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PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca il seguito della discussione congiunta dei disegni di legge, già approvati dal Senato: Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato (legge finanziaria per il 2006); Bilancio di previsione dello Stato per l'anno finanziario 2006 e bilancio pluriennale per il triennio 2006-2008; Nota di variazioni al bilancio di previsione dello Stato per l'anno finanziario 2006 e bilancio pluriennale per il triennio 2006-2008; Seconda nota di variazioni al bilancio di previsione dello Stato per l'anno finanziario 2006 e bilancio pluriennale per il triennio 2006-2008.
Ricordo che nella seduta di ieri è iniziata la discussione congiunta sulle linee generali.
PRESIDENTE. Riprendiamo, dunque, la discussione congiunta sulle linee generali.
È iscritta a parlare l'onorevole Zanella. Ne ha facoltà.
LUANA ZANELLA. Signor Presidente, siamo di fronte ad una manovra economica
in continuo divenire in quanto aggiornata ossessivamente in queste settimane - e non è ancora finita - per far fronte alle continue previsioni errate, a nuovi sforamenti di bilancio e alle tante pressioni e richieste, alcune delle quali anche contraddittorie. In pratica, sono state adottate quattro manovre economiche: alla finanziaria è stato dapprima affiancato il decreto-legge collegato n. 203; è arrivato poi il decreto-legge n. 211, in seguito confluito nel decreto-legge precedente, per tentare di correggere i conti pubblici del 2005; infine, quando vi siete accorti che le vostre previsioni sulle entrate per il 2006 si erano dimostrate sballate, anche a causa delle mancate dismissioni immobiliari (le famose dismissioni immobiliari su cui si basa parte della manovra economica), avete, con i maxiemendamenti presentati al Senato, introdotto nuovi e ulteriori interventi correttivi per circa 6 miliardi di euro, così da portare l'entità della manovra economica dagli iniziali 12,2 miliardi a 16,3 miliardi di euro.
Se poi si va a leggere l'ultima relazione previsionale e programmatica presentata in Parlamento, si può osservare che in realtà la manovra economica complessiva raggiunge quasi i 27 miliardi di euro; ai 16,3 miliardi di euro vanno infatti aggiunti 4 miliardi per il rifinanziamento di oneri inderogabili non meglio definiti, 3,5 miliardi di euro che riguardano misure per lo sviluppo e l'occupazione con particolare riferimento alle famiglie e i fondi per l'attuazione della cosiddetta Agenzia di Lisbona, valutati in 3 miliardi di euro.
Il reale andamento dei conti pubblici - cioè, come stanno davvero le cose - è reso sempre meno leggibile e trasparente. Quest'ultimo è il problema che noi poniamo al centro del confronto parlamentare. In cinque anni di manovre economiche il vero miracolo, tante volte annunciato, che siete riusciti a compiere è stato quello di mandare letteralmente allo sfascio la finanza pubblica e con essa la coesione sociale. Altro che crescita superiore al 3 per cento pronosticata all'inizio della legislatura dal buon Tremonti! In cinque anni di politiche, per così dire, liberiste (in realtà, tali politiche non sono neanche liberiste), vi siete divorati oltre quattro punti percentuali di avanzo primario frutto della politica di risanamento attuata dal centrosinistra e dei sacrifici compiuti dagli italiani. Il debito pubblico, per la prima volta da un decennio a questa parte, è tornato ad aumentare e si avvia a raggiungere quota 110 per cento del PIL, il deficit il 4,3 per cento del PIL; e tutto ciò mentre viaggiamo intorno ad una crescita prossima allo zero, decisamente al di sotto del livello medio dei nostri partner europei. Anche per il prossimo futuro lo scenario rimane scuro, direi nero, anche per il venir meno del beneficio dei bassi tassi di interesse.
La presunzione tutta propagandistica vi ha fatto ritenere, in questi anni così difficili, che fosse decisivo puntare tutto sulla riduzione delle tasse e della pressione fiscale ad ogni costo, anche quando la situazione dei nostri conti pubblici non lo permetteva; avete pensato che tale strumento, da solo, fosse sufficiente a rilanciare magicamente sviluppo, investimenti e consumi. Tutt'altro! La verità è che gli interventi di riduzione della pressione fiscale posti in essere con i due moduli della riforma sono stati più che neutralizzati dall'aumento dell'imposta di bollo, delle accise e delle tante altre forme di tassazione indiretta.
Ci lasciate un sistema fiscale del tutto inefficiente e, soprattutto, iniquo. L'evasione e l'elusione fiscale sottraggono ogni anno allo Stato enormi quantità di risorse. E anche per questo portate una responsabilità enorme, dal momento che avete proposto e riproposto, per l'intera legislatura, continui ed immorali condoni, fiscali e persino edilizi, sanatorie, scudi fiscali e concordati, che hanno già prodotto l'effetto nefasto di incentivare il fenomeno dell'evasione fiscale e della sfiducia nelle istituzioni. D'altro canto, le debolissime norme antievasione che avete voluto inserire, così fuori tempo, a pochi mesi dalla fine della legislatura, nell'ultimo decreto-legge collegato alla finanziaria sono poco
più che acqua fresca e vanno lette per quello che sono: pura propaganda elettorale!
Inoltre, in questi anni, avete imposto agli enti locali, in modo insostenibile, politiche di bilancio talmente stringenti e penalizzanti da metterli in condizione di non poter garantire i servizi essenziali ai propri cittadini.
Un bilancio, a consuntivo di cinque anni di leggi finanziarie, deve quindi essere fatto, anche analizzando i flussi di risorse finanziarie complessivamente messe in campo nell'ultima legislatura.
Ed è evidente che, in questo caso, più delle parole contano, forse, i numeri. In termini monetari - perché in termini reali la situazione è, chiaramente, ben più drammatica - assistiamo: ad una riduzione del fondo unico per lo spettacolo del 25 per cento rispetto alle risorse stanziate dall'ultima finanziaria del centrosinistra; ad una riduzione di oltre il 27 per cento, rispetto alla vostra prima manovra economica, del fondo per le politiche sociali; ad una riduzione costante, in questi cinque anni, dell'aiuto pubblico ai paesi in via di sviluppo.
Proprio quest'ultima è una voce tra le più colpite, a dispetto degli impegni ripetutamente presi dal Presidente del Consiglio davanti alla comunità internazionale: ogni volta che c'è stato bisogno di una manovra per aggiustare i conti operando tagli, i soldi alla cooperazione internazionale sono stati sempre tra i primi ad essere colpiti. Basti pensare al recente decreto-legge n. 203 del 2005, con il quale avete tagliato ulteriormente di cento milioni di euro, vergognosamente, i fondi residui del 2005. Allo stesso modo, non avete perso un momento a modificare, chiaramente in senso fortemente penalizzante per i paesi poveri, l'importante legge n. 209 del 2000 sulla riduzione del debito per i paesi a più basso reddito.
Per quanto concerne l'ambiente, i seguenti dati mi sembrano significativi: rispetto all'ultima finanziaria del centrosinistra, avete tagliato di quasi il 20 per cento le risorse destinate ai parchi ed alle aree protette; sempre confrontando i dati con l'ultima manovra del centrosinistra, avete ridotto del 66 per cento il finanziamento alla CITES (relativamente al commercio di esemplari di fauna e flora minacciati da estinzione); avete ridotto del 24 per cento gli stanziamenti per la difesa del mare; la stessa sorte è toccata alle risorse per la bonifica dei siti inquinati.
Ma è davvero vergognosa la riduzione di risorse apportata, nell'arco della legislatura, alla difesa del suolo ed al dissesto idrogeologico. I finanziamenti alla legge n. 183 del 1998 ed al decreto-legge n. 180 del 1998 (i due principali provvedimenti in materia di stanziamenti per la difesa del suolo) sono passati da 370 milioni di euro per il 2001, assegnati, lo ricordo, con l'ultima finanziaria del centrosinistra, a 152 milioni di euro assegnati, per il 2006, con il disegno di legge finanziaria in esame. Un taglio scandaloso di quasi il 60 per cento che registra, solo per il 2006, la riduzione di ben 100 milioni di euro a fronte di cifre già largamente insufficienti visto il dissesto geologico e lo stato del territorio e dell'equilibrio idrogeologico nazionale.
Infine, i 100 milioni di euro che stanziate - per il solo 2006 - per l'attuazione delle misure previste dal protocollo di Kyoto sono del tutto insufficienti e inadeguati; a tal proposito vale la pena di ricordare che, secondo gli ultimi dati ufficiali dell'Agenzia europea dell'ambiente, l'Italia è il paese che, nel biennio 2002-2003, ha fatto registrare il maggior incremento di emissioni di gas serra in valore assoluto e che è stato, altresì, l'ultimo dei paesi industrializzati europei ...
PRESIDENTE. Onorevole Zanella, la prego di concludere.
LUANA ZANELLA. ... a definire un piano di riduzione delle emissioni e di allocazione delle relative quote; adempimento effettuato solo a seguito dell'apertura di una procedura di infrazione. A fronte di un impegno a ridurre le emissioni del 6,5 per cento, rispetto all'anno base 1990 si è giunti, al contrario, a conseguire un aumento delle emissioni che
superano l'11 per cento rispetto all'anno di riferimento.
Niente si fa per risolvere il problema dell'inquinamento atmosferico che attanaglia le nostre città e non solo, mentre si pensa bene di eliminare, con un emendamento approvato dalla Commissione bilancio, il parco del Gennargentu in Sardegna.
Questa legge finanziaria, inoltre, riduce gli stanziamenti a favore dell'edilizia sanitaria e penitenziaria, 46 milioni e mezzo di euro per ciascun anno nel prossimo triennio, e gli stanziamenti per i programmi finalizzati al recupero dei detenuti tossicodipendenti, che diminuiscono del 50 per cento.
PRESIDENTE. Concluda, onorevole Zanella!
LUANA ZANELLA. Cinque anni fa il nostro paese si poteva considerare praticamente uscito da un lungo periodo di finanza pubblica dissestata, mentre ora lo ritroviamo ricacciato maldestramente in una crisi economica molto rischiosa, con un gravissimo processo di impoverimento...
PRESIDENTE. Grazie, onorevole Zanella.
È iscritto a parlare l'onorevole Benvenuto. Ne ha facoltà.
GIORGIO BENVENUTO. Signor Presidente, siamo davanti alla quinta legge finanziaria varata da questo Governo che, come le precedenti, riconferma l'incapacità di questo Governo sia di fronteggiare le difficoltà esistenti, sia di saper creare le condizioni affinché il paese possa riprendere il cammino dello sviluppo.
La manovra economica, la legge finanziaria e gli altri provvedimenti ad essa collegati sono una conferma di una direzione politica dell'economia opaca, contraddittoria, improvvisata e fatta di rinvii. In questi cinque anni - un periodo molto lungo - ci siamo trovati di fronte a manovre di politica economica che si sono sostanziate in una tantum, anticipazione di disponibilità future, promesse, annunci, disdette e espedienti contabili; eppure, di fronte ad un paese che è fermo, di fonte ad un paese che è in difficoltà, di fronte ad una situazione economica generale in cui esiste una ripresa e una possibilità di incidere sui mercati internazionali, sarebbe stato importante che il Governo non fosse sordo alle proposte che venivano dalle parti sociali, ma che fosse capace di affrontare un confronto nelle sedi istituzionali.
Invece, questo non è avvenuto. Non soltanto sono stati alimentati le tensioni e gli scontri, come negli ultimi tempi è avvenuto con la riforma costituzionale, con l'approvazione della legge elettorale e delle altre leggi che ben conosciamo, ma il Governo ha anche strozzato e impedito un confronto nel paese ed un confronto nel Parlamento continuando ad abusare del ricorso al voto di fiducia. Si può affermare, in sostanza, che si approvano le leggi ad personam e si bloccano o si rinviano quelle leggi che, invece, servono al paese e a tutti i cittadini.
Che cosa possiamo dire, se in maniera molto sintetica vogliamo qualificare e definire la politica economica del Governo in questi cinque anni? In sostanza, si è lasciato che la spesa aumentasse senza dirlo, mentre si diceva di voler ridurre il carico fiscale e le tariffe per il cittadino medio (cosa che non è stata fatta). Voglio sottolineare, signor Presidente, alcuni aspetti. Uno di essi è relativo al carico fiscale che, come indicazione di carattere generale, è diminuito. Ma - attenzione - è diminuito solo per alcuni, è diminuito fortemente per i redditi tra 70 e 100 mila euro, è diminuito per le rendite finanziarie; invece, è aumentato per i pensionati, i lavoratori dipendenti, le famiglie e, in particolar modo, per le imprese manifatturiere. Possiamo affermare che il nostro paese sta diventando un paradiso per gli speculatori finanziari e un inferno per chi vuole fare impresa, per chi vuole assumere, per la famiglia, per il pensionato o per il lavoratore, insomma, per il cittadino medio.
Esaminiamo qualche dato, qualche indicazione. I pensionati sono stati dap
prima raggirati con grandi promesse e ora continuano ad essere presi in giro. Guardiamo ai fatti: a gennaio, le pensioni avranno una rivalutazione, si fa per dire, dell'1,7 o dell'1,4 per cento, al lordo. In sostanza, noi ridurremo le pensioni, per il terzo anno consecutivo, a 16 milioni di pensionati, per i quali è rimasta inalterata una deduzione più bassa rispetto a quella di cui beneficiano i lavoratori dipendenti. Per questo Governo, i pensionati hanno una base imponibile di 500 euro più alta rispetto a quella dei lavoratori dipendenti. Inoltre, un accanimento particolare è stato rivolto nei confronti dei pensionati all'estero. Si è favorito e si è tassato il rientro dei capitali nella misura del 2,5 per cento, mentre si è aumentata la pressione fiscale su chi ha lavorato all'estero, sui pensionati all'estero e sui transfrontalieri, i quali sono stati esclusi anche dalle provvidenze.
Il discorso potrebbe andare ancora avanti. Per esempio, i lavoratori dipendenti non hanno avuto la restituzione del drenaggio fiscale. Eppoi, un particolare accanimento - degno di miglior causa, forse, della lotta all'evasione fiscale - è stato rivolto al trattamento di fine rapporto, con l'introduzione di una tassa occulta che ha portato dal 18 al 23 per cento la tassazione sul TFR. Ciò ha permesso allo Stato di introitare, in tre anni, 2 miliardi di euro. La beffa continua perché, adesso, con il rinvio della introduzione della previdenza integrativa al 2008, finirà, alla fine del 2005, quella deduzione aggiuntiva teorica che era stata stabilita con la riforma del TFR fino a quando non fosse decollata la stessa previdenza integrativa: in altri, termini, si rinvia la sua introduzione ma, subito, si ripristina una ulteriore tassa sul trattamento di fine rapporto.
Ancora, molto si è detto sulle misure che sono state introdotte per la famiglia. Tuttavia, per il fenomeno della incapienza, le deduzioni che sono state stabilite - si sa benissimo - non riguardano proprio le famiglie a reddito medio e a reddito più basso.
Ancora, non è stata corretta l'ingiustizia scaturita da quella riforma che, fatta dal ministro dell'economia e delle finanze, favorisce le famiglie bireddito rispetto a quelle monoreddito, le quali, a differenza, appunto, delle famiglie con più redditi, mantengono una sola deduzione.
Si parla poi di misure per adeguare ed alzare il tasso di natalità nel nostro paese; è necessario, ci mancherebbe: siamo ad un tasso dell'1,2 per cento per donna! Ma, anche a tale riguardo, si segue una politica vecchia, stantia, bigotta, arretrata; guardate, infatti, la Francia e la Svezia, che hanno un tasso di natalità per donna dell'1,9 e dell'1,8 per cento, anziché dell'1,2 per cento: in quei paesi si è puntato sulla «buona» occupazione femminile. In quegli Stati è ripresa la natalità per via di una maggiore occupazione femminile, della valorizzazione delle donne e di una robusta ed intelligente politica fiscale e sociale (non come quella che viene proposta nel nostro paese).
Come fa questo Governo ad esaltare la legge n. 30 del 2003? Come fa ad esaltare la flessibilità? Si tratta di una legge che, ahimé, si è tradotta in misure che puntano tutto sul precariato, sull'incertezza: come fanno due giovani a programmare la loro vita e dei figli se, a 30-35 anni non hanno la possibilità di organizzare e costruire il loro futuro?
Si tratta di una legge profondamente sbagliata ed ingiusta, che è «autolesionista» anche per il nostro sistema delle imprese. Un sistema costituito da un capitalismo impaziente, che vuole ottenere immediatamente dei risultati sfruttando le persone e «spremendole» come limoni; ne segue che quanto produciamo e operiamo non ha valore. Ma, anche a tale riguardo, mancano, nella legge finanziaria e nella politica del Governo, scelte coraggiose per far sì che la flessibilità diventi poi buona occupazione, e non precarietà, e per far sì che si investa fortemente sui saperi delle nostre ragazze e dei nostri ragazzi e sul terreno della formazione.
Sempre con riferimento al sistema delle imprese, non ci accorgiamo che il Governo ha seguito una politica con la quale le
aziende, soprattutto quelle manifatturiere, sono state profondamente «taglieggiate» e costrette spesso a ricorrere alla delocalizzazione?
GIORGIO BENVENUTO. Oggi, chi investe, chi assume - e concludo, signor Presidente - è soggetto ad una prima tassazione del 33 per cento, cui si deve aggiungere un'ulteriore tassa del 4,5 per cento; invece, chi ha redditi finanziari paga il 12,5 per cento e, se si sposta in Lussemburgo, non paga assolutamente nulla. Non è un caso che banche ed assicurazioni abbiano triplicato, quintuplicato, decuplicato i propri redditi, mentre il sistema delle imprese è in affanno.
Concludo, signor Presidente. Un'altra vicenda grottesca di questo Governo è quella legata alla tutela del risparmio ed al fondo per risarcire i risparmiatori.
PRESIDENTE. Onorevole Benvenuto...
GIORGIO BENVENUTO. Quattordici miliardi di euro andati in fumo, che attendono non propaganda e indicazioni, ma la riforma della legge sul risparmio; richiedono interventi che, come quelli da noi proposti, siano effettivamente a sostegno del risparmio, di chi è stato raggirato e truffato (Applausi dei deputati dei gruppi dei Democratici di sinistra-L'Ulivo, della Margherita, DL-L'Ulivo e Misto-Verdi-l'Unione).
PRESIDENTE. Constato l'assenza dell'onorevole Casero, iscritto a parlare: s'intende che vi abbia rinunziato.
È iscritto a parlare l'onorevole D'Agrò. Ne ha facoltà.
LUIGI D'AGRÒ. Signor Presidente, signor viceministro, colleghi, mi domando se l'entusiasmo dei primi due anni di legislatura, quando il tema della finanziaria coglieva l'attenzione di un deputato di prima nomina - focalizzandola su quella che sarebbe stata la strategia di fondo dell'attività di un anno da parte del Governo (e, quindi, del sistema Italia) -, sia ancora rilevante dopo i cinque anni trascorsi.
Mi ricordo una frase pronunciata, due anni fa, dal viceministro Vegas: egli sostenne che la legge finanziaria, così come viene concepita ed esaminata dal Parlamento, è, di fatto, un provvedimento da eliminare, o comunque da riformare profondamente.
Dopo cinque anni, ci troviamo in una condizione che ci induce ad affermare che, effettivamente, il «rito» del disegno di legge finanziaria nella sua configurazione attuale è ampiamente superato, per cui varrebbe la pena, in un futuro prossimo (ormai delegato alla successiva legislatura), provare ad individuare i correttivi affinché, nella sessione di bilancio, non vi siano soltanto le reciproche accuse o le difese di uno strumento che, a mio avviso, risulta abbondantemente obsoleto e, per l'appunto, superato.
Vorrei osservare che, nelle prime manovre finanziarie, la crescita economica rappresentava l'elemento essenziale ai fini dell'impostazione dei conti pubblici e le previsioni venivano, di fatto, sempre smentite. Oggi, invece, ci troviamo di fronte ad un disegno di legge finanziaria coerente con il basso tasso di sviluppo del paese e in qualche modo eterodiretto (perché, in sostanza, dobbiamo rispettare i limiti del Patto di stabilità e crescita, operando politiche di bilancio restrittive).
Il provvedimento in esame, comunque, presenta alcuni aspetti rilevanti, che ci consentono di affermare che non si tratta di un provvedimento di pura propaganda elettorale, come hanno sostenuto alcuni colleghi in quest'aula. Infatti, si tratta di una manovra finanziaria rigorosa, anche se è condizionata, come testè osservato, da vincoli esterni.
Vorrei ricordare che il Censis ha recentemente affermato che, in questo paese, qualcosa di nuovo si muove, che c'è una vitalità nascosta del sistema delle imprese, che una nuova cultura sta facendo capolino rispetto alla situazione di insofferenza che pare attanagliare il paese, anzi, al declino che sembra aver colpito le
coscienze. Vi è, in altri termini, un mondo che si muove, che ragiona, che ha voglia di scommettere e che desidera superare la tradizionale logica competitiva del nostro paese, basata sull'inflazione e sulla svalutazione, per porsi, invece, sul piano dell'alta qualità, dando vita, così, ad un nuovo Rinascimento italiano.
D'altra parte, l'ISTAT ha diffuso, in questi giorni, alcuni dati preoccupanti. La crescita, infatti, è ancora molto bassa, poiché nell'ultimo trimestre si è registrata una crescita dello 0,1 per cento del PIL, che porta il tasso di sviluppo tendenziale annuo allo 0,1 per cento. Vi è, inoltre, un altro elemento estremamente negativo, che denota quanta furbizia vi sia ancora nel nostro sistema paese: infatti, nell'anno in corso si è verificato un aumento considerevole del lavoro sommerso (e, quindi, del lavoro nero).
Tali dati incidono profondamente sulla manovra di politica economica e finanziaria approntata dal Governo, il quale, peraltro, dovrà dirci se il disegno di legge finanziaria sarà approvato nella sua versione attuale, oppure se ha intenzione di presentare, in queste ore, una nuova formulazione relativa ai saldi complessivi o ai contenuti. Tuttavia, mi preme dimostrare ai colleghi dell'opposizione che si tratta di una legge finanziaria sostanzialmente corretta per quanto concerne alcune linee di tendenza.
Il primo tema che intendo evidenziare riguarda anche un impegno straordinario da parte del gruppo cui appartengo: si tratta della famiglia. Onorevoli colleghi, se consideriamo l'impegno profuso in questa legislatura a favore della famiglia, probabilmente, mettendo insieme tutte le risorse impegnate in questi cinque anni, ci accorgeremmo che è stata compiuta una piccola rivoluzione. Certo, non si è trattato della rivoluzione «finale» che volevamo, tuttavia riteniamo di aver inquadrato, complessivamente, il tema della famiglia nella maniera esatta; credo, altresì, che anche il miliardo di euro che il nostro partito ha voluto venisse stanziato possa incidere profondamente sui prossimi bilanci familiari.
Il secondo aspetto che mi sembra estremamente interessante è quello relativo al «taglio» dell'1 per cento circa sul costo del lavoro. Qualcuno dirà che si tratta di ben poca cosa. Ho ascoltato l'onorevole Benvenuto, poco fa, riferirsi con forza alla circostanza che le aziende sono «taglieggiate» e le società finanziarie - o, comunque, le assicurazioni e le banche - del nostro paese godono di «paradisi fiscali». Credo che questa linea di tendenza, seppur modesta, riferita al quadro complessivo delle risorse del paese, debba essere tenuta in considerazione anche da chi governerà nella prossima legislatura. Non vogliamo dire: saremo noi o saranno gli altri; saranno coloro che i cittadini italiani decideranno, ma su questa linea di tendenza, su questo metodo, credo sia estremamente interessante affermare che il Governo ha fatto la sua parte, e mi è parso che anche il sistema produttivo italiano ne sia consapevole.
L'altro aspetto che ritengo debba essere, in qualche modo, evidenziato riguarda la modifica, introdotta in Commissione, per cui il distretto viene visto come un soggetto giuridico...
PRESIDENTE. Concluda, onorevole D'Agrò.
LUIGI D'AGRÒ. Signor Presidente, mi avvio a concludere.
Abbiamo sempre parlato del piccolo dimensionamento del sistema imprese del nostro paese. Abbiamo constatato come la riforma del diritto societario sia stata intesa esclusivamente come una riforma del reato di falso in bilancio; essa invece aveva in sé la possibilità e la capacità di incidere profondamente sulla crescita delle imprese.
Credo che, con la scelta di valutare i distretti come soggetti giuridici, si compia un ulteriore passo utile per fare in modo che il sistema imprese, così come è strutturato, ossia da imprese di piccole dimensioni - il 93 per cento ha meno di dieci dipendenti -, possa finalmente avere una forza aggregativa ed una massa critica per incidere molto fortemente anche sul
grande tema dell'innovazione e della ricerca, che è uno dei fattori futuri per far sì che la qualità del sistema paese possa cambiare (Applausi dei deputati del gruppo dell'Unione dei democratici cristiani e dei democratici di centro).
PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Di Gioia. Ne ha facoltà.
LELLO DI GIOIA. Signor Presidente, siamo ormai alla fine della quattordicesima legislatura ed abbiamo affrontato, in quest'aula, la discussione su cinque manovre finanziarie di questo Governo.
Ritengo sia necessario, dovuto ai cittadini italiani ed alla nostra società, tentare di compiere un'analisi approfondita, senza alcuna polemica - per carità! -, e scevra da considerazioni propagandistiche. Ciò per fare in modo che si abbia un quadro di riferimento chiaro e, quindi, per evitare, come sta accadendo in questi giorni con manifesti giganteschi, di mettere in risalto ancora una volta che ormai sono passati cinque anni e si è raggiunto l'obiettivo iniziale, ossia la realizzazione del programma, per cui si chiede ai cittadini la fiducia per rilanciare un nuovo programma per lo sviluppo, per l'occupazione e per determinare nuove condizioni sociali nel paese.
Come dicevo, è necessario discutere con grande senso di responsabilità delle questioni sollevate, delle difficoltà che la gente incontra, dei problemi che, giorno per giorno, la comunità italiana sta vivendo. Ciò emerge anche nei programmi serali del «fido scudiero» - mi riferisco a Vespa -, quando si parla del prossimo Natale: si vede come vengono indirizzati i consumi e quali possibilità hanno le famiglie di consumare e spendere anche in occasione del Santo Natale.
È una situazione oggettivamente difficile, che non prevede alcuna possibilità per la nostra economia di riprendere un trend positivo e, quindi, alcuna possibilità di sviluppo, di occupazione stabile, di interventi nel campo sociale, né di rilanciare le tematiche legate alle condizioni di difficoltà del nostro paese, come ad esempio quelle relative al Mezzogiorno d'Italia, totalmente dimenticato da questo Governo.
Certo, vi è stato l'11 settembre, e credo che tale vicenda abbia cambiato il mondo. Sicuramente, ha influito negativamente sulla crescita complessiva dell'intero pianeta ed ha influenzato anche quella che poteva essere la crescita del nostro paese. Tuttavia, ritengo che un Governo oculato, con le idee chiare, avrebbe dovuto prevedere che il mondo stava cambiando e che vi erano situazioni che occorreva controllare. Si sarebbe dovuto intervenire sulla politica economica, affinché questa definisse aspetti diversi e creasse le condizioni per tentare di rilanciare la nostra economia.
Questo è il punto: mi riferisco all'incapacità del Governo e, soprattutto, del suo ministro dell'economia e delle finanze, professor Tremonti. Egli ha pensato di poter determinare la crescita del paese affidandosi alla riduzione dell'imposizione fiscale, tentando di fare in modo che vi fosse una ripresa dei consumi interni. Questa politica, perseguita negli anni 2002 e 2003, in aggiunta ad una serie di condoni e di regalie fatte in questo periodo, ha fornito la dimostrazione pratica che in quegli anni non vi è stata alcuna possibilità di ripresa. Lo stesso è accaduto, d'altronde, anche lo scorso anno, quando il ministro Tremonti è stato sostituito con il professor Siniscalco, il quale affermava che era necessaria una politica economica di verità. Si innescava, quindi, il procedimento, ovviamente riveduto e aggiornato, del cosiddetto metodo Gordon Brown.
Anche in questo caso, le risposte non sono state certamente di verità; esse non hanno affatto determinato una ripresa, bensì hanno aggravato sempre più la situazione economica, produttiva ed occupazionale del nostro paese.
Oggi ci troviamo di fronte ad una manovra finanziaria estremamente «strana» - oserei dire -, ossia una manovra finanziaria che comunque non produrrà effetti positivi sugli indicatori che la stessa Unione europea ha stabilito. Basta guardare con attenzione i dati rilevati dai
maggiori istituti di ricerca, soprattutto quelli indipendenti, per capire che il PIL non cresce, nonostante negli ultimi trimestri vi sia stata una ripresa. Abbiamo invece un debito pubblico che cresce: ormai siamo a circa il 108 per cento.
Anche in questo caso, per esempio, vi è una differenza di governo dell'economia tra centrodestra e centrosinistra. Il centrosinistra aveva preso la guida del paese con un debito al 124 per cento ed è riuscito a portarlo al 111 per cento. Questo Governo, invece, giorno dopo giorno, ha aumentato il debito del nostro paese.
Abbiamo un rapporto deficit-PIL - credo che ciò sia sotto gli occhi di tutti - che anche quest'anno, al di là degli impegni che questo Governo ha assunto con l'Unione europea, certamente non chiuderà ai livelli che aveva definito e al cui rispetto si era impegnato con la stessa Unione europea. Chiuderemo sicuramente al 4,8 per cento. Bisognerà verificare, tra l'altro, alcuni spostamenti in virtù dei rinnovi contrattuali e a come essi saranno considerati. Nel 2006, comunque, avremo un rapporto deficit-PIL che si aggirerà sicuramente oltre il 5 per cento. Altro che ritornare nei cosiddetti parametri di Maastricht!
A ciò si deve aggiungere, in modo pacato e serio, che si è avuta la grande capacità di dissipare i risparmi dei cittadini italiani. Il centrosinistra aveva lasciato a questo Governo una grande eredità, ossia l'avanzo primario al 5,7 per cento. Oggi i dati ci dicono che l'avanzo primario sarà dello 0,6 per cento e che, probabilmente, tale indice sarà negativo.
È questa la politica economica e finanziaria del Governo. È una politica incongruente e - oserei dire - anche scellerata. Con questa finanziaria il Governo prende atto che le scelte compiute nel 2002, nel 2003 e nel 2004 erano sbagliate, perché, nonostante gli interventi sulla questione della deduzione fiscale e sulla pressione fiscale per tentare di aumentare i consumi, oggi la pressione fiscale si aggira intorno al 42 per cento, identica a quella del 1996.
Tutto ciò che è stato ridotto attraverso gli interventi dello scorso anno sul secondo modulo è stato ampiamente recuperato dalle tassazioni indirette. Non siamo noi ad affermarlo, ma, come dicevo, ci sottopongono tale dato con grande evidenza gli istituti indipendenti del nostro paese.
In questa finanziaria, per la prima volta, lo stesso ministro Tremonti - riveduto e aggiornato anche nell'immaginario collettivo, ossia nei riguardi dei cittadini italiani - ha dovuto ammettere i propri sbagli nel definire la politica economica e finanziaria degli anni passati. Ha cominciato ad intervenire sulle questioni che noi avevamo posto già dal 2001, cioè la necessità di intervenire sulle imprese, ridare competitività alle stesse, ridurre gli oneri impropri, fare in modo che si creasse un sistema che producesse ricchezza, reddito e che potesse, quindi, accelerare i consumi all'interno del nostro paese.
Su alcune questioni che questo Governo ha posto alla nostra attenzione, come il problema dell'intervento sui distretti - del quale parlerò successivamente - ma principalmente per quanto attiene al cuneo fiscale, noi siamo d'accordo e ve lo abbiamo sempre detto. Ma voglio porre una domanda al ministro ed al viceministro Vegas. Non le sembra che sia abbastanza relativo l'intervento che si determina oggi sul cuneo fiscale? Non era forse necessario che quei 6 miliardi - ribadisco, 6 miliardi -, utilizzati lo scorso anno per il secondo modulo, venissero indirizzati per la riduzione del cuneo fiscale, in modo da ridurre il costo del lavoro delle imprese e, nello stesso tempo, dare una possibilità di maggiore incidenza sul reddito dei lavoratori dipendenti?
Questi ultimi, oggi, stanno male e non riescono ad arrivare a fine mese. Come dicevo prima, infatti, le indagini che gli stessi uomini di centrodestra stanno facendo per i consumi di Natale sono bassi. Egregio ministro, vi è povertà, incertezza e rassegnazione di intere comunità del nostro paese. Siete riusciti anche a far perdere l'ottimismo alla comunità italiana. L'unico che, in questo paese, ha ottimismo è il vostro Presidente del Consiglio, ma si sa bene perché. Allora, su questa impostazione dovevamo intervenire per dare
risposta alle imprese, far crescere il salario dei lavoratori dipendenti e costruire un sistema di competitività a livello internazionale.
Certo, l'intervento sui distretti industriali è un intervento importante. Guardate, però, che anche su questo, giustamente il collega Ventura - che, nella relazione di minoranza, vi ha posto all'attenzione una nuova finanziaria, quella che propone il centrosinistra - sottolineava, citando Modigliani (economista, che credo sia al di fuori delle polemiche, anche se scomparso), che, posto che è sicuramente un fatto positivo intervenire sui distretti industriali, il dato negativo che emerge è che i nostri distretti, in quanto piccoli e formati da aziende di ridotte dimensioni, avevano necessità di poter intervenire sul mercato globale, sotto il profilo della commercializzazione, o sui servizi, costruendo così una nuova logica che investisse il sistema globale della nostra economia.
Sono punti che possiamo definire importanti su cui (come avete dimostrato con la manovra finanziaria) avete sposato una diversa impostazione rispetto a quella ripetuta per anni dal centrosinistra per rilanciare la nostra economia. Ebbene, sarebbe stato più opportuno discutere perché gli interessi del paese non sono interessi del centrodestra ma dell'intero Parlamento e fare in modo di migliorare la manovra finanziaria per agganciarsi alla ripresa in atto, che non trova la nostra nazione in condizioni di farlo.
Altro che paragonarsi con gli altri paesi europei, come la Francia e la Spagna, che crescono, o la Germania, che non soltanto ha dovuto pagare il prezzo della riunificazione, ma ha anche dato luogo a riforme strutturali importanti che la porranno certamente in condizioni di usufruire della ripresa dell'«area euro», quella ripresa che noi non avremo a causa delle scelte e dell'impostazione sbagliata del Governo sulla politica economica e finanziaria e dell'incapacità di dialogare.
Avete fatto una finanziaria elettorale, con cui si danno «mance». Così è stato anche nel decreto-legge fiscale approvato qualche giorno fa, durante il cui esame mi sono permesso di affermare che i parlamentari del centrodestra non si rendevano conto che stavano esaminando una riforma elettorale che non riguarda più i propri collegi. Avete dato «mance», come state facendo oggi.
Non è pensabile che si possa realizzare una politica sociale come quella da voi impostata, composta di una tantum per la famiglia, per i figli nati nel 2003, senza affrontare i nodi importanti della famiglia che vi abbiamo sottoposto anche durante l'esame del provvedimento in Commissione, con le agevolazioni per le giovani coppie per l'acquisto della casa. Abbiamo proposto non una tantum ma riforme strutturali che generino interventi importanti, che determino condizioni di serenità e stabilità e che pongano anche la questione della crescita demografica. Voi, invece, avete preso in considerazione soltanto interventi una tantum.
Come considerare gli interventi sul sociale? È vero che ancora oggi non avete finanziato il fondo sociale per 500 milioni di euro?
PRESIDENTE. Onorevole Di Gioia, la invito a concludere.
LELLO DI GIOIA. Signor Presidente, ho ventiquattro minuti a disposizione e non credo di averli superati.
PRESIDENTE. Onorevole, le ho segnalato soltanto che sta arrivando al termine del tempo concessole.
LELLO DI GIOIA. Intendo ricordare le questioni sulle politiche sociali, sulle politiche ambientali, su cui i colleghi si sono soffermati, le questioni riguardanti le infrastrutture.
Voi non conoscete il paese reale ed il Mezzogiorno d'Italia. Basta recarsi in quelle zone per capire le difficoltà, i problemi che si avvertono, ciò che sta accadendo! Basta guardare quelle aree di degrado sociale, le cui difficoltà state aggravando con la vostra politica economica! Basta soffermarsi sulla sanità, sulla mancanza di finanziamenti nei confronti
dell'edilizia sanitaria! Basta ricordare il blocco della mobilità nel campo della sanità che ha acuito le difficoltà dei cittadini italiani e, soprattutto, del Mezzogiorno d'Italia!
La grande verità è che non avete la consapevolezza dei problemi che si avvertono nella nostra comunità! Colui che ci governa, nutrendo un certo ottimismo, dice che si sta bene...
PRESIDENTE. Onorevole Di Gioia, vorrei comunicarle che il suo tempo è esaurito.
LELLO DI GIOIA. ... invece, vi è gente che è pessimista, perché non potrà stare meglio!
Quella gente che, nel 2001, aveva creduto alle illusione di questo Presidente del Consiglio, nell'aprile del 2006 darà una risposta importante e forte! Altro che sondaggi! Quella gente cambierà programma e darà la vittoria al centrosinistra per rilanciare la nostra economia e per rispondere ai bisogni della comunità italiana (Applausi dei deputati del gruppo Misto-La Rosa nel Pugno, dei Democratici di sinistra-L'Ulivo, di Rifondazione comunista e Misto-Verdi-l'Unione)!
PRESIDENTE. È iscritta a parlare l'onorevole Pinotti. Ne ha facoltà.
ROBERTA PINOTTI. Signor Presidente, l'anno scorso l'allora ministro della difesa cileno Michelle Bachelet, alla quale auguro di diventare presto la prima Presidente del Cile, in visita alla Commissione difesa della Camera, ci ricordava come ritenesse fondamentale la funzione della difesa.
Non sono diverse le considerazioni che il ministro Martino molte volte in audizione in Commissione difesa ha espresso in ordine al ruolo che la difesa ricopre, rappresentando uno dei fondamenti dello Stato, dal Libro Bianco in poi.
Nel DPEF del 2002, il Governo annunciava l'obiettivo di tendere progressivamente all'1,5 per cento del PIL per quanto riguarda le risorse della difesa. Si tratta di un valore medio, in linea con gli altri paesi europei: la Francia ha una percentuale di spesa di 1,72 per cento; la Gran Bretagna del 2,46 per cento (è molto più alta).
Questo obiettivo oggi non ci sembra solo compromesso per il presente, ma anche per un tempo non immediato.
Mai nella storia della Repubblica italiana il rapporto tra la funzione della difesa e PIL era sceso sotto l'1 per cento (infatti, quest'anno si tende allo 0,84 per cento, il punto più basso di una sequenza decrescente che ha segnato l'intera legislatura).
L'emergenza della situazione è riscontrabile anche nelle parole usate in Commissione, quando il sottosegretario Cicu è venuto ad illustrare il provvedimento, nonché nelle parole del relatore di maggioranza, l'onorevole Lavagnini.
Il sottosegretario Cicu imputa la carenza di risorse alla congiuntura economica (sappiamo che si è registrata una congiuntura economica difficile, ma sappiamo anche che l'Europa è cominciata a crescere da almeno un anno, mentre l'Italia è ferma ed i segni di ripresa sono meno della metà rispetto a quelli riscontrati in altri paesi europei), affermando che sono state effettuate delle scelte a favore del Sud, delle famiglie e dello sviluppo economico. Quindi, la difesa sarebbe stata sacrificata a queste scelte.
Su quanto tali scelte possano davvero incidere sullo sviluppo del paese, sui disagi delle famiglie o sul Sud hanno parlato ampiamente i colleghi che mi hanno preceduto e, quindi, non mi soffermerò sulla vanità di quanto contenuto complessivamente nel disegno di legge finanziaria.
Molto più drammaticamente occorre sottolineare che si tratta di una finanziaria di «galleggiamento», in quanto non darà impulso allo sviluppo e creerà una situazione drammatica per la finanza degli enti locali, riuscendo molto faticosamente a rispondere ai rilievi e alle preoccupazioni evidenziate il 2 novembre dal Fondo monetario internazionale, visto che la dinamica attuale della spesa pubblica potrebbe pregiudicare l'obiettivo dell'indebitamento netto del 2006 pari al 3,8 per cento.
Per quanto riguarda più specificamente il bilancio della difesa, l'onorevole Lavagnini analizza con grande preoccupazione i dati di tale bilancio. Con la seconda nota di variazione di bilancio per il 2006 è stata apportata una diminuzione di 1.717,9 milioni di euro allo stato di previsione del Ministero; pertanto, nell'ambito della disponibilità complessiva di 17.782,5 milioni viene ridotto di 1.239,2 milioni di euro il bilancio previsionale del 2005; dunque si registra un 6,5 per cento in meno in termini monetari e un 8,1 per cento in meno in termini reali.
Il bilancio della difesa è suddiviso in quattro aggregati principali: le Forze armate, l'Arma dei carabinieri, le pensioni provvisorie e le funzioni esterne. Per quanto riguarda la funzione difesa propriamente detta, dei 12.107 milioni di euro previsti, 8.757 milioni saranno destinati a coprire le spese per il personale, con un 9 per cento in più, anche se ciò non vuol dire incrementi economici per il personale militare e civile della difesa, in quanto le spese maggiori per il personale sono determinate dalla trasformazione da esercito di leva ad esercito professionale.
In ordine alle spese di esercizio vi saranno 1.837,8 milioni di euro, cioè un 39 per cento in meno. Le spese di esercizio - lo dico per chi non si occupa direttamente del tema - sono le spese di formazione, addestramento del personale, manutenzione e supporto logistico di armi, navi, mezzi, dunque spese per la manutenzione e le scorte. Non si tratta quindi di spese di gestione, ma di strumenti di funzionalità e di efficienza; spese essenziali anche per garantire la sicurezza degli uomini e delle donne delle Forze armate.
Inoltre, per quanto riguarda la ricerca e lo sviluppo si registra un 41,6 per cento in meno; per quanto concerne le funzioni esterne il bilancio è dimezzato e per le pensioni provvisorie vi è un 76,7 per cento in meno e potrei continuare evidenziando ulteriori tagli. Peraltro, già lo scorso anno, avevamo evidenziato che, per effetto del tetto del 2 per cento, la sottrazione di 1.357 milioni di euro alla difesa, che lo scorso anno erano stati in parte ripianati con un intervento della Cassa depositi e prestiti pari a 954 milioni, consisteva in un vero e proprio taglio strutturale. E ciò è evidente dalla percentuale di spesa registrata quest'anno. La sequenza è la seguente: nel 2002, il bilancio della difesa è pari a 1,079; nel 2003 a 1,061; nel 2004 a 1,048; nel 2005 a 0,987 e nel 2006 a 0,84.
In Commissione, ascoltando gli interventi del sottosegretario Cicu e del viceministro Vegas, ho trovato parole di comprensione in ordine alle difficoltà in cui si trovano le nostre Forze armate. Tuttavia, viene da chiedersi: chi ha governato in questi quattro anni e mezzo! Infatti, il dato è alquanto allarmante e chi governa è anche chiamato a fornire risposte.
Con i nostri emendamenti abbiamo voluto sottolineare il problema macroscopico, chiedendo che al comma 5 oltre al comparto sicurezza e di pubblico soccorso fosse esclusa dai tagli anche la difesa, ma tale proposta non è stata accettata. Ma abbiamo presentato richieste anche minori che potevano fornire un segno di sensibilità; abbiamo chiesto, ad esempio, qualche risorsa per le spese di appalti esterni che avrebbero potuto porre circa 7 mila lavoratori nelle condizioni di ricevere non più di 400 euro al mese, ma anche tale richiesta non è stata accolta. E ciò rappresenterà un problema di povertà per molte famiglie.
In sede di audizione, i COCER ci hanno segnalato la gravissima situazione di disagio. Ci hanno rappresentato, ad esempio, che con questi tagli sarà difficile per tutti i piloti effettuare le ore di volo necessarie. Ci hanno rappresentato il fatto che mancano gli stanziamenti per i rinnovi contrattuali. Con il taglio del 10 per cento degli straordinari l'operatività sarà resa molto più difficile. Non ci sono più le missioni. Non ci sono più le cure, con una situazione particolare per quanto riguarda la salute dei militari: nella proposta originaria della legge finanziaria venivano eliminate le spese di cura a carico delle amministrazioni, per cui la sanità militare non poteva più intervenire per il personale civile e militare; successivamente, nel corso dell'esame da parte del Senato, si è
prevista la possibilità di cura per malattie e infermità contratte al di fuori del territorio nazionale (chi si fa male nel territorio nazionale è escluso: si tratta di una sperequazione di cui non si capisce il senso).
Chi ha governato, dunque, qualche proposta avrebbe dovuto farla. Nella relazione di minoranza abbiamo ricordato che vi sono 11 mila militari all'estero. Si tratta di una cifra molto importante, siamo la terza nazione per impegno. Stante questa situazione, e stante il rischio, in quanto mancheranno l'addestramento e le attrezzature necessarie, mi chiedo: si tratta di una cifra che ci possiamo permettere? È stato un investimento - è una domanda di politica generale - che ha fatto in modo che l'Italia potesse contare davvero sulle scelte di politica internazionale che sono state compiute? Non si può chiedere così tanto, non si può chiedere un impegno così forte - 11 mila soldati all'estero si traducono, tenuto conto delle rotazioni, in 40 mila militari - e nello stesso tempo rispondere con un bilancio di questo tipo.
Apro peraltro una breve parentesi, ribadendo che, ovviamente, come sempre, esprimiamo solidarietà e vicinanza nei confronti dei soldati che stanno operando all'estero. Tuttavia, mi permetto anche di sottolineare che l'ambiguità che abbiamo ripetutamente denunciato, in occasione dei rinnovi della missione in Iraq, circa il carattere umanitario della missione stessa, è resa molto evidente dal filmato che, purtroppo, abbiamo avuto modo di vedere.
Dunque, di fronte ad un mondo in cui, come sappiamo, la sicurezza interna e quella esterna sono sempre più connesse, perché il problema del terrorismo a questo ci porta, e in cui vi è una richiesta sempre più forte di una funzione difesa che deve essere nuova e che deve guardare alla costruzione della difesa europea, riteniamo che quest'ultima sia fondamentale non solo per la sfide che abbiamo davanti - il terrorismo e la sicurezza complessiva - ma anche per rispondere in futuro ai limiti di bilancio che oggi così drammaticamente pesano sulle nostre Forze armate. Infatti, solo immaginando la difesa europea e una divisione dei compiti, e dunque degli impegni di spesa e delle risorse, si può ipotizzare di svolgere questa funzione con un bilancio adeguato. Ma per sedersi al tavolo europeo e per poter contare come i grandi paesi abbiamo bisogno di una difesa che si presenti in forze e con capacità prospettiche che questo bilancio mette a dura prova.
Condividiamo quindi l'esigenza di lavorare per la costruzione di una forza europea di difesa, ma riscontriamo nel bilancio in esame non un supporto a tale costruzione, bensì una grave difficoltà nei confronti delle nostre Forze armate e dunque anche una minore possibilità di essere protagonisti in quel progetto di costruzione, in cui vanno portate idee ma anche risorse e capacità (Applausi dei deputati del gruppo dei Democratici di sinistra-L'Ulivo).
PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Olivieri. Ne ha facoltà.
LUIGI OLIVIERI. Signor Presidente, è tempo di consuntivo, non solo perché siamo a fine anno, ma anche perché siamo a fine legislatura. Si tratta dell'ultima legge finanziaria che questo Parlamento si accinge a discutere (discutere per modo di dire, perché effettivamente scopriremo soltanto questa sera o domani il contenuto reale del documento finanziario proposto dal Governo, dato che è risaputo che verrà posta la questione di fiducia su un maxiemendamento).
È tempo, quindi, di consuntivo. Come il Governo e la maggioranza hanno potuto verificare, i nostri interventi si suddividono in interventi di merito nello specifico dei conti e in interventi riguardanti settori più analitici e relativi a singoli compartimenti, per comprendere quello che è stato fatto, quello che si doveva fare e quello che resterà in eredità al prossimo Parlamento e sarà dunque anche oggetto di confronto nell'ambito della contesa elettorale.
Il consuntivo che tento di tracciare - certamente dal punto di vista dell'opposizione, ma cercherò di essere il più oggettivo
possibile - si riferisce alla questione del rapporto tra il paese e gran parte del proprio territorio, ossia la montagna.
Tuttavia, per poter fare un consuntivo, bisogna partire da un preventivo e, in modo particolare, dalle promesse che, anche in questo settore, la maggioranza (ma soprattutto il suo premier Berlusconi), ha fatto a queste popolazioni. Penso, innanzitutto, al contenuto degli stati generali della montagna che furono tenuti nel 2001, per merito dell'Uncem, dove potemmo verificare la presenza massiccia dei ministri competenti sui vari settori così come le grandissime iniziative da essi prospettate.
Ci si aspettava, in tempi rapidi, una proposta di modifica del contesto normativo che riguarda questo settore ma, soprattutto, ci si aspettava interventi su questioni specifiche (anche perché l'anno successivo, il 2002, dichiarato dall'ONU come anno internazionale delle montagne, sembrava rappresentare il momento più opportuno per cercare di concretizzare tali interventi).
Tutto ciò non è avvenuto: è avvenuto invece qualcosa di diverso, più che altro con riferimento al lavoro svolto dall'opposizione, che non è mai stato finalizzato ad un mero atteggiamento oppositivo ma è sempre stato, al contrario, orientato a dare delle risposte (se pure, certamente, secondo il nostro modo di vedere, di intendere le questioni e le prospettive) sui problemi reali di questo paese, perché l'Italia sta a cuore non solo alla maggioranza ma anche - moltissimo - a noi e vederla andare verso un declino (che per noi non è sicuramente ineluttabile ma anche dovuto, per buona parte, a vostra incapacità e mancanze di strategie di Governo nella situazione contingente) ci porta a non essere affatto soddisfatti.
Così, proprio per incalzarvi, per rendere manifesta la vostra incapacità e svelare le facili promesse fatte con l'incapacità di tradurle in azioni politiche concrete, abbiamo manifestato le nostre idee e le abbiamo trasformate in proposte di legge. Siamo in Parlamento e questa è la nostra funzione.
Peraltro, abbiamo presentato in tempi non sospetti, nell'ottobre del 2002, una proposta di legge, la n. 338, con cui L'Ulivo, il centrosinistra, l'Unione concretizzava quelli che erano - e secondo noi rimangono - i problemi rispetto ai quali questo territorio necessita di trovare soluzioni e soprattutto risposte.
I problemi sono sostanzialmente quattro. Il primo riguarda il rapporto tra il contesto nazionale e quello regionale all'esito della modifica del Titolo V della Costituzione, un rapporto che va ridefinito, chiarito, anche per evitare il contenzioso assolutamente rilevante che, purtroppo, vi è stato e non va ripetuto nei prossimi anni in merito al riparto delle competenze legislative tra lo Stato e le regioni.
Quindi, si deve fare un tentativo assolutamente mirato, congruo e nel merito per capire fino a che punto può portarsi - si deve portare - lo Stato nel suo legiferare e quali sono, invece, i campi sui quali è necessario, indispensabile (non perché lo diciamo noi, ma perché così dice la Costituzione che noi abbiamo voluto con la modifica del Titolo V nella legislazione scorsa), restare nell'ambito della competenza regionale, nel sistema di articolazione delle autonomie locali.
Si deve, quindi, rendere assolutamente concreto, da un lato, il precetto, di cui all'articolo 5 della Costituzione, secondo cui lo Stato si articola sulle proprie autonomie, dall'altro, in modo particolare, l'articolo 44 della Costituzione, con la necessità di un'attenzione particolare dello Stato nei confronti della montagna e di coloro che vivono e intraprendono in questo settore.
La seconda questione riguardava la definizione di «montanità» perché è fuori discussione che vi sia la necessità di prendere in mano questa materia estremamente delicata, che necessita di una profonda e reale rivisitazione. Pensate solo che la norma attraverso cui ciò poteva essere fatto è stata abrogata dalla legge n.142 del 1990. Quindi, da allora ad oggi, non si è potuto ricostruire, rivedere, ragionare (anche a seguito della modifica
che vi è stata nell'ambito dei sistemi, degli approcci, della globalizzazione, del nuovo apporto tecnologico, delle nuove necessità del mondo che cambia) su questo elemento di fondo, per cui veniva individuato un criterio - ma non l'unico - di direzione e di prospettiva, cioè, quello dell'altimetria.
La terza questione è relativa al governo della montagna, quella che, in modo altisonante, viene definita come la governance della montagna. Perché dico questo? Perché è fuori discussione che, in un momento nel quale il paese è chiamato ad individuare politiche di riferimento, vista la scarsezza delle risorse economiche e finanziarie a disposizione, bisogna individuare quale sia la struttura che governi le necessità della montagna. Da questo punto di vista, ritengo sia assolutamente essenziale conservare il patrimonio di democrazia, di radici, di cultura e di storia rappresentato dai comuni di montagna i quali sono, per la maggior parte, molto piccoli e, quindi, non in grado di soddisfare in modo concreto l'esigenza di rendere, in questi contesti territoriali difficili, la qualità della vita quantomeno similare a coloro che vivono in pianura. Se ciò non avverrà, sarà allora pura poesia pensare di lottare contro lo spopolamento della montagna.
La quarta questione, forse la più importante tra quelle citate, sebbene siano tutte fondamentali, concerne la disponibilità delle risorse. Dico questo perché non si possono fare le nozze con i fichi secchi! È ora che anche questi territori assurgano ad un ruolo di assoluta centralità in ambito nazionale. Siamo convinti - e lo siamo sempre di più - che se questo paese vorrà, come noi vorremo fare se otterremo la fiducia della maggioranza della popolazione italiana, riprendersi e superare questo declino, che è ormai nelle cose, in modo da ritrovare e ridare fiducia, allora il protagonismo della montagna, un territorio importante che già oggi produce il 16 per cento del PIL nazionale, deve necessariamente essere collocato al centro delle politiche nazionali. Conseguentemente, si pone un problema di disponibilità di risorse. È ora di finirla con la politica che voi avete perseguito fino ad oggi - la politica del cosiddetto cappello in mano - per effetto della quale ad ogni finanziaria si elemosinano le poche risorse disponibili, le quali sono sempre di meno. A questo proposito ricordo che il Senato, nel corso dell'esame in prima lettura del disegno di legge finanziaria, aveva addirittura azzerato le risorse disponibili per il fondo nazionale per la montagna.
Se è vero, come è vero, che siamo riusciti a strappare (sicuramente per merito non di questo Governo ma di altri paesi che sono stati i veri protagonisti, sebbene il ministro La Loggia vada dicendo cose assolutamente non vere a questo riguardo), in sede di Convenzione europea un ruolo di rilevo per la montagna, a livello nazionale questa rilevanza non si è riuscita ad ottenerla, come testimonia l'elemosina di 20 milioni di euro stanziati in questa finanziaria per il fondo nazionale per la montagna.
Per fortuna, a seguito di una forte iniziativa politica portata avanti dall'opposizione, si è riusciti ad ottenere il recupero della norma - quella sulle province montane - che, in prima lettura al Senato, era stata abrogata. Il Governo, da parte sua, non ha avuto neppure la dignità di motivare, nel corso della discussione svoltasi in Commissione bilancio, perché al Senato aveva espresso parere favorevole all'abrogazione di quella norma la quale, lo ricordo, era stata inserita con la legge finanziaria per l'anno 2004. Noi, lo ripeto, grazie alla nostra iniziativa, siamo riusciti a rimettere «in circolo» quella norma, laddove, in tema di montagna, la politica portata avanti dal Governo è stata fallimentare.
Dopo più di trent'anni dall'approvazione della legge n. 1102 del 1971, che ha istituito le comunità montane, e dopo più di dieci anni dalla legge n. 97 del 1994, la legge fondamentale sulla montagna, ci si aspettava un quinquennio di effettive politiche di riforma, di attenzione e di centralità per la montagna nell'ambito delle politiche nazionali. Purtroppo, non solamente per demerito vostro ma soprattutto
per incapacità, perché voi non avete nel sangue, nel vostro DNA il valore della centralità della montagna, per quest'ultima si configurano prospettive negative. Noi ci impegniamo a fare nel prossimo quinquennio, se avremo la maggioranza e quindi il Governo del paese, sicuramente meglio di quanto avete fatto voi (Applausi dei deputati del gruppo dei Democratici di sinistra-L'Ulivo).
PRESIDENTE. Constato l'assenza dell'onorevole Crosetto, iscritto a parlare; s'intende che vi abbia rinunziato.
È iscritta a parlare l'onorevole Motta. Ne ha facoltà.
CARMEN MOTTA. Signor Presidente, quasi sicuramente, la manovra finanziaria per il 2006 concluderà il suo iter in Assemblea nello stesso modo delle due finanziarie precedenti: il disegno di legge finanziaria discusso in Commissione bilancio cambierà significativamente per effetto di un maxiemendamento che il Governo si appresta a presentare, sul quale, com'è ormai noto, sarà posta la questione di fiducia nei prossimi giorni.
L'ennesimo e quasi scontato voto di fiducia sarà necessario per la tenuta della maggioranza e non sarà certo imputabile al comportamento dell'opposizione, la quale, come sempre, ha responsabilmente selezionato le priorità, negli ambiti in cui ha valutato indispensabile intervenire con proprie proposte emendative, per tentare di evitare l'aggravamento dei problemi del nostro paese.
La scelta che il Governo si appresta a compiere per approvare il disegno di legge finanziaria è alquanto svilente per il Parlamento, perché, per il terzo anno consecutivo, impedisce che l'Assemblea possa confrontarsi responsabilmente sulla legge più importante dello Stato e si oppone a che da tale confronto maggioranza e opposizione possano anche convergere su alcune misure necessarie, indispensabili per affrontare la grave crisi economica che attraversa il paese. Ebbene, impedire ciò, come pare avverrà, significa privare il Parlamento delle sue prerogative. Dunque, nemmeno la finanziaria può essere sottratta a mere logiche di schieramento politico! La maggioranza ed il Governo, oltre ad assumersi la responsabilità di chiudere con questa manovra un ciclo di politiche economico-finanziarie i cui risultati sono sotto gli occhi di tutti, si assumerà anche la responsabilità, ancora una volta, di non aver consentito al Parlamento di svolgere appieno la propria funzione.
Nonostante ciò, come opposizione, non ci sottraiamo al nostro ruolo; e questa discussione sulle linee generali ci consente di esprimere i nostri giudizi di merito sull'insieme della manovra stessa.
Ormai, è assodato, ed è confermato da tutti gli osservatori economici più autorevoli ed accreditati, che il paese è, da oltre quattro anni, in fase di sostanziale stagnazione. Per il 2006, centri di ricerca indipendenti e di grandi banche stimano la crescita italiana intorno all'1,2 per cento. L'ottimismo del Governo, che in questi cinque anni circa non è stato scalfito dal più debole dubbio sulla gravità della situazione economica e finanziaria del paese, che si andava via via aggravando, ha messo insieme un'intera legislatura durante la quale la crescita è stata, mediamente, di gran lunga inferiore all'1 per cento: quasi cinque lunghi anni di ottimistica stagnazione! Quasi cinque anni in cui il sistema produttivo ha subito colpi duri, come l'ottimismo degli italiani, anch'esso messo a dura prova.
Si parte da tale dato, e non dagli scenari, ancora una volta sereni e ricchi di promesse, del Presidente del Consiglio, dalla necessità, non più procrastinabile, di imprimere una svolta, uno scatto alla nostra economia, caratterizzata da interi settori ormai in ginocchio, da altri che arrancano e da altri, un po' più apprezzati, che resistono alla concorrenza esterna.
Si dovrebbe partire dall'altrettanto indiscutibile necessità di rimettere in sesto la finanza pubblica. Il Governo sta chiedendo proroghe ed agevolazioni a Bruxelles, ma il riassetto non potrà essere dilazionato molto oltre, pena il trascinamento inarrestabile dell'Italia in una sorta di
buco nero dal quale nessuna finanza creativa ci salverebbe e, soprattutto, ci consentirebbe di uscire. Anche il ministro Tremonti, altro ottimista, sa perfettamente, ad esempio, che, nonostante i proclami rassicuranti, gli interessi sul debito pubblico accumulato vanno pagati comunque.
Tanto entusiasmo ed ottimismo vanno, forse, di pari passo con la campagna elettorale imminente. Il Presidente del Consiglio ha detto che il Governo farà un'operazione verità sulle molte cose buone fatte dal Governo stesso e sulle menzogne dell'opposizione catastrofista. Bene, anche noi, fin da questa discussione, facciamo e continueremo a fare, nei prossimi mesi, un'operazione verità. L'abbiamo sempre fatto in questi anni: abbiamo sempre detto la verità ai cittadini, tanto che le nostre preoccupazioni e i dati che fornivamo sull'andamento dell'economia e dei conti pubblici sono stati ampiamente confermati non da economisti conniventi con la sinistra, ma da istituti esterni, europei ed internazionali.
Il paese ha un problema di crescita e di rilancio dell'economia, in particolar modo della competitività e capacità di innovazione tecnologica, connesso al problema della riduzione del potere d'acquisto dei salari ed alla necessità di un welfare in grado di tutelare le fasce sempre più ampie di lavoro precario e marginalizzato. Per farvi fronte, occorrono risorse ed investimenti mirati, misure strutturali e durature, non interventi sporadici ed indifferenziati, senza disegno strategico, così come propone, ancora una volta, il disegno di legge finanziaria in esame.
La verità è che la parte più consistente della manovra finanziaria per il 2006, circa 16 miliardi di euro sui circa 23 miliardi complessivi, è destinata alla riduzione dell'indebitamento al 3,8 per cento, per ottemperare alla procedura di infrazione comunitaria per disavanzo eccessivo; quindi, restano le briciole a sostegno delle imprese e del mondo del lavoro. Ne sono la riprova i 600 milioni che avrebbero dovuto finanziare la riforma del TFR, che il ministro Maroni giudicava irrinunciabile, urgente e vitale per far partire il secondo pilastro della previdenza integrativa, sulla quale anche noi siamo stati sempre d'accordo. La riforma ha fatto la fine che sappiamo: rinviata di due anni e le risorse - come dicevo -, anziché essere destinate ad interventi sociali, al finanziamento degli ammortizzatori sociali, come da noi richiesto e proposto, andranno a ridurre il deficit per cercare di centrare l'obiettivo concordato con l'Europa.
Le condizioni dei lavoratori e le esigenze più pressanti dei pensionati, il presente e il futuro dei giovani, di tutti coloro che sono o dovrebbero essere uno dei punti di riferimento centrali per una politica che intenda davvero dare fiducia al paese, questa finanziaria non solo non li affronta nel merito specifico, ma sul piano della manovra generale li penalizza ulteriormente. Altro che non mettere le mani nelle tasche dei cittadini: ce le mettete, eccome! Ecco la verità!
Con questa finanziaria - niente di diverso rispetto alle altre - avevate forse un'ultima occasione per essere un po' più credibili e, invece, ad esempio, non restituite il fiscal drag, ossia il drenaggio fiscale automatico, cioè la restituzione della quota di salario persa dal lavoratore o dal pensionato attraverso questo meccanismo; si tratta di circa 2 miliardi di euro sottratti direttamente dai salari e dalle pensioni, cioè dalle tasche dei cittadini.
Un altro esempio di verità: a seguito dell'entrata in vigore del primo modulo della riforma fiscale - un'altra riforma finita non proprio brillantemente -, si è passati dal 18 al 23 per cento di tassazione sul TFR, con un aumento pari a cinque punti percentuali in più, per oltre un miliardo di euro, come ricordava prima il collega Benvenuto. Anche questo fa parte della politica fiscale del Governo, che ha sperperato, pochi mesi fa, 6 miliardi di euro, e non certo per correggere iniquità come queste, derivanti da scelte profondamente sbagliate.
Inoltre, è del tutto evidente che l'applicazione di nuove misure restrittive agli enti locali e alle regioni, previste dalla manovra, oltre a limitarne fortemente gli
investimenti, avrà in molti casi, come conseguenza, il taglio dei servizi o l'aumento dei costi e delle tariffe dei servizi stessi, a cui va aggiunto il taglio al fondo sociale già attivo dal 2005.
In sede di discussione presso la Commissione bilancio, nessuno degli emendamenti alla finanziaria da noi segnalati, relativi ai temi del lavoro, delle pensioni e delle tutele sociali, è stato accolto. Su temi importanti, quali le risorse per i rinnovi contrattuali del biennio 2006-2007, non è previsto alcuno stanziamento. Ricordo che la tornata contrattuale per il pubblico impiego, quella relativa al biennio economico 2004-2005, si è conclusa la settimana scorsa con l'intesa per i comparti scuola, per i ministeriali, per i vigili del fuoco, quindi per circa un milione di lavoratori, con un aumento di 100 euro a regime, che andranno in pagamento, salvo sorprese dell'ultima ora, a gennaio prossimo. Sono ancora, però, senza contratto un milione e mezzo di lavoratori pubblici degli enti locali, del comparto sanità, degli enti pubblici non economici, delle agenzie fiscali, il cui contratto è in scadenza.
Inoltre, abbiamo posto il problema di superare il limite di spesa per l'assunzione di personale a tempo determinato, con convenzioni o con contratto di collaborazione coordinata e continuativa; un limite che rappresenta per gli enti locali un serio ostacolo alla funzionalità dei servizi erogati, a fronte del blocco del turn over e della palese iniquità del comma della finanziaria che prevede la proroga dei contratti a tempo determinato stipulati dallo Stato. La riduzione del 40 per cento delle risorse destinate al personale degli enti locali colpisce duramente i lavoratori precari, proprio la fascia più debole dei nuovi lavoratori.
Inoltre, non sono state accolte le nostre proposte volte ad individuare le risorse per provvedimenti già da tempo all'esame del Parlamento: penso, ad esempio, al superamento del divieto di cumulo tra rendita INAIL e pensioni di invalidità; in questo caso, c'era stato anche un impegno, molto preciso, del ministro Maroni che, pochissimi giorni fa, aveva dichiarato all'associazione AMNIL, pubblicamente...
PRESIDENTE. Onorevole Motta, concluda!
CARMEN MOTTA. Il ministro aveva assicurato che sarebbe stata rispettata tutta una serie di impegni assunti dal Governo. Ci sembra che le cose non stiano andando in questa direzione; la stessa cosa accade per la modifica dei requisiti di accesso alla tutela dell'assicurazione contro gli infortuni domestici.
Il Governo non ha ritenuto neppure di dover mantenere fede, accogliendo i nostri emendamenti, alla promessa del Presidente del Consiglio contenuta nel punto 3 del contratto con gli italiani...
PRESIDENTE. Onorevole Motta...
CARMEN MOTTA. Sto per concludere, signor Presidente.
Mi riferisco alla promessa di innalzare le pensioni minime, all'epoca, almeno ad un milione di lire al mese. In questa manovra finanziaria non c'è traccia dell'ampliamento della platea dei beneficiari di trattamenti pensionistici al di sotto dei 516 euro. Nulla, ancora, sulla stabilizzazione dei lavoratori socialmente utili a favore di tutti i comuni che ne abbiano avviato le procedure, con un'unica eccezione a tutti nota.
In una situazione di crisi in cui, purtroppo, ogni giorno si allunga l'elenco delle imprese in difficoltà, non sono previste risorse adeguate per la proroga dei trattamenti di cassa integrazione in scadenza. Il Governo non ha voluto nemmeno iniziare...
PRESIDENTE. Mi dispiace, onorevole Motta, purtroppo lei è andata molto al di là del tempo a sua disposizione. Può comunque riservarsi di chiedere che il testo delle considerazioni integrative del suo intervento sia pubblicato in calce al resoconto della seduta.
CARMEN MOTTA. Presidente, non credo di avere superato il limite di tempo a mia disposizione.
PRESIDENTE. Lo ha superato di circa un minuto e mezzo o due minuti...
CARMEN MOTTA. Sta bene, signor Presidente. Allora, chiedo che la Presidenza autorizzi la pubblicazione in calce al resoconto della seduta odierna di considerazioni integrative del mio intervento (Applausi dei deputati del gruppo dei Democratici di sinistra-L'Ulivo).
PRESIDENTE. Onorevole Motta, la Presidenza lo consente, sulla base dei criteri costantemente seguiti.
È iscritta a parlare l'onorevole Provera. Ne ha facoltà.
MARILDE PROVERA. Signor Presidente, onorevoli colleghi, mi chiedo di quale disegno di legge finanziaria effettivamente oggi stiamo esaminando, sapendo che, dopo questa lunga discussione e dopo le lunghe discussioni in Commissione, ci troveremo di fronte al Governo che porrà la questione di fiducia, fornendo così, rapidamente, tutte le risposte che sarebbero dovute.
In realtà, risposte ai quesiti formulati ed agli emendamenti presentati non ne saranno fornite. Molte volte sono stati presentati, anche dalla destra, emendamenti esclusivamente a scopo elettorale, come nel caso dei lavoratori socialmente utili di Messina, con i quali si è voluto portare - solo per quella situazione - a 250 mila unità la popolazione alla quale si dovrà riferire la possibilità di stabilizzare tali lavoratori. Invece, questo sarebbe un problema generalizzato dell'insieme del paese, viste le difficoltà occupazionali che ci sono e le sofferenze lavorative di centinaia e centinaia di lavoratori, nonché di migliaia di persone in carenza di lavoro.
Di quale disegno di legge finanziaria parliamo? Qual è il progetto reale che ci prospetta, oggi, il Governo per un rilancio del paese, per una ripresa economica? Di tale questione abbiamo dibattuto nella nostra Commissione, la Commissione attività produttive, commercio e turismo, esaminando diversi aspetti che riguardano l'impresa e l'industria più in generale, l'artigianato, il rilancio del turismo, la prospettazione di legami con l'agricoltura e che concernono, infine, le professioni e, quindi, la possibilità di competere e di abbattere i costi per gli utenti ma anche di riqualificare le professioni stesse in rapporto allo sviluppo europeo, ridando, anche in quel campo, qualità.
Che cosa di tutto ciò troviamo nel disegno di legge finanziaria? Praticamente nulla. Siamo di fronte ad un disegno di legge con cui si cerca di «raccattare» quattrini in giro, tagliandoli laddove potevano essere utili per alleviare il disagio della popolazione e, quindi, sottraendoli agli enti locali e, consistentemente, alle parti infrastrutturali del paese come le ferrovie, per le quali, invece, ci sarebbe bisogno di investimenti ragionati e mirati. Su questo tema ritornerò in seguito.
In che modo si è ritenuto di utilizzare le risorse disponibili? In forma del tutto propagandistica! Signor viceministro - che ci conforta con la sua presenza in assenza del Governo ... - manca un'idea forza per il paese. Non c'è! Qual è la vostra idea di rilancio del paese? Nel dopoguerra, fummo posti di fronte ad un grande progetto per la ricostruzione, condiviso o non condiviso. Tuttavia, c'era un'idea in merito a dove portare l'Italia, a come ridare competitività al nostro paese, alle misure con cui sostenere la ripresa industriale, al modo in cui riprendere e ricondurre, attraverso l'IRI, il rilancio delle imprese, al modo in cui, attraverso la ricostruzione fisica del paese, si poteva prospettare la possibilità di ricollocare l'Italia in un sistema competitivo a livello mondiale, al modo in cui rilanciarla dal punto di vista dell'immagine turistica, affinché fosse accogliente per chiunque venisse nel nostro paese.
Si rilanciò l'Italia dal punto di vista dell'immagine e dell'infrastrutturazione; vi fu addirittura la capacità di saper cogliere
il meglio delle lotte contadine ed operaie per ridare vigore all'agricoltura ed all'industria nel nostro paese.
Ed oggi? Oggi, il vuoto di proposte che voi rivelate è tale che lo misurate sul vostro stesso elettorato; un elettorato che ieri ha pensato che il grande imprenditore potesse prospettare un orizzonte per il nostro paese e che ha poi visto fallire, giorno dopo giorno, tale progetto. Ha scorto che, mentre nelle tasche del grande imprenditore tornavano i quattrini a lui «comodi», nessun ritorno vi era per il rilancio delle imprese del paese (e, quindi, per le attese degli elettori stessi). Cosa si è fatto per quegli industriali che, con il presidente D'Amato, hanno così tenacemente e caparbiamente sostenuto le vostre posizioni? Nulla, l'impresa italiana torna indietro.
Cosa, concretamente, avete apprestato circa le ipotesi sui distretti, per settore o per insieme di imprese che si collocano su un territorio? Nulla, salvo il «saper fare» da soli. Infatti, non vi è nulla che li sostenga né a livello di servizi di supporto nelle telecomunicazioni, né a livello di progettualità per ridurre il costo dell'energia (salvo farneticazioni sul «nucleare», che sappiamo tutti che oggi costa di più). Nulla ci pone a livello, almeno, di paesi come la Germania e la Francia, dove si è fatto un grande investimento sulle politiche di energia alternativa. Cosa si è fatto per sostenere in moto competitivo queste nostre aziende, o per verticalizzazione di settore o nell'insieme, sul versante della ricerca? Cosa si è fatto per fare sinergia per favorire la ricerca sulla quale le medie e medio-piccole aziende non sono in grado da sole di investire? Nulla. Come pensate di usare quel poco che ancora abbiamo di impresa pubblica per rilanciare con un indirizzo il resto dell'impresa italiana, sia nella ricerca sia negli investimenti pilota che trascinino il resto delle imprese? Nulla. Anzi, in aziende come l'Alenia non riusciamo a sostenere neppure l'immagine, tant'è che per lo spazio rischiamo la subordinazione all'Alcatel francese.
Cosa, quindi, nella vostra finanziaria è di sostegno all'impresa? Nulla, se non tentare ancora una volta, a forza di manganelli, di imporre ad una popolazione grandi opere che in realtà, di ritorno, non porteranno assolutamente niente, né per quella vallata né per il Piemonte né per l'insieme del paese. Vi saranno 13,2 miliardi di euro di indebitamento per l'azienda Infrastrutture Spa per l'alta velocità; azienda costruita per nascondere gli indebitamenti che non potevate far figurare sul bilancio pena il fatto che l'Unione europea vi avrebbe posto difficoltà al riguardo e avrebbe tagliato le possibilità di investimento, avviando altresì una procedura di infrazione nei confronti dell'Italia in quanto non sono consentiti tali debiti rispetto al «buco» di bilancio già esistente. Non abbiamo la possibilità tra l'altro di avere un finanziamento effettivo e deliberato perché il CIPE non ha mai pubblicato sulla Gazzetta ufficiale una delibera che doveva essere assunta il 3 agosto per la tratta Bussoleno-Torino. Dove è questa delibera fantasma sulla quale poggiano dei presunti finanziamenti? La Corte dei conti non avrà nulla da osservare su un finanziamento che non trova su una delibera CIPE la propria autorizzazione? Una delibera CIPE che, ribadisco, non è stata mai pubblicata sulla Gazzetta ufficiale perché mancano ancora le firme a suo sostegno.
Fermate le grandi opere e vediamo come quei finanziamenti devono essere meglio utilizzati! Devono essere meglio utilizzati con un progetto che veda gli investimenti spalmati sull'insieme della rete ferroviaria italiana e che veda la possibilità di tornare con i paesi transfrontalieri ad una dichiarazione delle Alpi come zona sensibile sulla quale lavorare, che riveda la rivisitazione di tutto il corridoio n. 5 rispetto alle nuove esigenze di oggi. L'Italia e l'Europa hanno bisogno di sbocchi precisi verso i porti italiani, verso Savona, Genova, Ventimiglia in collegamento con Marsiglia e da lì con la Spagna, ma soprattutto con uno sbocco verso le vie marittime di cui tanto si parla e per cui poco si fa, le cosiddette autostrade del mare.
Si sa che, dal Portogallo a Kiev, questa fantomatica linea dovrà fare tre cambi,
perché gli scarti di binario sono a 1.676 in Spagna, a 1.435 in Francia e a 1.524 per la tratta dopo l'Ungheria. Lo sapete che stiamo effettuando un investimento in assenza dell'omogeneizzazione della rete ferroviaria che dovrà sostenere i trasporti? Lo sapete, inoltre, che i camion che oggi passano per la nostra zona viaggiano per il 30-35 per cento scarichi?
PRESIDENTE. Onorevole Provera, si avvii a concludere!
MARILDE PROVERA. Sapete che - ed uso gli ultimi minuti che mi rimangono a disposizione, signor Presidente - non riusciremo a ripianare questo debito, anche a causa degli interessi che si accumuleranno? Lo sapete che non abbiamo i soldi per effettuare i necessari investimenti in materiale rotabile, che richiederà ulteriori 7 miliardi di euro, perché quello esistente non è adatto a quella linea?
Lo sapete che dobbiamo realizzare, in aggiunta, gli elettrodotti di servizio? Lo sapete che vi sarà la necessità di una linea in tratta aerea in appoggio, con una spesa di 3,4 milioni di euro per i chilometri che devono essere ancora realizzati?
La lobby del cemento e del tondino ha una risposta da voi: si tratta di una risposta di attesa, se non altro per i progetti che già pagate anche alle aziende di parenti del ministro che conduce questo settore!
Sì, non sono appalti italiani, poiché passano attraverso la Francia, ma riguardano la tratta in questione, alla quale il ministro dei trasporti è direttamente interessato. Infatti, egli prende con le sue aziende, tramite la Francia, gli appalti per questa opera. È una cosa scandalosa, mentre i tagli che lui compie per sostenere quell'opera equivalgono a 1.200 miliardi sull'insieme della rete ferroviaria italiana! Si tratta di 570 miliardi per la sola manutenzione ordinaria, mentre abbiamo vagoni ferroviari che viaggiano in modo vergognoso!
C'è poi il taglio delle risorse sul piano della sicurezza. Sono previsti tagli per 800 milioni sui nuovi automezzi, mentre la tratta da Torino (città dalla quale proviene anche lei) a Roma - la porto ad esempio visto che la utilizzo, e magari la utilizzi anche lei, signor viceministro, così la conosce! - vede un treno che, su un vagone letto di prima classe, viaggia con i servizi disastrati e rotti. Le lenzuola del vagone letto sono rattoppate ed i vagoni sono in uno stato disastroso! Viaggiate sui mezzi, conosceteli e provate ad effettuare investimenti!
Se si rivede la tratta ferroviaria nel suo insieme, realizzeremo un investimento che sarà di sostegno all'intera economia italiana. Dobbiamo rinnovare il materiale rotabile e pensare alle opere di collegamento nel loro insieme! Chiediamo sbocchi verso il mare, per consentire che anche le tratte ad alta velocità, inopinatamente concepite in altri tempi...
PRESIDENTE. Grazie, onorevole Provera...
MARILDE PROVERA. ... vent'anni or sono...
PRESIDENTE. Grazie, onorevole Provera: già siamo al di là del tempo...!
MARILDE PROVERA. ... siano effettivamente utilizzabili dall'insieme....
PRESIDENTE. Onorevole Provera, concluda!
MARILDE PROVERA. ... della rete ferroviaria (Applausi dei deputati del gruppo di Rifondazione comunista)!
PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Pecoraro Scanio. Ne ha facoltà.
ALFONSO PECORARO SCANIO. Signor Presidente, ho chiesto all'onorevole Zanella, coordinatrice dei deputati Verdi, che l'impegno dei nostri parlamentari nell'esame di questo disegno di legge finanziaria fosse incentrato, in particolare, su una sollecitazione al Governo. Tale sollecitazione riguarda i tagli ingenti operati alle Ferrovie dello Stato.
Il disegno di legge finanziaria, infatti, prevede una riduzione dei trasferimenti in conto capitale di circa 1.200 milioni di euro per ciascuno degli anni 2006, 2007 e 2008 e rinvia al 2009 l'erogazione di cassa di circa 19 miliardi di euro alle Ferrovie dello Stato, bloccando sostanzialmente gli investimenti pubblici nel settore per i prossimi anni. Sui giornali, tuttavia, è comparsa qualche notizia che dà conto di un vostro parziale rinsavimento.
Pare che stiate iniziando a rendervi conto della necessità di non «massacrare» le ferrovie italiane, proprio nel momento in cui - con un'opera propagandistica legata al famoso megatunnel, ben noto in Val di Susa - affermate invece di voler investire addirittura nello spostamento del trasporto delle merci dal sistema su gomma a quello su ferro. Lo avete fatto per cinque anni, quindi non avete fatto nulla in tale direzione, ma, come si suol dire, «meglio tardi che mai». Può darsi che, dopo aver compreso che non si potevano costruire opere pubbliche con la Polizia, con i Carabinieri, con la Guardia di finanza, sguarnendo interi commissariati e stazioni del nord Italia che dovrebbero occuparsi della sicurezza dei cittadini e le cui forze, invece, sono state dislocate contro civili inermi, e mentre, come dicevo, parlate di queste cose, cambiate idea e tagliate i fondi alle ferrovie italiane.
Ebbene, noi vi chiediamo di rivedere queste scelte dissennate ed incongruenti. Tra l'altro, mentre disponete tagli pesantissimi alle ferrovie e tagliate anche i fondi destinati alle strade, in particolare all'ANAS - ed in questo paese non vi è un vero e proprio impegno sulle manutenzioni e siamo tra l'altro, in tema di sicurezza stradale, uno tra i peggiori paesi d'Europa, registrandosi sulle nostre strade un tasso molto alto di incidenti -, continuate a finanziare opere inutili della cosiddetta legge obiettivo, la legge fallimento di Lunardi e del Governo, una legge inutile ai fini delle opere pubbliche e dannosa perché, saltando tutte le procedure di partecipazione democratica dei cittadini, di fatto è la legge della paralisi. Voi bloccate le opere pubbliche in Italia! Le bloccate perché siete incapaci di porre in essere le procedure, che in tutta Europa si seguono, di consultazione delle comunità locali, in cui si registreranno anche alcuni dissensi, ma voi moltiplicate proprio i dissensi, con un conseguente, pesantissimo livello di inefficienza.
Ebbene, nel disegno di legge finanziaria in esame insistete nel continuare a finanziare opere inutili della legge obiettivo, iniziative propagandistiche e tagliate i fondi alle ferrovie ed all'ANAS. In realtà, tagliate i fondi alla capacità delle ferrovie di rispondere ai bisogni dei cittadini. Noi vi chiediamo di accelerare, ad esempio, il cantiere aperto tra Verona e Bologna per il raddoppio della linea ferroviaria in cui si verificò l'incidente, drammatico, di Crevalcore: si tratta di una delle poche aree del cosiddetto «Corridoio 1» a non avere il doppio binario. Vi chiediamo di raddoppiare la linea ferroviaria Messina-Palermo; lo prometteste dopo l'incidente - drammatico, anche in quel caso - di Rometta Marea: non avete fatto nulla! Vi chiediamo di accelerare la capacità di chiudere i cantieri in corso sulla Salerno-Reggio Calabria ed investire prioritariamente su tale obiettivo. Definanziate le opere inutili di Lunardi e chiudete i cantieri sull'autostrada Salerno-Reggio Calabria! Chiudete i cantieri sul Grande raccordo anulare di Roma! Terminate le opere di risanamento e di sistemazione della rete autostradale! Fate il raddoppio dell'Aurelia, invece di perdere tempo inseguendo un'ipotetica autostrada in Maremma! Garantite la sicurezza stradale della E45! Anziché inseguire sogni sbagliati, predisponete un piano serio! L'Italia non ha bisogno di chiacchiere, ma di investimenti reali. È chiaro che forse alcune grandi società hanno maggiore interesse a fare poche e grandi megaopere anziché realizzare e chiudere i molti cantieri con cui si potrebbe completare la sicurezza nel nostro paese...
PRESIDENTE. Concluda, onorevole Pecoraro Scanio.
ALFONSO PECORARO SCANIO. Concludo, signor Presidente.
Vi chiedo di rivedere, quanto meno, questa scandalosa politica di tagli alle ferrovie italiane e di reinvestire i fondi sulle opere che servono a dare sicurezza ed efficienza al sistema di infrastrutture del paese (Applausi dei deputati del gruppo Misto-Verdi-l'Unione)!
PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Pagliarini. Ne ha facoltà.
GIANCARLO PAGLIARINI. Signor Presidente, in questi giorni discuteremo molti dettagli del disegno di legge finanziaria, il cui testo finale oggi non è ancora noto, perché, come si sa, il Governo sta elaborando il cosiddetto maxiemendamento il cui contenuto, molto probabilmente, integrerà e modificherà il testo approvato la scorsa settimana dalla Commissione bilancio.
Ritengo che sia utile per il prosieguo dei nostri lavori svolgere alcune considerazioni sulla situazione dell'economia del paese, avanzando dieci idee sullo scenario di cui dobbiamo tenere conto e nel quale, volenti o nolenti, dobbiamo muoverci. Anzitutto: il mondo «corre». Nel mondo non vi è mai stata tanta crescita e tanto benessere come in questi anni. Alcuni paesi della «vecchia Europa» stanno perdendo terreno, ad eccezione di quegli Stati che hanno saputo interpretare il nuovo scenario e guardare avanti. Tra di essi, oltre al Regno Unito, campione di liberismo economico, che non ha voluto aderire alla moneta unica europea, anche per non farsi carico dei nostri debiti, vi è la Spagna, campione di trasferimento di potere, responsabilità e risorse finanziarie dallo Stato centrale alle regioni, e vi sono inoltre Finlandia, Irlanda, Danimarca, Estonia, Lettonia e Lituania. Sono Stati che non hanno particolari problemi economici; eppure la Cina, l'11 settembre, l'euro e l'Argentina ci sono stati anche per loro!
Secondo: l'Italia, da anni, è il fanalino di coda dell'Unione europea. L'anno scorso, nella classifica di competitività del World economic forum, tra i 25 Stati dell'Unione europea, l'Italia superava solamente la Polonia; e la superava solo perché in Polonia stanno pagando il prezzo di una coraggiosa riforma del sistema pensionistico, finalizzato a passare ad un sistema a capitalizzazione, in modo da essere meno egoisti verso le generazioni future.
Terzo: siete tutti a conoscenza di quanto sta succedendo in questi giorni in Germania. Stanno aumentando le tasse, stanno aumentando l'IVA, si propongono di elevare a 67 anni l'età pensionabile, si propongono di aumentare di un'ora alla settimana l'orario lavorativo dei dipendenti pubblici, senza alcun aumento di stipendio. Ciò perché la situazione del bilancio, come ha dichiarato Stoiber, «è più precaria, più pesante, più drammatica di quanto noi stessi abbiamo valutato». Ebbene, colleghi, se dividiamo il debito pubblico tedesco (un miliardo e 451 milioni di euro) per il numero degli abitanti della Germania (poco più di 82 milioni), otteniamo un debito pro capite di 17 mila e 700 euro, che supera di quasi il 24 per cento la media dell'Unione europea, che è di 14 mila e 300 euro. Con questo dato, i tedeschi si dichiarano preoccupatissimi ed il cancelliere Angela Merkel chiede sacrifici.
Ebbene, dallo stesso calcolo sui dati della Repubblica italiana risulta un debito pro capite di 24 mila e 800 euro, il 40,1 per cento in più della Germania. Eppure, noi non chiediamo sacrifici ed ho sentito critiche al Governo per la dichiarata politica di contenimento dei costi. Ho ascoltato critiche da destra e da sinistra e queste ultime non mi sembrano coerenti con un comportamento serio e responsabile.
Quarto: come elemento di scenario, vi chiedo di tener presente che il nostro debito pubblico, da solo, rappresenta il 22 per cento della somma di tutti i debiti pubblici dei 25 paesi membri dell'Unione europea. Il nostro debito pubblico, da solo, è superiore alla somma dei debiti pubblici dei 20 paesi membri dell'Unione europea, esclusi i cinque grandi (Germania, Regno Unito, Francia, Spagna e, ovviamente, Italia).
Anche il debito pubblico della Germania, da solo, rappresenta circa il 22 per
cento della somma di tutti i debiti pubblici dei 25 paesi membri dell'Unione europea. Però, il prodotto interno lordo della Germania è uguale al 21 per cento di quello dell'Unione europea; mentre noi arriviamo, a malapena, al 13 per cento. Ecco perché siamo oggettivamente un pericolo pubblico e perché abbiamo delle responsabilità non solo verso noi stessi; ed ecco perché ritengo che, nella sua stesura finale, la prossima legge finanziaria non dovrà essere generosa ed elettorale.
Quinto: ho ascoltato proteste anche da parte dei pubblici dipendenti e dei loro sindacati. Ebbene, colleghi, vi chiedo di considerare questi dati. In primo luogo, i dipendenti dello Stato sono poco meno di due milioni (1 milione e 955 mila); quelli di comuni, regioni e province sono circa 622 mila, quelli degli enti locali sanitari addirittura 681 mila, e così via. In totale, i dipendenti della pubblica amministrazione, in Italia, sono poco più di 3 milioni e 528 mila: un numero, a mio avviso, impressionante, un numero da paese comunista.
Nel 2004, i dipendenti della pubblica amministrazione, in totale, sono costati alla collettività poco più di 148 miliardi di euro. Pensate che questa cifra è superiore a tutto il gettito dell'IVA, più tutto il gettito dell'IRAP, più tutto il gettito dell'imposta sul reddito delle persone giuridiche, più tutto il gettito dell'ICI. La somma di queste quattro imposte, che tanto ci fanno arrabbiare e soffrire, è poco meno di 143 miliardi di euro, 5 miliardi in meno di quanto ci costano ogni anno i dipendenti della pubblica amministrazione. Se dividiamo questi 148 miliardi di stipendi dei dipendenti della pubblica amministrazione per il numero di abitanti del nostro paese, risulta un costo per ogni italiano di circa 5 milioni delle vecchie lire a testa, neonati e bisnonni inclusi. A me sembra una follia, considerando che, se attuassimo un'intelligente privatizzazione dei servizi pubblici, avremmo costi infinitamente inferiori e servizi altrettanto infinitamente migliori.
Non si può non essere d'accordo con il recente studio di Alberto Alesina ed Enrico Spolaore: «l'accresciuta concorrenza internazionale e l'integrazione dei mercati hanno spinto diversi paesi a decentrare, alla ricerca di maggiore efficienza»: è ciò che sta facendo la Spagna. Le critiche che quasi quotidianamente vengono rivolte alla recente riforma della Costituzione non considerano l'assoluta necessità di recuperare efficienza. Nel 2002, il costo totale dei dipendenti della pubblica amministrazione è aumentato del 4,1 per cento rispetto all'anno precedente. Nel 2003, l'aumento è stato del 5,5 per cento e nel 2004 del 3 per cento. Sono aumenti immensamente superiori all'incremento del PIL. Tutto questo rappresenta un lusso che il nostro paese non può e non deve più permettersi.
Dalle tabelle del documento intitolato «Conti e aggregati economici delle amministrazioni pubbliche», pubblicato dall'ISTAT il 22 luglio di quest'anno, risulta che il costo medio di 3 milioni 528 mila dipendenti della pubblica amministrazione è stato di 42.016 euro l'anno. Sì, colleghi, avete capito bene: ho detto 42.016 euro l'anno. Questo è il costo che la collettività sostiene in media per ognuno dei 3 milioni 528 mila dipendenti della pubblica amministrazione.
Se togliamo i contributi a carico dei datori di lavoro, resta uno stipendio, privo di tasse e di contributi sociali a carico dei lavoratori, di poco meno di 30 mila euro l'anno (29 mila 770 euro, per la precisione), che, diviso per 12, significa 2.481 euro al mese. Non sono stipendi da fame. Penso che sia giusto e doveroso trattare in modo decente i dipendenti della pubblica amministrazione, ma il loro numero mi sembra assolutamente eccessivo e anche nell'organizzazione e nei tempi di lavoro mi sembra che ci siano margini per significativi miglioramenti.
Sesto: purtroppo, nel nostro paese continuiamo ad usare vecchi paradigmi. La cultura centralista che ha fatto nascere la legge finanziaria che stiamo discutendo in questi giorni ne è un esempio, al pari delle schizofreniche proteste contro il concetto di devolution previsto da uno dei 57 articoli della recente riforma della Costituzione.
L'economia globale è basata su un mondo in cui l'assenza di confini non è più né un sogno né una possibilità, bensì una realtà. Ricordate la frase «pensare globale e agire locale»? Questa famosa raccomandazione di Akio Morita, il cofondatore della Sony, non è valida e applicabile solo alle aziende, ma anche alla politica e alla pubblica amministrazione.
Le nostre regioni non possono portare avanti agende economiche innovative, per tre motivi: possono essere ostacolate da leggi nazionali che possono bloccare progetti innovativi; non hanno la necessaria autonomia finanziaria; molte delle loro risorse finanziarie sono drenate per finanziare assistenzialismo, solidarietà e perequazione con le regioni più povere, con risultati insoddisfacenti per le regioni più povere e devastanti per l'economia delle altre regioni, che, in presenza di una concorrenza internazionale sempre più seria, abile ed impegnata, in questi anni hanno continuato a perdere competitività.
L'Italia, come Russia, Giappone ed Indonesia, a mio giudizio, mantiene un assurdo centralismo nei processi decisionali, un centralismo strutturale che è riluttante a demandare qualsiasi ruolo direttivo. Il risultato è che nessuna regione riesce ad avere significativi successi in maniera indipendente dal resto dello Stato, e questo è un gravissimo guaio.
Settimo: a proposito di solidarietà, assistenzialismo e perequazione, voglio ricordare, tra le tante, una sola operazione, che dovrebbe assumere valore emblematico. Si tratta dello scandalo di alcuni lavoratori socialmente utili. Ho ancora davanti agli occhi i due documentatissimi articoli del Sole 24 ore di mercoledì 19 gennaio 2005: uno, di Michele Tiraboschi, era intitolato «I precari stabili, uno spreco italiano»; l'altro, di Serena Uccello, era intitolato «A 17 mila LSU il posto non interessa» e cominciava con questa considerazione: «Negli ultimi due anni sono stati 17 mila i lavoratori socialmente utili che hanno rifiutato l'offerta di un posto fisso, preferendo il sussidio pubblico di 481 euro ad un lavoro sicuro».
Quell'articolo continuava con la denuncia di Natale Forlani, che a quei tempi era l'amministratore delegato di Italia Lavoro, di aver ricevuto delle minacce per non voler comunicare i nomi di quelli che rifiutavano l'assunzione. Inoltre, vi era la denuncia di Massimo Felice Lombardo, amministratore delegato della Gesip, che ricordava «i momenti di duro scontro con quei millecinquecento lavoratori socialmente utili, provenienti dal bacino dei precari storici (7 mila circa) di Palermo che, dinanzi alla prospettiva di un posto fisso, sono scesi in piazza incendiando i cassonetti».
Nell'ultima relazione generale sulla situazione economica del paese, i dati dei lavoratori socialmente utili, suddivisi per regione e per sesso, sono alle pagine 122 e 123 del III volume.
In tali pagine è indicato che, al 31 dicembre 2003, i lavoratori socialmente utili erano 58.467; in quel documento, però, con qualche sorpresa, c'è scritto che, di essi, ben 16.626 - quindi, il 28 per cento, quasi un terzo - sono finanziati in regioni del centro-nord, mentre i rimanenti 41.841 - cioè il 72 per cento - sono del Mezzogiorno.
Signor Presidente, ho tirato fuori la calcolatrice e, facendo le somme, ho visto che, per arrivare a quei 16.626, era necessario considerare del centro-nord anche i lavoratori socialmente utili di Campania, Abruzzo e Molise. È un errore veramente molto strano. I dati veri sono questi: 345 nel nord-est e 4 - ripeto - 4 nel nord-ovest, 4.571 nel centro e 53.547 nel Mezzogiorno. Questa storia va avanti da anni e, secondo me, non è né welfare, né assistenza, ma bieca caccia al voto!
La mia impressione - ve lo devo dire con molta malinconia - è che il sottosviluppo di alcune zone d'Italia non è visto come una sfida da vincere tutti assieme, ma come un'opportunità da non modificare per avere uno strumento di pressione e per andare a caccia di consensi elettorali. Le situazioni di alcuni lavoratori socialmente utili possono essere considerate un simbolo, l'ennesima prova di quell'assistenzialismo all'italiana che, in presenza
di concorrenti sempre più bravi e determinati, sta portando il nostro paese sulla strada del sottosviluppo e della povertà.
Ottavo: con la legge finanziaria e con le altre procedure oggi in vigore, le risorse non possono essere investite nel modo più razionale e più efficiente per competere perché - lo sapete - bisogna suddividere gli interventi per regione e, ahimè, anche per partito, sia di maggioranza che di opposizione. Il risultato pratico di questa cultura centralista, così dura a morire, è un futuro di povertà. Nell'ultimo elenco del PIL mondiale, con i nostri 27.700 dollari all'anno, siamo scivolati al trentesimo posto della classifica ufficiale. Se non contiamo il Lussemburgo e altri piccolissimi Stati, siamo pur sempre al ventunesimo posto e superiamo ancora di poco la media dell'Unione europea, che è di 26.900 dollari (perché tiene conto della Polonia e degli altri nuovi Stati membri), ma siamo ben dietro Francia, Germania, Regno Unito, Austria, Danimarca, eccetera; inoltre, ogni anno che passa è peggio.
Nono: spesa pubblica e interessi passivi. Alla fine del 1996, il nostro debito pubblico era di 1.205 miliardi di euro e, in quell'anno, abbiamo pagato circa 113 miliardi di interessi passivi sul debito pubblico. Dal 1996 ad oggi, il debito pubblico è aumentato del 21,6 per cento e siamo arrivati a 1.441 miliardi di euro, ma la spesa per interessi, invece di aumentare, è scesa. Mettendo uguale a 100 gli interessi pagati nel 1996, nel 2004 abbiamo speso solo il 60,6 per cento, pur in presenza di un debito pubblico molto più pesante. Purtroppo, lo stesso non è successo per la spesa pubblica, esclusi gli interessi, che nello stesso periodo è aumentata del 44, 2 per cento, molto più degli aumenti del PIL, passando da 407 a 586 miliardi di euro.
Dunque, colleghi, il risparmio ottenuto grazie alla diminuzione dell'interesse sul debito pubblico non è stato utilizzato per diminuire il debito, ma per aumentare le spese, sia in questa che nell'altra legislatura. Di ciò non possiamo certamente andare orgogliosi e il difetto, a mio giudizio, è sicuramente nella struttura organizzativa del paese, troppo centralizzata e che consente ancora comportamenti irrazionali e irresponsabili. La soluzione è una sola e si chiama vero federalismo, con i suoi corollari di maggiore responsabilità, di veri controlli e obblighi di resa di conto e di accountability.
Decimo e ultimo: giorni fa, il CNEL ha organizzato una giornata di studio sul federalismo fiscale. In quella circostanza, il professor Massimo Bordignon dell'Università Cattolica ha ricordato che «il drenaggio delle risorse nelle aree ricche di un paese a favore di quelle più povere, tipiche di uno Stato unitario, è diventato da un lato più insostenibile in presenza di una accresciuta concorrenza internazionale e dall'altro meno giustificabile alla luce della minor rilevanza del mercato nazionale rispetto quello globale». Ritengo che questo sia un punto che è opportuno approfondire in questa aula. Vediamo se la situazione è applicabile al nostro paese. Si tratta di capire se siamo in presenza di un drenaggio di risorse e, se la risposta è affermativa, se ciò dà realmente luogo ad una situazione in prospettiva insostenibile. Per vederci chiaro è necessario ricordare che, per il quinto anno consecutivo, è stato pubblicato lo studio del sottosegretario Alberto Brambilla sulla regionalizzazione del sistema pensionistico. È uno studio molto serio.
Quest'anno è stato presentato nella sede dell'ABI, mentre nel 2004 la presentazione era avvenuta al CNEL. Nessuno - ripeto - nessuno ha mai contestato le cifre del rapporto, il cui contenuto, però, è stato ripreso poco e male da giornali, televisioni e dalla politica. Ebbene, da quello studio risulta che nel 2003, in quattro regioni (Sicilia, Puglia, Campania e Calabria), a fronte di circa 10 miliardi di euro di contributi sociali versati all'INPS, sono state incassate pensioni per più di 28 miliardi di euro. La differenza, o se volete il «buco» pensionistico, è di più di 18 miliardi di euro.
In pratica in queste quattro regioni per ogni 100 euro di contributi sociali versati all'INPS se ne incassano 285 di pensioni, con il record della Calabria, dove per ogni
100 euro versati se ne incassano 397, mentre in Veneto per ogni 100 euro di contributi versati i pensionati ne incassano 103 e in Lombardia, addirittura, 99,6. È una situazione che dura da anni e che ha generato circa la metà del mostruoso debito pubblico italiano che, come abbiamo visto, è superiore alla somma dei debiti pubblici di venti Stati membri dell'Unione europea.
La differenza di 18 miliardi di euro equivale ad un'altra manovra finanziaria. Ogni anno, lo Stato deve prendere questi 18 miliardi di euro dall'IVA, dall'IRAP e dalle altre tasse che incassa e darli all'INPS per consentirgli di pagare le pensioni in Sicilia, Campania, Puglia e Calabria. Lungi da me l'idea di non pagare le pensioni, ma provate a pensare come cambierebbe la competitività del paese e le aspettative dei nostri figli se lo Stato potesse utilizzare ogni anno questi 18 miliardi di euro per le infrastrutture. Con quella cifra si potrebbero costruire più di dieci autostrade «BreBeMi» all'anno oppure si potrebbero finanziare ricerca, sviluppo e nuove tecnologie oppure semplicemente ridurre la pressione fiscale, in modo da attirare almeno una piccolissima parte di quegli investimenti che girano per il mondo portando lavoro e benessere, ma che da anni hanno cancellato completamente il nostro paese dalle loro mappe.
Dunque, i numeri, che non sono di destra o di sinistra, confermano, anzi «gridano» che da anni è in atto un enorme drenaggio di risorse da alcune regioni, Veneto e Lombardia in testa. È un fatto. A lungo andare, questa situazione non sarà più sostenibile perché il mondo è cambiato. Le regole economiche, politiche, sociali ed aziendali, oggi in vigore, hanno ben poco in comune con quelle che si applicavano venti o trent'anni fa. Lo diciamo da tempo. Non si tratta di egoismo, ma di sviluppo e, andando avanti in questo modo, tra pochi anni, si tratterà di vera e propria sopravvivenza.
L'economia globale non conosce barriere e un grande Stato centralizzato come il nostro rappresenta per sua natura una barriera economicamente inutile e culturalmente dannosa. Ricorda anche Kenichi Ohmae nel suo ultimo lavoro, Il prossimo scenario globale, che «il tradizionale Stato-nazione centralizzato è un ulteriore fonte di attrito, è male equipaggiato per giocare un ruolo significativo nel nuovo contesto economico, mentre le regioni che lo compongono sono spesso gli attori migliori per attrarre e trattenere ricchezza».
In Italia, ormai da anni, lo Stato non attua investimenti nelle zone ricche ma le colpisce con tasse e contributi sociali che sono immediatamente riversati per assistenza, solidarietà e perequazioni nelle zone povere del paese. Il risultato di questa politica è che le province ricche diventano ogni giorno meno competitive.
Ormai da anni, nessuno viene ad investire in Italia mentre moltissimi imprenditori italiani investono ed aprono nuove fabbriche all'estero. Ultima in ordine di tempo la Candy, che sta chiudendo la sua fabbrica «Donora», a Cortenuovo nella bassa bergamasca, per aprire una nuova fabbrica di frigoriferi a Podborany nella Repubblica ceca. Nella circostanza, l'amministratore delegato ha dichiarato che da noi il lavoro pesa per 21 euro all'ora, mentre nella Repubblica ceca, a poche decine di chilometri da Praga, costa soltanto 3 euro. Ma non dimentichiamo che, di quei 21 euro, ai lavoratori, al netto di tasse e contributi sociali, ne entrano in tasca meno di 9. Il resto serve per pagare assistenzialismo e per mantenere un enorme «mano pubblica» degna di Cuba o delle Repubbliche sovietiche di triste memoria; serve per pagare i 148 miliardi di euro di stipendi dei dipendenti della pubblica amministrazione o i 18 miliardi di euro di differenza tra contributi sociali versati e pensioni INPS pagate nelle quattro regioni di cui abbiamo appena discusso oppure gli stipendi dei 17 mila lavoratori socialmente utili che rifiutano un posto di lavoro.
Tutto questo genera disoccupazione ed impoverisce il paese.
Questo assistenzialismo potevamo, forse, permettercelo quando i mercati non erano così aperti e la competizione era meno dura ed aggressiva, ma quei tempi
sono finiti e troppi colleghi, sia della maggioranza sia dell'opposizione, troppi giornalisti, troppi sindacalisti ed una parte molto significativa dell'opinione pubblica sembra non rendersene conto; sembra non voler capire che il paese sta vivendo al di sopra delle sue possibilità e che un grande Stato centralizzato come il nostro, proprio per sua natura, si prefigge di soddisfare gli interessi economici dell'intera collettività, ma tutto ciò che esso fa in questa direzione finisce per bloccarsi non solo a causa dei due aspetti che fanno parte del peggior DNA della politica italiana (gli interessi particolari e l'assistenzialismo), ma anche per la sua struttura troppo centralizzata.
Queste sono, a mio giudizio, cose che dovremmo tener presente, quando il Governo ci consegnerà il testo finale della legge finanziaria. Dovremo essere pronti ad accettare sacrifici ed, eventualmente, a protestare se al testo della Commissione bilancio saranno aggiunti altri articoli finalizzati all'assistenzialismo, perché le leggi sono sempre di due tipi: o generano più efficienza o ridistribuiscono ricchezza. La legge finanziaria che approveremo, a mio giudizio, dovrà assolutamente essere del primo tipo, vale a dire dovrà generare più efficienza.
Peccato che a Montecitorio quelli che parlano di efficienza sono accusati di mancanza di solidarietà, quando va bene, altrimenti sono accusati di egoismo o addirittura di razzismo!
Cari colleghi, ogni giorno che passa mi convinco sempre di più che, senza federalismo, questo paese non ha futuro (Applausi dei deputati dei gruppi della Lega Nord Federazione Padana e di Alleanza Nazionale)!
PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Cusumano. Ne ha facoltà.
STEFANO CUSUMANO. Signor Presidente, onorevoli colleghi, si arriva alla discussione generale sulla manovra di bilancio e sul disegno di legge finanziaria con grande incertezza, con un'azione pressappochista del Governo che ha offerto al Senato già preoccupanti spunti di politica economica vuota, priva di respiro strategico e che oggi viene riproposta, attraverso un percorso certamente traumatizzato dalla fiducia che il Governo porrà sul provvedimento.
È la conferma di una scelta di campo che disabilita il Parlamento e riduce al minimo l'azione dei gruppi parlamentari nelle Commissioni ed in aula e che soffoca, soprattutto, le potenzialità di un dibattito che avrebbe potuto avere notevoli spunti emendativi, in direzione anche di un'accresciuta tendenza a rimuovere tutte le proposte dell'opposizione, soprattutto, quelle che sono state sempre orientate a fronteggiate le emergenze reali del nostro paese, prima fra tutte l'emergenza del Mezzogiorno, che vive una situazione di preoccupante stagnazione, di grande incertezza (economica e sociale) e deperimento dei circuiti positivi di una nuova intrapresa economica e sociale.
Tutto ciò non coincide con i segnali di sviluppo che si avvertono in altre parti dell'Europa e con le schegge, di cui parlava De Rita nel rapporto del Censis. Vi è soltanto un grigio appiattimento rispetto ad azioni compiute dai Governi di centrosinistra, senza alcuno spunto di prospettiva in termini di crescita complessiva per il Mezzogiorno e le aree deboli del paese.
Il Documento di programmazione economico-finanziaria aveva, in buona sostanza, anticipato la manovra finanziaria e di bilancio ed aveva fatto emergere l'inconcludenza di un'operazione contabile che mirava soltanto a coprire alcuni buchi nel bilancio dello Stato ed a colmare alcune difficoltà di natura contabile che erano emerse in corso d'opera, in ragione anche di un'improvvida gestione del Ministero dell'economia, prima per mano del ministro Tremonti e poi per mano del ministro Siniscalco. Oggi, si registra una situazione ancora più compromessa; una situazione che non coincide con le effettive emergenze economiche e sociali del nostro paese, che non affronta alcun grande problema sollevato da tutte le forze politiche e che si riassume nell'appello recente del Santo Padre in ordine al valore della
funzione della famiglia nella società nazionale. I Popolari-UDEUR si sono battuti per un progetto che riponesse al centro delle politiche economiche e fiscali del Governo la famiglia e la sua funzione fondamentale, anche al fine di elevare la qualità della vita nonché l'azione del Governo rispetto alle politiche economiche e sociali.
Le risposte sono state tutte in controtendenza rispetto a tale auspicio ed emerge un dato sconfortante: alla famiglia viene destinato soltanto il 5 per cento della somma complessiva della manovra finanziaria. A noi pare troppo poco per pretendere di modificare i bilanci delle famiglie italiane; infatti, gli aiuti proposti avranno più un effetto psicologico che concreto.
È ovvio che, a parità di reddito, non si possono porre sullo stesso piano un single e una famiglia. La famiglia svolge un ruolo sociale e, soprattutto, deve coprire spese che una persona che vive da sola non è costretta ad affrontare. Tra l'altro, ci sono voluti anni per capirlo e per introdurre le detrazioni familiari.
Il bonus per i nuovi figli non poteva rimanere una boutade del 2004, altrimenti i nati dopo il 2004 sarebbero risultati figli di serie B. Ecco perché tale bonus è stato riproposto anche per il 2005 e per il 2006. Tuttavia, non si tratta di un grande sforzo economico, se si pensa che persino in Ucraina, paese nel quale il prodotto interno lordo pro capite è un quinto di quello italiano, lo Stato versa mille dollari per ogni nuovo figlio nato e 50 dollari al mese a titolo di contributo. Non parliamo poi della Germania, dove vengono assegnati complessivamente circa 6 mila euro per ogni figlio.
Gli aiuti alle giovani coppie per l'acquisto della casa, dei quali si hanno solo notizie di stampa, ci auguriamo siano studiati in modo da non determinare un ulteriore aumento dei prezzi. Dal 1999 il mercato immobiliare ha imboccato un trend crescente, anche a causa di politiche fiscali sbagliate poste in essere da questo Governo. Dopo il 2001 si sono infatti registrati enormi balzi e tale tendenza non sembra sia destinata ad arrestarsi. Il valore degli immobili è quasi ovunque più che raddoppiato rispetto ai prezzi del 1998, complice il caro petrolio che ha portato ad una crescita dei costi dei materiali da costruzione e ristrutturazione e corresponsabile la crisi internazionale.
Il risultato è stato una corsa all'acquisto da parte di chi aveva bisogno di una casa, affrontando mutui che ora sono accessibili addirittura fino al 100 per cento dell'immobile. L'effetto è stato una crescita dell'indebitamento della famiglia che, a causa di questo nuovo e più alto debito, è stata costretta a ridurre gli altri consumi.
La diminuzione dell'offerta di case in locazione ha condotto ad una ulteriore crescita della domanda, alla quale è corrisposta una diminuzione dell'offerta. La contrazione dell'offerta ha portato ad una crescita abnorme dei prezzi e alla nascita della speculazione. Accanto a chi ha acquistato per necessità vi è chi ha acquistato per rivendere; stiamo vivendo ormai un mercato preda della speculazione immobiliare!
Basta confrontare il nostro mercato con quello del resto dell'Europa per rendersene conto in maniera molto più diretta. Poiché il bene casa è in cima alla spesa delle famiglie, un Governo serio non può non porsi il problema di regolamentare il mercato intervenendo anche direttamente sui prezzi. L'unico modo è quello di tassare le speculazioni, ovvero chi compra e vende immobili diversi dalla prima casa, rendendo tale business meno attraente rispetto ad altri investimenti.
Sul fronte del fisco mi sembra che lo Stato si sia arreso nei confronti dei tanti ricchi evasori. Sono previste norme che coinvolgono i comuni, mediante un premio concreto, nella lotta all'evasione. I comuni però dovranno creare infrastrutture ad hoc, ed inoltre i tempi degli accertamenti e del contenzioso tributario sono veramente lunghi. Non a caso, abbiamo più volte chiesto che i comuni si attrezzassero con nuovi uffici preposti soltanto alla definizione del gravame fiscale.
Lo Stato, tuttavia, non può far credere che l'unica lotta all'evasione, per un fisco
più equo che allarghi la base imponibile, sia quella che viene dall'accertamento dei redditi individuali. Un fisco giusto non può non monitorare l'acquisto dei beni voluttuari e di lusso. Al riguardo si può intervenire incrementando le aliquote e facendo pagare le tasse anche a chi riesce a sfuggire ai controlli sui redditi personali e societari: chi acquista un'automobile importante, tanto per chiarirci, è giusto che paghi più tasse di chi acquista un'utilitaria. È inoltre giusto andare a verificare cos'altro possiede chi ha in garage una fuoriserie. Se poi non ci si pone il problema della redistribuzione della ricchezza, proprio attraverso un sistema fiscale più corretto, si continuerà a pensare al bilancio dello Stato come ad una coperta corta, che non si può tirare da una parte e dall'altra per non scontentare nessuno.
Signor Presidente, onorevoli colleghi, anche se non conosciamo quello che farà il Governo alla Camera rispetto al voto di fiducia già annunciato, il giudizio sulla manovra di bilancio è profondamente negativo, perché si tratta di un'operazione che non ha il polso del paese reale e delle forme di povertà e di disagio economico e che non sana le diseguaglianze sociali e, di conseguenza, neppure quelle territoriali tra la parte ricca e quella povera, localizzata soprattutto nel centro, nel sud e nelle isole. C'è solo da sperare che sia veramente l'ultima legge finanziaria firmata dagli onorevoli Berlusconi e Tremonti.
PRESIDENTE. È iscritta a parlare l'onorevole Titti De Simone. Ne ha facoltà.
TITTI DE SIMONE. Signor Presidente, fra poche ore porrete la questione di fiducia su questa manovra finanziaria - sarà forse necessaria qualche ora in più, ma il concetto non cambia - e ciò costituirà il segno dell'ennesima vostra debolezza. La verità, infatti, è che non reggereste una vera discussione parlamentare in quest'aula, vale a dire non reggereste il confronto con il paese reale, che qui sarebbe rappresentato: il confronto con i lavoratori, con i pensionati, con le donne, con i giovani precari, con i problemi del Meridione, con quelli della scuola, degli studenti, degli insegnanti, con quanti, signor viceministro, non ce la fanno più ad arrivare alla fine del mese, e sono purtroppo sempre di più.
Da parte nostra, intendiamo insistere, nel corso di questa discussione generale, per cercare di ottenere in extremis un confronto con il Governo, per cercare di convincerlo a cambiare direzione, almeno su alcune questioni fondamentali, per cercare di parlare al paese e di rappresentare qui i bisogni di quanti in queste ore chiedono appunto di cambiare direzione nelle politiche economiche del paese. Intendiamo, dunque, approfittare di questa discussione anche per dire, e dare, le cifre che la Moratti non dà mai, le cifre che il ministro Moratti non dice, ciò che il ministro Moratti non racconta della scuola, dell'università, della ricerca, di come questo settore così strategico per il nostro paese, così ricco di esperienze, di culture, di storie, di tradizioni, così importante, sia stato mortificato dalle politiche del Governo e dai pesantissimi tagli che sono stati inflitti alla scuola e al suo sviluppo in questi anni e che si confermano con questa ennesima legge finanziaria. Oltre agli spot, e alla demagogia che accompagna spesso le parole del ministro Moratti in importanti trasmissioni televisive, ci sono i fatti, le politiche reali, gli interventi reali e le cifre che vengono elaborate dal Ministero e dal Governo e che smentiscono pesantemente i proclami del ministro stesso.
Perché, per esempio, il ministro Moratti va in giro dicendo che questa finanziaria non comporterà tagli al settore della scuola, dell'università e della ricerca? Noi, tenacemente, testardamente, diciamo che non è così e non siamo i soli a dirlo. Infatti, affermiamo questo insieme a gran parte delle organizzazioni sindacali che, proprio pochi giorni fa, il 25 novembre scorso, hanno manifestato, qui a Roma, in una straordinaria giornata di mobilitazione che ha visto una partecipazione come non si registrava da anni. Una
giornata straordinaria verso la quale, purtroppo, abbiamo sperimentato anche qualche tentativo di repressione da parte del Ministero dell'interno, con degli impropri e inaccettabili atteggiamenti di alcune parti delle forze dell'ordine nella gestione di piazza, anche qui di fronte, a Montecitorio (su questi fatti nelle settimane scorse abbiamo peraltro chiesto al ministro di riferire in Parlamento).
È stata comunque una straordinaria mobilitazione del mondo della scuola, dell'università e della ricerca, così pesantemente penalizzato e mortificato in questi anni dalle vostre politiche di riduzione dell'investimento statale e pubblico e dai tagli (agli organici, al fondo ordinario per l'università) che sono risultati pesantissimi per una ricerca pubblica, libera e applicata.
A ciò si è aggiunto l'effetto altrettanto pesantissimo di politiche di precarizzazione che hanno invaso il settore della scuola, dell'università e della ricerca e che rischiano di dequalificarne la funzione sociale e pubblica, il loro stesso essere «pubblico».
A questo punto, vogliamo anche fornire delle cifre dettagliate, anche perché noi la finanziaria l'abbiamo letta (a differenza magari di altri cittadini che potrebbero avere delle difficoltà a far ciò). La finanziaria conferma i tagli alla scuola e all'università. Si tratta di tagli che non sono di poco conto. Si conferma, infatti, un trend drammatico di precarizzazione: 76 mila precari sono il frutto della vostra politica di questi anni!
Certo, come ben sappiamo, la scuola precedentemente non era certo priva di precari; però, sappiamo anche che i passati Governi avevano predisposto dei piani programmatici di immissione in ruolo che avevano puntato sulla stabilizzazione di precari storici quale risorsa fondamentale per la scuola pubblica. Voi questo non lo avete fatto e, anzi, avete investito sulla istituzionalizzazione del precariato. Di conseguenza, con voi e grazie a voi, il numero dei precari è levitato enormemente all'interno della scuola pubblica. Inoltre, avete aumentato i finanziamenti alle scuole e alle università private e anche di ciò troviamo i segni in questa ennesima finanziaria.
Il numero dei precari nella scuola è arrivato a 76 mila unità. Si tratta di insegnanti fondamentali per il normale svolgimento dell'insegnamento. Non solo: con questa finanziaria abbiamo anche tremila scuole senza dirigenza statale stabile secondo un meccanismo che mira solo a tappare i buchi. La scure della manovra porta tagli pesantissimi per le supplenze e la dirigenza delle scuole.
Per i docenti, insomma, ci sono a rischio oltre 42 mila cattedre a causa di questa manovra finanziaria. Sull'istruzione, infatti, si abbatte una scure da 1068 milioni di euro. Sostanzialmente, i tagli prodotti in questa finanziaria relativi a scuola, università e ricerca arrivano a un miliardo di euro: questo è quanto è già stato definito al Senato con il maxiemendamento e quanto si proporrà nelle prossime ore all'approvazione della Camera. Altro che risparmi e investimenti sulla scuola o assenza di tagli! I dati parlano molto chiaro!
Solo per fare qualche esempio: fra i capitoli di spesa che subiranno un consistente taglio di risorse, meno 28 per cento, vi è quello delle cosiddette supplenze brevi che sono fra le più frequenti nel mondo della scuola. Fra queste supplenze brevi rientrano le assenze superiori a 15 giorni per i docenti della scuola media inferiore e per quelli della scuola media superiore, quelle anche di un solo giorno per le maestre della scuola materna e per il sostegno, e quelle superiori a cinque giorni per gli insegnanti della scuola elementare. Vi rientrano anche le assenze per maternità, che in molti casi durano parecchi mesi. Per il 2006 il Governo ha previsto un tetto massimo di 565 milioni di euro di spesa, contro i 766 previsti per il 2005. Il taglio del budget per i supplenti, combinato con la norma varata dal Governo Berlusconi due anni fa, che alla scuola media inferiore e a quella superiore ha imposto cattedre di 18 ore di lezioni effettive, rischia di creare una miscela esplosiva.
Non sarà soltanto la scuola ad essere colpita dalla scure di Tremonti. Ancora una volta questo Governo ha scelto di tagliare la cultura e il sapere. Il maxiemendamento presentato al Senato ed approvato con il disegno di legge finanziaria riduce di 400 milioni di euro le risorse per l'università, taglia massicciamente l'edilizia universitaria, toglie agli atenei, impone il versamento allo Stato dei fondi accantonati per effetto del cosiddetto decreto «taglia spese» del 2002 e taglia del 15 per cento i fondi per la ricerca di base.
Ma che cosa rimarrà alle università per formare i giovani? Che cosa rimarrà alla ricerca pubblica per poter investire su un settore strategico per lo sviluppo del paese? Che cosa rimarrà all'università e alla ricerca per poter investire sui giovani ricercatori, che voi destinate ad un futuro di incertezze e di precarietà senza fine? Per avere un'idea, è sufficiente rifarsi alle parole espresse dall'onorevole Garagnani, deputato di Forza Italia e relatore in Commissione cultura del disegno di legge finanziaria per il 2006, il quale, oltre a parlare dei tagli apportati agli stipendi dei supplenti, ha affermato: «Ma non è tutto, molte altre disposizioni di carattere generale del disegno di legge finanziaria finalizzate al contenimento della spesa di tutti i ministeri o relativi al personale interessano i settori dell'istruzione, dell'università e della ricerca».
Vogliamo fare qualche altro esempio? Si prevede la riduzione di 75,1 milioni di euro delle risorse destinate al finanziamento ordinario delle università statali. Si tratta di quel finanziamento che negli anni precedenti ha sollevato persino una mobilitazione e una protesta senza precedenti dei rettori delle università, i quali sono giunti fino al punto di minacciare le proprie dimissioni. Ancora, l'importo complessivo del fondo ordinario per gli enti di ricerca risulta ridotto rispetto allo scorso anno di circa 6 milioni di euro; stessa sorte per l'edilizia universitaria (meno 60 milioni di euro) e, sempre per gli atenei pubblici, per le cosiddette grandi attrezzature e per la ricerca scientifica (meno 34,6 milioni di euro); per il fondo unico da ripartire per investimenti nell'università e nella ricerca e per il fondo per gli investimenti nella ricerca di base si avranno a disposizione...
PRESIDENTE. Onorevole Titti De Simone, concluda.
TITTI DE SIMONE. Concludo, Presidente. Questo è solo un assaggio dei tagli che questo disegno di legge finanziaria contiene. Bisognerebbe, infatti, valutarlo facendo riferimento anche agli altri provvedimenti presentati al Parlamento in precedenza. Si prevedono, infine, tagli pesantissimi al FUS e ai beni culturali.
Insomma, siamo di fronte ad una situazione drammatica di cui voi pagherete le conseguenze di fronte al paese (Applausi dei deputati del gruppo di Rifondazione comunista).
PRESIDENTE. È iscritta a parlare l'onorevole Pistone. Ne ha facoltà.
GABRIELLA PISTONE. Signor Presidente, onorevoli colleghi, signori del Governo, sono passati cinque anni dalla prima legge finanziaria del Governo Berlusconi e per ognuno di questi anni e per ognuna delle leggi finanziarie presentate abbiamo sempre sentito magnificare i risultati che ogni provvedimento avrebbe determinato in termini di ripresa, di crescita e di sviluppo per l'economia del nostro paese. Mai così tante previsioni, una dietro l'altra, furono meno azzeccate!
Nell'ultimo DPEF, il Governo ci dice che l'indebitamento va verso il 5 per cento e che il debito crescerà di quasi due punti percentuali (dal 106,6 del 2005 al 108,2 del 2006). Inoltre, si ipotizza un avanzo primario dello 0,6 per cento per il 2006. In altre parole, l'avanzo primario è quasi azzerato, dal momento che siamo passati, in cinque anni, dal 5,7 per cento del 2000 - eredità lasciata dal centrosinistra - a questo miserrimo 0,6 per cento! Il dato riferito all'avanzo primario non è affatto banale: esso ci indica la capacità del bilancio di produrre risparmi che consentano la riduzione del debito; e il nostro
debito, come sappiamo, è altissimo e, per questo, sotto osservazione. Anche il deficit, che nel 2000 era pari allo 0,7 del PIL, oggi è, secondo una stima di novembre della Commissione UE, pari al 4, 3 per cento.
Tuttavia, per l'Italia, nell'ambito dell'Unione europea, non vi sono né sconti né ammorbidimenti ma, per la prima volta nella storia, un'osservazione costante, oltre ad una momentanea apertura di credito tale da consentirci di arrivare a gennaio con un risultato utile che eviti il caos. Sono parole pesanti. C'è proprio da essere orgogliosi ad essere così sorvegliati speciali e a dover scrivere una finanziaria in corso d'opera!
Stamani non sappiamo ancora quale sia la finanziaria e siamo tutti in trepida attesa: non già perché ci attende un proficuo confronto di idee in Parlamento, ma perché siamo ansiosi di sapere quali altri «magheggi» stiate studiando, per poi farci votare l'ennesima fiducia. Ma niente paura: per la prossima settimana se ne prevede un'altra ancora sul disegno di legge per la tutela del risparmio!
Che dire? Il fallimento del Governo Berlusconi è sotto gli occhi di tutti: il risanamento, già realizzato in passato, è ormai assolutamente dissipato! D'altronde, sarebbe stato difficile il contrario, poiché grandi benefici in questo senso non potevano certo essere raggiunti attraverso l'approvazione di provvedimenti che non saranno mai l'orgoglio di nessuno, tranne di pochi (si va dalla depenalizzazione del falso in bilancio all'abolizione dell'imposta di successione e donazione sui grandi patrimoni, ai continui condoni fiscali ed edilizi, allo scudo fiscale, e via dicendo). Altro che nuovo miracolo economico!
Ora siamo qua, di fronte ad un provvedimento che non è più uno solo, ma sette provvedimenti diversi (più il maxiemendamento in gestione), a 27 miliardi di euro di manovra e, quindi, ad una manovra ingente che, tuttavia, non risana la finanza, non rilancia la nostra economia, non la sviluppa e non la fa crescere. Difatti, il nostro paese non brilla, purtroppo, né per ripresa né per crescita né per sviluppo, mentre anche il prossimo futuro non ci lascia intravedere nulla di incoraggiante.
Il maxiemendamento metterà in discussione ciò che è stato inutilmente approvato in Commissione bilancio la scorsa settimana: un vero e proprio stato confusionale condito da logiche elettoralistiche e da altri provvedimenti una tantum e ad personam che vi apprestate ad approvare per vendere ancora un po' di fumo ai cittadini, i quali, però, da un po' di tempo - per fortuna - hanno capito!
Parlate di politiche sociali e per la famiglia, ma non avete avuto neanche la più lontana intenzione di riqualificare il fondo per le politiche sociali, di rifinanziarlo per adeguarlo all'inflazione; al contrario, lo tagliate di 500 milioni di euro, mettendo nei guai regioni ed autonomie locali, che avevano già assunto impegni per far fronte con servizi reali alle esigenze dei cittadini. Accanto a questi, i tagli agli enti locali sono di tale rilievo che non si può certo dire che sostengano lo sviluppo. Queste misure sono contro lo sviluppo - perché i nostri comuni, che sono grandi soggetti investitori, non avranno possibilità da questo punto di vista - e, costringendo a tagliare servizi e prestazioni, penalizzeranno i cittadini.
Voi affermate che si tratta di economie di spesa, non di tagli. Noi, invece, e non siamo i soli, sosteniamo che il caro tariffe ed il caro-vita, senza un adeguamento del potere salariale, tagliano i consumi e rendono sempre più difficile la vita ad un crescente numero di famiglie italiane. In altre parole, essi tagliano la qualità della vita delle persone.
La sindrome della quarta e, ormai, della terza settimana non è un'invenzione, ma purtroppo è una triste realtà; infatti, la precarietà nel lavoro, il caro affitti e il problema della casa in generale non danno certo prospettive ai nostri giovani, ai quali - io lo ritengo quasi una provocazione - offrite il bonus bebè. Non si prevede nulla per la non autosufficienza; solo concessioni per il welfare del tutto residuali e caritatevoli, ma per nulla strutturali.
In questi cinque anni non avete detto una sola parola sul dramma della casa, che ha visto solo vantaggi per gli speculatori e i grandi immobiliaristi. Tagliate sulle ferrovie e sull'ANAS e avete in testa solo le grandi opere, mentre non si fa nulla per il Mezzogiorno, per la crisi industriale e per le innovazioni tecnologiche.
Tagliate sulla scuola: dal 2001 ad oggi il 44 per cento in meno per le spese di gestione ordinaria; la riduzione del 24 per cento dei fondi per l'offerta formativa; la riduzione degli organici e la precarizzazione del personale (oltre 75 mila precari nella scuola, nonostante gli studenti aumentino). La cosiddetta riforma Moratti, all'inizio, prevedeva un finanziamento di 8 miliardi e 320 milioni di euro, ma quella riforma - cosiddetta storica - in questi anni ha avuto un finanziamento di 200 milioni di euro. Le cose non cambiano nel settore universitario: 750 milioni di euro in meno rispetto al 2001 e, in questa finanziaria, altri 75 milioni di euro in meno; l'edilizia universitaria subisce un taglio del 40 per cento, aumentando le difficoltà degli studenti fuorisede e incrementando le speculazioni negli affitti.
La concezione che voi avete della cultura, dei beni culturali e del sapere più in generale è, purtroppo, residuale; infatti, in questi anni avete continuato a tagliare i fondi pubblici destinati alle politiche culturali perché considerate la cultura un settore in perdita. Questo è un gravissimo errore di valutazione. Voi la considerate una voce di spesa, non un investimento. L'Italia è uno dei paesi con le percentuali di investimento sulla cultura più basse d'Europa: lo 0,16 per cento, dato che, oltretutto, è in netto e costante calo; infatti, nel 2003 l'Italia ha speso appena lo 0, 25 per cento del PIL, cioè la metà di quanto ha speso la Francia e molto meno di quanto hanno speso la Germania, la Spagna e il Portogallo. Tutto questo a fronte di un valore aggiunto del settore culturale che si colloca, secondo una stima per difetto, all'1,2 per cento del PIL. Questo dato diventa assai più elevato se si tiene conto del fatto che la produzione artistica e culturale costituisce una delle principali attrazioni turistiche nel nostro paese e che il turismo rappresenta per l'Italia circa il 12 per cento dell'occupazione e l'11 per cento del PIL.
Il fondo unico per spettacolo dal 2001 si è dimezzato in termini reali; infatti, si è passati da 561 milioni di euro a 300 milioni di euro, che adesso, grazie ad un emendamento presentato al Senato e, soprattutto, grazie alle mobilitazioni e alle proteste dei lavoratori dell'intero settore, che sono scesi in piazza compatti per protestare contro la cecità totale del Governo che si riconferma ogni anno di più, sono stati portati a 380 milioni di euro. Il fondo unico per lo spettacolo è la fonte del finanziamento pubblico destinata al cinema, al teatro, alla musica, alla lirica, alla danza e allo spettacolo dal vivo; quindi, credo che un taglio di portata tanto drammatica sia destinato a colpire, in primo luogo, le fondazioni lirico-sinfoniche e, sostanzialmente, qualunque attività che abbia a che fare con la cultura, che fondamentalmente dà da lavorare complessivamente ad oltre 200 mila persone. Ci saranno teatri, quest'anno, costretti a chiudere. Magari, qualcuno di voi, dentro di sé, dirà: «Meno male, qualche spreco in meno». Ebbene, la vostra cultura, purtroppo, non è comprensibile e mi auguro sia al più presto superata, superata da un'altra centralità. Come ripeto, la valorizzazione delle nostre radici culturali, la creatività, il sostegno dei talenti e il diritto dei cittadini di fruirne costituiscono davvero anche un pezzo della nostra identità. Che cosa ritenete che manchi nelle periferie italiane o in quelle di altri paesi? Mancano il senso comune e la coesione sociale, manca la possibilità di creare un tessuto anche attraverso l'offerta di cultura, di scambio e di crescita insieme. Per giunta, i beni culturali - voi lo sapete - ed i musei sono una grande ricchezza per il nostro paese e sicuramente rappresentano un significativo apporto alla crescita economica, proprio nel momento in cui la nostra economia è in crisi e cerca nuove occasioni di rilancio
sullo scenario della competizione mondiale. Sappiamo che in tale scenario si verifica una crescita fortissima in questi ultimi anni, di oltre il 5 per cento, mentre noi siamo allo 0,2 per cento, cioè, sostanzialmente, siamo alla crescita zero. Una delle soluzioni è senz'altro costituita dallo straordinario patrimonio di arte, cultura e talento che ci appartiene storicamente e ci è universalmente riconosciuto. Finanziare le politiche culturali in momenti difficili per i conti pubblici non è mai stata una scelta facile, ma prima o poi credo che diventerà necessaria. Soprattutto se nella prossima legislatura l'Italia sarà governata, come mi auguro, da un Esecutivo di centrosinistra, penso e spero che la cultura per l'Italia sarà considerata una risorsa e non uno spreco o un lusso superfluo. Con questo auspicio concludo il mio intervento, non senza formulare un giudizio molto negativo, purtroppo, su questo disegno di legge finanziaria. Mi auguro che nel maxiemendamento non siano contenute ulteriori sorprese. Infatti, ho avuto sentori e anche indicazioni da parte di alcune categorie che temono che in esso ci siano anche risvolti molto negativi per la loro vita e per la continuazione della loro opera; spero che ciò non avvenga. Mi riferisco ai beni culturali e mi riferisco all'ulteriore colpo che si darebbe al mondo dello spettacolo e, più in generale, della cultura. Mi auguro che ciò non avvenga perché si procurerebbe un guaio e si determinerebbe un guasto soprattutto per il paese e per migliaia di lavoratori (Applausi dei deputati dei gruppi Misto-Comunisti italiani, di Rifondazione comunista e della Margherita, DL-L'Ulivo).
PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Polledri. Ne ha facoltà.
MASSIMO POLLEDRI. Oggi è un bel giorno, signor Presidente; lo è soprattutto al nord, dalle nostre parti, ma credo anche in Sicilia. Oggi è il 13 dicembre, la giornata di santa Lucia, e per chi ha la fortuna di avere figli e ha potuto trascorrere con loro i momenti della mattinata forse è il più bel giorno. Di fronte a questo stupore, è lecito per i padri di famiglia chiedersi quale sia il senso di questa presenza nel Governo e il senso di far politica. Sia come persone, sia come movimento, al senso di far politica noi riconduciamo due o tre fenomeni.
Il primo, una finanziaria per la famiglia; il secondo, un rilancio dell'impresa e, quindi, il lavoro veramente al centro della manovra economica che, date le difficoltà di quesiti tempi, non sarà eccezionale, ma ritengo sia stato dato un segno. Allora, si è provveduto per i bambini e credo sia realmente un investimento sul futuro, di questa maggioranza ma di tutto questo paese: il comma 233 dell'articolo unico - il fondo famiglia e solidarietà - al centro dell'azione; il comma 234, che prevede il cosiddetto bonus per ogni figlio nato; l'assegno che dà un contributo alle famiglie con bambini inferiori a tre anni per le spese sostenute; il comma 239, con la previsione di una detrazione dall'imposta per le rette degli asili nidi; il comma 248, sul fondo per le adozioni internazionali; il comma 249, per l'attività di contrasto dello sfruttamento sessuale e dell'abuso sessuale dei minori. Quindi, viene dato un segnale ben preciso, volto ad un obiettivo, quello di riempire le culle vuote.
Vede, Presidente, leggiamo in questi giorni quello che un grande economista, Rifkin (che sicuramente non fa riferimento a questa maggioranza), ha indicato come le ricette per potere tornare - ma noi diciamo: continuare - ad essere grandi: il federalismo, inteso come assunzione di responsabilità e di autonomia da parte delle autorità locali; la fantasia, che è connessa con la capacità di incentivare i nostri punti di eccellenza, come i distretti (poi mi soffermerò sulla «finanziaria per le imprese»); i figli. Queste tre variabili sono direttamente collegate, e ritengo vi sia al riguardo un po' di orgoglio anche da parte della Lega nord.
Sul secondo punto, le imprese, abbiamo già considerato le misure di agevolazione dei distretti, la semplificazione amministrativa e l'accesso al credito agevolato per poter rilanciare la competitività delle imprese.
Infatti, i distretti sono il vero motore economico di questo paese. Sono essi l'oro nero: se sommiamo i lavoratori dei distretti del made in Italy, essi superano tutti gli operatori della FIAT, della Telecom, dell'ENI e dell'ENEL messi insieme. Quindi, i distretti sono il cuore pulsante di questo paese.
Restano due elementi, per così dire rimasti indietro, e ce ne rammarichiamo. Anzitutto, un segnale ben concreto nei confronti degli artigiani, di cui abbiamo sposato fino in fondo la battaglia e cui speriamo si possa venire maggiormente incontro. Sto parlando della riduzione del tasso dei premi assicurativi INAIL; riteniamo non sia assolutamente giusto che, con le ripartizioni - e quindi con i soldi accumulati dagli artigiani e che rimangono nelle casse dell'Inail -, si possano finanziare, per esempio, le piscine di Roma e quant'altro. Bisogna, per abbattere il costo del lavoro, tornare a ripartire una parte dei premi assicurativi tra quelle gestioni che sono state virtuose, quindi tra gli artigiani, che tutte le mattine si alzano, non si mettono in malattia e si recano, invece, al lavoro, magari anche con la febbre.
Vi è poi la piaga del rimborso dei crediti con le piccole amministrazioni; abbiamo abbozzato una soluzione e quasi risolto il problema. Certo, manca il decreto attuativo - il viceministro Vegas lo sa - per i debiti dell'amministrazione centrale. Ritengo che avremmo potuto trovare uno spazio in tal senso, ma forse i tempi non erano maturi; tuttavia, sicuramente esiste una bozza da discutere a livello di maggioranza e di opposizione, in modo da poter dare una mano ai piccoli imprenditori. Sappiamo che circa 100 mila imprese oggi sono costrette a chiudere per i ritardi nei pagamenti della sanità del Lazio (più di 24 mesi) piuttosto che del comune di Roccaferrata (in ipotesi, 36 mesi) per i pagamenti delle BIR.
Su una parte del provvedimento siamo rimasti critici, e si tratta di una materia che meriterebbe forse di essere tassata.
Noi abbiamo proposto di tassare la pornografia. La pornografia non è un rapporto o una relazione. Se dovessimo parlare in termini psicoanalitici, infatti, vorrei osservare che, nel caso della pornografia, non c'è una relazione con un oggetto od un soggetto, ma vi è, semplicemente, la realizzazione di un istinto. Infatti, l'altro da me non è diverso da una brocca o da qualsiasi altro oggetto, perché lo si utilizza per soddisfare un istinto. In tal caso, dunque, tutto ciò non ha niente a che vedere né con l'erotismo, né con l'amore: per questo motivo, l'onorevole Garnero Santanchè ha proposto, giustamente, di istituire una tassazione.
Esiste, tuttavia, il rapporto tra politica ed industria. In qualche modo, deve sussistere una relazione tra questi, in base alla quale la politica elabora un progetto comune assieme all'industria stessa e nessuno è nemico dell'altro. Questa maggioranza non è contro il profitto delle imprese; non possiamo mettere in competizione la politica con l'industria, ma, a nostro giudizio, la politica non può esserne serva, o addirittura sottovalutare il pubblico interesse di fronte alle legittime aspettative, perché in tal caso non ci sarebbe una relazione, bensì un uso reciproco.
Mi riferisco al provvedimento che ha prolungato le concessioni in essere per la distribuzione del metano. Ricordo che siamo stati abbastanza critici in ordine a tale misura, non perché non vi fossero legittime ragioni da parte delle imprese, ma perché tale differimento, deciso forse dopo una discussione non matura - di notte, direi «al buio» -, deve far riflettere sulle sue ripercussioni. Infatti, la mancata liberalizzazione di questo mercato produrrà sicuramente gravi conseguenze per i comuni.
Voglio semplicemente ricordare che abbiamo calcolato che prolungare i termini delle concessioni provocherà ai comuni, che non potranno indire le gare per un anno, una perdita superiore ai 2 miliardi di euro. Detti 2 miliardi di euro si configurano come una tassa occulta, vale a dire come un mancato guadagno per i vari enti locali.
Vi sono molti comuni che sono giunti alla scadenza naturale della concessione e che stanno preparando le gare, oltre a quelli che le hanno già espletate. Agli inizi, i risultati possono essere sicuramente alterati dal fatto che le aziende, per accedere al mercato, sono disposte a rinunciare ad una parte consistente dei profitti, ma poi lo stesso mercato, se abbiamo fiducia, troverà i suoi equilibri compensativi.
Tuttavia, si prevede di bloccare comuni che, come ho detto prima, hanno già indetto i bandi e che guardano agli enti locali che hanno già avuto un riscontro positivo dalle gare effettuate. Li abbiamo già citati diverse volte: si tratta di Creazzo, con 480 mila euro (si è sostenuto che è troppo: bene, probabilmente altri comuni otterranno di meno!), cui si aggiungono Calvenzano, Loreggia, Mapello (tutti comuni in provincia di Bergamo), San Benedetto Po, Sesto Calende. Vi sono altri comuni che hanno già riscattato, come Sirmione, 529 mila euro all'anno. Vi sono, inoltre, comuni che stanno preparando le gare e pensano di ottenere queste cifre: mi riferisco a Bussolengo (in provincia di Verona), per 514 mila euro, ed a Montebelluna (in mano alla sinistra), 26 mila abitanti, per 755 mila euro.
Ebbene, si tratta di cifre importanti. Non voglio fare ulteriori elenchi, ma desidero che quanto detto sia motivo di riflessione. È anche vero che gli equilibri attuali sono stati raggiunti a colpi di carte bollate, perché è evidente che, nel 2009 o nel 2012, ci sarà ancora qualcuno che, giustamente, nel suo interesse pretenderà di prolungare i termini per lo svolgimento delle gare.
Allora, dobbiamo stipulare un patto ben chiaro con le imprese, stabilendo una relazione proficua. Non dobbiamo fare, insomma, come don Abbondio. Don Abbondio, come scrive il Manzoni, non era nato con un cuor di leone, ma fin dai suoi primi anni aveva dovuto comprendere che la peggiore condizione, a quei tempi, era quella di un animale senza artigli e senza zanne, e che sentisse pure l'inclinazione ad essere divorato. La forza legale non proteggeva, in alcun modo, l'uomo tranquillo, inoffensivo, che non avesse altri mezzi per far paura ad altre persone.
Questa maggioranza non è una maggioranza di don Abbondio; è una maggioranza di persone che, lo ripeto, guardano negli occhi i propri figli pensando di investire su di loro. Come impegno, abbiamo, infatti, l'obbligo morale di lasciare ai nostri figli un mondo perlomeno non peggiore di quello che ci è stato consegnato e vogliamo stabilire un rapporto chiaro, lo ripeto, senza paura di sottomissioni ma allo stesso livello, anche con le parti produttive di questo paese, cui dobbiamo molto in termini di sviluppo, di civiltà e di progresso.
PRESIDENTE. Constato l'assenza dell'onorevole Liotta, iscritto a parlare; s'intende che vi abbia rinunziato.
È iscritto a parlare l'onorevole Saglia. Ne ha facoltà.
STEFANO SAGLIA. Signor Presidente, stiamo discutendo - e successivamente voteremo - il disegno di legge finanziaria. Si tratta di un provvedimento, a nostro avviso, migliorabile, come tutti provvedimenti, ma che si fonda su un ragionamento di politica economica non solo condivisibile, ma anche da sostenere con convinzione. Noi crediamo che questo disegno di legge finanziaria debba essere contestualizzato in un quadro nel quale vi sono due fenomeni fondamentali.
Il primo di tali fenomeni è rappresentato dagli aspetti relativi all'introduzione dell'euro nel nostro paese. Il secondo di tali fenomeni è rappresentato dalla concorrenza sleale asiatica.
Riguardo al primo problema, l'euro, se ha consentito all'Italia non solo di essere in Europa, ma anche di evitare problemi di tenuta degli aspetti economico-finanziari fondamentali dell'economia (problemi che si sono, invece, presentati in altri paesi), è stato tuttavia negoziato, a suo tempo, in maniera errata. Il Presidente del Consiglio lo ha ricordato ieri; anche noi riteniamo che la responsabilità del Presidente del Consiglio dell'epoca - successivamente
Presidente della Commissione europea, Romano Prodi - non debba essere sottaciuta. Non deve, cioè, essere nascosta la circostanza che, sebbene vi sia stato l'auspicabile ingresso nella moneta unica, vi sarebbe tuttavia dovuta essere anche una negoziazione adeguata nel momento in cui si è stabilito il cambio tra l'euro e la lira.
Questi sono fenomeni che hanno attraversato tutta la legislatura corrente: il potere d'acquisto dei cittadini diminuito; le difficoltà dell'economia delle famiglie le conosciamo. Abbiamo tentato in questi anni, come maggioranza, ma soprattutto come Governo, di affrontare una situazione economico-sociale non particolarmente felice. Nonostante ciò, l'occupazione è aumentata e si accennano segnali di ripresa anche sotto il profilo dell'industria del settore manifatturiero. Credo, quindi, che le misure adottate in questi anni abbiano consentito di uscire dalla crisi.
Il secondo fenomeno cui accennavo è la concorrenza asiatica. Si tratta di un fenomeno imprevisto dalle istituzioni, in particolare da quelle europee, e che, invece, è stato previsto dal ministro dell'economia e delle finanze, Giulio Tremonti, che ha voluto in questi anni contrastare sia la contraffazione sia la concorrenza sleale da parte di tali paesi. Anche su tale aspetto bisogna rilevare la grande assenza dell'Europa. Infatti, mentre l'Italia è stata protagonista di sollecitazioni importanti, soprattutto in riferimento all'applicazione delle quote per alcuni prodotti che subivano la concorrenza straordinaria - ad esempio, nel settore tessile -, l'Europa ha fatto fatica a rispondere. Non è possibile che l'Europa impieghi quattordici mesi per avviare una procedura per l'istituzionalizzazione di quote che potrebbero dare ossigeno e respiro alle imprese nazionali. Ricordiamoci che il made in Italy, che rappresenta la fonte principale della nostra economia, è uno dei settori che subisce fortemente detta concorrenza.
Dunque, in tale contesto, il Governo ha costruito la manovra economica, che coniuga rigore e sviluppo con la necessità, da un lato, della tenuta dei conti pubblici e, dall'altro, di avviare una ripresa economica, non senza dare segnali positivi sui temi della famiglia, sui quali si è esercitata con profitto la relatrice sul disegno di legge finanziaria, onorevole Garnero Santanchè, che ringraziamo per l'impegno che ha profuso in Commissione bilancio ed ora anche in Assemblea. Ciò dando anche segnali importanti sui costi della politica, proprio per dimostrare che, allorché vi è un sacrificio da fare, anzitutto debbono essere i parlamentari e coloro che gestiscono la cosa pubblica a dare il buon esempio. Non si tratta di demagogia, ma di cose concrete; si tratta della necessità di dare risposte vere ai bisogni della gente.
Per tornare al tema della politica economica ed industriale, valutiamo con estrema soddisfazione l'introduzione nel disegno di legge finanziaria delle misure relative ai distretti industriali. Per troppo tempo si è discusso del futuro di tali distretti e qualcuno ne ha previsto anche la fine. Noi siamo tra coloro che ritengono che i distretti debbano considerarsi sempre più come un'unica azienda. Attraverso le misure contenute nel disegno di legge finanziaria, volte a dare personalità giuridica ai distretti industriali, vi è la possibilità di affrontare quei nodi strutturali che il sistema delle piccole e medie imprese non è in grado di risolvere singolarmente. Mi riferisco alla internazionalizzazione delle imprese, alla formazione, alla ricerca e all'innovazione: tutte attività che, se compiute da un insieme di aziende, possono essere affrontate e superate con successo. Invece, se affrontate singolarmente, evidentemente non portano ad una soluzione del problema.
Spero che con queste misure si possa anche affrontare più efficacemente il tema del cosiddetto nanismo delle imprese. Se, da un lato, è vero che non si possono attuare processi di aggregazione di imprese per legge, perché il tessuto connettivo industriale del nostro paese non risponde a questa esigenza, dall'altro lato, si può costruire un percorso educativo per le imprese, affinché possano consorziarsi e mettere insieme servizi ai quali singolarmente non sarebbero in grado di accedere.
Questa è più di una norma propagandistica; se poi la si coniuga con la volontà espressa dalla Commissione bilancio di introdurre nel disegno di legge finanziaria tutte le misure contenute nel provvedimento sulla competitività, ci rendiamo conto che oggi abbiamo di fronte un disegno di legge finanziaria che affronta in maniera significativa i problemi della competitività delle imprese e della crescita economica.
Tale competitività può essere realizzata, come da tempo sostengono le associazioni di categoria, solo riducendo la pressione fiscale sul lavoro (ciò è effettivamente previsto nel disegno di legge finanziaria attraverso il cuneo fiscale), cercando di rendere la pubblica amministrazione meno invadente e tentando di superare tutti quegli aspetti burocratici che frenano lo sviluppo e la crescita delle imprese.
Parimenti, vi è la necessità di affrontare il tema relativo alle politiche energetiche. Il nostro gruppo ha presentato diversi emendamenti in Commissione bilancio, alcuni dei quali hanno trovato accoglimento. Quanto agli altri, immaginiamo di poterli sottoporre all'attenzione del Parlamento, ma anche di illustrarli nella prossima campagna elettorale, così come affermato da alcuni esponenti del centrodestra, attraverso progetti di legge che saranno sottoposti al giudizio dei cittadini, in modo che nella nuova legislatura si possa affrontare tale tema.
A nostro avviso, la politica energetica avrebbe bisogno di una nuova architettura dell'intervento: se, da un lato, la liberalizzazione dell'energia è un fatto compiuto per quanto attiene ad alcune questioni (la produzione, da una parte, e la vendita, dall'altra), vi sono ancora segmenti all'interno dei quali non vi è un'adeguata liberalizzazione. Da questo punto di vista, da un lato, non dobbiamo fare i campioni della liberalizzazione e dobbiamo guardare alle asimmetrie contenute nella situazione energetica dell'Unione europea (molti paesi, sostanzialmente, non hanno applicato le due direttive nel settore del gas ed elettrico adottate dall'Unione europea), dall'altro lato, dobbiamo completare il processo avviato nel 2000. Per fare ciò, è necessaria una riorganizzazione delle istituzioni che si occupano delle tematiche energetiche, affinché non vi sia una sovrapposizione fra diversi interlocutori, affinché le imprese possano accedere ai servizi energetici a prezzi più contenuti, affinché la concorrenza non impedisca la crescita delle imprese, a cominciare da quelle nazionali più significative.
È un punto di equilibrio complicato, ma crediamo che si possa raggiungere, per esempio, con la privatizzazione del gestore del mercato elettrico, con l'istituzione della «borsa del gas» e con una rivisitazione dei soggetti che intervengono nel mercato e che, in modo unitario, potrebbero gestire le stesse funzioni, con una possibilità di intervento più semplice e anche meno costosa per lo Stato.
Inoltre, potremmo avviare un processo di costruzione di rapporti internazionali più significativo. In questi anni la politica estera del paese è stata condotta con attenzione a queste tematiche. Basti pensare che oggi il nostro paese ha un'incidenza significativa rispetto alla materia prima del gas e giustamente il nostro Governo sta cercando di rendere molto più diversificato l'accesso all'approvvigionamento per non essere sottoposti a ricatti di un singolo paese o di paesi che, magari, hanno una condizione politica non stabile.
Su questi temi è intervenuto il disegno di legge Marzano, recante la riforma dell'energia proposta dal ministro delle attività produttive, che aveva luci e ombre, come abbiamo sempre detto. Tra queste luci, vi era sicuramente il tentativo di aumentare la capacità infrastrutturale del paese, ossia di riuscire a migliorare la produzione e la distribuzione delle fonti energetiche ed incentivare le fonti rinnovabili. È di queste settimane il successo che sta avendo il bando relativo all'energia solare e il fotovoltaico, giusto per rispondere al centrosinistra, che annuncia misure relative alle fonti rinnovabili senza rendersi conto dei passi in avanti che sono stati compiuti in questi anni.
Quindi, vi erano molte misure positive. In particolare, sull'infrastrutturazione anche nella legge finanziaria si prosegue con la linea tracciata volta ad aumentare la capacità di costruzione di nuovi impianti grazie a procedure autorizzative molto più semplificate. Stiamo assistendo a quanto accade in alcune parti del paese, con le proteste dei cittadini: ormai la cosiddetta «sindrome Nimby» ha invaso tutti noi, senza rendersi più conto di quali siano gli interessi veri del paese.
Naturalmente, tutte queste infrastrutture vanno realizzate con il consenso dei cittadini e con un'informazione adeguata, nell'ottica di uno sviluppo sostenibile, ma reale.
Noi, quindi, abbiamo accolto con favore le misure che sono state introdotte all'interno della legge finanziaria su questi argomenti. In particolare, ci è parso significativo proporre il tema delle tariffe sociali, non perché si voglia coltivare una cultura pauperistica, ma perché riteniamo che attualmente, come del resto è stato denunciato dall'autorità di settore da tempo, vi sia una parametrazione delle cosiddette tariffe sociali che non tiene conto di alcune caratteristiche fondamentali, ovvero il numero dei componenti della famiglia e il reddito della stessa.
Credo che questo elemento possa far riflettere il Governo e possa consentire di andare avanti con una politica sociale che è tutt'altro che inesistente, come afferma il centrosinistra.
Certo, noi abbiamo la responsabilità di aver tagliato le risorse del cosiddetto fondo sociale, che consentiva al comune di intervenire su alcune questioni. Tuttavia, per contro, abbiamo garantito misure sociali importanti, tra le quali quella che ho già citato. Mi riferisco, inoltre, soprattutto al 5 per mille per il volontariato o a tutte le misure portate a termine e che riguardano i nuovi nati, quindi le politiche sociali per quanto riguarda i servizi quali gli asili nido, le baby-sitter, eccetera, che sono politiche sociali adeguate e che, se sommate alle risorse date ai comuni, danno un risultato positivo al termine di questa operazione, così come danno un risultato positivo le risorse relative alla sanità.
Per tornare alle questioni energetiche, vorrei sottoporre all'Assemblea qualche altro elemento importante: nel dibattito in Commissione si è ritenuto di approvare un emendamento che proroga al 2010 l'obbligo di riduzione della partecipazione al capitale di SNAM da parte dell'ENI.
Su questo argomento, vi era un emendamento che proponeva la proroga al 2012, ma abbiamo ritenuto di anticipare il termine al 2010, perché, se da un lato dovevamo tutelare una impresa nazionale così importante come l'ENI (che si misura con competitori internazionali che hanno regole diverse e molto spesso più protezionistiche delle nostre), dovevamo anche trovare un termine entro il quale far combaciare gli elementi della liberalizzazione del mercato del gas (ovvero la introduzione dei tetti antitrust, che è stata compiuta attraverso il decreto n. 164 del 2000).
La preoccupazione evidente è che la liberalizzazione del mercato del gas, con questa misura, in qualche modo possa essere interrotta; qualora il Governo dovesse confermare questa iniziativa, esso dovrà dunque rinegoziare il proprio rapporto con l'azienda nazionale, con l'ENI, convincendolo a «sbottigliare» i gasdotti che oggi gestisce, a fare investimenti - che peraltro sono stati confermati nell'ordine di 4 miliardi di euro -, a conferire all'interno di SNAM anche le attività di Stogit, ovvero quelle degli stoccaggi.
Se si riuscirà a compiere questo percorso, noi crediamo che la liberalizzazione sarà compiuta e sarà consentito all'ENI di competere con i player internazionali, senza impedire la concorrenza nel mercato.
Il collega Polledri prima di me ha sottolineato gli aspetti relativi alle concessioni del gas. Anche su questo argomento, vorrei rubare qualche minuto all'Assemblea. Credo che l'iniziativa presa all'interno della legge finanziaria, con l'approvazione dell'emendamento Crosetto, sia valida per una ragione molto semplice.
Risulta contraddittorio che gli amici della Lega, a proposito delle concessioni comunali, da un lato dicano che le concessioni del gas debbano andare a gara nel 2007 e, dall'altro, propongano la discesa di ENI e SNAM nel 2012; queste due misure sono in contraddizione. È necessario mettere anche le imprese della distribuzione locale nella condizione di competere esattamente come gli altri esponenti del mercato e gli altri rappresentanti delle imprese.
Stiamo parlando di un settore, quello dei servizi pubblici locali, che riguarda 500 imprese in Italia e 45 mila dipendenti; il 35 per cento del gas e il 20 per cento dell'energia elettrica sono erogati da queste imprese, ed è necessario avere una politica unitaria, che faccia chiarezza. Mi ha fatto piacere leggere su una rivista di settore, il quotidiano Energia, a proposito delle concessioni del gas, che si sta facendo chiarezza nel mercato, grazie alla fissazione del transitorio termine al 31 dicembre 2007 (non più entro il 31 dicembre 2007).
Bisogna trattare queste materie con la dovuta cautela. Il decreto legislativo Letta del 2000 aveva stabilito una fase transitoria; nel percorso successivo si è approvata una norma che invece proponeva il riscatto anticipato. Questo senza tener conto che vi erano contratti in essere, condizioni già stabilite, investimenti fatti contando su queste annualità premiali, nel momento in cui si compiva questo percorso di liberalizzazione. Non si possono cambiare le regole del gioco mentre si esercita il mercato.
Su questo punto non vado oltre, voglio solo sottolineare un aspetto. Questo Governo e questa maggioranza si devono interrogare: facciamo le norme in virtù degli interessi dei cittadini e delle famiglie, dei consumatori, o in virtù degli operatori dei comuni? Questo è il punto. Se facciamo le leggi per i cittadini consumatori, dobbiamo costruire un sistema che consenta di mantenere le tariffe dentro un quadro regolatorio certo, altrimenti l'effetto di aste messe repentinamente in campo porta necessariamente ad un introito per i comuni, per quanto attiene alle concessioni, ma anche ad un aggravio nella bolletta per i cittadini. Allora, cerchiamo di far compiere un percorso al mercato secondo quanto stabilito, senza fughe in avanti, nella consapevolezza che i comuni hanno diritto a ricevere le royalties che gli spettano, senza però che questi costi si ripercuotano sulle tasche dei cittadini.
I cittadini, infatti, necessitano di imprese adeguate capaci di rispondere a servizi efficienti e che, soprattutto, esercitino un contenimento di quelle tariffe che crescono, non certo per la politica del Governo, che ha consentito che non aumentassero esponenzialmente, ma per il condizionamento determinato dalla continua fluttuazione del prezzo del petrolio.
Vorremmo sottolineare anche un altro aspetto riguardante le tematiche energetiche. Il Governo si appresta in questi giorni ad approvare il decreto sulle importazioni. Sappiamo quali difficoltà vi siano alla frontiera con la Francia e quale atteggiamento abbia questa nazione nei nostri confronti. Spero che vi sia un'azione diplomatica forte per impedire ai francesi di danneggiare i consumatori italiani e che il Governo si ponga finalmente il tema (come avevamo fatto presentando alcuni emendamenti) delle cosiddette imprese energivore. Mi riferisco a settori manifatturieri rilevanti, come la produzione della carta, del vetro, dell'acciaio, che scontano prezzi dell'energia non competitivi per la propria attività manifatturiera. Spero che il Governo si convinca, in modo che le proposte non accolte in Commissione trovino in altri provvedimenti risposte positive, sempre nell'ottica della crescita economica e della salvaguardia dei posti di lavoro.
In conclusione, consentitemi di porre una questione di carattere localistico. Al comma 62 del disegno di legge finanziaria sono state introdotte norme che sostengono la realizzazione di nuove infrastrutture, in particolare viabilistiche. Tramite il mio gruppo, ho presentato un emendamento su una di queste opere che sarebbe necessario portare avanti, riguardante in particolare il tema del sistema viabilistico della Valle Sabbia. È una valle in provincia
di Brescia che necessita di un intervento minimale per completare la realizzazione della viabilità in una zona montana, che ha difficoltà a mantenere sul posto le imprese che delocalizzano anche perché manca un sistema di trasporti adeguato. Spero, perciò, che il Governo trovi risposte a questi bisogni all'interno del maxiemendamento.
Il gruppo di Alleanza nazionale esprime quindi un giudizio positivo sulla manovra finanziaria e si augura che il lavoro condotto in Commissione bilancio, in particolare, dalla relatrice, onorevole Santanchè, e dal presidente, onorevole Giorgetti, sia rispettato dal Governo.
PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Castagnetti. Ne ha facoltà.
PIERLUIGI CASTAGNETTI. Signor Presidente, signor viceministro, questa è l'ultima finanziaria della legislatura, quella che consente di tirare le somme e di giudicare. Era giusto attendersi un bilancio politico sia retrospettivo sia prospettivo. Invece, ci troviamo di fronte ad un documento scritto, diciamo così, con il fiatone, da una squadra di guardiani delle dighe che corrono in tutte le direzioni a tappare la falle con le mani. L'ultima è l'anticipazione di questa mattina, che il maxiemendamento conterrebbe il condono fiscale per le imprese per il 2003-2004, notizia fino a ieri negata.
L'abbiamo scritta in ottanta ore ed approvata in quattro, ha dichiarato il Presidente del Consiglio, e si vede, aggiungo. È un documento economico «opaco», improvvisato, contraddittorio, pieno di rinvii a chi governerà domani. Sembra di essere nella situazione in cui - come diceva Kierkegaard - al comando della nave c'è il cuoco e l'altoparlante di bordo trasmette solo il menù. È una manovra finanziaria «senza capo né coda», con garbugli e bugie, nella speranza che a Bruxelles non ci capiscano molto, almeno per quei 120 giorni che ci distanziano dalle elezioni.
È in questi casi che, come diciamo noi, uomini della pianura padana, occorre cercare la «riga bianca» quella che sulla strada delle nebbie autunnali consente di procedere nella direzione giusta, pur senza vedere cosa vi è cento metri più avanti. La «riga bianca», per noi e per me, è la Costituzione. Quando non si sa dove mettere mano, la nostra Carta offre sempre riferimenti precisi. In questo caso, al contrario, l'elenco degli articoli violati della Costituzione ci offre un'idea precisa della confusione che regna nella «cabina di comando».
Avete violato contemporaneamente gli articoli 2, 3, 5, 31, 32, 35, 38, 97, 110 e 124 della Costituzione!
Vorrei soffermarmi, in particolare, su un dato (su cui anche noi dell'opposizione spesso sorvoliamo, mentre dovremo riprenderlo e metterlo al centro del lavoro nei prossimi anni, se saremo chiamati a governare l'Italia come io penso), quello dell'aumento della povertà in termini relativi ed assoluti.
È il dato che misura la capacità di Governo e la qualità etica di una classe dirigente, che misura la capacità della politica di essere pari alla sua missione. Non vi sarebbe bisogno, infatti, della politica, se non fosse necessario guidare le forze del mercato, al fine di assicurare, insieme alla crescita generale, anche l'equità possibile nella distribuzione della ricchezza... Scusi, Presidente... Sono iscritto io a parlare!
PRESIDENTE. Onorevoli colleghi, per cortesia!
PIERLUIGI CASTAGNETTI. Signor Presidente, fanno tenerezza ed insieme indignazione gli skatch che si recitano in queste settimane nella maggioranza per estendere i contributi per i pannolini dei neonati da un esercizio all'altro, a fronte di un impoverimento generale del paese, dopo un quinquennio buttato via.
Capisco che non fa tendenza oggi parlare di povertà: non siamo più negli anni del dopoguerra, nei quali La Pira parlava dell'«attesa della povera gente»! Capisco che certi discorsi rischiano di far affiorare echi di ideologie del passato! Capisco
benissimo che l'economia deve principalmente puntare alla crescita, poiché, mancando questa, non vi sarà ricchezza da distribuire! Dunque, certi discorsi non si fanno più: si danno per scontati oppure se ne fanno pochi cenni per dovere di ufficio. Purtroppo per noi, però, sono problemi che stanno riemergendo, sia pure in termini nuovi.
I nuovi poveri, infatti, sono persone spesso dall'aspetto normale, senza toppe nei pantaloni, mediamente acculturate, dignitose nella loro riservatezza, ma sono poveri e non solo alla quarta settimana del mese. Giancarlo Rovati, il presidente della commissione nazionale sull'esclusione sociale, li ha quantificati, utilizzando gli ultimi dati ISTAT dell'ottobre 2005, in 7 milioni e mezzo di italiani, pari all'11,7 per cento delle famiglie che si trovano al di sotto della linea convenzionale di povertà relativa.
Ad essere più colpite sono le famiglie numerose e quelle con tre o più figli minori, quasi il 24 per cento le prime e più del 26 per cento le seconde.
Il paese con il più basso tasso di natalità del mondo lascia sole le famiglie giovani che proliferano, cioè che producono il più prezioso bene pubblico, vale a dire i figli.
Le famiglie meno abbienti, come rivelano le ricerche, sperimentano difficoltà economiche soprattutto per pagare l'affitto, le bollette, i debiti accumulati ed una parte non piccola dichiara di incontrare difficoltà a comprare anche i cibi necessari per vivere.
Aumenta anche la povertà relativa, vale a dire il divario fra cittadini benestanti e «malestanti»!
Secondo la Banca d'Italia, i redditi degli operai e degli impiegati sono diminuiti in questi anni mediamente dell'1,8 per cento, quelli delle famiglie più disagiate del 4,4 per cento, mentre quelli dei professionisti e dei dirigenti sono saliti dal 6 all'8 per cento. Ma questi sono dati medi che non danno conto della misura dell'ingiustizia e delle sofferenze; in molti casi, non sono propriamente casi limite. Vorrei proporvi qualche esempio. Il salario medio di un lavoratore è attorno ai mille euro al mese ed il costo dell'affitto nelle aree urbane è attorno ai 600-700 euro.
Quante sono, allora, le famiglie in cui la metafora della quarta settimana comincia con il primo giorno del mese? I cosiddetti «incapienti» non pagano le tasse, perché il loro reddito è inferiore a 7.500 euro l'anno. Non pagano le tasse, ma come fanno con quel reddito a pagare l'affitto, il tram, il latte ed i vestiti?
Gli invalidi civili ricevono una pensione mensile pari a 233,87 euro, senza avere diritto agli assegni familiari per eventuali figli minori o a detrazioni fiscali di alcun tipo (ricordo ancora la cifra: 233,87 euro!).
Per le famiglie che hanno un bambino portatore di handicap, lo ricordo agli altri colleghi cattolici che sono contrari, come me, alla diagnosi embrionale ed all'aborto, è prevista un'indennità mensile per solo nove mesi l'anno, pari a 233,78 euro.
Ho fatto questo accenno ai colleghi cattolici perché credo che condividano con me il disagio di lunghe discussioni sui PACS e gli embrioni. Discussioni giustissime perché riguardano principi sacrosanti a cui corrisponde tuttavia un relativo silenzio, una certa disattenzione e assuefazione rispetto ai drammi strazianti dell'esistenza quotidiana di tante persone. Sento il peso e, in un certo senso, il fallimento della politica rispetto a tali realtà. Il fallimento perché vedo la rassegnazione silenziosa ad una sorta di ineluttabilità.
Siamo qui a dirvi - cari colleghi della maggioranza - che, se saremo chiamati a governare questo paese, vorremmo reagire a questo atteggiamento di rassegnazione. Prodi, Rutelli e Fassino ripetono le linee guida del nostro progetto: più concorrenza, più efficienza nella pubblica amministrazione, più fiscalità di vantaggio per il Mezzogiorno, una fiscalità premiale a favore di ricerca e innovazione, meno tasse sul lavoro, più welfare familiare, più politica di risanamento urbano e sociale nelle città. Come vedete, c'è l'impresa e c'è la persona. Nella vostra finanziaria non c'è né l'una né l'altra; tagliate i
trasferimenti alle regioni, impedite oltre certi limiti la mobilità sanitaria, penalizzando anche sotto questo profilo gli italiani più sfortunati.
Recentemente, Mario Pirani, su la Repubblica, ci ha dimostrato che, per quanto riguarda ad esempio il contrasto dei tumori della mammella, mentre in Val d'Aosta il metodo Veronesi è applicabile per il 73 per cento dei casi, in Calabria ciò avviene solo per il 33 per cento dei casi. La mammografia preventiva è praticata dal 35 per cento delle donne in Lombardia e dal 2 per cento delle donne in Sicilia e potrei citare altri indicatori.
Onorevoli colleghi, mi permetto di continuare ad infastidirvi e ad infastidirmi con questa casistica che descrive l'Italia di questa fine legislatura poiché nessuno di noi ha il diritto, a causa della responsabilità che ci deriva dall'essere parlamentari, di voltarsi dall'altra parte come se non dipendesse proprio da noi la possibilità che le cose cambino, come se non dovessero essere proprio strumenti legislativi quadro, come la legge finanziaria, a farsi carico di tali questioni.
Soffermiamoci un attimo sul tema del carovita. I giornali di queste settimane sono pieni di dati, il Censis parla di cupezza della società italiana di fronte all'aumento del costo della vita rispetto agli anni Novanta. Le famiglie si sono trovate con meno soldi da spendere e i comportamenti di consumo sono stati letteralmente scardinati. Parliamo, ad esempio, del tema della casa; ci consoliamo con il dato dell'80 per cento delle case in proprietà, ma all'interno di tale dato quante sono le seconde o terze case? Dieci anni fa un metalmeccanico poteva ancora comprarsi un alloggio con dieci annualità di stipendio, oggi ne servono sedici. Inoltre, dal 2000 ad oggi, gli affitti sono aumentati del 45 per cento.
Potremmo parlare del costo dei combustibili che, in questi ultimi tre anni, è triplicato. Secondo la Federconsumatori l'aumento del greggio ha pesato, solo nell'anno in corso, per 900 euro nel bilancio medio delle famiglie italiane. Vi avevamo chiesto di intervenire almeno con sgravi fiscali sull'IVA o congelando le accise, ma non avete fatto neanche questo!
Siamo arrivati al punto che la spesa al supermercato si torna a farla a rate, come nelle campagne della nostra Italia negli anni del dopoguerra. Il credito al consumo, secondo Assoimpegno - una associazione che raccoglie 50 istituti specializzati - è cresciuto di 5 punti nella ricca Milano da gennaio ad oggi; in Italia l'aumento sarebbe pari all'8,2 per cento. Per quanto riguarda il numero dei prestiti sono in difficoltà soprattutto le giovani coppie, gli anziani e gli extracomunitari.
E parliamo del lavoro precario. Precarietà non è sempre povertà, ma lo è spesso, e comunque è insicurezza strisciante. Oggi un giovane può essere assunto con 48 formule contrattuali diverse, tutte rigorosamente instabili. I lavoratori a tempo determinato sono 1.700 mila, le lavoratrici part time 2.800 mila, gli ex co.co.co sono oltre 1 milione.
Il reddito annuale lordo è pari mediamente a 11 mila euro. Al sud, le cose stanno ancora peggio: il lavoro nero nel Mezzogiorno è del 22 per cento, in Calabria quasi del 30 per cento. La precarietà riguarda soprattutto i giovani, il 70 per cento degli under 35 assunti negli ultimi anni. Non è vero che questa flessibilità è il primo passo verso un lavoro stabile e duraturo. Lo è stato fino alla fine degli anni Novanta, ai tempi dei contratti di formazione lavoro. Oggi il passaggio tra precarietà e lavoro stabile non supera il 21 per cento dei casi.
Tutti i giovani che lavorano con contratti annuali percepiscono contributi previdenziali del 17 per cento, ha osservato recentemente sulla stampa un sindacalista, in un sistema di calcolo contributivo e non retributivo: il 17 per cento. Il risultato sarà una «bomba» previdenziale che continuiamo a caricare, anno dopo anno. Per non parlare, da ultimo, delle «bombe» sociali, che nel silenzio e nella distrazione pressoché generalizzati si stanno alimentando nelle periferie delle nostre città. Se ne è parlato molto nelle settimane scorse, quando vi è stata la rivolta nelle banlieue
francesi, anche da parte degli esponenti più responsabili del Governo. Ma di questi problemi e delle loro conseguenze nella nostra vita futura non c'è traccia in questa legge finanziaria. Anzi, vi sono i segni di una colossale rimozione.
La riduzione colpevole del 7 per cento dei trasferimenti agli enti locali è il segno di una sfrontatezza politica che supera ogni immaginazione. Da oggi vi saranno ancora minori risorse per la coesione sociale. Anzi, c'è la cancellazione di ogni impegno di finanziamento assunto solo pochi mesi fa con le regioni, le province e i comuni per spese sociali che nel frattempo, sulla base di quell'impegno, gli enti locali hanno compiuto. «Che le città esplodano pure, tanto non le governiamo noi», sembra quasi di sentir dire.
Ecco quello che voi, ministri e uomini di una maggioranza politica che osa millantare eredità morali e paternità politiche assai improbabili, non avete fatto in questa lunga legislatura, una legislatura dissipata. Ecco l'Italia impoverita che ci lasciate, ecco il terreno su cui gli italiani vorranno misurare la nostra radicale diversità (Applausi dei deputati dei gruppi della Margherita, DL-L'Ulivo e dei Democratici di sinistra-L'Ulivo - Congratulazioni).
PRESIDENTE. È iscritta a parlare l'onorevole Magnolfi. Ne ha facoltà.
BEATRICE MARIA MAGNOLFI. Signor Presidente, onorevoli colleghi, la manovra finanziaria per il 2006 è il naturale epilogo di cinque anni di politiche sbagliate e non può essere giudicata fuori da questa narrazione. Per quanto riguarda la pubblica amministrazione, l'insieme degli atti e delle omissioni del Governo configura un disegno che, a un primo sguardo, può sembrare contraddittorio, ma a un esame più approfondito rivela una sua perversa coerenza.
Meno Stato, avevate detto in campagna elettorale, meno lacci e lacciuoli per liberare il dinamismo economico. Ed anche più privato e meno pubblico. Slogan ideologici, ispirati a un liberismo un po' semplificato e rozzo, tuttavia comprensibile, perfino attraente per molti ceti produttivi e per tanti elettori che vi hanno votato nel 2001. A questi ceti ed elettori avete costantemente continuato ad additare la pubblica amministrazione come un inutile baraccone, un gigantesco spreco da tagliare, un bubbone inefficiente su cui «ingrassano» i dipendenti pubblici. Per i professionisti della demagogia e dell'antipolitica la pubblica amministrazione è il nemico ideale, il drappo rosso da sventolare di fronte agli occhi del popolo delle partite IVA, secondo una logica di disgregazione del tessuto civile del paese che ha già prodotto danni incalcolabili dal punto di vista culturale e sociale.
Ma dietro la facciata degli slogan e della propaganda le azioni concrete erano di segno opposto: occupazione dello Stato, clientelismo, dilatazione della spesa pubblica, moltiplicazione degli incarichi e delle consulenze. Questa è la vicenda di questi anni, e va chiamata con il suo nome: si chiama ritorno al passato, regresso culturale, controriforma. Controriforma rispetto alle innovazioni degli anni Novanta, rispetto ai principi di imparzialità, semplificazione, efficienza, efficacia, trasparenza, qualificazione delle risorse umane. Controriforma rispetto alla strategia di modernizzazione della macchina pubblica e alla centralità del servizio reso ai cittadini.
Invece di privatizzare, avete costituito altre società pubbliche, l'una dentro l'altra, come matrioske.
Invece di semplificare la vita delle imprese e dei cittadini avete smantellato tutti gli strumenti realizzati a questo scopo dai Governi precedenti: sparito il nucleo per la semplificazione presso la funzione pubblica, soppresso di fatto l'osservatorio per la semplificazione con la partecipazione delle parti sociali, abbandonata la strada dei testi unici e della delegificazione (tanto che il Presidente del Consiglio si vanta del numero di nuove leggi approvate come di uno scudetto del Milan).
Invece di applicare le leggi sulla trasparenza avete mandato in prescrizione i reati contro la pubblica amministrazione grazie alla cosiddetta ex Cirielli e, in compenso, la finanziaria investe un milione
di euro all'anno per ingrossare la struttura dell'alto commissariato contro la corruzione: ci saranno alcuni amici bisognosi di incarico!
Avevate promesso la meritocrazia e avete promosso dirigenti senza concorso: i vostri portaborse. La legge Frattini, che ha generalizzato la pratica dello spoil system ha di fatto buttato alle ortiche il principio dell'imparzialità della pubblica amministrazione sancito dall'articolo 79 della Costituzione, sostituendolo con il criterio dell'affidabilità politica: galoppini e colleghi di partito sono stati assunti dai ministeri, gonfiando gli uffici di diretta collaborazione politica fino all'inverosimile.
Dai conti della Ragioneria dello Stato risulta che i costi di questi uffici, ovvero, le segreterie particolari, i portavoce, gli uffici stampa, gli addetti agli eventi - ci sono anche questi - sono aumentati del 20 per cento dal 2001 al 2005, pur essendo diminuito il numero dei ministeri da 24 a 14 per effetto delle riforme dei Governi precedenti.
Mentre il ministro Baccini inaugura il numero verde anti-sprechi i cittadini italiani pagano circa 200 milioni di euro l'anno - 400 miliardi delle vecchie lire - per gli addetti agli staff dei ministri. Solo gli staff del Ministero dell'economia e delle finanze contano quasi 450 persone non impegnate a far tornare i conti pubblici del paese o far pagare le tasse a tutti gli italiani, bensì addetti alle persone del ministro, dei due vice ministri e dei cinque sottosegretari.
Un quotidiano ha pubblicato questo dato e il ministro Tremonti lo ha di fatto ammesso, replicando che aveva avuto troppo da fare per occuparsi di contare gli addetti del suo staff: li abbiamo contati noi! Sono quasi 450 persone, corrispondenti all'intera pianta organica di un comune di media dimensione, oltre 100 in più rispetto all'organico previsto e con un incremento di 6 milioni di euro rispetto al 2001, quando i Ministeri erano due, tesoro e finanze.
Quando vedo il ministro Tremonti che dai salotti televisivi spara bordate a raffica contro gli enti locali, contro le auto blu dei sindaci, le notti bianche o la sagra del rospo mi sento in dovere, pur detestando l'antipolitica e lo scandalismo, di denunciare questa sfrontata operazione politica messa in scena con la finanziaria 2006, che corrisponde ad un disperato rovesciamento della realtà.
La realtà è che il sistema degli enti locali in questi anni è stato costretto fra enormi difficoltà a comprimere la spesa, anche riorganizzando i servizi, ritoccando le tariffe e razionalizzando la macchina pubblica.
Al contrario, la pubblica amministrazione centrale, in tutte le sue articolazioni, ha conosciuto notevoli aumenti di spesa, sia per il personale, sia per i consumi intermedi. La Corte dei conti ha rilevato che i pagamenti della pubblica amministrazione centrale nel primo semestre del 2005 superano del 10 per cento quelli del primo semestre 2004 e sono i più elevati dell'intero quinquennio: è ormai dimostrato che i programmi sui tagli e anche la regola del 2 per cento non hanno avuto altro effetto che spostare da un anno all'altro tutte le spese che il Governo non è stato capace di tagliare.
Quanto alle politiche del personale, i direttori generali dei ministeri sono aumentati di 103 unità. È imprecisato l'aumento dei dirigenti di prima fascia, ma la stessa legge finanziaria prevede l'area separata della vice-dirigenza con un aumento di spesa di 15 milioni di euro per il 2006 e di 20 milioni di euro per i due anni successivi. Oltre 10 dirigenti in più sono stati nominati senza concorso solo presso la scuola superiore dell'economia e delle finanze con un mero provvedimento del rettore che è anche capo di gabinetto del ministro Tremonti.
Lo spoil system della cosiddetta legge Frattini aveva almeno stabilito un argine con la regola del semestre bianco: non si possono nominare gli amici a fine legislatura. Tuttavia, anche questo evidentemente risulta un vincolo troppo stretto e al Senato si è già approvata la deroga per il semestre bianco per il direttore dell'agenzia regionale della sanità, assunto come capo della segreteria del ministro Storace.
Circola da settimane, lo voglio ricordare, il testo di un emendamento che viene attribuito ora al Governo ora alla relatrice che prevederebbe la stabilizzazione di un numero imprecisato - c'è chi dice qualche centinaio - di consulenti, addetti agli staff, nei ruoli dirigenziali della pubblica amministrazione, senza concorso e per meriti politici. Se questo dovesse avvenire sarebbe uno schiaffo a decine di migliaia di giovani italiani che ogni giorno studiano e si preparano per sottoporsi a regolari concorsi per entrare nella pubblica amministrazione.
Insomma, le uniche scelte di rigore sono rivolte verso gli altri: verso gli enti locali e verso i lavoratori precari con una sforbiciata del 40 per cento sui contratti in essere nel 2003 che, secondo un calcolo effettuato dai sindacati, assommerebbero a circa 100 mila unità. Ciò significa che, mentre si assumono i portaborse, circa centomila persone perderanno il lavoro; quel lavoro, sia pure precario, grazie al quale, in questi anni di blocco delle assunzioni e perfino del turn over, si sono mandati avanti tanti servizi essenziali che non hanno nulla di precario: università, centri di ricerca, scuole, ospedali e quant'altro.
La pubblica amministrazione è un organismo complesso, difficile da riformare; serve determinazione e coerenza. Tutte le recenti indagini dimostrano che i cittadini italiani desiderano più servizi pubblici e di migliore qualità. Un obiettivo ineludibile per garantire diritti, per far ripartire il paese e per recuperare competitività; ma per raggiungerlo ci vuole un'infrastruttura amministrativa moderna ed efficiente fatta di persone motivate a cui viene riconosciuta dignità e ruolo sociale, disposte ad essere valutate per i risultati che raggiungono ma non umiliate in attesa di contratti che non vengono mai rinnovati e, quando finalmente vengono rinnovati, non vengono finanziati. Guardate, nella finanziaria mancano le risorse per i prossimi contratti pubblici, il che determinerà un buco di bilancio di almeno tre miliardi di euro destinato ad aggravare il dissesto delle finanze pubbliche. Al contrario, bisogna investire sulle risorse umane e sulla loro qualificazione e sulla cultura del servizio, sulla cultura gestionale e sull'utilizzo delle nuove tecnologie.
Negli anni precedenti abbiamo denunciato che l'investimento in innovazione tecnologica era costantemente al di sotto delle necessità e per di più finalizzato a scelte non prioritarie. Le vostre maggiori premure non sono andate all'e-government, che è la vera leva strategica per cambiare i processi amministrativi, ma sono andate al digitale terrestre ovvero alla grande mistificazione con cui avete dato un alibi tecnologico alla cosiddetta legge Gasparri: 120 milioni di euro nel 2004, 110 milioni di euro nel 2005 e, perfino nella finanziaria per il 2006, proponete 10 milioni di euro per i decoder nelle aree cosiddette all digital. È bene ricordare che i decoder che lo Stato regala alle famiglie senza alcun limite di reddito sono commercializzati in Italia dalla società Solari.com di proprietà del fratello del Presidente del Consiglio dei ministri, e poiché la produzione di contenuti digitali è ancora irrilevante, l'unico uso che le famiglie ne possono fare è quello di vedere le partite; inoltre, poiché Mediaset si è aggiudicata i diritti del calcio, le famiglie a cui il Governo, guidato da Berlusconi, regala i decoder di Berlusconi, sono costrette ad usarli per vedere le reti televisive di Berlusconi con gli spot che le imprese italiane pagano a Berlusconi.
A parte i decoder, sulla innovazione tecnologica in finanziaria c'è veramente poco: 5 milioni di euro una tantum per i progetti regionali nel settore della sicurezza; 3,4 milioni di euro, che si riducono nel 2008 a 1,8, per facilitare le donazioni dei vecchi computer e la costruzione della società digitale. Nel frattempo, secondo l'indice di preparazione nelle tecnologie ICT, stilato dal World economic forum, l'Italia nell'ultimo anno è precipitata dal ventottesimo al quarantesimo posto, dopo la Tunisia e la Giordania.
Ecco perché noi su questa finanziaria siamo molto pessimisti ma, al tempo stesso, pensiamo di doverci dare da fare immediatamente perché l'eredità sarà molto pesante e molto difficile. Ci sono
tagli alla modernizzazione della pubblica amministrazione, ad esempio, nei ministeri per oltre 600 milioni di euro che si faranno sentire nei prossimi anni. Ci sono tagli alle reti con 45 milioni di euro in meno per combattere il digital divide nelle regioni del sud e nelle zone disagiate. C'è, infine, il giallo della carta di identità elettronica, prevista all'articolo 61, dichiarato inammissibile al Senato, dietro il quale, ancora una volta, c'è l'ombra di un conflitto di interessi. Insomma, l'eredità sarà pesante. Le vostre responsabilità nella pubblica amministrazione non sono più occultabili. Si è interrotto un processo virtuoso di cambiamento, di modernizzazione, proprio nel momento in cui il paese ne aveva maggiore bisogno.
Ne hanno bisogno le imprese, che denunciano un costo della burocrazia su di esse per 10 miliardi di euro l'anno, ma ancora di più ne hanno bisogno i cittadini, le donne e gli uomini di questo paese (e sottolineo le donne, perché sono la maggior parte degli utenti dei servizi pubblici).
All'Unione toccherà il compito di rilanciare la tensione riformatrice. Dovrà farlo in tempi brevissimi. Abbiamo le idee ed i progetti per farlo. Abbiamo la credibilità, che ci viene dalle riforme realizzate, da quelle del ministro Cassese a quelle del ministro Bassanini. Abbiamo l'entusiasmo ed il coraggio necessari. Grazie (Applausi dei deputati del gruppo dei Democratici di sinistra-L'Ulivo).
PRESIDENTE. Non vi sono altri iscritti a parlare e pertanto dichiaro chiusa la discussione congiunta sulle linee generali.
Il seguito del dibattito, per le repliche dei relatori e del Governo, è rinviato alla ripresa pomeridiana della seduta, che sospendo fino alle 15,30.
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