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si è appena conclusa una ricerca del Centro Clinico di Medicina Naturale dell'Asl 11 di Empoli (Firenze), per valutare l'uso dei prodotti a base di erbe da parte dei pazienti ricoverati negli ospedali di Empoli, Castelfiorentino, Fucecchio, San Miniato;
la ricerca è stata condotta da personale specializzato tramite somministrazione di uno specifico questionario a tutti i degenti ed è emerso che su 197 soggetti ben il 48,7 per cento utilizza prodotti a base di erbe. Di questi il 49,4 per cento scopo salutistico, mentre il 51,6 per cento per la cura di vere e proprie malattie (più spesso disturbi digestivi, ma anche problemi genito-urinari, cardio-circolatori e respiratori);
il primo dato rilevante è rappresentato dal numero di coloro che utilizzano le erbe a scopo curativo, che costituiscono il 20,8 per cento di tutti gli intervistati. Si tratta di una percentuale molto più alta di quella attesa, in particolare se si considerano i dati ISS-ISTAT della media nazionale (4,8 per cento o regionale (5,6 per cento relativi alla Fitoterapia;
dall'indagine risulta anche che viene seguito il consiglio dell'erborista nel 35,4 per cento dei casi, del farmacista nell'11,4 per cento la prescrizione del medico nel 22,8 per cento o si ricorre all'automedicazione nel 20,3 per cento;
più frequentemente le erbe sono utilizzate sotto forma di tisana (60,2 per cento) acquistate in erboristeria (43,4 per cento) o in farmacia (36,1 per cento);
il dato più sconcertante è, tuttavia, quello relativo ai pazienti che raccolgono le erbe spontanee nei campi: ben 12 pazienti (14,4 per cento) fa ricorso abitualmente a questa pratica e le conseguenze sono facilmente intuibili. Oltre alla possibile attribuzione di nomi e proprietà discordanti tra loro, il rischio reale sta nella raccolta di erbe inquinate (da metalli pesanti, pesticidi etc ...) se non addirittura tossiche;
dal questionario è, infatti, emerso che ben due pazienti facevano uso di una pianta ritenuta sicura, perché consigliata in medicina popolare, la cosiddetta «Erba Querciola» o Camedrio (Teucrium Chamaedrys L.), usata dai due pazienti per vari disturbi, e addirittura da loro consigliata a parenti ed amici, che in realtà è ampiamente conosciuta come tossica, ed il suo uso peraltro è formalmente proibito sotto tutte le forme dallo stesso Ministero della Salute;
i due pazienti sono stati prontamente informati dei possibili danni che la pianta può provocare al fegato ed ovviamente invitati a non utilizzarla più, né a consigliarla;
la ricerca ha consentito di constatare come il ricorso alle erbe, spesso all'insaputa del medico curante, sia in realtà superiore ai dati ufficiali e come sia indispensabile ed urgente che le strutture pubbliche dedichino sempre più tempo alla corretta informazione dei pazienti su ogni pratica ed utilizzo di forme di cura che li riguardi -:
se il Governo, sentita la Conferenza Stato e Regioni, intenda avviare una campagna di sensibililizzazione e informazione specifica circa il corretto uso dei prodotti erboristici e i rischi connessi ad un errato utilizzo.
(4-18852)
hanno avuto di recente ampio risalto, in Sardegna, le dichiarazioni di un «medico di famiglia» che «da 35 anni» ha in cura gli abitanti di Arborea, e che in tale veste avrebbe avuto modo di riscontrare «un aumento dei tumori», alla mammella, all'utero, all'intestino, alla prostata, alla pelle, per un totale, nel piccolo centro, di «un centinaio di casi, nel giro di tre anni» (L'Unione Sarda, edizione del 26 novembre 2005, pagina 9);
nello stesso periodo, sarebbe anche «cresciuto il tasso di inquinamento nel territorio» sopra indicato, in particolare per la «percentuale eccessiva di nitrati, legata a un'agricoltura di tipo intensivo e all'allevamento del bestiame»;
nel territorio di Arborea, in un'area di 30 mila ettari, risultano oggi attive 260 aziende e sono allevati 30 mila capi di bestiame, in prevalenza bovini, per la produzione di latte;
per trattare adeguatamente i rifiuti organici e i residui di tali attività, era stato realizzato un depuratore, che, per quanto oggi si apprende, «sinora è rimasto pressoché inattivo»;
tale depuratore, «riconvertito» per «trattare reflui civili e di lavaggio delle sale di mungitura», sarebbe situato, però, in prossimità di un'azienda (la 3A) che «produce latte di qualità»; per spostare tale depuratore occorrerebbe disporre di ingenti finanziamenti, addirittura stimati in «30 milioni di euro» (fonte citata);
i dati scientifici sinora raccolti hanno evidenziato «nelle falde idriche» della zona citata «un certo tasso di nitrati che deriva dall'elevato carico di animali nel territorio. A causa di questo inquinamento, il territorio di Arborea è stato classificato "zona vulnerabile"»;
peraltro, non sarebbe dimostrata l'esistenza di un nesso causale tra la presenza dei suddetti fattori inquinanti e l'insorgenza, o l'incremento, di malattie tumorali;
mancano, del resto, a tale proposito, le «indagini epidemiologiche» né si dispone di un «Registro dei tumori»;
sembra necessario ottenere ogni utile verifica delle notizie sopra riferite, al fine di evitare la diffusione di preoccupazioni infondate ovvero il protrarsi di situazioni che effettivamente mettano in pericolo l'incolumità pubblica -:
quali dati e notizie siano a disposizione del Governo in relazione alla situazione dell'inquinamento ambientale nel territorio di Arborea, in Sardegna, e a proposito dell'incidenza di patologie (anche tumorali) che possano mettersi in relazione a tali fattori inquinanti;
quali iniziative siano state assunte, o si vogliano intraprendere, anche in vista dell'esercizio di eventuali interventi sostitutivi degli organi competenti, al fine di controllare costantemente la concentrazione degli elementi inquinanti, nella zona di Arborea, e per ridurre o eliminare l'impatto ambientale delle attività che in quel territorio si svolgono.
(4-18855)
in attuazione della legge 14 agosto 1991, n. 281, recante «Legge quadro in materia di animali da affezione e prevenzione del randagismo» i comuni e i servizi veterinari delle aziende sanitarie locali sono tenuti a garantire che i cani vagabondi vengano affidati ad apposite strutture di ricovero e a vigiliare sul loro stato di salute e benessere;
nel comune di Cicerale, in provincia di Salerno, opera un canile privato denominato «Oasi del cane», convenzionato con molti comuni e aziende sanitarie locali, il quale provvede alla cattura ed alla detenzione dei cani randagi;
i sistemi di cattura e i metodi di detenzione sono brutali e privi di ogni rispetto per gli animali;
appare sospetto l'elevato tasso di mortalità dei cani all'interno del canile, considerato che la legge proibisce la soppressione degli animali, a meno che non siano gravemente malati o di comprovata pericolosità;
sono state presentate numerose denunce per casi di maltrattamento da parte degli operatori della struttura di ricovero;
numerose altre irregolarità nella gestione dei canile e del servizio di cattura dei cani sono state puntualmente denunciate alle autorità competenti, senza che le denunce inviate abbiano avuto alcun seguito -:
se si ritenga, ferma restando la competenza in materia delle regioni e degli enti locali, e a fronte dell'inerzia degli stessi, che ricorrano i presupposti perché sia disposta un'ispezione dei Nas presso il canile citato in premessa;
quali dati, relativi a tutto il territorio nazionale, siano a disposizione del Governo in merito al corretto mantenimento degli animali custoditi presso i canili.
(4-18857)