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PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca Comunicazioni del Presidente in ordine alla richiesta...(Commenti).
Onorevoli colleghi, vi prego di ascoltare. Onorevole Adduce, prego anche lei di ascoltare; le sarei molto grato personalmente...
SALVATORE ADDUCE. Sono venuto apposta!
PRESIDENTE. ...poiché ritengo molto importanti le critiche che lei mi rivolge, ma spero che lei ritenga altrettanto importante ciò che dico.
Come stavo dicendo, l'ordine del giorno reca Comunicazioni del Presidente in ordine alla richiesta formulata ai sensi dell'articolo 62, secondo comma, della Costituzione.
L'odierna seduta è stata, infatti, convocata a seguito della richiesta, trasmessa il 22 dicembre scorso dall'onorevole Giachetti, di convocazione in via straordinaria della Camera, ai sensi dell'articolo 62, secondo comma, della Costituzione, e 29, comma 1, del regolamento, sottoscritta dal prescritto numero di deputati (un terzo dei componenti della Camera) e finalizzata alla «discussione e approvazione di un testo che fissi modi e tempi per l'esame di un provvedimento di clemenza entro la legislatura in corso».
A seguito di tale iniziativa, secondo la consolidata prassi attuativa della ricordata disposizione costituzionale, ho convocato lo scorso 23 dicembre la Conferenza dei
presidenti di gruppo, competente a determinare il calendario dei lavori della Camera, per valutare i tempi e i modi con cui dare corso alla richiesta (come precisato dalla Presidenza della Camera, in analoga circostanza, nella seduta del 12 marzo 1992, la formulazione dell'ordine del giorno non costituisce, infatti, diritto esclusivo di una minoranza, sia pure qualificata, ma compete in ogni caso alla Conferenza dei presidenti di gruppo ed al Presidente).
In quella sede ho prospettato un'alternativa tra due possibili itinerari procedurali. Ove si fosse registrato un ampio consenso circa la necessità di un sollecito esame in Assemblea del provvedimento sulla base delle conclusioni della Commissione, la Camera avrebbe potuto essere direttamente convocata alla ripresa dei lavori nel mese di gennaio per la discussione del progetto di legge; in questo modo, si sarebbe potuta dare, sul piano sostanziale, piena soddisfazione alle finalità alla base dell'iniziativa.
In caso contrario, si sarebbe proceduto - come è poi avvenuto, in conformità, del resto, a precedenti analoghe circostanze - alla convocazione straordinaria della Camera, al fine di consentire lo svolgimento di un dibattito sulla questione secondo la richiesta formulata.
In esito alla riunione della Conferenza di presidenti di gruppo, essendo state espresse posizioni diversificate sull'opportunità della trattazione o meno dell'argomento, come anche sulle modalità ed i tempi per il relativo esame, ho ritenuto di convocare la Camera per la giornata di oggi con all'ordine del giorno «Comunicazioni del Presidente», nell'orario abituale, al fine di svolgere un dibattito che consenta ai rappresentanti dei gruppi ed ai sottoscrittori della richiesta di manifestare in via definitiva il proprio orientamento in materia.
Per quanto riguarda la data, avevo prospettato nella Conferenza dei presidenti di gruppo l'eventualità - vi sono i verbali - di fissare questa seduta a gennaio, alla ripresa dei lavori parlamentari, per consentire, nel frattempo, alla Commissione competente di riunirsi in sede referente per fornire i necessari elementi di valutazione. Può testimoniarlo autorevolmente il presidente Pecorella, che fu da me avvertito telefonicamente, nel corso della Conferenza dei presidenti di gruppo, e che mi aveva anche dato la sua disponibilità a lavorare in sede di Commissione.
A fronte tuttavia della insistenza dei sottoscrittori della richiesta, e in mancanza, come detto, di un largo consenso su una ipotesi procedurale determinata, ho convocato la Camera il primo giorno utile per lo svolgimento del dibattito richiesto.
A questo fine, riassumo i termini della questione.
Ricordo, innanzitutto, che l'esame dei progetti di legge in materia di amnistia ed indulto, onorevole Buemi a proposito di quanto ci dicevamo, è in corso presso la Commissione giustizia. Il testo unificato adottato dalla Commissione, anche come risultante dagli emendamenti approvati nel gennaio 2003, ha per oggetto esclusivamente la concessione dell'indulto. Il 14 dicembre scorso la Commissione ha deliberato di dar mandato al relatore di verificare presso i gruppi la sussistenza delle condizioni politiche necessarie per riprendere l'esame del provvedimento dopo una lunga pausa che dura dal 2003.
Per quanto riguarda l'eventuale esame in Assemblea, richiamo quanto previsto dall'articolo 79, primo comma, della Costituzione, il quale prevede, cito testualmente: « L'amnistia e l'indulto sono concessi con legge deliberata a maggioranza dei due terzi dei componenti di ciascuna Camera, in ogni suo articolo e nella votazione finale». Si tratta inoltre di materia, come tutti sanno, assoggettabile a voto segreto, secondo il regolamento della Camera, e pertanto contingentabile, ma solo a partire dal secondo calendario.
A quest'ultimo proposito non ho bisogno di ricordare che l'eventuale esame in Assemblea del provvedimento, almeno stando al quadro delle scadenze che è stato prospettato, non potrebbe che svolgersi a ridosso dello scioglimento delle
Camere, evidenziandosi quindi la necessità di perfezionare l'iter legislativo in tempi estremamente ristretti.
Naturalmente dico questo, salvo che non si manifesti da parte dei gruppi parlamentari un orientamento unanime, perché in quel caso il discorso che sto facendo in questo momento diventa inutile; infatti, se il provvedimento nel primo calendario non può essere contingentato, basta fissarlo il 10 gennaio e, presumibilmente, se c'è un orientamento unanime, l'11 gennaio può essere approvato.
Ho voluto ricordare i termini oggettivi entro i quali si colloca l'eventuale esame in assemblea del provvedimento, per sottolineare la particolare responsabilità che in tali condizioni grava sui gruppi e in generale sui membri della Camera, vista l'estrema delicatezza della questione, che coinvolge in modo diretto migliaia di situazioni personali facenti capo ai detenuti e loro familiari.
Di qui la necessità che il dibattito si svolga in modo serio e costruttivo, al di là di ogni strumentalizzazione, con quella sobrietà e quel rigore, negli accenti e nei comportamenti, che devono contraddistinguere la trattazione di argomenti di tale rilevanza.
Per quanto riguarda lo svolgimento della seduta, trattandosi sostanzialmente di un dibattito sull'ordine dei lavori, darò la parola, oltre che al primo firmatario della richiesta, onorevole Giachetti (che nella Conferenza dei presidenti di gruppo ha sottolineato correttamente - gliene devo dare atto - che non intendeva rappresentare i sottoscrittori ma parlava a titolo personale), ad un rappresentante per ciascun gruppo e componente politica del gruppo Misto per 10 minuti. Darò altresì la parola ad altri sottoscrittori che ne faranno richiesta, riservandomi di stabilire il tempo anche in relazione al numero delle iscrizioni a parlare.
Onorevoli colleghi, evidentemente, a me spettava non di entrare nel merito, ma di riepilogare il quadro tecnico regolamentare in cui si colloca la discussione.
Prego, onorevole Giachetti, ha facoltà di parlare.
ROBERTO GIACHETTI. Signor Presidente, comprendo che dal punto di vista formale non spettava a lei offrirci una valutazione sul merito delle vicende di cui oggi ci occupiamo.
Lei, signor Presidente, non ci ha risparmiato la sua opinione - e ne sono stato lieto - in altre occasioni, quando si discuteva di altre questioni, magari fuori da quest'aula. Oggi, mi sarei aspettato che avesse colto l'occasione anche per dare valore ad una scelta che tutti insieme abbiamo voluto compiere; mi sarei aspettato che magari due parole in più sul merito avesse avuto l'urgenza e anche l'interesse di dirle a noi tutti, che siamo qui per discutere insieme e anche per formare decisioni da parte della Camera.
Signor Presidente, non credo che oggi quest'aula sia vuota, sorda e grigia, come qualcuno ha voluto descriverla; tornerò sull'argomento a conclusione del mio intervento, che sarà breve. Credo che oggi - e lo dico ringraziando tutti coloro che hanno sottoscritto la richiesta di convocazione straordinaria ed anche tutti coloro (ve ne sono) che non l'hanno sottoscritta, ma che hanno voluto comunque essere presenti - al di là di come la notizia è apparsa sui giornali, si scriva una pagina bella ed importante di questo nostro Parlamento. Ciò esattamente per le ragioni che lei, signor Presidente, evidenziava e che credo siano alla base delle 209 diverse volontà che hanno voluto fare in modo che oggi ci riunissimo, ossia perché si interrompesse il balletto di dichiarazioni, di affermazioni, di contraddizioni che si è sviluppato per settimane e, purtroppo, per anni sulle pagine dei giornali, sulle televisioni, in ogni ambito, tranne che in quello naturale, e mi riferisco al Parlamento.
Signor Presidente, a dispetto di una sua visione un po' pessimistica (la comprendo, perché conosce meglio di me i lavori parlamentari) sui tempi e sulle possibilità di approvare un provvedimento di clemenza in questa Assemblea e, magari, anche al Senato, è stato chiesto che immediatamente, ancorché nel pieno delle feste natalizie, vi fosse una presa di posizione
formale dei partiti in Parlamento e dei gruppi nell'aula di Montecitorio riguardo alle proprie intenzioni. Peraltro, i giornali sono l'unico strumento disponibile con il quale possiamo misurarci, atteso che non c'è decisione parlamentare al riguardo, salvo alcune verifiche svolte in Commissione giustizia che, a mio avviso, non esauriscono il tema (signor Presidente, tornerò anche su questo argomento), e in questa sede non abbiamo avuto la possibilità di conoscere la volontà non soltanto dei gruppi, ma anche dei singoli deputati.
Signor Presidente, onorevoli colleghi - mi rivolgo a tutti, facendo un invito pacato alla riflessione anche rispetto alle posizioni che effettivamente si rappresentano nel dibattito in corso - se dobbiamo procedere con il voto segreto, c'è il presupposto della libertà di coscienza. Ed io - forse perché sono abituato a sperare sempre in positivo e per il meglio - sono convinto che, se riuscissimo nella grande impresa di arrivare a votare in Assemblea (non in Commissione a voto palese, in base agli schieramenti ed alle decisioni di un certo numero di deputati), tutti insieme, a scrutinio segreto la proposta di amnistia e la proposta di indulto, non escludo che qualche sorpresa l'avremmo.
Leggendo in questi giorni sui giornali le dichiarazioni e anche le prese di posizione, vediamo che, in effetti, vi è una situazione tale per cui difficilmente noi possiamo oggi rappresentare semplicemente posizioni blindate ed univoche dei gruppi.
Signor Presidente, concludo, perché so che il tempo è limitato e ci tengo ad ascoltare le altre voci di coloro che hanno firmato questo documento. Vorrei semplicemente dirle che coloro che sono qui, coloro che non ci sono, perché magari hanno avuto dei problemi, e coloro che sapevo non sarebbero potuti essere presenti, hanno voluto consentire a me, a lei, a noi tutti di scrivere una pagina positiva.
Mi sarebbe piaciuto che il Presidente, anche nelle dichiarazioni rese nei giorni scorsi, avesse valorizzato la positività di questo evento. Non è utile e necessario ricordare che ci sono 150 parlamentari, anziché 200 (che comunque non sarebbero mai la maggioranza, signor Presidente, bensì un terzo, come lei ha ricordato), ma affermare come ciò sia qualcosa di positivo che ha la forza, anche perché rappresenta una trasversalità totale nell'ambito di quest'Assemblea (ad eccezione dei colleghi della Lega), di una volontà che probabilmente va oltre le posizioni stabilite e prestabilite dai diversi gruppi.
Concludo, signor Presidente, osservando che, a dire il vero, ho partecipato alla Conferenza dei presidenti di gruppo e ho avuto modo di ringraziarla per le tre diverse cortesie che lei ha voluto rivolgermi, istituzionale, costituzionale e personale. Tuttavia, signor Presidente, la sua risposta a proposito della convocazione è stata: il Presidente della Camera sono io e convoco quando dico io.
Mi permetto di dirle - dal momento che lei sa perfettamente, signor Presidente, che, a differenza di altre voci, non solo l'ho difesa, ed è poca cosa perché certo non ha bisogno delle mie difese, ma ho sempre apprezzato il suo operato - che per la prima volta - mi spiace che accada a fine legislatura - lei ha utilizzato le sue prerogative, lei ha applicato il regolamento, ma convocando la seduta questa mattina alle 9,30, quando il martedì alle 9,30 la Camera non viene convocata da tre anni, ha commesso un grave errore, e francamente se lo poteva risparmiare (Applausi dei deputati dei gruppi della Margherita, DL-L'Ulivo, dei Democratici di sinistra-L'Ulivo, Misto-La Rosa nel pugno e Misto-Verdi-l'Unione - Commenti dei deputati del gruppo di Alleanza Nazionale).
PRESIDENTE. Finirà che questa convocazione l'ho voluta io...
Ha chiesto di parlare l'onorevole Pecoraro Scanio. Ne ha facoltà.
ALFONSO PECORARO SCANIO. Signor Presidente, noi Verdi abbiamo insistito fin dall'inizio di questa legislatura per l'adozione di provvedimenti di clemenza, di amnistia e di indulto, e riteniamo quindi che il dibattito di oggi non debba essere una sorta di pietra tombale sull'amnistia e sull'indulto. Questa, infatti, è
la nostra preoccupazione, per le posizioni, che definirei propagandistiche, che soprattutto il ministro della giustizia ha inteso assumere in questi giorni, rispondendo a un dibattito molto ampio, nel quale si chiede un provvedimento di clemenza, con l'arroganza di chi annuncia, guarda caso in questo momento: costruiremo altre carceri.
Dunque, la risposta a tali temi, a quello che in quest'aula fu anche l'appello del Pontefice, a un dibattito largo, che coinvolge tante parti della società civile e politica e dell'associazionismo di questo paese, è stata: più carceri. Una risposta pesante, brutta, soprattutto da parte di un esponente di un Governo che ha promosso molte leggi sulla giustizia e molte leggi per risolvere situazioni specifiche e che si è molto occupato dei problemi giudiziari dei potenti e dei prepotenti, e che mostra invece il pugno del ministro della giustizia contro i più deboli, contro le situazioni più difficili, contro le situazioni più precarie, contro un provvedimento di clemenza previsto dall'ordinamento costituzionale.
Rivolgiamo dunque un appello affinché questa sia una discussione franca, nella quale si risponda al dibattito aperto sull'amnistia e sull'indulto, che certamente riguarda anche il problema del sovraffollamento carcerario e delle condizioni delle carceri. Tale problema non si risolve pensando di ricorrere a nuovi appalti e di promuovere un'altra politica di opere pubbliche sulla costruzione delle carceri, che peraltro in Italia ha sempre creato problemi vari, su cui sono caduti diversi ministri nel passato lontano.
Chiediamo dunque un dibattito chiaro, e soprattutto ricordiamo che i deputati Verdi hanno presentato fin dall'inizio della legislatura, attraverso l'onorevole Boato e l'onorevole Cento, ben due proposte, per chiedere quanto meno la modifica dell'articolo 79 della Costituzione che, prevedendo i due terzi dei componenti delle Camere per approvare provvedimenti di amnistia e indulto, ha impedito di fatto al Parlamento da oltre dieci anni, dopo l'introduzione di tale norma, di approvare qualsiasi provvedimento di clemenza. Gli oltre 40 provvedimenti di clemenza adottati negli anni precedenti la modifica erano considerati da alcuni un po' troppi, ma il fatto che dal 1992 in poi tali provvedimenti siano scomparsi dovrebbe portare il Parlamento - trattandosi di una modifica costituzionale, ci auguriamo che ciò accada nella prossima legislatura - a ritornare su tale norma. Abbiamo proposto di introdurre la maggioranza assoluta dei componenti, che, badate, è già la maggioranza che in questo paese serve a modificare la Costituzione: paradossalmente, per l'amnistia e l'indulto c'è infatti bisogno della maggioranza di due terzi dei componenti, dunque superiore alla maggioranza necessaria per modificare la Costituzione. Di fatto si è finito per abrogare l'amnistia e l'indulto.
Noi, fin dall'inizio, abbiamo posto questo tema. Credo che la maggiore responsabilità da imputare a questa Assemblea consista nel fatto di non essere stata neanche capace di trovare un modo per migliorare le procedure di approvazione delle leggi sull'amnistia e sull'indulto, nonostante il dibattito costituzionale, che, in modo sgangherato, ha portato ad una modifica - da noi considerata aberrante - della seconda parte della Costituzione italiana.
Noi chiediamo a tutti i nostri alleati della coalizione di centrosinistra - che speriamo diventi la coalizione di Governo del paese -, e anche agli altri colleghi dell'opposizione, di lanciare quanto meno un messaggio chiaro, teso alla modifica della parte della Costituzione che, di fatto, ha cancellato i provvedimenti di amnistia e di indulto. Almeno questo! E lo chiediamo anche a coloro che oggi, sulla stampa, risulterebbero contrari ad un provvedimento di amnistia. Almeno questa sarebbe una eredità importante che possiamo lasciare al nuovo Parlamento repubblicano!
Sul provvedimento specifico, chiediamo a questo Parlamento uno scatto di generosità e chiediamo alle forze politiche, che si sono dichiarate già più volte contrarie ai provvedimenti di amnistia e di indulto, di evitare di fare propaganda elettorale sostenendo
«più carcere per tutti», un tema sbagliato, scandaloso e retrivo, che, per quanto ci riguarda, costituisce un brutto modo di utilizzare queste scadenze.
Inoltre, dobbiamo evitare di alimentare illusioni per i detenuti - diceva bene il Presidente - , migliaia e migliaia di persone, con le loro famiglie, che in questi anni hanno perso ogni fiducia nel dibattito istituzionale, considerato che l'Assemblea prima applaudiva in modo pressoché unanime gli appelli autorevolmente rivolti qui per provvedimenti di clemenza e poi, qualche settimana dopo, sostanzialmente affossava qualunque possibile provvedimento di amnistia e di indulto. Si è arrivati, invece, ad una sorta di indultino, che è stato assolutamente inadeguato e insufficiente (quasi una presa in giro), come temevamo e come abbiamo detto più volte.
Sono queste le ragioni della nostra richiesta, sobria - in questo caso sì -, ma sentita, a tutte le forze politiche. Oggi abbiamo solo due strade da percorrere: ottenere - credo che questo sia difficile, però - che il Presidente e i capigruppo calendarizzino l'esame immediato del provvedimento in Assemblea (già da domani o da dopodomani), per poi arrivare al contingentamento nel mese di gennaio; oppure raggiungere davvero una larga convergenza in questo Parlamento, che ci permetta, nel mese di gennaio, l'unico mese che è rimasto, di chiudere questa legislatura - fatta di tante leggi ad personam, di tante leggi a favore di potenti e prepotenti - con un atto di clemenza a favore dei più deboli e dei più indifesi del paese.
Auspichiamo che voi abbiate questo scatto di orgoglio, di civiltà e di generosità (Applausi dei deputati dei gruppi Misto-Verdi-l'Unione, della Margherita, DL-L'Ulivo, di Rifondazione comunista e Misto-La Rosa nel Pugno).
PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare l'onorevole Armando Cossutta. Ne ha facoltà.
ARMANDO COSSUTTA. Signor Presidente, colleghi, considero sinceramente molto importante e positiva l'iniziativa, che ho condiviso e sottoscritto, dei colleghi parlamentari che hanno permesso la convocazione di questa seduta straordinaria. Dico così perché ogni volta che il Parlamento della Repubblica si riunisce per discutere, per votare su temi che hanno a che vedere con i drammi sociali del nostro paese, adempiamo al primo e al più solenne dei nostri compiti: occuparsi della politica nel senso più nobile, che si riferisce alle grandi contraddizioni sociali di questa nostra epoca.
E vengo al merito, signor Presidente. La certezza della pena è un elemento determinante della capacità di amministrare la giustizia.
Tuttavia, le modalità con cui essa viene esercitata non possono lasciarci indifferenti. La Costituzione, figlia della pagina più bella della storia del nostro paese, la Resistenza, prevede la pena come elemento repressivo, ma nel quadro di una rieducazione complessiva del detenuto. Il nostro ordinamento giuridico e prima ancora la nostra coscienza civile, ci impongono il rispetto delle condizioni dei detenuti. Il panorama delle nostre carceri, cari colleghi, non è certo confortante. Anzi, non è affatto soddisfacente. Basta leggere i dati che le organizzazioni che lavorano nelle carceri mettono a nostra disposizione. Oggi il detenuto numero uno è il disagio sociale. La detenzione riguarda infatti i più marginali, una massa di senza diritti, sui quali la pena risulta come pietra tombale per il loro inserimento: sovraffollamento, condizioni drammatiche in molti dei nostri istituti di pena, difficoltà a curarsi per chi è affetto da patologie anche gravi, inadeguatezza del regime carcerario per la grave mancanza di personale qualificato, incapacità di realizzare un concreto reinserimento dei detenuti e intollerabili prevaricazioni ed abusi nei confronti dei più deboli e dei soli.
Tutto questo rende il quadro indegno di un paese civile. Le condizioni generali dell'edilizia e della densità carceraria sono molto al di sotto del limite minimo di decenza. Il grado disumano di sovraffollamento determina condizioni di detenzione
che nulla hanno a che vedere con il percorso di umanizzazione, e ancora meno con quello rieducativo. Le condizioni detentive si rivelano spesso, dunque, gravemente lesive dei diritti individuali e della dignità degli esseri umani e certificano l'inadeguatezza del lavoro, che pure tanti operatori socio-sanitari svolgono, in condizioni di assoluta difficoltà, e ad essi va il mio personale plauso, ma la politica non può delegare agli addetti ai lavori, con un erroneo concetto di sussidiarietà, le strategie del reinserimento sociale, le politiche per la riduzione del crimine e il disegno strategico della politica della giustizia.
Un provvedimento di amnistia è giusto e prima ancora necessario e non è ulteriormente rinviabile, proprio per la popolazione carceraria più disagiata. In linea di principio, perché la forza di una democrazia si vede anche dalla sua capacità di prevedere la clemenza tra le attitudini del suo governare. In linea di fatto, perché le carceri patiscono un sovraffollamento ormai non più sopportabile; questo anche perché alcuni reati, il cui impatto sociale è minimo, non vengono depennati. Si pensi in primo luogo a quei reati che sono l'espressione concreta tipica delle lotte sociali o anche a quelli che si sono aggiunti in virtù di un legiferare repressivo di una maggioranza che sforna leggi inutili, palesemente incostituzionali e intrise di cultura repressiva, proprio per nascondere le leggi ad personam per gli imputati eccellenti.
Legislazione di premio, premiale, da un lato; legislazione di emergenza dall'altro. La giustizia, che è sempre il risultato della natura dello Stato, risulta oggi in tutta evidenza una giustizia, lasciatemi dire, di classe. Un provvedimento di amnistia è quindi giusto e necessario. Si capisce, ma non è superfluo specificarlo, che non considero affatto amnistiabili i reati di mafia, di associazione a delinquere, di corruzione e di concussione, che anzi vanno perseguiti con maggiore efficacia, ma un provvedimento di amnistia è giusto e necessario. Serve a restituire speranza ai detenuti, dignità politica alla nostra legislatura e rappresenta anche l'occasione per riprendere a riflettere sul nostro impianto giuridico, sulla sua adeguatezza o meno alla struttura sociale e culturale del nostro paese.
Serve a dimostrare che un sistema, quando è sano, è in grado di porre correttivi alle sue strutture, sa adeguarsi al mutare delle condizioni nelle quali le leggi vengono promulgate, sa insomma governare prima che comandare, sa sconfiggere l'indifferenza e riportare sul tavolo dell'agenda politica le contraddizioni e i conflitti che fanno della democrazia un sistema aperto, permeabile alle istanze sociali e politiche, duttile nei confronti dell'applicazione delle norme, vigile contro gli abusi e contrario ad una lettura di classe punitiva e non interpretativa della devianza sociale. Se si vuole ipotizzare una società che non preveda solo la pena ma anche la giustizia, occorre dare dei segnali politici chiari, e quello di un'amnistia va in questa direzione.
Onorevoli colleghi, non c'è alcun bisogno di un eccesso di forza contro i più deboli. Semmai, si deve avere il coraggio di affrontare l'emergenza carceri con lungimiranza e con un atteggiamento culturale teso alla ricerca di una soluzione politica, senza calcoli elettorali ed opportunismi di maniera, con la consapevolezza che un provvedimento di clemenza, lungi dall'esprimere debolezza, spiega più di mille parole la capacità del sistema politico di cogliere l'esigenza sociale come parte del suo legiferare e come elemento importante del suo sistema di valori.
Per tali motivi, onorevole Presidente, onorevoli colleghi, mi attendo che questo Parlamento, in primo luogo la Camera dei deputati, recuperi il suo impegno e la sua sacralità di fronte ai detenuti e, ancor prima, di fronte alla giustizia (Applausi dei deputati dei gruppi Misto-Comunisti italiani, dei Democratici di sinistra-L'Ulivo, della Margherita, DL-L'Ulivo, di Rifondazione comunista, Misto-La Rosa nel Pugno, Misto-Verdi-l'Unione e di deputati di Forza Italia).
PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare l'onorevole Boselli. Ne ha facoltà.
ENRICO BOSELLI. Signor Presidente, colleghi deputati, oggi siamo riuniti in una seduta straordinaria e non capita spesso che questo avvenga. Siamo arrivati a questa convocazione sulla base di un elevatissimo numero di deputati che hanno firmato la mozione promossa dall'onorevole Giachetti, coadiuvato dall'onorevole Buemi e da tanti altri, al fine di affrontare un'importante questione di carattere civile e sociale, cioè l'amnistia. Voglio sottolineare che, nonostante tutte le difficoltà, questa mattina sono presenti in aula più di cento deputati e che brilla per la sua assenza il ministro della giustizia, che, immagino, preferisce la Padania al Parlamento della Repubblica. È evidente a tutti noi che sull'amnistia è da tempo aperto un confronto che ha investito l'opinione pubblica, le più importanti autorità religiose, esponenti politici e istituzionali di rilievo. Non è, quindi, un tema nuovo, né è stato sollevato all'ultimo momento nella parte finale della nostra legislatura. Ricordo a tutti gli onorevoli colleghi e alle colleghe che, durante la sua vita visita a Montecitorio, Giovanni Paolo II invocò l'adozione di un provvedimento di clemenza, ottenendo un corale consenso da parte di tutti i parlamentari che allora affollavano l'aula. Da allora in poi si è spesso ricordata la visita del Papa - lei, signor Presidente della Camera, l'ha fatto con l'apposizione di una targa nelle mura di Montecitorio -, ma non è stato assunto alcun atto concreto per trasformare quel solenne impegno, preso con un grande applauso e venuto da tutte le parti del nostro emiciclo. Negli ultimi tempi si è voluto tante volte esaltare il valore dell'orientamento della Chiesa in molte materie, persino sul modo in cui avrebbero dovuto votare le elettrici e gli elettori nello scorso referendum di giugno, che spesso esulavano dai compiti di un magistero di carattere strettamente religioso.
Continuiamo certo a pensare che vi sia un'autonomia dello Stato - che è per definizione laico - e che l'amnistia - com'è evidente - non possa essere concessa dal Papa in Italia, in quanto la scelta dell'amnistia rientra nei poteri sovrani del nostro Parlamento.
La nostra richiesta non nasce quindi da una meccanica adesione a quanto ci chiese accoratamente Giovanni Paolo II. Siamo infatti convinti che l'amnistia risponda ad esigenze molto diffuse, volte a rimettere in carreggiata i meccanismi giudiziari del nostro paese.
Dobbiamo prendere atto amaramente che in Italia sono pendenti da anni milioni di piccoli processi; in generale, i processi civili e penali pendenti sono 8 milioni e 300 mila ed in media, ogni anno, 160 mila di questi processi vengono annullati per le prescrizioni. Sarebbe stato meglio, anzi sarebbe stato giusto, che questi processi fossero celebrati in tempo.
Non ci sfugge che una sorta di amnistia di classe è già avvenuta o sta avvenendo. Come ricordavo un istante fa, si tratta della gran parte delle prescrizioni ottenute attraverso i più sofisticati cavilli da parte di valenti avvocati, le cui parcelle elevate possono essere pagate solo dai ricchi. Non è infatti un caso che le nostre carceri siano sovraffollate quasi esclusivamente da poveri, da immigrati, da tossicodipendenti.
Le prescrizioni, come amnistia di classe, corrispondono ad una giustizia di classe ed è del tutto evidente che l'amnistia non possa risolvere alla radice la crisi della giustizia; per realizzare ciò occorre una vera riforma, che consenta di svolgere processi rapidi e con tutte le garanzie che spettano a qualsiasi cittadino e a qualsiasi cittadina. E, in Italia, siamo ben lontani da una giustizia giusta!
Siamo garantisti per amore della giustizia, quella vera, che si celebra nelle aule giudiziarie con tutte le garanzie spettanti ai cittadini che, prima della sentenza definitiva, devono poter godere della presunzione di innocenza da parte di magistrati che siano realmente indipendenti, al riparo dalle interferenze del potere esecutivo e lontani dai giochi della politica.
Solo così si possono perseguire severamente i reati, punire con tempestività i colpevoli e dissuadere chi avesse la tentazione di violare la legge dal mettersi su
questa strada. In un paese nel quale l'illegalità è diffusa, a cominciare dall'evasione fiscale e dal lavoro nero, le classi dirigenti devono fornire un esempio di correttezza, di senso dello Stato e di moralità pubblica; questa è la lezione che abbiamo appreso dalle vicende dolorose e drammatiche del passato, che hanno portato al tracollo del vecchio sistema politico.
Non siamo quindi fautori di una sorta di indulgenza nei confronti di chicchessia - che sia potente o meno -, ma di una giustizia giusta e rapida, che sia affidata a giudici altrettanto giusti e tempestivi nel perseguire i reati, attenendosi scrupolosamente alle regole.
Non è infatti giustizia quella che emette condanne dopo che sia trascorso un tempo assai lungo, magari più di dieci anni, nel quale tutto può essere cambiato, nei sentimenti delle vittime come nella condotta dei presunti colpevoli. Del resto, la prescrizione nella civiltà giuridica aveva proprio questo significato: considerare che la pena non può arrivare dopo che sia trascorso un periodo troppo esteso. E questo sovraccarico della giustizia penale, per non parlare di quella civile, è dovuto non solo ad un cattivo funzionamento dei nostri meccanismi istituzionali, ma anche al fatto che si rincorre inutilmente il mito dell'obbligatorietà dell'azione penale, la scelta dei reati da perseguire, fatta di volta in volta in modo quasi casuale, senza tener conto rigorosamente delle emergenze del paese.
Chi si oppone all'amnistia in nome della necessità di colpire i colpevoli per tutta l'eternità non si rende affatto conto di quale sia lo stato della giustizia italiana, né di quello nel quale si trovano le nostre carceri; insistere definitivamente per cercare di fare giustizia per reati che ormai appartengono ad un passato remoto significa, di fatto, impedire di perseguire con efficacia e tempestività i reati che oggi vengono commessi, salvo il caso di quelli che godono di un trattamento particolare per la loro rilevanza nell'opinione pubblica nazionale.
Per questo motivo, colleghi deputati, l'amnistia, al contrario di quanto dicono in molti (senza rendersi bene conto di ciò che dicono), non indebolisce, ma risponde meglio alle esigenze di sicurezza espresse dall'opinione pubblica.
Come avete potuto ascoltare in questi mesi ed anche stamattina, le principali argomentazioni mie e di tanti altri a favore della concessione dell'amnistia non sono state ricondotte al principio cristiano del perdono. Non ho, infatti, voluto confondere motivazioni etiche, che appartengono ad una specifica visione del mondo, con gli interessi generali della società e dello Stato. Non per questo sottovaluto che, alla base delle tante, numerose adesioni che ha raccolto la proposta avanzata con coraggio civile e politico da Marco Pannella, vi sia anche questo tipo di elevate motivazioni; e non trascuro neppure che, nella tradizione liberale illuminata ed in quella socialista umanitaria, vi sono argomenti validi che spingono sovente alla clemenza. Ciò che può spingere cittadine e cittadini a guardare con favore all'amnistia riguarda solo e soltanto le coscienze individuali: allo Stato spetta il compito di misurare l'opportunità politica di adottare una misura del genere, così impegnativa e così importante.
Noi deputati de La Rosa nel Pugno riteniamo che l'amnistia, da qualsiasi punto di vista si parta per chiederla, corrisponda, oggi, all'interesse generale. Noi chiediamo l'amnistia per amore di giustizia, non certo per uno spirito di tolleranza nei confronti della criminalità, piccola o grande che sia. La giustizia tempestiva e rapida è solitamente efficace e giusta; la giustizia tardiva e lenta è spesso inefficace ed ingiusta.
Si tratta, quindi, onorevoli colleghe e onorevoli colleghi, non soltanto di discutere se concedere o meno l'amnistia - cosa che ritengo urgente e necessaria per il bene del nostro paese -, ma di valutare quali debbano essere l'entità e l'ampiezza di un provvedimento del genere. E deve spettare al libero convincimento delle Camere affrontare nel merito, e rapidamente, la questione dell'amnistia: tutto dobbiamo fare, onorevoli colleghi, meno che evitare di affrontare un tema che è, o dovrebbe
essere, presente nella coscienza civile e politica di tutti. Grazie (Applausi dei deputati dei gruppi Misto-La Rosa nel Pugno, dei Democratici di sinistra-L'Ulivo, della Margherita, DL-L'Ulivo, di Rifondazione comunista, Misto-Comunisti italiani e Misto-Verdi-l'Unione)!
PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare l'onorevole Pisapia. Ne ha facoltà.
GIULIANO PISAPIA. Signor Presidente, colleghi tutti, il gruppo di Rifondazione comunista ritiene estremamente importante che, dopo anni, finalmente si possa parlare e discutere di amnistia e di indulto, speriamo con ragionevolezza, come è stato fatto finora, nell'aula dove si prendono le decisioni, dove ogni parlamentare ha il diritto ed il dovere di esprimere la propria opinione attraverso la parola ed attraverso il voto.
Del resto, non possiamo dimenticare che gli istituti dell'amnistia e dell'indulto sono espressamente previsti dalla nostra Costituzione e che oggi gli operatori del diritto, Polizia penitenziaria, i giuristi più autorevoli, ex presidenti della Corte costituzionale, la cultura universitaria, l'avvocatura associata riconoscono che un provvedimento di clemenza è necessario, urgente, indispensabile e non più procrastinabile per ripristinare una situazione di legalità nelle carceri ed una situazione di efficienza nel campo della giustizia penale.
Ecco perché auspico un dibattito sereno, una riflessione priva di scontri ideologici, una riflessione finalizzata a trovare una soluzione comune e condivisa, tesa a porre fine ad una situazione inaccettabile in un paese civile.
È in questo contesto che non posso non richiamare le parole del ministro Castelli, che, come è stato rilevato dall'onorevole Boselli, brilla per la sua assenza. È opportuno ricordare a tutti le parole che il ministro pronunciò nel settembre del 2002.
«La situazione penitenziaria italiana è critica: a fronte di una struttura carceraria per 41 mila posti, oggi, i detenuti sono 56.200.».
Dal 1990 in poi, aggiungeva il ministro, non sono state più concesse amnistie e questo ha portato ad un sovraffollamento dovuto anche alla chiusura di alcune strutture carcerarie. Il ministro ha indicato poi le sue soluzioni, ma abbiamo constatato e verifichiamo quotidianamente come queste siano state del tutto inefficaci per risolvere e razionalizzare il sistema. Per fare un esempio, egli ha dichiarato che, nel carcere di San Vittore, nel 2002, erano riusciti a ridurre da 2.200 a 1.400 il numero dei detenuti e che, per la fine di quell'anno sarebbero diminuiti ulteriormente non superando i mille detenuti.
Ho visitato San Vittore il giorno di Natale: i detenuti sono 1.500 e vivono in 6 in una cella prevista per una sola persona, con letti e cuccette che impediscono di aprire le finestre di quelle celle contornate da sbarre di ferro e da cui, oggi, si vuole impedire di far uscire, con un indulto ed un'amnistia, chi ha commesso reati non gravi. Infine, aggiungeva il ministro, «ricorreremo ai carceri in leasing, un'operazione che ci permetterà di costruire nuove strutture in tre, quattro anni, anziché nei dieci prima necessari.».
Non uno di questi impegni è stato mantenuto! Non una delle leggi approvate in questa legislatura è stata realizzata per rendere la nostra giustizia più civile, più umana, più efficiente, più garantista e più garantita, ma solo per favorire pochi imputati eccellenti.
E allora, partendo da questa situazione, abbiamo il dovere giuridico, politico e morale di ripristinare una situazione di legalità istituzionale. Abbiamo il dovere giuridico, morale e politico di creare quella vivibilità, quella umanità, quella civiltà che, oggi, è del tutto assente nelle nostre carceri. Abbiamo il dovere giuridico, politico e morale di creare le situazioni per una giustizia celere ed efficiente. E la premessa di tutto ciò, non lo dico io, ma i giuristi più autorevoli, la cultura universitaria, gli operatori di diritto, è l'approvazione di un provvedimento di amnistia e di indulto! Da parte nostra, lo abbiamo sempre dichiarato con forza, un simile provvedimento deve essere anche la
premessa, di una serie di riforme organiche tra cui quella della modifica del nostro sistema sanzionatorio tale da far uscire il nostro paese dalla logica per cui l'unica sanzione penale sia quella carceraria.
Vi sono altre sanzioni che è necessario prevedere nel nostro sistema penale, quali la detenzione domiciliare durante il week-end, le misure interdittive, i lavori socialmente utili, i lavori finalizzati al risarcimento del danno: sanzioni tali da rendere la pena certa e che non creano quella situazione di impunità che, spesso, è la premessa per la commissione di nuovi reati, ma che, nel contempo, non determinano neppure quel circuito infernale per cui una persona incensurata entra in carcere, che purtroppo è scuola di malavita con la conseguenza che quando ne esce è diventanto un delinquente.
Ebbene, rispetto alla situazione cui faceva riferimento il ministro Castelli nel 2002, la realtà è ulteriormente peggiorata. Oggi, abbiamo oltre 60 mila detenuti, di cui oltre 10 mila debbono scontare pene inferiori a un anno (il che significa, evidentemente, che sono stati condannati per reati di non grave allarme sociale) oltre 7 mila debbono scontare una pena non superiore a due anni; a questi detenuti vogliamo dare la speranza di libertà e la certezza di poter ripristinare una situazione di umanità, premessa per quel reinserimento necessario ed indispensabile per diminuire il numero dei reati e per garantire la sicurezza dei cittadini.
Da un recente studio, è emerso che, se un detenuto riesce a reinserirsi nella società attraverso le misure alternative al carcere, ha un tasso di recidiva del 3 per cento; se quel detenuto, così come avviene oggi, esce dopo aver scontato la pena senza avere compiuto quel graduale reinserimento sociale, ha un tasso di recidiva del 70 per cento.
Ecco perché diciamo fino in fondo che l'amnistia e l'indulto non sono un atto di buonismo istituzionale, ma di saggezza politica, oltre che di corretta applicazione di norme costituzionali.
Vorrei ricordare alcuni dati, aggiornati a pochi mesi fa. I detenuti sieropositivi all'HIV sono il 7,5 per cento, quelli positivi all'epatite C sono il 36 per cento. L'8 per cento è affetto da epatite B, mentre il 27 per cento rischia la tubercolosi. E, come se non bastasse, un detenuto su due manifesta disagio psichico; il consumo di psicofarmaci è enorme.
Per quanto riguarda le somme spese per il mantenimento in carcere dei tossicodipendenti, degli emarginati, dei più poveri, dei più deboli, di chi non ha commesso un reato di grave allarme sociale (in carcere oggi solo il 12 per cento della popolazione carceraria è detenuta per fatti di criminalità organizzata o per reati di sangue), gli oltre tre miliardi di euro spesi negli ultimi anni per il loro mantenimento, avrebbero potuto essere utilizzati per assumere circa 2 mila nuovi magistrati per i tribunali di sorveglianza e oltre 2 mila nuovi educatori. Sarebbe stato possibile incentivare aziende e cooperative disponibili all'assunzione di 10 mila detenuti o ex detenuti. Sarebbe stato possibile costituire una rete di accoglienza per 5 mila persone scarcerate, che oggi non hanno alternative rispetto a quello che, purtroppo, la nostra società offre loro: tornare in piazza ad acquistare droga, tornare in un sistema che li porti a delinquere.
Il gruppo di Rifondazione comunista, sin dal maggio 2001, ha proposto alla Camera e al Senato un provvedimento di amnistia e di indulto che non è finalizzato solo a rendere meno disumane le condizioni di vita dei detenuti o delle circa 20 mila persone in stato di carcerazione preventiva (quindi, presunti non colpevoli), ma che permetterebbe di eliminare oltre un milione di processi, che, in particolare dopo l'approvazione della cosiddetta legge Cirielli, finirebbero in ogni caso in prescrizione.
Quindi, non si tratta, lo ripeto, di buonismo istituzionale, ma di un provvedimento di saggezza politica. Ecco perché il nostro impegno è forte e lo sarà ancor di più nelle prossime settimane, affinché in questa legislatura si possa arrivare quanto meno ad un testo condiviso che raggiunga il massimo di condivisione possibile, e soprattutto quel quorum previsto
dalla Costituzione per l'approvazione di un provvedimento di amnistia e di indulto.
Signor Presidente, concludo ricordando che siamo convinti che sia non solo possibile, ma doveroso coniugare il diritto alla sicurezza e la sicurezza dei diritti. Crediamo che sia necessario che la giustizia non si sostanzi nella forza e che la forza non si sostanzi nella giustizia: l'una sarebbe impotente; l'altra sarebbe tirannia.
Mi permetto di ricordare, in conclusione, una frase di Sandro Pertini: «Non disprezzate i galeotti, perché tra loro c'è sicuramente qualcuno migliore di voi.». Vorrei aggiungere: migliore di me e di tanti altri (Applausi dei deputati dei gruppi di Rifondazione comunista, dei Democratici di sinistra-L'Ulivo, della Margherita, DL-L'Ulivo, Misto-Comunisti italiani, Misto-La Rosa nel Pugno e Misto-Verdi-l'Unione)!
UGO INTINI. Chiedo di parlare.
PRESIDENTE. Ne ha facoltà.
UGO INTINI. Signor Presidente, la tribuna del pubblico, che normalmente è piena di scolaresche, che con grande facilità possono farvi ingresso, oggi non è riuscita ad ospitare decine di cittadini, che stanno attendendo di entrare.
MAURIZIO GASPARRI. Le scuole sono chiuse!
PRESIDENTE. Esistono delle regole, che vengono sempre seguite. Oggi non è una giornata speciale: valgono le regole di sempre. Sapete quali sono le procedure...
UGO INTINI. È molto curioso che decine di persone abbiano il problema di entrare.
PRESIDENTE. Per quanto mi risulta, nessuno mi ha fatto cenno di tale problema. Ne prendo atto.
Ha chiesto di parlare l'onorevole Lussana. Ne ha facoltà.
CAROLINA LUSSANA. Signor Presidente, vorrei iniziare il mio contributo a questo dibattito con un appello: la chiama di quei 207 deputati che hanno sottoscritto la richiesta di questa convocazione straordinaria della Camera e che non sono presenti in quest'aula. Sono 207 e non siamo presenti neanche in un centinaio (Commenti del deputato Lusetti).
PRESIDENTE. Onorevole Lusetti, per cortesia. L'onorevole Lussana ha diritto di parlare; lei esprime un parere diverso.
CAROLINA LUSSANA. Mi aspettavo che, almeno i 207 deputati che hanno chiesto, oggi, 27 dicembre, di essere presenti, avessero la decenza di venire in quest'aula e di far sentire la loro voce (Applausi dei deputati dei gruppi della Lega Nord Federazione Padana e di Alleanza Nazionale).
ALFONSO GIANNI. Il ministro della giustizia non c'è! Vergognati!
CAROLINA LUSSANA. Onorevole Giachetti, mi scusi, ma l'adesione morale...
PRESIDENTE. Onorevoli colleghi, non si può essere così intolleranti verso una persona!
ALFONSO GIANNI. Il ministro della giustizia non c'è! Che venga qui, anziché occuparsi della sua «fabbrichetta»!
PRESIDENTE. Scusi, onorevole Alfonso Gianni, è stata rivolta una critica, di cui lei si fa interprete, durante il dibattito ed è agli atti parlamentari. Debbo tutelare l'onorevole Lussana che, al pari degli altri colleghi, ha diritto di avere una sua opinione e di esprimerla. Non mi sembra che sia una cosa clamorosa!
ALFONSO GIANNI. Chiami il ministro della giustizia!
PRESIDENTE. Onorevole Alfonso Gianni!
Prego, onorevole Lussana, continui.
CAROLINA LUSSANA. Sono veramente stupita...
PRESIDENTE. Sono stupito anch'io, perché la serietà del dibattito richiede che si lasci parlare tutti.
CAROLINA LUSSANA. Sono stupita per la grave intolleranza, soprattutto quando si affronta un tema del genere e ci si fa paladini dei diritti di chi è detenuto nei nostri penitenziari.
Ribadisco (mi dispiace, ma voglio insistere su questo punto) che è irrispettoso verso chi come me, o il mio collega, non avendo sottoscritto questo appello, è comunque presente oggi, per rispetto delle istituzioni, a rappresentare i parlamentari del nostro gruppo e ad evidenziare la nostra contrarietà a qualunque provvedimento di amnistia e di indulto; ma riteniamo che la scarsa presenza in quest'aula sia irrispettosa soprattutto nei confronti dei detenuti e delle loro famiglie.
Voi, sottoscrittori di vari appelli ed anche di questa convocazione straordinaria dell'Assemblea, sapete bene che sarà difficilissimo arrivare entro la fine della legislatura all'adozione di un provvedimento di amnistia e di indulto. Allora, per quale motivo siete qui? Per illudere! Per cercare di gettare scompiglio, per prendere in giro i detenuti e le loro famiglie!
Non siamo noi del gruppo della Lega Nord Federazione Padana a fare propaganda o a cercare un appiglio o uno spunto per fare propaganda elettorale. Siete voi, con la scusa dei sentimenti (a Natale siamo tutti più buoni), a voler strumentalizzare la situazione, seppur critica ma comunque non drammatica, dei nostri penitenziari, per fare ancora una volta propaganda elettorale, propaganda contro il Governo, propaganda contro il ministro Castelli!
Assumetevi le responsabilità di tutto ciò. Se la seduta odierna sarà l'ennesima seduta inutile, l'ennesima seduta ridicola, non è colpa del Presidente Casini che ha convocato il 27 dicembre l'Assemblea alle 9,30 del mattino, ma è colpa vostra. Forse qualcuno di voi non voleva rinunciare ai viaggi alle Maldive oppure al prolungamento dei pranzi natalizi e di Santo Stefano!
GABRIELE FRIGATO. Presidente, basta!
CAROLINA LUSSANA. Ebbene, per questi colleghi che non sono presenti, che sembrano considerare l'amnistia e l'indulto il problema più importante per i cittadini italiani, i detenuti possono nuovamente attendere.
Ci si chiede di esprimere una posizione. Onorevole Giachetti, le posizioni sono ben chiare e definite. Non è vero che abbiamo affrontato la questione in maniera meramente sporadica in Commissione giustizia. Sono tre anni che si parla di amnistia e di indulto! Nell'ultimo mese, durante la sessione di bilancio, non abbiamo fatto altro che parlare di amnistia e di indulto. Qualcuno propone l'amnistia, ma l'onorevole Violante mi sembra non sia d'accordo. Quindi, anche il centrosinistra è spaccato su ciò e si parla di indulto, non di estinzione del reato ma di semplice estinzione della pena.
Ebbene, noi del gruppo della Lega Nord Federazione Padana non abbiamo mai fatto sotterfugi, mai giocato a nascondino dietro le pagine dei giornali. Siamo sempre stati chiari. La nostra posizione non è mai cambiata nel corso della legislatura: siamo contrari a qualunque tipo di provvedimento di clemenza generalizzata, perché li riteniamo contrastanti con due fondamentali principi, quello della certezza della pena e quello della sicurezza dei cittadini.
Comunque, è stato ricordato in Assemblea - ma qualcuno ha la memoria corta - che il Parlamento ha già adottato uno strumento di clemenza generalizzata, l'«indultino». Lo ha citato l'onorevole Pecoraro Scanio. Era stata la risposta del Parlamento all'appello del Papa Giovanni Paolo II.
Mi dispiace che il ricordo del Santo Pontefice che è mancato sia venuto da parte dell'onorevole Boselli, che adesso cita il Papa, ma che lo ricorda sempre a proprio piacimento. Il Pontefice viene citato
quando fa comodo, e mi dispiace dirlo; invece, quando il Papa, o comunque il cardinale Ruini, richiamano altre questioni, come questioni etiche scomode per qualcuno del centrosinistra, allora il Papa deve tacere e la Chiesa non deve interferire in quelli che sono gli affari di Stato e gli affari del Parlamento!
Onorevole Boselli, cita in quest'aula Giovanni Paolo II, ma poi lei stesso ha dichiarato di voler rivedere o dichiarato di cancellare il Concordato: insomma, questo non mi sembra un esempio di coerenza politica!
Comunque, l'«indultino» era stato varato e sono usciti dalle nostre carceri 6 mila detenuti; 1500 vi sono rientrati pochi mesi, dopo aver beneficiato di questa misura clemenza: questo, forse, è bene ricordarlo e ribadirlo.
Noi della Lega - torno a dirlo con chiarezza - riteniamo che, oggi, non sussistano le condizioni per giungere a varare un'amnistia o un indulto. I cittadini hanno bisogno di legalità, di ordine e di sicurezza, e tali provvedimenti non vanno certo in questa direzione. Non si tratta di fare la faccia «feroce» rispetto a chi, a Natale, vuole fare il buono. Noi non facciamo i «feroci», non siamo «crudeli»: ricordo che Furio Colombo, su l'Unità, ha definito il ministro Castelli «crudele» perché non vuole né l'amnistia, né l'indulto.
Noi, semplicemente, se dobbiamo scegliere, stiamo dalla parte di Abele, e non di Caino, come abbiamo detto più volte. Sono sicuramente da considerare le condizioni dei detenuti nei nostri penitenziari. Penso anch'io, in modo particolare, a quelli che, ad esempio, sono detenuti in attesa di giudizio: forse, il Parlamento poteva dare risposte, in questi quattro anni, a tali detenuti. Ciò non è stato fatto, e dovremmo impegnarci in futuro.
Ma ci sono anche i cittadini onesti, vale a dire le vittime dei reati, che devono essere tutelati e che sono tante volte dimenticati. Sono persone dimenticate e che subiscono una duplice offesa: una prima volta, nel momento in cui subiscono l'aggressione, e successivamente, nel momento in cui lo Stato rimette in libertà i colpevoli. Per noi, questo è assolutamente inaccettabile, e quindi riteniamo inaccettabile rimettere in libertà chi è stato condannato, perché chi deve scontare una pena deve scontarla fino in fondo! Torno a dirlo: se dobbiamo scegliere, stiamo con Abele, e non con Caino!
Deve finire anche l'atteggiamento di chi vuole dipingere la presenza di detenuti nei nostri penitenziari come un'ingiustizia. Non penso di avere la faccia «feroce» o di essere «crudele» se dico che, un conto è umanizzare la condizione di vivibilità nelle nostre carceri, altro conto è varare provvedimenti «svuota carceri». Ma che senso della giustizia comunichiamo ai nostri cittadini?
Dobbiamo riflettere, è vero. Oggi, circa l'80 per cento dei reati resta impunito e moltissimi reati cadono in prescrizione. I processi che ogni anno si prescrivono sono circa 140 mila, e senza la cosiddetta legge Cirielli: tale legge, infatti, non abbrevia i termini di prescrizione, anzi, per alcuni tipi di reato li allunga!
Allora, di chi è la responsabilità? Anche la magistratura ha le sue responsabilità: se c'è questo debito giudiziario, che i magistrati celebrino i processi e smaltiscano l'arretrato! Non si può pensare di compiere una riforma della giustizia penale scaricandola sui cittadini onesti e giungendo a varare provvedimenti di amnistia e di indulto: ciò non ci può assolutamente trovare d'accordo.
Sono altri gli strumenti con i quali si può risolvere il problema del sovraffollamento delle carceri, senza - ribadisco - scaricarlo sui cittadini onesti. È giusto: ricorriamo, ove possibile, alle pene alternative, però stiamo attenti. Occorre effettuare, infatti, una seria valutazione della pericolosità sociale dei detenuti e non bisogna rimettere in libertà chi magari, una volta libero, torna a commettere reati! Mi direte che sono demagoga e populista, ma penso che il caso del «mostro» del Circeo debba essere di monito e debba far riflettere tutti sul sistema e sull'efficacia delle misure alternative alla detenzione.
Ho sentito parlare di lavoro. È vero: in questi anni, il ministro Castelli ha lavorato per implementare le opportunità lavorative dei detenuti all'interno ed al di fuori del carcere (Commenti dei deputati del gruppo dei Democratici di sinistra-L'Ulivo). Ma vorrei ricordare che, come Lega, avevamo presentato una proposta di legge con la quale suggerivamo di abbinare la possibilità di lavorare gratuitamente (presso gli enti o la collettività) a sconti di pena. Ebbene, questa proposta di legge è rimasta nel cassetto ed è stata ridicolizzata! Avete parlato di «lavori forzati», ma questi, forse, fanno parte della vostra mentalità, perché le carceri della Siberia sicuramente non sono qualcosa che ci appartiene (Commenti dei deputati del gruppo dei Democratici di sinistra-L'Ulivo)!
Per diminuire il sovraffollamento occorre, certo, costruire nuovi penitenziari; ricordo che il ministro Castelli, appena insediato, intervenne in Commissione affrontando il tema, ma voi lo ridicolizzaste, definendolo «l'ingegnere». Ma voi, i penitenziari, li avete chiusi; noi, invece, ne apriremo di nuovi!
Occorre anche affrontare il problema dei detenuti extracomunitari, che costituiscono oltre il 33 per cento, quota che corrisponde all'esatta percentuale del sovraffollamento carcerario. Ebbene - e mi rivolgo alla magistratura di sorveglianza -, applichiamo l'espulsione, come previsto dalla legge Bossi-Fini, convertendo, ove possibile, le pene fino a due anni! Applichiamo gli accordi bilaterali con i paesi di origine per far scontare ai detenuti extracomunitari la pena a casa propria (ma anche a tale riguardo vi siete opposti, sostenendo che occorresse il consenso degli extracomunitari stessi)!
Comunque, in sintesi, per concludere, si faccia tale verifica; ebbene, noi, la nostra posizione l'abbiamo espressa con chiarezza: se avrete i numeri per varare un provvedimento di amnistia o di indulto, ve ne assumerete voi, dinanzi ai cittadini, la responsabilità conseguente; ma ritengo, invece, che i numeri non vi siano, sicché la situazione sarà ancora più grave. Infatti, sarete gli artefici di un risultato che non dovevate raggiungere: farete salire la tensione nelle carceri, il che potrebbe produrre conseguenze imprevedibili. E ciò solo per fare propaganda, per il vostro opportunismo «alla Pannella» o «alla D'Alema»: noi non ci stiamo e ribadiamo il nostro «no» (Applausi dei deputati dei gruppi della Lega Nord Federazione Padana e di Alleanza Nazionale)!
PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare l'onorevole Gasparri. Ne ha facoltà.
MAURIZIO GASPARRI. Onorevole Presidente, onorevoli colleghi, voglio in primo luogo dare atto al Presidente della Camera di avere, in maniera puntuale e precisa, applicato il regolamento, convocando l'Assemblea così come richiesto dai colleghi - a tale riguardo non voglio indulgere alla polemica -; colleghi che, però, dopo aver chiesto la convocazione, in buona parte non sono poi intervenuti alla seduta, come ha rilevato la collega Lussana poc'anzi.
Quindi, ritengo che la tempestività dell'adempimento debba essere apprezzata e mi è sembrato francamente alquanto ridicolo contestare il fatto che ci si sia riuniti alle ore 9,30 quando un mondo, al di fuori di questo Palazzo, ascolta questo dibattito e guarda a questo dibattito con speranze che, debbo osservare, qualcuno ha suscitato in maniera un po' incauta. Pertanto, la questione sollevata sulla convocazione alle 9,30 - se fosse un orario adatto per l'inizio della seduta della Camera dei deputati - sarebbe stato meglio, se fosse stato possibile, coprirla con degli omissis; ahimé, sarà, invece, riportata dal resoconto del dibattito, in capo a chi l'ha sollevata, questa osservazione veramente ridicola (Commenti del deputato Stradiotto)!
Quindi, dando atto al Presidente della Camera anche del realismo, vengo alla prima questione di carattere formale, prima di entrare nella sostanza. Conosciamo tutti i tempi di questa legislatura: avere raccolto le firme, determinando questo dibattito che non porterà a nessuna conclusione e sapendo che il calendario parlamentare è tale da non consentire - a
prescindere dal quorum dei due terzi e da quant'altro - lo svolgimento di un'eventuale discussione di un provvedimento di amnistia o di indulto, ritengo sia stata una scelta che ha premiato le ragioni di propaganda individuale rispetto ad un'emergenza sociale che sussiste. Ebbene, nelle carceri la gente, che forse non conosce bene - e ne ha tutto il diritto - il regolamento parlamentare, ha ritenuto si potesse giungere a delle conclusioni; questa mattina, il Presidente della Camera, con una constatazione di fatto, ha responsabilizzato l'Assemblea rispetto alle scadenze, ai tempi, a quanto tutti conosciamo. Anche chi ha promosso questo dibattito lo sapeva e dovrebbe avere il coraggio di riconoscerlo.
Poi, de iure condendo, per il futuro ciascuna forza politica potrà nel suo programma per le prossime elezioni pronunciarsi su tale tema e annunciare questo o quel provvedimento. Ma ritengo non sia stata una scelta saggia raccogliere le firme e proporre questo confronto; ricordo che la Camera ed il Parlamento, nel corso di questa legislatura, con un provvedimento che è stato battezzato «indultino», hanno già dato un segnale di solidarietà e devo riconoscere che anche quella vicenda ha dimostrato come taluni provvedimenti abbiano portata molto limitata; infatti, dopo poche settimane, parte della popolazione carceraria, messa in libertà a seguito di quel provvedimento, è tornata in carcere.
Il gruppo di Alleanza nazionale è contrario a provvedimenti di amnistia e di indulto; il presidente del nostro partito, onorevole Fini, ha in questi giorni ribadito questa posizione, che oggi il gruppo parlamentare conferma. Lo facciamo anche per offrire, senza ipocrisie, elementi di chiarezza a chi volesse reiterare questo dibattito.
Peraltro, il collega Buontempo ricordava prima i temi della giustizia e delle carceri, temi dei quali si tornerà a parlare quando, in base alla nuova legge sull'ordinamento giudiziario, all'inizio dell'anno, il ministro di giustizia dovrà riferire al Parlamento su tutti i problemi connessi anche all'importante attività che in questi anni è stata avviata, relativa alla riforma dell'ordinamento giudiziario e alla politica innovativa per le carceri. Il nostro gruppo, benché contrario all'amnistia e all'indulto, condivide la scelta di ammodernare le strutture carcerarie. Dobbiamo essere più rapidi e più coraggiosi. Esistono edifici vetusti, certamente non più adatti e quindi occorre un impegno da parte del ministro della giustizia; impegno che ha già mantenuto in questi anni e che ha reiterato in questi giorni.
Allo stesso modo, dobbiamo allargare il campo delle sanzioni alternative al carcere. Esistono già delle alternative possibili con le leggi vigenti. Per i piccoli reati, che sono tali rispetto alla sanzione da applicare ma non rispetto al disturbo arrecato alla collettività, le sanzioni alternative al carcere e le attività di pubblica utilità possono esser più immediate e più efficaci. Riteniamo quindi che ci sia un'ampia disponibilità a seguire le strade che abbiamo già avviato e a percorrerne altre, purché queste misure diano comunque la certezza della pena, che a nostro avviso è in ogni caso necessaria.
Recentemente peraltro è stata varata una legge, la cosiddetta legge Cirielli, che, cari colleghi dell'opposizione, a volte è stata descritta come una misura sciagurata, che avrebbe svuotato le carceri e determinato chissà quali conseguenze nefaste. Ora invece questa legge viene descritta come forcaiola, poiché determinerebbe chissà quali conseguenze per i recidivi. Siamo lieti che la legge sia stata approvata soprattutto nel suo spirito originario, che è quello rivolto alla più grave sanzione dei recidivi e dei delinquenti abituali, ossia di quelle persone che abitualmente si comportano in maniera illegale sul territorio e danneggiano le parti più deboli della popolazione.
Se le conseguenze di questa legge saranno quelle paventate da qualcuno - e chi le paventa sconfessa le proprie affermazioni denigratorie nei confronti di questa legge -, saremo aperti a valutare cosa accadrà (anche oggi il nostro capogruppo La Russa lo ha detto in una dichiarazione). Se questa legge dovesse determinare
un aumento esponenziale della popolazione carceraria, dimostrandosi quindi una buona legge per punire i recidivi, se ciò accadrà, il Parlamento e il Governo saranno chiamati a fare valutazioni oggettive. Nei giorni scorsi il Governo ha annunciato un provvedimento, inserito in un decreto, che riguarda la particolare situazione dei tossicodipendenti, per attenuare nei loro confronti gli effetti di questa legge in materia di recidiva, in coerenza con le proposte emerse qualche giorno fa a Palermo nel corso della conferenza nazionale sulle tossicodipendenze.
C'è sempre un'attenzione, un'apertura mentale e una capacità di innovare la legislazione. Cari colleghi, riteniamo che i principi di legge e di ordine vadano riaffermati, così come anche i principi di severità. Non possiamo, attraverso colpi di spugna e con esodi dalle carceri, affrontare una questione creando problemi di sicurezza alla popolazione onesta. Non stiamo facendo demagogia, siamo solo dalla parte della legge e dell'ordine.
Alcuni giorni fa un giornalista, già ambasciatore liberale, Sergio Romano, ricordava in un articolo su Panorama, esprimendosi in maniera critica sull'amnistia, che se in Italia c'è sicuramente una situazione da seguire per quanto riguarda il sovraffollamento carcerario, con una popolazione carceraria di 50 mila detenuti, in Gran Bretagna i detenuti sono 70 mila, in Germania e in Francia sono 60 mila e negli Stati Uniti, su una popolazione di 281 milioni di abitanti, ci sono 2 milioni e 135 mila detenuti, una percentuale elevatissima.
Sicuramente servono delle strutture efficaci, ma cito queste cifre per dire che in Italia, benché la situazione meriti attenzione, non siamo di fronte ad una brutale repressione di massa, che fa lievitare i numeri in maniera tale da determinare un'emergenza. Certo, l'edilizia carceraria va ammodernata. L'impegno che anche il ministro Castelli ha sottolineato nei giorni scorsi è importante.
Riguardo poi alle polemiche sulla coerenza o meno degli appelli che provengono dal mondo cattolico, nel quale la comunità politica di Alleanza nazionale si riconosce pienamente, la collega Lussana ne ha rilevato i margini di contraddizione. Non è che gli appelli che provengono dal mondo cattolico possano essere accolti o scartati a seconda della convenienza.
Sono contento che si allarghi l'area di considerazione e di rispetto per le opinioni del mondo cattolico.
EGIDIO BANTI. Questo vale anche per te!
MAURIZIO GASPARRI. Vedremo se sarà ancora così, quando, nei prossimi giorni, riprenderà l'indagine conoscitiva in Commissione affari sociali sull'applicazione della legge n. 194 del 1978, sul diritto alla vita, sulle coppie gay, sulle coppie di fatto, su molti e molti temi che il mondo cattolico - e non solo - ritiene assolutamente prioritari. Non riteniamo, infatti, che sia corretto questo uso di citazioni e di riferimenti impropri. Noi, che cattolici siamo in maniera convinta, riteniamo che la solidarietà sia un valore importante, anche quella verso gli onesti e che la solidarietà verso le vittime dei reati sia un bene essenziale e prioritario, da garantire (Commenti del deputato Grillini)!
Ecco perché noi riteniamo che questo dibattito sia doveroso, anche se molti di coloro che lo hanno chiesto hanno preferito forse sciare, piuttosto che venire qui in aula a parlare ai detenuti per i quali hanno raccolto firme, e ci sarebbe da interrogarsi sulla serietà e sulla coerenza di chi promuove dibattiti e poi li diserta (Commenti di deputati dei gruppi dei Democratici di sinistra-L'Ulivo e della Margherita, DL-L'Ulivo). Noi, invece, che non abbiamo firmato l'invito a svolgere questo dibattito siamo doverosamente qui, ad esprimere una posizione diversa, perché questo è il luogo della democrazia, questo è il luogo del confronto...
ALFONSO GIANNI. Siete in quattro!
MAURIZIO GASPARRI. Caro mio, siamo presenti molto più seriamente di quelli che, come voi, non ci sono!
Dicci dove stanno i colleghi del tuo gruppo! Dicci in quale posto sono andati a «svernare» i firmatari! Ma, su!
FRANCESCO GIORDANO. Guarda qua!
ALFONSO GIANNI. Non dire scemenze!
PRESIDENTE. Onorevoli colleghi, calma, calma!
MAURIZIO GASPARRI. Nelle carceri vi ascoltano ed è bene che sappiano, anche nelle carceri, che vi è chi si fa bello con una firma....
ALFONSO GIANNI. Non mi faccio bello, perché non ne ho bisogno!
MAURIZIO GASPARRI. ...e che oggi non è venuto in aula, o che vi è qualcuno che ha ritenuto che le 9,30 fossero un orario inadatto per disturbare «lor signori» nei dibattiti parlamentari!
GIOVANNI BELLINI. Sei patetico!
PRESIDENTE. Onorevoli colleghi, vi prego, per cortesia!
MAURIZIO GASPARRI. Mi avvio a concludere rapidamente, onorevoli colleghi, perché ciò che andava detto è stato detto.
Noi, riteniamo, quindi, che i principi di legge ed ordine siano sacrosanti. Riteniamo che amnistia ed indulto sarebbero segnali gravi e sbagliati verso la società italiana. Riteniamo che sanzioni alternative al carcere ed ammodernamento delle strutture penitenziarie debbano essere attuati per umanizzare la pena. Non abbiamo, infatti, alcuna velleità repressiva, ma proprio per tali ragioni siamo convinti che questo dibattito non porterà ad alcuna conseguenza, non vi saranno amnistie e non vi saranno indulti. Ditelo a coloro che ci ascoltano fuori da quest'aula! Se è lecito invocarle, è doveroso opporsi a queste scelte, nell'interesse degli italiani onesti (Applausi dei deputati dei gruppi di Alleanza Nazionale e della Lega Nord Federazione Padana)!
PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare l'onorevole Finocchiaro. Ne ha facoltà.
ANNA FINOCCHIARO. Signor Presidente, onorevoli colleghi, sono tra coloro che non hanno gioito per la convocazione di una seduta così importante, almeno per il valore simbolico che ha sicuramente trasmesso a coloro i quali, in carcere, vivono trepidando nell'attesa possibile - o probabile - di un provvedimento di clemenza. Penso anche alle loro famiglie e credo che avremmo dovuto evitare di accendere, con una nuova seduta, speranze che - temo - il Parlamento non sarà in grado di esaudire. Peraltro, una ricognizione era già stata effettuata in Commissione, l'aveva disposta il presidente Pecorella. Già tale ricognizione mi sembrava compiuta circa le posizioni in campo. Ma non è questo il tema, né tanto meno, ovviamente, signor Presidente, il nostro gruppo ritiene che la convocazione alle 9,30 possa essere considerata inopportuna.
Signor Presidente, credo che siamo già venuti meno al nostro dovere di massima responsabilità nel pronunciarci su tale questione. Devo anche rilevare che la seduta di oggi, per quanto siano stati autorevolissimi i rappresentanti dei gruppi che sono intervenuti, e soprattutto quelli che interverranno - mi riferisco al gruppo di Forza Italia, in particolare -, non so se servirà a dipanare i dubbi ed a rendere più chiaro il quadro delle volontà e delle responsabilità.
Debbo dire che anche il quadro temporale in cui questa discussione si colloca, il risorgere della questione dell'amnistia e dell'indulto, non è facilmente decifrabile dall'esterno.
In molti hanno testé ricordato l'approvazione, poco tempo fa ed in quest'aula, della cosiddetta legge ex-Cirielli, che è composta di due parti (l'onorevole Gasparri fa finta di non saperlo e finge di non conoscere l'iter di tale legge ed il suo testo, così tormentato, ma non è questo il
punto). Tale legge, dunque, è composta da una prima parte, contro cui ci siamo opposti con ogni arma, comprese le questioni pregiudiziali di costituzionalità. È un testo che, sostanzialmente, toglie ogni speranza di poter accedere alle misure alternative, ai tempi abbreviati di prescrizione ed a una serie di opportunità per i recidivi, senza distinzione alcuna su cosa configuri tale recidiva: se si è recidivi per aver commesso a distanza di cinque, sei o dieci anni un piccolo reato, o se si è recidivi perché si è dediti al delitto in maniera costante.
Si tratta di una norma che, come tutti hanno diagnosticato con fin troppa facilità, avrebbe condotto e condurrà sicuramente in carcere almeno altre ventimila persone, come dice una stima che ritengo attendibile e che è stata ritenuta tale dal ministro Castelli il quale, su tutta questa partita parla come presidente dell'ANCE - costruiamo più carceri - non parla come ministro della giustizia! Infatti, mi sarei aspettata che avesse ragionato sulla riforma del codice di procedura penale (Applausi dei deputati dei gruppi dei Democratici di sinistra-L'Ulivo, della Margherita, DL-L'Ulivo, di Rifondazione comunista e Misto-La Rosa nel Pugno), sulla assunzione di nuovi educatori, sulla possibilità di approvare provvedimenti che pendono in Commissione e sono continuamente intralciati dal sopravvenire di nuove leggi particolari che riguardano, ad esempio, l'introduzione nel nostro sistema di sanzioni alternative alla detenzione.
Quella legge nella sua prima parte restaura - peraltro l'onorevole Gasparri l'ha detto con molta chiarezza, anzi l'ha negato con grande chiarezza - quella idea securitaria che, però, nella cosiddetta cultura politica della maggioranza continuamente viene contraddetta. Ricordo che la legge ex Cirielli, nell'ultima lettura alla Camera, ha visto ridimensionata la portata dell'amnistia impropria e generalizzata che colpiva i reati più gravi - quelli puniti con pena dai cinque ai dieci anni di reclusione - presenti nel testo originario che era stato votato da tutta la Casa delle libertà prima alla Camera e poi al Senato. Ed è così anche oggi; infatti ieri si è approvata quella legge e oggi Forza Italia dice che non si può concedere nessun provvedimento di clemenza che non sia insieme amnistia e indulto, così come fa la rappresentante dell'UDC in Commissione che è venuta a chiarire che il loro orientamento era per amnistia e indulto.
Che cos'è questo tenere insieme le mozioni securitarie e i paternalismi indulgenti? Io, francamente, ci vedo una cosa già ravvisata nel corso della storia e che mi pare rappresenti uno dei tratti tipici dei sistemi a vocazione autoritaria, più che inserirla nella categoria della responsabilità politica; infatti, queste posizioni di Forza Italia mi sembrano da iscrivere in quello schema che alterna autoritarismo e indulgenza, bastone e carota che abbiamo già rintracciato, più volte, nella storia di questo paese. Come ricordava il presidente Violante, nel periodo del fascismo - nel corso di un ventennio - intervennero in Italia 54 amnistie, mentre nell'epoca repubblicana solo 49. Tutto questo qualcosa significherà!
Si è invocata anche una questione che - a mio avviso - va affrontata proprio perché la nostra decisione sia la più coerente e logica possibile; infatti, la logicità e la coerenza delle decisioni politiche costituiscono quel crisma di affidabilità che mi sembra indispensabile offrire ai cittadini come frutto della nostra assunzione di responsabilità.
Qualcuno lamentava una riforma costituzionale che ha chiesto per l'amnistia la maggioranza dei due terzi; a tal proposito non so se quella riforma possa essere ancora condivisa o se non sia opportuno tornare a discuterne. Su tale questione non metto nessun veto; però, certamente due meriti li ha avuti: da un lato, spezzava questa catena di autoritarismo e indulgenza che appunto fu attributo di altro regime che non quello repubblicano e che, quando fu attributo del regime repubblicano, lo fu probabilmente con le stesse caratteristiche e le stesse tentazioni del potere politico per chi, in quel momento, deteneva la maggioranza; dall'altro lato, con quella riforma - largamente
condivisa, cioè una riforma costituzionale fatta come la Costituzione comanda - abbiamo tentato di fare in modo che, a poca distanza dall'intervento del provvedimento di amnistia e indulto, non si producessero le identiche condizioni che l'avevano determinata: sovraffollamento carcerario, ingolfamento degli uffici giudiziari, incapacità di fare fronte ad un contenzioso che cresceva (e, quindi, di fatto: denegata giustizia, mortificazione sia dei diritti sia della stessa autorevolezza dello Stato).
Noi oggi ci muoviamo in un quadro in cui niente di tutto questo è stato fatto. Sono passati quasi cinque anni da quando la Casa delle libertà governa il paese: non una sola misura, non una sola - e sottolineo: una sola! - ha reso più celere il nostro processo e più spedito il lavoro degli uffici giudiziari.
Francamente, anche alcuni argomenti usati in questa sede (a proposito del fatto che i rigori ingiustificati e ingiusti che derivano da quella parte della cosiddetta legge Cirielli riguardante la recidiva e che si applica anche ai tossicodipendenti possano essere eliminati con un emendamento a un provvedimento che dovrebbe arrivare da un momento all'altro), ci fanno riflettere sull'approssimazione e sulla leggerezza con cui si è guardato all'approvazione della stessa legge Cirielli, anche da parte di una persona che personalmente stimo, ossia il Vicepresidente del Consiglio. Quest'ultimo solo quando glielo hanno fatto presente le comunità dei tossicodipendenti è riuscito a capire che quella legge tagliava le gambe ad ogni percorso riabilitativo e ad una cultura della riabilitazione e del recupero, che è stata per anni una delle costanti della legislazione di questo paese.
Eppure, di fronte a tutto questo, c'è l'urgenza nelle carceri, c'è la sofferenza. Ricordo i dati che ci ha fornito poc'anzi l'onorevole Pisapia e i tanti che conosciamo per esperienza diretta e per averli letti sui giornali. Il carico di sofferenza che viene da quei dati, che sono numeri, ma sono anche sofferenza, mortificazione di dignità, affetti travolti, legami parentali recisi, è qui davanti a noi. Secondo me, non dovrebbe (Commenti dalle tribune riservate al pubblico)...
PRESIDENTE. Onorevole Finocchiaro, continui pure, scusi... Prego, onorevole Finocchiaro.
ANNA FINOCCHIARO. Tutto questo è qui davanti a noi; è una questione che non possiamo non affrontare e rispetto alla quale credo non vi siano alibi. L'interruzione proveniente dalla tribuna solleva un tema che, come i colleghi sanno, mi è molto caro: mi riferisco alla questione delle detenute con figli minori. La legge, che è stata pur approvata da questo Parlamento l'8 marzo 2001, avrebbe bisogno, per essere applicata e per far uscire i bambini dalle carceri, di una modifica che il presidente Pecorella si è impegnato ad approvare prima della fine della legislatura, rispetto alla quale spero vi sia il concorso di volontà di tutti i colleghi.
Dicevo che quella sofferenza è qui davanti a noi, e non abbiamo nessun alibi. Per questo motivo, mi sono permessa di fare osservare all'onorevole Lussana, che invoca le divisioni all'interno dell'Unione (e che non è più presente in aula), le divisioni che attraversano la Casa delle libertà, la posizione della Lega, quella di Alleanza nazionale e quella di Forza Italia. Mi permetto di far osservare che nell'Unione è unanime l'idea che si debba adottare un provvedimento di clemenza, e noi, come gruppo dei Democratici di sinistra (interverranno poi, al riguardo, i colleghi della Margherita), individuiamo queste condizioni nell'indulto, come provvedimento che sfolli le carceri, senza liberare i tavoli dei pubblici ministeri, travolgendo peraltro (qui vi è un elemento di diffidenza che rappresento) reati che probabilmente, a nostro avviso, andrebbero esclusi dall'amnistia: mi riferisco, in particolare, ai reati dei colletti bianchi.
Quindi, un provvedimento di indulto: siamo pronti ad affrontare questa discussione. Ci sono nostre proposte già pendenti ed alcune già trasformate in emendamenti al provvedimento di indulto che da due
anni è pendente in Commissione; siamo pronti a discuterlo e ad approvarlo. Abbiamo chiesto la calendarizzazione di questa discussione: crediamo di onorare così la nostra responsabilità politica e crediamo in questo modo anche - lasciatecelo dire - di far fronte in parte alla mancanza di responsabilità politica del Governo in questi anni e alla sua incapacità a governare le questioni che riguardano il processo penale, la pena e la sua esecuzione, nonché - questa è l'ultima questione - a quel difetto di solidarietà e di cultura politica che la Casa delle libertà, ancora una volta, oggi, a dispetto del travolgimento di tante speranze, ha qui squadernato dinanzi a voi (Applausi dei deputati dei gruppi dei Democratici di sinistra-L'Ulivo, della Margherita, DL-L'Ulivo e Misto-Comunisti italiani).
PRESIDENTE. Ha chiesto di paralare l'onorevole Pecorella. Ne ha facoltà.
GAETANO PECORELLA. Signor Presidente, onorevoli colleghi, il Parlamento, e ciascuno di noi individualmente, è chiamato ad assumere una decisione, o, quanto meno, ad esprimere un orientamento, che, qualunque potrà essere, lascerà le nostre coscienze inquiete e insoddisfatte. Da una parte, non possiamo tacerlo, vi sono i diritti della vittima, vi è la pretesa, che viene forte dalla società, di maggiore sicurezza, vi è la necessità di garantire la certezza della pena. Dall'altra parte, però, vi è il diritto ad un processo che abbia tempi ragionevoli, cosicché una pena che arrivi tardi è una pena comunque ingiusta; vi è il diritto al rispetto dell'uguaglianza tra i cittadini, cosicché non accada che la posizione di un fascicolo sul tavolo del pubblico ministero faccia di qualcuno un condannato e di un altro invece una persona sottratta al processo; vi sono le carceri, carceri che non permettono certo la rieducazione ma non garantiscono neanche le minime esigenze di vita, cui ciascun uomo, colpevole o innocente, ha diritto. Ventimila detenuti in più rispetto alla capienza delle carceri rappresentano un fatto grave, di fronte al quale dovremmo tutti sentirci responsabili, a prescindere dalle polemiche che stanno nascendo, anche in un momento in cui, con grande serenità e senso di coscienza, dovremmo affrontare un problema che riguarda la vita di ciascuno di coloro che si trovano in carcere. Oggi non siamo legislatori, siamo giudici, perché la nostra pronuncia graverà direttamente su ogni uomo che in questo momento ha un processo in corso o si trova in carcere.
Guardando dal lato della vittima, della sicurezza, della certezza della pena, amnistia e indulto non dovrebbero concedersi mai e non si sarebbero dovuti mai concedere. Vi è tuttavia un dato di cui dobbiamo prendere atto, vale a dire che il codice penale di uno Stato autoritario e la Costituzione prevedono l'amnistia e l'indulto. Questo vuol dire che lo Stato riconosce, in certe situazioni, la necessità e la giustezza del ricorso ad atti di clemenza. Vi fece ricorso - lo dico per chi oggi si oppone al provvedimento di amnistia - il Guardasigilli Togliatti, alla ricerca della riconciliazione nazionale, e da allora circa ogni due anni il Parlamento ha votato un provvedimento di amnistia e di indulto.
Erano governi, quelli che hanno retto le sorti di questo paese negli ultimi cinquant'anni, che avevano meno a cuore i diritti delle vittime, la sicurezza? Non credo proprio. Quasi sempre amnistia e indulto furono una necessità imposta dalla situazione dei tribunali e delle carceri, uno strumento di correzione del sistema. Sono quindici anni che non viene concesso un provvedimento di clemenza. Possiamo davvero affermare che in questi quindici anni la giustizia è diventata più veloce, che le carceri sono più capienti, che le persone vengono trattate con più umanità? Non mi pare che sia così. Amnistia e indulto non sono per nessuno, e non possono esserlo, una scelta che viene fatta a cuor leggero. Sono il prodotto di uno stato di fatto che non è imputabile né a questo né ad altri governi.
Uno stato di fatto che l'Italia si porta dietro da quando Turati, quasi due secoli fa, in un memorabile discorso alla Camera, definì il carcere «l'inferno dei vivi».
Ma se si vuole un provvedimento di clemenza, questo deve essere chiaramente un provvedimento che non sia un simulacro, che abbia una sua coerenza, una sua efficacia. L'indulto senza amnistia, onorevole Finocchiaro, vorrebbe dire lasciare in attesa di giudizio migliaia e migliaia di cittadini, che non sapranno quando e se saranno mai giudicati, vorrebbe dire fare processi inutili, perché alla fine si applicherà il provvedimento di indulto.
E noi abbiamo una coerenza - parlo di Forza Italia e di una gran parte della Casa delle libertà -, perché, nel momento in cui si è fatta la scelta di ridurre i tempi della prescrizione, si è considerato il fatto che una pena lontana nel tempo colpisce una persona che, se anche abbia mai commesso un reato, non è più la stessa; noi abbiamo dunque considerato che la pena è giusta finché è vicina alla commissione del reato.
La posizione di Forza Italia è sempre stata chiarissima, sin da quando nel dicembre del 2002, in Commissione giustizia, si cominciarono ad esaminare i numerosi provvedimenti di amnistia e di indulto, presentati da tutti i gruppi politici; ma se si deve fare, si faccia un provvedimento di clemenza che sia congiunto - amnistia ed indulto -, come è sempre stato fatto negli ultimi cinquant'anni.
La preoccupazione, che io fugherò subito, di voler favorire qualcuno con un provvedimento di amnistia non vi tormenti, amici dei Democratici di sinistra-L'Ulivo, perché Forza Italia vuole un provvedimento chiaro, onesto e leale, che colpisca i gravi reati, lasciandoli fuori, ma che agevoli coloro che non è più giusto tenere sotto processo e ulteriormente in carcere.
Dunque, se questa è la posizione chiarissima di Forza Italia, ciò non significa che non vi sia la più ampia disponibilità a confrontarsi sui contenuti, senza preclusioni, né rigidità. Vi sono reati particolarmente odiosi, che hanno colpito interessi diffusi, che non meritano clemenza, per i quali non c'è spazio per la clemenza; se non si vuole fare di questo tema occasione di uno scontro politico, allora Forza Italia è aperta a tutte quelle soluzioni che siano compatibili con la giusta severità nei confronti di chi non merita clemenza, ma anche con quel senso di umanità che non deve mai mancare in chi amministra la cosa pubblica (Applausi dei deputati dei gruppi di Forza Italia, di Alleanza Nazionale, dell'UDC Unione dei democratici cristiani e dei democratici di centro (CCD-CDU) e di deputati della Margherita, DL-L'Ulivo - Congratulazioni).
PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare l'onorevole Mazzoni. Ne ha facoltà.
ERMINIA MAZZONI. Signor Presidente, colleghi, i miei timori - i timori del gruppo che rappresento, l'UDC - di qualche giorno fa, oggi si trasformano in dolorosa amarezza: un'aula semideserta - ce lo aspettavamo -, un'aula divaricata, con posizioni diversificate all'interno degli stessi schieramenti. Inoltre, questo è un evento che si celebra all'indomani di una marcia, tanto annunciata e propagandata, che non ha visto, però, per notizia diffusa, una partecipazione popolare massiccia, anzi, ha registrato una bassissima partecipazione popolare. Questo ci porta a dover prendere atto oggi di ciò che noi avevamo già capito nei giorni passati, cioè che quella maggioranza qualificata, quella maggioranza dei due terzi che la Costituzione richiede affinché questa Assemblea possa approvare un provvedimento di clemenza, non esiste, e non esiste neanche nel nostro paese. È chiaro che di questo non possiamo non tener conto.
Inoltre c'è un clima, che certo non sostiene lo spirito di chi deve affrontare un argomento così delicato, così impegnativo e così importante, come noi dell'UDC riteniamo che sia. Un clima fatto di polemiche, non elevatissime in alcuni casi, ma anche di minacce, che, mi permetto di dire, non intimoriscono chi le riceve, ma connotano un modo di fare politica, che non ci appartiene. L'UDC pratica la propria politica, non la predica. L'UDC è un partito che vuole convincere gli elettori e non imbonirli. L'UDC è un partito che ascolta il Papa e lo rispetta, non lo strattona.
E infatti l'UDC oggi è qui, è presente, partecipa e interviene, perché ritiene che l'argomento sia di quelli importanti, al punto tale - mi permetterà l'onorevole Adduce - di mettere la sveglia un po' prima oggi, per venire a lavorare come tutti i cittadini italiani, anche dopo due giorni di festa! È un argomento che per noi... (Commenti dei deputati dei gruppi dei Democratici di sinistra-L'Ulivo e della Margherita, DL-L'Ulivo).
ALFONSO GIANNI. Perché dice queste cose?
PRESIDENTE. Onorevoli colleghi... (Commenti dei deputati dei gruppi dei Democratici di sinistra-L'Ulivo e della Margherita, DL-L'Ulivo).
ALFONSO GIANNI. Benedetta collega!
PRESIDENTE. Onorevole Alfonso Gianni, la richiamo all'ordine, per cortesia.
ALFONSO GIANNI. Ma perché non parla del merito?
ERMINIA MAZZONI. È un argomento sul quale non abbiamo paura di esprimerci e sul quale ci siamo espressi senza ipocrisia e con coerenza nel corso di questi anni ed anche, di recente, in Commissione.
Vi sono delle situazioni contingenti, gravi, che non possono essere ignorate. Vi sono dei fattori di preoccupazione importanti, quali il sovraffollamento delle carceri, le disumane condizioni di detenzione, la lungaggine dei processi e l'eccessivo carico dei tribunali. Una classe politica responsabile non può non tenere conto di tutte queste condizioni. Al contempo, vi è l'esigenza di assicurare alla collettività, ai cittadini, che chi commette un reato sia assicurato alla giustizia e che per lui scatterà la giusta pena. In un momento in cui la gente si sente minacciata da una criminalità un po' troppo baldanzosa, vi è l'esigenza di non mostrare con provvedimenti superficiali, disattenti e distratti, che si stia abbassando la guardia.
Fatte queste considerazioni, noi dell'UDC abbiamo, in questi anni, espresso la nostra posizione: il nostro favore responsabile nei confronti di un atto di clemenza, che però tenga conto di queste diverse esigenze, che sia cioè il punto di equilibrio tra di esse. Pertanto abbiamo parlato, lo abbiamo ripetuto recentemente anche in Commissione, di un provvedimento di amnistia selettiva, sia in relazione alla pena edittale per la quale è applicabile, sia in relazione alla tipologia dei reati. Abbiamo parlato anche di un provvedimento di indulto, generalizzato, che però estenda i suoi effetti in relazione ai tempi compatibili della pena irrogata o da irrogare. Dunque, un provvedimento che possa prevedere anche altre forme di liberazione anticipata, con dei meccanismi di irrogazione di eventuali pene anche aggravate, laddove i soggetti che ne abbiano beneficiato commettano un reato dello stesso tipo o di altro tipo.
Questa posizione del gruppo che rappresento si basa anche, tra le altre, su una considerazione importante, che tocca a nostro avviso un profilo significativo di legittimità. Chi ha commesso un reato dovrà scontare una pena, ma nelle attuali condizioni delle carceri ha patito o patirà un aggravamento della stessa pena, che non è previsto da nessuna legge e non è stato previsto da nessun magistrato. Questo è un fatto significativo, sul quale noi abbiamo riflettuto e sul quale continuiamo a riflettere. Questa posizione l'abbiamo condivisa in queste aule parlamentari negli ultimi anni. Per ben due volte si è affrontato questo argomento. Oggi ci troviamo a tornare per la terza volta sull'argomento.
Nelle due volte precedenti abbiamo verificato che questo Parlamento non aveva al proprio interno la sensibilità necessaria per produrre un atto di clemenza, per approvare un provvedimento di amnistia o di indulto. Siamo arrivati, infatti, ad un provvedimento che, in maniera dispregiativa - ne capisco le motivazioni -, viene definito "indultino" e,
comunque, è stato l'unico approdo di quel laborioso confronto che abbiamo sviluppato e che, in ogni caso, è riuscito a produrre all'incirca 8 mila scarcerazioni.
In questi giorni ci siamo ritrovati in Commissione e l'UDC è stato tra i gruppi che hanno proposto l'indagine affidata al relatore, onorevole Mormino, chiedendo di fare una preventiva verifica prima di riaprire alla speranza, prima di risollevare delle illusioni dolorosissime - sono d'accordo con l'onorevole Finocchiaro -, prima di dare un ulteriore schiaffo ai più deboli, a coloro che soffrono. All'esito di questo lavoro la Commissione ha dato un risultato chiaro: quella maggioranza non c'è, in quest'aula non esiste una volontà politica che possa consentire di parlare con serietà (considerati i mezzi e i tempi che abbiamo a disposizione) di un provvedimento di amnistia o di indulto.
L'onorevole Finocchiaro diceva che si è realizzata e si è verificata una convergenza sull'indulto. Mi permetto di dire, onorevole Finocchiaro, che non era una convergenza; si è raggiunta una mediazione possibile, incerta, di alcuni gruppi sull'eventualità di arrivare al massimo ad un indulto, che è cosa ben diversa. Mi sono permessa di obiettare - lo ripeto in quest'aula - che quello era il punto di partenza sofferto, difficile, «raccogliticcio», che non avrebbe portato a niente di meglio di quello che abbiamo già prodotto, cioè un altro indultino: non è questo che oggi dobbiamo fare.
Noi abbiamo senso di responsabilità, rispettiamo la persona in quanto essere umano, ci carichiamo delle nostre negligenze e delle nostre mancanze, sappiamo che una classe politica seria e responsabile ha il dovere di prodursi in ben altri atti. Sappiamo che, oltre alle politiche di edilizia penitenziaria - anche quelle servono -, è necessario porre mano a riforme significative per rispondere a questi gravissimi problemi. Se vogliamo svilupparlo - come ho sentito dai colleghi Pisapia e Pecoraro Scanio -, questo può essere un argomento di confronto serio per incominciare a gettare le basi di qualcosa che si dovrà produrre, senza indugio, nella prossima legislativa. Tuttavia, oggi - purtroppo, Presidente - dobbiamo dire che in quest'aula non esiste la maggioranza necessaria e, forse, avremmo fatto meglio a rimanere lontani dai riflettori. Saremmo stati più seri ed apprezzabili dando un peso ed un valore a quel lavoro sano, serio e saggio sviluppato in Commissione, che ha portato al risultato che oggi annotiamo.
La nostra è, quindi, una posizione di disponibilità e di attenzione, ma sicuramente di serietà, di responsabilità e di rispetto delle istituzioni. Pertanto, chiediamo al Presidente di prendere atto di quello che avviene in quest'aula, con gli orientamenti di voto che sono stati espressi e con le titubanze che sono state manifestate. Oggi abbiamo documentato che non esiste quella platea necessaria a raggiungere il risultato che noi pure avremmo auspicato e per il quale in questi anni abbiamo anche lavorato (Applausi dei deputati del gruppo dell'UDC Unione dei democratici cristiani e dei democratici di centro (CCD-CDU)).
ROBERTO GIACHETTI. Chiedo di parlare sull'ordine dei lavori.
PRESIDENTE. Ne ha facoltà.
ROBERTO GIACHETTI. La ringrazio, signor Presidente. Siccome all'articolo 8 del nostro regolamento si dice che il Presidente rappresenta la Camera e assicura il buon andamento dei suoi lavori, le sarei grato, signor Presidente, se lei potesse rimarcare (non dico prendere le difese, perché questo non le spetta istituzionalmente) le ingiurie che vengono rivolte nei confronti di alcuni colleghi solo per il fatto che, per motivi, in alcuni casi evidenti e che si verificheranno, magari perché sono fermi per strada e non riescono ad arrivare in quest'aula, non sono presenti.
La vorrei pregare, signor Presidente, atteso che vi è una grande attenzione da parte della stampa e che per la quarta volta consecutiva qualcuno si è alzato qui dentro sostenendo che l'aula è vuota, di citare, nell'ambito di discussioni sulle linee
generali su temi diversi, quante persone erano presenti in aula per ascoltare quanto veniva detto.
Sono presenti due Vicepresidenti della Camera, i sottosegretari che hanno firmato e un centinaio abbondante di parlamentari (Applausi dei deputati dei gruppi della Margherita, DL-L'Ulivo e Misto-La Rosa nel Pugno) e tutto questo per lei non costituisce neanche l'occasione per far notare ad altri colleghi come veniamo trattati perché ci siamo permessi di chiedere che qui dentro si esprimesse una parola definitiva su questo argomento - proprio per non ingannare nessuno -, invece di proseguire a farlo sui giornali (Applausi dei deputati dei gruppi della Margherita, DL-L'Ulivo, di Rifondazione comunista, Misto-La Rosa nel Pugno e Misto-Verdi-l'Unione)!
PRESIDENTE. Onorevole Giachetti, contrariamente a lei, ritengo che i giornalisti abbiano gli occhi per vedere quanti deputati sono presenti e non ho assolutamente la possibilità di bloccare, negare la parola o entrare nella discussione...
ROBERTO GIACHETTI. Deve dire, nei dibattiti generali, quanti sono!
PRESIDENTE. Onorevole Giachetti, lei ha capito benissimo i rilievi che i colleghi contrari all'amnistia hanno rivolto ai firmatari. Si tratta di rilievi che si possono condividere o meno, ma che comunque devono essere rispettati e non meritano certo interventi impropri da parte mia.
E non ho bisogno che lei, onorevole Giachetti, mi spieghi quanti sono i deputati presenti, perché ci sono decine di giornalisti che riporteranno fedelmente, numeri alla mano, quanti sono i presenti.
Non vi è dubbio che ci sono state discussioni sulle linee generali nelle quali erano presenti anche solo dieci parlamentari...
ROBERTO GIACHETTI. Sempre, su ogni argomento!
PRESIDENTE. E non vi è dubbio che questa seduta sia stata convocata, ai sensi di un articolo della Costituzione, come seduta straordinaria.
Ha chiesto di parlare l'onorevole Fanfani. Ne ha facoltà.
GIUSEPPE FANFANI. Signor Presidente, onorevoli colleghi, volevo ringraziare il collega Giachetti per aver dato a tutti noi l'opportunità e la condizione per discutere di un tema così delicato. Volevo ringraziare anche lei, signor Presidente, per aver fissato celermente questa seduta e per aver riconosciuto ampio spazio a tutti per discutere di un tema al quale annetto personale considerazione.
Non posso ringraziare il ministro della giustizia che non ha sentito il dovere né ha avuto la sensibilità di partecipare a questo dibattito, non per rispetto verso coloro che vi hanno partecipato o che intervengono, ma per rispetto doveroso nei confronti di questa Assemblea.
Parlerò con la prudenza che si impone quando si parla di libertà, dei diritti fondamentali dei cittadini e soprattutto, quando si parla di libertà, non senza un'amarezza di fondo. Colleghi, che più volte questa mattina dai banchi della maggioranza avete rimarcato una scarsa presenza in quest'aula, vi ricordo che quando si è trattato di parlare e di difendere le libertà individuali di qualche parlamentare eravate tutti presenti! Infatti, è brutto constatare che soprattutto in quei settori manchino persone quando si parla di libertà collettiva, di libertà che interessa tutti i cittadini (Applausi dei deputati dei gruppi della Margherita, DL-L'Ulivo, Misto-Comunisti italiani, Misto-La Rosa nel Pugno e Misto-Verdi-l'Unione)!
Tuttavia, non mancherò di usare la chiarezza necessaria in quest'aula, in quanto non vorrei che i toni correttamente moderati che hanno caratterizzato questo dibattito, in funzione dell'altezza degli obiettivi e dei temi presupposti, finissero per togliere a noi stessi il dovere di essere puntuali in ragione di ciò che discutiamo.
Nel novembre di due anni fa, quando il Sommo Pontefice invocò in quest'aula un atto di clemenza, tutti accolsero quelle parole con la consapevolezza - evidentemente
comune sia alla cultura cattolica e cristiana sia a quella laica - che fosse doveroso agire con disponibilità spirituale verso chi soffre per una pena pur legittimamente inflitta.
Noi, oggi, ci confrontiamo con un problema la cui genesi è stata da più parti ricordata e molto spesso enunciata. Ho sentito ricordare, soprattutto dalla collega Lussana, il sovraffollamento delle carceri: è uno dei problemi, ma non il solo. Noi ci confrontiamo con un problema carcerario che ha dimenticato la funzione rieducativa e riabilitativa della pena; che ha dimenticato la necessità di recupero sociale del condannato; che ha dimenticato la dignità insita nelle modalità di espiazione della pena; che ha dimenticato i problemi sanitari all'interno delle carceri, i problemi scolari, i problemi del recupero sociale e, soprattutto, il problema del reinserimento lavorativo.
Noi abbiamo un dovere spirituale, non c'è dubbio - coloro che credono e coloro che lo sentono in coscienza senza credere: non fa differenza! -, ma abbiamo, come legislatori, un dovere diverso, quello di confrontare il problema dell'esigenza di clemenza, che è frutto dei presupposti che in precedenza ricordavo, con il dovere di giustizia e con il dovere di sicurezza dei cittadini, anche per evitare un duplice pericolo: da un lato, che leggi di sostanziale clemenza, sia pure indiretta, inappropriatamente approvate da questo Parlamento dall'inizio della legislatura ed a tutti note (non le citerò in dettaglio per rispetto di questa Assemblea) inducano a ritenere che questa Camera sia incline a considerare la libertà personale di pochi più importante della libertà di tutti, universalmente intesa come patrimonio della persona; dall'altro lato, per evitare che il tema della sicurezza venga utilizzato in maniera strumentale e populista da chi ha dimostrato di non avere né nell'intelletto né nel cuore il tema della giustizia.
Quando si parla di funzione della pena, della sua dignità, della rispondenza ai criteri costituzionalmente garantiti, e quando si risponde negativamente alle esigenze di clemenza, sarebbe necessario domandarsi, soprattutto ai massimi livelli, signor ministro della giustizia, oggi assente in quest'aula - ma spero che ci ascolti -, se sia stato fatto qualcosa, in questi ultimi cinque anni, affinché la pena divenisse più giusta, tendenzialmente, e perché fossero adottati provvedimenti per garantire la sicurezza di coloro che sarebbero usciti un domani dal carcere e di coloro che dal carcere sono fuori. La collega Finocchiaro ha ampiamente e bellamente affrontato questo problema, per cui non vi tornerò sopra.
Vorrei soltanto dire - e, credetemi, la mia non è polemica, ma solo necessità di chiarezza - che non vi è sicurezza se non si creano le condizioni affinché chi entra in carcere ne esca migliore. Onorevole Lussana, lei ha affermato che è necessario costruire più carceri. Sì, secondo l'ottica propria del ministro Castelli, è vero! Io vi dico che è necessario ricostruire le persone all'interno delle carceri, altrimenti non si è fatto niente: si sono costruite mura, ma la logica del mattone non può essere prevalente su quella della dignità umana e sulle logiche sociali (Applausi dei deputati dei gruppi della Margherita, DL-L'Ulivo, dei Democratici di sinistra-L'Ulivo, Misto-La Rosa nel Pugno e di deputati di Forza Italia e dell'UDC Unione dei democratici cristiani e dei democratici di centro (CCD-CDU))!
Oggi, in carcere vi sono circa un terzo di extracomunitari, un terzo di detenuti ordinari, diciamo così, compresi coloro che attendono di essere giudicati - argomento fondamentale - ed un terzo di tossicodipendenti.
Io mi domando, e domando a voi: ma cosa ci fanno i tossicodipendenti in carcere? Sperate che i tossicodipendenti, quando usciranno dal carcere, possano essere migliori se non avremo adottato, all'interno del percorso di recupero, escludendo il sistema carcerario, tutto ciò che è necessario per ricostruire dei cittadini?
Oppure ritenete che, vivendo all'interno del carcere e dovendo pagare (tralascio il come e il modo) quelle poche dosi che i boss del carcere fanno loro pervenire, non ne escano peggiori? O non immaginate (e
mi rivolgo all'onorevole Fini che, troppo spesso, ha usato rigidezza di pensiero nell'affrontare questo problema) che per i tossicodipendenti sia assolutamente necessario un percorso alternativo al carcere, che offra le condizioni per l'inserimento in comunità e che, attraverso il sistema della comunità, garantisca loro la possibilità di ritornare cittadini?
Vedete, una delle pochissime gioie che ultimamente ho provato è quella di essere stato raggiunto da un mio ex, non dico cliente, perché, ovviamente, questa gente non ti dà mai una lira, ma amico del cuore, un ex tossicodipendente che ho difeso tantissime volte per reati contro il patrimonio: uscito da San Patrignano, si è messo a lavorare, si è sposato con una ragazza conosciuta lì dentro, ha messo su famiglia e mi è venuto personalmente a ringraziare, portandomi un vaso di ceramica che aveva avuto modo di imparare a fare a San Patrignano. È diventato ceramista.
Oggi, vi è la necessità di un atto di clemenza, non c'è dubbio, per le condizioni e per i fattori che prima ho riferito. Ma vi è la necessità di una contestuale revisione sistematica di tutto l'ordinamento penitenziario, del sistema della pena, a cominciare dall'individuazione di pene differenziate per qualità di reati e per categorie di delinquenti, superando l'attuale dicotomia tra pene detentive e pene pecuniarie, di un sistema cautelare diverso, troppo spesso, oggi, improprio, impropriamente usato e non corrispondente all'esigenza di tutela...
PRESIDENTE. Onorevole Fanfani...
GIUSEPPE FANFANI. Presidente, pregherò i colleghi del gruppo della Margherita di parlare di meno, però...
PRESIDENTE Onorevole Fanfani, le ho solo ricordato la conclusione del tempo a sua disposizione.
GIUSEPPE FANFANI. Se le è possibile, usi clemenza anche lei nei miei confronti.
Dicevo: un sistema non corrispondente all'esigenza di tutela rispetto alle case-famiglia per detenute madri.
Lo faremo nella prossima legislatura, perché, in un quadro di revisione generale, sarà possibile accedere ad un provvedimento di clemenza più ampio che comprenda anche la possibilità di un'amnistia per la quale, oggi, riteniamo non esistano le condizioni. Un provvedimento che alleggerisse, come è stato già detto, il sistema giudiziario da fascicoli appartenenti a reati minori, ma non tali nella sensibilità dell'opinione pubblica (faccio riferimento alle truffe, alle appropriazioni indebite, per parlare di problemi che oggi sono al centro della sensibilità sociale, ai falsi in bilancio, che verrebbero estinti; e chi se ne vuole assumere la responsabilità lo può dire chiaramente), non inciderebbe minimamente sul sistema carcerario.
L'amnistia - è inutile ripeterlo; vi è stato detto da più parti - non incide sulla quantità di persone detenute in carcere, senza considerare che essa, svincolata da provvedimenti strutturali per i quali vi è necessità di una ampiezza di pensiero che difficilmente si riesce ad avere e che, fino ad oggi, non vi è stata, corre il rischio di essere pericolosa nell'impatto sul sistema processuale e sostanziale penale e di risultare, ancora una volta, un provvedimento di favore verso i forti e non verso i deboli.
Oggi, in quest'aula, ho sentito dire che i condannati devono scontare la pena fino in fondo: cito testualmente le parole dell'onorevole Lussana. È un sano principio, ma immagino che chi lo ha pronunciato se ne sarebbe dovuto ricordare anche quando sono stati adottati in quest'aula provvedimenti di favore, perché, se lo avesse ricordato alla propria coscienza, quei provvedimenti non sarebbero stati adottati (Applausi dei deputati dei gruppi della Margherita, DL-L'Ulivo, dei Democratici di sinistra-L'Ulivo e Misto-La Rosa nel pugno). E non fatemi fare i nomi, perché vi sono anche presidenti di partito che hanno usufruito di questo provvedimento.
Noi abbiamo, a suo tempo, elaborato e lavorato ad un indulto condizionato che
venne definito «indultino». Molti hanno detto che è servito a poco o a niente, perché ha liberato solo sei, settemila persone, ma nessuno ha potuto dire che l'indultino ha prodotto delinquenti, perché era condizionato alla buona condotta, perché era un provvedimento di clemenza condizionato alla sorveglianza e perché, attraverso l'indultino, coloro che sono usciti si sono sentiti gratificati dallo Stato in termini di fiducia e, molto spesso, hanno ricambiato questa fiducia con comportamenti che non sono stati censurati!
Di questo vorrei chieder conto ai censori di un provvedimento che, in tanti (il sottoscritto, l'onorevole Buemi e molti altri), abbiamo in passato voluto e nel quale abbiamo creduto.
È vero, era un provvedimento da poco, ma ha dimostrato che se si dà fiducia a coloro che la chiedono da una posizione di sofferenza, molto spesso questa fiducia viene ricambiata con comportamenti certamente migliori di quelli che non si tengano in carcere.
La strada da seguire, signor Presidente, è quella della clemenza congiunta alla sicurezza. Su questa strada noi, ancora oggi, intendiamo muoverci, con un provvedimento di indulto. È questa la nostra proposta, che tutto l'Ulivo ha condiviso e sulla quale credo si possa enunciare un atto di coerenza. Per ciò è necessaria coerenza di pensiero, che molti non hanno, e soprattutto è necessario senso della giustizia. Ma sono necessarie anche tre qualità: come dice San Paolo, ci vuole la luce per vedere (cioè, la capacità di vedere oltre quello che si vede normalmente), il coraggio per eseguire e la pazienza per sopportare le conseguenze di quello che si fa.
Chi non ha queste qualità dovrebbe astenersi dal pretendere di governare materie così delicate come la sofferenza e la speranza, che ad essa è collegata e che nessuno ha il diritto di negare a nessuno (Applausi dei deputati dei gruppi della Margherita, DL-L'Ulivo, dei Democratici di sinistra-L'Ulivo, di Rifondazione comunista, Misto-Comunisti italiani e Misto-La Rosa nel Pugno).
PRESIDENTE. Prima di dare la parola all'onorevole Fiori, che parla in rappresentanza della DC, volevo ricordare i nomi dei colleghi che, sino ad ora, hanno chiesto di intervenire a titolo personale: Sterpa, Cento, Bandoli, Mario Pepe, Siniscalchi, Bulgarelli, Zanella, Taormina, Biondi, Sgarbi, Ricciotti, Duilio, Giovanni Bianchi, Lupi, Ranieli e Mazzucca Poggiolini. Qualora vi siano altre richieste di intervento, invito gli interessati ad indicarle alla Presidenza, al fine di consentirmi una sorta di programmazione dei lavori.
NINO MORMINO. Signor Presidente, anch'io mi riserverei di intervenire, quale relatore in Commissione sui provvedimenti in materia.
PRESIDENTE. Certo, non è una questione di fiscalità; la mia richiesta è volta esclusivamente a consentire una certa organizzazione dei lavori e per evitare che si concluda la seduta con due parlamentari, magari attribuendone la colpa al Presidente che non ha fatto una programmazione adeguata.
ENRICO BUEMI. Chiedo di parlare sull'ordine dei lavori.
PRESIDENTE. Ne ha facoltà.
ENRICO BUEMI. Signor Presidente, intendo sottoporle la questione dell'applicazione dell'articolo 62, terzo comma, della Costituzione e chiederle se la Presidenza della Camera abbia avviato rapporti con la Presidenza del Senato per dare attuazione al principio costituzionale recato dal succitato articolo 62.
PRESIDENTE. Onorevole Buemi, le rispondo subito, in quanto tale questione è stata sollevata, impropriamente, anche nei giorni scorsi.
Ai fini di quanto disposto dall'articolo 62, terzo comma, della Costituzione, secondo cui quando si riunisce in via straordinaria una Camera è convocata di diritto anche l'altra, ho comunicato al Presidente del Senato, per iscritto, sin dalla giornata
del 23 dicembre scorso, l'avvenuta convocazione in via straordinaria della Camera, ferma restando l'autonomia costituzionale dell'altro ramo del Parlamento e delle determinazioni di competenza dei relativi organi direttivi.
Peraltro, la prassi attuativa della citata disposizione costituzionale è nel senso di non considerare automatica, a fronte della convocazione in via straordinaria di una Camera, la corrispondente riunione in via straordinaria dell'altra.
In questo senso sono i tre più recenti precedenti in materia, su quattro verificatisi. Si tratta dei precedenti del 1979, quando, a fronte della convocazione straordinaria del Senato, la Camera svolse una seduta ordinaria; del 1992, quando, a fronte della convocazione straordinaria della Camera, il Senato non tenne seduta, e del 1994, quando, in occasione della convocazione straordinaria della Camera, il Senato tenne una seduta ordinaria su altri argomenti.
Pertanto, anche il furore polemico, sollevato al riguardo, è assolutamente improprio rispetto ai precedenti.
Ha chiesto di parlare l'onorevole Fiori. Ne ha facoltà.
PUBLIO FIORI. Vorrei iniziare questo mio intervento come uno dei firmatari della richiesta di autoconvocazione della Camera dei deputati ringraziandola, signor Presidente, perché, al di là di quanto abbiamo ascoltato, lei ha dato adempimento preciso e puntuale al dettato costituzionale e ci ha consentito di svolgere, oggi, questo dibattito che, a parte le polemiche di tipo politico o anche personale, si sta dimostrando, di fatto, un incontro molto interessante ed importante. Sta emergendo, infatti, con chiarezza una volontà fortemente maggioritaria di questo ramo del Parlamento di affrontare in maniera decisiva ed immediata un tema così rilevante.
Ascoltando i rappresentanti dei gruppi parlamentari, da Forza Italia a quelli della sinistra, all'UDC Unione dei democratici cristiani e dei democratici di centro (CCD-CDU), alla Democrazia cristiana, si può rilevare che vi è una maggioranza pronta a fare autocritica sulle carenze che anche questo Parlamento deve accertare rispetto ai gravi problemi della giustizia e rispetto al gravissimo problema dell'affollamento delle carceri.
Colleghi, ci tengo a sottolineare un concetto. Il Parlamento non è oggi diviso tra chi non vuole che la pena sia applicata e chi invece pretende che la pena sia accertata ed applicata. Siamo tutti d'accordo: «delitto e castigo», «delitto e punizione». Su ciò, ripeto, siamo tutti d'accordo; nessuno vuole sottrarre qualcuno alla propria responsabilità per aver violato la legge penale.
Il tema che stiamo ponendo è un altro, cioè se accanto al diritto costituzionale di veder punito chi ha commesso il reato vi sia la possibilità di rispettare anche l'altro diritto costituzionale, per cui la pena viene applicata ma eseguita nel rispetto dei principi previsti dalla Costituzione.
Quando vi sono (lo hanno detto in tanti e non intendo soffermarmi oltre, ma lo accennerò avendo visitato le carceri italiane) sei, otto o persino dieci persone in una cella dove è prevista la presenza di due persone, questa non è più una pena. Non intendo dire che possa rappresentare una tortura, ma sicuramente è un modo disumano di affrontare il tema, di far pagare a chi ha sbagliato il proprio debito verso la collettività.
È già importante che noi, al termine della legislatura, ci facciamo carico in maniera palese, ci assumiamo la responsabilità della distorsione del «sistema giustizia». Bisogna dire che deve essere applicato non soltanto l'articolo della Costituzione che considera la qualità della pena, ma anche il principio dell'articolo 3 della Carta costituzionale, per cui non è giusto che i ritardi nell'amministrazione della giustizia per alcuni cittadini significhino impunità e per altri dover pagare sovrapprezzi nell'esecuzione della pena.
Cosa possiamo fare? Qualcuno ha detto che non abbiamo, ormai, il tempo di intervenire. Non sono d'accordo, perché se effettivamente vi fosse, nella Camera, come ho percepito (si tratta di stabilire le
forme di intervento), la possibilità di trovare un accordo per giungere ad un provvedimento immediato di clemenza, che vada nella direzione di eliminare una stortura incostituzionale e disumana che sappiamo esservi nelle carceri italiane, avremmo un mese di tempo durante il quale il provvedimento potrebbe essere varato.
Aggiungo che, se per caso non riuscissimo a varare in tempo l'amnistia o l'indulto, cioè a trovare un accordo che faccia emergere una maggioranza così importante dal punto di vista quantitativo, richiesta dalla Costituzione, potremmo approvare una «leggina», da me presentata due anni fa, che pone un limite oltre il quale nel carcere non possa essere accettato nessuno.
Non vorrei suscitare delle ironie, ma si tratterebbe del «numero chiuso». In altri termini, se a Regina Coeli possono essere ospitati mille detenuti, il direttore di quel carcere, quando arriva il numero mille e uno, non può farlo entrare.
Mi riferisco, dunque, ad una legge che preveda che, quando si è superato il limite oltre il quale le condizioni umane della detenzione diventano inaccettabili, il direttore del penitenziario ha il dovere di non procedere all'accettazione di altri detenuti, e quindi il magistrato ha la facoltà - e forse il dovere - di individuare una pena alternativa.
Ritengo comunque che, al di là di questa mia modesta e sommessa proposta di legge (che giace da molto tempo presso la Commissione giustizia), se vi fosse - e credo che ci sia - la volontà politica di procedere in tal senso, troveremmo il modo, anche con una serie di sedute notturne, di affrontare e risolvere questo drammatico problema (Applausi dei deputati del gruppo Misto-Ecologisti democratici e di deputati dei gruppi di Forza Italia e dell'UDC Unione dei democratici cristiani e dei democratici di centro (CCD-CDU)).
PRESIDENTE. Grazie, onorevole Fiori.
A questo punto, passiamo agli interventi dei sottoscrittori della richiesta di convocazione straordinaria della Camera che hanno chiesto di parlare: ricordo che ciascuno di loro ha quattro minuti di tempo a disposizione.
Ha chiesto di parlare l'onorevole Sterpa. Ne ha facoltà.
EGIDIO STERPA. Signor Presidente, non sono un giurista ed ho poca dimestichezza con i problemi della giustizia. Onestamente, quest'oggi mi aspettavo un dibattito sereno e pacato; vi sono stati, invece, accenti polemici francamente inaccettabili: lo dico con cortesia e con cordialità ai colleghi che hanno usato tali accenti.
Mi sono ritrovato molto nel discorso pronunciato dall'onorevole Pecorella, che ha svolto veramente un intervento di alto livello giuridico, nonché nei discorsi dei miei amici Pisapia ed Armando Cossutta (perché si può essere amici anche stando su sponde opposte, ed io sono amico di questi due colleghi, di cui ho ascoltato con interesse le argomentazioni).
Il mio sarà un intervento breve, signor Presidente, perché vuole essere una testimonianza liberale - sottolineo: liberale - a favore di un provvedimento di amnistia e di indulto insieme: infatti, non serve l'indulto da solo, così come non serve soltanto l'amnistia. Vi sono ragioni serie e solide per sostenere questa battaglia, che considero di alto valore civile, di cui innanzitutto va certamente dato merito - lo dico con molta schiettezza - a Pannella; voglio aggiungere che anche all'onorevole Giachetti va dato il merito di avere fatto convocare questa seduta.
La prima ragione per cui sono a favore di questi provvedimenti di clemenza è perché, come dice Croce nel suo Etica e politica, la giustizia è fatta anche di compassione umana. Ecco perché, francamente, non capisco il no all'amnistia e all'indulto pronunciato da alcuni colleghi, di cui peraltro rispetto le opinioni. Non c'è retorica, non c'è demagogia in questa mia affermazione, ma non c'è neppure l'ipocrisia che avverto nelle parole di alcuni che oggi sono a favore dell'amnistia o dell'indulto, ma che non lo sono stati ieri; fatto sta che da quindici anni, in questo
paese, non viene varato un provvedimento di clemenza!
Ed è demagogia - e lo dico, anche in questo caso, con cordialità - non sostenere, ma esprimere contrarietà verso l'amnistia. Indubbiamente, nell'opinione pubblica c'è contrarietà, poiché si teme il ritorno in circolazione di criminali; tuttavia, credo che un buon provvedimento di amnistia e di indulto, ben congegnato, possa evitare il ritorno in circolazione di delinquenti.
La testimonianza di un grande giurista, di cui mi onoro anche di essere amico, mi ha convinto a sostenere questa tesi a favore dell'amnistia. Si tratta della testimonianza di Giuliano Vassalli, che ci assiste...
PRESIDENTE. Onorevole Sterpa, si avvii a concludere.
EGIDIO STERPA. ... nelle decisioni che il Parlamento assume.
Concludo, Presidente. Vassalli, per l'appunto, ha dichiarato - leggo la sua dichiarazione - che non c'è mai stato nella storia d'Italia, prima monarchica e poi repubblicana, un periodo così lungo, ben quindici anni, senza amnistia ed indulto: per questo le carceri scoppiano!
Non aggiungo altro, signor Presidente; non ne ho il tempo e, peraltro, ho promesso di parlare poco. Mi affido, però, alle parole dell'avvocato e presidente della Commissione giustizia, professor Pecorella, che è qui presente, nonché, come ho già dichiarato, alle parole poc'anzi pronunciate dagli onorevoli Pisapia e Armando Cossutta (Applausi dei deputati del gruppo di Forza Italia e di deputati dei gruppi di Rifondazione comunista, Misto-Comunisti italiani e Misto-La Rosa nel Pugno).
PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare l'onorevole Cento. Ne ha facoltà.
PIER PAOLO CENTO. Signor Presidente, la posizione dei Verdi è stata già espressa con grande coerenza e chiarezza dal nostro presidente, onorevole Pecoraro Scanio. A mio avviso, giunti a tal punto, si dovrebbe forse riflettere su come concludere la discussione politica e parlamentare che opportunamente si sta svolgendo questa mattina.
Infatti, non vi è dubbio che gli interventi dei deputati dei diversi gruppi segnalino quanto anche in Commissione giustizia, nella settimana precedente la pausa natalizia, si era constatato: posizioni diverse, che purtroppo non rendono plausibile un percorso che culmini nell'approvazione di un provvedimento di amnistia e di indulto in questa legislatura. Noi Verdi, però, ci siamo, pronti anche ad una convocazione quotidiana a partire da domani, qualora si dovesse registrare un mutamento delle condizioni che sono emerse dagli interventi svolti.
Ci rivolgiamo anche ai nostri amici ed alleati del centrosinistra per sgombrare il campo da un equivoco: noi siamo per l'amnistia e l'indulto congiunti, come sempre è stato nella storia del Parlamento, ma non ci sottrarremmo ad una discussione che fosse anche solo sull'indulto. Discussione che riterremmo, però, riduttiva, non adeguata nè sufficiente per affrontare la complessità di temi significativi non solo per i detenuti, ma per il funzionamento stesso della giustizia. Rimaniamo sorpresi dalla circostanza che anche il partito dell'onorevole Giachetti - che noi ringraziamo per l'iniziativa assunta - abbia però, con l'onorevole Fanfani, espresso la propria non adesione all'ipotesi dell'amnistia, condividendo solo l'ipotesi di un indulto molto ristretto e condizionato che, a mio avviso, a poco servirebbe. Ma, fosse anche quello l'approdo di questa discussione, non ci sottrarremmo.
Riteniamo però, Presidente, che sarebbe forse opportuno assumere, da parte dei partiti prima ancora che dei gruppi parlamentari, un comune impegno. Noi proponiamo che i segretari dei partiti del centrosinistra e del centrodestra ed i leader dei due schieramenti, Romano Prodi e Silvio Berlusconi, assumano almeno un impegno politico che vincoli le forze politiche che dovessero essere rappresentate in Parlamento nella prossima legislatura a mettere all'ordine del giorno dei lavori,
all'inizio della prossima legislatura, un provvedimento di amnistia e di indulto, con l'impegno dichiarato, pubblico, trasparente, autenticamente bipartisan, di approvarlo nei primi tre mesi a decorrere, appunto, dall'inizio della nuova legislatura. Riteniamo che ciò sarebbe un modo serio di risolvere questa discussione evitando che oggi, di fronte ad una lodevole iniziativa di 205 parlamentari, si chiuda il dibattito attraverso la constatazione dell'impossibilità, quasi un funerale, di un provvedimento di clemenza e dando una speranza seria e responsabile per l'emergenza carceraria a quanti la vivono: non solo i detenuti ma anche - nessuno li ha ricordati in questa discussione - gli operatori di polizia penitenziaria, i volontari e coloro che quotidianamente hanno a che fare con le condizioni drammatiche di vita nelle carceri.
Dunque, perché non creare le condizioni affinché un atto politico che impegni i partiti, sottoscritto dai segretari dei partiti stessi e dai leader dei due schieramenti, non venga assunto nei prossimi giorni in maniera coerentemente conseguente a questo dibattito parlamentare...
PRESIDENTE. Onorevole Cento...
PIER PAOLO CENTO. Concludo, Presidente. Un atto che ci impegni affinché nella prossima legislatura, magari per la ricorrenza del 2 giugno, festa della Repubblica, si giunga ad un provvedimento di clemenza. Lo dobbiamo fare, se vogliamo essere seri e responsabili; questo è l'impegno che i Verdi si assumono e che propongono alle altre forze politiche quale conclusione di questa discussione parlamentare (Applausi dei deputati del gruppo Misto-Verdi-l'Unione e di deputati del gruppo della Margherita, DL-L'Ulivo).
PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare l'onorevole Bandoli. Ne ha facoltà.
FULVIA BANDOLI. Signor Presidente, credo che vada detto, a nome di tutti quelli che hanno dato vita a questa discussione, che poche volte mi è capitato di assistere ad un dibattito generale su un provvedimento su cui non si vota nel quale ci si ascoltasse reciprocamente con tanta attenzione. Questo è un dato sicuramente positivo, a riprova del fatto che ciò non dipende mai da quanti si è all'interno di quest'aula a dar vita ad una discussione, ma che l'importante è il reciproco ascolto. Ognuno di noi e di voi rappresenta anche gli altri, i pochi che sono qui e i tanti altri.
Sono contenta di questa discussione per una ragione: ho sentito alcune posizioni muoversi da una parte e dall'altra. Ho sentito anche delle differenze, che non posso negare, all'interno dello schieramento a cui appartengo. Mi riferisco ad una maggiore disponibilità all'indulto piuttosto che all'amnistia. Ho anche apprezzato alcune delle valutazioni fatte dall'onorevole Pecorella, che ha dichiarato la disponibilità di Forza Italia, che mi piacerebbe verificare nell'insieme. Vorrei capire quali sono i reati che verrebbero inclusi e quelli che rimarrebbero esclusi da un eventuale provvedimento: vorrei che fosse chiarito, perché in quest'aula sono avvenuti episodi inquietanti in tema di giustizia negli ultimi anni.
C'è quindi molto da discutere. Anche se è sicuramente negativo creare illusioni, come è stato detto in questi giorni, tuttavia è ancora più negativo continuare a nascondere la realtà delle carceri o dire ai detenuti che ci disinteressiamo della loro condizione e che il problema è rinviato a data da destinarsi. Non solo l'illusione, ma anche il rinvio continuo alimenta la rabbia. Almeno oggi abbiamo cercato di parlare seriamente, non di fare quattro chiacchiere, come dice l'onorevole Giovanardi. Abbiamo parlato, ci siamo ascoltati e abbiamo cercato di capire se da questa discussione, che dovrebbe poi continuare nella Commissione competente, possa nascere qualcosa, magari un provvedimento di clemenza condiviso, che comprenda amnistia ed indulto insieme, teso a risolvere o comunque a migliorare la situazione carceraria.
FULVIA BANDOLI. Mi è capitato in questi giorni di leggere un testo che molti di voi conosceranno. Mi riferisco al testo di Beccaria «Dei delitti e delle pene». Scriveva Beccaria che non vi è libertà ogniqualvolta le leggi permettono che in alcuni eventi l'uomo cessi di essere persona e diventi cosa.
Nelle carceri abbiamo molti esseri umani che sono trattati come cose. Il 62 per cento dei detenuti italiani non ha l'acqua calda, ma il 70 per cento non ha nemmeno l'acqua concorrente (ciò accade nel 2005, alle soglie della rivoluzione informatica). Rispondere che costruiremo altre carceri, magari simili a quelle che già abbiamo, con lo stesso livello di servizi, è una risposta non soltanto impertinente, ma che non fa i conti con la situazione esistente e che non ha rispetto delle decine di migliaia di persone che vivono in condizioni disagiate.
Anch'io mi auguro che questa discussione non finisca qui. Mi suona molto forzato, se il provvedimento che abbiamo di fronte ha la valenza che qui è stata sottolineata, che si faccia riferimento alle posizioni politiche dei partiti o dei gruppi parlamentari, Forza Italia o Democratici di sinistra che siano, ma vorrei che il singolo parlamentare si assumesse la propria responsabilità individuale. Il Parlamento, di fronte un provvedimento del genere, sarebbe più autorevole e anche il parlamentare ne guadagnerebbe nella sua funzione.
Ci sono casi di coscienza - e questo è uno di quelli - nei quali ritengo che ci si debba muovere in questo modo. Oggi abbiamo ascoltato i gruppi e molti parlamentari appartenenti a tali gruppi, con le loro sfumature (Applausi dei deputati dei gruppi dei Democratici di sinistra-L'Ulivo, della Margherita, DL-L'Ulivo, Misto-Verdi-l'Unione e Misto-La Rosa nel Pugno).
PRESIDENTE. Prima di dare la parola al collega Mario Pepe, voglio dire che farò rispettare i tempi, assolutamente limitati, perché così mi ha raccomandato il Presidente della Camera, conoscendo la mia «bontà d'animo».
Prego, onorevole Mario Pepe, ha facoltà di parlare.
MARIO PEPE. Signor Presidente, intervenendo in questa discussione, desidero ricordare quei milioni di cittadini italiani che tutte le mattine salgono e scendono le scale dei tribunali italiani e poi ritornano, dopo sei mesi, un anno o tre anni, quasi fossero in un «girone infernale». Sono i sei milioni gli italiani coinvolti in qualche processo penale, costretti per anni a frequentare le aule giudiziarie, a parlare con gli avvocati, a sostenere le spese di un processo che per molti è diventato quasi un mutuo bancario ventennale. Questi italiani guardano a noi, oggi, e ci chiedono più giustizia; e giustizia vuol dire, oggi, amnistia.
Per tale motivo, respingiamo il compromesso, proposto dall'onorevole Violante, di varare il solo indulto, che non risolverebbe la sofferenza dei processi pendenti, che sta rappresentando una vera e propria emergenza sociale.
Dalle carceri arrivano, infatti, dati allarmanti, ma il sovraffollamento è solo l'ultima tra le sofferenze: esistono sofferenze peggiori per i detenuti, quelle dei diritti negati. Nelle carceri, come rilevava poc'anzi l'onorevole Pisapia, non vi sono solo pericolosi criminali, che possono essere esclusi dai benefici dell'amnistia. Prevalgono i «poveri diavoli», i «cani senza collare», cresciuti sui marciapiedi delle nostre periferie. Nelle carceri italiane i detenuti non portano più il pigiama a strisce ed il berretto cifrato, ma rappresentano pur sempre un numero, un «fascicolo», come diceva l'onorevole Pecorella, che il tribunale di sorveglianza, in passato, ha aperto poche volte per concedere quei benefici divenuti diritti.
Non vi parlerò della sanità in carcere. Non vi parlerò della tubercolosi, portata nelle nostre carceri dagli immigrati, né dei 10 mila malati di epatite C. Vi parlerò di un fenomeno drammatico, cui dobbiamo
porre rimedio, quello dei suicidi in carcere. I numeri di tale fenomeno: nel 2004, vi sono stati 82 suicidi ed 800 tentativi di suicidio. I suicidi avvengono in percentuale altissima tra i detenuti in attesa di giudizio, quelli ancora ufficialmente innocenti.
Il suicidio in carcere non è il gesto di uno squilibrato, è un gesto calcolato, di chi non sopporta la sofferenza e la vergogna. Leggevo, proprio in questi giorni, un bellissimo libro di Giovanni Pascoli, i Canti di Castelvecchio. Giovanni Pascoli fu imprigionato perché sospettato di avere idee socialiste e nel carcere dice: «(...) quella sera, dalle lunghe ore nel carcere, all'improvviso dissi: «avresti molto dolore tu, se non t'avessero ucciso(...)». Ed ancora: «(...) la mia vita agli uomini volevo lasciargliela lì (...)». Giovanni Pascoli non era certamente uno squilibrato.
Come ha lo risposto lo Stato a questo grido d'allarme? Con i decreti Bindi, che hanno smantellato la sanità penitenziaria, con la riduzione continua dei fondi per la sanità penitenziaria.
MARIO PEPE. Solo lo scorso anno, un emendamento a prima firma dell'onorevole Bondi e del sottoscritto ha ripristinato tale fondo.
Concludo, signor Presidente, dicendo alla Lega ed agli amici di Alleanza Nazionale, nostri »compagni di viaggio« in questa legislatura: la sicurezza dei cittadini passa anche attraverso le carceri; incrudelire le pene nei confronti dei detenuti significa consegnare alla società reietti che si possono macchiare di delitti peggiori di quelli per i quali erano stati incarcerati.
Concludo, davvero, con le parole di un detenuto: «(...) può capitare a tutti di finire in galera, anzi no, può darsi che non vi capiti affatto, che ve la caviate, ma ricordate: anche se non andate dentro, voi c'entrate, c'entriamo tutti» (Applausi dei deputati dei gruppi di Forza Italia, dell'UDC Unione dei democratici cristiani e dei democratici di centro (CCD-CDU) e di deputati del gruppo della Margherita, DL-L'Ulivo - Congratulazioni).
PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare l'onorevole Siniscalchi. Ne ha facoltà.
VINCENZO SINISCALCHI. Signor Presidente, svolgerò poche considerazioni che ritengo doverose quali assunzione di responsabilità, sia in quanto firmatario della richiesta proposta dall'onorevole Giachetti, sia come primo presentatore, assieme a molti altri colleghi del mio gruppo, fin dal 2003, di una proposta di indulto e, lo sottolineo, di indulto revocabile.
Non ci sarebbe molto da dire dopo quanto ha detto con estrema chiarezza l'onorevole Anna Finocchiaro. Desidero, tuttavia, puntualizzare due concetti fondamentali che rendono questa discussione, non soltanto utile, ma fondamentale per dare finalmente un senso al dibattito in Parlamento; anzi, ritengo questo sia uno dei pochi atti di autentica democrazia parlamentare che, negli ultimi anni, sono stati compiuti in quest'aula. Altro che inutilità!
Abbiamo sentito una sorta di «schizzinoseria» nei confronti della discussione, come se si dovesse soltanto discutere quando la maggioranza è «blindata» e, soprattutto, quando lo è nei confronti di leggi scellerate che hanno ulteriormente aumentato il disagio nei confronti delle carceri e nei confronti del nostro sistema giustizia.
Qual è la considerazione fondamentale? Perché siamo convinti che si debba concedere un'indulto, non un indulto statistico «di sfollamento», ma un indulto che adempia ad una funzione costituzionale? Perché lo Stato è inadempiente sotto due profili costituzionali. Innanzitutto sotto il profilo riguardante la funzione rieducativa della pena: fanno testimonianza di queste mie affermazioni 140 tra interpellanze e interrogazioni - tante ne ho calcolate - che sono rimaste senza risposta. Tali atti di sindacato ispettivo denunciavano i suicidi in carcere, le condizioni di detenzione sia degli uomini sia
delle donne e, adesso, anche dei bambini, come abbiamo sentito poco fa. Fanno testimonianza di questa mia affermazione tutta una serie di emendamenti che sono stati sempre proposti in occasione della legge finanziaria per migliorare le condizioni di vita dei detenuti e per adempiere ai precetti di tutela della salute, soprattutto nei confronti dei tossicodipendenti e delle fasce più deboli, che sono stati tutti puntualmente respinti. Ecco perché si arriva ad una situazione di emergenza riconducibile ad una grave compressione di un principio costituzionale.
Vi è un altra funzione costituzionale che rende importante questa convergenza intorno alla possibilità di praticare un indulto, uno sconto di pena sostanziale condizionato alla sua revocabilità in caso di commissione di ulteriori reati.
Signor Presidente, nel rinnovarle il mio ringraziamento per aver, comunque, permesso lo svolgimento di questo dibattito, ricordo una seconda inadempienza, che non mi vede in funzione di accusatore, ma che ci ha fatto condannare dalla Corte europea. In che cosa consiste la seconda inadempienza? Le condanne da parte della Corte di giustizia europea riguardano il nostro regime di detenzione e la dilatazione dei tempi processuali tra eccezioni e dispendiosi bizantinismi di ogni sorta.
Noi, di fronte a questa situazione, dovremmo continuare ad essere farisaicamente inerti?
PRESIDENTE. Onorevole Siniscalchi, concluda.
VINCENZO SINISCALCHI. No, noi vogliamo che Abele resti Abele, ma che quello che viene comodamente definito Caino non si trasformi in un Abele per colpa di uno Stato inadempiente.
PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare l'onorevole Bulgarelli. Ne ha facoltà.
MAURO BULGARELLI. Signor Presidente, onorevoli colleghi proverò a dare senso - parlo a livello soggettivo - alla mia presenza oggi in quest'aula, tentando di portare, anche se per frammenti, la voce del terminale nervoso del sistema della pena nel nostro paese, ossia estrapolando alcuni punti da una lettera inviata ad alcuni giornali da una associazione di detenuti, l'Associazione culturale Papillon.
Al primo punto si propone un provvedimento di ampia amnistia, che arrivi ad includere tutti i reati per i quali è prevista una pena massima di sei anni ed un provvedimento di indulto generalizzato di almeno tre anni che riguardi tutti i detenuti senza esclusioni.
Al secondo punto si propone un provvedimento che ponga fine agli abusi della custodia cautelare: sono, infatti, oltre 23 mila i detenuti in attesa di giudizio e le statistiche rivelano che, mediamente, oltre la metà vengono assolti. Ciò significa che oggi essi sono in carcere, pur essendo innocenti.
In terzo luogo, si chiede una serie di provvedimenti che rendano inefficaci gli aspetti più barbari della legge Cirielli e rendano, invece, in qualche modo, effettiva l'applicazione integrale della legge Gozzini in tutti i tribunali di sorveglianza e per tutti i detenuti, siano essi italiani o stranieri, malati o in buona salute, ristretti in carcere in sezioni normali o in sezioni speciali. In altre parole, ciò significa adottare provvedimenti che riducano l'eccessiva discrezionalità del magistrato di sorveglianza.
Nella parte finale di tale lettera, che trovo estremamente interessante, si dice: queste proposte sono, a nostro avviso, la premessa per tutte le riforme necessarie in campo penale e penitenziario. Aggiungo che oggi sono abbastanza frastornato dal dibattito in corso. È certamente vero che molti deputati sono intervenuti a livello soggettivo, e credo che questo sia l'apporto e il senso dell'essere qui in questa giornata. Però, è anche vero (ciò lo ritengo meno edificante) che vi è stata un po' una rappresentazione della politica, la stessa che si è svolta in questa legislatura tutte le volte che si è parlato del sistema della pena in Italia.
Avrei trovato, forse, più prezioso tentare di svolgere interventi sul senso della
pena e del sistema in vigore nel nostro paese. Peraltro, riguardo al numero dei detenuti, che è stato ampiamente ricordato in diversi interventi, e soprattutto alla loro eccedenza, tenete conto che il 60 per cento delle persone in carcere nel nostro paese potrebbero tranquillamente stare all'esterno, non essendo affatto pericolose per la nostra società.
Credo, allora, che quel mondo differito, che è il sistema carcerario, in realtà guardi all'altro mondo, il nostro, come il vero ed unico sistema della pena. Ritengo, purtroppo, che in questa legislatura una serie di leggi abbiano creato società in questa direzione, rendendo ancora più stretto e ingiustificato il sistema della sorveglianza e della pena nel nostro paese.
Credo, invece, sia nostro compito, come deputati, come parlamentari, tentare di trovare soluzioni alternative a quello che oggi è il sistema della pena nel nostro paese (Applausi dei deputati dei gruppi Misto-Verdi-l'Unione, della Margherita, DL-L'Ulivo, Misto-La Rosa nel Pugno e Misto-Comunisti italiani).
PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare l'onorevole Zanella. Ne ha facoltà.
LUANA ZANELLA. Signor Presidente, molte cose sono state dette anche dai colleghi Verdi che mi hanno preceduta. Un provvedimento di clemenza si rende necessario, a fronte di una situazione carceraria disastrosa e ad una disastrosa situazione della giustizia in Italia. Ciò dovrebbe essere un incipit, un inizio, per affrontare davvero questa situazione drammatica.
Peggiorano sempre più le condizioni di vita e di lavoro - lo diceva il collega Cento - degli agenti, del personale amministrativo e del personale educativo, e le condizioni e il diritto alla dignità stessa dei detenuti. A fronte del sovraffollamento nelle carceri, infatti, vi è la mancanza cronica di personale; e le risorse sono sempre più scarse, comprese quelle per l'ordinaria manutenzione degli edifici. Quanto all'assistenza sanitaria, come abbiamo visto, dopo la riforma sanitaria ed il passaggio alle ASL delle competenze, altro che migliorare la condizione di salute psicofisica dei detenuti! Lo stesso si può dire delle attività educative: chi di noi frequenta le carceri sa quanto poco si possa fare rispetto alla necessità di interventi a questo livello, a fronte di personale assolutamente scarso.
Così pure le misure alternative, che potrebbero ridurre il sovraffollamento, sono negate praticamente sempre agli immigrati e concesse con difficoltà agli altri. Ancora, decine sono i bambini e le mamme presenti nelle carceri, nonostante la legge Finocchiaro.
Il regolamento penitenziario, cui tanto si è dedicato il nostro gruppo (ricordo il collega Corleone), resta inapplicato. Sono state già citate percentuali particolarmente allarmanti riguardanti i malati, i sieropositivi, i soggetti positivi al test dell'epatite C e B, le infezioni in atto, e via dicendo.
Ricordo il drammatico dato di 130 suicidi negli ultimi due anni e mezzo, di cui 122 di detenuti e 8 di agenti di polizia penitenziaria. Nel 2004 vi sono stati 1.110 tentativi di suicidio, 6.450 scioperi della fame, 4.850 episodi di autolesionismo, per citare soltanto quelli di cui si sa qualcosa. Si pensi al regime di cui all'articolo 41-bis dell'ordinamento penitenziario, reso praticamente permanente. Si pensi inoltre alla legge cosiddetta ex Cirielli, che consegnerà i recidivi ad un carcere praticamente a vita, con la riduzione della possibilità di misure alternative. Per non parlare - oggi poco o nulla si è detto al riguardo - di quelle carceri particolari che sono i CPT, i centri di permanenza temporanea, in cui la libertà è negata a persone, donne e uomini, che non hanno commesso reati.
Ricordo che il commissario europeo per i diritti umani ha visitato tra il 10 e il 17 giugno le nostre carceri e ha predisposto una relazione sul sistema carcerario e giudiziario in Italia. Tale relazione ci consegna in modo dettagliato il disastro della situazione carceraria. L'Italia è il quinto paese per ricorsi alla Corte europea per i diritti umani, il primo, colleghi, in termini di condanne. Dal 1992 siamo sottoposti
a un monitoraggio. Il Consiglio dei ministri del Consiglio d'Europa ha adottato la prima risoluzione a seguito di una sentenza della Corte europea per i diritti umani sulla durata dei procedimenti, e ciò ha determinato il monitoraggio continuo sul drammatico quadro della situazione in corso.
Concludo osservando che non si tratta soltanto di un'esigenza dettata dal sistema carcerario e dal sistema giudiziario, ma di un dovere morale, civile e istituzionale rispetto alle numerose convenzioni internazionali e alla stessa Carta sociale europea, che abbiamo sottoscritto e alla cui stesura abbiamo partecipato (Applausi dei deputati dei gruppi Misto-Verdi-l'Unione e Misto-Comunisti italiani e di deputati del gruppo dei Democratici di sinistra-L'Ulivo).
PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare l'onorevole Taormina. Ne ha facoltà.
CARLO TAORMINA. Signor Presidente, onorevoli colleghi, sento parlare del fatto che non vi sarebbero i tempi per varare un provvedimento di clemenza, almeno per quanto riguarda la Camera dei deputati. Ritengo che i tempi siano in relazione all'esistenza di decisioni o comunque alla possibilità di assumere decisioni in tempi rapidi, e tutte le difficoltà, da questo punto di vista, troverebbero soluzione.
A me pare di capire, sulla base del dibattito di oggi ma anche di ciò che sappiamo da tempo, che vi sono molte ragioni di diversificazione. Mi risulta che da parte dell'opposizione siano state assunte varie iniziative, diversificate e, soprattutto, talvolta incompatibili. La diversità, riemersa anche nel corso del dibattito, tra coloro che propongono soltanto l'indulto e coloro che sostengono l'amnistia, mi pare costituisca una di quelle situazioni che dividono, in modo allo stato assolutamente inconciliabile, le posizioni.
L'augurio è dunque che vi sia una decisione rapida e condivisa, e in tal caso i tempi saranno conseguenziali. Mi rivolgo soprattutto agli amici ed ai colleghi di Alleanza nazionale e della Lega, i quali, in ragione del principio della certezza e dell'effettività della pena, hanno manifestato con molta chiarezza la loro posizione contraria.
Credo che affermino certamente principi importanti, assolutamente condivisibili, soprattutto in questo momento storico, ma è al tempo stesso necessario ricordare che tanti altri principi - qualcuno è stato già ricordato dai colleghi che mi hanno preceduto - avrebbero dovuto trovare una puntuale applicazione, che invece non hanno avuto: mi riferisco al problema della ragionevole durata dei processi e alla esigenza di finalizzare l'esecuzione della pena alla rieducazione del condannato.
Mi meraviglia il fatto che poi, di fronte a queste inadempienze, che sono state di anni e forse anche di decenni - ma cerchiamo di guardare soltanto alla nostra legislatura -, si pensi che tutto debba essere incentrato sulla questione - certamente assillante - delle carceri e che quindi a pagare le nostre inadempienze debbano essere i detenuti.
Poiché è da tanto tempo che discutiamo di questi principi senza riuscire a trovare una soluzione, è evidente che intanto dobbiamo muoverci per risolvere i problemi più immediati. Le condizioni subumane, quasi animalesche, nelle quali vivono molti detenuti in molte carceri italiane, rendono prioritaria l'adozione di un provvedimento di clemenza, sul quale voglio spendere una parola.
Credo che dobbiamo modernizzare l'istituto della clemenza sovrana - chiamiamolo così -, che è stato già in parte rivisitato dal nostro Parlamento, con la previsione di una diversa maggioranza rispetto a quella originariamente prevista dalla Costituzione, cercando di venire incontro alle varie esigenze. Credo che quello che preoccupa i cittadini sia la possibilità che l'applicazione dei provvedimenti di clemenza costituisca una fonte di ulteriore preoccupazione per la sicurezza della gente e delle nostra città. Credo addirittura che sia indulto che amnistia possano essere trasformati in strumenti di contrasto della criminalità, per sventare i rischi per la sicurezza dei cittadini, trovando
delle forme - e questo è ben possibile sul piano tecnico - di condizionamento relative all'applicazione del provvedimento di clemenza. Prevedere, ad esempio, come si fa per l'indulto - ma lo si può fare anche per l'amnistia - un termine entro il quale non debba essere commesso alcun reato perché il provvedimento divenga definitivo e non venga revocato, potrebbe essere un punto di equilibrio che potrebbe trovare d'accordo anche Alleanza nazionale e la Lega Nord Federazione Padana, che hanno manifestato - forse per la mancata considerazione di questa preoccupazione - una posizione di avversione ai provvedimenti di clemenza. In questo senso auspico che il Parlamento possa decidere.
PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare l'onorevole Biondi. Ne ha facoltà.
ALFREDO BIONDI. Signor Presidente, cari amici e colleghi parlamentari, ho firmato il foglio che mi era stato presentato - ero proprio seduto qui - dall'amico Giachetti nella speranza che si aprisse un dibattito, e questo è avvenuto. Aveva ragione poco fa la collega Bandoli - stavo presiedendo in quel momento -, quando si augurava che i discorsi non incidessero sulle questioni che riguardano le posizioni politiche, ma attenessero alle libere coscienze di ciascuno di noi. Infatti, i delitti e le pene rappresentano elementi che valgono in una società nella quale la funzione giuridica e giudiziaria devono essere - come dovrebbe essere - rapide, capaci di incidere e, nella fase della detenzione, di promuovere la riscossa personale di ciascuno nella ricerca dei valori perduti nel delitto.
Credo che tutto questo non sia avvenuto con il codice, che è diventato vecchio senza mai essere nuovo e che qualcuno ha definito una tunica svedese su un corpo sudamericano; una tunica sulla quale le pezze a colori delle modifiche si sono alternate in quindici anni, durante i quali né amnistie né condoni - salvo il cosiddetto indultino - sono stati previsti.
È inutile dire prima del fascismo, dopo il fascismo e fare il calcolo di quante volte l'amnistia è stata concessa: un'amnistia ogni due anni. Quindici anni sono passati dall'ultima. Nel frattempo, si sono modificate le situazioni sociali, personali e politiche. Carnelutti diceva: il processo è già una pena. Vedo che la sensibilità della mia amica Finocchiaro non è arrivata a cogliere questa distinzione, tra il momento in cui arriva una comunicazione giudiziaria e l'altro in cui si verifica il processo, nel corso del quale la verifica è ancora più lunga da farsi. Quindi, distinguere tra indulto e amnistia è un'ipocrisia in questo momento e mi dispiace doverlo segnalare.
Però è importante che se ne discuta e il merito di Giachetti è di averci fatto fare questo, altrimenti l'avremmo risolto nelle segrete stanze della Commissione e delle opinioni che ciascuno di noi manifesta nelle varie occasioni in cui è chiamato a esprimersi, magari su un giornale. È in questa sede, che si deve oggi decidere se al principio del nuovo anno tornerà all'ordine del giorno la questione, che è stata qui affrontata in una libertà di parole e di sentimenti, che riguarda ciascuno di noi. Mi sono riconosciuto totalmente nel discorso, anzi nella relazione puntuale, del presidente Pecorella ed anche negli interventi di altri colleghi.
Quindi non voglio entrare nel merito delle problematiche relative ad una situazione carceraria che è ben conosciuta da chi la vive, seppure per conto terzi, come un avvocato o anche come quei parlamentari che sentono il diritto-dovere di vedere come funzionano o non funzionano le carceri. Credo, signor Presidente, che si debba assumere l'impegno molto preciso - poi ognuno si assumerà politicamente le sue responsabilità - di portare la questione qui in Assemblea subito, in modo che si dica di «sì» o di «no» (Applausi di deputati del gruppo di Forza Italia e dei deputati dei gruppi della Margherita, DL-L'Ulivo, Misto-La Rosa nel Pugno e Misto-Verdi-l'Unione) e che la popolazione carceraria, come viene definita, fatta di uomini e di donne che soffrono, sappia se il Parlamento è capace di decidere del loro destino (Applausi dei deputati dei gruppi di Forza Italia, della Margherita, DL-L'Ulivo,
di Rifondazione comunista, Misto-La Rosa nel Pugno e Misto-Verdi-l'Unione - Congratulazioni)!
PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare l'onorevole Sgarbi. Ne ha facoltà.
VITTORIO SGARBI. Onorevole Presidente, onorevoli colleghi, mi dispiace, per la prima volta dopo tanti anni, non essere d'accordo con l'onorevole Biondi, non sul concetto, sulla sostanza e sui principi, largamente condivisi ed anche sulla sua indicazione dell'amnistia come soluzione reale e concreta che parte dall'ipotesi che Carnelutti aveva indicato e che egli ha ricordato. Sul tema della mozione degli affetti, non c'è uno solo di noi, in quest'aula, che abbia esperienza lunga o breve di Parlamento, che non sappia che questa è una finzione! Che mai questo Parlamento arriverà a concludere quello a cui aspira il desiderio anche degli uomini migliori, come Biondi, e che mai il Parlamento è stato beffardo e privo di rispetto come quando ha applicato in aula, anche per sua grazia, quella penosa targa, che è stata stigmatizzata oggi non da me, ma dal cardinale Tettamanzi, che ha detto: Giovanni Paolo II ha lottato per voi, carcerati. Lo hanno deluso, lo abbiamo deluso. Hanno appeso solo una targa. Peraltro una targa piccolina, minore, per un Papa tanto grande, più piccola di quelle appese per tanti altri, meno importanti di lui.
Perché? Perché essa non rappresenta un episodio storico, ma una visita turistica. Il Papa è passato, è stato ascoltato, si è commosso e ci ha commosso. Ha posto una sola questione di tipo politico, che era quella dell'amnistia. Oggi non c'è nessuno dei leader. Non vedo Berlusconi, non vedo Fassino, non vedo Rutelli, non vedo Bertinotti, non vedo neanche Pannella! Dove sono? Perché il richiamo di Pannella è speculare al richiamo del Papa. È il richiamo laico di un papa laico, che sfotte sempre il Vaticano, ma che in realtà questa volta converge su una questione, che non è radicale, cattolica, comunista o liberale, ma è umana e umanitaria! Questo lo sappiamo, ma stiamo qui, a fare questo gioco, che vede gli amici di campagna che vengono da Ferrandina rimproverare il Presidente per aver convocato l'Assemblea alle 9,30, invece che alle 14, 30! Provate a venire da Ferrandina e capirete che è difficile arrivare alle 9,30 se non si sta svegli tutta la notte, avendo festeggiato il 26!
Tutto ridicolo, tutto finto, tutto senza ragione, se non dimostrare che siamo buoni per Natale, che è il punto di convergenza fra il papa laico e papa Wojtyla, che è morto giubilato prima da noi che dalla Provvidenza. In quella giubilazione c'è la menzogna. Quella targa, d'altra parte, è piena di parole retoriche, che vorrei ricordare per chi non l'avesse lette: «Il 14 novembre 2002, incontrando in quest'aula deputati e senatori, presente il Presidente della Repubblica e le massime autorità istituzionali, Sua Santità Giovanni Paolo II, invocata la benedizione divina sulla amata Italia, fece auspicio di nuovi e fecondi traguardi di giustizia e di pace nel solco dei valori di civiltà della nazione per una umanità senza confini». Retorica bugiarda, senza fondamento; inoltre, a quale umanità ci si riferisce se si nega ai carcerati di vivere come viviamo noi? La pena ha un senso ma non l'umiliazione, la mancanza del «cesso» e dell'acqua calda! Come è tollerabile questo, come è tollerabile che 60 bambini innocenti stiano in carcere? Ecco la strage degli innocenti!
Abbiamo approvato la solita legge perché i bambini che hanno meno di tre anni portino le loro madri agli arresti domiciliari e quelli che hanno tre anni e sei mesi, quattro, cinque o sei anni? Quando si comincia a capire il mondo, ad imparare le lingue, Internet, inglese ed altre trovate del nostro amato Presidente? A cinque, a sei anni, in carcere, quando il tuo orizzonte non è la bellezza d'Italia ma la cella dove sta tua madre! Questa è la luce che vedono i bambini, attraverso le grate della cella, mentre noi stiamo ad ascoltare l'amico Adduce che voleva arrivare un po' più tardi. Sono pronto a scommettere con ognuno di voi che il 29 dicembre, quando le Camere saranno sciolte...
ALFREDO BIONDI. Gennaio.
VITTORIO SGARBI. ... non sarà passata non dico l'amnistia, ma neanche l'ombra della verità rispetto alla vita e alla morte di quelli che sono in carcere (Applausi dei deputati del gruppo Misto-La Rosa nel Pugno e del deputato Selva).
PRESIDENTE. Ho la sensazione, onorevole Sgarbi, che la citazione di un'autorevole autorità ecclesiale, fatta all'inizio del suo discorso, sia sbagliata; vada a rileggerla bene perché si riferiva ad un altro periodo.
Ha chiesto di parlare l'onorevole Ricciotti. Ne ha facoltà.
PAOLO RICCIOTTI. Signor Presidente, la ringrazio per questa convocazione dell'Assemblea. Con attenzione in sede di Conferenza dei capigruppo ha verificato concretamente che le firme apposte erano unitarie, e che tutti i gruppi politici, eccetto alcuni, partecipavano all'iniziativa. Chiaramente, questo doveva essere lo strumento per chiedere concretamente - molti di noi intorno al 20 dicembre decisero di costituire un comitato di parlamentari, tra questi c'era anche l'amico Giachetti - quello che il Santo Padre aveva chiesto all'Assemblea parlamentare oltre tre anni fa.
Da questo tipo di ragionamento è nata una riflessione profonda, che vede impegnati politici cattolici e laici, politici che non devono aver paura di portare avanti le proprie idee, ma soprattutto politici che, dopo quindici anni, sottolineo quindici anni, di mancata realizzazione di un provvedimento di amnistia nel nostro paese, continuano a dividersi tra chi è favorevole all'indulto o all'amnistia. Giustamente, l'onorevole Pecorella ha detto che non c'è divisione. Peraltro, rivolgo un appello a tutti coloro che si erano espressi a favore dell'indulto. Chiaramente si riconferma quello che è avvenuto già tre anni fa, dove qualcuno, come il Fronte popolare europeo, composto da Forza Italia e dall'UDC, voleva a tutti i costi che un provvedimento di amnistia fosse immediatamente approvato dopo le parole del Santo Padre, ma qualcuno come i Democratici di sinistra fecero blocco e si attestarono sull'«indultino».
Oggi viene riconfermata questa posizione dall'intervento dei rappresentanti del gruppo dei Democratici di sinistra, come l'onorevole Finocchiaro, e soprattutto emerge un ritorno indietro della Margherita, che si riattesta sull'indulto. Questo atteggiamento blocca automaticamente e mette una pietra tombale sul dibattito: queste erano le perplessità che molti avevano nel momento in cui si è convocata velocemente la Camera per il 27 dicembre. Forse molti di noi avrebbero preferito farlo alla ripresa dei lavori parlamentari con la presenza qualificata di molti più autorevoli esponenti.
È chiaro che, anche questa volta, il fallimento è tutto ascrivibile a coloro che, ogni qualvolta Forza Italia ha proposto l'amnistia, proponevano il contenuto dell'amnistia. Oggi, non si doveva svolgere un dibattito per identificare il contenuto dell'amnistia, ma occorreva fornire un segnale molto preciso al paese. Non è soltanto la marcia laica di Pannella, ma la volontà di gran parte del mondo cattolico che, su questo argomento, ha una sensibilità particolare per giungere finalmente ad un risultato forte.
Vorrei citare quanto affermato da don Paglia sul Corriere della sera: «I parlamentari non temano di diventare impopolari e pensino al bene comune. San Paolo lo dice anche ai cristiani: dobbiamo piacere più a Dio che agli uomini». Dunque, l'attenzione verso i carcerati per chi è cattolico non è un fatto di oggi, ma è un fatto che si attesta da oltre duemila anni.
Quindi, il Parlamento, anche dopo il compendio della dottrina sociale della Chiesa, deve porsi un problema di fondo; pertanto, l'odierna convocazione dell'Assemblea dovrebbe portare - lo speriamo - ad un provvedimento prima della fine della legislatura. Ed è inutile che qualcuno inviti ad assumere impegni nella legislatura, perché di questo argomento si parla
da oltre 15 anni e ritengo che ciò non aiuti i carcerati (Applausi dei deputati del gruppo di Forza Italia).
PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare l'onorevole Duilio. Ne ha facoltà.
LINO DUILIO. Signor Presidente, questa mattina un autorevole quotidiano temeva che oggi si potesse scrivere una «macchia» sulla democrazia parlamentare del nostro paese, a causa di un'aula semivuota, distratta, indifferente (cito testualmente). Ritengo si debbano pronunciare parole di verità. A mio avviso, non è stato proprio così, e ciò lo si deve appunto ai parlamentari oggi presenti in quest'aula - in verità più dell'opposizione che della maggioranza -, favorevoli o contrari a questo provvedimento.
Dico ciò non per partigianeria, ma per sottolineare che, a mio parere, oggi si è persa una straordinaria occasione di dimostrare, su una questione così rilevante che investe i temi della libertà e della dignità delle persone - mi riferisco a quanto affermato senza retorica -, che il Parlamento si riuniva proprio il 27 dicembre, e proprio alle 9,30 del mattino, per discutere una questione così grande e rilevante, peraltro sono presenza di coloro che sono a favore e, soprattutto, con la presenza di quelli che sono contrari, affinché questi ultimi potessero spiegarci il perché della loro contrarietà. Lo dico a qualche collega intervenuto in precedenza, in quanto ritengo che un dibattito serio su tale questione si dovrebbe svolgere tra coloro che sono presenti, favorevoli e contrari, e non tra quelli che sono presenti e quelli che sono assenti, sostenendo che la loro assenza significhi contrarietà.
In questo senso, mi sento di stigmatizzare in qualità di parlamentare - lo dico senza polemica, ma per il rispetto che nutro nei riguardi delle istituzioni - l'assenza del ministro di grazia e giustizia...
ALFREDO BIONDI. La grazia non ce l'ha!
LINO DUILIO. ... perché la grazia mi pare un po' assente, e soprattutto perché credo che, per rispetto nei riguardi del Parlamento, oggi fosse doverosa, sul piano della correttezza istituzionale, la presenza del ministro.
Quanto al merito, sottolineo, come già hanno fatto altri colleghi, che da tanti anni nel nostro paese non viene adottato un provvedimento di clemenza, che a mio avviso è espressione di una situazione politica e istituzionale propria di uno Stato forte, e non di uno Stato debole. Ciò, evidentemente, se si riesce ad inquadrare tale discorso all'interno di una serie di provvedimenti che abbiano effetti sulle carceri e che pongano al primo posto la dignità delle persone. Peraltro, pur non essendo un esperto, ritengo che un provvedimento ben congegnato - che, al limite, preveda amnistia e indulto insieme, a seconda della tipologia di reati - forse avrebbe potuto risolvere molte questioni che oggi appaiono incancrenite.
Basta andare nelle carceri per rendersi conto della situazione e per porsi una domanda: ma a cosa serve questa condizione? Quali effetti potrà produrre?
Per questo, sposando in pieno le affermazioni del collega Giachetti, che riprendeva quanto già detto dal presidente Biondi, esprimo l'augurio che possiamo concludere questa discussione, anche per smentire il collega Sgarbi, il quale, con linguaggio forbito ...
PRESIDENTE. Onorevole Duilio...
LINO DUILIO. ... ha parlato di fictio. Il Parlamento assuma l'impegno di ritrovarsi, affinché la questione venga dibattuta e decisa con una votazione finale segreta (come si diceva) in cui ciascuno si assuma la propria responsabilità, come segno di grande attenzione verso un problema che non merita di essere archiviato, in modo silente, all'interno di una Commissione parlamentare (Applausi dei deputati del gruppo della Margherita, DL-L'Ulivo e del deputato Biondi).
PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare l'onorevole Giovanni Bianchi. Ne ha facoltà.
GIOVANNI BIANCHI. Signor Presidente, la ringrazio per la tempestività di questa convocazione ad un'ora non proprio antelucana (essa non mi crea problema, pur essendo partito da un aeroporto innevato, perché credo sia dovuto); la ringrazio anche perché la tempestività risponde ad un'urgenza che il dibattito ha sottolineato ed anche alla necessità, se ci è possibile e consentito, di separare le speranze dalle illusioni che potrebbero ad esse accompagnarsi.
Un discorso realistico, quindi, ma non per questo privo di forti motivazioni, ci ha fatti trovare qui, per un'occasione che in troppi hanno perduto: non si è colta l'occasione per - come dire? - «ricaricare», rilegittimare quest'Assemblea davanti a noi stessi e davanti alla funzione che svolgiamo nel paese.
Perché questa seduta? Probabilmente, il Parlamento riconduce a sé una condizione dalla quale era partito, l'intervento in quest'aula del Santo Padre, non riconducibile, a mio giudizio, alla cifra solo apparentemente dissacrante del «durismo», evocata dal collega Vittorio Sgarbi. Epperò, vorrei che pronunciassimo, tra noi, una parola chiara: è bene che la politica non sia impermeabile né, tanto meno, idrorepellente ai messaggi intorno alla dignità umana, ma credo che dovremmo evitare il vizio, non tanto religioso, di passare la vita a battere il mea culpa sul petto degli altri!
Acquisito il messaggio, le posizioni vedono procedere l'autonomia della politica. E su queste noi ci confrontiamo qui: il resto è bene che stia nel foro interno e fuori dal Parlamento. Quindi, il discorso deve essere, anche intorno alla dignità delle persone che stanno in carcere, essenzialmente politico, perché questa è la nostra moralità in questa condizione.
Troppo tempo è passato dall'ultima amnistia: quindici anni. È un record negativo: lo ricordava il collega Sterpa, citando Vassalli; lo ricordava il presidente Pecorella, partendo nientemeno che dal guardasigilli Palmiro Togliatti. È un record negativo per la storia repubblicana e, probabilmente, se il senso storico non mi fa difetto, anche per la stessa storia del Regno d'Italia. Quindi, l'occasione dice la necessità di procedere in tale direzione, tenendo conto che è dovere previsto dalla Costituzione nei casi di emergenza.
Due elementi si tengono, dei quali uno è la disumanità della condizione delle carceri, che può essere riassunta in pochissime cifre: 60 mila detenuti in 207 istituti di pena con 43 mila posti, tenendo conto del fatto che la vita quotidiana del carcerato significa 22 ore in cella al giorno. Abbiamo già ricordato il problema dei bambini sotto i tre anni e dei suicidi (l'ha fatto il collega Pepe). Ebbene, vale la pena di ricordare che l'ultimo suicidio è avvenuto il 16 dicembre, a San Vittore, e che il tasso di suicidi nelle nostre carceri è diciassette volte superiore ...
PRESIDENTE. Onorevole Giovanni Bianchi,...
GIOVANNI BIANCHI. ... alla media nazionale. Questo per parlare della disumanità.
L'altro elemento, e concludo, signor Presidente, è la razionalità: ci deve interessare che due milioni di processi (evidentemente, riguardanti reati minori) potrebbero essere eliminati, con la conseguente possibilità di rendere più dignitosa e più celere la giustizia.
Chiudo anch'io con una lamentela relativa all'assenza dei ministri in quest'aula.
Hanno preferito le agenzie al dibattito. Non è il modo di onorare il Parlamento (Applausi dei deputati dei gruppi della Margherita, DL-L'Ulivo, dei Democratici di sinistra-L'Ulivo, Misto-La Rosa nel Pugno, Misto-Verdi-l'Unione e del deputato Biondi)! Questo lo dobbiamo assolutamente pretendere anche dal Governo!
In conclusione, mentre il poeta si illuminava di immenso, qui qualcuno è sembrato illuminarsi del Guardasigilli! Non è questo il modo, cari colleghi! Abbiamo bisogno di parlare tra noi, di ascoltarci, scoprendo che le posizioni più vicine - questo ho capito stamattina,
ascoltando il presidente Pecorella - ci aiutano, non tanto a fare del buonismo, ma a decidere. E, per favore, in Commissione giustizia cercate di decidere tempestivamente (Applausi dei deputati dei gruppi della Margherita, DL-L'Ulivo, dei Democratici di sinistra-L'Ulivo, di Rifondazione comunista, Misto-La Rosa nel Pugno, Misto-Verdi-l'Unione e di deputati di Forza Italia)!
PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare l'onorevole Lupi. Ne ha facoltà.
MAURIZIO ENZO LUPI. Signor Presidente, ho firmato convintamente la richiesta che l'onorevole Giachetti mi ha sottoposto per una seduta parlamentare su questi temi. Devo dire, caro Giachetti, che, proprio per l'importanza di questa seduta, avrei evitato inutili polemiche nei confronti del Presidente della Camera, che credo abbia svolto il suo dovere.
Il poco tempo che ho a disposizione mi serve per sostenere fortemente le ragioni per cui sono d'accordo sul fatto che il Parlamento possa e debba, nonostante la coscienza dei limiti di tempo, battersi affinché un provvedimento di amnistia e di indulto possa essere approvato nel nostro paese.
L'amico e presidente della Commissione giustizia, onorevole Pecorella, ha svolto un intervento che condivido pienamente e che mi permette di sottolineare un solo punto, che è personale, ma che credo possa appartenere alla coscienza di ognuno di noi.
Di fronte al provvedimento sull'amnistia - lo abbiamo appreso anche dai colleghi che non lo condividono - si pongono due blocchi trasversali che mettono in contrapposizione due concetti, entrambi giusti, ma che purtroppo sono in contraddizione: da una parte, la necessità di un gesto di clemenza e, dall'altra, la necessità di garantire al nostro paese la legalità, la sicurezza e la certezza della pena.
Mi sono sempre domandato e mi chiedo ancora per quale motivo sia giusto che uno Stato di diritto, una società civile compiano gesti di clemenza. Credo che la risposta a questa domanda personale e collettiva sia la questione di fondo: è giusto, perché nella nostra società e nella nostra civiltà occorre sempre richiamare ad una profonda dimensione educativa.
Il carcere, per sua natura, non è un luogo di morte. La realtà, per sua natura, ha un richiamo positivo. Esiste la possibilità e l'inizio di un cambiamento per ognuno di noi. Un momento, diceva Giovanni Paolo II, in cui sia possibile l'impegno ad un recupero personale.
Oggi, sappiamo che non è così. Complice la tragica situazione delle carceri italiane, i detenuti vengono abbandonati a se stessi, quasi la loro vita non avesse più valore. È stata negata loro la speranza che anche la loro vita, come la nostra, come quella di ciascuno di noi, possa avere un significato positivo. Credo che un gesto di clemenza vada esattamente in questa direzione.
Sono convinto che si tratti di un investimento che dobbiamo fare, se vogliamo adempiere alla nostra responsabilità principale: contribuire alla costruzione di una società migliore.
Oggi, sul quotidiano Il Foglio ho letto una frase di Mauriac: quel che c'è di più orrendo al mondo è la giustizia separata dalla carità. Alla fine dell'Ottocento, uno scrittore francese diceva che, a volte, la clemenza vale più della giustizia. Credo che questa sia la questione di fondo (Applausi dei deputati dei gruppi di Forza Italia, dell'UDC Unione dei democratici cristiani e dei democratici di centro (CCD-CDU) di deputati dei gruppi della Margherita, DL-L'Ulivo e Misto-La Rosa nel Pugno).
PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare l'onorevole Ranieli. Ne ha facoltà.
MICHELE RANIELI. Signor Presidente, vorrei ringraziare quanti sono intervenuti in quest'aula e soprattutto il Presidente per la sensibilità dimostrata, con il rispetto delle regole, convocando la seduta odierna.
Devo evidenziare, tuttavia, che poco di nuovo è emerso da questo dibattito. Le
posizioni sono cristallizzate, così come avevamo verificato in Commissione giustizia.
La situazione è quella esposta anche dal presidente del mio gruppo, l'onorevole Mazzoni. Pur non essendo un fotografo, devo oggi fotografare una situazione verificatasi all'interno di quest'aula. Non vi è molta attenzione verso la materia, soprattutto da parte dei cosiddetti big. Ringrazio dunque gli unici ministri intervenuti, gli onorevoli Baccini e Buttiglione (non a caso esponenti dell'UDC). Credo sia indispensabile e necessario rivedere alcune posizioni, se vogliamo tentare ancora di giungere ad un risultato. Tutti abbiamo sostenuto la necessità di ripristinare il principio della rieducazione del reo. Altresì, tutti abbiamo sostenuto essere indispensabile un'azione volta a rendere più umano il sistema penitenziario, ad umanizzare la pena. Sono concetti e principi comuni, sui quali siamo tutti d'accordo.
Alcuni colleghi dei gruppi di Alleanza Nazionale e della Lega Nord ritengono che il principio della certezza e della effettività della pena sia indispensabile. È un principio condivisibile, ma nell'ambito di un contesto più diffuso, quale quello dell'umanizzazione della pena e della rieducazione del reo. Comprendiamo tutti che il sistema non funziona a trecentosessanta gradi, che non è un sistema perfetto. Solitamente, di fronte ai sistemi imperfetti, si sono varati nell'arco della storia dei provvedimenti cosiddetti di clemenza, cosiddetti riparatori, mirati ad un sistema di tolleranza. Debbo ringraziare (credo debba farlo l'Assemblea nel suo complesso) tutti i direttori degli istituti penitenziari, che sino ad oggi hanno contribuito ad una situazione di tranquillità e sicurezza.
Mi avvio a concludere: vedo che il Presidente già mi sollecita in tal senso. Dobbiamo anche ringraziare coloro che hanno manifestato senso di responsabilità nel nostro paese, ossia chi, trovandosi in carcere, si è limitato ad uno sciopero della fame e del silenzio, anziché intraprendere altri tipi di iniziative, che potrebbero rappresentare un elemento di perplessità e di preoccupazione per il sistema della sicurezza del paese.
Oggi in Parlamento registriamo una divergenza tra chi ha manifestato la propria disponibilità nei confronti di un provvedimento di clemenza e di indulto e chi, invece, ritiene indispensabile aggiungere all'indulto un provvedimento di amnistia, in quanto ritiene che il solo indulto non avrebbe senso. Registriamo anche posizioni minoritarie, più restrittive, da parte di chi sostiene che non è comunque giusto avviare un provvedimento di clemenza, in termini sia di indulto sia di amnistia. Mi riferisco in particolare agli amici dei gruppi di Alleanza Nazionale e della Lega Nord.
Certo, se qualcuno volesse speculare, sono convinto che ci sarebbero i numeri per intervenire. Se qualcuno avesse la capacità, l'intelligenza o l'intuito politico per farlo, sono convinto che vi siano all'interno del Parlamento le condizioni, nonostante i tempi ristretti e il momento particolare, affinché insieme, attraverso un comitato di coordinamento dei promotori o dei rappresentanti dei gruppi in seno alla Commissione giustizia, sia possibile avviare un'iniziativa, magari rivedendo le proprie posizioni a livello delle «virgole». Infatti, abbiamo evidenziato che si tratta soprattutto di un problema di coscienza dei singoli parlamentari e non di ordini di gruppo.
Poiché la posizione degli amici della Margherita, dei DS e della cosiddetta sinistra (Rifondazione comunista e Verdi) è più vicina alle posizioni dello stesso presidente del gruppo di Forza Italia e dell'UDC, sono convinto che sia possibile, con uno sforzo ulteriore, raggiungere un risultato. Altrimenti, questo intervento odierno diventa magnificatorio.
PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare l'onorevole Mazzuca Poggiolini. Ne ha facoltà.
CARLA MAZZUCA POGGIOLINI. L'8 marzo 2001 votammo una legge per contrastare la presenza dei bambini nelle
carceri, ma vi sono ancora 70 bambini nelle carceri. Nonostante fosse necessario un intervento modesto, in cinque anni non si è trovato il tempo né la volontà per consentire loro di uscire.
In cinque anni non è stato fatto pressoché nulla per migliorare il «sistema giustizia», per onorare uno dei pilastri di ogni società civile, nulla. Al contrario sono diminuiti o cessati i fondi per la sanità, per il recupero dei detenuti, per la prevenzione riguardo ai giovani a rischio. Sono, invece, state approvate leggi ad personam che hanno favorito i potenti e per fare ciò hanno ingarbugliato il sistema, creando così le premesse per una sempre maggiore ingiustizia.
Noi, Repubblicani europei, siamo favorevoli in modo convinto all'approvazione di un provvedimento di clemenza che coniughi amnistia ed indulto insieme, proprio affinché sia massimamente giusto. Siamo favorevoli, pur sottolineando che la giustizia è tra i fondamenti della Repubblica nella sua più alta accezione.
La Repubblica che noi perseguiamo, infatti, valuta il danno subito, il dolore delle vittime, le difende e le sostiene; non infierisce però sugli autori dei reati ma li condanna tempestivamente e con giustizia. Fa loro scontare la pena e punta, soprattutto, al loro reinserimento.
Ma se questi reati esprimono, come è in massima parte, un malessere sociale, se riguardano prevalentemente determinati strati di popolazione, la Repubblica ascolta, analizza e poi interviene con autorevolezza per rimuovere le cause sociali alla base dei reati più diffusi; sostiene gli enti a ciò preposti; con responsabilità vara iniziative di inclusioni sociali; si fa carico della diffusione dell'insegnamento, di quei principi di etica pubblica che sono alla base di ogni società civile, se ne fa carico fino al punto, nei suoi massimi esponenti, di testimoniare questi principi di etica pubblica.
Questa Repubblica ideale, che vogliamo, si impegna per una giustizia che sia tale, che giunga tempestiva ed imparziale, che cioè agisca nello stesso modo verso i poveri e verso i più ricchi e potenti, in un sistema che sia equo e tempestivo, una giustizia che sia temuta, rispettata e ben applicata.
Così è la Repubblica che vogliamo, ma come tutti vedono, come tutti sanno, come tutti soffrono, tutto ciò non è stato fatto. Allora diciamo «sì» al provvedimento di clemenza, un provvedimento al quale si oppongono i gruppi di Alleanza nazionale e della Lega Nord Federazione Padana.
Onorevole Gasparri, la certezza della pena è fondamentale, come lei ed altri della destra avete richiamato. Ma, vi chiediamo, solo per i reati minori, solo per i più deboli, quelli che stanno in carcere più per motivi sociali che per volontà di delinquere?
Oggi, a chiedere un provvedimento di clemenza con noi firmatari, oltre ai detenuti, vi sono tanti addetti, tra cui i direttori delle carceri, quelli del comparto giustizia, la polizia penitenziaria, i medici, gli avvocati, i magistrati, il personale sociale, ma soprattutto le famiglie. Abbiamo il dovere di dare loro una risposta, perché il quadro dei numeri è sconvolgente quanto ad inefficienza del «sistema giustizia».
Oggi, 20 mila persone sono in stato di carcerazione preventiva e moltissimi sono quelli per i quali è stata prescritta la pena. Noi, Repubblicani europei, chiediamo amnistia ed indulto, subito o comunque nella prossima legislatura ed una migliore, tempestiva ed equa giustizia per tutti gli italiani.
PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare l'onorevole Savo. Ne ha facoltà.
BENITO SAVO. Signor Presidente, colleghi, svolgerò le considerazioni consentite dai quattro minuti di tempo a mia disposizione. È stato toccato il problema in maniera magistrale e sintetica dal presidente della Commissione giustizia, onorevole Pecorella, ed a questo intervento mi rifaccio integralmente, con soddisfazione, perché viene dalla mia parte politica. Però, non posso sottacere il discorso ostinato che fanno taluni, nel rispetto dei loro
principi nei confronti della legalità, della sicurezza e dell'ordine.
Anche io sarei e sono per l'ordine, per la legalità, per la certezza della pena. Però, dobbiamo anche dire che i padri costituenti pensarono a questi argomenti e si premunirono di una riserva, di una valvola di sicurezza, l'amnistia, l'indulto, la clemenza, poiché si poteva verificare nel corso del tempo un «ingorgo» della giustizia.
È quello che si è verificato. Oggi esiste l'ingorgo della giustizia, che non si può addebitare all'imputato. Tale ingorgo, infatti, deve essere attribuito anche, e soprattutto, a chi ha occupato il Governo, queste aule e lo Stato per tanti anni e non ha accelerato i provvedimenti finalizzati allo snellimento dei processi, per avere una giustizia giusta e credibile.
Oggi non possiamo essere lo strumento per perpetrare ulteriori ingiustizie nei confronti di coloro che, nella loro esistenza, sono stati già penalizzati dalla commissione di un reato. È interessante evidenziare una circostanza: chi sono i soggetti interessati al provvedimento di clemenza che vorremmo varare? Si tratta dei tossicodipendenti, ma allora riflettiamo se abbiamo approvato leggi giuste finalizzate alla repressione dello spaccio della droga, che non riusciamo a realizzare ancora oggi, nonostante la volontà espressa più volte dagli organi preposti!
Di chi parliamo, inoltre? Questo provvedimento riguarderebbe gli immigrati, che dovrebbero uscire dal carcere perché sono responsabili della commissione di piccoli reati e, soprattutto, del reato di essere approdati sulle nostre sponde! Li condanniamo proprio noi, che siamo stati cittadini emigranti nel globo! Noi di questo dobbiamo vergognarci, perché non abbiamo nessuna certezza che chi approda sulle nostre terre per fame debba essere respinto, come è stato fatto nella «sinistra» Spagna, la quale, attraverso il Marocco, riconsegna gli immigrati al deserto e ad una morte sicura! Si tratta di una vergogna per l'Europa e per noi, che sottaciamo queste vicende!
PRESIDENTE. Onorevole Savo, concluda!
BENITO SAVO. Signor Presidente - e concludo - non voglio addentrarmi in ulteriori particolari, tuttavia vorrei solamente dire che io, che sono cattolico e laico, invito tutti i miei colleghi e l'opinione pubblica a liberare l'uomo dalle pene superflue irrogate da uno Stato che diventa disumano. Vorrei ricordare, infatti, che viviamo in uno Stato democratico e che, assieme al nostro Presidente, che lo ha annunciato solennemente, siamo per la giustizia e la libertà (Applausi dei deputati del gruppo di Forza Italia e di deputati del gruppo della Margherita, DL-L'Ulivo)!
PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare l'onorevole Intini. Ne ha facoltà.
UGO INTINI. Signor Presidente, onorevoli colleghi, questo dibattito riveste un valore simbolico e morale, prima ancora che politico.
Si è trattato di un dibattito che ha fatto onore al Parlamento. Non fa tuttavia onore al Governo, perché il ministro della giustizia è assente. Ciò è veramente inaudito, perché si è comportato non da ministro della Repubblica, ma da capofazione: una fazione, la Lega - mi sia consentito di dirlo -, che vuole impedire, anche con l'ostruzionismo, al Parlamento di pronunciarsi su un gesto di clemenza.
Non insisto sulle ragioni dell'amnistia, che sono state esposte, con efficacia, in quest'aula; non insisto neanche sulle condizioni delle carceri. Turati le definiva «l'inferno dei vivi»: questo era un secolo fa e questo è ancora oggi, come ha ricordato molto bene il presidente della Commissione giustizia, onorevole Pecorella. Le carceri sono una vergogna dell'Italia e sono lo specchio della giustizia, che è un'altra vergogna del nostro paese. Le carceri sono un crudele ricovero per emarginati, un parcheggio per cittadini in attesa di giudizio che dovrebbero essere in libertà.
Non insisto su tutto ciò, e vorrei soltanto sottolineare un aspetto pratico, o riproporre soltanto un ragionevole percorso per dare uno sbocco concreto a questo dibattito. Non c'è contraddizione tra amnistia e indulto: è normale - e spesso accade - che amnistia e indulto siano stati decisi contestualmente. Ha detto bene lo stesso presidente della Commissione giustizia, onorevole Pecorella, quando ha suggerito l'approvazione di amnistia ed indulto insieme; ha detto bene il Vicepresidente della Camera ed ex ministro della giustizia, onorevole Biondi, su questo punto.
Dunque, la Commissione giustizia prepari un testo unico che preveda, insieme, amnistia ed indulto. Tale testo venga portato in Assemblea e lo si voti; lo si voterà a scrutinio segreto, come prevede - non dimentichiamolo - il regolamento della Camera: questo, di tutta la questione, è infatti l'aspetto decisivo.
Lo si voti, dunque. Capisco che qualcuno si opponga all'amnistia, e capisco che ci si opponga a qualunque misura di clemenza; tuttavia, non capisco e non accetto che si impedisca di votare in aula!
Abbiamo votato per stravolgere la Costituzione; abbiamo votato per cambiare le regole del gioco, ovvero la legge elettorale: sia consentito di votare prima dello scioglimento delle Camere per stabilire se questo Parlamento è favorevole o meno ad un atto di clemenza! Deve essere consentito di votare, anche perché il voto segreto significa che i deputati sono chiamati ad esprimersi liberamente secondo coscienza.
A nome della Rosa nel Pugno, pertanto, chiedo che il Presidente della Camera, prima dello scioglimento delle Camere, provveda a consentire la libera espressione della coscienza dei deputati (Applausi dei deputati dei gruppi Misto-La Rosa nel Pugno, della Margherita, DL-L'Ulivo e Misto-Verdi-l'Unione, e di deputati del gruppo di Forza Italia).
PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare l'onorevole Olivieri. Ne ha facoltà.
LUIGI OLIVIERI. Signor Presidente, ho chiesto di prendere la parola in questo dibattito perché vorrei lasciare, per quanto possa essere utile, una mia testimonianza in merito all'oggetto della discussione odierna; ciò anche in considerazione del fatto che, avendo avuto l'onore, nella scorsa legislatura, di essere presidente del Comitato sulle carceri della Commissione giustizia, ho potuto affrontato compiutamente il problema. Anzi, senza polemica alcuna, devo aggiungere che quel Comitato lasciò un'eredità cospicua, ben due risoluzioni; se di esse si fosse tenuto conto, quanto meno di alcune loro parti, probabilmente oggi il sistema carcerario italiano non si troverebbe nella situazione di emergenza nella quale versa.
Benché tanti colleghi abbiano cercato di dare un contributo, la discussione di questa mattina evidenzia che, da un lato, la gran parte del Parlamento - ma non i due terzi - è disponibile ad un intervento di clemenza - avendo chiara la fotografia della situazione in essere - e, dall'altro, due forze politiche, Alleanza nazionale e la Lega, concepiscono la pena ed il carcere come strumento custodiale. Benché sostengano il contrario, esse non mettono in debita evidenza, con quanto ciò comporta, l'intervento rieducativo e di reinserimento della pena previsto anche dalla nostra Carta costituzionale.
Il problema risiede tutto in tale questione; a tali colleghi vorrei riproporre - ciò, infatti, è stato già fatto da altri dianzi - la situazione odierna: 60 mila detenuti in 207 istituti, dei quali la stragrande maggioranza è fatiscente, non sussistendo le minime condizioni igieniche. Luoghi dove non penseremmo di far vivere nessuno; non solo una persona ma neppure una bestia, in alcune celle, potrebbe trovare una decoroso alloggio. Manca, perciò, il momento nel quale, mentre espiano la pena, i detenuti possano vivere, nel contempo, il processo rieducativo.
In alcune regioni - la Campania, il Friuli-Venezia Giulia, la Lombardia, la Toscana, il Trentino-Alto Adige ed il Veneto -, ormai la tollerabilità è stata ampiamente superata; il regolamento penitenziario prevede che, al massimo, di detenuti,
i nostri istituiti di pena, ne possano ospitare 43 mila; ne contengono invece 60 mila. Con le leggi che avete varato, la cosiddetta ex-Cirielli, sicuramente il loro numero aumenterà ancora. Come rispondete a tale situazione? Dichiarando che costruirete nuove carceri? Non prendiamoci in giro! Sapete benissimo, voi come noi, che nuove carceri significano cinque o dieci anni di tempo. Dovete rispondere ora al problema e dovete rispondere assumendovi le vostre responsabilità dinanzi al popolo italiano.
LUIGI OLIVIERI. I Democratici di sinistra-L'Ulivo - e concludo, signor Presidente - hanno già dichiarato quale sia la loro posizione; l'ha espressa in modo esemplare l'onorevole Anna Finocchiaro: noi siamo disponibili ad un intervento di clemenza; se non vi è tale intenzione, smettiamo di essere ipocriti perché la cosa peggiore che potremmo fare è illudere quanti in questo momento sono in carcere (Applausi dei deputati del gruppo dei Democratici di sinistra-L'Ulivo).
PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare l'onorevole Santulli. Ne ha facoltà.
PAOLO SANTULLI. Signor Presidente, onorevoli colleghi, non è giustificabile l'indifferenza legislativa di questo Parlamento rispetto alle condizioni dei 60 mila detenuti presenti nei 207 penitenziari italiani. Si tratta di penitenziari in cui - si badi bene - ogni tre posti letto disponibili vi sono quattro presenze, circa 15 mila detenuti sono tossicodipendenti, e circa 18 mila sono affetti dall'AIDS. Punte di sovraffollamento insostenibili si registrano soprattutto in Campania, in particolare a Santa Maria Capua Vetere, a Secondigliano e a Poggioreale, dove vi sono presenze superiori di un terzo al limite di tollerabilità.
Tutto questo, a fronte di circa 21 mila detenuti in attesa di giudizio, dei quali il 29 per cento attende ancora il processo di appello e il 13 per cento il ricorso per Cassazione. Si badi bene, non si deve avere nessuna tolleranza verso la criminalità, ma la giustizia deve essere giusta, amico sottosegretario Vitali. Per questo abbiamo sottoscritto questa convocazione, per questo siamo qui, onorevole Lussana (mi spiace di non vederla più tra i banchi).
La nostra presenza e l'iniziativa condivisa stanno a significare l'urgenza di interventi che riteniamo non più procrastinabili. Se siamo capaci di comprendere la nostra responsabilità, nonchè i bisogni e le sofferenze dei carcerati, cari colleghi, abbiamo ancora tutto il tempo di realizzare un provvedimento di clemenza (Applausi dei deputati dei gruppi Misto-Popolari-UDEUR, dei Democratici di sinistra-L'Ulivo, della Margherita, DL-L'Ulivo e Misto-La Rosa nel Pugno).
PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare l'onorevole Ranieri. Ne ha facoltà.
UMBERTO RANIERI. Credo che la discussione odierna sia stata utile. A me pare che siano emerse ragioni umane, tecniche e giuridiche, per non parlare di quelle morali, che militano per l'adozione di un provvedimento di clemenza.
Una misura di clemenza è oggi matura. Non si adottano misure di questo tipo da quindici anni, ma è anche vero che proprio in questo lungo periodo non si sono più celebrati processi in tempi ragionevoli. Se i tempi della giustizia non sono cambiati, è cambiato il numero dei detenuti.
Tutto si aggraverà. La legge che dimezza i termini di prescrizione per i reati dei cosiddetti «colletti bianchi» comporta una stretta carceraria per i recidivi di reati minori, per i poveracci, per quelli che non potranno più contare teoricamente sui benefici della legge Gozzini. Si prevede un ulteriore aumento della popolazione carceraria, già oggi composta per il 60 per cento da migranti e da tossicodipendenti, in carceri la cui capienza è di 40 mila detenuti, che già oggi ne ospitano circa 60 mila e dovranno ospitarne, secondo calcoli fondati, 20 mila in più in un breve lasso di tempo.
Altro che dettato costituzionale, secondo cui la pena non consiste in trattamenti contrari al senso di umanità! La verità è che quella dei carcerati è una grande questione sociale dimenticata.
Credo che questa discussione sia stata utile. Ho avvertito nelle parole dell'onorevole Finocchiaro, del presidente Pecorella, degli onorevoli Fanfani, Biondi e Intini, nonché nelle dichiarazioni recenti dell'onorevole Violante, la possibilità di giungere ad un atto di clemenza. Il Parlamento può ancora farcela. I tempi sono stretti, ma è possibile. In ogni caso, si decida - ed è importante il suo ruolo, signor Presidente - un ragionevole percorso per giungere ad atti concreti su questa dolorosa questione da parte del Parlamento.
Ciò che si chiede non è un esodo in massa dalle carceri, come sostiene l'onorevole Gasparri, né si vuole mettere in discussione la certezza della pena. Si chiede un atto necessario, meditato, serio, per contribuire a restituire al carcere il ruolo di rieducazione, secondo il dettato della nostra Costituzione (Applausi dei deputati dei gruppi dei Democratici di sinistra-L'Ulivo, della Margherita, DL-L'Ulivo e Misto-La Rosa nel Pugno).
PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare l'onorevole Mantini. Ne ha facoltà.
PIERLUIGI MANTINI. Presidente, partecipo a questo dibattito parlamentare, che si svolge non senza qualche ipocrisia e qualche protagonismo di troppo, per il rispetto profondo che è dovuto all'umanità carceraria.
Sappiamo da tempo che non vi sono i numeri per un provvedimento - sia pur limitato - di clemenza, e non vi sono perché la destra è contraria. Questi sono i fatti!
La seconda ipocrisia è quella di chi sostiene le ragioni dell'amnistia in modo separato da quelle della giustizia, dopo aver avuto la responsabilità della conduzione di una politica insensata sulla giustizia.
Noi siamo per il principio di Beccaria, ma tutto intero, non solo per la certezza e la pubblicità delle pene, ma anche per l'umanità delle pene stesse. Ed è francamente all'umanità che ci rivolgiamo, non alla disumanità che oggi vi è nelle carceri; alla persona, che è al centro delle nostre preoccupazioni, delle nostre attenzioni e delle nostre politiche, e non al fascino delle istituzioni totalitarie. Abbiamo anche presente il monito che ci veniva già da Nietzsche: diffidiamo da chi è troppo forte ed ha l'istinto a punire.
Siamo per l'indulto: lo abbiamo proposto nei nostri atti legislativi nei confronti di chi ha commesso reati minori e di chi ha già scontato gran parte della propria pena. Nessun «esodo» dalle carceri, come è stato ricordato, ma solo il desiderio ed il senso di responsabilità, che ci porta a sostenere la legalità non solo nella società, ma anche nelle carceri.
Un importante giurista ha affermato, in questi giorni, che l'amnistia è comunque una riduzione necessaria della giustizia. Vi è del vero in tali parole, ma è altrettanto vero che un provvedimento di indulto, un provvedimento di clemenza graduato è necessario per ridurre l'ingiustizia; l'ingiustizia e l'illegalità che sono diffuse e dilaganti nel paese ed ora anche nelle nostre carceri. Non ci piace che i responsabili dei grandi crimini finanziari siano «a spasso», spesso impuniti, mentre le carceri sono affollate da un'umanità dolente, spesso lì ristretta per piccoli reati o per violazione dei permessi di soggiorno, tenuta colpevolmente in condizioni disumane.
Summum ius, summa iniuria certamente vale anche per le carceri in Italia. Anzi, vale soprattutto per gli ultimi, per i più deboli: tale è il messaggio che ci è stato ricordato dal Sommo Pontefice in quest'aula e che più volte ci è stato richiamato alla mente anche dal Presidente della Repubblica, Ciampi, quando ci ha rammentato la necessità di condizioni di umanità e legalità nelle carceri.
Noi, nella prossima legislatura - mi auguro con il sostegno di un'ampia maggioranza parlamentare - proporremo un provvedimento di clemenza per i reati meno gravi e per chi, comunque, ha già
scontato la maggior parte della propria pena. Noi ci impegniamo a farlo, e se i numeri non lo consentissero, per l'opposizione della destra, lo faremmo anche ponendoci il problema di una modifica dell'articolo 79 della Costituzione, perché è necessario che sia possibile raggiungere maggioranze parlamentari anche sui provvedimenti di amnistia e di indulto. È un nostro impegno, che assumiamo a fronte del vostro fallimento, ancora più grave ed assurdo perché coinvolge non solo la giustizia, ma anche la grazia. È un fallimento vostro, ma anche dell'intero paese, cui vogliamo e dobbiamo porre rimedio.
PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare l'onorevole Di Gioia. Ne ha facoltà.
LELLO DI GIOIA. Signor Presidente, noi, come gruppo de La Rosa nel Pugno, abbiamo già espresso in modo chiaro ed inequivocabile le nostre posizioni, sia da parte del presidente del nostro partito, sia da parte dell'onorevole Intini. Credo, tuttavia, che sia necessario svolgere alcune considerazioni e riflessioni, anche in relazione a ciò che è stato detto in questo dibattito, ed altresì rispondere ad alcune considerazioni polemiche, in particolare quelle degli onorevoli Sgarbi e Gasparri.
Noi siamo profondamente convinti che il dibattito di quest'oggi sia importante ed essenziale nella discussione che si sta sviluppando nel paese e, quindi, all'interno di quest'aula. Abbiamo partecipato con grande entusiasmo alla convocazione della Camera - seppur in una data particolarmente difficile - perché riteniamo che la discussione che si deve sviluppare e che si sta sviluppando sull'amnistia sia un atto dovuto di questo Parlamento e, sicuramente, quello che il Governo avrebbe dovuto sviluppare.
Noi abbiamo fatto delle manifestazioni nei giorni scorsi, come la marcia per l'amnistia, e abbiamo constatato che, giorno dopo giorno, vi è grande difficoltà ed esiste un grande problema che credo si debba affrontare con determinazione.
Signor Presidente, io ho visitato alcune carceri e le posso garantire che, in quelle carceri dove c'erano anche i cosiddetti «asili nido», ho visto bambini che nel giorno di Natale non avevano certamente un volto sereno. Ho visto gente, povera gente che aveva bisogno di una parola e che ci fosse qualcuno che sollevasse il problema di quello che oggi è il sistema carcerario italiano. Anche gli operatori della giustizia hanno risposto con grande entusiasmo perché hanno capito, perché sanno e perché vivono, giorno per giorno, il dramma che oggi si vive in queste carceri. Tanta di questa gente ci sottoponeva un problema dicendo che, per come sono queste carceri, certamente non vi si può riabilitare nessuno.
In queste carceri manca tutto, come hanno già detto i colleghi che mi hanno preceduto. Manca addirittura la possibilità di fare manutenzione ordinaria. Altro che realizzare nuove strutture carcerarie, quando poi nella finanziaria togliete fondi per le carceri e togliete soprattutto quelli destinati a tutelare i tossicodipendenti all'interno delle carceri di questo paese! Questo è il problema su cui tutti dobbiamo riflettere ...
PRESIDENTE. Onorevole Di Gioia, concluda.
LELLO DI GIOIA. ... e noi, come gruppo de La Rosa nel Pugno, vi chiediamo che venga messa all'ordine del giorno la possibilità di votare questo provvedimento.
PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare l'onorevole Ruggeri. Ne ha facoltà.
RUGGERO RUGGERI. Signor Presidente, in risposta al ministro Castelli che parlava delle carceri come il Grand Hotel, vorrei leggere un racconto di un detenuto del carcere di Mantova. Si tratta di una prosa ironica, ma non molto: « In questo hotel non ci vieni mai da solo, è una prassi obbligatoria che ti ci portano. Di solito con macchine blu, però non quelle dei nostri politici e, poi, è severamente vietato sedersi
davanti, così bisogna sedersi dietro e sempre in mezzo. In questo hotel appena si entra ci si rende subito conto che qua va di moda il ferro, così dove ti giri trovi il ferro. Dove anche l'aria, penso, hanno fatto di ferro. In questo hotel gli inservienti non ti perdono mai di vista, qua non ti puoi mai aprire una porta. Il motivo è che sono gelosissimi delle chiavi, così a costo di aprirti e chiuderti vogliono sempre tenerle in mano loro. In questo hotel devono avere problemi di aritmetica perché tutti i giorni ti contano tre volte e, se i conti non gli tornano, non è che pensano: «mah sarà andato fuori a cena» e, poi, quando ti hanno trovato sono problemi tuoi».
Vorrei concludere il mio intervento con un'altra poesia di un nostro collega deputato che frequenta le carceri: «La rabbia ho visto dei forti, la rassegnazione dei deboli, l'umiliazione dei vinti. Profondo negli sguardi sento il desiderio di libertà che la primavera profuma dai campi. Talvolta, o spesso, mi vergogno» (Applausi dei deputati dei gruppi della Margherita, DL-L'Ulivo, di Rifondazione comunista, Misto-La Rosa nel Pugno e Misto-Verdi-l'Unione - Congratulazioni).
PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare l'onorevole Pistone. Ne ha facoltà.
GABRIELLA PISTONE. Signor Presidente, 57 mila uomini, di cui meno di 3 mila donne, cinque persone in 10 metri quadrati, 207 carceri, circa 60 mila detenuti con una capienza carceraria di appena 43 mila: questa è la situazione nelle nostre carceri e questa è la dimostrazione che la discussione di oggi, caro Presidente, non rappresenta solo chiacchiere; non è demagogia pura e non si tratta neanche di spot elettorali alle spalle dei detenuti. È una preoccupazione vera, convinta, che porta all'attenzione della politica e delle popolazione italiana questo grave problema.
Nessuna demagogia; si tratta, invece, del convincimento forte e profondo che la pena non può essere ricondotta solo alla reclusione, ma il suo valore sta nel fatto che dovrebbe aiutarci in qualche modo il concetto di riabilitazione e di recupero. Quindi, pene alternative a tutti coloro che hanno dimostrato e dimostrano volontà e disponibilità a restituire alla società ciò che hanno tolto. E servono anche provvedimenti che mirino al reinserimento sociale. Accanto a ciò, serve la depenalizzazione di molti reati e serve punirli con forti pene pecuniarie o confische di beni.
In questa legislatura, nei confronti delle carceri c'è stato un atteggiamento assolutamente sbagliato e fuorviante. Le condizioni di vita nelle carceri italiane, in molti casi, sono assolutamente incivili, e per questo motivo occorre prendere provvedimenti come questo, che siano peraltro esattamente il contrario di quanto avvenuto in questi anni dal punto di vista delle normative adottate. Tali provvedimenti sono stati deboli e lassisti con la criminalità delle classi dirigenti, con i forti, e invece forti con la criminalità di strada, con i deboli. Mi riferisco alla cosiddetta legge Cirielli, alla depenalizzazione prevista nella legge sulla tutela del risparmio e, quindi, al falso in bilancio, che non riguarda certamente nessuno dei 19 mila stranieri o dei 3 mila tossicodipendenti oggi in carcere. E non riguarda neanche le detenute mamme che hanno con sé i bambini e che sono costrette a vivere in condizioni davvero disagevoli.
Leggevo oggi di un caso emblematico: un detenuto, che pesa 207 chili, è caduto a terra e i vigili del fuoco hanno impiegato tre ore per risollevarlo; egli chiede gli arresti domiciliari. Credo che questo sia uno dei tanti casi saltati alla ribalta, oltre agli innumerevoli suicidi avvenuti in questi anni, proprio per le condizioni disumane della vita carceraria.
Credo che, accanto a ciò - e concludo -, vi sia un imputato eccellente: mi riferisco al disagio sociale, che in questi anni è aumentato intensamente nella nostra società, creando forti discriminazioni che non fanno altro che alimentare questo stato di cose.
Per tale motivo, oggi mi fa piacere essere in compagnia di moltissimi colleghi: chi ha affermato che la giornata di oggi poteva essere un fallimento si è sbagliato. Oggi abbiamo dato la dimostrazione, in Parlamento, di voler fare qualcosa, e chiediamo al Parlamento, in questa legislatura, di approvare un provvedimento - il tempo c'è -, per arrivare a una soluzione almeno parziale di questo problema gigantesco (Applausi dei deputati dei gruppi Misto-Comunisti italiani, della Margherita, DL-L'Ulivo, Misto-La Rosa nel Pugno e Misto-Verdi-l'Unione).
PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare l'onorevole Castagnetti. Ne ha facoltà.
PIERLUIGI CASTAGNETTI. Signor Presidente, confesso che anch'io ero preoccupato che l'iniziativa di chiedere la convocazione straordinaria della Camera potesse creare aspettative che il Parlamento non sarebbe stato in grado di soddisfare. Alla luce del dibattito che si è svolto, ritengo tuttavia che dobbiamo essere soddisfatti di tale iniziativa e che dobbiamo essere grati ai 207 colleghi che hanno promosso questa convocazione, perché è stato uno dei momenti più alti dell'attività parlamentare della legislatura, innanzitutto in quanto è la prima volta che il Parlamento viene convocato per iniziativa dei parlamentari. Ciò avrebbe meritato un'attenzione, in particolare da parte del ministro per i rapporti con il Parlamento e del ministro della giustizia, che non vi è stata.
Si è trattato, inoltre, di un momento molto importante, perché abbiamo ascoltato, per la prima volta in questi cinque anni - non voglio introdurre elementi polemici -, numerosi colleghi parlare liberamente ed esprimere ciò che pensano realmente. Non intendo fare alcun altro riferimento, ma è la prima volta in cinque anni che ciò si è verificato.
Inoltre, tale iniziativa è stata importante perché abbiamo riscontrato un consenso a un atto di clemenza più largo di quanto ci si attendesse. Almeno a me, è parso, signor Presidente, di cogliere che in questo Parlamento vi sia una disponibilità molto larga, probabilmente - non ne ho la certezza - sufficiente per un atto di clemenza. A mio avviso, vi sono le condizioni perché si possa valutare tale possibilità.
Ho chiesto la parola, signor Presidente, per domandarle di valutare l'opportunità, proprio al fine di evitare che una discussione senza tempi contingentati porti alla vanificazione del provvedimento, di incardinare la discussione stessa prima della fine del mese, per poter svolgere il dibattito e arrivare ad una decisione e ad un voto che verifichi le posizioni e le reali disponibilità del Parlamento nel prossimo mese. Il mio gruppo è favorevole, e credo che dopo questo dibattito sia possibile attendersi un'evoluzione di questo genere.
Abbiamo tutti presente quel che diceva Salvemini: fa quel che devi, accada quel che può. Quel che noi dobbiamo oggi, a mio avviso, è questo (Applausi dei deputati dei gruppi della Margherita, DL-L'Ulivo, dei Democratici di sinistra-L'Ulivo, di Rifondazione comunista e Misto-La Rosa nel Pugno, e di deputati del gruppo di Forza Italia).
PRESIDENTE. Onorevoli colleghi, è così esaurito il dibattito sulle comunicazioni del Presidente in ordine alla richiesta di convocazione in via straordinaria della Camera, ai sensi dell'articolo 62, secondo comma, della Costituzione.
Nel corso della discussione sono intervenuti molti deputati, 12 in rappresentanza di tutti i gruppi nonché di componenti politiche del gruppo Misto, 27 in qualità di firmatari della richiesta di convocazione straordinaria. Il dibattito ha pertanto consentito di registrare una completa panoramica delle posizioni presenti nell'ambito della Camera, e sotto questo profilo non posso che sottolinearne con soddisfazione l'importanza e l'utilità.
Proprio per questo, prima di trarre le conclusioni, mi sembra doverosa una precisazione che attiene alla responsabilità del Presidente della Camera in ordine a questa convocazione straordinaria. A tal
proposito, esprimo ringraziamenti ai colleghi di maggioranza e di opposizione che hanno evidenziato il mio scrupolo istituzionale. È evidente che il Presidente, a fronte di una richiesta avanzata dal prescritto quorum di deputati, è tenuto, in ossequio ad una precisa disposizione costituzionale, a convocare la Camera, essendo a lui rimessa soltanto la determinazione delle concrete modalità della seduta.
È necessario, peraltro, tutelare tutte le posizioni dei singoli parlamentari, sia di quelli che hanno ritenuto di sottoscrivere la richiesta, sia - mi preme sottolinearlo - di quanti, avendo un'opinione diversa sul problema in discussione, hanno ritenuto di esprimerla in questa sede o hanno ritenuto, in piena coscienza e con un comportamento il cui significato politico è evidente a tutti, di non partecipare ai lavori odierni.
Il dibattito ha evidenziato tra i gruppi orientamenti differenziati circa l'esame da parte della Camera di un provvedimento di clemenza. Le principali posizioni possono essere così riassunte. Alcuni gruppi (Lega Nord Federazione Padana e Alleanza nazionale) si sono dichiarati senz'altro contrari a qualunque misura di tal genere; altri gruppi hanno manifestato il proprio favore - sto parlando di chi è intervenuto in rappresentanza dei gruppi, perché io posso fare riferimento solo a loro - ad un provvedimento di solo indulto (Democratici di sinistra-L'Ulivo e Margherita, DL-L'Ulivo); altri sono favorevoli ad un provvedimento sia di amnistia, sia di indulto (Rifondazione comunista, Forza Italia, La Rosa nel Pugno, Comunisti italiani, Verdi, Ecologisti democratici). In tali ultimi due casi, si è fatto comunque riferimento alla necessità di un'adeguata precisazione circa le concrete modalità applicative dell'eventuale procedimento di clemenza. Altri gruppi (UDC-CCD-CDU), pur dichiarandosi favorevoli ad un provvedimento di clemenza, hanno registrato tuttavia la mancanza delle concrete condizioni per darvi corso.
Alla luce di questo arco differenziato di posizioni, appare del tutto evidente come non sia possibile definire in modo chiaro ed univoco un percorso procedurale condiviso da seguire in materia. Si chiede di portare subito al voto dell'Assemblea un provvedimento di clemenza; ma quale provvedimento? Un'amnistia? Un indulto? Oppure entrambi? E con quali contenuti e modalità applicative? Il dibattito non consente di sciogliere ora tali nodi. Tutti gli interventi hanno rilevato l'importanza che si discuta su questi temi, ed io non posso che concordare con questa considerazione; affinché tuttavia il dibattito non si svolga sulla pelle dei detenuti e delle loro famiglie, è necessario che dopo la discussione seguano le decisioni. Vi sono le condizioni per prendere oggi una decisione? Alla luce degli esiti del battito, la risposta non può che essere negativa.
Occorre dunque fare ulteriore chiarezza sul punto e l'unica sede che appare adatta al riguardo è la Commissione giustizia. D'accordo con il presidente Pecorella e con il relatore Mormino, ho quindi dato incarico a tale Commissione di definire in tempi rapidi la materia, concludendo i propri lavori per l'inizio del prossimo mese di gennaio e predisponendo un testo che sia il punto di riferimento per il voto in Assemblea (Applausi). Diversamente, parleremmo di un provvedimento, da esaminare in quest'aula, indefinito nei contenuti e nelle modalità, senza sapere nemmeno di che cosa parliamo o pensando in buona fede ciascuno di noi a testi diversi e magari antitetici uno con l'altro. Mi impegno, non appena la Commissione avrà votato un testo, qualunque esso sia, a riunire la Conferenza dei capigruppo per proporre l'immediato voto dell'Assemblea su questo provvedimento. Ogni altra strada rischierebbe di suscitare aspettative nella popolazione carceraria senza ragionevoli possibilità di soddisfarle.
Per quanto riguarda l'attività della Commissione, il presidente Pecorella mi ha comunicato che l'ufficio di presidenza è convocato proprio oggi per definire tempi e modalità per la conclusione dell'esame in sede referente dei progetti di legge in materia. (Applausi).
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