbiamo saper conservare per le future generazioni.
Ciò che, anche in questa circostanza, intendiamo evidenziare è l'inadeguatezza del Governo e dei finanziamenti. La cosiddetta rimodulazione che il Governo intenderebbe compiere (che presto affronteremo, quando il decreto-legge approvato nel Consiglio dei ministri del 26 gennaio arriverà all'esame della Camera) taglia molti finanziamenti ed opere già programmate, per dare «mance» a chi sta più a cuore al ministro Buttiglione o a qualche altro ministro, senza ispirarsi a criteri di oggettiva necessità ed urgenza, che tengano conto delle esigenze del nostro patrimonio. Le risorse non soltanto sono fortemente insufficienti, ma anche distribuite in malo modo.
Chiedo, pertanto, al Governo, per il quale questa sera non è presente alcun rappresentante del Ministero per i beni e le attività culturali, ed in particolare al ministro Buttiglione, di venire alla Camera a rispondere ai quesiti da me posti (Applausi dei deputati dei gruppi dei Democratici di sinistra-L'Ulivo e della Margherita, DL-L'Ulivo).

PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare l'onorevole Rusconi. Ne ha facoltà.

ANTONIO RUSCONI. Signor Presidente, sottosegretaria Aprea, colleghi, stiamo per varare - mi auguro di no - un provvedimento che inizialmente aveva alcuni obiettivi, ma è giunto a noi con altri. Al Senato esso aveva obiettivi ben precisi, aumentati attraverso l'approvazione di alcuni emendamenti; poiché, nella stessa sede, ci si è accorti che non avevano copertura finanziaria, si è fatta marcia indietro, cambiando persino il titolo del provvedimento.
Penso che questo sia un dato singolare, abbastanza unico, nella storia di questo Parlamento, che definisce bene la casualità ed il clientelismo del provvedimento in esame. Si tratta, dunque, di un provvedimento senza ratio che, oltretutto, cerca in maniera demagogica di affrontare il tema della parità scolastica. Di ciò si è già parlato in Commissione.
Gli interventi applicativi della legge n. 62 del 2000 sono, in gran parte, dovuti e non forniscono risposte ai quesiti sollevati dalla legge sulla parità scolastica, come sarebbe stato normale in questi cinque anni da parte del Governo.
La legge sulla parità scolastica - lo vorrei ricordare ai più distratti - fu promossa e approvata dal Governo di centrosinistra; una delle nostre caratteristiche (se avremo l'occasione di tornare a governare, come penso, lo dimostreremo) è che noi non facciamo demagogia in ordine alla libertà educativa, ma preferiamo fornire risposte concrete.
Invece, in questi cinque anni, cosa è accaduto? Partiamo dalla riforma Moratti; vorrei riferirmi, in particolare, alla scuola statale. La legge n. 53 del 2003 è coerente per un solo aspetto: mi riferisco al criterio ragionieristico utilizzato, per cui, dalla scuola dell'infanzia alla scuola superiore (quando sarà attuata), si ridurranno le cattedre, il numero delle persone che entreranno nella scuola e le risorse della stessa.
In questo provvedimento è lampante e chiaro il tentativo provocatorio - mi auguro non venga accettato dal centrosinistra - di una sfida tra scuola statale e scuola non statale. Nella legge n. 62 del 2000, che noi abbiamo fortemente voluto e votato, si prevedeva una cosa semplice: che


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queste due scuole dovessero rivestire entrambe una funzione pubblica. Anzi, mi permetto di aggiungere un dato: probabilmente, se il precedente Governo non avesse approvato la legge sulla parità scolastica, le scuole paritarie, la gran parte delle scuole cattoliche, si sarebbero ritrovate sole con la vostra demagogia, il che, vi assicuro, se facciamo i conti, è un po' poco! Considerato che le priorità sono state di natura giudiziaria e le leggi ad personam, non vi sarebbe stato posto per la questione relativa alla parità scolastica.
Il vero problema è un altro, poiché non si discute, non vi è contrasto in ordine alla scuola statale e a quella non statale paritaria. Il problema è sapere se la scuola rappresenta una priorità per il paese. La vostra risposta in questi cinque anni è stata chiaramente negativa. A voi non interessava la scuola; avete espresso giudizi duri e ridotto le risorse.
Ricordo con interesse un giudizio, apparso su Il Sole 24 ore, del vicepresidente di Confindustria, Gianfelice Rocca, secondo il quale un Governo che riduce le risorse a scuola, università e ricerca è un Governo che fa bassa manutenzione! Per le scuole paritarie, dopo le grandi promesse, cosa ha fatto questo Governo?
Vorrei ricordare che, giovedì 17 novembre, ho presentato in Commissione un'interrogazione a risposta immediata dai toni piuttosto decisi in ordine alla scuola materna non statale paritaria (non si tratta di una scuola materna di nicchia, dal momento che non rappresenta il 7 o l'8 per cento delle scuole materne nazionali, ma il 30 ed il 40 per cento, ed in alcune regioni addirittura è presente in maggioranza). In particolare, ho rilevato che, negli ultimi due anni, lo stanziamento per la scuola dell'infanzia è stato ridotto complessivamente di circa 13 milioni e 800 mila euro, mentre i contributi statali alla scuola dell'infanzia autorizzata e paritaria, monosezione, sono stati ridotti di circa 3 mila e 850 euro.
Non vorrei ripetere, solo per un dato di cortesia (come la chiamerebbe il Presidente Biondi) nei confronti del sottosegretario Aprea, la risposta imbarazzante del Governo. Avete ragione, è stato detto, ma le condizioni economiche ci impediscono di fare altro! Ovvero, non avete fatto nulla sulla parità scolastica. Questa è la verità!
Inoltre, quando avevamo presentato alcuni emendamenti per fare in modo che le scuole materne non statali avessero la stessa quota del 2001, le nostre proposte emendative sono state respinte.
Ma vi è un'altra questione sulla quale questa mattina, in sede di Comitato dei nove, ho ricevuto una risposta molto deludente e preoccupata. Lo dico a quanti in questa Camera si sono battuti per difendere lo sport dilettantistico. Leggo una serie di dichiarazioni rese sui giornali. Per le assunzioni di personale ausiliario tecnico ed amministrativo presso le istituzioni di alta formazione artistica e musicale (AFAM) la copertura è garantita dal capitolo per il finanziamento delle società e associazioni sportive dilettantistiche. Questa mattina, in Commissione, ho chiesto una smentita e mi è stato risposto che all'onere per questo provvedimento clientelare, circa 62 mila 500 euro per il 2006 e 375 mila euro per il 2007, si provvede mediante corrispondente riduzione o stanziamento iscritto nel fondo speciale dello stato di previsione del ministero. Tuttavia, questo fondo speciale - come chiarito dalla Commissione bilancio - era destinato al disegno di legge per il finanziamento delle società sportive dilettantistiche.
Dico ciò in quanto, mentre si fanno decine di convegni e di dichiarazioni per sostenere lo sport dilettantistico, prima si ritiene demagogicamente di accantonare questi fondi per destinarli ad un preciso disegno di legge e poi di toglierli attraverso queste decisioni clientelari. Si tratta di un fatto molto grave!
Invito il sottosegretario Aprea ad un minimo di attenzione, visto che questa mattina in Commissione è stata rappresentata da un funzionario. Pertanto, sarei lieto che almeno questo pomeriggio mi ascoltasse - visto che non avrò più l'opportunità di intervenire - in ordine a questo aspetto che è vergognoso rispetto


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alle promesse fatte allo sport dilettantistico; su tale argomento chiedo chiarezza!
Una voce dai banchi dei deputati del gruppo della Lega Nord Federazione Padana: Tempo!

ANTONIO RUSCONI. Non mi si può rispondere, come avvenuto questa mattina, che trattandosi di un fondo speciale era destinato ad una legge che non sarebbe stata approvata, in quanto si è fatta demagogia affermando che tali risorse erano destinate allo sport dilettantistico.
Di fatto, siamo di fronte ad un provvedimento deludente e demagogico. Ritengo che il centrosinistra vi sfiderà a dire che la scuola, sia quella pubblica sia quella paritaria, è una priorità per questo paese. In questi cinque anni avete umiliato l'una e l'altra e questo provvedimento non servirà a salvare la faccia (Applausi dei deputati dei gruppi della Margherita, DL-L'Ulivo e dei Democratici di sinistra-L'Ulivo)!

PRESIDENTE. Poco fa ho sentito qualche collega urlare: «Tempo!». Vorrei precisare che il collega Rusconi aveva ancora a disposizione cinque minuti per il suo intervento; dunque, pregherei i colleghi di non fare i cronometristi!
Ha chiesto di parlare l'onorevole Grignaffini. Ne ha facoltà.

GIOVANNA GRIGNAFFINI. Signor Presidente, il provvedimento in esame, se analizzato nella sua interezza, è scomposto e surreale. Si tratta di un provvedimento da Governo in fuga, che cerca di arraffare ancora tutto ciò che può, realizzando anche qualche opera di misericordia per persuadere il corpo elettorale.
Il carattere del presente testo si desume già dal suo titolo, trattandosi di un provvedimento recante misure urgenti in materia di università, beni culturali ed in favore di soggetti affetti da gravi patologie, nonché in tema di rinegoziazione di mutui.
A tutto questo dobbiamo aggiungere anche il tentativo di riforma della legge sulla parità scolastica, posto in in essere con l'articolo 1-bis introdotto dal Senato nel presente testo.
Che cosa significa tutto questo? Significa che ancora una volta - ma questa volta, essendo a fine legislatura, quasi come un orrore finale che traspare dalla lettura del testo in esame e delle proposte in esso contenute - si mettono insieme tutti gli errori, le deficienze, i difetti, le questioni lasciate in sospeso da questo Governo e si prova a fare, con un grande calderone, un'opera di persuasione rispetto ai vari soggetti destinatari del provvedimento. Di fatto vi è davvero di tutto, alla faccia dei criteri della congruità di materia, dei requisiti della necessità ed urgenza che dovrebbero caratterizzare ogni decretazione d'urgenza. Vi è di tutto: il riordino dell'Istituto italiano di studi germanici, il riordino e la trasformazione in fondazione dei conservatori della Toscana, l'equipollenza tra il diploma di laurea in scienze motorie e quello in fisioterapie, il finanziamento al museo della Shoah, la revisione del consiglio d'amministrazione della fondazione Accademia nazionale di Santa Cecilia, la revisione delle norme che definiscono la composizione della Consulta cinematografica. Insomma, il Governo con questo provvedimento tenta di trovare soluzione alle problematiche sulle quali è stato richiamato, sotto il profilo del carattere aleatorio e farraginoso, fuori da ogni logica e razionalità e programmazione. Tuttavia tale provvedimento presenta quegli stessi caratteri - ripeto - farraginosi, non risolutivi e fuori di ogni logica di programmazione che ho appena ricordato.
Vi sono alcune questioni che vorrei sottolineare rispetto alla congerie di materie che caratterizzano il provvedimento in esame. In primo luogo desidero rivolgere una domanda al Governo, anche se non è presente il suo rappresentante per i beni culturali. In effetti, in questo tentativo di ottenere consenso da parte dell'elettorato, il Governo ha stanziato qualche risorsa aggiuntiva in più a favore di


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alcuni settori: si tratta di capire come, dove, con quali norme, con quali criteri e con quale trasparenza.

PRESIDENZA DEL VICEPRESIDENTE FABIO MUSSI (ore 17,30)

GIOVANNA GRIGNAFFINI. Vorrei inoltre capire dal Governo una questione: una delle norme di questo provvedimento rende di nuovo utilizzabile da parte del Ministero per i beni e le attività culturali circa 60 milioni di euro stanziati ma non spesi da parte dei ministeri e dei dipartimenti. È una buona notizia, quindi: i beni culturali, settore devastato dalle politiche di questo Governo, con la riduzione del 50 per cento del Fondo unico per lo spettacolo, il blocco delle assunzioni, l'umiliazione delle competenze, il dimezzamento delle risorse, sembra avere nelle sue disponibilità risorse aggiuntive, che però vanno a confliggere con la previsione di ulteriori tagli nelle capacità di spesa del Ministero per i beni e le attività culturali, ricordati anche prima dal collega Carli; tagli che vanno a toccare quelle operazioni di restauro e di conservazione dei beni culturali che ad oggi non sono ancora partiti e che riguardano il teatro Petruzzelli, Villa d'Este, il Collegio romano, la fondazione Marconi e tanti altri interventi. Vorrei sapere dal Governo se le risorse aggiuntive di spesa sono compensative di questi tagli, oppure se si tratta di un altro capitolo che va in un'altra direzione.
Sarebbe molto importante saperlo, perché se si trattasse di una semplice sostituzione ci troveremmo di fronte ad un fatto inaudito: il ministero si rimette in capo la possibilità di attribuire fondi già attribuiti, aumentando il proprio livello di discrezionalità fuori da una logica di programmazione nella destinazione dei fondi. Ciò che era già programmato viene bloccato, si recuperano quei fondi ed il ministro, nella sua discrezionalità, può definire quali sono le nuove destinazioni.
Lo stesso discorso - una misura parzialmente positiva, poi contraddetta, però, dalle forme con cui è realizzata - riguarda il piccolo capitolo relativo ad uno stanziamento di 30 milioni di euro da destinare agli assegni di ricerca. Finalmente, viene da dire, perché questo Governo si è troppo a lungo dimenticato della ricerca, sia di quella dell'università sia di quella di vari enti ed istituzioni. È un po' l'ammissione di una colpa, di una carenza, perché il Governo, nel settore dell'università e della ricerca, si è mosso con un'idea molto precisa. Siccome i finanziamenti erano pochi, siccome le risorse non potevano essere reperite, l'idea del Governo è stata che nell'università e nella ricerca vi fossero troppi docenti, troppi ricercatori, troppe figure professionali. Pertanto, in qualche modo, la politica perseguita da questo Governo è stata quella del blocco delle assunzioni, della definizione di uno stato giuridico del personale dell'università che umilia le professionalità che stanno al loro interno: un'ipotesi di precarizzazione della didattica e della ricerca. Invece, noi sappiamo benissimo - lo dimostrano tutte le indagini a livello europeo e mondiale - che il problema dell'università italiana sta nella sua assenza di competitività rispetto alle università degli altri paesi europei, dovuta al fatto di avere pochi docenti e ricercatori, ossia di avere una non sufficiente massa critica per realizzare l'obiettivo della costruzione di una società della conoscenza fondata sul sapere, sulla sua capacità di tenere insieme qualità di massa e di eccellenza.
Il Governo, nel campo della ricerca e dell'università, ha scelto di privilegiare discrezionalmente alcuni enti ed istituzioni, qualche volta creati veramente dal nulla - come l'Istituto di alta tecnologia di Genova, nato al di fuori di ogni storia del corpo accademico e scientifico, del tessuto, dell'humus culturale di una città e delle sue politiche - pensando che la questione fosse quella di tagliare, ridurre i finanziamenti, ridurre il numero dei docenti, aumentare la precarietà.
Per fortuna qualche volta l'Europa ci viene in aiuto: per quanto riguarda la precarietà, la cosa più bella credo sia rappresentata dalla Carta europea dei ricercatori, redatta lo scorso anno dall'Unione


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europea. In questa Carta si ricorda che il vero obiettivo per le società del ventunesimo secolo, per le società che vogliono costruire un'ampia, condivisa e socialmente compatibile società della conoscenza è quello di rendere il meno precario possibile il lavoro dei ricercatori e, comunque, di tutte le professioni intellettuali. Infatti la precarietà è una condizione che mina alla radice la libertà della ricerca scientifica e della impostazione didattica, perché umilia, non fa sentire il ricercatore parte di una comunità, soggetto protagonista della sua possibilità di svilupparsi e, uso anche questa parola, di competere dal punto di vista dell'efficienza e dello sviluppo tecnologico.
Dunque, dopo cinque anni fallimentari dal punto di vista delle riforme del ministro Moratti, improvvisamente, con un colpo di coda, si tirano fuori dal cilindro 30 milioni di euro, una cifra ridicola rispetto alle esigenze.
Anche in questo caso, che cosa fa il ministro? Riduce, per aumentare la platea dei soggetti aventi diritto, la durata dell'assegno di ricerca da due anni, che sono gli anni di previsione normale per chiunque voglia perseguire un minimo di progetto di ricerca, ad un anno. Da qui, l'impressione che ciò rappresenti più una mancia che non un efficace strumento per contrastare la fuga dei cervelli dall'Italia che, come si apprende tutti i giorni dagli organi di stampa, continua massiccia; fuga all'estero che consente a molti ricercatori italiani di conseguire straordinari successi in tutti i campi del sapere e della ricerca. Questa situazione l'abbiamo posta in rilievo mille volte; in particolare, abbiamo più volte evidenziato che quello che fa fuggire i ricercatori italiani all'estero non è semplicemente una questione economica ma è, anche e soprattutto, una questione di contesto, di valorizzazione del lavoro e del ruolo della ricerca, di attribuzione di legittimità e di riconoscimento della centralità di questa funzione strategica all'interno del paese; quel riconoscimento, quella centralità e quella legittimità che in Italia il lavoro scientifico e culturale, soprattutto nel corso di questi ultimi cinque anni, non ha mai avuto. Se c'è, infatti, una cosa che l'attuale Governo ha fatto è stata quella di raccontarci della scuola, dell'università, della ricerca e della cultura come di luoghi in cui si raccolgono tutti gli scansafatiche del mondo, dove cioè si danno appuntamento tutti quelli che non hanno voglia di lavorare e che non sanno che cosa fare. È stata messa in atto un'opera continua di delegittimazione del settore, un'azione scientificamente perseguita in nome - forse - dell'idea cara al premier, e cioè che tutta la cultura è di sinistra (se fosse vero, sarei molto contenta). Non sarà, pertanto, il provvedimento in esame a restituire legittimità e dignità a quei soggetti che, nell'arco di questi cinque anni di governo di centrodestra, non sono stati né considerati né trattati bene dal ministro.
Da ultimo, mi soffermo su una grave questione sulla quale si sono già intrattenuti altri colleghi. Il provvedimento in esame mantiene al proprio interno un insieme di contraddizioni su materie tra loro le più diverse. Un provvedimento, quindi, che non ha alcuna ratio e capacità di rispondere ai requisiti di buona legislazione cui sempre veniamo richiamati. Nonostante il provvedimento in esame fosse di per sé già scomposto, viene addirittura introdotta una norma, contenuta nell'articolo 1-bis che viene aggiunto appositamente, in cui si pretende di riordinare quel meccanismo delicato e fondamentale del nostro sistema formativo qual è appunto la legge sulla parità scolastica. Altri colleghi hanno già esplicitato, illustrando la questione pregiudiziale di costituzionalità presentata al provvedimento in esame, quali sono gli elementi che a tale riguardo minano alla radice, perché incostituzionali, il provvedimento in esame. Alle considerazioni svolte dai colleghi desidero aggiungere due ulteriori riflessioni. Innanzitutto, mi ha sconvolto l'idea che la Casa della libertà adotti un provvedimento che disciplina la materia prevedendo, in particolare, il mancato riconoscimento come scuola a tutte quelle soggettività private, istituzionali e non, che decidono di perseguire propri progetti di insegnamento.


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Ciò rappresenta una cosa intollerabile per il principio fondamentale, che dovrebbe uniformare la nostra società, aperta e complessa, del riconoscimento della libertà dell'altro.
Altra questione è quella dei finanziamenti. L'articolo 33, comma 3, della Costituzione stabilisce che non vi debbano essere oneri a carico dello Stato; tuttavia, un conto è la previsione costituzionale relativa agli oneri, un altro conto è la previsione, ugualmente di livello costituzionale, relativa alla libertà degli individui e delle culture.
Con il provvedimento in esame ...

PRESIDENTE. Onorevole Grignaffini...

GIOVANNA GRIGNAFFINI. ... create una piccola mostruosità! È un'altra delle cose che vi faranno perdere le prossime elezioni (Applausi dei deputati dei gruppi dei Democratici di sinistra-L'Ulivo e della Margherita, DL-L'Ulivo)!

PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare l'onorevole Ruggeri. Ne ha facoltà.

RUGGERO RUGGERI. Signor Presidente, quando si è davanti ad un provvedimento che prevede aiuti a favore degli emofiliaci, che contiene disposizioni per combattere le malattie provocate dal talidomide e per finanziare programmi di ricerca in settori strategici, quando si interviene per cercare di risolvere simili problemi, è difficile non essere d'accordo. Ma sta proprio qui la presa in giro di questo Governo!
Ci è stato detto che si tratta di provvedimenti importanti e che i finanziamenti per la ricerca riguardano settori strategici. Il fatto è che oggi è il 31 gennaio e tutti sapevamo, fino a pochi giorni fa, che il 29 le Camere sarebbero state sciolte. Ciò dimostra l'improvvisazione, la scarsa capacità di avere considerazione per i soggetti destinatari delle normative.
Ci prendete in giro anche quando ponete l'accento sulla ricerca nei settori strategici. Ma quali sono questi settori strategici? Non ce l'avete mai detto, perché, forse, non avete neppure idea di cosa sia la modernizzazione del paese. Da anni si parla di sistema Italia, di sistema competitivo, e tutti, da anni, puntano il dito su ricerca ed innovazione. Ebbene, un briciolo di intervento in materia di ricerca voi lo proponete negli ultimi giorni della legislatura. Questa è la vostra cultura dell'innovazione! Questa è la cultura di chi vuole bene al paese e di chi, invece, lo prende in giro! Non solo: nel dare l'una tantum alla ricerca - solo per il 2007, si badi - spalmate il fondo di 64 miliardi su un numero doppio di aventi diritto. Ciò significa ridurre il finanziamento a briciole; significa non avere sentore di come funziona la ricerca!
Non a caso, dai finanziamenti sono esclusi tutti gli enti di ricerca: il CNR (è il maggiore ente di ricerca italiano, ma qualcuno l'ha dimenticato), l'ENEA, l'Agenzia spaziale italiana e tutti gli enti di ricerca italiani sono esclusi dai finanziamenti. Qual è l'idea di settori strategici? Qual è l'idea che abbiamo del paese? Per non parlare, poi, dei finanziamenti per dare ai giovani la possibilità di dedicarsi alla ricerca! Ma quale ricerca, se gli enti pubblici non possono assumere? Quale ricerca si fa in un anno? La ricerca si fa con investimenti di lungo periodo, non con le misure una tantum. Il vostro Governo è una tantum (del resto, ha lavorato con le una tantum)!
Non possiamo essere d'accordo. Si tratta di una presa in giro.
Vogliamo parlare del collasso delle nostre scuole primarie? Mancano mezzi, risorse, insegnanti, insegnanti di sostegno (dove c'erano, li avete tolti), ma soprattutto mancano idee e progetti. Quale idea abbiate della scuola non l'abbiamo ancora capito! Abbiamo capito, però, che avete rotto l'idea della scuola come servizio pubblico universale che educa e forma la società, che educa e forma i nostri giovani.
La differenza fra noi e voi sta in questo. Con la riforma Berlinguer avevamo introdotto un grande disegno strategico nella società: un sistema pubblico integrato dell'istruzione. Avevamo dato un ruolo di grande dignità alle scuole private.


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Il problema non sta nella contrapposizione fra scuole statali e scuole private paritarie, bensì fra chi vuole investire nella scuola e chi non lo fa. La contrapposizione è fra chi denuncia, così come stiamo facendo noi, e chi, come Berlusconi, annuncia che è stata fatta anche la riforma della scuola: ma dove, quando, come?
La cultura che sta dietro tutto questo e che un certo mondo cattolico non ha capito consiste nella presa in giro. Per esempio, le scuole materne ed elementari parificate avevano ottenuto con il centrosinistra 205 miliardi, aumentati a 960 miliardi, ma, con il primo Governo di centrodestra (tanto per intenderci e capire chi sta da una parte e chi dall'altra, chi presta più attenzione a certi aspetti e chi nessuna agli stessi), con il ministro Tremonti, c'è stato un assestamento del bilancio 2001 e a queste scuole materne private avete sottratto tout court 100 miliardi: questo è il fare scuola!
Avete sottovalutato il fatto che ridurre i finanziamenti alle scuole private significa ridurre il finanziamento al sistema pubblico integrato. Non è una contrapposizione che diventa un alibi (negativo per voi). Incontriamo una grande difficoltà a capire che cosa sta dietro a questo provvedimento.
Lo stesso ministro Moratti dov'è? Anziché essere qui in aula a sostenere un provvedimento che riguarda la scuola e la ricerca, sta facendo campagna elettorale per sé. Vuole diventare sindaco di Milano: ma la scuola, l'università? Sono riforme già fatte? Berlusconi, in televisione, ha annunciato che queste riforme sono state già fatte: ma che cosa avete fatto se, ancora oggi, stiamo discutendo del fatto che la scuola è al collasso?
Nelle nostre scuole elementari e primarie, a proposito dell'offerta formativa, avete annunciato che finalmente le famiglie hanno la libertà di fare insegnare ai propri ragazzi le materie che a loro interessano: cari colleghi, caro sottosegretario Aprea, questo non è vero! Le risorse non ci sono, gli insegnanti non ci sono, e lei lo sa benissimo: quali materie potrebbero richiedere i genitori?
Questo è il punto cardine, diciamo la verità: si è fatto poco, e quel poco che si fatto è stato fatto male! L'idea che emerge della scuola è ancora una volta falsata e sbagliata: avete voluto smantellare il sistema pubblico integrato. Quindi, quello dello scontro ideologico e del dibattito fra scuole pubbliche statali e private, parificate o meno, è solo un pretesto: voi non avete investito nel sistema della scuola e dell'università. La ricerca è quasi inesistente. Questo è il sistema Italia, questa è la competizione, questa è l'idea che avete dato di modernizzazione del paese! Ma quest'ultimo, purtroppo, con voi, è arretrato!
Questa è la verità, e gli italiani lo sanno benissimo, perché le famiglie vivono sulla loro pelle i problemi dei loro ragazzi nelle scuole: c'è carenza di aule e di insegnanti, manca la carta, il toner!
Si tratta, a volte, di piccole cose, che però fanno grande un paese. Manca inoltre la solidarietà degli enti locali, ai quali avete sottratto risorse. Essi, quindi, non possono più intervenire nella gestione spicciola della scuola.
Questa è l'idea che avete della scuola: un servizio che, comunque, prima o poi, dovrà essere privatizzato. Pensate che debba essere il mercato a risolvere la questione, perché lo Stato non ha più le risorse necessarie per mantenere questo servizio. Noi, invece, la pensiamo diversamente. Pensiamo che questo non sia un servizio di mercato, al quale il mercato stesso dovrà rispondere.
Pensiamo che sia ancora un compito fondamentale, per la collettività, quello di educare i nostri giovani, innanzitutto, alla solidarietà e all'apprendimento, perché possano vivere e stare in piedi con le proprie gambe in questa società che continuamente si trasforma, nonostante Berlusconi (Applausi dei deputati del gruppo della Margherita, DL-L'Ulivo).

PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare l'onorevole Lolli. Ne ha facoltà.

GIOVANNI LOLLI. Signor Presidente, intervengo per aggiungere qualche considerazione


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a quelle svolte dai colleghi, numerose e bene argomentate. Permettetemi di iniziare da una argomentazione di carattere generale.
Sono un componente della VII Commissione e, nel corso di questi cinque anni, ho potuto esaminare da un osservatorio privilegiato la filosofia, l'impianto in base al quale questo Governo ha legiferato sui problemi della scuola. Al di là della competenza e della disponibilità del sottosegretario Aprea, dovendo esprimere un giudizio generale su come si è operato, debbo dire che ciò che maggiormente mi ha colpito è stata la grande confusione. Infatti, da una parte, ci sono stati proclami e affermazioni sempre molto enfatici, direi anche dotati di una forte carica ideologica; dall'altra, c'è stata una lunghissima serie di interventi e di misure in grande contraddizione con quei proclami, che hanno sottoposto il mondo della scuola a stress ed incertezze, le ultime cose di cui quel mondo ha bisogno.
Intendiamoci, la scuola italiana necessita di riforme, di un profondo riordino; tuttavia, queste riforme dovrebbero essere effettuate con senso della misura, in modo condiviso, con equilibrio ed in maniera ragionata, sapendo che stiamo parlando di un sistema precario, delicato e fragile, nel quale interventi così draconiani e spesso frammentari possono causare danni profondi.
Mi riferivo ai proclami. In questi anni, in VII Commissione, ho ascoltato, soprattutto, il ministro Moratti affermare, sempre con grande carica ideologica, alcune idee di fondo che, in definitiva, sono le seguenti: la scuola italiana fa un po' schifo; nella scuola italiana ci sono insegnanti che, in gran parte, sono pelandroni; tutto sommato, la scuola italiana deve essere riformata daccapo, ispirandosi a modelli di altri paesi, in modo particolare di paesi anglosassoni, spesso evocati senza i necessari e doverosi approfondimento e meditazione.
Insomma, questo è l'impianto e questo è il proclama. Naturalmente, non condivido alla radice un proclama di questo genere ma, avendolo ascoltato, ci si aspetta che intervengano misure altrettanto radicali, efficaci e, vorrei dire, essenziali (sottolineo il termine «essenziali»). Ciò che si è ripetuto spesso è che bisognava delegiferare, che le leggi riguardanti la scuola sono troppe - magari, c'è anche un fondo di verità - e che, quindi, l'iniziativa del Governo avrebbe portato ad una semplificazione.
Confrontando questi proclami con quanto si è visto concretamente in questi anni, ed ancora oggi, si osserva che, evidentemente, ci sono una contraddizione ed un contrasto enormi. Infatti, abbiamo assistito ad una serie reiterata di misure affrettate e improvvisate. L'uso stesso della decretazione implica e induce l'idea che si interviene sempre come se ci fosse una emergenza, sulla base di una grande fretta. Soprattutto, altro che semplificazione! Si è complicato enormemente il sistema scolastico italiano, attraverso decine di misure molto spesso in contrasto ed in contraddizione l'una con l'altra.
Alla fine, al termine dei proclami, quando si è depositata la polvere delle affermazioni ideologiche, il fatto che bisogna constatare, e che i crudi numeri ci richiamano, è che è intervenuta una serie di tagli e di disinvestimenti sulla scuola italiana. Beninteso, all'atto pratico, tali tagli sono stati meno consistenti di quelli proposti in quanto, ogni volta, per fortuna, il mondo della scuola italiana si è opposto, con scioperi e manifestazioni, e molto spesso i provvedimenti annunciati sono poi, in qualche modo, venuti meno. Cito un esempio emblematico, relativo alla materia della quale mi occupo, l'educazione fisica. Ebbene, si proclama che l'educazione fisica è importantissima e che la scuola secondaria italiana deve diventare come il campus americano dove l'attività fisica è essenziale; si sottoscrivono, addirittura, gli accordi comunitari secondo i quali le ore minime di educazione fisica debbono essere tre. Diversi, però, sono i fatti: si tenta di ridurre da due ad una le ore di educazione fisica, mentre gli investimenti relativi, che in Italia, con il Governo dell'Ulivo, ammontavano a 10 milioni di euro - comunque pochissimo; in


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Francia, ammontano addirittura a 100 milioni di euro -, sono stati, via via, nel corso di questi anni, ridotti a soli 3 milioni di euro.
Quindi, è evidente come vi sia sempre il contrasto tra il proclama, roboante e spesso alquanto improvvisato, e le misure adottate; ed è così anche nel caso di questo provvedimento. Si dà l'impressione - ma non voglio fare processi alle intenzioni, tanto meno a quelle del sottosegretario Aprea, della quale ho già detto come, in questo «mondo», abbia rappresentato l'unico interlocutore presente, serio e disponibile - di voler condurre una battaglia alquanto ideologica, ricreando, nella prospettiva delle elezioni, l'idea che il centrosinistra sia contro le scuole private e quant'altro. Dopo di che, come ha dimostrato benissimo nella discussione sulle linee generali il collega Volpini, in questi anni, paradossalmente, si sono disposti tagli delle risorse destinate alle scuole private. Anzitutto, vi è stato un taglio nei confronti delle scuole primarie e degli asili privati, che è stato molto consistente; ma anche le erogazioni sono state ritardate e, addirittura, in qualche caso, bloccate. Quindi, si ravvisa una contraddizione veramente sorprendente.
Aggiungerei, poi, alcune considerazioni sullo spirito del provvedimento. Un punto di equilibrio e di saggezza è stato trovato in questo paese con la legge n. 62 del 2000. Si tratta chiaramente di una normativa di mediazione che, però, contiene un'ispirazione di fondo a mio avviso molto ragionevole, ovvero inserire il sistema delle scuole parificate all'interno del sistema scolastico generale pubblico, e dunque all'interno degli ordinamenti, degli indirizzi e dei controlli di detto sistema. Ebbene, quella stessa legge prevede una verifica, che si doveva compiere nel 2003; è occorso un anno in più perché il ministro la effettuasse ma, dopo averla compiuta ed aver redatto la relativa relazione, non ha assunto i provvedimenti che si sarebbero dovuti adottare per armonizzare quella legge con altre iniziative.
Dunque, nel vuoto di questi proclami e in assenza di interventi, si è adottato questo provvedimento, trasmesso dal Senato, che rivela una logica chiara che va denunciata. Si tenta di scardinare l'impianto della legge n. 62 del 2000, ovvero si vogliono sottrarre - questo è il messaggio che si vuole dare - le scuole private italiane, anche quelle parificate, all'ordinamento, agli standard, al sistema pubblico di questo paese. Ritengo tale tentativo non solo sbagliato ma anche un po' avventuroso; esso rischia di farci tornare indietro, di mettere in discussione punti di equilibrio che quanti hanno amore per la scuola e per l'Italia dovrebbero avere più a cuore.
Per di più, e su ciò rapidamente concludo il mio intervento, sono state sollevate in questa sede tre questioni, che non corrispondono solo a tre violazioni costituzionali, come ha rilevato la collega Sasso: si tratta anche di tre violazioni della ragionevolezza. Forse, qualcuno, in questa sede, può considerare la Costituzione una variabile, ma la logica formale, il principio di non contraddizione, dovrebbe essere obbligatorio per tutti.
Dunque, consideriamo cosa voi proponete. Proponete, da una parte, di sottrarre le scuole parificate al sistema dell'ordinamento pubblico e, dall'altra, di intervenire sulle scuole «private-private», quelle che non vogliono entrare nel sistema, che non chiedono finanziamenti statali e nei confronti delle quali è stato già stabilito dalla Corte costituzionale, con una sentenza del 1958, che lo Stato deve semplicemente operare una «presa d'atto». Voi infatti volete sottoporre tali ultime scuole ad una serie di obblighi veramente cervellotici. Quindi, ben vedete, prima di tutto, in quale contraddizione assurda cadiate.
Una seconda contraddizione emerge con riferimento al Titolo V della parte seconda della Costituzione, che ha conferito alle regioni alcuni poteri in materia.
Ebbene, avete dichiarato di voler andare molto al di là con la devolution. Benissimo - anzi malissimo, dal mio punto di vista (ma tale è l'indicazione che avete dato) -; pretendete, tuttavia, di normare una materia così complessa con


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regolamenti ministeriali centralistici, in totale contrasto e contraddizione con le normative ed i poteri delle regioni.
La terza contraddizione che intendo evidenziare riguarda i finanziamenti: infatti, si rientra sempre nell'ambito della logica dei tagli da una parte e dell'assenza di copertura finanziaria dall'altra. Ciò perché, come è stato già ben evidenziato in questa sede, intendete allargare la platea delle scuole che potrebbero accedere al finanziamento pubblico, senza predisporre, tuttavia, la copertura finanziaria necessaria.
Ricordo che avevate già provato una volta a compiere tale operazione, ma il provvedimento adottato dal Governo era stato respinto. Adesso tentate di farlo nuovamente con il provvedimento in esame, ma vorrei dire che ravviso veramente delle contraddizioni enormi.
Mi domando, allora, che senso abbia varare così frettolosamente il decreto-legge in esame. Ma davvero, cari colleghi, avete voluto chiedere un prolungamento di quindici giorni dell'attuale legislatura per convertire in legge decreti di questo genere? Se è così, allora c'è da rimanere un po' desolati (Applausi dei deputati del gruppo dei Democratici di sinistra-L'Ulivo)!

PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare l'onorevole Giacco. Ne ha facoltà.

LUIGI GIACCO. Signor Presidente, come è stato già affermato in questa sede dai miei colleghi precedentemente intervenuti, il decreto-legge in esame tratta materie disomogenee e non risponde ai principi di una corretta decretazione d'urgenza. Esso reca, infatti, una serie di norme frammentarie e, soprattutto, di misure microsettoriali che contribuiscono a peggiorare la qualità della legislazione.
Vorrei evidenziare, come peraltro ha già fatto il collega Lolli, come l'aumento del finanziamento per le scuole paritarie elementari, corredato dalla copertura dei relativi oneri finanziari, sia stato inserito, presso il Senato, in quanto il ministro Moratti non ha adempiuto agli obblighi stabiliti dalla legge n. 62 del 2000.
Vorrei sottolineare, inoltre, gli insufficienti finanziamenti destinati al settore della ricerca, nonché, soprattutto, come il criterio dell'anzianità rappresenti l'unico aspetto funzionale in materia di carriere universitarie.
Desidero tuttavia affrontare, in maniera più dettagliata, soprattutto il merito degli articoli 3 e 4 del provvedimento in esame. Per quanto riguarda l'articolo 3, infatti, si rende esplicito che i soggetti affetti da sindrome da talidomide hanno diritto all'esenzione dalla partecipazione alla spesa per tutte le prestazioni sanitarie correlate a tale sindrome. Vorrei segnalare che, in Italia, circa 50 soggetti vivono in questa condizione e soffrono di una patologia estremamente differenziata ed anche grave.
Ricordo che, a tutt'oggi, tali pazienti rientrano all'interno di un'ampia categoria di soggetti che subiscono una condizione di grave deficit fisico, sensoriale e neuropsichico. Tale situazione è prevista dal cosiddetto codice 051, individuato dal regolamento di cui al decreto del ministro della sanità 28 maggio 1999, n. 329, e successive modificazioni. In ordine a tale aspetto, pertanto, conveniamo sul fatto che si debba offrire una risposta adeguata ed esaustiva alle persone che soffrono di tale particolare sindrome.
Per quanto concerne l'articolo 4, vorrei rilevare come esso rappresenti sicuramente una misura di equità, poiché intende indennizzare due gruppi di persone che hanno patito alcuni problemi a causa della loro condizione di emofiliaci. Ricordo, infatti, che un primo gruppo di persone, che aveva sporto denuncia nei confronti del Ministero della salute, è giunto ad ottenere, tramite accordi transattivi, il risarcimento del danno biologico, in base ai criteri previsti dal decreto ministeriale n. 280 del 2 dicembre 2003. Queste persone (si tratta di 714 casi) sono state risarcite, per l'appunto, in base a tale strumento transattivo.
Vorrei segnalare, invece, la situazione concernente un secondo gruppo, pari a circa 102 persone. Esse, infatti, pur possedendo gli stessi requisiti del primo


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gruppo, sono state sì ammesse alla transazione, ma la sentenza della Corte di cassazione n. 11609, del 31 maggio 2005, ha riconosciuto la responsabilità del Ministero della salute solo dal momento in cui vi era una conoscenza scientifica che avrebbe consentito l'esercizio di un'efficace vigilanza.
Con questo articolo, anche in conformità alla sentenza ricordata, la commissione ministeriale ha rivisto i casi singoli e dall'esame delle situazioni dei singoli casi danneggiati si è rilevato che solo in tre casi l'inizio del trattamento degli emoderivati è iniziato successivamente alla sentenza indicata dalla Corte di cassazione. Quindi, in qualche modo, come è già stato fatto per i soggetti danneggiati da trasfusioni, la disposizione normativa concede, in via straordinaria, un indennizzo aggiuntivo di equivalente valore, in modo tale che le persone che hanno subito i menzionati danni possano avere ugualmente tale riconoscimento senza dover versare indietro le somme da loro percepite.
Certamente, come dicevo all'inizio del mio intervento, questo è un decreto-legge estremamente farraginoso; dare una risposta a tali cittadini italiani, che vivono in una condizione di estrema difficoltà, penso tuttavia che sia un segnale positivo (Applausi dei deputati dei gruppi dei Democratici di sinistra-L'Ulivo e della Margherita, DL-L'Ulivo).

PRESIDENTE. Gli onorevoli Volpini e Rocchi avevano chiesto di parlare, ma non li vedo (Commenti del deputato Boccia). Onorevole Boccia, alcuni deputati avevano chiesto di parlare, ma «latitano»...
Ha chiesto di parlare l'onorevole Frigato. Ne ha facoltà.

GABRIELE FRIGATO. Signor Presidente, vorrei anch'io lasciare una «traccia» nella discussione di questo provvedimento, e vorrei partire da un elemento di natura metodologica.
Onorevoli colleghi, siamo ormai agli ultimi giorni di questa legislatura. Siamo quasi - per dirla in termini calcistici - al «novantesimo minuto», ma se si pone mente agli impegni che le forze politiche hanno assunto nell'ultima campagna elettorale, che ha portato successivamente all'elezione di questo Parlamento, ossia nella primavera del 2001, credo di non ricordare male che uno di tali impegni riguardasse la cosiddetta semplificazione legislativa, ossia la necessità di rendere le normative che regolano la vita del nostro paese più semplici nella lettura, più chiare nell'interpretazione e più facili nell'applicazione.
Mi sembra che questo decreto-legge vada in una direzione assolutamente opposta alla semplificazione. Infatti, basta considerare il titolo del provvedimento per rendersi conto che vi è un'assoluta contraddizione con i caratteri fondamentali che contraddistinguono i decreti-legge del Governo. Tali caratteri fondamentali sono l'urgenza delle disposizioni, l'omogeneità della materia trattata e - ma quest'ultimo elemento riguarda tutte le iniziative legislative - la copertura finanziaria.
Voglio segnalare, signor Presidente, come l'omogeneità di materia non vi sia assolutamente, in quanto negli articoli di questo decreto-legge vengono trattate le materie più diverse. Vi sono all'articolo 1-bis, norme in materia di scuole statali; si parla altresì di personale amministrativo, tecnico ed ausiliario delle istituzioni di alta formazione artistica e musicale; di inquadramento nei ruoli degli insegnanti di religione cattolica; del riordino dell'Istituto italiano di studi germanici; della trasformazione in fondazioni dei conservatori della Toscana (mi domando perché, se l'intervento è positivo, esso riguardi solo quelli della Toscana); dell'equipollenza dei titoli di studio; del servizio sociale professionale; del finanziamento del museo della Shoah; del consiglio d'amministrazione della fondazione Accademia nazionale di Santa Cecilia, che passa da 9 a 13 membri (sarebbe interessante capire il motivo dell'aumento del numero dei componenti di questo consiglio di amministrazione); delle professioni di enologo e dell'accesso alle stesse. Credo che ciò sia sufficiente ad


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affermare come l'imperativo della omogeneità di materia non sia assolutamente rispettato in questo provvedimento.
Quanto all'urgenza delle disposizioni introdotte, non voglio riprendere quello che ho appena evidenziato, ma, certamente, la domanda riguarderebbe ognuno degli argomenti affrontati e bisognerebbe che il Governo ci dicesse quali sono gli elementi di così particolare urgenza, per esempio, rispetto ai conservatori musicali della Toscana o rispetto all'aumento dei componenti del consiglio di amministrazione della fondazione Accademia nazionale di Santa Cecilia. Quali sono gli elementi di così particolare urgenza che hanno indotto il Governo ad inserire questi articoli in un provvedimento quale il decreto-legge?
Non mi addentro - lo voglio solo sottolineare - nel tema delle coperture finanziarie. È stato già ricordato da qualche collega che le coperture finanziarie, quando ci sono, in buona parte sono fasulle. Tuttavia, direi che esprimono la capacità del Governo, che in questi cinque anni è stato particolarmente bravo e capace nel gioco delle tre carte. Si finanzia lo sport, dopodiché si trasferiscono i fondi dallo sport alla scuola; dopo si prendono i fondi della scuola e li si danno all'artigianato; li si tolgono all'artigianato e li si danno alle scuole private; li si tolgono alle scuole private e si ritorna al commercio. Mi pare un gioco davvero pericoloso; quando viene fatto dai giocolieri al circo, sicuramente fa ridere i bambini e anche i più grandi, ma quando i giocolieri sono al Governo, signor sottosegretario Aprea, credo ci sia ben poco da ridere; c'è sicuramente soltanto da piangere: come diceva qualcuno, non ci resta che piangere!
Vorrei anch'io sottolineare il tema un po' più centrale di questo provvedimento, che riguarda la scuola.
Ricordo i numerosi interventi, le interrogazioni e le interpellanze presentate in Commissione, ed anche in Assemblea, dal gruppo della Margherita, DL-L'Ulivo e da tanti altri gruppi del centrosinistra, per sollecitare il Governo a dare attuazione alla legge n. 62 del 2000, con la quale, nella scorsa legislatura, è stato istituito il sistema scolastico paritario. È un sistema nel quale si riconosce valore pubblico all'offerta formativa; tuttavia, si riconosce anche che tale servizio può essere offerto sia da istituzioni scolastiche pubbliche sia da istituzioni scolastiche private, che si definiscono paritarie, perché inserite all'interno di determinati parametri e riconosciute idonee a svolgere il servizio stesso.
Ebbene, in questi cinque anni, abbiamo assistito a ritardi, dimenticanze ed a tagli delle risorse finanziarie. Non voglio dire che siamo preoccupati per i tagli che avete operato nei confronti delle istituzioni scolastiche paritarie. Tuttavia, voi avete tagliato i fondi stanziati per la scuola, non avete voluto investire nel sistema scolastico. Avete ridotto l'attenzione, sul piano politico e finanziario, rispetto al futuro del paese, che passa necessariamente attraverso le istituzioni scolastiche, l'università e la ricerca. Lo diciamo nello scorcio finale di questa legislatura, sapendo che certamente farete qualche altro gioco d'artificio, che certamente giocherete ancora con le tre carte e cercherete ancora di dire che avete realizzato ciò che, invece, non è stato fatto.
Rimane, sicuramente, un quadro difficile e molto compromesso. A tale proposito, nel corso della prossima campagna elettorale, le forze del centrosinistra sosterranno che, riguardo ai temi della scuola, dei percorsi formativi, dell'università e della ricerca, vi è la necessità e il dovere di investire in una grande azione politica, con grandi risorse finanziarie (Applausi dei deputati dei gruppi della Margherita, DL-L'Ulivo e dei Democratici di sinistra-L'Ulivo).

PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare l'onorevole Bottino. Ne ha facoltà.

ANGELO BOTTINO. Signor Presidente, una delle promesse elettorali dell'attuale Governo era l'impegno alla semplificazione, come ha affermato giustamente l'onorevole Frigato, al miglioramento dei testi di legge, alla riduzione delle leggi.


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Nell'ambito di una sregolata campagna mediatica, in presenza di un mutamento di regole quando il gioco sta per iniziare o è in atto, dopo continui messaggi e richieste di ulteriori giorni per lavorare (come se prima non ve ne fosse stato il tempo), dopo la concessione di quei tempi aggiuntivi voluti espressamente dal Presidente del Consiglio (anche in questo caso, smentendo un accordo già predisposto), con queste proposte di fine legislatura si dimostra una certa negatività rispetto alle problematiche affrontate, con la prospettiva di una attività legislativa non utile e positiva, bensì dannosa per il paese.
Il decreto-legge in esame, approvato dal Senato la settimana scorsa, reca una serie di interventi in vari campi, riconducibili a materie diverse: dalla scuola all'università, ai beni e alle attività culturali, alla sanità.
Una prima considerazione: tante sono le materie, delicate ed importanti, che sono inserite in questo decreto, o, meglio, che sono state aggiunte in un secondo tempo al Senato, con una certa urgenza. Tutte avrebbero richiesto una profonda discussione e una valutazione attenta e specifica, nei tempi consentiti, per i singoli argomenti, senza essere oggetto di una decretazione di urgenza in tempi ormai contingentati.
Viene da pensare che, dopo cinque anni, queste materie, tutte già importanti negli anni passati, ora di colpo assumano una grande urgenza. Prima, forse, la valutazione di questi argomenti era marginale tanto da non poter essere esaminati in questi anni.
È utile sviluppare questo aspetto. Un Governo che è al potere da cinque anni, che ha approvato e fatto approvare a spron battuto leggi di interesse specifico - chiamiamole così -, alla fine si interessa di alcune materie, tutte importanti, tante e diverse, e le inserisce in un decreto-legge, ormai fuori tempo massimo.
Quali sono questi interventi, che è bene ricordare? Alcune norme, come quelle in favore degli emofiliaci e dei soggetti affetti da sindrome da talidomide, sono urgenti e dovrebbero essere varate nell'ambito di una discussione parlamentare approfondita e condivisa da tutti. Sono tutte norme urgenti, ma lo erano già in questi anni!
Passando in rassegna alcuni articoli, si evidenzia, ad esempio, all'articolo 1, l'incremento del fondo per il sostegno dei giovani e per favorire la mobilità degli studenti ai fini della corresponsione di assegni di ricerca ex articolo 51 della legge n. 449 del 1997.
Altri argomenti interessati dal provvedimento sono le scuole non statali, gli insegnanti di religione cattolica per quanto riguarda la corresponsione di assegni personali per eventuali miglioramenti economici, l'assunzione, nell'anno 2006-2007, di personale in qualità di coadiutore delle istituzioni di alta formazione artistica, musicale e coreutica.
Altri articoli riguardano la trasformazione di vari istituti e l'equipollenza di alcune lauree. Ad esempio, l'articolo 1-septies riguarda l'equipollenza di alcuni titoli di studio, poiché equipara il diploma di laurea in scienze motorie al diploma di laurea in fisioterapia di chi si sia diplomato e abbia conseguito l'attestato di frequenza ad un idoneo corso su paziente, da istituire con decreto ministeriale, presso le università.
Ciò è fuori da tutte le normative relative alla riforma delle professioni sanitarie. Mi riferisco alla legge n. 42 del 1999, sulle 22 professioni sanitarie, e alla legge n. 251 del 2000, che riguarda le lauree specialistiche e la dirigenza delle stesse professioni sanitarie.
È come se un farmacista, facendo un corso su paziente, avesse la possibilità di prendere la laurea in medicina. Ciò non sta in piedi, perché la scienza motoria non è una professione sanitaria.
Altri interventi riguardano destinazione di somme, finanziamenti, assunzioni, inquadramenti e risanamento e recupero dell'ambiente.
Sulla parità scolastica sono state dette tante cose dai colleghi che mi hanno preceduto.
Il Governo di centrosinistra aveva delineato una riforma istituendo il nuovo sistema pubblico integrato dell'istruzione, il sistema nazionale dell'istruzione. Non


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esistono scuole pubbliche e scuole paritarie: le scuole pubbliche sono scuole dello Stato - faccio riferimento ai colleghi che mi hanno preceduto - e poi vi sono le scuole paritarie private. Tutte fanno parte del sistema pubblico nazionale, con pari dignità e pari diritti, ai sensi del comma 2, ossia sono paritarie a tutti gli effetti negli ordinamenti vigenti. Probabilmente, in questi cinque anni il Governo non ha tenuto in grande considerazione il sistema scolastico. Lo dico anche alla luce delle poste di bilancio che hanno avuto sempre poca attenzione nei numeri: vi è stata una riduzione vera dei finanziamenti.
Vi era un sistema equilibrato con la legge n. 62 del 2000, che prevedeva un sistema nazionale con determinati criteri e standard per le scuole statali e le scuole private. La nuova proposta del ministro Moratti ha fatto di tutto per scardinare quel sistema e per demolire un punto di equilibrio molto importante che si era raggiunto nel nostro paese dopo un dibattito acceso svoltosi per tanti anni.
Esaminiamo, dunque, una proposta che al Senato è stata emendata, risultando una proposta legislativa nel complesso molto frettolosa. Tale proposta richiedeva una seria discussione, un attento confronto ed un ampio dibattito, necessario per una materia così delicata. Il provvedimento determina anche un aumento della spesa pubblica con una metodologia particolare in contrasto con l'articolo 81 della Costituzione.
L'articolo 1 del provvedimento disciplina l'incentivazione della ricerca nelle università tramite il finanziamento degli assegni di ricerca. È una cosa positiva perché si sostiene e si sviluppa l'attività dei nostri giovani ricercatori. L'intenzione è buona, ma l'attuazione non ha la fortuna di essere apprezzata. Si evidenzia la necessità di finanziare, quindi manca il sostegno. Si è, pertanto, di fronte ad un'emergenza cui si cerca di porre riparo con questo decreto. È evidente che non vi è stato sostegno alla ricerca, in contrasto con quanto, per tanto tempo, il ministro Moratti aveva sostenuto in tal senso. Il mondo della ricerca ha sostenuto diverse urgenze, contrarie alla politica ministeriale, ma attente alle reali esigenze: bandire i concorsi, finanziarie le assunzioni di giovani. Sono appelli del mondo dei ricercatori che non trovando nessuna risposta in Italia sono poi costretti ad andare all'estero. Quindi, in assenza di potenzialità, è necessario un sostegno non limitato, ma che abbia durata e permetta una sufficiente garanzia per portare avanti un vero progetto di ricerca.
In questo decreto-legge si evidenziano aspetti già noti: siamo nuovamente in presenza di interventi ad personam per singoli enti, assunti al di là di una visione di programmazione generale. Il provvedimento rischia di rendere le norme ancora più complesse, farraginose e contorte. Noi non condividiamo questo metodo: siamo convinti dell'importanza di alcune misure, ma siamo convinti che tali argomenti vadano affrontati in modo migliore. Per questo, siamo contrari e voteremo contro la conversione in legge di questo decreto-legge (Applausi dei deputati dei gruppi della Margherita, DL-L'Ulivo e dei Democratici di sinistra-L'Ulivo).

PRESIDENTE. Informo l'Assemblea che, dato il numero di colleghi che hanno chiesto di parlare, comunque questa sera non si passerà ai voti, che avranno luogo domani. Dunque, l'ulteriore durata della seduta è affidata alla benevolenza degli oratori che seguono...
Informo fin d'ora i colleghi che la seduta di domani avrà inizio alle 10.
Ha chiesto di parlare l'onorevole Mantini. Ne ha facoltà.

PIERLUIGI MANTINI. Signor Presidente, siamo in presenza di un decreto-legge che un tempo forse la dottrina giuspubblicistica avrebbe definito omnibus per l'eterogenità dei contenuti. Oggi, dovremmo cambiare denominazione e definirlo un decreto ad personas, in quanto è di evidente natura elettoralistica e si rivolge a gruppi di potenziali beneficiari, talvolta anche in modo paradossale, rischiando pure di scontentare gli utenti finali.


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Si tratta, soprattutto, di un provvedimento molto discutibile, e discusso lo è stato. Mi limiterò ad alcuni richiami sulla costituzionalità. È senz'altro illegittimo sul piano costituzionale l'uso del decreto-legge al di fuori dei requisiti previsti dall'articolo 77 della Costituzione per la mancanza dei requisiti di necessità e d'urgenza. La dimostrazione sarebbe agevole. Ma è anche assai discutibile sul piano costituzionale un provvedimento che entra così nel dettaglio delle modalità, ad esempio, di erogazione dei contributi alle scuole paritarie, in pieno contrasto con l'articolo 117, terzo comma, della Costituzione. È, inoltre, sbagliata e discutibile nel merito costituzionale la disposizione che stabilisce una procedura particolare di legittimazione delle scuole non paritarie, in contrasto evidente con l'articolo 33 della Costituzione, che stabilisce ed afferma il sacrosanto principio della libertà dell'istruzione e della scuola, senza titoli legalmente parificati e senza contributi statali. È, quindi, una norma di chiaro impianto statalista e anche liberticida.
Nel merito, è anche assai preoccupante l'impostazione, che vorrebbe anch'essa essere di carattere elettoralistico (ritengo con scarsi risultati), con cui vengono elargiti alcuni finanziamenti per gli assegni di ricerca. Anche in questo caso, però, rompendo la tradizione che vorrebbe l'assegno di ricerca biennale, lo si limita ad un anno e, soprattutto, si esclude una vastissima platea di ricercatori, cioè quelli degli enti di ricerca al di fuori delle università, i ricercatori, ad esempio, che partecipano ai programmi del CNR, dell'ENEA, dell'ASI, dell'INAF e di tanti altri enti di ricerca.
L'eterogeneità, poi, diviene paradossale ove si presti attenzione ai diversi profili riguardanti le professioni, in cui viene stabilito un principio assai pericoloso di equipollenza tra i diplomi di laurea e le lauree triennali di nuova istituzione. Questo principio di equipollenza è, infatti, espressamente negato dal nostro ordinamento. Si fanno, quindi, deroghe eccezionali, ad personas. Non abbiamo nulla in contrario, nel merito, sull'impostazione che si vuol dare alla laurea in scienze motorie e a quella in fisioterapia, subordinatamente alla frequenza certificata di un corso su paziente da istituire con decreto ministeriale. Possiamo anche ritenere corretta l'impostazione nel merito, ma ovviamente tutto ciò non può essere disposto caso per caso, con decreti-legge, in violazione della regola del divieto di equipollenza.
Ciò vale, con considerazioni di merito diverse, anche per ciò che riguarda l'equipollenza della laurea triennale di primo livello al diploma riguardante la professione di enologo.
Si tratta di una professione limitata (peraltro, non è proprio una professione) prevista nel registro del Ministero dell'agricoltura. Non si capisce perché non venga dichiarata l'equipollenza tra il diploma di laurea in erboristeria, per esempio, e quello in scienze agrarie e via seguitando.
Sono stati, quindi, varati provvedimenti con una logica dirompente rispetto a quel minimo di unitarietà che gli ordinamenti, anche quelli settoriali, devono presentare.
Vorrei svolgere un'ultima considerazione in ordine alla «mancia» finale - mi dispiace utilizzare un'espressione un po' forte - dei 250 mila euro per il finanziamento del Museo della Shoah a Ferrara. In realtà, avevamo previsto 14,5 milioni di euro; avevamo anche proposto in diverse sedi, anche in seguito ad incontri con autorevoli esponenti del Governo, con una certa riservatezza, che una parte almeno di questo finanziamento fosse destinato al progetto in fase assai avanzata, proprio in questi giorni confermato e ribadito, definito «Binario 21» (Museo della Shoah di Milano), l'unico luogo storico di deportazione di ebrei italiani verso i campi di concentramento, di sterminio.
Tale progetto ha ricevuto l'approvazione di tutta la comunità ebraica, anche del comune, della provincia e della regione Lombardia, e con riferimento ad esso era stato già disposto un finanziamento quasi sufficiente. Sarebbe bastato il segno di un contributo da parte del Parlamento anche per superare qualche problema, diciamo,


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procedurale (e mi riferisco al riconoscimento dello status di opera pubblica).
Nonostante ciò fosse stato richiesto dall'associazione Figli della Shoah e dalle istituzioni locali, nonostante questo progetto fosse assolutamente pronto sul piano della fattibilità, è mancato anche quel piccolo contributo su cui era stato assunto un impegno - ahimè vano - da parte del Governo e di altre forze parlamentari. Non possiamo che dolerci in questa circostanza di questa ennesima disattenzione.
Concludo, augurandomi davvero che il prossimo Parlamento, non solo il prossimo Governo, possa recuperare la rotta della qualità della legislazione, oltre che il merito delle politiche utili al paese (Applausi dei deputati dei gruppi della Margherita, DL-L'Ulivo e dei Democratici di sinistra-L'Ulivo).

PRESIDENTE. Constato l'assenza degli onorevoli Maurandi e Mariotti, che avevano chiesto di parlare: si intende che vi abbiano rinunziato.
Nessun altro chiedendo di parlare, invito il relatore ad esprimere il parere della Commissione.

FABIO GARAGNANI, Relatore. Signor Presidente, la Commissione esprime parere contrario su tutte le proposte emendative presentate.

PRESIDENTE. Il Governo?

VALENTINA APREA, Sottosegretario di Stato per l'istruzione, l'università e la ricerca. Signor Presidente, il Governo esprime parere conforme a quello espresso dal relatore.

PRESIDENTE. Il seguito del dibattito è rinviato ad altra seduta.

Per la risposta a strumenti del sindacato ispettivo (ore 18,40).

LUIGI BORRELLI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

LUIGI BORRELLI. Signor Presidente, intervengo per sollecitare il Governo a fornire una risposta ad una mia interrogazione a risposta scritta, presentata il 24 novembre 2004.
Posso capire che, spesso, i lavori dell'Assemblea sono «intasati», ma che il Ministero delle attività produttive non abbia nemmeno la carta e la penna per scrivere la risposta è veramente grave!
Trattandosi di una vicenda che riguarda una delle aziende più importanti della mia regione, l'Abruzzo - mi riferisco alla Delverde -, sollecito pertanto la risposta del ministro delle attività produttive alla mia interrogazione n. 4-11756, del 24 novembre 2004.

ANTONIO SERENA. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

ANTONIO SERENA. Signor Presidente, intervengo per segnalare che, nonostante alcuni precedenti solleciti scritti e verbali, diverse mie interrogazioni attendono risposta ormai da 4 o 5 anni.
Mi riferisco, in particolare, alle interrogazioni n. 4-00824 del 27 settembre 2001, n. 4-00891 dell'8 ottobre 2001 e n. 4-13215 del 24 febbraio 2005. Si tratta di interrogazioni che dovrebbero seguire un iter di priorità assoluta. La più recente riguarda, ad esempio, persone che si sono ammalate in seguito a trasfusioni, contraendo l'epatite C; alcune di queste, nel frattempo, sono già decedute.
È noto - se ne è parlato più volte in Ufficio di Presidenza e in aula senza addivenire ad una soluzione - che, in questa legislatura, vi è stata una falcidia di interrogazioni presentate, a causa di una rigida applicazione del regolamento. Se poi le poche interrogazioni presentate devono attendere una risposta per tutta la durata della legislatura, viene da chiedersi a cosa si intenda ridurre l'attività ispettiva dei parlamentari.
Inoltre, le risposte fornite ad alcune interrogazioni sono inutili, rendendo conseguentemente inutile la loro stessa presentazione. Ad esempio, dopo essere stato


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ripetutamente richiesto da qualche collega il ritiro di una interrogazione sulla variante di valico, nella quale si chiedeva di appurare le responsabilità per i grossi ritardi nell'esecuzione di alcune opere, il ministro competente ha risposto che, interpellate al riguardo, la società Autostrade e l'ANAS affermavano (...). D'altra parte, cosa potevano dire di diverso coloro che nella mia interrogazione venivano indicati quali soggetti inadempienti, se non sostenere che tutto andava bene? Insomma, una farsa!
Questi problemi sono stati già ampiamente affrontati nelle sedi proprie dal mio capogruppo, onorevole Boato, ma non è accaduto assolutamente nulla.
Ho scritto più volte lettere personali al Presidente Casini per denunciare una situazione che non è solo vergognosa e scandalosa, ma anche ridicola, in quanto molti colleghi «passano» a colleghi del Senato queste interrogazioni, affinché siano esaminate. Capisco i numerosi impegni del Presidente della Camera, e quindi giustifico alcune sviste che lo portano a sottoscrivere frettolosamente il rigetto di alcune interrogazioni, ma non è possibile che si arrivi ad appellarsi al regolamento per respingere, ad esempio, un'interrogazione che chiede al Ministero dell'interno la tutela dell'immagine e della reputazione delle Forze dell'ordine!
Penso di essere il deputato che, nel corso di questa legislatura, si è visto dichiarare inammissibile il maggior numero di interrogazioni; probabilmente, dopo quattro legislature, non ho ancora imparato a formulare le interrogazioni o, molto più probabilmente, vi è stato l'ordine di sfoltire il numero delle interrogazioni presentate, anche se i motivi non riesco a comprenderli.
Annuncio che, per protestare contro questa situazione che ritengo intollerabile, continuerò a disertare i lavori della IV Commissione, della quale sono componente.

MARCO ZACCHERA. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

MARCO ZACCHERA. Signor Presidente, intervengo anch'io per sollecitare non tanto lo svolgimento di un'interrogazione da me presentata venerdì scorso, bensì una presa di posizione su un fatto molto grave, del quale desidero informare i colleghi, avvenuto nei giorni scorsi a Saluggia, in provincia di Vercelli.
Saluggia è un sito dove in passato è stata svolta un'attività che ha portato all'accumulo di alcune scorie nucleari e radioattive, che si trovano in una situazione di pericolosità perché all'aperto e su cui da molto tempo i Governi fin qui succedutisi hanno impostato tutta una serie di interventi per la messa in sicurezza. La SOGIN ha avuto, successivamente all'ENEA, tale obbligo e in questo senso sta provvedendo, mettendo nel frattempo temporaneamente in sicurezza quel sito potenzialmente molto pericoloso. A tale proposito è necessario, però, che il consiglio comunale di Saluggia approvi una variante del piano regolatore, al fine di consentire lo stoccaggio provvisorio.
Ebbene, signor Presidente, la settimana scorsa, il consiglio comunale di Saluggia, in cui su questo punto tra opposizione e maggioranza (che è di centrosinistra) non vi sono divisioni politiche, è stato letteralmente invaso da alcune centinaia di dimostranti della «NO TAV», che non c'entrano assolutamente nulla con il sito di Saluggia, ma che sono ormai diventati (trasportati in giro per l'Italia) massa di pressione e di manovra di tutti i facinorosi del paese, che hanno bloccato il consiglio comunale, invadendone la sede, impedendogli di deliberare e lasciando il campo solo quando la riunione del consiglio comunale è stata sciolta, in quanto il sindaco, non potendo sottostare alla violenza, ha disposto la conclusione anticipata dei lavori del consiglio comunale stesso.
Nessuno ha sollevato problemi da questo punto di vista, per quanto mi risulti, salvo io stesso in una interrogazione presentata; peraltro, quando sono intervenuto sul prefetto di Vercelli, mi sono sentito dire: «Che cosa doveva fare il consiglio comunale se era stato invaso»? Mi chiedo se esista uno staff - e su questo punto


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interpello la Presidenza - che in questi casi sia in grado di intervenire anche sul Ministero dell'interno, come io ho fatto, chiedendo il motivo per cui il questore di Vercelli non è intervenuto per identificare i responsabili dell'episodio. È estremamente grave che un luogo radioattivo, potenzialmente pericoloso, non venga posto in sicurezza perché, in nome dell'ambiente, una massa di facinorosi, minimale rispetto alla volontà popolare, può fare quello che vuole, compresa l'interruzione dei lavori di un consiglio comunale.
Mi sembra una cosa scandalosa e chiedo alla Presidenza della Camera di intervenire presso il ministro dell'interno e la Presidenza del Consiglio per avere celermente una risposta, ed anche perché si dispongano interventi affinché non siano i facinorosi ma il voto democratico, a livello amministrativo, a decidere il trattamento di un sito che, in questo caso, pone un problema non solo locale ma di interesse nazionale.

PRESIDENTE. Nell'assicurare che la sollecitazione formulata dall'onorevole Borrelli sarà senz'altro trasmessa al Governo, rilevo, con riferimento alle considerazioni dell'onorevole Serena, che i criteri di ammissibilità delle interrogazioni rappresentano una prerogativa della Presidenza, che credo l'abbia esercitata con la necessaria oculatezza.
Per quanto riguarda l'insoddisfazione per le risposte fornite dal Governo, quando sono state fornite, naturalmente non può essere la Presidenza della Camera a sindacare l'operato del Governo.
Sulla questione, sicuramente rilevante, sollevata dall'onorevole Zacchera, la Presidenza può impegnarsi affinché il ministro dell'interno venga a rispondere rapidamente alle questioni prospettate, tenendo conto anche della delicatezza che le caratterizza.

MARCO FILIPPESCHI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

MARCO FILIPPESCHI. Vorrei sollecitare la risposta del Governo ad un'interrogazione a risposta scritta, la n. 4-19204, riguardante la situazione dell'industria geotermica toscana. Stiamo proseguendo nei lavori parlamentari su richiesta esplicita del Governo, che ha accampato la necessità di portare a conclusione provvedimenti importanti; per tale ragione, sollecito una risposta su un tema che vede a rischio la sicurezza del lavoro per un comparto che impiega circa novecento lavoratori in un settore strategico, quello delle energie rinnovabili, che ha bisogno di risposte concrete.

PRESIDENTE. Onorevole Filippeschi, anche la sua sollecitazione sarà trasmessa al Governo.

Ordine del giorno della seduta di domani.

PRESIDENTE. Comunico l'ordine del giorno della seduta di domani.

Mercoledì 1o febbraio 2006, alle 10:

(ore 10 e ore 16)

1. - Assegnazione a Commissione in sede legislativa della proposta di legge 6277.

2. - Discussione di un documento in materia di insindacabilità ai sensi dell'articolo 68, primo comma, della Costituzione:
Richiesta di deliberazione ai sensi dell'articolo 68, primo comma, della Costituzione, nell'ambito di un procedimento penale nei confronti del deputato Menia (Doc. IV-ter, n. 20-A).
- Relatore: Siniscalchi.

3. - Seguito della discussione della proposta di legge:
PECORELLA: Modifiche al codice di procedura penale, in materia di inappellabilità


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delle sentenze di proscioglimento (Rinviata alle Camere dal Presidente della Repubblica) (4604-C).
- Relatore: Bertolini.

4. - Discussione del disegno di legge (per l'esame e la votazione delle questioni pregiudiziali presentate):
S. 3716 - Conversione in legge, con modificazioni, del decreto-legge 30 dicembre 2005, n. 272, recante misure urgenti per garantire la sicurezza ed i finanziamenti per le prossime Olimpiadi invernali, nonchè la funzionalità dell'Amministrazione dell'interno. Disposizioni per favorire il recupero di tossicodipendenti recidivi (Approvato dal Senato) (6297).

5. - Seguito della discussione del disegno di legge:
S. 3684 - Conversione in legge, con modificazioni, del decreto-legge 5 dicembre 2005, n. 250, recante misure urgenti in materia di università, beni culturali ed in favore di soggetti affetti da gravi patologie, nonché in tema di rinegoziazione di mutui (Approvato dal Senato) (6293).
- Relatore: Garagnani.

6. - Seguito della discussione del disegno di legge:
Conversione in legge del decreto-legge 10 gennaio 2006, n. 4, recante misure urgenti in materia di organizzazione e funzionamento della pubblica amministrazione (6259-A).
- Relatore: Mazzoni.

(ore 15)

7. - Svolgimento di interrogazioni a risposta immediata.

PROPOSTA DI LEGGE DI CUI SI PROPONE L'ASSEGNAZIONE A COMMISSIONE IN SEDE LEGISLATIVA

IV Commissione permanente (Difesa):
S. 2274-2275 - Senatori BONATESTA; NIEDDU ed altri: «Norme per la concessione di contributi statali alle associazioni combattentistiche» (approvata, in un testo unificato, dal Senato) (6277) - Parere delle Commissioni I e V.

La seduta termina alle 18,55.


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ORGANIZZAZIONE DEI TEMPI DI ESAME DELLA MOZIONE ALL'ORDINE DEL GIORNO DELLA SEDUTA STRAORDINARIA DEL 2 FEBBRAIO 2006

Mozione Violante ed altri n. 1-00513 concernente l'esenzione dalla raccolta delle firme per la presentazione delle candidature alle elezioni politiche per i partiti o i gruppi che abbiano dimostrato una reale rappresentatività

Tempo complessivo, comprese le dichiarazioni di voto: 5 ore.

Governo

20 minuti

Richiami al regolamento

10 minuti

Tempi tecnici

5 minuti

Interventi a titolo personale

40 minuti (con il limite massimo di 7 minuti per il complesso degli interventi di ciascun deputato)

Gruppi

3 ore e 10 minuti

Forza Italia

43 minuti

Democratici di sinistra-L'Ulivo

37 minuti

Alleanza Nazionale

30 minuti

Margherita, DL-L'Ulivo

27 minuti

UDC (CCD-CDU)

20 minuti

Lega Nord Federazione Padana

18 minuti

Rifondazione comunista

15 minuti

Gruppo misto

36 minuti

Popolari-UDEUR

8 minuti

La Rosa nel Pugno

7 minuti

Comunisti italiani

7 minuti

Verdi-l'Unione

5 minuti

Liberal-democratici, Repubblicani, Nuovo PSI

4 minuti

Minoranze linguistiche

3 minuti

Ecologisti democratici

2 minuti

Al tempo sopra indicato si aggiungono 5 minuti per l'illustrazione della mozione.


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ORGANIZZAZIONE DEI TEMPI DI ESAME DEGLI ARGOMENTI IN CALENDARIO

Pdl n. 4604-B - Inappellabilità delle sentenze di proscioglimento

Seguito dell'esame: 7 ore.

Relatore

25 minuti

Governo

25 minuti

Richiami al regolamento

10 minuti

Tempi tecnici

40 minuti

Interventi a titolo personale

55 minuti (con il limite massimo di 9 minuti per il complesso degli interventi di ciascun deputato)

Gruppi

3 ore e 45 minuti

Forza Italia

50 minuti

Democratici di sinistra-L'Ulivo

43 minuti

Alleanza Nazionale

36 minuti

Margherita, DL-L'Ulivo

33 minuti

UDC (CCD-CDU)

24 minuti

Lega Nord Federazione Padana

21 minuti

Rifondazione comunista

18 minuti

Gruppo misto

42 minuti

Popolari-UDEUR

9 minuti

La Rosa nel Pugno

8 minuti

Comunisti italiani

8 minuti

Verdi-l'Unione

6 minuti

Liberal-democratici, Repubblicani, Nuovo PSI

5 minuti

Minoranze linguistiche

4 minuti

Ecologisti democratici

2 minuti


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Pdl n. 2406-B - Sistema fieristico nazionale

Tempo complessivo: 10 ore e 15 minuti, di cui:
discussione generale: 6 ore;
seguito dell'esame: 4 ore e 15 minuti.

 

Discussione generale

Seguito esame

Relatore

15 minuti

15 minuti

Governo

15 minuti

15 minuti

Richiami al regolamento

10 minuti

10 minuti

Tempi tecnici

 

20 minuti

Interventi a titolo personale

55 minuti (con il limite massimo di 15 minuti per il complesso degli interventi di ciascun deputato)

35 minuti (con il limite massimo di 5 minuti per il complesso degli interventi di ciascun deputato)

Gruppi

3 ore e 45 minuti

2 ore e 15 minuti

Forza Italia

35 minuti

31 minuti

Democratici di sinistra-L'Ulivo

34 minuti

26 minuti

Alleanza Nazionale

32 minuti

21 minuti

Margherita, DL-L'Ulivo

32 minuti

20 minuti

UDC (CCD-CDU)

31 minuti

14 minuti

Lega Nord Federazione Padana

31 minuti

12 minuti

Rifondazione comunista

30 minuti

11 minuti

Gruppo misto

42 minuti

27 minuti

Popolari-UDEUR

9 minuti

6 minuti

La Rosa nel Pugno

8 minuti

5 minuti

Comunisti italiani

8 minuti

5 minuti

Verdi-l'Unione

6 minuti

4 minuti

Liberal-democratici, Repubblicani, Nuovo PSI

5 minuti

3 minuti

Minoranze linguistiche

4 minuti

2 minuti

Ecologisti democratici

2 minuti

2 minuti


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Pdl n. 2 e abb. - Polizia locale

Tempo complessivo: 11 ore e 30 minuti, di cui:
discussione generale: 6 ore;
seguito dell'esame: 5 ore e 30 minuti.

 

Discussione generale

Seguito esame

Relatore

15 minuti

15 minuti

Governo

15 minuti

15 minuti

Richiami al regolamento

10 minuti

10 minuti

Tempi tecnici

 

20 minuti

Interventi a titolo personale

55 minuti (con il limite massimo di 15 minuti per il complesso degli interventi di ciascun deputato)

45 minuti (con il limite massimo di 8 minuti per il complesso degli interventi di ciascun deputato)

Gruppi

3 ore e 45 minuti

3 ore e 10 minuti

Forza Italia

35 minuti

42 minuti

Democratici di sinistra-L'Ulivo

34 minuti

36 minuti

Alleanza Nazionale

32 minuti

30 minuti

Margherita, DL-L'Ulivo

32 minuti

28 minuti

UDC (CCD-CDU)

31 minuti

20 minuti

Lega Nord Federazione Padana

31 minuti

18 minuti

Rifondazione comunista

30 minuti

16 minuti

Gruppo misto

42 minuti

36 minuti

Popolari-UDEUR

9 minuti

8 minuti

La Rosa nel Pugno

8 minuti

7 minuti

Comunisti italiani

8 minuti

7 minuti

Verdi-l'Unione

6 minuti

5 minuti

Liberal-democratici, Repubblicani, Nuovo PSI

5 minuti

4 minuti

Minoranze linguistiche

4 minuti

3 minuti

Ecologisti democratici

2 minuti

2 minuti