Resoconto stenografico dell'Assemblea

Seduta n. 717 del 12/12/2005


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PRESIDENZA DEL VICEPRESIDENTE MARIO CLEMENTE MASTELLA

La seduta comincia alle 10,30.

ANTONIO MAZZOCCHI, Segretario, legge il processo verbale della seduta del 2 dicembre 2005.
(È approvato).

Missioni.

PRESIDENTE. Comunico che, ai sensi dell'articolo 46, comma 2, del regolamento, i deputati Alemanno, Aprea, Armosino, Arrighi, Baccini, Ballaman, Bellotti, Berlusconi, Berselli, Bielli, Caligiuri, Contento, Cordoni, Delfino, Dell'Elce, Di Virgilio, Dozzo, Giuseppe Drago, Fini, Fragalà, La Malfa, Mantovano, Manzini, Maroni, Martinat, Martusciello, Matteoli, Miccichè, Angela Napoli, Papini, Piscitello, Possa, Prestigiacomo, Ramponi, Romano, Rosso, Ruggeri, Santelli, Saponara, Scajola, Scarpa Bonazza Buora, Selva, Soda, Sospiri, Stefani, Tanzilli, Tremaglia, Tremonti, Urso, Valducci, Valentino, Viceconte, Vietti e Vitali sono in missione a decorrere dalla seduta odierna.
Pertanto i deputati complessivamente in missione sono cinquantasette, come risulta dall'elenco depositato presso la Presidenza e che sarà pubblicato nell'allegato A al resoconto della seduta odierna.

Ulteriori comunicazioni all'Assemblea saranno pubblicate nell'allegato A al resoconto della seduta odierna.

Discussione congiunta dei disegni di legge: S. 3613 - Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato (legge finanziaria 2006) (Approvato dal Senato) (A.C. 6177); S. 3614 - Bilancio di previsione dello Stato per l'anno finanziario 2006 e bilancio pluriennale per il triennio 2006-2008 (Approvato dal Senato) (A.C. 6178); Nota di variazioni al bilancio di previsione dello Stato per l'anno finanziario 2006 e bilancio pluriennale per il triennio 2006-2008 (A.C. 6178-bis); Seconda nota di variazioni al bilancio di previsione dello Stato per l'anno finanziario 2006 e bilancio pluriennale per il triennio 2006-2008 (A.C. 6178-ter) (ore 10,35).

PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca la discussione congiunta dei disegni di legge, già approvati dal Senato: Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato (legge finanziaria per il 2006); Bilancio di previsione dello Stato per l'anno finanziario 2006 e bilancio pluriennale per il triennio 2006-2008; Nota di variazioni al bilancio di previsione dello Stato per l'anno finanziario 2006 e bilancio pluriennale per il triennio 2006-2008; Seconda nota di variazioni al bilancio di previsione dello Stato per l'anno finanziario 2006 e bilancio pluriennale per il triennio 2006-2008.
Avverto che lo schema recante la ripartizione dei tempi per la discussione congiunta sulle linee generali è pubblicato in calce al vigente calendario dei lavori dell'Assemblea (vedi calendario).

(Discussione congiunta sulle linee generali - A.C. 6177 e A.C. 6178)

PRESIDENTE. Dichiaro aperta la discussione congiunta sulle linee generali.
Avverto che i presidenti dei gruppi parlamentari di Rifondazione comunista e


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della Margherita, DL-L'Ulivo ne hanno chiesto l'ampliamento senza limitazioni nelle iscrizioni a parlare, ai sensi dell'articolo 83, comma 2, del regolamento.
Avverto altresì che la V Commissione (Bilancio) si intende autorizzata a riferire oralmente.
Il relatore per la maggioranza sul disegno di legge n. 6177, onorevole Garnero Santanchè, ha facoltà di svolgere la relazione.

DANIELA GARNERO SANTANCHÈ, Relatore per la maggioranza sul disegno di legge n. 6177. Signor Presidente, onorevoli colleghi, iniziamo oggi la discussione del disegno di legge finanziaria su cui si è svolto in Commissione bilancio un esame approfondito molto impegnativo.
La Commissione è stata occupata nelle scorse settimane da un confronto molto serrato. Abbiamo lavorato intensamente, ricorrendo anche a sedute notturne, spinti dalla convinzione che non si dovesse rinunciare alla possibilità di intervenire per migliorare quello che rimane il provvedimento più importante di un intero anno: la legge finanziaria.
Si è svolta una discussione che ha coinvolto tutte le forze politiche, di maggioranza e di opposizione, e che ha coinvolto anche numerosi colleghi di altre Commissioni.
Abbiamo fatto un lavoro molto proficuo, che ci ha permesso di apportare numerose modifiche migliorative e consistenti integrazioni al testo che era stato approvato dal Senato.
Credo di interpretare una sensazione diffusa se rilevo che dall'esperienza di quest'anno esce ancora di più rafforzata la convinzione per cui una riforma della disciplina degli strumenti di bilancio è assolutamente necessaria.
Allo stesso tempo, però, non dobbiamo trascurare il fatto che l'esigenza di assumere tante decisioni importanti in un arco temporale ristretto, qual è quello a disposizione del Parlamento per la definizione della legge finanziaria, costringe tutti quanti, Governo e forze politiche, a uno sforzo aggiuntivo di responsabilità per mettere a fuoco le priorità alla luce della compatibilità, e per superare quella tendenza, molto diffusa nel nostro paese, a temporeggiare e a rinviare.
Insomma, se è vero che l'iter della finanziaria si conferma particolarmente convulso, è altrettanto vero che, paradossalmente, la legge finanziaria rimane lo strumento più efficace a disposizione del legislatore.
Dobbiamo allora domandarci se non si debba avviare un confronto per un riesame più generale delle riforme e delle procedure che regolano l'attività legislativa, e non soltanto la legge finanziaria, in modo da valorizzare i diversi strumenti a disposizione.
Fatta questa premessa di carattere generale, devo rilevare che nel caso specifico della legge finanziaria 2006, il lavoro che abbiamo svolto in Commissione ha permesso di affrontare e anche di risolvere numerosissimi problemi, tutt'altro che microsettoriali. Mi riferisco in primo luogo alle norme che sono state introdotte per rafforzare l'efficacia degli strumenti di controllo della spesa, ma anche alla modifiche apportate alle disposizioni riguardanti il patto di stabilità interno. Allo stesso modo, sono stati fatti numerosi interventi per quanto riguarda il comparto del welfare, con particolare riguardo alla famiglia e senza trascurare le disposizioni finalizzate ad offrire strumenti utili per una ripresa dell'economia.
La manovra finanziaria del 2006 si è articolata, oltre che nella legge finanziaria, anche nel decreto-legge n. 203 del 2005, recentemente convertito in legge. È una manovra coraggiosa, in cui prevalgono gli interventi correttivi rispetto a quelli espansivi.
L'Europa e i mercati finanziari ci hanno sollecitato a dimostrare la nostra serietà. Il Governo e questa maggioranza non si sono sottratti e hanno risposto a queste sollecitazioni. Come hanno ammesso anche autorevoli rappresentanti dell'opposizione, la manovra è estremamente rigorosa e non ha assolutamente quel profilo elettoralistico che secondo alcuni critici avrebbe inevitabilmente connotato


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l'ultima finanziaria prima delle elezioni, a differenza - lo devo sottolineare - di quanto accaduto invece con la legge finanziaria approvata nell'ultimo anno della precedente legislatura.
L'onorevole Visco, in particolare, ha manifestato in Commissione un certo stupore per la scelta del Governo di porre in essere una manovra di contenimento piuttosto che di espansione della spesa, rilevando che in questo modo si sarebbe determinata una vera e propria inversione di tendenza rispetto agli anni precedenti, in cui l'attuale maggioranza e il Governo avrebbero, a giudizio dell'onorevole Visco, dimostrato scarsa sensibilità per l'esigenza della tenuta dei conti pubblici.
Naturalmente non posso condividere questo giudizio, in primo luogo perché la difficoltà di rispettare i parametri di Maastricht accomuna, prima di tutto, la Francia e la Germania, e poi l'Italia. Sarebbe allora opportuno che anche la nostra opposizione cominciasse a interrogarsi sulle ragioni per cui i maggiori paesi dell'UE vivono le stesse o comunque analoghe difficoltà, sia dal punto di vista dell'economia reale sia per quanto riguarda la finanza pubblica, e non limitarsi a descrivere invece con toni catastrofici la condizione dei nostri conti pubblici, che certamente è difficile, ma che questo Governo e questa maggioranza hanno saputo tenere sotto controllo.
In realtà, la manovra molto stringente di contenimento della spesa che è stata posta in essere con la legge finanziaria in esame è pienamente riconducibile agli obiettivi di politica economica che questo Governo e questa maggioranza stanno perseguendo sin dall'inizio della legislatura. Si tratta, in sostanza, di affrontare seriamente il problema, che a mio avviso è il problema dei problemi, della spesa pubblica, per smentire il luogo comune per cui il suo andamento risponderebbe sempre e comunque a logiche inerziali per la sua crescita, e sarebbe un fatto pressoché inevitabile.
La decisione di affrontare il nodo della spesa pubblica deriva in primo luogo dalla convinzione per cui non è più accettabile un ulteriore incremento della pressione fiscale, che deve anzi proseguire il percorso di discesa avviato, nonostante tutte le difficoltà finanziarie, in questa legislatura. Siamo infatti convinti che le entrate non debbano inseguire l'andamento della spesa. Allo stesso tempo, siamo convinti del fatto che la composizione della spesa deve cambiare, per cui la spesa va indirizzata verso le forme di impiego in grado di produrre effetti positivi sullo sviluppo dell'economia.
Ridurre la spesa pubblica nel nostro paese è sicuramente un'operazione molto difficile, perché immediatamente si scatenano le reazioni dei vari settori che lamentano sempre con toni tragici danni irreversibili, quando per lo più si tratta invece di intaccare privilegi. In una società fortemente «corporativizzata» come quella italiana ci vuole una buona dose di coraggio per affrontare questo tema, e questo coraggio lo hanno avuto sia il Governo sia la maggioranza del Parlamento. E allora mi domando se la nostra opposizione avrebbe avuto lo stesso coraggio e sarebbe stata in grado, soprattutto in una situazione economica difficile, di avviare le impegnative riforme strutturali, come quella del mercato del lavoro e quella previdenziale.
Questa convinzione ci ha indotto ad inserire nel testo del disegno di legge finanziaria, nel corso dell'esame in Commissione, in accordo con il Governo, alcune misure dirette a responsabilizzare ulteriormente i centri di spesa ad un comportamento che deve essere più rigoroso e ad una maggiore responsabilità, anche attraverso un più attivo coinvolgimento della Corte dei conti, con la quale la Commissione ha avviato un proficuo rapporto. In questo modo, otterremo l'ulteriore vantaggio di un costante monitoraggio dell'andamento della spesa a vantaggio oltretutto di quella trasparenza dei conti su cui ha insistito, anche in Commissione, l'onorevole Pennacchi.
Occorre, infatti, valorizzare le strutture a disposizione, piuttosto che inseguire,


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come abbiamo letto su alcuni giornali, fantasiose ipotesi di creare nuove autorità per quanto riguarda i conti pubblici.
In qualità di relatore, valuterò positivamente ulteriori iniziative per il contenimento della spesa che dovessero emergere nel prosieguo dell'esame della legge finanziaria.
Per quanto riguarda, invece, gli enti territoriali, siamo convinti che le modifiche che abbiamo apportato rispondano, oltre che ai rilievi avanzati dalla recente sentenza della Corte costituzionale, anche ad una logica di maggiore equità, per cui non si debbono penalizzare quegli enti virtuosi che, nel corso degli anni, hanno rispettato il patto di stabilità.
Abbiamo, quindi, riscritto interamente questa parte della legge finanziaria, definendo regole più flessibili e differenziate a seconda delle dimensioni demografiche e territoriali degli enti, favorendo, in particolare, le spese destinate agli investimenti, per le quali sono stati individuati vincoli meno stringenti in relazione alle risorse che potranno essere reperite mediante l'alienazione di cespiti. Abbiamo, inoltre, provveduto a rifinanziare il fondo per la montagna.
Gli interventi di modifica più corposi che sono stati apportati al testo approvato dal Senato riguardano soprattutto la spesa sociale e, in particolare, la famiglia.
Su questo terreno rivendico con orgoglio il lavoro che abbiamo svolto in Commissione. Abbiamo insistito affinché si rafforzasse una connotazione sociale di questa legge finanziaria, perché siamo convinti che siano soprattutto i nuclei familiari che hanno dovuto affrontare i sacrifici più pesanti per il rialzo dei prezzi che si è registrato dopo l'introduzione dell'euro e soprattutto per il protrarsi di una bassa crescita dell'economia.
Sono a tutti noti le difficoltà e gli ostacoli che incontrano, in particolare, le giovani coppie che vogliono costruire una famiglia. Il livello bassissimo del tasso di natalità che si registra nel nostro paese - praticamente il più basso tra i paesi sviluppati - costituisce il più preoccupante indicatore di una condizione di crisi che non investe soltanto la sfera economica e che ha una valenza molto più generalizzata.
Siamo in presenza di un quadro che non sembra offrire sufficienti prospettive ai giovani, i quali, purtroppo, finiscono per investire poco sul loro futuro e per avere scarse possibilità nella crescita.
A soffrire di più in questa situazione - devo dirlo - sono le donne, strette tra la giusta aspirazione a svolgere un ruolo più attivo nella società e nel mondo del lavoro e le difficoltà di far fronte, tutti i giorni, agli impegni nei confronti della famiglia e dei figli, forse per la colpevole assenza di una coerente politica per la famiglia, a differenza di quello che, invece, avviene in altri paesi europei.
Ci auguriamo che le disposizioni che abbiamo introdotto in questo disegno di legge finanziaria possano contribuire a segnare una svolta in tal senso, almeno e soprattutto per quanto riguarda la consapevolezza del legislatore. Mi riferisco alle misure dirette a sostenere le famiglie, mediante la previsione di agevolazioni tributarie, con riferimento alle spese sostenute per le baby sitter o per gli asili nido.
Si tratta di interventi strutturali e non limitati ad una annualità. Per tale motivo abbiamo incrementato sia la dotazione del fondo nazionale per le comunità giovanili sia le risorse per il diritto allo studio e per l'edilizia universitaria. Abbiamo anche previsto uno stanziamento per la prestazione di fideiussioni per l'accensione di mutui volti all'acquisto, da parte dei giovani, della casa di abitazione.
È stato, poi, approvato un emendamento, presentato dal collega Crosetto, diretto a semplificare le procedure per l'alienazione degli immobili degli istituti per le case popolari. Tale emendamento è stato formulato in termini non vincolanti, in modo da rimettere agli enti territoriali interessati le decisioni da assumere in proposito. Si è provveduto anche a rimediare ad una palese ingiustizia modificando la disciplina in materia di tutela e sostegno della maternità per quanto concerne le donne atlete.


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A fronte di queste misure, abbiamo previsto l'istituzione di quella che, sugli organi di stampa, è stata descritta, non senza qualche ironia, come la «pornotax». Personalmente, sono orgogliosa della disposizione che è stata inserita nel testo della legge finanziaria e mi auguro che, nel prosieguo dell'esame del provvedimento, tale disposizione non sia posta in discussione. Si tratta, infatti, di una norma che sostanzialmente riproduce un regime già previsto in altri paesi, in particolare nella legislazione francese. Ricordo che la Comunità europea ha respinto un ricorso in cui si asseriva che tale tassa fosse da considerare una duplicazione dell'IVA. La «pornotax» non è una duplicazione dell'IVA, ma piuttosto un tributo speciale su particolari prodotti. Si tratta di una misura che, più che scoraggiare il consumo di prodotti pornografici, è diretta a reperire risorse da destinare a sostegno delle famiglie. Pertanto, la cosiddetta «pornotax» non vuole essere e non è un intervento di carattere moralistico, ma piuttosto il tentativo di definire una politica tributaria anche in funzione di quegli obiettivi di qualificazione della spesa cui ho fatto riferimento in precedenza.
Nell'ambito di questa categoria di interventi, ricordo anche le disposizioni dirette a definire il regime economico dei medici specializzandi, i quali svolgono un'attività molto importante all'interno delle strutture ospedaliere a cui, fino ad oggi, non ha fatto riscontro un corrispondente riconoscimento dal punto di vista economico. Abbiamo così risolto una questione che si trascinava da molti anni e che aveva generato condizioni di diffuso disagio.
Ricordo, inoltre, le disposizioni introdotte per quanto concerne il riparto dei due miliardi di euro destinati alle eccedenze di spesa registratesi negli scorsi anni; a tale riguardo, si è stabilito che si debba fare riferimento al parametro della popolazione. Richiamo, altresì, le disposizioni volte a stabilire che le risorse finanziarie non completamente utilizzate possono essere impiegate per trattamenti di cassa integrazione, di mobilità e di disoccupazione e per azioni di impiego di lavoratori coinvolti in casi di crisi di interi comparti produttivi. Anche in questo caso si tratta di norme volte a garantire il miglior utilizzo delle risorse a disposizione.
Ho già avuto modo di ricordare le norme che sono state introdotte nel testo della Commissione allo scopo di creare tutte le condizioni per una ripresa dello sviluppo. Noi non abbiamo certo la pretesa di innescare un'immediata inversione di tendenza; ci sono tuttavia segnali di una ripresa che, se ancora non è robusta, è comunque incoraggiante. A tale proposito, abbiamo pensato che definire un tessuto normativo che supportasse le prospettive di ripresa potesse risultare utile. Larga parte di queste norme non comportano - desidero precisarlo - lo stanziamento di risorse ingenti.
Le condizioni della finanza pubblica non ci hanno permesso di disporre degli spazi di manovra che sarebbero stati auspicabili. Ciò nonostante, non si tratta comunque di norme meramente ordinamentali, ma piuttosto di disposizioni che sono dirette ad offrire al nostro sistema produttivo alcuni strumenti che potranno risultare utili per la ripresa dello sviluppo. Mi riferisco, in particolare, ad alcune disposizioni che, a suo tempo, la Commissione aveva già inserito nell'ambito del disegno di legge sulla competitività, che era stato approvato in prima lettura dalla Camera ma che, successivamente, si era arenato al Senato. Richiamo, a questo riguardo, le disposizioni volte a sostenere l'internazionalizzazione delle imprese, la realizzazione di interventi turistici di qualità e la previsione di un regime fiscale agevolato per le erogazioni liberali a sostegno dei beni culturali, nonché per quanto riguarda la cosiddetta legge obiettivo per le città.
Sottolineo, per quanto concerne, in particolare, le disposizioni in materia di turismo di qualità, che le stesse vogliono rispondere alle sollecitazioni che sono state avanzate, tra gli altri, dal collega


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Ventura, nel corso dell'esame in Commissione, per un'azione più incisiva a favore delle imprese del turismo.
L'onorevole Ventura ha giustamente rilevato l'assurdità della situazione del nostro paese, per cui, nonostante la ricchezza incomparabile dei nostri beni culturali, dei monumenti, e la varietà del paesaggio, la quota di domanda turistica soddisfatta dall'Italia risulta costantemente in riduzione, a vantaggio di alcuni paesi concorrenti, tra cui, in particolare, la Spagna. Lo stesso onorevole Ventura ha giustamente sottolineato che la ripresa del turismo non richiede investimenti particolarmente dispendiosi o l'utilizzo di tecnologie avanzate, ma piuttosto l'adozione di interventi mirati, diretti, in primo luogo, a migliorare la qualità dell'offerta alberghiera.
A queste sollecitazioni, venute non solo dall'onorevole Ventura, ma anche da altri colleghi, durante il dibattito in Commissione bilancio, vogliono rispondere le disposizioni che abbiamo inserito nel testo del disegno di legge finanziaria.
Per quanto riguarda la cosiddetta legge obiettivo per le città, si è inteso prospettare un intervento a valenza generale ispirato all'obiettivo, certamente ambizioso, di concorrere all'avvio di quell'opera di recupero, salvaguardia e valorizzazione delle maggiori aree urbane che risulta necessaria non soltanto per il risanamento delle metropoli del Mezzogiorno, molte delle quali sono in condizioni di degrado, ma anche per le maggiori città del centro e del nord. Negli scorsi decenni, vi è stato sicuramente un grande assente nella politica italiana a livello centrale e locale: è mancata una coerente politica urbanistica che affrontasse in una logica organica la gestione degli spazi, la loro valorizzazione, la creazione di reti efficienti per quanto riguarda il trasporto pubblico e la riconversione e la ricostruzione delle zone non di pregio. Le misure introdotte hanno l'ambizione di rimediare a questo difetto. Se, malauguratamente, non dovesse scaturire nulla di concreto, si sarà trattato, in ogni caso, di una «sana provocazione» alla quale amministratori nazionali e soprattutto locali non potranno più sottrarsi.
Sono stati poi approvati alcuni importanti emendamenti per quanto concerne la gestione di talune partecipazioni pubbliche, con particolare riferimento alla proroga degli affidamenti e delle concessioni per la distribuzione del gas, oltre che in materia di trasporto locale. Sempre in materia di servizi pubblici locali, ricordo la disposizione diretta a promuovere la realizzazione di investimenti per la modernizzazione e la gestione unitaria del servizio idrico integrato nel Mezzogiorno, attraverso la previsione di una consistente riserva premiale, per un importo pari a 300 milioni di euro.
Per concludere, ribadisco che la Commissione ha svolto un lavoro molto consistente, come può evincersi facilmente dalla lettura del testo e dalle dimensioni delle modifiche introdotte.
Abbiamo lavorato in un clima che è stato quasi sempre sereno e, comunque, proficuo, avvalendoci dei contributi e dei preziosi interventi di numerosi colleghi. Abbiamo dimostrato che il Parlamento è in grado di fare proposte concrete, certamente perfezionabili, ma in ogni caso praticabili e meritorie; soprattutto, abbiamo smentito la tesi pessimistica di chi sostiene che ormai nelle decisioni di bilancio il ruolo del Parlamento è del tutto residuale.
Consegniamo, quindi, il lavoro svolto all'attenzione dell'Assemblea e dell'opinione pubblica. Mi auguro - e sarebbe necessario - che nel prosieguo dell'esame le decisioni adottate in Commissione non vengano smentite; ovviamente, sono possibili miglioramenti e correzioni e, a tal fine, come relatore, mi riprometto di lavorare con i colleghi e, soprattutto, con il Governo per verificare quali ulteriori modifiche si possono introdurre. Deve comunque essere chiaro che le modifiche dovranno essere limitate e non dovranno mettere in discussione le scelte più significative che abbiamo operato, in piena consapevolezza, in sede di Commissione bilancio.


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Vorrei concludere il mio intervento in modo del tutto personale. Credo che la novità costituita da un relatore donna sulla legge finanziaria non sia un fatto irrilevante; abbiamo, infatti, dimostrato molto concretamente, al di là delle affermazioni di principio, che le donne non sono destinate a svolgere un ruolo marginale, ma possono giustamente rivendicare un ruolo attivo, di tutto rilievo, nei processi decisionali più importanti. Questo è avvenuto grazie alla maggioranza di questo Parlamento (Applausi dei deputati dei gruppi di Alleanza Nazionale, dell'Unione dei democratici cristiani e dei democratici di centro e della Lega Nord Federazione Padana).

PRESIDENTE. Il relatore per la maggioranza sul disegno di legge n. 6178 e relative note di variazioni, onorevole Peretti, ha facoltà di svolgere la relazione.

ETTORE PERETTI, Relatore per la maggioranza sul disegno di legge n. 6178 e relative note di variazioni. Signor Presidente, questo è il quinto ed ultimo disegno di legge di bilancio di questa legislatura. Sono stati cinque anni difficili per i conti pubblici, condizionati da diversi fattori, interni ed esterni alla pubblica amministrazione. Innanzitutto, la bassa crescita che, forse, è il fattore più significativo e più condizionante; noi, infatti, siamo partiti nel 2000 con una crescita del 3 per cento che, via via, è andata diminuendo (0,4 per cento nel 2002, 0,3 per cento nel 2003, 1,2 per cento nel 2004 e una crescita praticamente nulla nel 2005). Va, però, detto - per inciso - che, nonostante la bassa crescita, è aumentata l'occupazione e il tasso di disoccupazione è passato dal 9,1 per cento del 2001 al 7,7 per cento della fine del 2005.
Un altro fattore molto condizionante è il livello del debito, pari a 1.400 miliardi di euro (2 milioni e 800 mila miliardi di vecchie lire), che costano 71 miliardi di euro di bilancio; nonostante ciò, siamo riusciti, in qualche maniera, a passare dal 110,9 per cento del 2001 al 100,6 per cento del 2004, con una ripresa della crescita del rapporto debito-PIL nel 2005.
Un altro fattore condizionante riguarda la struttura del bilancio, che è caratterizzata da una grande rigidità nelle sue componenti più importanti: stipendi, pensioni, interessi, spese di funzionamento e investimento. Quindi, anche questo fattore rende difficile la tenuta dei conti.
Un'ulteriore caratteristica, molto importante, riguarda le decisioni di bilancio che portano, specie in Parlamento, a sovrastimare gli effetti delle misure di risparmio di spesa e di aumento di entrata, e a sottostimare, invece, gli effetti delle misure di aumento di spesa e di riduzione di entrata.
Infine, una difficoltà ulteriore per il contenimento del deficit è data dalla composizione demografica della popolazione, con un aumento della quota di anziani, e da una legislazione sociale particolarmente spostata verso la previdenza. Infatti, in Italia la spesa sociale è per il 64 per cento orientata verso le pensioni, contro il 46 per cento dell'Unione europea, precedentemente all'allargamento. Quindi, nel nostro paese si spende di più per le pensioni e di meno, ad esempio, per la sanità, per i portatori di handicap, per la famiglia, per i figli, per la disoccupazione, per l'abitazione e per contrastare l'esclusione sociale. Tutti questi fattori rendono particolarmente difficile una politica di bilancio che tenda a ridurre il debito ed il deficit.
In termini monetari e di competenza, questo bilancio prevede entrate finali per 384 miliardi di euro e spese finali per 435 miliardi di euro, delle quali la spesa corrente al netto degli interessi è pari a 322 miliardi di euro, la spesa per interessi è pari a 71 miliardi di euro, la spesa in conto capitale è di 41 miliardi di euro e il livello di rimborso di prestiti è di 188 miliardi di euro; il saldo netto negativo da finanziare è di 51 miliardi di euro, il risparmio pubblico negativo è di 16 miliardi di euro, l'avanzo primario è di 20 miliardi di euro e, infine, il ricorso al mercato, al lordo delle regolazioni debitorie, è pari a 243 miliardi di euro.
Le previsioni del bilancio a legislazione vigente, quindi, registrano una sostanziale


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stabilità del saldo netto da finanziare rispetto al disegno di legge di assestamento per il 2005, nell'importo di 51 miliardi di euro. Il bilancio a legislazione vigente per il 2006 evidenzia, tuttavia, rispetto al bilancio assestato 2005, una riduzione sia delle entrate finali sia delle spese finali per circa 6,8 miliardi di euro; in particolare, la riduzione di 6 miliardi di euro per le spese finali, rispetto alle previsioni assestate, è determinata da riduzioni di entrate tributarie per 3 miliardi di euro e di entrate extratributarie per 1 miliardo di euro oltre che da una riduzione delle entrate del titolo III, relative alla alienazione e ammortamento dei beni patrimoniali e rimborso di crediti, che diminuiscono anch'esse di 2 miliardi di euro. In questo bilancio è previsto un lieve incremento della spesa per interessi, pari a 217 milioni di euro.
In questi cinque anni, forse i più difficili della storia repubblicana, abbiamo tentato una quadratura difficile, abbiamo cercato di tenere insieme l'equilibrio di bilancio e il mantenimento del livello di spesa sociale e abbiamo cercato anche di assicurare risorse per lo sviluppo. Abbiamo dato alcune risposte in termini di riduzione della tassazione, abbiamo ridotto l'IRPEG, l'IRAP e l'IRPEF. Inoltre abbiamo ridotto il costo del lavoro dell'1 per cento per le imprese, cioè in misura forse insufficiente, ma la direzione di marcia è stata impostata. C'è stato un aumento delle pensioni minime ed un aumento molto consistente della detrazione per i figli, tanto che possiamo pensare di arrivare, in un futuro non molto lontano, al quoziente familiare. È aumentato, infine, il numero delle persone che non pagano l'imposta sul reddito e abbiamo mantenuto un forte carattere di progressività nel sistema fiscale.
Questo è quanto è stato previsto, ed è quanto è stato possibile: del resto, l'arresto della crescita è stato troppo brusco. Il sistema economico-produttivo ed il sistema politico-amministrativo stanno reagendo, con lentezza, ma stanno reagendo. Devo aggiungere che anche l'opinione pubblica sta cogliendo la portata ed i rischi di tale brusca trasformazione; ora vi è la necessità di compiere un salto di qualità, con la consapevolezza che deve essere propria sia della maggioranza sia dell'opposizione (quindi, una consapevolezza condivisa). Ciò significa anzitutto un vero e proprio controllo di gestione, che aiuti a capire, nel dettaglio ed in tutti i comparti della pubblica amministrazione, il reale rapporto tra costi e benefici delle spese che vengono effettuate e aiuti, altresì, a distinguere i comportamenti efficienti da quelli inefficienti. È il presupposto indispensabile per poter introdurre una vera e propria cultura della produttività e dell'efficienza con meccanismi premiali che selezionino in maniera rigorosa i comportamenti virtuosi, che vanno premiati, distinguendoli da quelli viziosi, che vanno invece penalizzati.
Infine, ritengo necessario un vero potenziamento della lotta all'evasione fiscale, che si può condurre certamente rafforzando e rendendo più efficiente l'amministrazione finanziaria, ma soprattutto introducendo nella nostra legislazione fiscale il principio del contrasto di interessi tra prestatori di servizi e fornitori di beni, da una parte, e utilizzatori dall'altra. Si pone, insomma, la necessità di creare una consapevolezza immediata e diretta del costo dell'evasione; ciò consentirebbe di togliere il paese dall'emergenza finanziaria e libererebbe risorse per potenziare i settori che devono dare al paese la forza per invertire la direzione di marcia, in particolare la scuola, l'università, la ricerca, le infrastrutture e l'energia.
Questo bilancio, seppur parzialmente, dà una risposta nella consapevolezza dei veri problemi del paese (Applausi dei deputati dei gruppi dell'Unione dei democratici cristiani e dei democratici di centro e della Lega Nord Federazione Padana).

PRESIDENTE. Ha facoltà di parlare il relatore di minoranza, onorevole Morgando.

GIANFRANCO MORGANDO, Relatore di minoranza. Signor Presidente, naturalmente il quadro complessivo delle nostre


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riflessioni e indicazioni in merito alla manovra di finanza pubblica di quest'anno è contenuto nel testo della relazione di minoranza che ho depositato; a questa, quindi, mi richiamo, limitandomi, in questo intervento, ad alcune considerazioni di carattere più generale.
La prima riflessione che vorrei svolgere è la seguente: in qualche misura, dopo aver ascoltato le relazioni dei relatori per la maggioranza sui disegni di legge finanziaria e di bilancio, mi sembra di intervenire su una materia che non conosciamo.
Ho sentito citare i risultati di questa legge finanziaria in termini di effetto sui saldi e di controllo dei conti; ho altresì sentito sottolineare i risultati che questa legge determinerà sul fronte della ripresa, della crescita e dello sviluppo. Ebbene, mi pare, francamente, che siamo lontani dalla realtà. Siamo lontani dalla realtà, signor Presidente, anzitutto perché questa è una legge finanziaria difficile da individuare nei suoi contorni precisi; come è noto e come hanno rilevato in molti, è fatta di «pezzi» diversi: il disegno di legge finanziaria vero e proprio, presentato all'inizio del mese di ottobre; il decreto-legge collegato, diventato poi il decreto-legge n. 203; il decreto-legge n. 211, con la manovra sugli acconti del 2005; il maxiemendamento presentato dal Governo nel corso dell'esame condotto dal Senato, che ha modificato in modo molto significativo i contenuti del disegno di legge finanziaria. È molto difficile districarsi tra queste diverse fonti normative ed è altresì molto difficile, quindi, avere chiarezza su questioni di fondo relative agli elementi del quadro macroeconomico.
C'è confusione sull'entità della manovra correttiva. Infatti, la Relazione previsionale e programmatica prevedeva una manovra pari a 12,2 miliardi di euro, mentre il disegno di legge finanziaria prevede 16,3 miliardi, e non è chiaro il rapporto tra queste due previsioni. Non c'è chiarezza, inoltre, in ordine alla reale dimensione del fabbisogno, e su tale aspetto non siamo riusciti ad ottenere un chiarimento in sede di Commissione.
Che il fabbisogno sia un tema aperto di discussione è reso evidente dal «balletto» che si è registrato nel periodo in cui la manovra finanziaria è stata presentata, a Bruxelles, dal ministro dell'economia e delle finanze ed un folto stuolo - almeno così hanno raccontato le cronache dei giornali - di suoi funzionari, impegnati a dimostrare alla Commissione europea la bontà delle previsioni per il 2006. Tali previsioni non erano condivise dalla Commissione, inducendo il commissario Almunia a rilasciare, in un comunicato, dichiarazioni che avevano, sostanzialmente, un tono diplomatico.
Potrei continuare a sottolineare gli elementi che, dal punto di vista del quadro macroeconomico e di finanza pubblica, non risultano chiari. Infatti, non ha contribuito a fare chiarezza - ed è il secondo aspetto che voglio evidenziare - il dibattito che si è svolto alla Camera dei deputati; anzi, esso è stato caratterizzato da una sorta di «balletto» delle discussioni in ordine alla caratteristica stessa del disegno di legge finanziaria.
Vorrei ricordare che, ancora in questi giorni, il Governo, sui giornali, ha ricordato che il bilancio appartiene all'Esecutivo e non al Parlamento; poco fa, invece, la relatrice ha orgogliosamente rivendicato le prerogative parlamentari, sfidando, in qualche misura, il Governo sulle modifiche da apportare ai testi approvati in Commissione bilancio.
Su questo punto, vorrei svolgere alcune osservazioni. È falsa, infatti, l'immagine di un disegno di legge finanziaria che si preoccupa essenzialmente dei conti pubblici e non delle prossime scadenze elettorali. A tale riguardo, invito l'onorevole relatrice ed i colleghi a compiere un'operazione: si faccia il conto di tutti i fondi che, all'interno del provvedimento in esame, sono stati istituiti per le più disparate finalità. Apparirà evidente, infatti, che lo scopo elettoralistico del disegno di legge finanziaria che stiamo discutendo costituisce uno degli elementi fondamentali che preoccupa di più.
Inoltre, onorevoli colleghi, ritengo francamente che sia molto difficile, per noi,


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accettare che l'autonomia del Parlamento rispetto al Governo si esprima sul concordato preventivo per gli enti locali, oppure sull'introduzione della cosiddetta «pornotax». Non è questo, naturalmente, ciò che consente di verificare la capacità del Parlamento di definire, nell'ambito di un confronto dialettico con il Governo, una strategia di politica economica e finanziaria!
Siamo convinti, infatti, che i disegni di legge finanziaria e di bilancio siano del Parlamento, che opera in dialettica con il Governo, che fa valere, all'interno delle aule parlamentari, la sua maggioranza; non riteniamo, tuttavia, che si debba farlo instaurando una sorta di «braccio di ferro» su scelte che, francamente (come sostengono tutti i giornali, compresi quelli di oggi), sono difficilmente individuabili quali elementi caratterizzanti di una manovra di politica economica.
Tuttavia, signor Presidente, l'intento del mio intervento è svolgere una riflessione di carattere generale. Siamo in presenza, infatti, di un disegno di legge finanziaria (l'ultima dell'attuale legislatura) che ci consente di esprimere un giudizio complessivo sulle strategie di politica economica della maggioranza e dei Governi che si sono succeduti in questi anni, tutti caratterizzatisi sotto il segno politico del centrodestra.
Voi ricorderete certamente, infatti, quali erano le due grandi emergenze che contrassegnavano l'Italia negli anni Novanta: da un lato, la finanza pubblica fuori controllo, e dall'altro, la bassa crescita di un sistema economico che non era capace di ripartire. Ebbene, credo che oggi sia legittimo verificare come le diverse maggioranze che si sono succedute, a partire dall'inizio degli anni Novanta fino ai giorni nostri, hanno inciso, con le loro strategie, su tali questioni.
Vorrei osservare che gli anni Novanta sono stati caratterizzati da un grande sforzo di risanamento della finanza pubblica, che ha accomunato fasi politiche tra di loro molto diverse, a cominciare dalla manovra in più tempi realizzata nel 1992 dal Governo Amato. Complessivamente la situazione, al termine del decennio, si presentava sotto buoni auspici: l'indebitamento nel 2000 si collocava poco al di sotto del 2 per cento del PIL; il debito calava regolarmente, secondo gli impegni assunti in sede europea, ed era passato dal 124,3 per cento del 1995 al 111,3 per cento del PIL nel 2000; il saldo primario, inoltre, si attestava stabilmente intorno al 5 per cento del prodotto interno lordo, conformemente agli impegni assunti in sede europea già menzionati.
Nonostante l'artificiale polemica sul «buco», ridimensionata dallo stesso Ragioniere generale dello Stato, gli osservatori più autorevoli ritenevano che l'Italia fosse sostanzialmente uscita dal tunnel della crisi finanziaria.
Consideriamo la situazione nel 2005 attraverso le lenti di due soggetti insospettabili. Lo stesso Governo, nel Documento di programmazione economico-finanziaria riconosce che l'indebitamento si avvia a raggiungere il 5 per cento - con un tendenziale al 4,7 per cento - e prevede che il debito riprenda a crescere dal 106,6 per cento del 2005 al 108,2 per cento del 2006 ed ipotizza un avanzo primario dello 0,6 per cento.
Quello dell'avanzo primario è un tema delicato: si tratta di una grandezza molto importante, perché segnala la capacità del bilancio di produrre risparmi che consentano la progressiva riduzione del debito. Non a caso l'Italia aveva assunto un impegno a mantenerlo al di sopra del 5 per cento e nel 2000 il centrosinistra aveva lasciato in eredità alla nuova legislatura un avanzo primario al 5,7 per cento. L'andamento degli anni successivi è emblematico: 3,4 per cento nel 2001; 3 per cento nel 2002; 2,1 per cento nel 2003; 1,8 per cento nel 2004; la previsione per il 2005, come ho detto, è pari allo 0,6 per cento.
Il secondo insospettabile testimone della crisi della finanza pubblica italiana è l'Europa: nel consiglio Ecofin del 12 luglio 2005 si è formalmente preso atto che deficit, debito pubblico ed avanzo primario sono fuori controllo e richiedono interventi straordinari ed urgenti. Nella medesima


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seduta si è raccomandata all'Unione europea l'apertura di una procedura per disavanzo eccessivo nei confronti dell'Italia, indicando le strategie che il nostro Governo dovrà seguire per riportare i conti pubblici in equilibrio: scendere sotto il 3 per cento entro il 2007; riprendere la riduzione del debito; conseguire un avanzo primario di livello adeguato. Siamo tornati alla situazione dell'inizio degli anni Novanta, sprecando un lungo percorso di risanamento, che aveva conosciuto difficoltà, ma che aveva prodotto significativi risultati.
Vale la pena di interrogarsi sulle ragioni che hanno determinato tale situazione. Secondo il Governo e la maggioranza le responsabilità sono tutte da attribuirsi alla crisi economica. L'ex ministro dell'economia, Siniscalco, presentando il DPEF, aveva insistito sulla bassa crescita quale fattore determinante del peggioramento dei conti. In realtà, non è così e la situazione ci deve allarmare, perché essa oltrepassa la soglia che sarebbe giustificata dallo sfavorevole andamento del ciclo. Le cause sono più profonde e strutturali: in Italia si è riprodotto un fenomeno che avevamo già conosciuto in passato, ossia sono diminuite le entrate ed è aumentata la spesa. I messaggi lanciati a più riprese dal Presidente del Consiglio contro la cosiddetta «truffa fiscale» e la strategia condonistica e di fiscalità straordinaria che ha caratterizzato l'intera legislatura hanno ottenuto il loro effetto: la pressione fiscale ordinaria - le entrate correnti - è calata dal 2001 al 2004 di circa un punto e mezzo di PIL, un calo che non è integralmente giustificato dalle misure discrezionali di riduzione dell'IRPEF, intraprese con la riforma fiscale, e dal calo dell'attività economica, che incide soprattutto sull'imposizione societaria.
A fronte del calo delle entrate correnti, registriamo il fallimento di tutti i tentativi di controllo della spesa. Come hanno ricordato molti ed autorevoli commentatori, il problema fondamentale della finanza pubblica italiana consiste nell'incapacità di controllare quantità e qualità della spesa pubblica. Basta un dato per dimostrare tale affermazione: nei primi quattro anni del decennio in corso la spesa corrente è cresciuta, in media, del 2,4 per cento l'anno, a fronte di un aumento medio del PIL dell'1 per cento. L'aumento della spesa corrente è stato finanziato dalla riduzione della spesa per interessi. Un autorevole quotidiano ha reso pubbliche cifre inconfutabili: nel 2001 la spesa corrente si attestava al 37,9 per cento del PIL; nel 2004 è passata al 39,3 per cento; e nel 2005 le previsioni affermano che salirà al 40,2 per cento. Vale la pena di ricordare quanto ha affermato la Corte dei conti, nell'audizione sul Documento di programmazione economico-finanziaria: le risorse liberate dalla convergenza dei tassi di interesse sui più bassi livelli prevalenti in Europa non sono state utilizzate né per correggere il disavanzo, né per ridurre in misura sensibile la pressione fiscale, né, infine, per ricomporre la spesa verso le voci in grado di accrescere la capacità di competere del nostro sistema produttivo. Si è, di fatto, consentita l'espansione della spesa corrente.
Sul tema della spesa si sono sprecate parole e provvedimenti, anche oggi, anche nella discussione sul presente disegno di legge finanziaria, parole e provvedimenti che regolarmente non hanno raggiunto gli obiettivi: il 2003 è stato l'anno del cosiddetto decreto «taglia spese», il 2004 quello del metodo Gordon Brown. Nessuno di tali interventi ha raggiunto lo scopo ed il loro fallimento si è riversato negli anni successivi in termini di eccedenza di spesa da finanziare. Basti pensare che nella composizione degli oneri correnti del disegno di legge finanziaria in discussione tali eccedenze di spesa costituiscono quasi il 20 per cento dell'intera manovra.
Dice, ancora, la Corte dei conti: «Le misure temporanee di controllo della spesa comportano un recupero più o meno pieno nell'anno successivo e impongono necessariamente l'adozione di nuove misure straordinarie».
Conclusivamente, signor Presidente, su questo punto possiamo ribadire che il frutto della legislatura che si avvia al


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termine è un peggioramento strutturale dei conti pubblici e l'incapacità di definire strategie in grado di affrontare il problema. Come è noto, queste consistono non tanto nell'individuazione di strumenti straordinari, che sono di dubbia efficacia e di dubbia tenuta, ma in una continuativa azione di gestione e di controllo, nella realizzazione di sistemi informativi adeguati, nella condivisione degli obiettivi di stabilità interna tra tutti gli attori del sistema: proprio ciò che è mancato in questi anni.
Signor Presidente, le cose non vanno meglio sul fronte dell'altra emergenza che caratterizza il nostro paese, ossia quella dell'economia reale. Non mi sono mai appassionato alle graduatorie di competitività, che contengono evidenti approssimazioni e semplificazioni. Tuttavia, non c'è dubbio che la nostra capacità di reggere il confronto con altre economie in questi anni si è molto indebolita, perché sono venuti al pettine alcuni nodi strutturali a cui non è stato posto rimedio.
I dati del prodotto interno lordo sono, in proposito, impietosi: dalla crescita del 3 per cento del 2000 siamo passati a cifre vicine allo zero nel 2002 e nel 2003. Il rimbalzo del 2004 si è rivelato a tal punto effimero che lo stesso Governo, nel documento di programmazione economico-finanziaria, prevedeva per l'anno in corso una crescita pari a zero.
Questa mattina è stato detto che vi sono dei segnali positivi. Tali segnali positivi sono le ultime indicazioni dell'ISTAT: una prospettiva di crescita dello 0,1 per cento riportata dai giornali di questa mattina. Se questi sono i segnali positivi, noi siamo molto preoccupati.
Faccio la stessa considerazione rispetto ad un'altra questione posta dal collega Peretti, concernente l'andamento del mercato del lavoro. È noto - e lo sostengono tutti coloro che studiano questi problemi - che la crescita dell'occupazione in Italia è una crescita falsata, che deriva più da regolarizzazioni di posizioni irregolari che non da un'effettiva capacità del sistema economico e produttivo di creare nuova occupazione. Attenzione, quindi, a leggere con cautela i dati! Attenzione a non immaginare una realtà diversa da quella che abbiamo di fronte!
In effetti, sono altri i dati che evidenziano i problemi strutturali dell'economia italiana. L'insoddisfacente crescita dell'Italia che, come ho ricordato prima, si è registrata fin dall'inizio degli anni Novanta non è un fenomeno transitorio, ma il manifestarsi di un vero e proprio declino dell'economia; è una situazione di crisi che ha coinvolto l'Europa nel suo complesso, ma che ha colpito noi in modo più grave rispetto agli altri paesi. Anche a questo proposito, i dati sono evidenti e, in qualche misura, drammatici: il reddito pro capite dell'Italia diminuisce rispetto al reddito pro capite europeo e passa dal 106 per cento al 98 per cento; diminuisce anche rispetto al reddito pro capite degli Stati Uniti.
Il tasso di crescita della produttività e del lavoro diminuisce costantemente. La nostra presenza sui mercati internazionali si è ridotta in modo significativo: mentre nel 1995 le esportazioni italiane rappresentavano il 4,5 per cento delle esportazioni mondiali, nel 2003 siamo arrivati al 3 per cento.
Bastano, quindi, i pochi dati che ho ricordato per evidenziare come la situazione economica del nostro paese sia in grave difficoltà; essa è determinata da ragioni di tipo strutturale, che si accompagnano ad una trasformazione preoccupante della struttura della nostra società, che apre interrogativi per il futuro a cui dobbiamo dare risposte.
Negli anni passati eravamo abituati a confrontarci con il modello della società dei due terzi, in cui il benessere aveva ormai raggiunto la maggioranza della popolazione ed i problemi da risolvere erano quelli del terzo più debole. Oggi, tutto è diventato terribilmente più complicato: l'impoverimento dei ceti medi ci presenta una società che qualcuno definisce «a clessidra», che richiede una rinnovata capacità di analisi e la definizione di politiche economiche e sociali nuove.
Le politiche dello Stato sociale, che non troviamo in questo disegno di legge finanziaria,


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se non come slogan, sono diventate, forse ancor più che in passato, elementi fondamentali della strategia di politica economica. Pensiamo soltanto alle politiche del lavoro, alle politiche dei servizi per consentire l'ingresso delle donne nel sistema produttivo e a tutte le altre politiche che concorrono a definire una strategia di welfare per lo sviluppo, di welfare funzionale alla ripresa della crescita e dello sviluppo.
Potrei citare molti altri dati per rendere plasticamente evidenti le difficoltà che attraversa l'economia reale del nostro paese. La colpa non è certo semplicisticamente ascrivibile al Governo in carica, ma a chi ha governato in questi anni e non ha fatto nulla per uscire da questa situazione di difficoltà. Nella relazione scritta cerco di dimostrare come le diverse manovre di politica economica del centrodestra siano state caratterizzate da un errore di impostazione strategica. Queste sono le ragioni per le quali rivolgiamo al Governo in carica l'accusa di aver lasciato incancrenire una situazione che oggi vede con difficoltà percorsi per la ripresa.
L'errore dell'impostazione strategica è tutto contenuto nel documento di programmazione del primo Governo Berlusconi: l'idea di una ripresa forte e duratura, di un nuovo miracolo economico, reso possibile essenzialmente dalle aspettative positive nei confronti del nuovo corso politico, e una strategia di riduzione del carico fiscale e dal taglio dei lacci e dei lacciuoli che tenevano incatenata l'economia.
Questa impostazione si è tradotta in una politica economica basata sul rafforzamento della domanda di consumi e di investimenti, con strumenti che, peraltro, poi si sono rivelati inadeguati, immaginando che da questa potesse emergere quasi miracolosamente la ripresa produttiva e la crescita del paese. Mai previsione fu più fallace, e i dati sono lì a dimostrarlo.
La causa dei mancati risultati è ascrivibile anche ad una sorta di eterogenesi dei fini della maggioranza di centrodestra. Nata per liberalizzare finalmente l'economia, in realtà ha rallentato il processo che il centrosinistra aveva avviato con significativi risultati. Nata pensando di dare risposte alla domanda di una nuova politica, si è ridotta alla tutela di interessi particolari, alla logica delle corporazioni dei gruppi di potere. Nata con l'ambizione di avviare una modernizzazione della pubblica amministrazione, anche come contributo alla crescita economica, ha riprodotto, in realtà, antiche logiche clientelari, coltivate anche attraverso un uso spregiudicato dello spoil system. Vi è qualche esempio, che per ragioni di tempo non voglio esaminare, anche in questa legge finanziaria. Per non parlare delle tutele, anche giudiziarie, di categorie ristrette e di una classe dirigente corrispondente sostanzialmente ad alcune cerchie amicali.
Non stupisce, di fronte a questo percorso, che le forze produttive del paese oggi abbiano maturato una posizione comune sui principali temi di politica economica, diversa da quella del Governo, che noi auspichiamo possa dare un contributo alla costruzione di una nuova prospettiva.
Signor Presidente, mi avvio alla conclusione. Ho illustrato le ragioni per le quali, a nostro avviso, ci troviamo di fronte al fallimento di un intero ciclo di politica economica. Potrei aggiungere agli argomenti esposti il «balletto» dei ministri: Tremonti prima, poi Berlusconi, poi Siniscalco, e poi nuovamente Tremonti. L'ultimo cambio ha portato qualche novità. Potremmo dire che la legge finanziaria in discussione costituisce un'ammissione di colpa, perché le tradizionali impostazioni vengono abbandonate. Non si parla più del completamento promesso della riforma fiscale, ancora fino a poco tempo fa individuato come il toccasana per la ripresa. È misteriosa anche la vicenda dell'IRAP. Al loro posto vi sono alcune indicazioni copiate un po' maldestramente dal centrosinistra: la riduzione del cuneo fiscale e la ripresa di un ragionamento di politica industriale, con una proposta sui distretti. Sembra di intravedere una nuova politica dell'offerta, fino a poco tempo fa guardata con sufficienza.


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Naturalmente, è molto difficile pensare che lo stesso ministro delle una tantum, della finanza creativa e del fisco minimo sia in grado credibilmente di interpretare una nuova stagione. Il rischio è che ci troviamo di fronte a delle enunciazioni, cui poi non seguono i fatti. Abbiamo già qualche esempio nel passato. La legge finanziaria per il 2004 prevedeva - lo dico soltanto a titolo esemplificativo - la costituzione di un importante istituto di ricerca, l'Istituto italiano di tecnologia, che avrebbe dovuto imitare le grandi istituzioni internazionali e costituire un punto di forza della capacità innovativa del nostro sistema. A distanza di due anni, si sente parlare di quell'iniziativa soltanto perché non si capisce se la sua sede sarà a Genova oppure a Milano.
La Banca del sud rischia di fare la stessa fine: un buon manifesto di propaganda in vista delle elezioni, per tacitare le polemiche sul disimpegno del Governo verso il Mezzogiorno. Poi, tutto tornerà come prima.

PRESIDENTE. Onorevole Morgando...

GIANFRANCO MORGANDO, Relatore di minoranza. In sintesi - ho concluso, signor Presidente -, affrontiamo quest'anno il dibattito sulla manovra economica con la sensazione di intercettare fette crescenti di opinione pubblica delusa dal fallimento della politica economica del Governo e di Berlusconi in particolare. Il mito dell'imprenditore prestato alla politica, capace di portare una ventata di rinnovamento e di efficienza, sta rapidamente tramontando. Berlusconi ha vinto nel 2001 sulle questioni economiche e, probabilmente, perderà le prossime elezioni proprio sulle questioni economiche.
Le scelte in questo campo, quindi, si rivelano, ogni giorno di più, le vere scelte che contano, soprattutto in questa fase difficile per l'Italia. Il dibattito di questi giorni ci aiuterà a capire meglio quali sono le proposte del centrosinistra e per quali ragioni riteniamo che con questa legge finanziaria siamo giunti alla conclusione del ciclo politico del centrodestra (Applausi dei deputati dei gruppi dei Democratici di sinistra-L'Ulivo, della Margherita, DL-L'Ulivo e di Rifondazione comunista - Congratulazioni).

PRESIDENTE. Ha facoltà di parlare il rappresentante del Governo.

GIUSEPPE VEGAS, Viceministro dell'economia e delle finanze. Signor Presidente, mi riservo di intervenire in sede di replica.

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Folena. Ne ha facoltà.

PIETRO FOLENA. Signor Presidente, signor rappresentante del Governo, colleghi, nel momento in cui ci accingiamo ad esaminare in Assemblea il testo del disegno di legge finanziaria, che giunge dal Senato dopo l'ennesima posizione della questione di fiducia, avremmo potuto tranquillamente, come gruppo di opposizione e come opposizione nel suo complesso, limitarci ad «inveire» contro il testo senza entrare nel merito, dato il suo evidente carattere elettoralistico, di cui il collega Morgando ha parlato. Avremmo potuto farlo anche perché, tra due giorni, sarà presentato un maxiemendamento sul quale, ancora una volta, si porrà la questione di fiducia in relazione ad un provvedimento così importante, espropriando il Parlamento di uno dei suoi poteri fondamentali, ed anche perché è del tutto evidente (ogni elezione ormai lo conferma) che la maggioranza del paese è contro di voi: si voterà tra qualche mese e noi, in modo unito, stiamo lavorando tenacemente per diventare una nuova maggioranza politica che ripari i danni prodotti.
Tuttavia, non ci limiteremo ad «inveire», perché abbiamo in noi, da uomini di sinistra, da esponenti politici che fanno parte della grande tradizione politica e culturale della sinistra italiana, il senso di responsabilità, quel senso di responsabilità che, in modo un po' «abusivo», il Presidente della Camera, Presidente di garanzia, richiama nei manifesti che campeggiano in tutte le strade d'Italia, dove è


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scritto che bisogna tenere unito il paese. Ebbene, la manovra finanziaria costituisce l'ultimo tassello di un'opera di divisione del paese, divisione dei ricchi dai poveri, degli anziani dai giovani, del nord dal sud, una sorta di devolution sociale (potremmo dire «involution») che ci porta indietro, su alcuni terreni, di moltissimi anni e che accompagna la devolution istituzionale, che i cittadini italiani saranno chiamati a «cancellare» con il proprio voto nel referendum.
A noi che, all'epoca, abbiamo sempre contrastato la Democrazia cristiana verrebbe da dire che vi è da rimpiangere il carattere interclassista di quel partito. Non erano Governi dalla parte dei lavoratori, tuttavia mantenevano sempre un «occhio di riguardo» (non tutti, certamente) verso alcuni ceti sociali, mostrando attenzione ad una serie di istanze, di bisogni e di aspettative. Invece, voi vi siete preoccupati di inverare una delle previsioni meno riuscite di Carlo Marx, che sosteneva l'inevitabile scivolamento delle classi intermedie verso il proletariato. È un fatto tangibile per ogni cittadino.
Ormai non si parla più di «crisi» della quarta settimana, ma della terza. I lavoratori metalmeccanici sono in lotta da otto mesi per il rinnovo del contratto di lavoro e, ora che sta per ricominciare la trattativa, ottengono soltanto un arrogante niet da parte della Federmeccanica. Le vostre politiche fiscali hanno innalzato le tasse ai poveri ed abbassato quelle per i ricchi. Le vostre politiche economiche hanno portato il paese ad una situazione di «crescita zero».
Non ritornerò sui dati economici che il collega Morgando ha richiamato, se non su uno di essi, sul fatto cioè che il reddito pro capite in rapporto al PIL è letteralmente crollato, scendendo di 7,2 punti percentuali rispetto al 2001. In questi cinque anni, abbiamo perduto il 30 per cento dei mercati, e non a vantaggio della Cina o dell'India ma di nostri concorrenti europei, in primo luogo la Germania.
Il ministro Tremonti si è vantato, a più riprese, di aver salvato la Germania e la Francia dalle sanzioni dell'Unione europea a proposito dello sfondamento del tetto del 3 per cento. Ma, in realtà, la Francia e la Germania hanno sfondato quel tetto perché, per combattere la recessione, hanno investito; senza dirlo, si sono fatte gioco dei parametri monetari ed hanno pensato (bene o male, ma lo hanno fatto) alla loro economia reale. Per questo, oggi, quei paesi, sia pure tra molte difficoltà, vedono la «luce fuori dal tunnel», mentre noi siamo ancora molto indietro.
Non abbiamo simpatia per i parametri di Maastricht. Preferiremmo parametri radicalmente diversi, preferiremmo che l'Europa fosse - per così dire - molto meno monetaria e più sociale e politica. Tuttavia, voi, anche da questo punto di vista, avete dimostrato un fallimento. Siete ancora pervasi dalla logica che ha animato la politica dei grandi paesi occidentali negli anni Novanta, in base alla quale, togliendo le tasse ai ricchi, il paese si riprende perché, potendo i ricchi spendere di più, i benefici ricadranno un po' anche sui poveri. Mi viene in mente la parabola evangelica del ricco Epulone a proposito delle briciole di pane che cadono dalla mensa del ricco. In realtà, l'abbassamento delle tasse, soprattutto come l'avete realizzato voi, con i condoni, con lo scudo fiscale, con l'abolizione dell'imposta di successione e con la revisione delle aliquote, ha determinato un crollo del gettito fiscale. Così, poi avete tagliato i trasferimenti agli enti locali, che erogano gran parte del welfare. Avete controriformato le pensioni, abbassando la loro redditività; e adesso vi apprestate, pare, con un maxiemendamento, a sequestrare i fondi destinati alla previdenza integrativa del TFR, per metterli a ripiano del debito.
Insomma, vi state muovendo in una direzione che rischia di compromettere in maniera molto grave alcune delle prestazioni universalistiche faticosamente e in modo imperfetto conquistate dai lavoratori nel corso di questi anni.
Signor Presidente, onorevoli colleghi, signor rappresentante del Governo, noi abbiamo un'idea del tutto differente: un'idea antiliberista, ma soprattutto non ideologica. In cinque anni avete visto i


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fallimenti delle vostre politiche: il paese è fermo e continuate ad insistere. Ancora adesso continuate con quelle vergognose politiche di privatizzazione e di cartolarizzazione che hanno contribuito a creare un mercato degli immobili in mano a pochi grandi gruppi e a far schizzare alle stelle i prezzi delle case. Per acquistare un appartamento, oggi, ci vogliono 18 anni di stipendio! Diciotto anni! È una vita di un lavoratore.
I colleghi del mio gruppo e quelli dell'opposizione, per gli emendamenti comuni, illustreranno le varie proposte emendative presentate. Non voglio nascondere che siamo molto preoccupati per il rischio del «colpo di grazia», inferto con questa legge finanziaria, alle finanze pubbliche.
Sulla parte strutturale della copertura ha già parlato il collega Morgando. Si tratta di proventi della lotta all'evasione contributiva non definiti, e quindi del tutto astratti. L'unica cosa certa è che, dei tagli alle spese per 12,7 miliardi, quelli certi sono solo i tagli relativi alla sanità e agli enti locali. I sindaci, non a caso, si lamentano. Ho ricevuto una lettera del sindaco del collegio nel quale sono stato eletto, quello delle Isole Tremiti, il quale scrive che, a partire da dicembre, taglierà l'erogazione dei servizi idrici, perché non ha i soldi. Questo caso riguarda qualche centinaio di cittadini, ma quanti «casi Isole Tremiti» avremo in Italia?
Per concludere, vorrei soffermarmi su due argomenti che riguardano il lavoro che svolgo come componente della Commissione ambiente e lavori pubblici.
Il primo argomento, al quale ho già accennato, riguarda la casa, che è una vera emergenza nazionale; ma nulla è previsto per alleviare il disagio abitativo. Eppure, il Presidente del Consiglio ne aveva parlato ampiamente; tutto però è rinviato a dopo le elezioni. Noi proponiamo un grande piano, che prevede che si ricostituisca un settore pubblico. Servono più case a basso prezzo; in realtà, sono stati tagliati anche i fondi per l'integrazione degli affitti, che dovrebbero servire come base per far riprendere un sistema che punti sui contratti concordati e non sui contratti di libero mercato, con i quali i lavoratori non hanno la possibilità di trovare casa. Serve bloccare gli sfratti, ma questo blocco il Governo non l'ha voluto. Serve una politica della casa come diritto: una politica generalizzata. Servono case per le giovani coppie, e servono case per gli anziani. Servono affitti equi per gli studenti fuori sede, che pagano 350-400 euro a testa per un posto letto. Non parliamo poi di una famiglia o di una giovane coppia!
Il secondo argomento riguarda la tutela comune dei beni del territorio. Noi, com'è noto, ci opponiamo - come Unione, dopo il vertice di Perugia - alla privatizzazione dei servizi idrici. Voi, dall'articolo 35 della legge finanziaria per il 2002 in poi, avete imposto la privatizzazione; noi abbiamo presentato una proposta emendativa che cerca di cancellare tale norma. Allo stesso modo, ci opponiamo, senza alcun indugio, ad alcune opere inutili e dannose. Non voglio parlare in questa sede dell'alta velocità in Val di Susa, per la quale il Governo, attraverso il ministro Pisanu in quest'aula, ha detto nelle settimane passate parole che hanno eccitato e fomentato la violenza, senza favorire il dialogo.
È solo merito dei sindaci e della loro responsabilità, se oggi comincia a esserci un processo che riporta le decisioni nella loro sede naturale, che è la sede democratica, prima di tutto degli enti locali.
Per quello che riguarda il ponte sullo stretto è del tutto evidente: tutti sanno che è una opera inutile, un'opera dannosa, solo che il Governo Berlusconi doveva dire in campagna elettorale che realizzava una grande opera, dopo non averne fatta alcuna in cinque anni (se non qualche cantiere già aperto dal centrosinistra)...!
Voi vi esaltate per il ponte: ogni giorno, nello stesso momento, migliaia di automobilisti rimangono imbottigliati sulla Salerno-Reggio Calabria, oppure sull'autostrada più «inaugurata» nel pianeta, cioè la Messina-Palermo, appunto inaugurata in tutti i sensi di marcia ogni tre o quattro mesi.
Per andare da Napoli a Palermo, per unire le due capitali del sud, servono in treno dalle 9 alle 12 ore: c'è da vergognarsi


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a dirlo! Solo 35 minuti di questi tempi complessivi sono spesi per l'attraversamento dello stretto: con il ponte non ci sarebbe che un risparmio di pochi minuti.
Se quei soldi fossero investiti per migliorare le linee stradali e ferroviarie esistenti, i risparmi sarebbero enormi. Ma tutto questo non conta, perché bisogna fare favori alle aziende che vincono gli appalti, nonché agli amici degli amici.
Concludendo, signor Presidente, questa finanziaria, che trova la ferma opposizione del gruppo di Rifondazione comunista e di tutta l'Unione, è il giusto e naturale compimento - purtroppo - di quelle precedenti.
Per questo, per combattere l'impostazione ideologica che ha portato il paese verso una crisi grave ed ha posto i lavoratori, i disoccupati, i giovani in condizioni di precarietà e insicurezza senza precedenti, noi contrasteremo la finanziaria in questi giorni in Parlamento, a fianco dei lavoratori che hanno scioperato il 25 novembre e il 2 dicembre, a fianco degli insegnanti e degli studenti che sono scesi in piazza in ottobre contro i tagli e la privatizzazione dell'istruzione, e a fianco degli inquilini che hanno manifestato il loro disagio, nonché dei consumatori che hanno paura ogni volta che si recano al supermercato.
Ormai a Roma ogni giorno c'è una manifestazione di una diversa categoria che protesta: avete contro quasi tutte le categorie sociali! Ci sono voluti cinque anni, ma il paese adesso è vaccinato, e io spero che nei prossimi mesi, con la forza della lotta dei diritti, saprà darvi il benservito.
Non sarà facile riparare ai vostri danni, ma lo faremo, senza separare il risanamento dallo sviluppo e dalla coesione sociale; lo faremo dalla parte dei lavoratori e, signor Presidente, con responsabilità (Applausi dei deputati dei gruppi di Rifondazione comunista, dei Democratici di sinistra-L'Ulivo e della Margherita, DL-L'Ulivo).

PRESIDENTE. È iscritta a parlare l'onorevole Pennacchi. Ne ha facoltà.

LAURA MARIA PENNACCHI. Il nostro giudizio - quello di tutta l'opposizione di centrosinistra - sulla manovra di finanza pubblica che giunge ora qui alla Camera alle sue ultime battute è severamente negativo. Severamente negativo perché, innanzitutto, si tratta di una manovra molto consistente sul piano quantitativo. Questo va sottolineato: si tratta di una manovra che ha elementi elettoralistici, che però sono quisquilie piuttosto miserrime dal punto di vista delle quantità e dal punto di vista delle qualità (se una parola così importante come «qualità» può essere usata per queste quisquilie).
Nella sua intensità complessiva, tuttavia, la manovra è consistente: siamo intorno ai 24 miliardi di euro, più i tre miliardi che dovevano provenire da entrate relative a cartolarizzazioni ed essere destinati alla realizzazione di piani innovativi in adempimento dell'Agenda di Lisbona, che la Commissione europea ha già imposto (perché si tratta di una imposizione) di assegnare, se entrate ci saranno, (il «se» va sottolineato), a riduzione del fabbisogno.
Dunque, siamo di fronte a una manovra consistente. Il nostro giudizio è severamente negativo innanzitutto per questo, e anche però per un apparente paradosso: la manovra è consistente, ma non riesce a risanare la finanza pubblica, una finanza pubblica che è stata dissestata dal Governo in carica.
Non possiamo esimerci dal ricordare, anche in questo momento, in cui, come osservava il collega Morgando, ci troviamo nella situazione di trarre un doveroso bilancio dell'intera politica macroeconomica e microeconomica condotta dai Governi Berlusconi, che nel 2000 il deficit era pari allo 0,7 per cento del PIL ed era stato portato a tale livello partendo dal 7,6 per cento del 1996. Oggi, invece, ci troviamo - anche ipotizzando una piena realizzabilità della manovra in atto, che non si è mai verificata - nella condizione di non poter mantenere l'impegno, assunto con la Commissione europea, di conseguire il 3,8 per


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cento di deficit, e dunque di dover temere l'attivazione di una procedura per deficit eccessivo.
La manovra non risana la finanza pubblica, non rilancia lo sviluppo, non assicura cittadinanza e solidarietà. Si tratta di tre aspetti fondamentali, sui quali intendo soffermarmi.
La manovra, in primo luogo, non risana la finanza pubblica. Ne è testimonianza il fatto, senza precedenti, che la Commissione di Bruxelles ci ha sottoposto, addirittura in corso d'opera e dunque prima che avesse luogo il voto finale sulla manovra, ad un esame speciale: noi siamo sorvegliati speciali! La Commissione di Bruxelles ci ha sottoposto la scorsa settimana a questa verifica in corso d'opera - non era mai accaduto! - e durante l'esame in sede referente sono stati inseriti alcuni palliativi - dobbiamo, infatti, considerarli tali - per rassicurare la stessa Commissione di Bruxelles. Si tratta, forse, di uno dei pochi atti positivi da parte della Commissione di merito, il cui lavoro è stato assolutamente risibile e ridicolo, configurando un ulteriore esproprio del Parlamento, quell'esproprio del Parlamento che denunziamo ininterrottamente dal 2001. Questi palliativi costituiscono l'ulteriore ammissione di colpa di cui parlava l'onorevole Morgando e che l'onorevole Crosetto in Commissione ha riconosciuto esplicitamente come tale: sono l'ammissione che i conti sono fuori controllo!
Siamo dunque pienamente legittimati a identificare il fallimento della politica economica dei Governi Berlusconi. Il risanamento già realizzato è stato totalmente dissipato, e del resto non poteva che essere così se con la memoria, traendo il bilancio che dobbiamo trarre, torniamo agli atti che si sono succeduti dal 2001 in poi, dalla depenalizzazione del falso in bilancio alla soppressione dell'imposta di successione e donazione sui grandi patrimoni, allo scudo fiscale, alla «Tremonti bis», e il nostro elenco potrebbe continuare.
La compromissione del risanamento finanziario è stata resa possibile anche attraverso la lacerazione istituzionale del processo di assunzione della decisione di bilancio andata avanti negli scorsi anni. Quest'anno la manovra, che doveva essere assunta nella sua completezza e totalità, consentendo una lettura unitaria e completa, entro il 30 settembre, è stata invece assunta con sette provvedimenti diversi, cui se ne sono aggiunti di ulteriori, e se ne aggiungeranno ancora, con il maxiemendamento che sappiamo bene essere in corso di preparazione. Con tali provvedimenti è stata introdotta una correzione, è stata adottata una manovra correttiva per il 2005, senza che ciò fosse detto esplicitamente, e successivamente è stata adottata addirittura una correzione della correzione, che ancora non era stata votata, della manovra correttiva per il 2006. E ci troveremo, con i palliativi già adottati in Commissione e con ulteriori misure che saranno contenute nel maxiemendamento, di fronte a una correzione della correzione della correzione! Pensate un po'! È stato un crescendo, a cominciare dal provvedimento «taglia-spese», con cui si è operata una singolare interpretazione che rappresenta una violazione dell'articolo 81 della Costituzione, in base al quale le coperture debbono essere non ex post ma ex ante.
Oggi, questo crescendo sfocia in una pessima qualità dei documenti di bilancio, nell'opacità lamentata in primo luogo da noi e, successivamente, da tanti osservatori, in particolare dal Fondo monetario internazionale, che ha dichiarato che i risultati della nostra manovra di finanza pubblica sono ben al di sotto degli standard dei paesi industrializzati! Questi risultati - cito le testuali parole del Fondo monetario internazionale - manifestano un «urgent need of improvement», un urgente bisogno di miglioramento rispetto ad una «lack of transparency», vale a dire una carenza di trasparenza che rende totalmente inaffidabili i nostri conti pubblici e mette il Parlamento nell'impossibilità di svolgere pienamente la sua funzione di controllo e di pungolo. Il Parlamento - lo affermiamo da tempo - è stato espropriato delle sue funzioni ed a tale situazione si dovrà porre un forte rimedio.
Si è preferito adottare provvedimenti sparsi e frammentati, poiché non si voleva


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svelare che le previsioni erano troppo sfavorevoli e, quindi, condizionare negativamente Bruxelles. Una volta che le correzioni sono state adottate surrettiziamente (persino una manovra correttiva per il 2005), non è stato spiegato in cosa la previsione precedente fosse sbagliata.
Così, rimangono fortissimi dubbi sia in noi sia nella Commissione di Bruxelles che, infatti, la scorsa settimana, ha chiamato a rapporto la struttura tecnica del Ministero dell'economia. Rimangono fortissimi dubbi sul fatto che i nuovi tendenziali nascondano ciò che, con un eufemismo, potremmo chiamare «altri errori», ma che errori non sono.
Oggi, vengono al pettine i nodi delle coperture. Su tantissimi punti c'è ancora un'oscurità assoluta (richiamo l'esempio dell'ANAS e delle Ferrovie), per importi molto rilevanti. I consumi intermedi, per i quali era prevista nel 2005 una riduzione del 30 per cento, sono, invece, aumentati del 10 per cento nel 2005, come stabiliscono i documenti ufficiali. Nella legge finanziaria per il prossimo anno si prevede, viceversa, un ulteriore taglio; ciò, peraltro, senza alcun effetto stabile, un effetto che potremmo definire privo di rimbalzo sui consuntivi.
È stata adottata l'estensione dell'esenzione dell'ICI senza che fosse presentata una relazione tecnica. L'abbiamo chiesta insistentemente, ma non è stata presentata e questo avviene ormai sistematicamente. Sono stati siglati solo alcuni contratti del pubblico impiego e, comunque, la loro efficacia partirà dal 2006. Erano stati tutti inseriti nei tendenziali per il 2005. Cosa succederà rispetto ai tendenziali del 2006?
A queste domande, in questa fase finale della legislatura, in sede di discussione sul disegno di legge finanziaria, non abbiamo ricevuto risposta. I tagli veri riguardano solo il funzionamento della pubblica amministrazione (quasi 10 miliardi di tagli sul funzionamento della pubblica amministrazione!). Rilevanti tagli sono stati attuati sui contratti a tempo determinato, che provocheranno la «messa in libertà» - per usare un eufemismo - un licenziamento - per usare una parola più propria - di un numero molto rilevante di persone, dalle settantamila alle centomila e forse di più; si tratta di giovani ad alta scolarità che vengono «messi in libertà».
Per quanto riguarda i tagli sulle amministrazioni locali, il collega Morgando precedentemente ha dichiarato che qualcosa grida vendetta contro lo Spirito Santo, perché i tagli sono molto consistenti e, sugli stessi, abbiamo dovuto subire - forse subire non è la parola esatta perché non ha prodotto su di noi molti effetti, se non quelli dell'indignazione -, abbiamo dovuto ascoltare che si trattava non di tagli, ma di economie di spesa, come se il dizionario italiano non ci consentisse di affermare che «economie di spesa» è uguale a «tagli».
Abbiamo sentito che poteva bastare che il sindaco di una grande città si scrivesse da sé i discorsi senza ricorrere al suo staff - a questo riguardo, ricordo che non abbiamo ricevuto risposte convincenti in merito alle 450 persone che lavorano nello staff del ministro dell'economia e delle finanze - o che poteva bastare non organizzare una «festa del rospo» o qualche altra festa per raggiungere l'entità del taglio delle risorse da realizzare. Ancora, poteva bastare «tagliare» le cosiddette auto blu e le consulenze. E ciò, fra l'altro, era previsto nella relazione tecnica del Governo che accompagna il disegno di legge finanziaria. In quella relazione si prevedeva, in particolare, che i risparmi per le auto blu, ammontanti a ben il 50 per cento della spesa dell'anno precedente, sarebbero aumentati a 30 milioni di euro e le consulenze a 70 milioni di euro. In tal modo si poteva arrivare, in totale, a 100 milioni di euro di tagli. Tagli che, per il patto di stabilità interno, sono pari a 3,1 miliardi di euro.
I tagli alle risorse apportati agli enti locali assumono rilievo con riferimento al secondo aspetto su cui desidero soffermarmi, e cioè sul fatto che il disegno di legge finanziaria al nostro esame non solo non sostiene ma è anche contro lo sviluppo. I tagli agli enti locali avranno, tenuto conto che tali enti sono grandi


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investitori, un impatto notevole sugli investimenti che essi potranno effettuare.
Ci sono anche altri elementi che bisogna ricordare in materia di sviluppo. In particolare, le maggiori entrate sono pari a 7,3 miliardi di euro: altro che riduzione della pressione fiscale e tributaria complessiva! Per oltre tre quarti, queste maggiori entrate gravano sulle imprese che, dunque, vedono assolutamente vanificata la risibile riduzione di un punto percentuale del costo del lavoro. Ci sono riduzioni dei trasferimenti alle imprese per 3,6 miliardi di euro e due terzi di queste riduzioni, per sottolineare aspetti che assumono un rilievo importante in tema di sviluppo, concernono i trasferimenti in conto capitale. Per non citare poi il limite assurdo posto alla spesa al fondo per l'innovazione tecnologica. Non saranno certo sufficienti a rilanciare lo sviluppo le poche decine di milioni di euro destinate ai distretti industriali, rispetto ai quali il professor Sylos Labini - venuto a mancare da pochissime ore e che ricordo come grandissima personalità della scienza economica italiana - ha avuto il tempo di dichiarare che le considerava assolutamente insoddisfacenti, quasi un'ingiuria. Allo stesso modo, non sarà sufficiente la Banca per il sud, su cui abbiamo chiesto chiarimenti che però non ci sono stati forniti, né sarà sufficiente lo 0,5 per mille. A quest'ultimo riguardo, abbiamo calcolato, assumendo come base la ex IRPEF attuale, che si potranno ottenere 600-700 milioni di euro che dovranno, però, essere destinati a vari scopi. Per dare un'idea: per raddoppiare la spesa per ricerca e sviluppo, che nel nostro paese è a livelli bassissimi, occorrerebbero 12 miliardi di euro. Lo 0,5 per mille svela, essendo esso finalizzato anche a sostenere la spesa e gli investimenti delle organizzazioni del volontariato e della società civile (organizzazioni che si sono dichiarate totalmente in disaccordo al ricorso a questa misura), una concezione residuale e caritatevole del welfare del Governo; talmente residuale che il welfare è da considerarsi praticamente nullo, come dimostra il fatto che il fondo per le politiche sociali non è stato rifinanziato e i tanto declamati bonus per i figli rappresentano una miserrima monetizzazione del bisogno. Inoltre, non si prevede nulla per la non autosufficienza, per il Mezzogiorno, per le crisi industriali e per le innovazioni tecnologiche.
L'Italia ha bisogno di ben altro! Ha bisogno di casa, di una struttura seria per la casa, e di servizi pubblici che possano consentire al tasso di attività femminile di riprendersi: se non si sblocca il potenziale di lavoro delle donne, questa società non potrà ripartire e rimarrà bloccata così com'è. Ha bisogno di tutte le altre cose che ricordavo. Ha bisogno, soprattutto, di etica pubblica, di senso civico, di grandi valori e idealità, di libertà - sì, in senso sostanziale -, di eguaglianza, di fraternità: grandi valori che la società italiana vuole vedersi ...

PRESIDENTE. Grazie, onorevole Pennacchi, voglia concludere, per favore...

LAURA MARIA PENNACCHI. ... restituiti. Sarà compito del centrosinistra rilanciarli e restituirli alla società italiana (Applausi dei deputati dei gruppi dei Democratici di sinistra-L'Ulivo e della Margherita, DL-L'Ulivo)!

PRESIDENTE. Constato l'assenza dell'onorevole Perrotta, iscritto a parlare; s'intende che vi abbia rinunziato.
È iscritto a parlare l'onorevole Meduri. Ne ha facoltà.

LUIGI GIUSEPPE MEDURI. Signor Presidente, se dobbiamo essere sinceri, dobbiamo dire che, per fortuna, questa è l'ultima finanziaria di questo Governo di centrodestra!
Di fronte ad un paese che cresce poco e male, in cui i segnali di ripresa, ogni volta annunciati, non si palesano mai, oggi avviamo una discussione su un disegno di legge finanziaria che davvero non affronta i principali nodi della nostra vita economica e sociale. Per di più, il testo non è neppure quello definitivo, visto che, per domani, si preannuncia un nuovo maxiemendamento!


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Si tratta di un provvedimento disattento, come al solito, verso il Mezzogiorno, in cui si parla di una fantomatica Banca del Mezzogiorno, ma in cui non si affronta il tema dei tassi di interesse e dell'enorme differenza esistente tra i tassi praticati al sud rispetto a quelli praticati nei confronti di imprenditori nelle stesse condizioni, ma residenti al nord: c'è una differenza media di tre o quattro punti percentuali che non si giustifica se non in assenza di una politica pubblica a favore della promozione degli investimenti.
Siamo delusi da un atteggiamento a dir poco provocatorio rispetto alle misure adottate in questo disegno di legge finanziaria dopo l'esame in Commissione. Dove sono le politiche industriali? Dove sono gli interventi per le infrastrutture strategiche? Vorrei chiedere ai cari colleghi del sud (se fossero presenti ...) eletti per la Casa delle libertà cosa li spingerà a votare un provvedimento in cui, al comma 62, tra i finanziamenti per 400 miliardi di vecchie lire sono state inserite, nell'ordine, le seguenti infrastrutture: sistema pedemontano lombardo; tangenziali di Como e di Varese; accessibilità Valcamonica; accessibilità della Valtellina; interventi per l'autostrada Asti-Cuneo. L'opera più a sud è a Formia!
Sicuramente si tratta di opere necessarie; ma quante ne sono state ignorate al sud? E perché questo Governo le ha ignorate? Complimenti davvero per questo! Mi chiedo se abbiate fatto un giro sulla A3 adesso, nel periodo invernale. Ve lo consiglio sinceramente, soprattutto nei prossimi giorni di esodo per le festività natalizie, così come vi consiglio di prendere un treno diretto dal nord al sud ...! Sono stato presentatore di un emendamento che impegnava a destinare le risorse derivanti dalla riduzione degli stipendi dei parlamentari al miglioramento del trasporto ferroviario nel sud. Con tale emendamento intendevo «adottare» i vagoni ferroviari dei treni a lunga percorrenza dalla Calabria al nord, e viceversa, in maniera tale da disinfestarli, per consentire all'utenza del sud di avere un trattamento qualitativamente normale rispetto ad un viaggiatore del nord.
In questi anni, le disuguaglianze si sono accentuate e, per volere della Lega, non vi è stata iniziativa o provvedimento che non fosse declinato a vantaggio del nord. Quali sono le misure a sostegno dello sviluppo del sud? Se quelle sono le infrastrutture, in che modo l'economia meridionale può essere rilanciata se mancano investimenti strategici di prospettiva? Non un intervento mirato, specifico, in grado di attirare anche dall'estero investimenti di multinazionali!
Ma non si è agito neppure sul fronte interno, per accrescere la sicurezza dei nostri territori. Occorrevano risposte che non troviamo o che non fanno altro che accentuare la frammentazione e quella declinazione minimalista, clientelare ed assurda che mortificano il paese: una pioggia di coriandoli regalati a destra ed a manca per mostrare lo scalpo del proprio impegno! Così, gli LSU diventano solo quelli di Messina, dove oggi ancora si vota per il ballottaggio, e si ignora che vi sono altre decine di migliaia di lavoratori socialmente utili, magari impegnati in quei piccoli comuni in cui il loro servizio diventa essenziale. Se non vi sono proroghe o processi di incentivazione alla stabilizzazione, servizi quali scuolabus, mensa e raccolta rifiuti rischiano di venire meno!
E i forestali calabresi? Cosa avete messo in piedi in questi 12 mesi di proroga? Nulla! Non siamo in grado nemmeno di capire se il ministro Calderoli è commissario oppure no e deve essere la regione a farsi carico delle istanze di rivendicazione e del recupero di ulteriori fondi di fronte all'inerzia del Governo.
Si tratta di una finanziaria scandalosa, per certi aspetti: taglia del 10 per cento - un ulteriore 10 per cento - l'assegno di mobilità per i lavoratori soggetti a proroga e in deroga: fate i deboli con i forti perché consentite al fratello del vostro Presidente del Consiglio dei ministri di continuare a beneficiare degli incentivi per l'acquisto


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dei decoder e, invece, tagliate l'assegno di mobilità mensile di 380 euro di un ulteriore 10 per cento!
Mi dite dove è finito il reddito di ultima istanza? Avete persino tassato con tanta enfasi le pensioni d'oro per finanziare quella misura già nel 2003; da allora sono trascorsi due anni e, quindi, vorremmo capire. Dove sono finiti i soldi del prelievo sulle pensioni d'oro e perché questo Governo non ha consentito, invece, la proroga della sperimentazione del reddito minimo di inserimento?
Una gestione francamente fallimentare che non ha assolutamente posto in essere alcuna iniziativa di contrasto della povertà che, di fatto, nel sud è aumentata. Ci sono i nostri emendamenti, sia della Margherita sia dell'intero centrosinistra, a testimoniare il nostro impegno su temi come: la non autosufficienza, il rafforzamento del Servizio sanitario nazionale nel Mezzogiorno e il sostegno alla maternità in maniera seria, non come avete fatto voi.
Dopo cinque anni, ci consegnate un paese stanco e sfiduciato e un Mezzogiorno che sta ancora peggio: più povero e nel quale è in atto una vera e propria desertificazione industriale. Fate l'elenco delle crisi e vi accorgerete che stanno scomparendo interi settori produttivi: per l'agricoltura di qualità non si promuovono investimenti, per la valorizzazione del turismo vi preoccupate di favorire i mega-impianti ricettivi, senza alcuna strategia di integrazione con il territorio; non c'è una visione di insieme delle voci dello sviluppo e del rilancio socio-economico di questo contesto territoriale massacrato dalle vostre politiche antimeridionaliste. Sfogliate le pagine di questa finanziaria e individuatemi una politica per il Mezzogiorno: in un minuto di tempo non riuscirete a citare un solo comma per il Mezzogiorno!
Vi apprestate pure a porre la questione di fiducia su questa finanziaria, una fiducia dettata esclusivamente dai vostri precari rapporti interni; infatti, si legge che persino i colleghi di Forza Italia si sono dichiarati insoddisfatti del lavoro della Commissione.
Una fiducia che voi darete consapevoli, però, che il paese reale, quello vero, la fiducia ve l'ha già tolta e ve la toglierà definitivamente alle prossime elezioni. Lascerete al paese un'eredità drammatica, ma noi saremo in grado di dare risposte all'altezza della sfida e dei bisogni veri dei cittadini (Applausi dei deputati dei gruppi della Margherita, DL-L'Ulivo e dei Democratici di Sinistra-L'Ulivo).

PRESIDENTE. È iscritta a parlare l'onorevole Labate. Ne ha facoltà.

GRAZIA LABATE. Signor Presidente, colleghi, sottosegretario Vegas, la finanziaria per l'anno 2006 ci consente di trarre un bilancio complessivo della manovra presentata dal Governo e, al tempo stesso, di aprire una riflessione sulla politica economica e sociale che questo Governo ha perseguito in questi cinque anni. In sintesi, potremmo dire, senza alcun desiderio di giudizio ideologico, che siamo di fronte a delle politiche che hanno reso l'Italia un paese che non cresce e che ha i conti pubblici fuori controllo.
Tutti gli indicatori economici dimostrano questa mia affermazione: tutti gli indicatori sociali manifestano come siano cresciute le soglie di povertà in un'Italia già afflitta da problemi strutturali e gli indicatori riguardanti la salute dei cittadini italiani ci consegnano certamente una maggiore longevità, ma una qualità di vita in cui le patologie croniche più rilevanti hanno un'incidenza sulla salute degli italiani tanto forte da consentire che ogni famiglia spenda privatamente dai 6 mila ai 7 mila euro annui.
Dunque, siamo di fronte ad una manovra che assume in sé un carattere recessivo, non fornisce risposte ai problemi più urgenti del paese, da quello del rischio di declino economico a quello della distribuzione sperequata dal reddito, dalla riduzione del potere di acquisto dei ceti medi e popolari alla marginalizzazione delle aree svantaggiate del paese. Inoltre, essa rappresenta - sento di affermarlo con forza e con passione in questa Assemblea - un grave, un duro colpo alle


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politiche di welfare. A causa del mancato controllo della spesa pubblica e di scelte di politica economica e sociale profondamente sbagliate e inique, il Governo si trova ad affrontare le problematiche della crescita e del rilancio dell'economia del paese senza la necessaria dotazione di risorse e, soprattutto, senza la necessaria capacità di far fronte ad una situazione certamente difficile dell'Italia, trovando un giusto punto di equilibrio tra politiche economiche e politiche sociali e tra compiti e poteri istituzionali dello Stato centrale, delle regioni e delle autonomie locali. Insomma, questo disegno di legge finanziaria è la prova tangibile, senza alcuna ideologia dei numeri, della vostra incapacità di scegliere fra declino e progresso.
Sul piano istituzionale ci avete inferto tante ferite e avete inferto ferite al Parlamento in merito all'analisi ed all'approvazione di questa manovra finanziaria e del collegato fiscale che, precedentemente, nelle scorse settimane, avete approvato, anche in quel caso a colpi di fiducia. Tutto questo ha reso sempre più ampia la vostra discrezionalità nel presentare proposte che si accavallano in maniera confusa ai testi già presentati e si accompagnano, comunque e sempre, a richieste di fiducia su maxiemendamenti che, in realtà, riscrivono in profondità e nel merito articoli complessi di questo disegno di legge.
Non so che cosa scriverete nel maxiemendamento di mercoledì ma so che tutte le motivazioni relative agli emendamenti, che il relatore e la maggioranza hanno presentato in queste notti difficili in sede di Commissione bilancio, saranno nuovamente messi in discussione. Lo apprendiamo dalla lettura dei quotidiani, questa mattina. Sarà, ancora una volta, la riprova dello stato confusionale, della logica elettoralistica e delle misure una tantum ed ad personam che voi tentate di approvare con questa manovra finanziaria. Altro che risanare i conti pubblici! Voi li aggravate, lasciando questo paese, dal 2006, in una situazione davvero difficile e compromessa in profondità!
Vorrei tornare problema delle politiche sociali, del quale tanto si è discusso e si è parlato in queste settimane, poiché sembrava che il Governo tendesse a mettere in campo, finalmente, una politica per le famiglie italiane. Naturalmente, noi non ci facevamo illusioni. Sappiamo benissimo che cosa c'è dietro alla logica del bonus per il figlio nato nel 2005 e per il secondo nato nel 2006, così come conoscevamo benissimo la logica secondo cui, lo scorso anno, ci avete dato una detrazione fiscale per le badanti che seguivano gli anziani, peraltro così miserevole da non coprire nemmeno il costo orario di paga sindacale di una badante e da non consentire alle famiglie di concludere contratti in regola con la contribuzione degli oneri previdenziali e sociali. Sapevamo benissimo tutto ciò. Eppure, dietro a questa politica della famiglia avete perso tre settimane di tempo - con il ministro della salute in testa - per dare un'immagine della famiglia italiana e delle donne italiane tutte improvvisamente impazzite e dedite all'aborto continuo, in questo paese! Ci costringete ad una indagine conoscitiva che sarà una farsa, una burletta da parte del Parlamento italiano.
In questa manovra finanziaria vi siete rifiutati di prendere in considerazione gli emendamenti costruttivi che l'Unione e i Democratici di sinistra hanno presentato proprio a sostegno delle strutture consultoriali del nostro paese, il cui finanziamento, in dieci anni, non avete mai aumentato di una sola lira.
Quanta retorica, quanta falsità dietro questa necessità di rilanciare una politica seria per le famiglie italiane, che, invero, sì, andrebbe rilanciata! Invece, nessun intervento strutturale, nessuna politica di potenziamento degli asili nido, nessuna politica per le giovani coppie, nessuna politica che dia serenità per il futuro: il tema degli anziani non autosufficienti esce come il grande sconfitto da queste aule parlamentari. Per ben due volte, in Parlamento, non avete consentito l'approvazione di una legge che avrebbe permesso, affrontando il dramma umano, sociale e di salute dei nostri anziani con patologie


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croniche rilevanti, di mettere in campo una politica di sostegno alle famiglie italiane, che portano tutto il carico complessivo di un anziano con malattia di Alzheimer o di Parkinson ovvero con patologie croniche degenerative; patologie che richiedono un sostegno da parte del sistema pubblico dei servizi ed incentivi di tipo economico e monetario per evitare quanto tragicamente avvenne due anni fa in Italia ovvero per evitare che, a seconda delle variazioni climatiche, muoiano nel nostro paese dai 7 mila agli 8 mila anziani.
Ecco a cosa ci avete ridotto! Non solo non avete avuto la minima intenzione di riqualificare il fondo per le politiche sociali rifinanziandolo e adeguando la consistenza dell'anno scorso al tasso di inflazione; addirittura, lo avete decurtato di 500 milioni di euro per il 2005 a fronte di impegni di spesa già assunti dalle regioni italiane e dal sistema delle autonomie locali per far fronte, con servizi reali alla popolazione, a quanto voi non siete stati in grado di mettere in campo con una vera politica sociale nel nostro paese. E poi ci fate tutti i conti, dichiarando che non è vero, che alle regioni ed agli enti locali, noi non diminuiamo la spesa per le politiche sociali e per la sanità. Ma il Presidente del Consiglio, che dichiara di voler compiere un'«operazione verità», prenda i documenti contabili e di bilancio, legga le intese tra Stato e regioni e faccia davvero l'«operazione verità». Scoprirà che il Governo, rispetto a quanto concordato, non onora i propri impegni e, anzi, continua la farsa della sottostima del Fondo sanitario nazionale consegnando al paese, sottosegretario Vegas, di anno in anno, una politica della sanità che non soltanto non copre i costi dei livelli essenziali di assistenza ma costringe le regioni italiane, anche per le modalità con cui trasferite le risorse, a ricorrere ad anticipazioni di cassa; e la voragine dei disavanzi pregressi aumenta nei trienni dal 2002 al 2006. Siamo stati tutti quanti rassicurati da voi, in questi mesi, all'insegna della parola d'ordine: le risorse per la sanità aumentano. Dove? Come? Anche nel vostro Documento di programmazione economico-finanziaria avevate giustamente calcolato il tendenziale - ve ne do atto - in 95 miliardi di euro, ma avete poi fatto di nuovo non l'«operazione verità» ma l'«operazione falsità».

PRESIDENTE. Onorevole Labate...

GRAZIA LABATE. Avete iscritto nel bilancio dello Stato una somma pari ad 89 miliardi di euro; l'avete incrementata di un miliardo di euro, con un rigido regime vincolistico dell'accesso alle regioni; ci avete detto: daremo altri due miliardi di euro, e li ancorate ad un sistema di vincoli che risultano la vergogna di questo paese. Un cittadino del Mezzogiorno non potrà più recarsi in una regione del centro-nord per sottoporsi ad un'operazione ortopedica raffinata ed importante perché avete messo vincoli anche sulla mobilità sanitaria ed avete cambiato in corso d'opera, con un colpo di mano, in Commissione bilancio, le modalità di ripartizione del fondo basate su solidarietà e peso dei bisogni di salute della popolazione nel nostro paese. Questo è il risultato delle vostre politiche sociali che ci consegnate.
Ma sono certa - e concludo, signor Presidente - che quanto ho affermato in questa Assemblea, nonché ciò che i cittadini proveranno nella loro esperienza di vita quotidiana, risulteranno la migliore «operazione verità» per mandarvi a casa, perché avete fallito!
Questa è la verità politica di questo paese, e sono sicura che i cittadini italiani, con intelligenza e con coraggio, cambieranno strada (Applausi dei deputati dei gruppi dei Democratici di sinistra-L'Ulivo e della Margherita, DL-L'Ulivo)!

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Lettieri. Ne ha facoltà.

MARIO LETTIERI. Signor Presidente, signor viceministro, il rapporto dell'Economist intelligence unit sul sistema Italia dimostra che l'analisi della competitività effettiva nel periodo 2001-2005 vede l'Italia precipitare al trentunesimo posto nella


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classifica mondiale: il nostro paese perde, quindi, otto posizioni rispetto alla precedente valutazione.
La comparazione della realtà economica del nostro paese con lo scenario globale suscita, pertanto, grande preoccupazione. Vorrei segnalare che, nel 2004, il PIL mondiale è cresciuto del 5,1 per cento: ciò è stato certamente il frutto dell'esplosione economica dei paesi emergenti (Cina, India e Corea del nord), nonché della ripresa americana e giapponese. L'Italia, invece, è cresciuta appena dello 0,2 per cento: siamo, dunque, alla crescita zero.
Ciò che è più grave, tuttavia, è che il nostro paese non sembra essere in grado di cogliere le opportunità della ripresa che si sta prospettando nell'area dell'euro. Attraverso il disegno di legge finanziaria in esame, frutto di continue correzioni, di un decreto-legge fiscale collegato e di un maxiemendamento, il Governo di centrodestra dimostra di non avere una politica economica ed una strategia di rilancio del sistema paese per renderlo più competitivo all'esterno e più equo e solidale al proprio interno.
Ci troviamo di fronte ad una serie di proposte - anche se, certamente, qualcuna è anche condivisibile - scoordinate e minute, che tuttavia non rappresentano un'organica politica economica e finanziaria. In questi cinque anni, è stato vanificato quanto di buono, con fatica, erano riusciti a realizzare i Governi di centrosinistra. È stato quasi azzerato, infatti, l'avanzo primario; è aumentato il rapporto tra deficit e PIL, che difficilmente riuscirà ad attestarsi al 3,8 per cento; anche il debito pubblico ha ripreso a salire, invertendo il trend discendente faticosamente avviato dal Governo Prodi.
Si tratta di dati tanto inconfutabili quanto amari, eppure vorrei osservare che, in questi cinque anni, le varie manovre finanziarie non sono state irrilevanti: il loro ammontare complessivo, infatti, è stato pari a circa 100 miliardi di euro. Nel periodo considerato, anziché incrementare la spesa effettiva per gli investimenti, è aumentata la spesa corrente. Sono altresì crollati i consumi delle famiglie: vorrei segnalare che, per la prima volta, nel Mezzogiorno il calo ha riguardato e riguarda tuttora i consumi alimentari, diminuiti dell'11 per cento. Alla debolezza della domanda interna, purtroppo, non ha sopperito quella esterna, per le note difficoltà delle economie verso le quali tradizionalmente esportiamo.
Tutto ciò ha determinato un impoverimento complessivo del paese, accentuando ancor di più le disuguaglianze, le ingiustizie e le sperequazioni sociali. I ricchi, infatti, sono diventati più ricchi, come i clienti privilegiati della Banca popolare italiana e gli speculatori finanziari ed immobiliari, mentre i poveri, e perfino i ceti medi, sono sempre più poveri, a causa del forte aumento del costo della vita, il quale, per le famiglie «normali», è sicuramente molto più alto di quello calcolato dall'ISTAT.
Si è di fronte ad un paese in difficoltà di ripresa e, per certi versi, sfiduciato, nonostante vi sia una notevole ricchezza di risorse umane, imprenditoriali e professionali, oltre al vasto, e spesso unico, patrimonio ambientale, storico e culturale. Evidentemente, non sono stati affrontati, al di là dell'ottimismo governativo, i veri nodi strutturali della crescita, a partire dal Mezzogiorno.
Con le sue scelte inefficaci e deludenti, infatti, il Governo di centrodestra ha mortificato le speranze e la voglia di intraprendere. Non si è dato alcun riferimento credibile alle forze sane della nostra società, alle intelligenze ed alle passioni dei nostri giovani, al mondo della ricerca e delle università, agli imprenditori seri ed a quella parte di classe dirigente tuttora motivata che ancora si sente al servizio del paese. Permane l'incertezza del futuro e l'insicurezza diffusa, che sono cause non secondarie della mancata ripresa di cui, come sostiene il Censis, si intravede appena qualche barlume.
Dopo anni di proposte avanzate dal centrosinistra, in questo disegno di legge finanziaria, finalmente, si riduce il «cuneo fiscale». La riduzione dei costi delle imprese è pari all'1 per cento, ma alle stesse, contemporaneamente, si sono imposti, con


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il decreto-legge fiscale, maggiori oneri derivanti dal raddoppio del periodo di ammortamento degli oneri relativi all'avviamento.
Verso le imprese si continua, quindi, con la pratica del bastone e della carota. Le politiche fiscali del Governo verso le imprese sono contraddittorie, come dimostrano la stessa tardiva scoperta del «cuneo contributivo», le genericità relative ai nuovi distretti produttivi e l'irrisorietà degli stanziamenti. Peggio si fa ancora con la cosiddetta poison pill, estesa anche alle società private, in barba a qualsiasi logica di concorrenza, con il rischio che ci venga contestata in sede europea.
Il Mezzogiorno ha ancora bisogno di incentivi. Voi avete «tagliato» i contributi a fondo perduto previsti dalla legge n. 488 del 1992 e dal cosiddetto credito di imposta. Come dicevo, il Mezzogiorno ha ancora bisogno di incentivi, ha bisogno di una vera fiscalità di vantaggio, ha bisogno di infrastrutture adeguate e di una moderna logistica, che non solo riducano le diseconomie delle imprese e degli investitori ma servano a trasformare l'intera area meridionale in un naturale snodo dei traffici da e per l'Asia. Al sud occorre subito porre mano alla ristrutturazione di tutti i porti ed alla realizzazione della logistica e dei collegamenti, per rendere praticabili i traffici suddetti.
Il Mezzogiorno, come il resto del paese, ha senz'altro bisogno di sviluppare la ricerca e gli studi di eccellenza, di accrescere l'economia del sapere, ma le infrastrutture di cui ho parlato sono decisive per il suo «decollo» e per il nuovo ruolo che può svolgere rispetto ai traffici globali. Pertanto non è concepibile l'attuale arretratezza del sistema ferroviario meridionale, di cui ha parlato il collega Meduri, ed è assurdo che nell'area di Napoli non vi sia un grande hub aeroportuale.
Senza dotazioni infrastrutturali, non vi è speranza di intercettare i traffici di merci e di turisti provenienti dall'Asia. Si consideri, senatore Vegas, che nel 2020 i turisti cinesi saranno più di cento milioni. Il nostro paese difficilmente, in queste condizioni, riuscirà a catturane, come dovrebbe, una parte rilevante. Attualmente l'ENIT non ha nemmeno un ufficio in Cina, dove - tuttalpiù - ogni tanto girovaga qualche assessore regionale carico di brochure...
Gli interventi previsti in questo disegno di legge finanziaria spesso hanno finte coperture; altri sono quasi spot propagandistici, come la Banca del sud ed il fondo per indennizzare i risparmiatori truffati dalle vicende Parmalat, Cirio, bond argentini, ed altre.
La verità è che i conti che il centrodestra presenta al paese, anche con quest'ultimo suo disegno di legge finanziaria, sono fuori controllo ed amari per i cittadini italiani. La politica fiscale attuata in questi anni, costituita da condoni, «scudi fiscali», depenalizzazioni dei reati di falso in bilancio, oltre che immorale ed iniqua, ha di fatto incentivato l'evasione fiscale, che ha raggiunto dimensioni intollerabili.
A fronte di questa situazione disastrosa, il centrodestra, anziché dire la verità al paese e proporre poche ed efficaci misure, pensa alla costituzione di una superholding per gestire ulteriori dismissioni immobiliari e le privatizzazioni. Sarà un altro trucco, un'altra scelta «creativa», che non risanerà il debito pubblico, impoverirà ulteriormente il nostro paese e farà arricchire qualche «solito noto».
Noi ci opporremo con tutte le nostre forze, ma, per fortuna, ormai il centrodestra non avrà più il tempo di fare un'altra scelta scellerata (Applausi dei deputati dei gruppi della Margherita, DL-L'Ulivo e dei Democratici di sinistra-L'Ulivo).

PRESIDENTE. È iscritta a parlare l'onorevole Sasso. Ne ha facoltà.

ALBA SASSO. Signor Presidente, questa è una discussione «quasi virtuale», poiché non conosciamo, se non per grandi linee, il testo del maxiemendamento sul quale il Governo porrà la questione di fiducia. Per i settori cui intendo riferirmi nel mio intervento, ossia istruzione, università, ricerca e cultura, le linee sicuramente non saranno messe in discussione, perché sono già tracciate e rappresentano


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la naturale prosecuzione di un cammino già avviato con le precedenti leggi finanziarie e le scelte di questo Governo.
Si tratta di un cammino caratterizzato da «tagli», dal 2001 in poi: penso alla scuola, con il 44 per cento in meno per le spese di gestione ordinaria, la riduzione del 24 per cento dei fondi per l'offerta formativa, la riduzione degli organici e la precarizzazione del personale, nonostante un aumento significativo del numero degli studenti. Basta fare un esempio: quando fu varata la legge n. 53 del 2003, la cosiddetta riforma Moratti, si previde un finanziamento di 8 miliardi e 320 milioni di euro. Quella epocale riforma del sistema - come era stata definita - doveva essere finanziata con un grande stanziamento. Invece, sembra finanziata solo con i tagli e con gli ulteriori tagli che l'attuazione della legge comporta. A fronte degli 8 miliardi di euro, in questi anni sono stati stanziati solo 200 milioni di euro.
Nel disegno di legge finanziaria per il 2006 vengono ridotte le spese per le supplenze brevi, quelle per il miglioramento dell'offerta formativa, quelle per l'aggiornamento dei docenti e per gli straordinari dei dipendenti ed anche quelle per l'aggiornamento del personale ausiliario tecnico e amministrativo. Sono tagliate anche le spese per il funzionamento degli uffici ed è ridotta a 565 milioni di euro la spesa per le supplenze brevi del personale docente e del personale ATA.
Per di più non vi è traccia di quel piano pluriennale per le assunzioni dei docenti (era una legge di questo Governo), mancano gli stanziamenti per il piano programmatico di attuazione della legge n. 53 del 2003, mancano i fondi destinati a finanziare il rinnovo contrattuale del personale della scuola recentemente sottoscritto. Non vi è alcun intervento risolutivo per l'edilizia scolastica e non vi è ancora il piano di riparto dei mutui per il 2005. A ciò occorre aggiungere i tagli operati dal decreto legislativo del 17 ottobre 2005, n. 211 e dal decreto-legge n. 203 del 2005, che prevede una riduzione dei finanziamenti alle scuole, in particolare una riduzione dei finanziamenti che garantiscono gli interventi integrativi per gli alunni disabili, le spese per l'igiene e la sicurezza, le spese per la formazione. Insomma, la spesa complessiva dello stato di previsione 2006 prevede una riduzione di un miliardo di euro rispetto all'assestamento di bilancio del 2005. Altro che - come dice il ministro Letizia Moratti - maggiori investimenti in questo settore! Altro che affermare - come dice sempre il ministro Letizia Moratti - che nessun altro Governo ha investito tanto per l'istruzione! Sembra quasi che non si distingua tra i costi e le spese di investimento.
Anche per il settore dell'università le cose non cambiano rispetto ad una domanda di formazione superiore e di ricerca innovativa che è in crescita. Vi è una nuova motivazione dei giovani verso gli studi universitari, con un aumento delle immatricolazioni del 20 per cento. Non crescono solo le iscrizioni dei giovani appena diplomati, ma tornano all'università anche coloro che l'avevano abbandonata o che non l'avevano scelta alla fine della scuola secondaria superiore.
Per un paese come il nostro che registra la più grave arretratezza nel basso numero dei laureati (la metà della media europea) dovrebbe essere una bella notizia. Invece, questo Governo, rispetto a tale fenomeno, che andrebbe coltivato come una piantina preziosa, c'è passato sopra con il diserbante. Proprio quando l'aumento della domanda avrebbe potuto generare sviluppo del sistema universitario, sono state fatte mancare le risorse per adeguare l'offerta. La legislatura volge al termine, senza che sia stato risolto alcun problema dell'università. Abbiamo visto solo norme improvvisate, tagli ai finanziamenti, blocco delle assunzioni e rilancio del centralismo.
Passando alle cifre reali, nei quattro anni dal 1998 al 2001, le università statali hanno avuto a disposizione in totale dallo Stato 3 miliardi e 228 milioni di euro in più rispetto al finanziamento del 1997. Nei successivi quattro anni - in cui era in carica questo Governo - dal 2002 al 2005, hanno avuto 750 milioni di euro in meno rispetto al finanziamento del 2001. Nella


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legge finanziaria per il 2006 vi è di nuovo un taglio di 75 milioni di euro. Può sembrare poco rispetto ai quasi 7 miliardi del totale (poco più dell'1 per cento), ma appena si riflette sul fatto che circa il 90 per cento di quei 7 miliardi è destinato a pagare gli stipendi del personale, che ovviamente non sono comprimibili, si comprende che il taglio effettivo alle spese è ben più pesante (intorno al 10 per cento). È pesantissimo il taglio all'edilizia universitaria (il 40 per cento in meno nel 2006), che si aggiunge all'identico taglio operato già nella prima legge finanziaria di questo Governo.
Il centrosinistra nel 2001 lasciò il capitolo sull'edilizia universitaria a 250 milioni di euro. Il centrodestra, nel 2006, lo lascerà a 90 milioni di euro, ossia circa 50 euro l'anno per studente - sì, proprio 50 euro: non è un errore! - per mantenere, ristrutturare, costruire e arredare aule, biblioteche, laboratori e dipartimenti, vale a dire tutte quelle spese che costituiscono strumenti per la qualità del sistema. Ben diversa è la musica suonata per le università non statali, le quali ottengono una crescita del finanziamento di circa il 10 per cento nel quadriennio.
Sui beni e le attività culturali, noi continuiamo a stupirci, malgrado tutto. Non che ci aspettassimo il reintegro dei tagli allo spettacolo e alla cultura in generale, ma certo non potevamo immaginare che le riduzioni - in particolare, ci riferiamo a quelle che si sono abbattute sul Fondo unico per lo spettacolo - potessero essere tanto pesanti.
Partiamo da due dati: la consistenza del FUS prevista dall'ultima legge finanziaria del centrosinistra è di 526 milioni di euro; lo stanziamento del FUS nella legge finanziaria per il 2005 ammontava a 464 milioni di euro; il Governo, in questa finanziaria, ci riserva due sorprese interessanti. Da un lato, riduce in tabella C lo stanziamento per il Fondo unico per lo spettacolo fino a 300 milioni di euro, mentre, dall'altro lato, nello stato di previsione del ministero risultano stanziati oltre 442 milioni di euro, circa 22 milioni in meno rispetto all'anno precedente. Dunque, lo stanziamento previsto in bilancio sembrerebbe superare quello previsto dalla finanziaria. Sappiamo, però, che è meno di un reintegro sul filo di lana.
Fa testo il magro ed inadeguato stanziamento di 300 milioni di euro previsto in tabella C. La situazione sostanzialmente non muta, anche se nel passaggio dal Senato alla Camera il Governo ha deciso, sotto la spinta di vivissime proteste da parte dell'intero comparto della cultura, di aggiungere 85 milioni di euro in tabella C. Si rimane ancora di gran lunga al di sotto del finanziamento dello scorso anno ed è comunque una cifra assolutamente insufficiente rispetto alle esigenze del settore.
Potremmo dilungarci su questi temi, sulle mancanze e sulla miopia di questo Governo in materia di cultura e di spettacolo. Tuttavia, ritengo che dobbiamo riferirci alla tragica e pericolosa emergenza che questa finanziaria e le scelte dell'attuale Governo stanno creando in questo delicatissimo e strategico settore per l'economia e la crescita del paese. Si stupirà il Governo per la chiusura di teatri pubblici e di grandi istituzioni culturali, ma anche di musei, area archeologica, biblioteche ed archivi? Quali risposte si daranno alle associazioni e alle istituzioni che dovranno interrompere la loro attività per mancanza di finanziamenti? Quali risposte si daranno ai cittadini che si vedranno sottrarre il loro diritto alla cultura? Come si pensa di provvedere al dimezzamento dell'attività del centro sperimentale di cinematografia o alla Mostra del cinema di Venezia? Come si provvederà alla perdita dei posti di lavoro? Come si rimedierà all'esclusione dei cittadini dalla fruizione della cultura e del sapere?
Credo che queste saranno le conseguenze delle scelte sbagliate di questo Governo. Non si tratta di risparmi o di razionalizzazione della spesa, ma di tagli indiscriminati, del crollo del sistema culturale italiano.
Ritengo che in questa finanziaria siano confermate tutte le scelte compiute in questi anni, tese ad impoverire l'intero comparto dell'istruzione, dell'università,


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della ricerca e della cultura. Tali tagli rispondono ad un'idea dietro la quale si nasconde un'immagine ben precisa di società, ossia un modello sociale in cui ad essere promossi non sono la solidarietà, i diritti di tutti, l'investimento nell'ingegno e nelle intelligenze, ma la competitività, l'egoismo e l'individualismo.
Questa finanziaria, in sintesi, non è minimamente ispirata a logiche di rigore o di sviluppo e non affronta in maniera strategica nessun problema di crescita del paese, valutando il ruolo della ricerca, delle infrastrutture, della cultura e dell'istruzione come premessa per una crescita del paese. Un paese cresce se cresce il livello culturale della maggior parte della sua popolazione.
È un pesante attacco allo Stato sociale realizzato anche attraverso la riduzione dei fondi per gli enti locali, riduzione che finirà con il penalizzare le «tasche» dei cittadini ed i settori e comparti di cui prima parlavo, con ciò penalizzano la speranza di futuro del paese.
Per noi investire in questi settori, invece, significa far crescere il paese, promuovere uguaglianza dei diritti, scommettere sulle intelligenze, sui talenti, sull'occupazione, preparare il futuro, un futuro diverso, di crescita per il paese, esattamente il contrario di quanto la manovra finanziaria e le scelte del Governo hanno compiuto (Applausi dei deputati del gruppo dei Democratici di sinistra-L'Ulivo)

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Mariotti. Ne ha facoltà.

ARNALDO MARIOTTI. Signor Presidente, la relazione di minoranza dell'onorevole Morgando, gli interventi delle colleghe e dei colleghi e l'azione emendativa svolta unitariamente dall'Unione fanno emergere con chiarezza la manovra finanziaria alternativa del centrosinistra, che si contrappone al disegno di legge in esame, ultima finanziaria del centrodestra, caratterizzata da totale confusione, assoluta mancanza di chiarezza; e gli effetti disastrosi di questa situazione ricadranno sulla prossima legislatura e sul prossimo Governo.
Gli obiettivi di risparmio su cui avete impegnato l'Italia verso l'Europa in sede di Commissione e di Ecofin sono difficilmente conseguibili. Ecco perché siamo «osservati speciali». A rischio sono la credibilità e l'affidabilità internazionali del paese.
Intendo ricostruire brevemente (è stato già fatto) come si sono svolti i fatti. Il Governo ha presentato i disegni di legge finanziaria e di bilancio, non ha ritenuto necessario prevedere una nota di aggiornamento al Documento di programmazione economico-finanziaria perché sosteneva sfacciatamente che le previsioni contenute nel Documento di luglio fossero ancora valide. In sede di audizione delle Commissioni riunite di Camera e Senato, il ministro dell'economia e delle finanze confermava, a domanda specifica, il rispetto degli obiettivi per il 2005 compresi i 6,5 miliardi di entrate da dismissioni immobiliari. Solo 6 giorni dopo, signor Presidente e colleghi, tutto ciò non esisteva più, perché il Governo presentava, con il decreto-legge n. 211, una manovra correttiva sui conti del 2005 che «cancellava» i 6,5 miliardi di entrate da dismissioni e li sostituiva abbondantemente con tagli alle spese che hanno paralizzato la spesa pubblica e gli enti nazionali e locali in questi ultimi giorni dell'anno.
Nessuno sa quale sia l'effetto e quanto valga il programma effettivo della dismissione del patrimonio, perché il Governo si è rifiutato di presentare non soltanto la nota di aggiornamento al DPEF ma anche le più volte richieste relazioni tecniche, per dimostrare che il 4,3 per cento del rapporto tra deficit e PIL nel 2005 sarà rispettato. Quel decreto-legge è stato poi ricompresso nel decreto-legge n. 203, già approvato dalla Camera.
In sostanza, è avvenuto che abbiamo iniziato una discussione con una manovra di 10 miliardi e 396 milioni e, a tutt'oggi, con una ricostruzione parziale (perché non abbiamo gli strumenti ed i dati per fare altro), siamo a circa 17 miliardi di euro. Naturalmente dallo 0,8 si passa all'1,2 per cento e tutto ciò è ancora in sospeso perché non sappiamo cosa farà il


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Governo con il maxiemendamento. Qualcosa in Commissione è già successo, con un contrasto aperto tra la relatrice per la maggioranza ed il viceministro Vegas, che rappresentava il Governo. I saldi non sono realizzabili. Questo è chiaro, lo diceva la collega Pennacchi e non intendo tornarvi.
Le coperture sono fittizie, in quanto esse portano, com'è già stato dimostrato per gli anni dal 2003 al 2005, ad uno slittamento della spesa e quindi ad un effetto rimbalzo. Pertanto, tutti i tagli di spesa, che voi prevedete per consistenti cifre - parliamo di diversi miliardi -, sono aleatori e saranno guai per la prossima legislatura e per il prossimo governo. Quello che succederà nel 2006 è ormai abbastanza chiaro. Accadrà che, poiché i tagli alla spesa negli enti territoriali sono imposti, essi verranno rispettati. Come dice la Corte dei conti e come ha ricordato il Ragioniere generale dello Stato, il patto di stabilità interno in questi anni è stato sempre rispettato da parte delle regioni, delle province, dei comuni e delle comunità montane. Chi non ha rispettato questo impegno è il Governo nazionale. Abbiamo un peggioramento della situazione infrastrutturale nel paese, anche a seguito della manovra, di cui ai commi 21 e 26, che va sotto il titolo «limitazione ai pagamenti». Vorrei spiegare cosa significa ciò. Quando si tagliano 300 milioni di euro all'ANAS, 1200 milioni di euro al fondo innovazione tecnologica, 336 milioni di euro agli investimenti fissi lordi e 400 milioni di euro alla contabilità speciale, per un importo complessivo pari a circa 2,5 miliardi, significa che a parte il peggioramento dello stato delle strade, delle ferrovie e delle infrastrutture, vi sarà una difficoltà a tenere il rapporto tra questi enti e le imprese, che hanno già compiuto le opere ed aspettano il pagamento. Quanto costerà questo nel bilancio del prossimo anno allo Stato nel suo complesso, per effetto di contenziosi, che certamente vi saranno e che vedranno perdenti gli enti appaltanti, visto che quanto stabilito contrattualmente voi non lo potete aspettare?
Continua, colleghi, un attacco politico, istituzionale e costituzionale verso le regioni, le province, i comuni e le comunità montane. Si lede la loro autonomia, violando l'articolo 117 della Costituzione ed ostinandosi a non applicare l'articolo 119 della Costituzione sul federalismo fiscale. È stato veramente chiarissimo il viceministro Vegas in Commissione in sede di replica, quando ha detto che questo Governo non può accettare di costruire il patto di stabilità interno sui saldi. Si ostinerà, come ha fatto fino all'ultimo, a costruirlo sui tetti di spesa, perché non vuole che le entrate locali inseguano le spese, cioè non vuole riconoscere agli enti locali quello che essi meritano, cioè non vuole riconoscere la loro autonomia.
In ultima analisi, non si vuole riconoscere agli enti locali la possibilità di coniugare autonomia e responsabilità. Non si vuole quindi applicare l'articolo 117 della Costituzione, né l'articolo 119. Siamo di fronte ad un Governo ipercentralista, nonostante le chiacchiere che si fanno sul federalismo e sulla devolution. Sento un silenzio assordante di quelle forze politiche, che hanno puntato tutta la loro strategia sulla devolution e sul federalismo. Abbiamo di fronte una politica vessatoria, centralistica e incostituzionale verso il mondo delle autonomie. Questa chiaramente non è la mia opinione, ma è ciò che ha scritto la Corte costituzionale nella sentenza n. 417 del 14 novembre 2005.
Ricordo che gli enti locali hanno sempre rispettato i patti. Sono invece i ministeri a non rispettarli e ad aver provocato il deficit eccessivo. Lo diceva prima la collega Pennacchi, voglio ora ripeterlo - nella speranza che arrivi una qualche risposta da parte del viceministro Vegas -: come mai lo staff diretto di collaborazione del ministro dell'economia e delle finanze è composto da 442 persone? Si tratta di 156 in più rispetto al 2001! Per un costo, sul bilancio dello Stato, pari a 6 milioni di euro! Sono 103 i direttori generali nominati dall'attuale Governo in questi quattro anni e mezzo, nonostante la riforma fatta dal Governo di centrosinistra, che ha ridotto da 24 a 14 i dicasteri. E si continuano a tagliare i fondi agli enti locali!


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Ma veramente pensate di continuare in questo modo a fare propaganda per coprire le vostre vergogne? Il combinato disposto tra l'emendamento del relatore ed il subemendamento del Governo approvato in Commissione bilancio ha comportato un peggioramento enorme del testo licenziato dal Senato per quanto riguarda gli enti territoriali perché, a parità di saldi, sono stati esclusi dal patto di stabilità interno i comuni con 3.500 abitanti.
Non vi è alcuna novità: nessuno può, pertanto, appendersi la medaglia per questo, perché già nel 2005 si registrava tale situazione. Quindi, non vi è stato alcun miglioramento nella condizione degli enti locali, mentre è accaduto che quelle poche risorse, in termini di saldi, sono state ripartite in modo da peggiorare le condizione degli altri comuni e delle province.
Rispetto alla spesa in conto capitale del 2004, si è passati dalla preventivata percentuale dell'8,1 per cento in più al 6,9 per cento, registrandosi, quindi, un peggioramento degli investimenti nei confronti degli enti locali.
Per quanto riguarda la spesa corrente per gli enti locali, cosiddetti non virtuosi (mi riferisco, quindi, a tutti gli enti locali), nel testo del Senato era previsto un aumento del 6,7 per cento rispetto alla percentuale del 2004, mentre oggi si registra una percentuale dell'8 per cento in meno. Vi è, quindi, un peggioramento palese rispetto alle loro capacità.
Lo stesso discorso vale per le regioni e mi riferisco, in modo particolare, alla spesa in conto capitale. L'aumento possibile rispetto alla spesa in conto capitale del 2004 diventa oggi del 4,8 per cento, mentre nel testo licenziato dal Senato era prevista una percentuale del 6,9 per cento.
Si introduce, inoltre, il concordato preventivo per i tributi propri di regioni, province e comuni.
Penso che questa misura rappresenti il cavallo di Troia, perché poi nel maxiemendamento sono previste altre forme di condono. In merito a ciò, saremo molto vigili e, soprattutto, ci attiveremo per spiegare ai cittadini italiani quello che avete combinato in questi cinque anni di Governo, sostenendo l'esigenza che il paese avverte di cambiare rotta con un nuovo Governo ed una nuova maggioranza (Applausi dei deputati del gruppo dei Democratici di sinistra-L'Ulivo)!

PRESIDENTE. Constato l'assenza dell'onorevole Valpiana, iscritta a parlare; si intende che vi abbia rinunziato.
Sospendo la seduta, che riprenderà alle 15,15.

La seduta, sospesa alle 12,55, è ripresa alle 15,25.

Missioni.

PRESIDENTE. Comunico che, ai sensi dell'articolo 46, comma 2, del regolamento, i deputati Carrara, Cicu, D'Alia, Galati e Tassone sono in missione a decorrere dalla ripresa pomeridiana della seduta.
Pertanto i deputati complessivamente in missione sono sessantadue, come risulta dall'elenco depositato presso la Presidenza e che sarà pubblicato nell'allegato A al resoconto della seduta odierna.

Si riprende la discussione.

(Ripresa discussione congiunta sulle linee generali - A.C. 6177 e A.C. 6178)

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Collè. Ne ha facoltà.

IVO COLLÈ. Signor Presidente, signor viceministro, onorevoli colleghi, dovremmo oggi discutere il testo della legge finanziaria per il 2006. Dico «dovremmo» perché in realtà non sappiamo ancora quale sarà il vero testo; infatti, in base a quanto apprendiamo dagli organi di informazione, solo oggi il Governo, dopo aver trovato i necessari equilibri all'interno della maggioranza, approverà un nuovo maxiemendamento, che solo nella giornata di domani sarà in nostro possesso.


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Credo che la gravità di tale situazione sia chiara a tutti. È vero - come affermato questa mattina dalla relatrice, onorevole Santanchè - che in Commissione abbiamo svolto un lavoro impegnativo ed approfondito. Tuttavia, ci chiediamo legittimamente se e quanto del lavoro svolto sarà presente nel testo del maxiemendamento che il Governo sta scrivendo in queste ore.
Una metodologia questa, basata sulla questione di fiducia, che di fatto esaurisce sul nascere e sfiducia gli sforzi congiunti spesi per presentare una serie di necessari emendamenti. Una metodologia utile sostanzialmente per sanare e ripristinare i precari equilibri interni alla maggioranza, una metodologia che concretamente sminuisce il ruolo istituzionale e democratico di ogni rappresentante eletto in questo Parlamento.
Tale aspetto, alquanto criticabile, potrebbe tuttavia considerarsi tollerabile nel caso in cui potessimo ritrovare all'interno del documento finanziario validi elementi oggettivi atti a fornire le necessarie risposte ai nostri cittadini. Abbiamo forti dubbi in merito.
Anche in questo caso, constatiamo, nostro malgrado, l'assenza di attenzione e di dovuta considerazione in ordine a temi rilevanti che più volte sono stati da noi evidenziati in quest'aula e nelle opportune sedi istituzionali e per i quali abbiamo costantemente richiesto un dibattito ed un confronto serio e costruttivo. Mi riferisco in particolar modo a questioni da anni al vaglio di possibili quanto prospettate soluzioni, disattese dalle ultime leggi finanziarie. All'interno di questo generale contesto di preoccupazione e di incertezza, mi limiterò ad evidenziarne alcune in maniera da focalizzare e concentrare su di esse l'attenzione del Governo.
Inizierei con un tema delicato, che ci sta particolarmente a cuore: la montagna. Una realtà che non pretende privilegi o meri aiuti, ma esige le giuste risorse per poter sfruttare le proprie qualità ambientali, economiche e umane, al fine di affrontare in maniera appropriata lo sviluppo e la modernità. Una realtà che ha una sua dignità storica, culturale e sociale e può diventare un modello innovativo di riferimento per la riqualificazione del paesaggio e l'ampliamento delle proprie risorse.
Siamo sinceramente dispiaciuti che la legge sulla montagna non sia stata ancora approvata, nonostante la questione sia stata trasversalmente e ripetutamente rappresentata al Governo. Tuttavia, il segnale fornito in Commissione di alimentare il Fondo nazionale per la montagna può rappresentare un primo passo verso una realtà, quella delle popolazioni montane, che necessita della sua giusta dignità.
La montagna - lo sappiamo - racchiude al suo interno numerose realtà territoriali ed istituzionali, quali le comunità montane e i comuni. Ciò mi consente di affrontare una ulteriore questione.
Il duro taglio alle spese correnti, che questa manovra impone proprio alle regioni e agli enti locali in virtù del patto di stabilità, evidenzia l'ennesimo segnale negativo di un'azione indiscriminata verso quegli enti di media e piccola dimensione che ritroviamo soprattutto nelle zone di montagna e che più di ogni altro si collocano al fianco e al servizio dei nostri cittadini. Apprendiamo dai giornali che il tema del patto di stabilità è una delle questioni che proprio in queste ore la maggioranza sta affrontando.
Ci auguriamo che le molte considerazioni svolte in Commissione vengano responsabilmente accolte e recepite nel testo definitivo che la Camera dovrà approvare. Nel caso contrario, assisteremo ad effetti immediati che ricadranno inevitabilmente su settori di interesse collettivo quali il territorio, l'ambiente, la viabilità e i trasporti. Proprio l'argomento dei trasporti rappresenta un ulteriore aspetto che mi preme segnalare.
Si tratta di un settore di rilevanza nazionale, che deve poter contare su risorse economico-finanziarie idonee, per permettere un monitoraggio adeguato e per evitare riflessi negativi anche consistenti su realtà come quella che qui rappresento, la Valle d'Aosta.
Al concetto di viabilità deve inderogabilmente essere affiancato quello di sicurezza.


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A tale proposito, da tempo attendiamo con impazienza l'avvio di alcuni lavori, peraltro già approvati dall'ANAS e confermati in alcuni incontri ufficiali dallo stesso ministro Lunardi, che riguardano la realizzazione della variante della strada statale n. 27 - che, voglio ricordarlo, è una strada internazionale che dalla Valle d'Aosta porta alla Svizzera -, nei pressi degli abitati di Saint-Oyen ed Etroubles, nonché della galleria di sicurezza del traforo del Gran San Bernardo. Stiamo ancora aspettando che si delinei una chiara intesa con le comunità francesi per stabilire congiuntamente quelle strategie operative idonee a fronteggiare l'evoluzione del traffico all'interno del traforo del Monte Bianco e dei trafori dell'arco alpino che collegano l'Italia alla Francia. La stessa rete ferroviaria valdostana, che, mi preme ricordarlo, è rimasta una delle ultime in Italia a non essere elettrificata, registra continui disservizi e ritardi inaccettabili, difficilmente riconducibili alla casualità perché versa in pessime condizioni di abbandono: questa situazione limita chiaramente il suo potenziale utilizzo e sviluppo in prospettiva di un possibile trasferimento di una parte del traffico stradale su gomma.
Nonostante gli impegni presi ed esternati a più riprese, questa manovra finanziaria, anziché ovviare a tali problematiche specifiche, incrementa le difficoltà oggettive prevedendo un drastico taglio dei fondi destinati ad ANAS e a Trenitalia. Relativamente a questi due aspetti, abbiamo presentato due emendamenti volti a trovare parziale soluzione al problema del reperimento dei fondi. L'augurio è di poter trovare queste soluzioni nel testo finale. Se oggi, come credo, difficilmente otterremo le risposte auspicate alla questione trasporti, da tempo sollevata, ciò non ci impedirà certamente di intraprendere da subito tutte le iniziative necessarie e le azioni immediate atte ad ottenere un responso chiaro ed inequivocabile, un responso che crediamo sia doveroso dare ai nostri cittadini prima del termine di questa legislatura.
Il clima generale di incertezza e confusione creatosi intorno al documento economico-finanziario più importante per il rilancio e lo sviluppo del nostro paese non lascia adito a dubbi sulla scomposta condotta di questa maggioranza: un esempio su tutti è la recente questione sollevata dalla Corte costituzionale in merito al principio di autonomia finanziaria e di spesa delle regioni e degli enti locali, fortemente messo in discussione dal disegno di legge in esame. Siamo consci della necessità di intervenire e sanare le situazioni di sperpero e di spesa non controllata, ma ciò deve avvenire seguendo una logica rigorosa, che allo stesso modo non penalizzi ma valorizzi il positivo operato di quelle regioni già orientate verso questi criteri.
Pertanto, in conclusione, signor Presidente, abbiamo non poche difficoltà a condividere l'operato di questa maggioranza, che ha creato le premesse per delineare un documento finanziario privo di quella sensibilità e di quella imparzialità necessarie per affrontare con consapevolezza e coscienza le problematiche del nostro paese (Applausi dei deputati dei gruppi Misto-Minoranze linguistiche, dei Democratici di sinistra-L'Ulivo e della Margherita, DL-L'Ulivo).

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Fiori. Ne ha facoltà.

PUBLIO FIORI. Signor Presidente, i pochi minuti a mia disposizione mi consentono di fornire semplicemente un'indicazione su quella che sarà la nostra decisione. Parlo, naturalmente, a nome della Democrazia cristiana, che non si riconosce nel disegno di legge finanziaria per il 2006. Ciò non deve suscitare scandalo. Infatti, la DC, fino ad oggi, ha dato al Governo un appoggio esterno e non fa parte di questa maggioranza. Quindi, si riserva, come in questo caso, di valutare e di giudicare, di volta in volta, il comportamento del Governo.
Non siamo d'accordo con questo disegno di legge finanziaria per alcune ragioni di fondo. Innanzitutto, perché si tratta di


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una finanziaria minimalista, tutta preoccupata a rincorrere la spesa pubblica e che non guarda con vero interesse ad un rilancio effettivo dell'economia nazionale. Il semplice fatto che, per il prossimo anno, preveda un aumento del PIL dell'1,5 per cento testimonia sufficientemente che non si prospetta alcuna possibilità di una ripresa reale dell'economia. Infatti, con un tasso di sviluppo dell'1,5 non si risolvono i problemi del paese.
Le nostre proposte, che abbiamo formalizzato negli emendamenti, si possono così riassumere. Innanzitutto, una riduzione reale del costo del lavoro riservata alle imprese manifatturiere, che non sia limitata e neutrale così da andare a vantaggio solo delle grandi imprese, che si possa ripercuotere in maniera efficace ed efficiente sul prezzo dei prodotti. In secondo luogo, una ripresa della domanda pubblica che articoliamo su tre punti: il risanamento dei centri storici, l'ammodernamento degli ospedali del sud, il rifinanziamento della ricerca e dello sviluppo tecnologico, facendo riferimento esplicito ai trattati di Lisbona e di Barcellona.
Sul versante sociale, proponiamo il tema su cui, più volte, abbiamo inutilmente richiamato l'attenzione; mi riferisco alla perequazione delle pensioni ed ai pensionati previdenziali, che ogni anno devono perdere dal 3 al 5 per cento del loro potere d'acquisto e che non sono mai considerati nelle trattative connesse ai rinnovi dei contratti aziendali e nazionali. Riteniamo che tale situazione debba essere superata, perché va contro la Costituzione. Infatti, molto recentemente, anche la Corte costituzionale ha ricordato al Parlamento che la pensione è una retribuzione differita nel tempo; pertanto, in qualche modo, deve seguire, anche se non pedissequamente, l'andamento dei salari e degli stipendi. I pensionati, invece, percepiscono soltanto un parziale, parzialissimo, riconoscimento della svalutazione e non godono degli aumenti che, invece, le contrattazioni attribuiscono a coloro che sono in servizio. Ciò significa che dopo dieci anni i pensionati hanno già perso circa il 50 per cento del loro potere d'acquisto. Proprio nel momento in cui maggiormente si sente il bisogno di una maggiore disponibilità di mezzi per l'età, per le malattie e l'infermità, togliamo quindi a questi cittadini, che sono circa 17 milioni, la possibilità di avere un trattamento economico che consenta loro una vita dignitosa.
Proponiamo infine maggiori fondi per la famiglia ed un aumento delle indennità per disabili, ciechi e sordi, che hanno delle indennità che, francamente, suonano vergogna per un paese civile.
Naturalmente il Governo ci chiederà: come pensate di addivenire a coperture che non siano soltanto virtuali?
Abbiamo indicato le coperture. Esse si articolano in diversi modi: da un concordato fatto in maniera diversa e più equa rispetto a quello precedente ad una vendita del patrimonio mobiliare non residenziale con accorgimenti che consentirebbero di incassare veramente le somme che con altri tipi di vendite immobiliari non siamo riusciti a realizzare. Abbiamo inoltre proposto un tipo di copertura che segnalo all'attenzione del Parlamento. Esiste una norma che consente alle banche di dedurre dall'imponibile le perdite di esercizio. Faccio un esempio, per far comprendere meglio il fenomeno: ciò che le banche hanno perso nella vicenda Parmalat viene, di fatto, dedotto dall'imponibile. Ciò significa che il 40-45 per cento di queste somme sono pagate dai contribuenti. Tali somme sono di importo rilevante: per il solo 2004 esse ammontano a circa 9 miliardi di euro. Da ciò ne consegue che le banche non hanno pagato tasse - si tratta, comunque, di elusione fiscale legittima - per circa quattro miliardi di euro (ottomila miliardi delle vecchie lire). Con questa somma avremmo potuto e potremmo ora effettuare sia un'operazione tesa ad agganciare le pensioni alle retribuzioni sia interventi a sostegno della famiglia e per i meno fortunati che non avrebbero precedenti nella storia della nostra Repubblica.
Signor viceministro, noi ci attendiamo delle risposte concrete a questo riguardo ben sapendo che probabilmente i giochi sono già fatti. Tuttavia, c'è tempo. Non so


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se entro domani, quando sarà presentato il famoso emendamento sul quale l'esecutivo probabilmente porrà la questione di fiducia facendo così decadere tutti gli emendamenti presentati, il Governo riuscirà a svolgere una riflessione su questi aspetti; noi, comunque, solleviamo un problema di giustizia sociale, per risolvere il quale chiediamo che si faccia una scelta politica tra banche e pensionati, tra banche e inabili al lavoro e tra banche e famiglia.
Conosco bene le eventuali obiezioni che possono essere mosse a questa nostra proposta; tuttavia, quando la situazione sociale del paese, al di là delle responsabilità, evidenzia un malessere sociale quale quello che sta vivendo l'Italia, ritengo che il Governo e soprattutto il Parlamento abbiano il dovere di fare una scelta di fondo. Eliminiamo, allora, quello che riteniamo un privilegio indebito del sistema bancario e cerchiamo di reperire le risorse per coprire il fabbisogno sociale del paese (Applausi dei deputati del gruppo Misto-Ecologisti democratici e del deputato Gerardo Bianco).

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Gerardo Bianco. Ne ha facoltà.

GERARDO BIANCO. Signor Presidente, onorevoli colleghi, signor viceministro, nella mia lunga esperienza parlamentare ho seguito, fin dagli inizi degli anni Ottanta, i dibattiti svoltisi sulle varie finanziarie presentate dai Governi all'esame del Parlamento ma non mi era mai capitato di sperimentare tanta approssimazione, confusione, sciatteria e tanto infastidito distacco da parte dei ministri fino al punto, or ora denunciato dal collega Collè, di giungere alla conclusione che finora si è discusso a vuoto perché non si conosce ancora la materia delle decisioni che si debbono prendere. Anche questo è un segno dei tempi e delle procedure che sono seguite dai ministri. Qualche giorno fa avevamo manifestato contentezza perché ci sembrava che il ministro Scajola fosse venuto in Commissione per discutere del disegno di legge finanziaria, ma poi, con grande sorpresa, ci siamo resi conto che altra era la ragione della presenza del ministro in quella sede. Ancora una volta, quindi, il vuoto nel dialogo con il Governo. La realtà è che il Governo non crede nella finanziaria - forse, lei sì, signor viceministro Vegas - perché la ritiene uno strumento ormai superato e considera il Parlamento un noioso ingombro che va evitato: altrove si decide!
La finanziaria allinea delle cifre sulle quali non mi soffermo; al massimo si pone il problema di controllare le spese al fine di rispettare il patto di stabilità. Di certo essa non assolve più quella che era la sua funzione originaria, cioè quella di essere un volano per la crescita, uno strumento per il riequilibrio territoriale, per lo sviluppo e per il rafforzamento della competitività. Il Governo, in realtà, rinuncia alla sua funzione.
Questa non è un'affermazione gratuita, perché è presente in molte dichiarazioni del ministro Tremonti (che avremmo gradito avere anche qui, per poter dialogare direttamente con lui).
In particolare, nel corso di un'audizione al Senato alla quale era presente anche lei, onorevole viceministro, ad alcune mie osservazioni relative alla mancanza di indirizzi e di scelte il ministro ha risposto (non si tratta, quindi, di una mia invenzione) nel modo seguente: lei ha un'idea dell'economia che è quella di un'economia di comando; lei ritiene che l'economia dipenda dal Governo (io mi domando da chi dipenda l'economia!) e, di conseguenza, che le cattive performance dell'economia siano dovute ad una cattiva politica del Governo (la realtà è che, essendoci una piccola ripresa, il Vicepresidente del Consiglio, Fini, se n'è ascritto il merito; tuttavia, se non ci sono demeriti, non ci dovrebbero essere neanche meriti). Questa semplificazione parapitagorica - io avevo parlato dei numeri del ministro dell'economia - non corrisponde alla realtà dell'economia liberale, occidentale ed evoluta, come quella nella quale viviamo.
Quindi, praticamente, il Governo non ha nulla da dire. Il ministro dell'economia


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vede nello scenario mondiale ed europeo i fattori determinanti dell'economia. Pertanto, l'Italia dovrebbe essere soltanto una sorta di agente passivo sul quale si riverserebbero le ricadute di decisioni prese altrove. Non c'è, dunque, che da rassegnarsi: il resto sarebbe illusione, antiquata sopravvivenza dirigistica.
Per capire i fenomeni in corso, bisogna guardare soprattutto alle date. Ecco: le date ed i numeri sono una particolare componente della filosofia, della dottrina economica del nostro ministro dell'economia. A tale proposito, credo valga la pena di leggere un suo volume, peraltro interessante, che però ci mette paura. Il titolo del volume del ministro è Rischi fatali. Conviene leggerlo. Io vi ritrovo il fascino dei numeri e le loro misteriose corrispondenze, che inquietano il ministro. C'è una formula cabalistica - 3 volte 5 - che getta le basi di quella rivoluzione che si è aperta con un altro numero, il numero 11: di settembre e, poi, di dicembre del 2001 (le date dell'attacco alle Torri gemelle e dell'ingresso della Cina - ahimè, la Cina! - nella World Trade Organization).
Sono soltanto un caso queste coincidenze, si chiede il ministro? Sembra che non sia così. Il ministro aggiunge: è così che inizia la nuova storia. Ed è una storia tremenda quella che ci prospetta, una storia che ci fa tremare, una storia da suicidio dell'Europa! Comincia, cioè, l'era del «mercantismo», termine inconsueto che non è registrato nei dizionari, neologismo che è denso di significati e che ci riserva sorprese. La maggiore delle sorprese - lo dico ai colleghi del gruppo dei DS - è che la vecchia tradizione del comunismo si è tramutata nel consumismo e che all'appello: «lavoratori di tutto il mondo, unitevi!» si è sostituito quello: «consumatori di tutto il mondo, unitevi!». Ciò è frutto - sostiene il ministro - di un imprevedibile spostamento da sinistra a destra, dal suo vecchio quadrante al quadrante opposto. Siamo, cioè, in una fase nuova (che deve essere considerata anche quando si guarda alla finanziaria), nella fase delle cosiddette ideologie mutanti.
Berlusconi è avvertito (e, credo, anche la maggioranza): il comunismo non è più là dove lui lo va a cercare, ma è annidato altrove! Può darsi perfino che lo abbia in casa propria se - mi pare che non si possa negarlo - il culto del consumo è presente (credo abbondantemente, per le logiche interne) nella cosiddetta Casa delle libertà!
Confesso che, su questo punto, sono un alleato del ministro: sono contro il pensiero unico, che tutto livella, e ritengo che occorra pure fare qualcosa. Allora, perché non partire proprio dalla finanziaria, invece di lasciarla allo sbando? Basterebbe puntare ad un paio di obiettivi, che sono un po' diversi, onorevole Fiori, da quelli da lei indicati; credo, infatti, che le rivendicazioni da lei esposte non possano trovare risposta in una finanziaria molto striminzita.
La prima grande questione è come ridurre il deficit pubblico, anche perché la ripartizione degli interessi e il deficit pubblico finiscono per arricchire le zone più ricche rispetto a quelle meno favorite. Come ridurre le distanze tra il nord e il sud? Non sarebbe questa - domando - una concezione più austera dell'economia per marcare con la cultura la diversità e contrastare, quindi, quello spettro del pensiero unico che turba i sogni del ministro Tremonti e anche i nostri? Non sarebbe uno stimolo per spezzare l'accidia - il grande peccato del nostro tempo -, la pigrizia, il rancore che attanagliano gli italiani ed impegnarsi per una grande battaglia civile, politica ed economica come quella di superare il dualismo esistente tra il nord e il sud? La dualità dell'Italia non è un'invenzione, ma è un dato incontrovertibile, ed è questione aperta come le cifre dimostrano; io le risparmio, ma siccome anch'io, qualche volta, so fare l'addizione, le ho raccolte in un'addendum che, ovviamente, tengo per me, anche perché i colleghi le conoscono. I dati della Svimez non sono piaciuti al ministro Miccichè in sede di Commissione, ma essi, comunque, denunciano che lo sviluppo positivo degli anni ...


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PRESIDENTE. La prego, onorevole Bianco, concluda.

GERARDO BIANCO. ... tra il 1995 ed il 2000 si è interrotto, il divario è aumentato, la povertà è cresciuta, la disoccupazione non rallenta e, praticamente, non si determinano nuove iniziative, e i dati sono lì a dimostrarlo.
Questo non è né «piagnonismo» - mi dispiace che non ci siano i colleghi della Lega e neppure il Presidente - né rivendicazionismo, ma è un'intelligenza dell'economia che vuole crescere come sistema paese. Forse l'onorevole relatrice meritava maggiore attenzione da parte del Governo, come anche l'attento relatore sul bilancio, ma mi sembra che anche le vostre virtù non siano state ben comprese, perché siete stati abbandonati a voi stessi e, anzi, il lavoro fatto mi pare che diventi inutile; però, proprio in quello sguardo che il ministro Tremonti rivolge al mondo, alla «muraglia cinese», dovrebbe essere chiaro che il Mezzogiorno, come regione d'Europa, potrebbe svolgere per una politica complessiva dell'Italia, in un'area geopolitica fra le più rilevanti qual è quella del Mediterraneo, un ruolo assolutamente positivo: il Mezzogiorno come opportunità, come appunto ha sottolineato più volte il Presidente della Repubblica e come è dimostrato in uno scritto - non so se conosciuto dal viceministro Vegas - del compianto presidente della Svimez, professor Annesi.
Sono questi aspetti ben noti e convinzioni spesso...

PRESIDENTE. Concluda, onorevole Bianco.

GERARDO BIANCO. ... ripetute, ma dov'è la vostra politica per affrontare tali questioni! Non ne vedo traccia in questa finanziaria senza forma e senza strategia. Risulta perfino una beffa quello stanziamento di 5 milioni di euro per la costituzione di una banca da tutti bocciata e che nessuno ritiene possibile. Le illusioni - ha detto il Presidente della Camera - sono appunto pericolose e corrompono la fibra morale di un popolo che, invece, è scosso con serietà e con severità dei fini e dei mezzi.
In conclusione, bisogna mobilitare la coscienza civile, farla uscire dal torpore delle delusioni che «leggi fotografia» e interessi personali e di gruppi provocano; ciò significa avviare ancora slancio creativo e, dunque, anche economico.
Termino - se mi permettete - con un ricordo che è quello di un grande economista di recente scomparso, Paolo Sylos Labini (al quale rendo omaggio), il quale ricordava che si può forse procedere positivamente nell'economia anche quando retrocede l'incivilimento ma, prima o poi, se le due cose non vanno insieme, anche l'economia decade.
È questo ciò che noi dovremmo fare: scuotere le coscienze, creare nuovo slancio, appunto. Vorremmo fornire un contributo, ma voi ce ne negate l'opportunità anche con i ripetuti voti di fiducia, che sono segno di debolezza del Governo piuttosto che di forza. Noi vorremmo un Governo autentico perché un Esecutivo debole, cari colleghi della maggioranza, rappresenta davvero un rischio fatale per il nostro paese (Applausi dei deputati dei gruppi della Margherita, DL-L'Ulivo, dei Democratici di sinistra-L'Ulivo e del deputato Fiori - Congratulazioni).

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Grandi. Ne ha facoltà.

ALFIERO GRANDI. Il disegno di legge finanziaria in esame, l'ultimo della legislatura, proprio perché dovrebbe rappresentare un bilancio dei risultati, si presenta come un bilancio assolutamente negativo. In questi giorni continua la discussione, molto indicativa, sulla situazione economica del nostro paese. Il dibattito continua ad essere incentrato sulla crescita, cioè se essa sia pari a zero, se sia un poco inferiore allo zero oppure se sia superiore, nella misura dello 0,1 o 0,2 per cento, quest'ultima essendo considerato come un salvataggio rispetto alla difficoltà della situazione. La verità è che la situazione economica resta molto difficile e che


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l'Italia continua a navigare sul fondo. In questa situazione, la perdita di competitività, il calo delle esportazioni italiane, le difficoltà nei redditi di chi lavora e le condizioni economiche e sociali complessive, con l'allargamento della forbice tra i redditi e le condizioni di vita, indicano il fallimento della politica economica di questi anni.
Questo disegno di legge finanziaria è la degna chiusura di un periodo di politica economica sbagliata, in cui il Governo e la maggioranza hanno dovuto abbandonare i temi a loro più cari. I risultati, purtroppo, sono negativi e sono sulle spalle dei cittadini e del paese. La maggioranza ha dovuto abbandonare gli obiettivi che aveva annunciato al momento della sua formazione: penso, in particolare, a quella linea continua costituita dalla riduzione delle tasse, dall'abolizione dell'IRAP e da quel paese di Bengodi che era stato indicato e che avrebbe dovuto rappresentare il successo permanente del centrodestra. Non soltanto questo successo permanente non c'è stato, ma anche queste parole d'ordine, alla fine, hanno dovuto essere abbandonate.
Questo è il disegno di legge finanziaria che oggi si confronta, con grande fatica e con un incredibile affanno, con i conti dello Stato fuori regola e con una condizione che ha indotto il ministro ad affermare - secondo molti giornali - che l'Italia è un paese a sovranità limitata in campo di bilancio e di finanza rispetto agli organi di controllo del Fondo monetario internazionale e dell'Unione europea. Dopo una prima correzione, effettuata immediatamente dopo le elezioni regionali, sui conti dello Stato, che erano stati dipinti ottimisticamente prima da Tremonti, poi da Siniscalco e, di nuovo, da Tremonti, le previsioni contenute nel disegno di legge finanziaria sono oggi ulteriormente oggetto di una iniziativa convulsa della maggioranza. Prima è stato emanato un decreto-legge, senza il quale non si poteva arrivare all'approvazione della finanziaria, che è stato via via incrementato, si potrebbe dire ulteriormente accresciuto nella sua capacità di entrata, perché altrimenti i conti dello Stato, nel 2005, sarebbero stati in difficoltà e non credibili. Poi, è stato definito il disegno di legge finanziaria vero e proprio, un provvedimento «a fisarmonica» di 19 miliardi - che saranno 22, se entreranno 3 miliardi di dismissioni immobiliari, che rappresentano l'elemento di non credibilità dell'azione di questi anni - che, però, a sua volta, ha già subito due correzioni. Una prima correzione è stata apportata in corso d'opera per far tornare i conti della finanza pubblica, dopo aver finto di non ascoltare le denunce dell'opposizione che aveva chiesto ragione di 6 miliardi di euro circa di mancate dismissioni immobiliari, le dismissioni che non sono state dismesse. Quando sono arrivati gli ispettori del Fondo monetario internazionale, che hanno controllato i conti, nessuno ha potuto continuare in questo giochetto. Di conseguenza, è intervenuto un primo robusto cambiamento dei conti, una correzione.
Una seconda correzione state, di fatto, apprestando adesso e verrà probabilmente recata dal maxiemendamento; ancora una volta, sarà intesa a migliorare il saldo dei conti pubblici.
La parte che si vede e che è nota, è il rinvio del TFR, che presenta il vantaggio, dal punto di vista dei conti dello Stato, semplicemente sul piano delle minori spese, di essere considerata nel saldo dei conti pubblici; ma poi ulteriori iniziative vengono assunte, sia con il rinvio della cassa dei contratti pubblici al 2006 sia con misure intese a realizzare quello 0,4-0,5 per cento che costituisce l'ulteriore scostamento che ancora non si riusciva a comprimere. In realtà, non avere ammesso a tempo debito che i conti pubblici erano fuori controllo e in sofferenza ha creato le classiche condizioni di un'iniziativa in ritardo, ammessa via via con fatica, in modo sempre parziale fino a giungere alle ammissioni di queste ore. Per arrivare a tale risultato di mezze verità (che non fanno, però, «la» verità), avete richiesto voti di fiducia a raffica - oltre che su altri provvedimenti, sul decreto prima e sulla legge finanziaria ora -, in spregio al


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Parlamento ed al suo ruolo, in attesa del fatidico maxiemendamento, che la Camera sarà chiamata a discutere e ad approvare nei prossimi giorni; un maxiemendamento che, come hanno ricordato alcuni colleghi intervenuti precedentemente, noi ancora non conosciamo.
Naturalmente, è molto grave che nei confronti del Parlamento - e in particolare, dell'opposizione - vi sia questo atteggiamento di vero e proprio disprezzo; lo abbiamo riscontrato anche nel corso della trattazione svolta in sede di Commissione bilancio, che ha costituito un lavoro sostanzialmente «finto» in cui la maggioranza ha operato pochissime manovre di sua competenza rifiutando, nei fatti, un dialogo ed un confronto con l'opposizione.
Ma la verità è che il maxiemendamento e la manovra esprimeranno inevitabilmente un disprezzo anche nei confronti dei parlamentari della maggioranza che non avranno di fatto modo di conoscere e discutere le misure proposte che, in quanto sottoposte al voto di fiducia, potranno essere soltanto approvate o respinte. Ciò, inevitabilmente, crea un problema per la stessa maggioranza in quanto, come osservano opportunamente i giornali di questi giorni, viene ad essere messo in discussione il recepimento di alcune delle proposte emendative da essa approvate in Commissione bilancio. Non è detto, quindi, che le proposte emendative che i parlamentari della maggioranza hanno ritenuto, a torto o a ragione, di dovere approvare saranno effettivamente inserite nel maxiemendamento; anzi, se dobbiamo stare a dichiarazioni molto autorevoli venute dal Governo, quelle modifiche approvate dalla maggioranza non saranno inserite nel maxiemendamento, il che significa che si sta creando una torsione negativa nei rapporti tra Governo e Parlamento. Tra l'altro, se dovessimo guardare, con lo sguardo un po' lungo - e soprattutto con l'opinione di chi spera non verrà confermata -, alla modifica costituzionale che voi avete approvato, vi è davvero da tremare sul ruolo del Parlamento; un ruolo che diventerebbe sempre più subalterno, praticamente di semplice approvazione di quanto viene deciso dal Governo e, in particolare, dal Presidente del Consiglio.
Dunque, le condizioni politiche che si sono create in questa fase sono di stravolgimento dei ruoli istituzionali, in particolare del Parlamento; ma quanto è peggio è che gli effetti di tale stravolgimento si risolvono in situazioni del paese assolutamente riprovevoli e gravi delle quali bisogna veramente preoccuparsi. A tale risultato, voi arrivate fondamentalmente perché non avete voluto ammettere che era necessario cambiare strada e che le scelte politiche via via operate nel corso di questi anni erano sbagliate. Mi riferisco, in particolare, a quelle adottate nel 2004, quando avete approvato un'ulteriore manovra di natura fiscale di 6 miliardi di euro circa, l'80 per cento della quale ha sostanzialmente costituito un intervento a favore dei redditi più alti - il cosiddetto secondo modulo fiscale -, del tutto inutile ai fini della ripresa, del tutto iniquo dal punto di vista sociale (sostanzialmente, ha premiato i redditi più alti) e del tutto lesivo per la condizione di quella parte della forbice costituita dai redditi bassi. Questi ultimi sono rimasti in una condizione di difficoltà e oggi stentano a reggere l'aumento dei prezzi, le condizioni di perdita del reddito e quant'altro.
Meglio sarebbe stato bloccare tale provvedimento e ripristinare, ad esempio, la restituzione del drenaggio fiscale ai lavoratori dipendenti ed ai pensionati. Infatti, ormai da alcuni anni esso non viene corrisposto, e ciò, in realtà, rappresenta gran parte del finanziamento del primo modulo della riduzione fiscale.
Oggi, tuttavia, abbiamo l'esigenza di varare un intervento a favore dei redditi più bassi, vale a dire quelli che, sul piano delle condizioni di vita, attualmente soffrono di più le difficoltà che vive il paese; nonostante ciò, si vuole mantenere quella iniziativa di politica fiscale, pretendendo da un parte di condurre una politica di controllo del debito pubblico e, dall'altro, di garantire, al contempo, le risorse finanziarie per rilanciare l'economia.


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È chiaro che tutto questo non è possibile e, di conseguenza, oggi stiamo pian piano avviandoci verso una situazione di enorme difficoltà, che non viene in alcun modo risolta dagli interventi contenuti nel disegno di legge finanziaria come, ad esempio, la riduzione dell'1 per cento degli oneri contributivi per le imprese. Infatti, anche tale riduzione, a causa del modo con cui è concepita, per l'assenza di finalità e, soprattutto, per il bilanciamento che viene operato da altre misure, contenute nelle manovre correttive approvate in questi mesi, finisce inevitabilmente per non determinare le condizioni per rilanciare l'economia.
Avete sbagliato con la riduzione fiscale, ed oggi sbagliate attribuendo a tale riduzione degli oneri contributivi un ruolo risolutivo di una situazione che richiederebbe, invece, una politica più complessa, interventi di varia natura e, soprattutto, una capacità di dialogo con le forze sociali, con gli imprenditori e con i sindacati che voi, oggi, non siete in grado di sviluppare.
Il livello del deficit è a rischio, mentre lo stock del debito pubblico torna a crescere; per di più, ciò avviene - ed è preoccupante - in presenza di tensioni sul mercato dei tassi di interesse, determinate anche dall'aumento (sia pure, per ora, contenuto) deciso dalla Banca centrale europea.
Tale grave situazione potrebbe essere alleggerita soltanto dalla capacità di indicare, al nostro paese, la strada di una ripresa economica perfino più sostanziosa di quell'1,5 per cento che voi segnalate. Purtroppo, contrariamente a quanto affermano alcuni colleghi, che, a mio avviso hanno una visione ottimistica...

PRESIDENTE. Onorevole Grandi...

ALFIERO GRANDI. ...del futuro, non è nemmeno detto che una ripresa di tale modesta portata si registrerà nel 2006.
L'economia, infatti, alla fine del 2005 è ancora pressoché ferma. Vi è una crisi di fiducia permanente, che non è risolta dagli interventi di politica economica adottati dal Governo. Ribadisco pertanto che il disegno di legge finanziaria in esame - al di là di qualche eccezione - non contiene un insieme di misure in grado di offrire, alle forze sociali, un riferimento sicuro per garantire la ripresa dell'economia e la fiducia del nostro paese.
Del resto, basti considerare, nell'ambito del disegno di legge finanziaria, il livello degli investimenti pubblici, i tagli drammatici agli enti locali, alle regioni ed al comparto della sanità, nonché l'abolizione di ogni spesa concernente gli investimenti nell'informatica, per comprendere che sia sul versante del sostegno alla ripresa, sia per ciò che concerne la tutela sociale della parte del paese che più soffre della crisi in atto...

PRESIDENTE. Onorevole Grandi, si avvii a concludere!

ALFIERO GRANDI. ... ci troviamo in una condizione di difficoltà!
Per questi motivi, signor Presidente, concludendo il mio intervento, vorrei osservare che, se questo è tutto ciò che il ministro Tremonti sa indicare per il futuro dell'economia del nostro paese, siamo di fronte ad un ben piccolo colbertismo. Il ministro è stato «richiamato alle armi», ma l'unica cosa che, con grande chiarezza, si capisce relativamente a queste misure è che vi è un accentramento straordinario di poteri nelle mani del Ministero dell'economia delle finanze.
Si tratta, purtroppo, di poteri che non corrispondono agli interessi del paese e che provocheranno un avvitamento ancora più grave sia della situazione finanziaria, sia di quella economica. Tutto ciò, purtroppo, lo pagheranno l'insieme dell'economia, l'intero paese e, in particolare, gli strati sociali più deboli (Applausi dei deputati dei gruppi dei Democratici di sinistra-L'Ulivo e della Margherita, DL-L'Ulivo).

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Mazzocchi. Ne ha facoltà.

ANTONIO MAZZOCCHI. Signor Presidente, onorevoli colleghi, signor rappresentante


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del Governo, siamo ormai all'esame della quinta ed ultima manovra di bilancio della legislatura, vale a dire dell'ultimo atto importante di un Governo che si appresta, tra pochi mesi, ad affrontare il giudizio degli elettori.
Ciò lo dico perché nel mio intervento svolgerò alcune osservazioni, se me lo consentite, in controtendenza.
Onorevoli colleghi, credo che nel sistema bipolare ogni Governo debba assumersi la responsabilità di presentare un programma, con tale programma chiedere il giudizio degli elettori e, annualmente, attraverso la presentazione del bilancio e della legge finanziaria, mettere in atto il citato programma. Quindi, tale programma non deve essere rivisto e ridimensionato dalle apposite Commissioni. Quante volte, anche d'accordo con l'opposizione, abbiamo detto che il disegno di legge finanziaria dovrebbe essere un atto unilaterale del Governo che il Governo stesso propone come fiducia al Parlamento? Infatti, se si pone attenzione, anche dopo lo svolgimento di animate discussioni nelle Commissioni, il Governo cosa fa? Presenta un maxiemendamento al disegno di legge finanziaria, chiedendo la fiducia. Per cui - me lo consenta il rappresentante del Governo - è tutto un «teatrino» che non porta nemmeno una qualificazione al Parlamento.
Ecco perché auspico che, quanto prima, tutte le forze politiche si mettano d'accordo - al di là di chi vincerà le prossime elezioni, il centrodestra o il centrosinistra - sul fatto che le leggi finanziarie siano atti del Governo che si portano alla discussione in Parlamento. Sicuramente, infatti, il Parlamento stesso deve discutere, deve capire se i provvedimenti in esse contenuti siano appropriati o no, ma successivamente è necessario arrivare ad una votazione conclusiva proprio sul programma e sul bilancio che presenta il Governo. Altrimenti, me lo consenta, onorevole Vegas, si arriva alle «furbate» - forse è una parola un po' grossa - che, alcune volte, deputati di maggioranza e di opposizione fanno in Commissione bilancio, approfittandosi magari delle ore notturne, quando vi è stanchezza, cercando non di rappresentare interessi di questa o di quella lobby - magari ! - o interessi della collettività, ma interessi personali. Le cito un esempio per tutti, che sicuramente grida scandalo (e gliene ho parlato anche privatamente): mi riferisco al comma 88-bis. Come si fa a dire a 200 mila - dico 200 mila! - esercenti di bar e ristoranti: voi continuate ad emettere lo scontrino fiscale e coloro che gestiscono un esercizio di oltre duecentocinquanta metri quadrati - tra l'altro, soggetti ben noti in Italia, trattandosi di società straniere, che magari fanno gli hamburger, o possiedono punti di ristoro nelle grandi autostrade -, non hanno più l'obbligo dell'emissione dello scontrino fiscale?
Dico la verità: voterò la fiducia a questo Governo, perché faccio parte della maggioranza che lo sostiene e sono convinto di questa legge finanziaria, ma chiedo veramente, con tutte le mie forze, proprio perché sono 12 anni che lavoro per le piccole e medie imprese, 12 anni che sto vicino ai commercianti, che questo comma non venga recepito dal Governo. Questo Governo ha lavorato per le piccole e medie imprese. Basterebbe pensare alla diminuzione del costo del lavoro, ridotto dell'1 per cento. Qualcuno affermava che questo Governo non ha fatto nulla per l'economia. Questo, invece, è stato il primo Governo che ha dato un grande ed importante segnale alle imprese, con un esonero che vuole, in primo luogo, ridurre l'aliquota contributiva per gli assegni familiari e sui contributi per maternità e disoccupazione.
In Italia vi sono circa 6 milioni di piccole e medie imprese e la minimum tax ha coperto soltanto poche imprese. È noto che la no tax area, ossia la non tassazione dei redditi, copre fino ad 8 mila euro. Noi avevamo proposto di arrivare, attraverso un concordato di massa, che non vuol significare condono - noi, infatti, siamo contro i condoni -, esaminando i vari studi di settore e gli importi che attraverso tali studi di settore i vari professionisti ed imprenditori avrebbero dovuto erogare, a dire che nel 2006-2007 tutti gli imprenditori


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e professionisti avrebbero dovuto pagare una certa somma. Ciò avrebbe portato due miliardi di maggiori entrate nelle casse dello Stato. In tal modo, avremmo potuto portare la no tax area da 8 mila a 15 mila euro, favorendo ben 2 milioni e 927 mila imprese (e sottolineo: 2 milioni e 927 mila imprese!). Con i restanti 300 milioni di euro avremmo potuto rafforzare l'Agenzia per la diffusione delle tecnologie, previste giustamente anche nei distretti industriali (altro grande elemento innovativo introdotto da questo Governo). Infine, con gli altri 1000 milioni di euro avremmo potuto realizzare riforme strutturali per quanto riguarda la famiglia.
Come dicevo poc'anzi, la vera novità di questo disegno di legge finanziaria, che nessuno ha messo in risalto e che l'opposizione, casomai, finge di non voler vedere, sono proprio i distretti industriali: un sistema rivoluzionario per l'associazionismo delle imprese, ma soprattutto per aumentare la produzione e la competitività delle piccole e medie imprese. Anche se il sistema dei distretti industriali offre maggiore garanzia per i rapporti con il mondo del credito bancario, riteniamo tuttavia che sarà necessario, proprio in vista degli accordi interbancari di Basilea due e dei nuovi parametri di rating creditizio, sostenere con forza e con adeguata dotazione di risorse le misure previste dalla legislazione, per incentivare i nuovi processi di concentrazione e fusione fra i consorzi di garanzia fidi, fino al progetto di costituzione. Questa è la nostra proposta: un intermediario specializzato che, con una governance partecipata da parte delle associazioni imprenditoriali del settore e delle regioni, possa agire come soggetto pubblico di controgaranzia. Proprio tale rinnovata attenzione al tema dei distretti da parte di questo Governo è un dato positivo, perché evidenzia il ritorno dell'attenzione della politica economica sui modi concreti di operare di gran parte del tessuto imprenditoriale italiano.
Occorre, però, che questa normativa non sia solo un regime sperimentale; occorre che, in corso d'opera, sia colta e potenziata la sua applicazione nei confronti dei veri e propri distretti terziari; e possono essere considerati tali tanto i centri commerciali naturali quanto, per altro verso (ma estremamente collegato al sistema dell'offerta commerciale in senso ampio), i sistemi turistici locali. Ma anche su questo tema si dovrà sviluppare l'impegno del prossimo Governo, puntando in particolare a fare di questi distretti terziari gli agenti di riferimento per ampi processi di recupero, ristrutturazione e riqualificazione delle aree urbane, che, in collegamento con gli enti locali, le camere di commercio e le associazioni imprenditoriali, e con l'apporto di una rinnovata e calmieratrice disciplina delle locazioni commerciali, sottraggano il tessuto produttivo dei servizi delle nostre città alla logica della rendita finanziaria e della speculazione immobiliare.
All'interno di questi distretti terziari, inoltre, dovrà essere massimizzata la capacità di impatto dei processi di associazionismo economico delle piccole e medie imprese.
Infine, vorrei menzionare un altro tema: lo diciamo tutti, ma credo che occorra essere molto razionali, ragionando anche sulla base delle capacità di entrata o, meglio, con le necessità di entrata di questo Governo. Mi riferisco ad un fisco equo e ad un rapporto trasparente con l'amministrazione finanziaria.
Anche rispetto a tale questione, dovremo impegnarci per un progetto relativo alle piccole e medie imprese. Ciò affinché il sistema degli studi di settore tarati in relazione all'effettivo andamento del ciclo congiunturale sia finalmente, per le imprese ed i contribuenti, un elemento di certezza e di tranquillità nel rapporto con l'amministrazione finanziaria. Affinché i principi dello statuto del contribuente non vengano inficiati da una continua produzione di norme fiscali, dettata più da esigenze di cassa del bilancio pubblico che dalla necessità dell'accertamento della coerenza e della congruità del contribuente. Affinché vengano definitivamente e compiutamente soppressi anacronistici balzelli, come la tassa sulle insegne.


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Quante volte abbiamo parlato della tassa sulle insegne! Attraverso un nostro progetto di legge, essa è stata in parte eliminata, ma è necessario sopprimerla completamente. Infatti, i commercianti, con le insegne, vivificano le nostre città e garantiscono anche la sicurezza nelle varie strade delle nostre città.
Inoltre, occorre che il federalismo fiscale sia un'occasione per razionalizzare e ridurre l'impatto del prelievo fiscale complessivo sulle imprese e non l'avvio di una stagione di moltiplicazione dei tributi e di aggravi di compartecipazione al prelievo, come avviene spesso a livello locale. Tutto ciò, naturalmente, con realismo, senza indulgere al libro dei sogni e chiedendo ad ogni contribuente di fare tutta e sino in fondo la propria parte.
Bisogna sapere anche che la questione IRAP, che è stata introdotta non da questo Governo ma da altri, non certamente da Governi di centrodestra, e che è stata dichiarata illegittima da parte dell'Unione europea, deve essere affrontata e risolta con una gradualità che, attraverso l'innalzamento dell'attuale fascia di franchigia, restringa con decisione la platea delle imprese soggette all'imposta, disegnando un'ampia «no IRAP area».
Soprattutto, riteniamo che bisogna rafforzare i sistemi di lotta all'evasione, che - lo abbiamo letto nella legge finanziaria e siamo d'accordo - non passa soltanto attraverso un ampliamento dell'organico della Guardia di finanza, ma soprattutto attraverso un fisco equo, che faccia comprendere agli imprenditori che è più conveniente collaborare con lo Stato che evadere. Altre ricette, cari colleghi, non ve ne sono. Nella politica economica dobbiamo essere convinti, come si è sempre dimostrato, che la formula della prevenzione è vincente su quella della repressione.
Queste mie osservazioni vogliono soltanto offrire un minimo contributo alla politica delle piccole e medie imprese, che - non lo dimentichiamo mai - danno un contributo al prodotto interno lordo per oltre il 70 per cento, che anche quest'anno hanno assorbito oltre i due terzi del mondo del lavoro e che, soprattutto in questo momento, costituiscono un punto di riferimento per la ripresa economica del nostro paese, attraverso una produzione competitiva sempre di più alta qualità. La produzione del made in Italy ancora oggi può essere guardata dai mercati internazionali con quell'ammirazione che ha sempre contraddistinto l'economia del nostro paese (Applausi dei deputati dei gruppi di Alleanza Nazionale e dell'Unione dei democratici cristiani e dei democratici di centro).

PRESIDENTE. È iscritta a parlare l'onorevole Bindi. Ne ha facoltà.

ROSY BINDI. Signor Presidente, onorevoli colleghi, onorevole viceministro, viene spontaneo iniziare questo intervento con una frase che non è di rito: «Per fortuna è l'ultima finanziaria della destra!». Ne viene un'altra da aggiungere molto spontaneamente. Di solito, si dice che si chiude in bellezza, ma non si può certamente dire che con questa legge finanziaria l'attuale Governo chiuda in bellezza.
Si tratta di una legge finanziaria che si caratterizza per il nulla, un nulla che ha avuto bisogno della fiducia del Senato per essere approvato e che, come si annuncerà già nel Consiglio dei ministri di domani mattina, avrà bisogno di un ulteriore voto di fiducia alla Camera.
Del resto, come sarebbe possibile dare vita ad un dibattito parlamentare costruttivo sul nulla? Questa legge finanziaria aggrava la situazione dei conti pubblici nel nostro paese e non contiene nessuna politica vera per lo sviluppo del paese, né per il rilancio del Mezzogiorno. Soprattutto, essa si caratterizza per la sua iniquità. È una legge finanziaria per un paese che non c'è, perché il paese che c'è è quello delle imprese che fanno sempre più fatica a produrre; è il paese dei lavoratori senza diritti; è il paese di un lavoro sempre più incerto e precario e dei contratti che non si rinnovano; è il paese delle famiglie in affanno e di un Mezzogiorno che è tornato a trovarsi nelle grandi difficoltà della sua storia, che solo alcuni anni fa erano state riscattate.


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Per questi motivi, noi voteremo contro questa legge finanziaria, non soltanto perché il Governo porrà la questione di fiducia. Infatti, noi stiamo con quel paese che soffre e che, al tempo stesso, vuole un futuro, che certamente non gli viene assicurato dal nulla di questo provvedimento.
A fronte dell'ISTAT, che ci dice che nel Mezzogiorno un quarto delle famiglie sono povere e che una su tre nel resto d'Italia è in affanno e si avvicina alla soglia della povertà, in questa legge finanziaria non è prevista alcuna misura che davvero vada incontro a queste famiglie e al tentativo di una loro vera inclusione. Ancora una volta, è una legge finanziaria piena di provvedimenti spot per la famiglia, che viene sbandierata con grande retorica, indicata come un grande valore da questo Governo e da questa maggioranza, ma che non ha mai vissuto tante difficoltà come in questo periodo.
Per la famiglia vi è la solita «lotteria» dei mille euro che, peraltro, sono finanziati con il dimezzamento del fondo sociale, ridotto nel 2004 e nel 2005 a 500 mila euro, che viene finanziato con la diminuzione dei trasferimenti agli enti locali e che, naturalmente, servirà a pochissime coppie e bambini, i quali però non potranno contare sulla rete dei servizi, su nuove politiche per conciliare il lavoro delle donne e la vita della famiglia, a meno che non si intenda, ancora una volta, che le deduzioni fiscali per le baby sitter e gli asili nido siano un modo per aiutare la famiglia.
Ci si chiede perché la maggioranza si sia affannata ad affermare sui giornali che condivideva l'emendamento a firma degli onorevoli Bindi, Fioroni e Turco, un provvedimento serio perché allargava le tutele della maternità, di cui oggi godono le lavoratrici, a tutte le donne, alle lavoratrici precarie, alle immigrate con regolare permesso di soggiorno, alle casalinghe. Ci si è affannati a sostenere che fosse una misura seria, ma non si capisce per quale motivo in Commissione bilancio nessuno l'abbia votata e, inoltre, non sembra che nel maxiemendamento che sarà presentato troverà riscontro.
Si è affermato che il provvedimento sulla non autosufficienza sia una norma seria, ma per cinque anni consecutivi il Governo non ha ritenuto, da parte sua, di riconoscere il sistema di finanziamento che avevamo previsto, che la Commissione affari sociali aveva previsto, e, ancora una volta, quest'anno, un milione e mezzo di anziani non autosufficienti si troverà a constatare di essere stato abbandonato da parte delle politiche pubbliche.
Cosa dire della sanità? Si continua a dire che la sanità è finanziata da un fondo che aumenta ma il Governo, ed il viceministro Vegas nello specifico, sa bene che si tratta di un aumento fittizio. Mancano all'appello 4,5 miliardi di euro. Ciò sta portando le regioni italiane al collasso finanziario, soprattutto quelle del Mezzogiorno, e in particolare sta portando al collasso i bilanci delle famiglie, le quali fanno fronte, per ben il 30 per cento della spesa sanitaria, con i propri bilanci, con le pensioni e con gli stipendi, diventati sempre più inadeguati all'aumento del costo della vita.
Sappiamo bene che sono un finto finanziamento i 2 miliardi che dovrebbero andare ad incrementare un programma per l'abbattimento delle liste di attesa, misura assolutamente centralistica che non produrrà alcun effetto, se non quello di non dare 2 miliardi alle regioni (che, peraltro, fanno parte del debito pregresso); così come sappiamo bene che il miliardo effettivo di aumento, ben inferiore all'aumento tendenziale della spesa previsto dal DPEF, è condizionato all'attuazione di altri programmi che, a loro volta, non sono finanziati.
Per fortuna, apprendiamo da Trieste, dove il ministro sta parlando (più o meno opportunamente), che non vi sarà più la norma che stabiliva un tetto alla mobilità, considerata un modo per assicurare l'uniformità del Servizio sanitario nazionale ma che, in realtà, era una doppia beffa per le regioni del sud. Durante il prossimo anno, queste ultime non avrebbero potuto assicurare livelli adeguati di assistenza alla propria popolazione, che si sarebbe trovata davanti alle «frontiere» delle regioni


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del centro-nord, che non avrebbero potuto riceverla per le cure adeguate nei loro presidi sanitari. Sembra che il Governo vi abbia riflettuto e che nel maxiemendamento tale norma verrà soppressa. Ce lo auguriamo, perché era una doppia beffa, anche per le regioni del nord. Non certo per quelle regioni, come la Lombardia, che hanno gonfiato la loro offerta in questi anni soprattutto attraverso la mancata programmazione per i privati e che in maniera parassitaria hanno chiuso i loro bilanci sulla mobilità del sud, ma per quelle regioni che hanno al loro interno centri di eccellenza vera, che non possono evidentemente pensare ad un futuro se non erogando prestazioni sanitarie, oltre che agli abitanti delle proprie regioni, a tutti gli italiani, compresi quelli delle regioni del sud, proprio in quanto strutture di alta eccellenza.
Auspichiamo per la sanità del Mezzogiorno ben altro. Non le frontiere al centro-nord del sistema sanitario, ma interventi straordinari per adeguare la sanità del Mezzogiorno, soprattutto attraverso interventi strutturali e formativi. Tuttavia, anche su questo il Governo tace e respinge le nostre proposte emendative.
Per tutti questi motivi, meno male che è l'ultima legge finanziaria! Meno male che possiamo dire agli italiani: la notte sta per finire, il vostro futuro sarà ancora possibile grazie ad un Governo che saprà farsi carico dell'economia di questo paese e soprattutto delle attese delle famiglie, degli uomini e delle donne, dei giovani e degli anziani dell'Italia (Applausi dei deputati dei gruppi della Margherita, DL-L'Ulivo e dei Democratici di sinistra-L'Ulivo)!

PRESIDENTE. Constato l'assenza dell'onorevole Giudice, iscritto a parlare; si intende che vi abbia rinunziato.
È iscritto a parlare l'onorevole Lulli. Ne ha facoltà.

ANDREA LULLI. Signor Presidente, provo imbarazzo ad intervenire in quest'aula in tale dibattito. Se non fosse per il rispetto doveroso e per il ruolo centrale nella vita democratica di questo paese dato dai nostri padri costituenti all'istituzione del Parlamento, l'unica cosa giusta da fare sarebbe quella di disertare un dibattito truccato. Non sappiamo infatti neppure di che cosa stiamo discutendo. Non sappiamo se il testo sarà quello che, in voluminosi libri, è qui disponibile oppure se sarà un testo diverso, che peraltro il Consiglio dei ministri tarda a manifestare, perché incapace probabilmente di trovare la quadra al proprio interno.
Forse, dunque, sarebbe il caso di fare una riflessione sull'approdo al quale giunge il paese dopo quattro anni e mezzo di Governo di centrodestra. Lascio da parte le promesse, vacue promesse. Lascio da parte anche la polemica, che in realtà non sarebbe neanche tanto sbagliata, sui conflitti di interesse e su quello che è stato l'obiettivo principale di questi anni di Governo: risolvere una serie di problemi, non del paese, ma di alcuni interessi molto precisi.
Mi soffermo allora sulle questioni che interessano i nostri cittadini, le imprese, le famiglie e i giovani, che rischiano di essere smarriti in questo paese. Oggi ci consegnate dei conti pubblici che sono sostanzialmente fuori controllo, e non si capisce bene da dove arriverà l'equilibrio.
Sul fronte dei provvedimenti fiscali, si è favorita la rendita parassitaria: altro che riduzione fiscale per i ceti meno abbienti! Non si sono mai accumulati come in questi anni grandi patrimoni esentasse. Si è penalizzata la produzione e la costruzione di nuovi servizi avanzati, che un paese civile e degno di essere, come lo è l'Italia, la sesta potenza economica mondiale dovrebbe invece realizzare. Si è aumentato il deficit. Si è aumentata la spesa pubblica corrente. La polemica sugli enti locali francamente è risibile, visto che sappiamo molto bene che gran parte della spesa pubblica corrente si è incentrata in una centralizzazione della spesa della quale non abbiamo ben capito quali siano stati gli effetti e neppure i destinatari.
Per quanto riguarda la crescita economica del paese, siamo ultimi in Europa.


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Tremonti può anche dire che le conseguenza dell'11 settembre, dello sviluppo della Cina sono state avvertite anche da altri paesi europei; eppure, il mondo non aveva mai conosciuto, come in questi anni, una crescita economica così impetuosa.
Se l'Europa arranca, l'Italia è ultima; è il fanalino di coda, tanto da essere considerati dei comici quando si fanno proclami di vittoria, perché si passa da una crescita negativa ad una percentuale dello 0,1 o 0,2 per cento del prodotto interno lordo.
Inoltre, da parte di almeno il 10 o il 15 per cento delle famiglie italiane si avverte la paura di varcare la soglia di povertà, di fronte alla mancanza di una politica industriale e via seguitando (potrei continuare, ma non lo faccio).
In realtà, la colpa più grave di questo Governo, caro viceministro, è il fatto di avere depresso l'Italia. Voi avete depresso un paese, la cui arte di arrangiarsi è stata da sempre una caratteristica vincente che lo ha fatto diventare una potenza industriale nel giro di pochi decenni.
La vostra preoccupazione maggiore, di fronte a questo dato, è quella di fare propaganda, anche con il disegno di legge finanziaria (che non so se rimarrà tale) del quale ci accingiamo a discutere!
Come rilevato molto meglio di me dall'onorevole Bianco, di fronte al disastro della politica per il Mezzogiorno, si inventa la banca del sud e si prevede una posta di bilancio risibile. Anche per quanto riguarda la questione del costo del lavoro, non è male prevedere di ridurre il costo del lavoro, soprattutto, per quelle imprese che, in questi anni, sono state lasciate sole a competere sulla scena internazionale. Tuttavia, vorrei far presente che gran parte della riduzione del costo del lavoro è stata «rimangiata» da quella norma sugli ammortamenti agli investimenti, senza pensare a quei ritardi, a quei tempi lunghissimi nella restituzione dell'IVA alle imprese esportatrici; è un modo per «spillare» sangue vivo alle imprese che lottano sul mercato internazionale (per fortuna sono tante!).
Con riferimento alla questione dei distretti, in Commissione ho riconosciuto l'importanza di discutere in ordine ai distretti industriali, anche perché (anche oggi sull'inserto economico de Il Corriere della sera se ne dà atto), i suddetti rappresentano ancora il cuore della nostra economia; ancora oggi combattono e contribuiscono a creare ricchezza nel paese, anche se settori come il tessile e l'abbigliamento, che più sono esposti alla concorrenza internazionale, stanno vivendo una situazione economica difficile. Nei distretti industriali si rinviene la capacità di reagire, di mantenere i livelli di occupazione, di coesione sociale e di civiltà nel modo di vivere, cercando nello stesso tempo di dare un contributo alla bilancia dei pagamenti del nostro paese, che certamente è molto deficitaria e non per colpa del sistema delle piccole imprese dei sistemi distrettuali!
Ma anche in questo caso, se pensiamo ai 50 milioni di euro, viene quasi da scoraggiarsi e speriamo non facciano la fine dei fondi sul made in Italy (vedo che il viceministro Vegas sta uscendo dall'aula): erano già pochi e sono stati dimezzati!
Anche per quanto riguarda la lotta alla contraffazione, dovremmo essere seri! Con la cosiddetta ex Cirielli, la lotta alla contraffazione è andata a farsi benedire, perché ridurre i tempi di prescrizione significa di fatto dare il via libera a chi effettua la contraffazione sul piano industriale, su grande scala. Sono risultati veramente scoraggianti!
Sempre con riferimento ai distretti, cosa significa rideterminare, per quanto riguarda i territori italiani, le modalità di definizione dei distretti? Esiste già una legislazione nazionale in tal senso, nonché legislazioni regionali; quindi, in questo modo si crea ulteriormente confusione, allungando i tempi. Pertanto, ciò che interessa è solo la propaganda, poiché si afferma di volersi impegnare in questo settore, avendo cura dei distretti.
Ma ciò costituisce un elemento che creerà ulteriore confusione, se non una aspettativa che rischia di essere delusa; e noi, come classe politica di questo paese,


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non abbiamo certo bisogno di deludere nuovamente chi lavora, chi si impegna e chi, in qualche modo, contribuisce alla costruzione della ricchezza del nostro paese.
Inoltre, vi è anche un po' di confusione in ordine a cosa significhi «distretti industriali». L'onorevole Crosetto - per il quale, peraltro, ho molto rispetto -, in Commissione, mi ha risposto che quanto contenuto nella finanziaria è un qualcosa di diverso dai distretti industriali tradizionali, un qualcosa che dovrebbe confrontarsi con la globalizzazione. A parte il fatto che i distretti industriali ogni giorno fanno i conti con la globalizzazione - anzi, qualcuno di essi ha anticipato la globalizzazione; infatti, il fatto di essere una piccola impresa non vuol dire non conoscere la dinamica dei mercati mondiali -, in realtà si rischia di porre in essere - pur con le migliori intenzioni, che do per scontate - strumenti di politica industriale non solo sperimentali, che potrebbero prestare il fianco a qualche manovra elettorale o poco chiara, ma anche più rigidi. Attribuire personalità giuridica ad un distretto industriale, anche se di tipo nuovo, significa non comprendere qual è stata, qual è oggi e quale sarà domani la forza dei distretti industriali che, accanto alla grande capacità imprenditoriale, alla grande creatività e alla volontà di rischiare sui mercati internazionali, è collegata ad un dialogo continuo con i governi locali, vale a dire a quel misto di coesione sociale e di competizione esterna ed interna al distretto che ne fanno uno degli esempi più importanti di formazione economica e sociale che altre economie più avanzate ci invidiano.
Da oltre due anni abbiamo presentato una proposta di legge, a prima firma del collega Nicola Rossi, nella quale sono inseriti i provvedimenti che, a nostro avviso, dovrebbero essere adottati (innovazione, internazionalizzazione, strumenti per chi vuol crescere sul piano dimensionale senza perdere il radicamento territoriale). Ciò non è nei vostri programmi, in quanto non siete in sintonia con il paese, non lo siete più!
Recentemente, un importante istituto internazionale di ricerche, che nei convegni che periodicamente si svolgono a Davos redige alcuni indici un po' particolari, ha presentato l'«indice di tristezza» sul piano internazionale.

CARLA CASTELLANI. Voi portate la bandiera!

ANDREA LULLI. Ebbene, l'«indice di tristezza» vede al primo posto l'Italia! Il Governo di centrodestra è riuscito a deprimere il paese del sole, è riuscito a deprimere il paese che ha fatto della vitalità imprenditoriale un elemento di punta.
Ritengo comunque che non ce la farete a concludere la vostra impresa, in quanto ci sono persone che, come noi, credono e hanno fiducia nell'Italia, nel suo sistema imprenditoriale, nella forza lavoro. Insieme, riusciremo dunque a dare la scossa per risalire la china (Applausi dei deputati dei gruppi dei Democratici di sinistra-L'Ulivo e della Margherita, DL-L'Ulivo)!

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole D'Antoni. Ne ha facoltà.

SERGIO ANTONIO D'ANTONI. Signor Presidente, signor rappresentante del Governo, onorevoli colleghi, ritengo che si stia svolgendo un dibattito particolare, in quanto discutiamo di una finanziaria, di un testo licenziato dalla Commissione bilancio che non ha il nostro consenso, pur essendo stato approvato dalla maggioranza della V Commissione. Tuttavia, non sappiamo quale sarà il testo finale di questa finanziaria.
Aspettiamo tutti - credo non soltanto l'opposizione, ma anche la maggioranza - di conoscere il testo finale: domani, dopo il Consiglio dei ministri, probabilmente la maggioranza renderà nota qual è effettivamente la legge finanziaria per il 2006. Ritengo che questo già di per sé la dica lunga sul modo, assolutamente inaccettabile, di concepire il rapporto fra Governo e Parlamento: che la legge finanziaria sia responsabilità del Governo è noto a tutti,


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ma il fatto che non vi sia alcun rispetto per il ruolo e la funzione del Parlamento credo sia assolutamente da condannare.
Il Parlamento ha una grande funzione che non può essere cancellata, tranne a modificare il rapporto, anche su questo punto, tra Governo e Parlamento, in un dibattito che, a mio giudizio, non varrebbe la pena di fare, se poi il Parlamento sarà costretto a prendere atto esclusivamente della proposta del Governo e, attraverso la questione di fiducia, a non poter partecipare con nessun ruolo. Ciò vale sicuramente per l'opposizione, che viene totalmente esclusa dalla possibilità di contribuire con proposte positive alla migliore stesura della legge finanziaria, ma anche per la maggioranza, che si vedrà tolta ogni possibilità di influenza, dopo l'approvazione del testo finale: tutto questo in una legge finanziaria non brillante, assolutamente inaccettabile, non adeguata ad affrontare i problemi del paese.
È stato richiamato da molti, ma ritengo vada sottolineato con grande chiarezza, il fatto che l'Italia non riesce a crescere e non crea ricchezza; e quando la ricchezza non si crea non si può distribuire, e quando non si può distribuire le condizioni di milioni di italiani che non hanno la possibilità di una via d'uscita finiscono per deprimersi e per determinare il peggioramento della qualità della vita.
Perché questo avviene? Il Governo ha sempre addotto motivi esterni, ha sempre cercato cause esterne alla mancata crescita dell'Italia: l'11 settembre, l'euro, la Cina, e via dicendo. Questi motivi esterni esistono per tutti i paesi europei e per tutti i paesi del mondo, ma l'Italia è il paese che cresce di meno in Europa. Bisogna dunque comprendere perché, nonostante i problemi ai quali ho fatto cenno siano presenti in tutti i paesi d'Europa, l'Italia è il fanalino di coda. La maggioranza dovrebbe chiedersi perché ciò avviene e il Governo dovrebbe dare una risposta a tale interrogativo. L'unica differenza tra gli altri paesi europei e l'Italia è costituita proprio da questa maggioranza e da questo Governo: se cresciamo poco e siamo il fanalino di coda in Europa, il vero motivo risiede in questa diversità, non nelle scuse che ci sono state proposte nel corso di questi anni e che, ancora una volta, ci vengono proposte all'atto della presentazione della legge finanziaria.
Da qui nasce la crisi di questa maggioranza; da qui nascono i motivi per cui il paese non riesce a crescere e a creare ricchezza; da qui nasce la necessità di un vero cambiamento. In questi anni non sono state affrontate le grandi questioni che interessano il paese. Ne citerò soltanto alcune, dato il tempo a disposizione.
Mi riferisco, in primo luogo, alla questione della giustizia fiscale, che resta un grande tema deprimente per la crescita del nostro paese. L'Italia, come è noto, ha avuto sempre una notevole evasione fiscale. Ciò ha creato uno squilibrio tra coloro che devono comunque pagare le tasse, perché hanno un reddito fisso con la trattenuta alla fonte, e coloro - e sono molti - che possono usufruire delle condizioni di elusione e di evasione. Ahimè, in questi anni l'evasione fiscale è cresciuta, e ciò dovrebbe far riflettere il Governo e il ministro dell'economia e delle finanze, che è un grande fiscalista. Perché è cresciuta?
Gli ultimi dati di questa mattina confermano che l'evasione fiscale, nell'ultimo anno, è cresciuta del 13,5 per cento, superando una soglia, in cifra assoluta, superiore ai 200 miliardi di euro: una cifra immensa!
Allora, qual è il vero punto? Cosa è avvenuto nel rapporto tra cittadino e fisco? In questi anni, attraverso i condoni ed una politica che non ha combattuto assolutamente l'evasione, è stata data l'impressione che fosse meglio usare gli strumenti dell'evasione ed aspettare. C'era chi predicava, a partire dal Presidente del Consiglio, che, tutto sommato, non era immorale evadere le tasse.
Credo che questo sia un elemento decisivo. Come si risanano i conti se non si cresce, se aumenta l'evasione fiscale? Si possono tagliare tutte le spese del mondo e creare mille ingiustizie, ma, alla fine, i conti non si aggiustano. Ed è lì il maggior buco che questo Governo lascerà a chi


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governerà successivamente, perché non ha saputo combattere il fenomeno e, anzi, lo ha premiato!
Ricordiamoci la manovra dello scorso anno. I sei miliardi di euro regalati ai redditi più alti, quelli che superavano i 100 mila euro annui, ai fini fiscali, sicuramente, sono stati un premio assolutamente ingiustificato che ha aggravato i conti, senza risolvere nessuna delle questioni che si ponevano attraverso quel vantaggio fiscale. Si sosteneva che quella misura avrebbe attivato un aumento dei consumi, ma, come abbiamo constatato, non ha innescato nulla. Tale meccanismo non poteva innescare nulla. Infatti, premiando i redditi alti, non può aumentare il consumo, perché si tratta di categorie che consumano già tanto. Quindi, si è trattato di un grande orrore che paghiamo considerevolmente.
La seconda grande questione riguarda lo sviluppo, a partire dalla disuguaglianza dello sviluppo: mi riferisco alla grande questione irrisolta del Mezzogiorno. Ebbene, in questi anni le condizioni si sono aggravate. Si discute poco di questo fenomeno (lo richiamo spesso perché è un fenomeno decisivo per le sorti del paese e del Mezzogiorno). Il paese non può crescere se non cresce il Mezzogiorno, perché nel sud ci sono i disoccupati, ossia il fattore umano necessario per crescere.
Se non si attua una politica per favorire l'occupazione nel Mezzogiorno, per fare in modo che milioni di persone rimangano a lavorare nelle terre meridionali, si rischia di aumentare (è ciò che sta avvenendo) le distanze, la disuguaglianza sociale, tra i ceti e territoriale, fra le zone del paese, assolutamente inaccettabile. Basti guardare al fenomeno della nuova immigrazione meridionale, tanto sottovalutata e pochissimo discussa.
Sicuramente, più di centomila giovani meridionali diplomati e laureati ogni anno lasciano il Mezzogiorno per andare a lavorare nel nord del paese, e questo crea un'impressionante diminuzione di ricchezza umana. Infatti, questi giovani nuovi emigranti sono diversi da quelli di cinquant'anni fa: per la gran parte, si tratta di diplomati e di laureati, vale a dire la base su cui bisognerebbe creare il nuovo sviluppo nelle aree meridionali. Questi giovani lasciano il Mezzogiorno, privando quelle terre della possibilità di costruire un futuro.

PRESIDENTE. Onorevole D'Antoni...

SERGIO ANTONIO D'ANTONI. Ma come si costruisce il futuro, se questa ricchezza esce dal Mezzogiorno, se le famiglie meridionali, per mantenere questi giovani, sono costrette a trasferire le rimesse dal sud al nord, dalle zone povere a quelle ricche, per mantenere i figli che lavorano al nord?
Questa è una delle disuguaglianze peggiori, più grandi: eppure, non c'è un dibattito, non si fa nulla! Si era tanto discusso di fiscalità di vantaggio, ma l'unica fiscalità di vantaggio esistente, il credito d'imposta, è stata sostanzialmente cancellata e si rinvia all'Europa, si scarica sull'Europa un problema italiano. Se si vuole risolvere il problema dello sviluppo, bisogna ripartire dai luoghi dove ci sono i disoccupati, ossia dal Mezzogiorno, attraverso provvedimenti che rendano convenienti gli investimenti privati e pubblici nel Mezzogiorno stesso.
Questo faremo come centrosinistra, quando vinceremo le elezioni, perché da lì riparte il cammino vero di un nuovo paese, di un paese che crede nel suo futuro, nei suoi giovani, di un paese che può affrontare la sfida della competizione globale e vincerla e non, invece, ridursi come l'avete ridotto in tutti questi anni (Applausi dei deputati dei gruppi della Margherita, DL-L'Ulivo e dei Democratici di sinistra-L'Ulivo - Congratulazioni)!

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Tidei. Ne ha facoltà.

PIETRO TIDEI. Signor Presidente, onorevoli colleghi, è difficile, se non impossibile, rintracciare spunti positivi nel disegno di legge finanziaria per l'anno 2006, anche perché ci troviamo in una situazione kafkiana in quanto, sebbene stiamo


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dibattendo, in effetti non conosciamo quale sarà e come verrà fuori questa finanziaria che sarà poi sottoposta al voto dell'Assemblea.
Con coscienzioso realismo, noi riteniamo che si tratti di una manovra che non garantisce sviluppo, non incentiva l'occupazione e non applica soluzioni strategiche per sanare il deficit dello Stato; soprattutto, è una manovra che, a dispetto delle dichiarazioni trionfalistiche del premier e del ministro Tremonti, si abbatterà come una scure sulle tasche degli italiani. Queste non sono le avventurose considerazioni di chi si diletta a prevedere catastrofismi, ma le obiettive riflessioni che maturano spontanee da un'attenta analisi dei conti pubblici e della stessa manovra economica predisposta dal Governo; riflessioni che testimoniano in tutti i settori strategici dello Stato un dato di fatto incontrovertibile: quattro anni di Governo di centrodestra si sono rivelati fallimentari! In quattro anni la spesa corrente primaria - di spesa corrente primaria parla sempre Tremonti - è aumentata del 2,3 per cento che, tradotto in moneta, significa 30 mila miliardi di vecchie lire.
Ancora una volta, siamo di fronte ad una finanziaria infarcita di una tantum - forse anche di condoni - e senza alcun reale intervento strutturale di lungo termine. Il tutto condito, secondo una logica assolutamente inaccettabile, da tagli indiscriminati, di cui si rendono vittime, in primo luogo, gli enti locali. La strategia del Governo è ormai chiara: non assumersi nessuna responsabilità per gli sbagli compiuti in questi anni scaricando, viceversa, sugli enti locali non solo l'onere di sanare i conti pubblici ma, addirittura, il compito di far ricadere sui cittadini le uniche due soluzioni a disposizione - entrambe sciagurate - per non mandare in dissesto finanziario un ente locale: aumentare le imposte oppure tagliare i servizi. Scelte che comunque obbligano i cittadini a mettere mano al portafoglio. Ecco dunque svelato l'inganno di chi afferma che questa finanziaria non inciderà sulle tasche degli italiani. Un inganno a cui fanno da corollario altre gravi bugie proprio in merito ai tagli inferti agli enti locali. Tali bugie desidero analizzare rapidamente, in maniera attenta. Si tratta di quasi tre miliardi di euro di minori spese, di cui 1,9 miliardi ricavati da comuni e province e 1,1 miliardi dalle regioni. Vengono, quindi, confermate le regole del patto di stabilità interno, dettate dalla finanziaria dello scorso anno. Ne risulta, conseguentemente, che per i comuni il taglio alle spese è pari al 6,7 per cento.
Hanno, quindi, ragione i sindaci quando affermano che questo dato, già esorbitante, è calcolato in difetto perché, se consideriamo che la finanziaria per il 2005 prevedeva per l'anno successivo un incremento di spesa del 2 per cento, i tagli effettivi della finanziaria per il 2006 ammontano all'8,7 per cento; tagli, peraltro, confermati anche per il 2007, per il quale sono indicati minori spese per lo 0,3 per cento, cui va aggiunto sempre un 2 per cento di riferimento del 2005, che porta i tagli al 2,3 per cento. Nel 2008 vengono poi indicate maggiori spese per 1,9 per cento rispetto al 2007. Si tratta, comunque, di previsioni non suffragate da nessuna certezza, come era una previsione quel 2 per cento in più calcolato dalla finanziaria 2005 per il 2006 che, invece, si è tramutato in un meno 6,7 per cento. Altro che qualcosa in più! Qui ci ritroviamo, lo ripeto, con un 6,7 per cento in meno.
È evidente, dunque, che questo Governo naviga a vista e si affida solamente alla buona sorte, sordo a qualunque richiesta di concertazione o revisione di scelte discutibili, ma soprattutto impassibile ed arrogante anche di fronte a sentenze costituzionali che evidenziano, in modo inequivocabile, la illegittimità dell'impianto stesso su cui si fonda l'asse portante di questa legge finanziaria. La riprova eclatante è arrivata in tal senso dalla sentenza con cui la Corte costituzionale ha bocciato il cosiddetto decreto «taglia spese» del luglio del 2004, specificando, a chiare lettere, che si è lesa l'autonomia delle regioni laddove si è imposto loro su quali capitoli eliminare le spese.


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Di fronte ad una sentenza che, lo ripeto, sconfessa platealmente l'impostazione della finanziaria, qualunque normale Governo avrebbe accettato di rivedere il disegno di legge, correggendo gli aspetti ritenuti incostituzionali; invece, abbiamo assistito a reazioni di assoluta indifferenza, con il ministro Tremonti che è arrivato finanche ad affermare che la sentenza non intacca in nulla e per nulla la finanziaria per il 2006. Dunque, si va avanti come se niente fosse! Il disegno di legge finanziaria non subisce la benché minima modifica ed il ministro continua a rassicurarci che tutto va bene: la manovra è efficace e bisogna essere ottimisti, senza cadere nel catastrofismo.
Ma i conti pubblici non si controllano con gli scongiuri o con gli inganni! Nei tagli agli enti locali, che il Governo ha deciso di lasciare totalmente immutati, è celata una seconda bugia: il ministro Tremonti continua a ripeterci che da questa sforbiciata sono assolutamente esentate le spese a carattere sociale, ma non è così! Infatti, l'articolo 22, comma 4, del disegno di legge finanziaria specifica testualmente che le spese sociali escluse dalle riduzioni di spesa sono quelle che risultano dalla classificazione per funzioni prevista dal regolamento di cui al decreto del Presidente della Repubblica n. 194 del 31 gennaio 1996. Ebbene, in tale classificazione non sono comprese categorie di spese per servizi sociali di primaria importanza quali: istruzione e formazione; servizi per la cultura e beni culturali quali biblioteche, musei e pinacoteche; servizi turistici, sportivi e ricreativi; trasporti pubblici locali; viabilità ed urbanistica; parchi naturali; rilevamento, disciplina e controllo degli scarichi delle acque e delle emissioni atmosferiche; funzioni nel campo della tutela ambientale; servizi di protezione civile; servizio mensa nelle scuole ed altro ancora (l'elenco potrebbe continuare).
A ciò deve aggiungersi, poi, il taglio di 504 milioni di euro al fondo sociale per le regioni. Si tratta di finanziamenti che erano stati inseriti nella finanziaria per il 2005 e che, nel giro di un anno, si sono letteralmente volatilizzati! In pratica, questo Governo è riuscito nella comica impresa di mentire a se stesso a distanza di soli dodici mesi, dopo che svariati ministri, esponendosi in prima persona, avevano dato la loro parola che questi soldi sarebbero stati trasferiti. E sappiamo bene che il fondo sociale viene impiegato dalle regioni per la gestione di asili nido, disabilità degli anziani, tossicodipendenze e via dicendo.
Pertanto, non vi sono giustificazioni, né gli artificiosi rimandi alla Tabella 10 del decreto n. 194 del 1996 sono idonei a celare l'inganno. Si tratta di servizi sociali indispensabili, in relazione ai quali troviamo 504 milioni di euro in meno: una cifra che, obiettivamente, fa rabbrividire!

PRESIDENZA DEL VICEPRESIDENTE ALFREDO BIONDI (ore 17,05)

PIETRO TIDEI. Avete un bel dire che le spese sociali non sono state intaccate dalla finanziaria!
Le cose non vanno meglio per il tetto di spesa alle risorse in conto capitale, giacché il patto di stabilità viene ad interessare anche queste: l'ammontare complessivo non potrà superare, per il 2006, il totale del 2004 aumentato del 10 per cento per i comuni e del 6,9 per cento per le regioni, mentre, per gli anni 2007 e 2008, l'aumento rispetto all'anno precedente non potrà superare il 4 per cento.
Il dato rende bene l'idea dell'assenza, che inutilmente continuiamo a rimproverarvi, di una strategia a lungo termine mirante a rilanciare lo sviluppo del paese. La spesa in conto capitale rappresenta, infatti, lo strumento più dinamico per la spesa degli enti decentrati. Essa è soggetta a variazioni di ampio respiro difficilmente ingabbiabili in rigidi parametri di stabilità. Questo perché da essa dipendono gli interventi strutturali e gli investimenti più significativi per una comunità, a cui sono vincolati, spesso, il reale miglioramento della qualità della vita e la concreta possibilità di incidere positivamente su sviluppo ed occupazione.
Voglio fornire un dato: solo nel 2004, per intenderci, il 74 per cento degli investimenti


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pubblici è stato realizzato dalle istituzioni locali! Porre rigidi limiti e paletti alla spesa in conto capitale significa impedire sul nascere quel rilancio economico del paese che solo da un'omogenea e sostenuta azione degli enti locali può prendere corpo.
Abbiamo tentato di avanzare proposte quali, ad esempio: lo spostamento del riferimento del tetto alla spesa media del triennio o quinquennio precedente; l'esclusione dal patto di stabilità dei piccoli comuni; l'aumento della spesa di investimento in virtù di maggiori entrate tributarie o di partecipazioni azionarie; l'esclusione dalle spese sottoposte al tetto di quelle necessarie per il cofinanziamento di opere pubbliche relative a bandi per obiettivi comunitari; l'attuazione del famoso articolo 119 della Costituzione sul federalismo fiscale attraverso il trasferimento di tributi dallo Stato alle autonomie locali e regionali per finanziare le funzioni loro attribuite (e i comuni, purtroppo, stanno ancora aspettando...).
Proposte, tuttavia, rimaste inascoltate; infatti, l'unico consistente aiuto che questa finanziaria concede agli enti locali è il 30 per cento delle somme riscosse a titolo definitivo nella lotta all'evasione fiscale. Si tratta di una concessione significativa che, tuttavia, cozza, anche in questo caso, con una realtà tutt'altro che rosea e appetibile rispetto a quella prospettata. Compartecipare alla lotta all'evasione, infatti, comporta per un comune la disponibilità di ingenti risorse umane e finanziarie, oltre che strumenti adatti all'operazione e adeguata formazione, ovvero una spesa di partenza che, in mancanza di certezza sugli effettivi introiti, pochissime amministrazioni si sentiranno in grado di azzardare, in quanto ogni investimento sarebbe vincolato da ipotetici e futuri ritorni economici.
Ecco, dunque, che il filo conduttore di questa finanziaria riappare costante: l'affidamento su positivi auspici in futuro. Questo sarebbe il nuovo miracolo italiano? Di miracoloso, probabilmente c'è solo, a questo punto, la permanenza al Governo di una coalizione che ha dimostrato di non riuscire a governare il paese: appare, peraltro, piuttosto grottesco concentrare oggi tutta questa attenzione sulla lotta all'evasione dopo che, per anni, si è incentivata l'illegalità, con condoni e premi per chi aveva costruito abusivamente, esportato capitale all'estero, evaso il fisco, falsato i bilanci e quant'altro.
Per questo, a fronte dei semplici numeri e degli esempi che ho elencato, l'accusa del ministro Tremonti agli enti locali di sperperare il danaro pubblico e l'invito a tagliare sprechi quali quelli finalizzati allo svolgimento di feste e, addirittura, alle auto blu suona come una inaccettabile offesa nei confronti degli amministratori italiani. Sono sindaco di una città, Santa Marinella, che conta 15 mila abitanti e sono presidente, da oltre cinque anni, della Lega delle autonomie locali del Lazio, che associa oltre 200 enti locali. Mi confronto quotidianamente con le difficoltà dei sindaci, dei presidenti delle comunità montane e delle università agrarie, che spesso non contano neanche mille abitanti. Del resto è noto che il 70 per cento dei comuni italiani ha una popolazione al di sotto dei cinquemila abitanti...

PRESIDENTE. Concluda, onorevole Tidei...

PIETRO TIDEI. Personalmente e quotidianamente mi confronto con la disperazione di questi amministratori che, ormai, non riescono a sopperire alle carenze dei comuni. Oggi noi dobbiamo dire che comuni, province, regioni, comunità montane ed università agrarie hanno contribuito con grande efficacia e responsabilità al processo di risanamento dei conti pubblici, rispettando nel 97 per cento dei casi il patto di stabilità come autonomamente certificato dalla Corte dei conti. Ma c'è un dato, oltre al taglio al fondo della comunità montana, che più di ogni altro dà l'idea di come questo Governo stia procedendo da anni a sperperi e soluzioni senza logica, a tutto discapito di milioni di cittadini comuni costretti, poi, a subire, sulla propria pelle, l'ingiustizia di certe scelte.


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Tutti ricordano la riduzione dell'aliquota IRPEF, voluta, lo scorso anno, dal presidente Berlusconi; una riduzione ammontate a circa 6,2 milioni di euro di cui si è voluto far beneficiare tutti i cittadini senza alcuna distinzione, introducendo, dunque, la riduzione delle tasse anche per i redditi superiori ai 100 mila euro. Tale riduzione indiscriminata ha fatto sì che il risparmio medio annuale, per ogni famiglia italiana, sia stato alquanto modesto (150 euro) a fronte di spese maggiori dovute al consistente aumento del costo di molti servizi.
Ecco, dunque, che, anche in questo caso, ci troviamo di fronte all'ennesima soluzione priva di strategia da parte di questo Governo...

PRESIDENTE. Onorevole Tidei, bisogna che lei trovi il freno a mano...

PIETRO TIDEI. Questa è la vera profonda differenza che oggi ci divide e che, irreparabilmente, ci allontana; ed è per questo che sono convinto che la finanziaria sarà, probabilmente, approvata con il solito colpo di maggioranza, ma su questa strada l'attuale maggioranza certamente non andrà molto lontano.
Concludo, chiedendo che la Presidenza autorizzi la pubblicazione in calce al resoconto della seduta odierna del testo integrale del mio intervento (Applausi dei deputati dei gruppi dei Democratici di sinistra-L'Ulivo e della Margherita, DL-L'Ulivo).

PRESIDENTE. Onorevole Tidei, la Presidenza lo consente, sulla base dei criteri costantemente seguiti.
È iscritto parlare l'onorevole Frigato. Ne ha facoltà.

GABRIELE FRIGATO. Signor presidente, cercherò, nei dieci minuti concessimi, di prospettare solo qualche «telegramma» indirizzato al Governo, che si accinge, anche in questa occasione - lo hanno già annunciato più volte gli organi di stampa -, a presentare, nella giornata di domani, il secondo maxiemendamento sul quale sarà posta la fiducia anche alla Camera.
Potremmo dire che, in un certo senso, siamo abituati a questo. Dico «in un certo senso», perché noi non vogliamo abituarci ad un Parlamento nel quale il dibattito è svilito ed il ruolo stesso delle Assemblee parlamentari è sostanzialmente annullato. Quindi, anche in questa occasione, signor Presidente, affermiamo con particolare intensità e con particolare forza che, a nostro avviso, il Parlamento è e deve rimanere il luogo nel quale le proposte sono formulate e dove lo spazio di dibattito è certamente garantito e trova anche una sostanza e una possibile conseguenza.
Proprio in questa direzione, mi permetto di proporre, come affermavo poc'anzi, qualche breve «telegramma» per il Governo il quale, domani, si riunirà per definire il maxiemendamento. Voglio ricordare soltanto quattro elementi, da sottoporre all'attenzione del signor viceministro. Il primo di essi è costituito dal cosiddetto «bonus-bebè» e dalle politiche sociali; il secondo, dal valore della sussidiarietà e della solidarietà, che non mi pare sia stato reso concreto nel taglio ai trasferimenti agli enti locali e, in particolare, alle municipalità; il terzo consiste negli ammortizzatori sociali, che subiscono una particolare riduzione e risultano insufficienti nei capitoli di bilancio; infine, il quarto elemento è costituito dallo sviluppo.
Voglio brevemente ricordare al Governo, signor Presidente, la giusta richiesta pervenuta da tutte le regioni affinché il fondo nazionale per le politiche sociali benefici di un adeguato investimento. Sappiamo che la partita è ancora aperta, relativamente agli anni 2004 e 2005. Ribadiamo che la richiesta proveniente da tutte le regioni del nostro paese ha bisogno di essere ascoltata perché il fondo nazionale per le politiche sociali riguarda i servizi sociali che sono offerti alle categorie deboli, che sono garantiti alle persone e alle famiglie in difficoltà.
La seconda riflessione, non scollegata dalla prima, riguarda il cosiddetto «bonus-bebè»,


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così definito per brevità. Abbiamo la sensazione che questo bonus, questi mille euro per i secondi nati, nasconda obiettivamente una filosofia diversa da quella che nel nostro paese, come in tanta parte dell'Europa, ha caratterizzato le politiche sociali e i servizi alla persona, alla famiglia ed alla comunità. Questi servizi, sostanzialmente, si traducono nel farsi carico, da parte della comunità, di un problema esistente per una persona o una famiglia. Dare il «bonus-bebè», cioè mille euro una tantum, ci sembra sostanzialmente come dire: ti diamo un assegno da incassare come e quando vuoi, da spendere come e quando vuoi ma, alla fine, ricordati che, per quanto ci riguarda, noi abbiamo fatto tutto ciò che potevamo e, quindi, la partita è chiusa. Noi riteniamo che la cultura, la storia e la tradizione delle politiche sociali del nostro paese sia altra cosa. Affermiamo questo pensando, in particolare, ai nostri amici del gruppo dell'UDC i quali, secondo il nostro punto di vista, in questa Assemblea dovrebbero sostenere qualcosa di diverso.
C'è un ulteriore elemento, tuttavia, che si nasconde sotto questo modo di operare, sotto questo cosiddetto «bonus-bebè». Mi pare che, sostanzialmente, tutto sia fatto e tutto sia deciso dal centro.
Ricordo la lettera che, lo scorso anno, il ministro Maroni firmò, inviandola ai sindaci ed ai genitori dei neonati: il Governo si poneva in un rapporto diretto con i soggetti interessati. Noi riteniamo, invece, che, con riferimento alle politiche sociali, il soggetto più vicino alla comunità, alle famiglie ed alle persone sia il municipio, il comune.
Da tale punto di vista - e ci rivolgiamo in particolare agli amici della Lega -, ci chiediamo come sia possibile avere dedicato, in questa Assemblea, tante ore di discussione, di dibattito e di votazioni all'approvazione della cosiddetta devolution e constatare, invece, alla prova dei fatti, un accentramento dei poteri, delle decisioni e delle disponibilità finanziarie. Ci riferiamo non solo al «bonus-bebè» ma anche ai pesanti tagli alle diverse autonomie locali disposti da questa finanziaria.
Il quarto elemento, il quarto «telegramma», riguarda gli ammortizzatori sociali. A mio avviso, colleghi, tutti i dibattiti svolti in questa Assemblea (per la verità, sempre «spezzettati») relativamente alla situazione economica nel paese ed in Europa, alla competizione, all'allargamento dei mercati, alla Cina che emerge, all'India che avanza ed a quant'altro, ci inducono insieme a considerare che la situazione non solo è difficile ma implica, sostanzialmente, una trasformazione di tipo epocale per quanto riguarda il nostro sistema produttivo ed il sistema paese, nonché - potremmo anche aggiungere - per quanto concerne il sistema Europa. Ma, se le difficoltà sono così vaste e profonde da essere definite epocali, possiamo noi, come paese civile, pensare di fare pagare il peso di tali trasformazioni soltanto all'anello debole della catena, ai lavoratori dipendenti, a chi - un'azienda che ha delocalizzato o che attraversa delle difficoltà -, in vista di un'imminente chiusura, comunica la cessazione del rapporto di lavoro? Ebbene, ritengo che gli ammortizzatori sociali rappresentino veramente uno degli elementi che qualificano una società che vuole essere civile; una società che stabilisce che le grandi trasformazioni si affrontano insieme e che i pesi di tali trasformazioni si dividono insieme. Ma a noi, per l'appunto, sembra che gli stanziamenti da voi riservati per gli ammortizzatori sociali nei capitoli di bilancio siano obbiettivamente del tutto insufficienti dinanzi a tale situazione.
Per quanto concerne il tema dello sviluppo, voglio considerare soltanto un elemento: il turismo. I dati del settore rivelano che anche a tale proposito non possiamo «saltellare» e, per così dire, non ce la possiamo raccontare... Le difficoltà intaccano anche la prima azienda, il primo settore...

PRESIDENTE. Onorevole Frigato...

GABRIELE FRIGATO. Concludo, signor Presidente.


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Ebbene, non so quante e quali iniziative si possano intraprendere; so però che in questi anni, per il settore del turismo, il Governo e questa maggioranza hanno fatto poco; questa finanziaria, peraltro, riduce i fondi alla cultura, riduce i fondi ai teatri, mentre tutti abbiamo dichiarato più volte che, se l'Italia ha una carta da giocare nel settore del turismo, è proprio in relazione alla propria storia, al recupero dell'arte, alle tradizioni, alla cucina ed a quant'altro.

PRESIDENTE. Onorevole Frigato, per cortesia...

GABRIELE FRIGATO. Credo - porto un esempio molto banale che vuole, però, essere esemplificativo - che, se si riducono i fondi per la stagione lirica dell'Arena di Verona (lo dico solo a mo' di esempio), ciò sicuramente significa ridurre le potenzialità delle attività turistiche di un'intera zona che è quella del Veneto occidentale.
Ritengo, signor Presidente, che tali brevi considerazioni vadano certamente valutate insieme alle altre; non hanno la pretesa di essere esaustive, ma vogliono esprimere soltanto la speranza che nella notte che ci separa dalla posizione della fiducia domani, il Governo abbia qualche elemento di rinsavimento, particolare e generale (Applausi dei deputati dei gruppi della Margherita, DL-L'Ulivo e dei Democratici di sinistra-L'Ulivo).

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Raffaldini. Ne ha facoltà.
Onorevole Raffaldini, le ricordo che ha 12 minuti di tempo a disposizione: come lei sa, sono «quasi» severo...

FRANCO RAFFALDINI. Signor Presidente, oggi inizia la discussione non solo del quinto disegno di legge finanziaria presentato dall'attuale Governo, ma anche del bilancio dell'attuale legislatura. È possibile, infatti, tracciare un bilancio onesto, poiché le cifre, le tabelle ed i conti ci sono tutti, e si può davvero compiere un'operazione-verità.
Per quanto riguarda il comparto dei trasporti, delle infrastrutture e della logistica, che desidero trattare in modo particolare, vorrei rilevare che il bilancio è pessimo: in questi anni non è stata adottata una politica dei trasporti, né vi è stato un ministro dei trasporti, e comunque guardiamo, constatiamo tale fallimento. Le città ed il trasporto pubblico locale e regionale, infatti, sono ormai diventate un'emergenza continua.
Anziché investire in tale settore, che il Governo stesso riconosce essere prossimo ad un'implosione finanziaria (3 miliardi di euro, indicati nel DPEF), attraverso il disegno di legge finanziaria in esame ne riduce ulteriormente le risorse, bloccando l'estensione delle metropolitane ed il rinnovo del parco autobus, nonché accrescendo il peso fiscale sulle aziende. L'IRAP, ad esempio, era un'imposta che Tremonti voleva sopprimere, ma l'ha introdotta nella legge finanziaria per il 2004, così come ha aumentato sia l'IVA, sia il costo del carburante.
I porti, inoltre, che dal 1996 al 2001 avevano recuperato posizioni e primati in Europa ed avevano anche riportato l'Italia al centro del Mediterraneo, da alcuni anni vengono bloccati nella loro capacità di investimento (che, invece, sarebbe necessaria come l'aria) e nella loro gestione (si sono moltiplicati, infatti, i commissariamenti delle autorità portuali).
È stata altresì bloccata la forza economica che il settore marittimo potrebbe sprigionare, e proprio in un momento in cui si allargano i traffici provenienti dal far east! Vorrei segnalare che, per la prima volta nella storia, tutti gli operatori del settore (dagli armatori ai terminalisti, dagli spedizionieri fino alle organizzazioni dei lavoratori) hanno acquistato mezza pagina de Il Sole 24 Ore per manifestare la loro protesta nei confronti del Governo.
Lo stesso è avvenuto per il trasporto ferroviario: infatti, siamo di fronte ad una schizofrenia incredibile. Vorrei ricordare, a tale riguardo, che entro trentasei mesi entrerà in esercizio la linea ad alta velocità Torino-Napoli (il più grande cantiere aperto in Europa, quasi completamente


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finanziato dal Governo di centrosinistra), che raddoppierà la capacità di tale linea; contemporaneamente, saranno liberate le linee ferroviarie regionali e metropolitane, le quali, a loro volta, raddoppieranno le loro rispettive capacità di trasporto.
Ebbene, tale opera potrebbe cambiare il volto dell'Italia, ma ciò esigerebbe un grande piano di investimenti in treni, materiale rotabile, alta tecnologia e sistemi di sicurezza. Il Governo, tuttavia, non ci ha pensato, e con il disegno di legge finanziaria in esame, invece, toglie altre risorse sia in conto capitale, sia nelle autorizzazioni di spesa, sia in conto esercizio, sia - addirittura - sui passanti ferroviari di Milano e di Torino!
In questo modo, le Ferrovie dello Stato avranno risorse fino al luglio 2006, ma poi i cantieri saranno bloccati, e saranno interrotti i pagamenti anche per i lavori già effettuati. Anche la situazione dell'ANAS è analoga.
Questi dati sono gli ultimi di un quinquennio. Se consideriamo il trend dell'ultimo decennio, possiamo verificare come, dal 1996 al 2001 (vale a dire, durante i Governi del centrosinistra), le risorse destinate agli investimenti siano cresciute del 12 per cento l'anno, mentre dal 2002 al 2005 il trend risulta esattamente invertito.
Rispetto alla «lavagna» delle opere presentata da Berlusconi nello studio televisivo di Bruno Vespa, con la firma del contratto con gli italiani, la situazione a fine legislatura è la seguente. L'elenco delle opere strategiche è arrivato, all'aprile del 2005 - è il Servizio studi della Camera a sostenerlo -, al numero di 235, per un fabbisogno finanziario di 264 miliardi di euro. Il CIPE, sempre nell'aprile dello stesso anno, ha deliberato 86 opere, che avrebbero bisogno di 53 miliardi di euro; le risorse esistenti, invece, sono 21 miliardi di euro, di cui solo 10 miliardi messi a disposizione dallo Stato.
Mancano, comunque, solo per le 86 opere citate, 32 miliardi. Rispetto ai 235 miliardi di fabbisogno per le opere disegnate sulla «lavagna», il Governo ha stanziato 10 miliardi. Se consideriamo lo stato di attuazione, i lavori conclusi sono l'1 per cento. Questo è il quadro! Queste sono le cifre di verità! Se queste sono le scelte e se i numeri della finanziaria saranno mantenuti, il problema diventa serio, perché non solo siamo di fronte ad un'enorme distanza tra ciò che è stato promesso e la realtà, tra le parole ed i fatti, ma vi è qualcosa di più profondo, ossia la politica dei trasporti è abbandonata dal centrodestra. Si trovano nuove parole d'ordine - la casa per tutti, la famiglia ed altro - mentre, in realtà, si abbandona il problema delle infrastrutture.
Ormai, quindi, questo è il bilancio. Ma per il Governo dire e disdire, fare e disfare, il fronte ed il retro sono la stessa cosa. Ma quando le parole sono usate per lungo tempo a sproposito si possono degradare e, con esse, si possono degradare anche le cose. Così le parole si stancano, si ritraggono, via via si rifugiano nel silenzio ed attendono un tempo nuovo in cui potranno essere usate per bene, di nuovo per suscitare passioni, per spingere alla verità, per cambiare la realtà. Noi useremo per bene quelle parole, che sono competitività, sviluppo, crescita e occupazione, sud, famiglie, giovani, fisco. Parleremo con onestà ai cittadini. Indicheremo una prospettiva credibile, così che le forze migliori possano indossare gli «stivali delle sette leghe» che permettano il passo da alpino, sicuro e continuo, ed il passo lungo, come è lunga l'Italia, come sono lunghi l'Europa ed il mondo, come è lungo il futuro che ci corre incontro.
Il Governo ha smarrito i punti cardinali del piano generale dei trasporti e della logistica, che erano l'Europa, il Mediterraneo, i nodi - ossia le città, i porti, e gli aeroporti -, l'intermodalità - ossia il riequilibrio modale -, la logistica, la sostenibilità ambientale, la politica industriale ed il lavoro. Siamo, quindi, alla fine di un quinquennio e di una legislatura, di fronte ad un Governo che ormai ha perso le parole ed è senza bussola (Applausi dei deputati dei gruppi dei Democratici di sinistra-L'Ulivo e della Margherita, DL-L'Ulivo)!


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PRESIDENTE. È iscritta a parlare l'onorevole Abbondanzieri, alla quale ricordo che ha a disposizione undici minuti per il suo intervento.
Prego, onorevole Abbondanzieri, ha facoltà di parlare.

MARISA ABBONDANZIERI. Signor Presidente, la manovra finanziaria per il 2006 predisposta dal Governo ha un carattere recessivo e non fornisce risposte ai problemi più urgenti del paese, dal rischio del declino economico alla distribuzione sperequata del reddito, dalla riduzione del potere d'acquisto dei ceti popolari alla precarizzazione dei rapporti di lavoro, dall'ulteriore marginalizzazione delle aree svantaggiate del paese alle necessità di modernizzazione dello Stato sociale.
Sul piano economico, il risultato dell'azione di Governo a fine legislatura si caratterizza per i risultati ampiamente negativi e la dimostrazione di tale fallimento è evidenziata dalla circostanza che il prodotto interno lordo del paese ha una crescita prossima allo zero, l'indebitamento netto viaggia, secondo le ultime stime, al di sopra del 5 per cento, l'avanzo primario si è quasi azzerato, il debito pubblico è tornato a crescere, fino a raggiungere la cifra del 108,2 per cento, e l'evasione fiscale, come affermano oggi i giornali, tende ad un aumento pari al 13,5 per cento. Non so cosa ne pensi il ministro Tremonti. Mi piacerebbe saperlo e vorrei capire se davvero egli si ritenga indifferente rispetto a tali dati.
Il nostro paese è «sorvegliato speciale» in Europa, per la mancata tenuta dei conti pubblici, e la procedura comunitaria di infrazione per il disavanzo eccessivo ha comportato il varo di una manovra finanziaria correttiva per il 2006 per un ammontare superiore a 23 miliardi di euro, di cui la parte più rilevante, pari a 16 miliardi, è destinata alla riduzione dell'indebitamento al 3,8 per cento.
Sul piano istituzionale si tende a svuotare il ruolo del Parlamento in merito all'analisi e all'approvazione della manovra finanziaria, rendendo sempre più ampia la discrezionalità del Governo nel presentare le proprie proposte. La manovra di 23,5 miliardi di euro è costituita da interventi di riduzione della spesa per la pubblica amministrazione e gli enti locali, da nuove entrate una tantum, da interventi vari di manutenzione del gettito, ed è poco credibile, tale da non consentire sicuramente il raggiungimento degli obiettivi per l'anno 2006 di contenimento del deficit entro la soglia del 3,8 per cento.
La manovra non rilancia l'economia, in quanto colpisce a pioggia le imprese e i lavoratori autonomi, in particolare quelli del Mezzogiorno, in un momento economico difficile. L'applicazione di nuove misure restrittive alla spesa dell'amministrazione, in particolare degli enti locali, oltre a limitare fortemente la capacità di gestione amministrativa di spesa e di investimento, rovescerà sui cittadini, inevitabilmente, l'aumento dei costi e delle tariffe dei servizi, nonché delle imposte locali.
Si insiste nel dire che con questa manovra il Governo non mette le mani nelle tasche dei cittadini: ci penseranno le aziende a scaricare sui cittadini le maggiori imposte; con ogni probabilità le banche, le assicurazioni, l'ENEL si cimenteranno in questa opera. I tagli allo Stato sociale derivanti dalla riduzione della spesa prevista dal disegno di legge finanziaria per il 2006 annullano e, anzi, superano gli stanziamenti del fondo per la famiglia. Il saldo complessivo per le famiglie sarà di 345 milioni di euro in negativo. I tagli del disegno di legge finanziaria alla spesa sociale dei comuni si tradurranno in un taglio di 544 euro l'anno per ogni famiglia povera, pari a 45 euro al mese. Pensate voi se, da questo punto di vista, si può dire che non accade niente!
Per quanto concerne le materie della Commissione ambiente e territorio, lo stato di previsione del Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio fa registrare, per il quinto anno consecutivo, una fortissima riduzione delle previsioni di spesa, confermando in tal modo la tendenza del Governo a considerare le politiche ambientali come un vincolo o un ostacolo allo sviluppo del paese. Dall'analisi comparata per gli anni 2005-2006,


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infatti, abbiamo una riduzione in termini percentuali pari a quasi il 20 per cento, operata, tra l'altro, prevalentemente sulla parte in conto capitale. Anche in questa occasione, inoltre, le scarsissime risorse destinate al Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio sono assegnate ai diversi centri di responsabilità con modalità a dir poco singolari: la maggior parte, infatti, viene inscritta in dotazione al gabinetto e agli uffici di diretta collaborazione del Ministro. In linea di continuità con i cinque anni passati, anche quest'anno, dunque, le politiche ambientali risultano marginali rispetto alla manovra, facendo rilevare le maggiori riduzioni di spesa in tutti i comparti cardine dell'azione statale in materia di salvaguardia dell'ambiente.
In questo quadro, è ancora più eclatante il disinteresse del Governo verso il rispetto degli impegni assunti a livello internazionale, tra i quali quelli relativi al protocollo di Kyoto. L'Italia arriva con dati molto deludenti a questo appuntamento, e sulla base delle disposizioni del disegno di legge finanziaria si vorrebbe pensare di attuare le disposizioni relative alla legge di ratifica del protocollo di Kyoto soltanto impegnando 100 milioni di euro.
Per quanto riguarda la parte relativa alle infrastrutture, la situazione è ancora preoccupante. L'allegato al DPEF 2006-2008 prevedeva un fabbisogno di 8 miliardi di euro per il triennio, il minimo indispensabile per proseguire il programma della legge obiettivo. Il collega Raffaldini ha ricordato bene l'elenco delle opere, le risorse complessivamente disponibili e quelle che sarebbero necessarie. Noi registriamo che, al comma 62 del disegno di legge finanziaria per il 2006, tra l'altro, la Commissione bilancio ha ridotto il già esiguo contributo di 200 milioni di euro per 15 anni, a decorrere dal 2007, a 197 milioni di euro, prevedendo di fatto risorse pari a 2,2 miliardi di euro.
Non capiamo davvero se il ministro Lunardi «c'è o ci fa», ovvero non sappiamo se fa finta di non vedere o se gli conviene non farlo, come ha fatto in tante altre occasioni, dimostrando la stessa superficialità che ha dimostrato anche in questi ultimi giorni sia sulla vicenda della TAV, sia su quella della neve nell'Italia del nord-ovest.
L'esiguità delle risorse disponibili e lo scarto enorme con il fabbisogno per realizzare il programma sanciscono il sostanziale fallimento degli impegni assunti per le infrastrutture, che il Governo aveva annunciato con tanta enfasi.
Una drastica riduzione delle disponibilità finanziarie riguarderà anche l'ANAS, tanto che il comma 21 prevede un taglio dei pagamenti molto considerevole, che già abbiamo avuto modo di considerare in occasione della discussione sul decreto-legge approvato pochi giorni fa.
A fronte di una richiesta di 2,2 miliardi, vengono previsti soltanto 400 milioni di euro. La limitazione nei pagamenti prevista per l'ANAS, connessa alla riforma della stessa società prevista nel disegno di legge collegato alla manovra finanziaria 2006, rischia di creare una difficile situazione finanziaria, con la conseguente chiusura di diversi cantieri aperti e con gravi ripercussioni sulle ditte appaltatrici. Sappiano gli italiani che si è avviata la politica della messa a sistema delle tariffe anche sulle superstrade.
La previsione sul contenimento generale della spesa delle regioni e degli enti locali, oltre a limitare fortemente la capacità di gestione amministrativa di spesa e di investimento degli enti stessi, avrà come effetto immediato una riduzione del livello degli investimenti nel 2006 in opere di ammodernamento ed adeguamento infrastrutturale, con il conseguente rischio del blocco dei lavori in corso d'opera.
Non sono previste norme che rendano permanenti e strutturali le agevolazioni fiscali per le ristrutturazioni edilizie; anzi, la modifica delle disposizioni in favore delle ristrutturazioni edilizie, prevista dal comma 81, portando la detrazione dal 36 al 41 per cento e raddoppiando l'aliquota IVA sui lavori e sui materiali dal 10 al 20 per cento, rischia di ridurre fortemente la convenienza degli utenti a usufruire della detrazione.


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Le risorse assegnate al fondo per l'accesso alle locazioni abitative risultano inadeguate a soddisfare le richieste delle famiglie a più basso reddito. In Commissione avete inserito l'articolo riguardante la legge obiettivo sulle città: potremmo dire che non va male, ma dovremmo ricordare comunque che avete di nuovo attinto alle risorse della legge n. 443, la legge obiettivo.
Che dice il ministro Lunardi a questo proposito? Anche questa volta farà finta di non essersene accorto? Tra l'altro, c'è anche il problema relativo al coordinamento con le leggi esistenti, rispetto ai programmi integrati e di recupero urbano previsti dalla legge n. 179 del 1993 e ai piani di recupero previsti dalla legge n. 457 del 1978.
Sarebbe necessario prevedere finalmente, dopo tanti annunci e promesse roboanti, un forte aumento degli investimenti per le opere pubbliche. Sarebbe necessario assicurare adeguate risorse per le opere ordinarie, per la riqualificazione delle reti idriche, per la difesa del suolo e per il risanamento idrogeologico, opere che tanta rilevanza hanno per la salvaguardia del territorio e sono spesso molto attese dalle comunità locali.
Il finanziamento di questa essenziale e vitale tipologia di infrastrutture, infatti, non può essere sacrificato alle cosiddette grandi opere, le quali vanno identificate nel novero ristretto delle opere di autentico valore strategico nazionale.
Un altro aspetto che desidero sottolineare è quello relativo alla protezione civile. La manovra finanziaria per il 2006 assegna alla protezione civile 26 milioni di euro e ne taglia 40 rispetto al 2005. Per erogare contributi quindicennali, i fondi sono insufficienti. Registriamo la scelta positiva compiuta per Marche, Umbria e Molise...

PRESIDENTE. Onorevole Abbondanzieri...

MARISA ABBONDANZIERI. Infine, la Commissione bilancio - mi scusi, signor Presidente - consegna all'aula il cosiddetto articolo in materia di alienazioni degli immobili IACP. Noi lo consideriamo uno spot elettorale sulla casa, ma non per questo lo sottovalutiamo. Per anni avete detto che il problema non esisteva; finalmente ve ne siete accorti. Meglio tardi che mai!
Però, l'articolato che avete previsto è inutile. È un «articolato manifesto», che vi serve soltanto per utilizzarlo sui manifesti sei per tre, perché la possibilità di alienare gli immobili da parte dello IACP è già regolamentato dalla legge n. 560 del 1993 e vi limitereste, perciò, a fare una riunione con le regioni in cui concordare il numero di alloggi che devono essere alienati. Per fare ciò, non vi era bisogno di uno spot elettorale ma andava aumentato il fondo per il sostegno all'affitto, che avete tagliato in maniera decisamente considerevole in questi anni (Applausi dei deputati dei gruppi dei Democratici di sinistra-L'Ulivo e della Margherita, DL-L'Ulivo).

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Nicodemo Nazzareno Oliverio, al quale ricordo che ha a disposizione nove minuti. Ne ha facoltà.

NICODEMO NAZZARENO OLIVERIO. Grazie, signor Presidente. Onorevoli colleghi, è stato detto molto ed anche scritto sul disegno di legge finanziaria al nostro esame da attenti analisti e commentatori, oltre che da parte di autorevoli colleghi, ma lasciare passare il provvedimento senza intervenire per evidenziarne le manchevolezze sarebbe, signori del Governo, darvi troppa soddisfazione.
Tutti gli interventi sulla spesa sono di natura strettamente finanziaria e non prevedono aspetti strutturali. Le questioni oggi non affrontate si ripresenteranno, pertanto, nel prossimo futuro e con gli interessi. Ma andiamo per gradi.
Ecco alcuni interventi sulla spesa e sulle pubbliche amministrazioni: si conferma la stretta sui consumi intermedi e discrezionali dei ministeri, si tagliano le spese di rappresentanza e le consulenze esterne, comprese quelle relative ai contratti a tempo determinato ed ai co. co. co.;


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tale spesa viene ridotta nel limite del 60 per cento di quella sostenuta nel 2003. Si tratta di quei lavoratori in larga parte giovani che le amministrazioni pubbliche hanno impiegato per sfuggire al blocco delle assunzioni e per garantire l'operatività di una serie di servizi essenziali che, altrimenti, non si sarebbero potuti erogare. Questo provvedimento mette a rischio il lavoro di oltre 100 mila persone.
Per quanto riguarda i contratti del pubblico impiego, quanto si sta proponendo è di estrema gravità, quasi una provocazione. Tre milioni di lavoratori restano in attesa di aggiornare il contratto, diminuiscono le risorse destinate alla contrattazione integrativa e si interviene anche sulle indennità di vacanza contrattuale. Si deve tenere presente che, per la scuola, gli statali in genere ed i vigili del fuoco - un milione di persone - si era raggiunta un'intesa tra Governo e parti sociali. Per questi contratti, che andranno in scadenza il 31 dicembre, tutto l'iter negoziale è stato espletato e manca solo l'approvazione del Consiglio dei ministri. Ora, il Governo propone che siano considerati tecnicamente sottoscritti entro la fine dell'anno ma senza erogazione di aumenti. Per tutti gli altri, e in particolare per il comparto della sanità e degli enti locali, si andrebbe all'anno prossimo. Siamo al dispregio di tutte le regole e intese!
Il patto di stabilità interno viene modificato. Nel 2006 le spese correnti dovranno diminuire rispetto al 2004 del 3,8 per cento per le regioni e del 6,7 per cento per le province ed i comuni. Si tagliano fondi per circa 2 miliardi alle comunità montane. Oltre che un problema di sopportabilità della riduzione delle risorse vi è una questione di legittimità posta dalla Corte costituzionale, che ha considerato il decreto «taglia tasse» un'inammissibile ingerenza nell'autonomia degli enti. Si riducono drasticamente le risorse per Anas, ferrovie e Poste. L'università subisce una penalizzazione di 400 milioni di euro, nonostante la spesa relativa sia in Italia nettamente inferiore a quella degli altri paesi europei.
Sulle politiche economiche si conferma il taglio di un punto percentuale, 2 miliardi di euro, delle aliquote contributive alla spesa, a fronte di un aggravio fiscale dovuto al prolungamento da dieci a vent'anni del periodo a disposizione delle imprese per operare l'ammortamento dell'avviamento iscritto a bilancio.
Si tagliano 560 milioni di euro al fondo rotativo per la promozione imprenditoriale nelle aree depresse. Non si prevedono gli stanziamenti necessari per attivare i cofinanziamenti dell'Unione europea, rischiando di perdere 46 miliardi di euro nel prossimo biennio. Si rilancia la «fantomatica» Banca del sud che verrà avviata dallo Stato e poi gestita da soggetti privati. Si stanziano solo 480 milioni, importo insufficiente, per la proroga degli ammortizzatori sociali al 2006, che dovrebbero riguardare anche le aziende del settore agroalimentare colpite dalla crisi aviaria.
Sulle politiche sociali, a fronte delle tante proclamate promesse di sostanziosi e più adeguati sostegni a favore delle famiglie, trova conferma la scelta di interventi molto parziali, a tempo, non strutturali e propagandistici. La logica sembra essere quella di privilegiare pochi soldi subito, prima delle elezioni, e poi Dio ci pensa...!
Le misure indicate configurano più uno spreco di risorse che interventi veramente utili; questi, peraltro, sembrano essere meno utili delle misure che già avevamo avuto modo di criticare nel passato. Il bonus per i neonati (mille euro una tantum), essendo limitato ai nati nel 2005, non favorisce la natalità. A poco serviranno sia il contributo una tantum di 160 euro per ogni bambino nato nel corso degli ultimi tre anni, sia il bonus, per un massimo di 120 euro, utilizzabile sotto forma di detrazione d'imposta come parzialissimo rimborso dell'eventuale pagamento di rette per la frequenza degli asili nido, anche perché l'asilo nido costa dai 500 agli 800 euro mensili.
L'impostazione di tali misure denuncia ancora una volta la forte incapacità di affrontare il tema delle politiche familiari e di contrastare il declino demografico, che pesa sul futuro del nostro paese. Il


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declino demografico non solo comporterà tensione sul nostro sistema di welfare, in particolare sulla previdenza, ma richiederà soprattutto capacità di impegno e notevoli risorse in diversi ambiti, come quelli definiti dal binomio immigrazione-invecchiamento, dalle politiche familiari e dall'assistenza domiciliare alle persone anziane. In pratica, siamo obbligati a ridisegnare il nostro modello di welfare e ad impostare una reale politica per la famiglia.
Per ciò che concerne il tema della casa, al di là della propaganda del Presidente del Consiglio Berlusconi con lo slogan «una casa per tutti» - magari! -, le agevolazioni per le giovani coppie al fine di ridurre il peso degli affitti (100 milioni di euro) e il fondo per gli affitti degli studenti universitari fuorisede (25 milioni di euro) appaiono come provvedimenti estremamente limitati rispetto alle reali necessità, come anche il sindacato ha più volte sottolineato.
Per quanto riguarda la sanità e l'assistenza, rispetto alle preoccupazioni già espresse in ordine alla prima stesura della legge di bilancio, che ancora sussistono, occorre precisare che il tetto massimo di rimborsabilità e di compensabilità per la mobilità sanitaria interregionale, se non disciplinato correttamente da un accordo tra le regioni, potrebbe far saltare la libera scelta da parte del cittadino, penalizzando in particolare i meridionali.
Insomma, onorevoli colleghi, non avevamo sbagliato quando affermavamo che la finanziaria non avrebbe affrontato i problemi veri del paese. Eravamo e siamo consapevoli che da questo Governo non ci potevamo attendere grandi progetti. Le priorità indicate dai partiti dell'Unione sono state e sono di chiarezza estrema: Mezzogiorno, fiscalità di vantaggio, infrastrutture, politiche industriali con i provvedimenti per fronteggiare le crisi, incremento delle risorse per la cassa integrazione, tutela dei redditi da lavoro e da pensione, interventi di governance su prezzi e tariffe, restituzione del fiscal drag, interventi sull'emergenza sociale e sanitaria. Non ultimo, avevamo proposto l'emendamento Fioroni, Bindi, Turco in materia di natalità.
Su questi temi non ci sono state date risposte adeguate. Avete elaborato e presentato una finanziaria che risulta in molti aspetti peggiore di quella che era stata illustrata alle parti sociali agli inizi del mese di settembre. Ora ci troviamo di fronte ad una legge approvata dal Senato che non prevede fiscalità di vantaggio per il sud o infrastrutture per le aree più povere del paese, né stanziamenti per attivare i cofinanziamenti dell'Unione europea. Ci sono tagli alla sanità, agli enti locali, alle ferrovie, all'ANAS, alle Poste, alla cultura e allo spettacolo. Si mantiene il dimezzamento del fondo sociale destinato alle politiche per la famiglia, agli anziani, ai disabili, alla politica per l'immigrazione e alla lotta contro le dipendenze.
Manca qualunque tipo di risposta al sud del paese. Non solo mancano gli investimenti per le infrastrutture, in particolare per quelle viarie e legate al settore dei trasporti - penso alla strada statale 106 Jonica e all'autostrada A3 -, che restano in fondo alle priorità di un Governo, affascinato solo dal miraggio del ponte sullo stretto di Messina, ma la cosa gravissima è che i tagli all'ANAS, agli enti locali e al settore della forestazione colpiscono al cuore il sistema Mezzogiorno. Senza strade efficienti e senza capacità di azione positiva degli enti locali, lasciando nel dramma migliaia di famiglie e indebolendo la formazione, si toglie al sud tutto quello che esso richiede, non solo il sud popolare, ma anche quello degli imprenditori, quello a cui teoricamente un Governo conservatore avrebbe dovuto dare ascolto.
Il nuovo Governo dell'Unione si muoverà con una reale discontinuità, volta, in primo luogo, a mantenere in campo i valori ed i riferimenti alla giustizia sociale ed alla solidarietà.
La realtà dei fatti, la concretezza, la lungimiranza, il tratto chiaramente riformistico delle proposte del centrosinistra e della Margherita sono già oggi la cifra di


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un impegno forte per cambiare l'Italia in meglio, restituendo speranza a chi l'ha persa, futuro a chi chiede futuro, lavoro a chi vuole lavorare, per assicurare ai figli, soprattutto, ai figli del nostro sud e della mia Calabria un domani migliore (Applausi dei deputati dei gruppi della Margherita, DL-L'Ulivo e dei Democratici di sinistra-L'Ulivo)!

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Marinello. Ne ha facoltà.

GIUSEPPE FRANCESCO MARIA MARINELLO. Signor Presidente, cari colleghi, abbiamo ascoltato con attenzione gli interventi che si sono succeduti, così come siamo stati particolarmente attenti e presenti durante l'esame del disegno di legge finanziaria in Commissione bilancio.
È indubbio che il disegno di legge finanziaria in esame presenta una serie di aspetti positivi, ma non è assolutamente possibile definire e comprendere gli stessi se non si sottolinea la cornice del quadro macroeconomico che caratterizza oggi il sistema Italia, nel contesto di un'economia globale che tiene conto di quanto è accaduto e sta accadendo in Europa e nel resto del mondo.
Sappiamo tutti, tra l'altro, che l'ultimo anno è stato caratterizzato da una pesante crisi petrolifera: si è registrato un aumento enorme del costo del petrolio e delle fonti energetiche in un paese come il nostro basato esclusivamente o prevalentemente su un'economia di trasformazione, su enormi importazioni di energia dovute non solo alla crisi del petrolio, ma anche al fatto che le politiche e le scelte effettuate nel passato hanno ghettizzato eventuali misure importanti come, ad esempio, quella del nucleare. Tutto ciò si è tradotto in un aggravio enorme dello sviluppo del sistema economico del paese Italia in genere.
Il fatto di sottacere e di ignorare tali aspetti incide sulla possibilità di avere un quadro obiettivo della situazione, non consentendo assolutamente né in questa sede né all'esterno, quindi ai cittadini, di avere uno spaccato reale della situazione del nostro paese.
Sappiamo tutti che il nostro è un debito pubblico fra i più alti del mondo (non lo abbiamo inventato noi) che grava sul sistema Italia da diversi decenni e che, tra l'altro, anche i Governi che ci hanno preceduto non hanno assolutamente risolto (su tale problematica non hanno voluto o potuto incidere in maniera sostanziale).
Oggi vorrei puntualizzare alcuni aspetti, a mio avviso estremamente positivi, che caratterizzano il disegno di legge finanziaria così come si sta sviluppando dopo il lavoro che si è svolto in Commissione e come si svilupperà nelle prossime ore (si procederà alla definizione del maxiemendamento che tutti auspichiamo nel più breve tempo possibile). Mi riferisco, in particolare, a tutto ciò che riguarda il sistema produttivo agroalimentare italiano e ad un altro sistema, importante e strategico, che è quello del settore ittico. Vorrei concentrare il mio intervento specialmente su questi due aspetti.
In primo luogo, vorrei affrontare il sistema delle imprese ittiche proprie di un settore, di grande tradizione ed importanza, che è diffuso su tutto il territorio nazionale.
Vorrei subito sottolineare positivamente l'azione svolta dal nostro Governo nel suo complesso, ma anche dal sottosegretario delegato nel corso di questa intera legislatura, soprattutto quest'anno; si tratta di una politica mirata a valorizzare la peculiarità della pesca mediterranea ed a curare una serie di aspetti che vedono molto spesso il nostro paese soccombere di fronte ad alcune strategie adottate a livello di Unione europea, che sono, molto spesso, dissonanti rispetto alle nostre esigenze.
Proprio questo settore è stato falcidiato dalla crisi energetica e petrolifera. Tra l'altro, si tratta di un settore il cui costo di produzione è gravato per circa il 45-50 per cento dal costo del petrolio. Il Governo è riuscito a far fronte a tale situazione non soltanto con l'introduzione in Italia e in Europa del sistema de minimis, ma soprattutto attraverso iniziative importanti.
Tra l'altro, i parlamentari della maggioranza sono stati particolarmente attenti


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al riguardo, proponendo in questa finanziaria una serie proposte emendative assai rilevanti. A tal proposito, devo dare atto al relatore e al Governo di aver fornito risposte positive; mi riferisco in particolare a quell'emendamento recepito nel testo della Commissione che, per quanto riguarda l'intero settore ittico, consente per il 2006 di parametrare il sistema del comparto ittico con quanto già avviene in quello agricolo. Si tratta di un segnale importante che viene introdotto per un anno in via sperimentale, in quanto con esso siamo convinti di fornire un importante aiuto agli imprenditori ittici, favorendo in tal modo anche l'emersione del lavoro nero.
Per quanto concerne il sistema agroalimentare, occorre evidenziare che nel testo oggi al nostro esame sono contenute diverse iniziative positive. Mi riferisco in particolare ad una serie di norme che riguardano i biocarburanti e i biocombustibili, l'UNIRE e a quelle che prevedono un aumento sensibile, di circa il 70-80 per cento, del Fondo di solidarietà nazionale, nonché ad una serie di provvedimenti che riguardano in particolare lo sviluppo della cultura enogastronomica nel nostro paese e che vogliono rappresentare momenti importanti di promozione del made in Italy.
Inoltre, non può essere sottaciuta la grande attenzione che il Governo e la maggioranza stanno dimostrando nel fornire una risposta positiva ad una questione che da diverso tempo opprime l'agricoltura italiana, in particolare quella meridionale, vale a dire il sistema della previdenza agricola, assai trascurato in passato. Mi riferisco alle cessioni al sistema bancario, anche estero, contenute nella legge 23 dicembre 1998, n. 448, approvata durante il Governo D'Alema.
In ordine al problema del condono in agricoltura, abbiamo presentato proposte serie che hanno trovato una particolare sensibilità da parte del Governo e che oggi sono oggetto di un confronto costruttivo e, mi auguro, risolutivo. Sono convinto che tali norme saranno recepite nel maxiemendamento, fornendo il senso del nostro impegno e della nostra fattività in un settore così delicato. Centinaia di migliaia di imprese agricole riusciranno finalmente a ricevere una risposta positiva!
Nella nostra proposta pensiamo non semplicemente ad un maxicondono, ripercorrendo strade proprie del passato, ma soprattutto a porre nuove basi con riferimento al sistema della previdenza agricola. Ciò in quanto siamo convinti che l'agricoltura sia un settore strategico del nostro paese, un settore che oggi si trova in gravi difficoltà proprio perché caratterizzato da un enorme costo del lavoro e di produzione. Dunque, proprio sul costo del lavoro intendiamo incidere positivamente, cercando di regolamentare e moralizzare il costo della previdenza in agricoltura.
Signor Presidente, onorevoli colleghi, si tratta di proposte concrete, che, al di là della demagogia e della propaganda dei nostri avversari, rappresentano un serio terreno di confronto. Su tali proposte vogliamo discutere e confrontarci. Siamo anche disponibili ad avviare momenti sereni di confronto con i nostri oppositori e con la nostra controparte politica, ma da quello che abbiamo ascoltato in aula e dalle polemiche che in questi giorni leggiamo sui giornali vediamo che c'è ben poca traccia di tale positività e che c'è invece voglia di demagogia e voglia di propaganda elettorale.
Questo è un paese che non ha bisogno di propaganda elettorale; questo è un paese che non ha bisogno di demagogia, ma che ha bisogno di spirito costruttivo, e un appello in tal senso ci viene dallo scranno più alto della Repubblica italiana e dagli inviti che il Presidente della Repubblica ripetutamente rivolge alla classe politica e alla classe dirigente.
Evidentemente, però, signor Presidente, tutto ciò ha poco senso per i nostri avversari e per i nostri oppositori, che sono più interessati a cercare di raccogliere demagogicamente qualche voto in più. Ma per noi questo è poco importante, e il nostro senso di responsabilità, la nostra moderazione, la nostra sensibilità nei confronti dei reali problemi del paese, il nostro senso del dovere - per usare


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un'espressione forse poco attuale, ma che sentiamo ancora viva su di noi - ci costringono - ma non con la forza, bensì con l'entusiasmo - a continuare su questa strada. Siamo convinti in tal modo di fare l'interesse del paese e, soprattutto, siamo convinti che gli italiani capiranno alla fine il senso del nostro lavoro (Applausi dei deputati dei gruppi di Forza Italia e dell'Unione dei democratici cristiani e dei democratici di centro).

PRESIDENTE. È iscritta a parlare l'onorevole Castellani. Ne ha facoltà.

CARLA CASTELLANI. Signor Presidente, signor sottosegretario, onorevoli colleghe e colleghi, l'analisi della manovra economica prevista dal disegno di legge finanziaria per il triennio 2006-2008 deve necessariamente essere inquadrata nel contesto europeo, il solo che può rendere comprensibile il recente andamento dell'economia dei paesi europei e quindi anche dell'economia italiana. Credo non sfugga a nessuno che cinque dei sei più grandi paesi industrializzati d'Europa hanno superato il tetto del 3 per cento previsto dai parametri di Maastricht, e che paesi, come la Germania e la Francia, considerati da sempre il motore economico dell'Unione europea, hanno superato tra i primi, e già da qualche anno, tale parametro. Ciò dimostra che anche il recente dato italiano, che rende necessariamente la manovra in esame una manovra rigorosa e responsabile, non rappresenta certo un'eccezione, ma una conseguenza, forse ineludibile, della crisi strutturale dell'economia europea, vista nel contesto internazionale.
I paesi europei, infatti, sono stretti da una condizione di oggettiva difficoltà, per le regole assai rigorose che si sono dati con il patto di stabilità, che precludono la possibilità di sostenere una ripresa basata sull'aumento della domanda, ma anche per la difficoltà che comporta l'aggiornamento, peraltro inevitabile, dei propri assetti organizzativi. Tale aggiornamento implica necessariamente una rivisitazione dei modelli di welfare State, nonché una deregolamentazione e una sburocratizzazione dei sistemi paese. Si tratta di processi suscettibili di determinare conseguenze sul piano sociale, se non accompagnati da nuovi, più efficienti e meno costosi modelli organizzativi, in grado di contemperare la coesione sociale con la crescita e lo sviluppo.
È evidente che in questa strategia di cambiamento, che richiede tempo, si annidano le vere difficoltà che accomunano i maggiori paesi europei. Ma è altrettanto vero che è nella graduale attuazione di questa strategia che si basa la vera sfida di un'Europa moderna ed in grado di stare al passo con la competizione internazionale in un'economia globalizzata. È in questo quadro che va letta anche la bassa crescita italiana, che negli anni scorsi e fino al primo semestre del 2005 ha continuato a segnare tassi di sviluppo inferiori a quelli delle aree più dinamiche, sia europee sia extraeuropee.
Si tratta di una bassa crescita che è stata influenzata non tanto e non solo dalle conseguenze degli attentati dell'11 settembre, quanto e soprattutto dai contraccolpi che sul nostro sistema economico hanno determinato l'adozione dell'euro e la concorrenza aggressiva, soprattutto nel settore manifatturiero, di alcuni paesi asiatici, come la Cina, che hanno occupato ampi spazi di mercato non solo con i loro prodotti di importazione, ma anche producendo direttamente nel nostro paese, con regole e costi di produzione incompatibili con le norme e la legislazione che le nostre industrie sono tenute a rispettare.
Lo stesso ingresso nell'euro, pur se è stato un fattore positivo anche per il consolidamento del nostro debito pubblico, ha prodotto, però, ricadute negative sul sistema produttivo nazionale per il troppo repentino passaggio dalle periodiche svalutazioni competitive della lira ad una moneta sopravvalutata.
Inoltre, il change over della moneta, che non è stato neutrale in nessun paese europeo - il che può parzialmente spiegare i recenti risultati dei referendum sulla ratifica della Costituzione europea -,


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nel nostro paese ha avuto un effetto ancor più impattante, anche perché i cittadini italiani non erano abituati all'uso delle monete e, quindi, al valore effettivo di una moneta non cartacea.
Queste riflessioni si rendono necessarie anche per comprendere meglio come il Governo di centrodestra abbia cercato di operare nel paese ed in Europa in questi anni al fine di gettare le basi per un cambiamento culturale prima ancora che strutturale ed accompagnare così la ripresa dell'economia ed il rilancio di una competitività reale.
Riforme strutturali, come quelle del mercato del lavoro, della scuola, del sistema previdenziale, delle infrastrutture, e le stesse riforme istituzionali rappresentano svolte epocali per un percorso di modernizzazione del paese; riforme che nessun governo prima di questo era riuscito a realizzare negli ultimi 15 anni e con un'opposizione pregiudiziale in Parlamento e fuori del Parlamento da parte di un centrosinistra scarsamente responsabile che ha preferito perseguire in questi anni la politica del «tanto peggio tanto meglio», alimentando lo scontro sociale nel paese, pur sapendo che, se molte di queste riforme strutturali fossero state perseguite e realizzate già nella precedente legislatura, avrebbero permesso al nostro paese di competere al meglio sui mercati internazionali.
In questo momento particolarmente delicato per la finanza pubblica si incardina la legge finanziaria per il 2006, l'ultima di questa legislatura, definita da attenti analisti economici una finanziaria rigorosa e responsabile che si connota dal punto di vista politico con la volontà del Governo di razionalizzare in maniera strutturale la spesa pubblica, di ridurre il costo del lavoro, di prestare attenzione alle politiche di sostegno alla famiglia anche attraverso l'istituzione di un apposito fondo, di incrementare ulteriormente le risorse destinate al Servizio sanitario nazionale per servizi, personale, innovazione e ricerca, individuando, tra l'altro, parametri più stringenti da concordare con le regioni, al fine di monitorare sempre meglio la spesa sanitaria e migliorare i servizi.
Una finanziaria, quindi, non elettoralistica, onorevoli colleghi del centrosinistra, come la vostra del 2000, che non vi ha impedito, comunque, di perdere, ma che intende dare al paese, nell'ambito delle risorse disponibili, risposte più utili alla crescita. Una legge finanziaria che, nel corso dell'esame sia nelle Commissioni di merito che in Commissione bilancio, ha visto l'approvazione di diverse proposte emendative, alcune anche dell'opposizione. Al riguardo, mi dispiace che l'onorevole Bindi non sia presente in aula, perché prima ha accusato di insensibilità la maggioranza ed il Governo per non aver approvato una proposta emendativa da lei sottoscritta insieme all'onorevole Turco riguardante la tutela della maternità. Sono stata presente ai lavori della Commissione bilancio tutti e tre i giorni, ma non ho visto l'onorevole Bindi in Commissione a difendere appassionatamente, come solo lei sa fare, questa proposta emendativa; a meno che non si trattasse di una proposta emendativa di bandiera o di propaganda, come sosteneva precedentemente anche il collega Marinello, legittima, per carità, visto che siamo in campagna elettorale, ma, se non ricordo male, la stessa onorevole Bindi e l'onorevole Turco sono state autorevoli esponenti del Governo che ha preceduto il nostro e non mi pare che avessero prestato così tanta attenzione alla tutela della maternità.
Dunque, sono state approvate proposte della maggioranza, dell'opposizione ed alcune della stessa relatrice. Tali proposte, nel rispetto della filosofia di fondo di rigore e sviluppo che ispira questa legge finanziaria, hanno indubbiamente migliorato l'impianto stesso del provvedimento sia in tema di contenimento della spesa degli enti locali e delle pubbliche amministrazioni sia in tema di distretti industriali, di ricerca e innovazione tecnologica e di competitività delle nostre imprese.
Per quanto attiene alle misure a sostegno delle famiglie, l'emendamento della relatrice, approvato in Commissione bilancio,


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prevede l'estensione anche al 2006 del bonus per ogni figlio nato o adottato nel corso del 2005. Prevede, inoltre, l'incremento del tetto da 632 a 2.152 euro annui per la detrazione d'imposta delle spese sostenute dalle famiglie per le rette degli asili nido e l'estensione di questa misura anche alle spese sostenute per le baby sitter. È innegabile che queste norme, che noi auspichiamo che il Governo voglia recepire nel maxiemendamento, insieme a quelle già previste in questa e nelle precedenti leggi finanziarie possono farci dire che questo Governo, pur nella criticità del momento, ha perseguito l'obiettivo di una concreta politica a favore delle famiglie.
In tema di sanità, le risorse destinate al Servizio sanitario nazionale in questi cinque anni hanno smentito le false accuse di un centrosinistra a corto di idee propositive secondo cui la volontà del centrodestra sarebbe stata quella di smantellare il Servizio sanitario nazionale. I numeri sono inequivocabili: siamo passati dai 67 mila milioni di euro del 2001 ai 93.213 milioni di euro del 2006. Un incremento che ha portato il nostro fondo sanitario nazionale agli stessi livelli percentuali del PIL degli altri paesi europei e che ha fatto persino dire all'onorevole Visco, nel corso della discussione sulle linee generali in Commissione bilancio, che questo Governo aveva stanziato fin troppi soldi per la sanità. Ma la novità che accompagna l'incremento delle risorse è la definizione di norme sempre più cogenti, oltre alla conferma degli obblighi in capo alle regioni già previsti dall'intesa del 23 marzo del 2005 e dalla scorsa legge finanziaria, per il contenimento della dinamica della spesa ed il raggiungimento dell'equilibrio economico-finanziario al fine di poter accedere alle risorse aggiuntive. Anche per il riparto del fondo di 2 miliardi di euro, stanziati per il ripiano dei disavanzi delle regioni per gli anni 2002, 2003 e 2004, è prevista, per accedere al fondo, la stipula di un'intesa Stato-regioni da siglare entro il 31 marzo 2006 e finalizzata alla riduzione delle liste di attesa e al miglioramento dei servizi, secondo quanto previsto dal piano sanitario nazionale 2006-2008.
In tema di edilizia sanitaria, le norme previste sono finalizzate al potenziamento delle strutture con almeno 250 posti letto per acuti e almeno 120 posti letto per lungodegenti e riabilitazione, evitando così di distrarre risorse per ospedali di piccolissime dimensioni caratterizzati, troppo spesso, da costi elevati ed elevate inefficienze. Sono misure, queste, tutte volte a garantire ai cittadini una migliore qualità dei servizi, ma anche ad ottimizzare le risorse, che, per quanto notevolmente incrementate, non sono certo illimitate perché, se è vero che la spesa sanitaria in questi anni è cresciuta a causa dell'invecchiamento della popolazione e con la definizione di livelli essenziali di assistenza sempre più qualificati e qualificanti, è altrettanto vero però che ci sono ancora ampi margini di intervento da parte delle regioni per contenere gli sprechi e razionalizzare i servizi, perché una spesa sanitaria fuori controllo potrebbe portare al collasso dell'intero sistema.
Anche in tema di ricerca sanitaria e innovazione tecnologica questa finanziaria presenta interessanti novità. Oltre ai 285 milioni di euro, già appostati per la ricerca, sarà possibile attingere al 5 per mille dell'IRPEF, alle erogazioni liberali - per le quali è prevista la deducibilità -, al fondo innovazione, istituito in attuazione della strategia di Lisbona, che prevede una specifica linea di finanziamento per interventi di adeguamento tecnologico del settore sanitario.
È stato previsto un incremento di risorse pari a 213 milioni di euro nell'ambito dell'adeguamento dei rinnovi contrattuali 2004-2005 quale concorso dello Stato al finanziamento della spesa sanitaria per il personale, ed è stato finalmente raggiunto l'obiettivo, grazie alla sensibilità mostrata dal ministro della salute e dal Governo, di risolvere l'annoso problema dei medici specializzandi, che sono poco più di 24 mila nel nostro paese. È stato, infatti, approvato un emendamento, sia in Commissione affari sociali sia in Commissione bilancio, che vede la trasformazione delle borse di studio in contratti di formazione specialistica con una retribuzione


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di base uguale per tutti ed una parte variabile correlata alla tipologia di specialità e al conseguente carico di lavoro e con un'adeguata tutela previdenziale e assistenziale.
Mi avvio a concludere con la consapevolezza che la finanziaria che approveremo in questi giorni, l'ultima della legislatura, tocca alcuni punti strategici e di interesse nevralgico per il paese e rappresenta certamente, per Alleanza nazionale, la linea di indirizzo politico e la filosofia di impostazione di quella che sarà la nostra azione di Governo anche nella prossima legislatura (Applausi dei deputati dei gruppi di Alleanza Nazionale e dell'Unione dei democratici cristiani e dei democratici di centro).

PRESIDENTE. La ringrazio, onorevole Castellani.
È iscritto a parlare l'onorevole Sardelli. Ne ha facoltà.

LUCIANO MARIO SARDELLI. Di quanti minuti dispongo, signor Presidente?

PRESIDENTE. Di nove minuti, onorevole Sardelli.

LUCIANO MARIO SARDELLI. Grazie, signor Presidente ...

PRESIDENTE. Mi scusi, onorevole Sardelli, ero stato troppo buono: dispone non di nove minuti, ma di cinque.

LUCIANO MARIO SARDELLI. Va bene, signor Presidente, mi atterrò ai tempi stabiliti.

PRESIDENTE. Si tratterà di un intervento sintetico, ma efficace ...
Prego, onorevole Sardelli.

LUCIANO MARIO SARDELLI. La valutazione del disegno di legge finanziaria non può che partire da una valutazione dello strumento di governo politico ed economico del paese e, quindi, da considerazioni politiche, da una premessa politica complessiva in ordine alla realtà di questo paese, come evolutasi in questi dieci anni, alla luce di due grandi direttive di cambiamento: da una parte, l'ingresso in Europa, nella moneta unica; dall'altra, non meno importante, la spinta verso un federalismo sempre più significativo nel governo della nazione.
Questi due fatti hanno sicuramente influenzato in maniera determinante le politiche del Governo degli ultimi dieci anni. Da un lato, sono stati affidati ruoli e competenze di governo agli enti territoriali, secondo il principio di sussidiarietà; dall'altro, si è creata in Parlamento una situazione anomala, una sperequazione fra territori che avevano rappresentanze politiche territoriali (il discorso vale per gran parte del nord Italia) ed altri che non avevano simili rappresentanze in quanto si riconoscevano in partiti nazionali. Ciò ha comportato, negli ultimi dieci anni, un aumento della forbice della differenza economica e sociale tra le due aree del paese del nord e del sud, ma anche tra aree contigue (penso ad alcune aree del nord che hanno patito, in questi anni, un processo di impoverimento).
Ebbene, io credo che il metro della democrazia di un paese sia costituito dall'omogeneità della crescita economica e sociale dei territori che lo compongono e dei cittadini che ne fanno parte. Se constatiamo che tale omogeneità manca, ci dobbiamo preoccupare e dobbiamo riflettere, affinché il vincolo di solidarietà nazionale permanga ed i ceti e i territori deboli godano di maggiore attenzione. In questo senso, crescita e solidarietà sono un binomio inscindibile e necessario in un paese moderno e democratico come l'Italia. Quando, com'è avvenuto in questi anni, la forbice tra le due aree del paese si allarga - aumenta la percentuale di povertà in alcune aree e diminuisce in altre (aumenta al sud e diminuisce al nord) - si creano le condizioni per una tensione sociale notevole che si scaricherà pesantemente sul futuro delle generazioni che verranno.
Lo sviluppo economico e sociale avviene soltanto in condizioni di progresso


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istituzionale e politico. Il progresso e le trasformazioni devono essere finalizzati allo sviluppo economico e sociale e non possono essere assolutamente finalizzati alla conservazione di privilegi da parte di alcune aree rispetto ad altre o, peggio, a creare nuovi privilegi a vantaggio di aree già ricche di per sé rispetto a territori più deboli.
Inoltre, desidero far riflettere i colleghi su un fenomeno non secondario verificatosi in questi anni. Mi riferisco al consolidamento degli oligopoli in alcuni settori (energia e telecomunicazioni) ed alle condizioni di assoluto favore in cui hanno operato e continuano ad operare alcuni sistemi (penso a quello bancario ed assicurativo), a spese del reddito di milioni e milioni di pensionati o di famiglie monoreddito, che in questi anni si sono impoverite.
Credo che sia la politica che deve riprendere il ruolo che gli compete ed è sempre la politica che deve permettere che l'apertura al mercato e alla libera concorrenza di alcuni settori vitali per la competitività del paese sia utile al paese stesso in termini di concorrenza e di capacità di competere e non sia, invece, utile alla nascita di oligopoli, appesantendo la capacità di competere e di produrre del paese stesso.
In questi ultimi dieci anni sono avvenuti fatti molto gravi proprio perché di tutto questo non si è tenuto conto: alcuni territori e alcuni interessi non sono stati rappresentati; credo, quindi, che sia necessario riaffermare con forza il ruolo della politica, perché è proprio la debolezza della politica e la sua incapacità di decidere e di guidare che permettono l'attuale debolezza del paese dal punto di vista economico e sociale.
La politica, indubbiamente, ha subito delle aggressioni dal 1992 in poi: è stata, in un certo senso, contestata nel suo valore primario e straordinario, anche con colpevoli responsabilità di una parte di alcuni partiti presenti in questo Parlamento. Basta pensare all'incalzare di alcune istituzioni, quali il sindacato e la magistratura, che hanno contestato alla politica stessa il diritto e la funzione democratica di rappresentanza degli interessi collettivi, cercando di eroderne ruolo e consenso, quindi, indebolendo complessivamente il paese e la sua capacità di guida e di governo.
Rispetto a questo, io voglio riaffermare che noi del Movimento per le autonomie crediamo che bisogna rimettere in atto un processo democratico forte di riaggregazione, intorno ad un progetto di ammodernamento della nazione, dei ceti deboli, delle donne, dei giovani e di tutti coloro che, in questi anni, sono stati espulsi dalla politica e dal gioco democratico del paese.
In questo contesto, quindi, il nostro giudizio sulla finanziaria è breve, sta in alcune valutazioni e in alcuni quesiti che noi poniamo al Governo e in base ai quali noi ci determineremo. Innanzitutto, crediamo che sia necessaria una fiscalità di vantaggio per alcune aree del paese; non crediamo ai contributi a fondo perduto e al sistema d'incentivazione attuale. Su questo c'è stato un parere negativo dell'ex commissario Monti; però, noi pensiamo che sia possibile riconsiderare con la Commissione europea questo aspetto e ottenere ciò che rappresenta un problema dirimente per il Mezzogiorno e per una possibilità di sviluppo diverso. Teniamo conto che fare impresa nel Mezzogiorno comporta difficoltà notevoli, costi aggiuntivi notevoli, costi di trasporto e di sistema; quindi, solo in questa maniera si può cercare di ridurre il gap...

PRESIDENTE. La prego, concluda, onorevole Sardelli.

LUCIANO MARIO SARDELLI. Finisco subito, signor Presidente...

PRESIDENTE. Le ho concesso due minuti e mezzo di più...

LUCIANO MARIO SARDELLI. Un minuto e finisco...

PRESIDENTE. No, facciamo mezzo minuto...


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LUCIANO MARIO SARDELLI. Ricordo anche la necessità di infrastrutture; infatti, l'alta velocità non si può fermare a Napoli, ma deve arrivare fino in Sicilia e a Santa Maria di Leuca se vogliamo essere un paese unito.
Per quanto riguarda i contributi agricoli unificati, non basta ridurre il costo - che già è elevatissimo - della contribuzione, ma bisogna anche provvedere all'ingiusto salasso che hanno subito i nostri agricoltori con la cartolarizzazione, che ha favorito, inaspettatamente e ingiustamente, società finanziarie del nord Europa a spese dei nostri cittadini.

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Rava. Ne ha facoltà.

LINO RAVA. Signor Presidente, io non voglio affrontare gli aspetti generali della manovra, la situazione economica del paese e le risposte che la manovra finanziaria in esame propone e che, troppo spesso, giudico irresponsabili.
Il Governo e la maggioranza continuano nella manovra di trasferimento al futuro degli italiani dei debiti economici e strutturali. Di questo, ovviamente, si stanno assumendo tutte le responsabilità. Come dicevo, già altri hanno approfondito questi aspetti di straordinaria importanza. Perciò, voglio limitare il mio breve intervento alla situazione del comparto agricolo ed alle previsioni contenute nella manovra di bilancio.
In questi cinque anni, abbiamo ascoltato molti annunci, molte promesse di riforme e impegni del ministro relativamente all'incremento delle risorse a disposizione del comparto agroalimentare. Abbiamo ascoltato colleghi che magnificavano l'azione del Governo, che parlavano di rilancio del made in Italy agroalimentare. Abbiamo assistito alla creazione di società pubbliche o miste, pubblico-private, in cui sono state investite importanti risorse pubbliche e che sono miseramente fallite. Abbiamo assistito a «balletti» di poltrone finalizzati non già a valorizzare importanti professionalità che, pure, ci sono nell'amministrazione pubblica, ma ad accontentare gli amici e gli amici degli amici: portavoce che improvvisamente diventano direttori generali di ministero nel quadro di una moltiplicazione delle direzioni, alla faccia di una riorganizzazione volta a riconoscere concretamente alle regioni il ruolo che la legge assegna loro. In questo modo, oltre a produrre un danno economico diretto, si demotivano le professionalità e si moltiplicano i punti di debolezza della macchina pubblica; è evidente che, poi, le difficoltà crescono. Abbiamo visto, ancora, il Governo procedere imperterrito lungo la strada della conflittualità con gli altri livelli istituzionali - l'Unione europea e le regioni - anziché sulla strada della qualità dei rapporti e della cooperazione fondata su principi di sussidiarietà. Abbiano assistito a questo e a molto altro.
Ebbene, io credo che questo disegno di legge finanziaria rappresenti la summa della politica che pesantemente ha contribuito alla situazione di devastante crisi che stanno vivendo quasi tutti i comparti agricoli. Di questi giorni è l'accordo che determinerà la completa scomparsa del comparto bieticolo-saccarifero dal panorama italiano; penso anche al comparto ortofrutticolo e al comparto vitivinicolo e a quanto abbiamo assistito, l'estate scorsa, rispetto alla situazione pugliese. Avremmo bisogno, in questa fase, di una forte politica unitaria capace di mettere insieme le energie di tutti i soggetti della filiera agricola - istituzionali, economici e sociali - e, nel contempo, capace di creare le necessarie alleanze con l'industria e la distribuzione. Avremmo bisogno del rafforzamento e del governo del sistema nazionale di ricerca e avremmo bisogno di una concreta politica di riduzione dei costi, a partire da quelli energetici per arrivare a quelli del lavoro. Avremmo bisogno, cioè, di una politica che riconoscesse alla attività agricola il ruolo sociale di tutela e presidio dell'ambiente, di garanzia della sicurezza alimentare e di garanzia di una propria ed autonoma produzione alimentare, cioè di una politica che è fondamento della politica agricola europea. Avremmo bisogno di una


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politica che realisticamente stimolasse le aggregazioni tra piccole imprese e, nel contempo, riuscisse ad orientare le produzioni sulla base di approfondite analisi di mercato. Avremmo bisogno, in sostanza, che il Ministero costituisse la testa pensante, capace di mettere in sinergia tutti gli strumenti di cui dispone - organismi di studio, istituti di servizio, centri di ricerca - e capace di agire in stretta cooperazione con i diversi livelli istituzionali, senza la continua creazione di dannose conflittualità e di costose duplicazioni.
A che cosa assistiamo, invece? Assistiamo ad una proposta che prevede una riduzione degli stanziamenti della tabella 13 dai 1.554 milioni di euro del 2005 ai 1.276 nella manovra che stiamo esaminando. Assistiamo ad una proposta che, anziché dare certezze sul piano fiscale, ripropone le proroghe. Assistiamo ad una proposta che non affronta il tema dei costi di produzione per allinearli a quelli dei nostri competitori europei. Sul tema sono stati approvati molti ordini del giorno anche da parte di questa Assemblea.
Siamo in presenza di una proposta che non affronta il tema previdenziale - e sono ormai quasi tre anni che il Governo ha ricevuto la delega in materia -; non lo affronta per quanto riguarda il pregresso e non lo affronta per quanto riguarda il futuro. Dopo la forte mobilitazione al Senato, che noi abbiamo apprezzato, portando il nostro contributo al miglioramento del testo, pare vi sia una sostanziale marcia indietro; se ciò avvenisse, sarebbe veramente intollerabile. Il Governo e la maggioranza non possono continuare nel gioco dell'illusione su temi così delicati per le imprese e per i lavoratori.
Noi, anche in questa occasione, abbiamo proposto misure serie; gli emendamenti da noi presentati riprendono in maniera sostanziale quello del Senato e lo arricchiscono di maggiore equità ed attenzione verso il lavoratore. Prevedono, infatti, l'abrogazione del comma 147 dell'articolo unico della legge finanziaria per il 2005, incentivi per la stabilizzazione dell'occupazione, meccanismi atti a garantire una maggiore trasparenza nel versamento dei contributi, la garanzia di una adeguata prestazione previdenziale, ed altro ancora. Accanto a tali previsioni, abbiamo proposto anche un intervento capace di consentire alle imprese in crisi di far fronte agli obblighi contributivi e, nel contempo, di avviare il processo di risanamento aziendale. Abbiamo, cioè, riproposto l'articolo 121 della legge finanziaria per il 2001, che il Governo in carica ha troppo rapidamente abrogato; lo abbiamo riproposto adeguandolo alle osservazioni venute dell'Unione europea. Ci auguriamo che nel maxiemendamento che si annuncia, tali previsioni siano in qualche modo prese in esame.
Queste, come le altre nostre proposte, sono realistiche e sono il frutto di un disegno strategico; non pretendiamo che tutto sia operato subito: sappiamo che nella finanziaria, in una situazione economica come quella attuale del paese, è difficile affrontare tutti i problemi. Ma certamente vorremmo vedere un segno, che invece non vediamo; ci troviamo dinanzi ad una manovra assolutamente insufficiente: si pensi, ad esempio, alle risorse per il piano assicurativo nei confronti delle calamità naturali; tali risorse rappresentano un terzo di quelle realisticamente necessarie. La maggioranza ha voluto compiere il passaggio repentino dagli interventi ex post a quelli ex ante senza stanziare le risorse necessarie, con ciò determinando ulteriori problemi per un settore che rischia davvero di non sopravvivere.
Ci troviamo dinanzi ad una manovra che sulla carta stanzia 500 milioni di euro per gli incentivi per la ristrutturazione delle imprese della filiera agroalimentare, che saranno necessariamente limitati alle aree sottoutilizzate. Con ciò, quindi, non si impegna alcuna nuova risorsa e si lascia di fatto fuori gran parte delle imprese che avrebbero bisogno dell'intervento. Si tratta nuovamente del «gioco» delle risorse che improvvisamente appaiono e improvvisamente scompaiono. Anche ammesso che esse siano veramente utilizzabili, ci chiediamo se esista una strategia di intervento: esiste un coordinamento con le regioni per


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l'utilizzo di queste risorse? A noi non risulta; queste ultime, infatti, affermano che non c'è. Quindi, ritengo che ciò costituisca un ulteriore problema che si somma a quelli che stiamo esaminando.
Infine - ma solo per carità di patria -, ci troviamo dinanzi ad una manovra che non tiene conto di un accordo incautamente sottoscritto dal ministro competente (ed il termine «incautamente» è un eufemismo) relativamente al comparto bieticolo-saccarifero. A seguito di tale accordo, come osservavo già in precedenza, il patrimonio produttivo italiano nel settore - fatto di produzione agricola e di diciannove grandi industrie dello zucchero; quindi, un patrimonio importante dal punto di vista produttivo ed occupazionale -, ebbene, detto patrimonio per il 50 per cento ed oltre sarà perduto subito e per l'altro 50 per cento quasi certamente, stante la situazione attuale dell'accordo, verrà perduto nei prossimi quattro o cinque anni.
Questo è stato l'accordo sottoscritto da Alemanno; tuttavia vorrei ricordare che esso prevedeva anche lo stanziamento di 68 milioni di euro all'anno, per i prossimi cinque anni, a titolo di cofinanziamento degli aiuti comunitari. Non ci pare che tali somme siano contemplate nel disegno di legge finanziaria in esame: pertanto, naturalmente, auspichiamo che tali finanziamenti compaiano, e che si tratti di risorse aggiuntive a favore del settore agricolo, senza che venga praticato il «gioco» di spostarle da un settore all'altro.
Concludo il mio intervento, signor Presidente, rilevando che stiamo assistendo alla summa di una politica improvvisata, incoerente, confusa, incapace di creare alleanze e forse anche un po' virtuale, nel senso che, ancora una volta, alla luce dell'esperienza degli ultimi quattro anni e mezzo, non sappiamo se le risorse disponibili sulla carta saranno effettivamente utilizzate.
Vorrei segnalare, a tale riguardo, che il relatore per il disegno di legge finanziaria in Commissione agricoltura ha valutato positivamente il fatto che, nella tabella E del testo in esame (contenente la riduzione di autorizzazioni legislative di spesa precedentemente disposte), sia previsto un forte definanziamento, dal momento che tali risorse non sono state utilizzate; tuttavia, proprio il fatto che tali risorse finanziarie non siano state impiegate, in presenza di una situazione difficile, come quella che stiamo vivendo, dimostra l'incapacità del Governo.
Naturalmente, queste sono solo alcune delle ragioni che ci inducono ad esprimere un giudizio fortemente negativo sul disegno di legge finanziaria, relativamente alla politica per il comparto agricolo in essa contenuta: esso, naturalmente, è il frutto dell'esperienza maturata in questi ultimi quattro anni (Applausi dei deputati del gruppo dei Democratici di sinistra-L'Ulivo).

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Stradiotto, al quale ricordo che ha 9 minuti tempo disposizione. Ne ha facoltà.

MARCO STRADIOTTO. Signor Presidente, onorevoli colleghi, signor rappresentante del Governo, vorrei osservare come il disegno di legge finanziaria in esame non offra risposta a nessuna delle difficoltà che sta affrontando il paese. Ricordo che in questi anni, da ultimo anche in questa sessione di bilancio, abbiamo tentato, più volte, di introdurre correttivi in grado di offrire soluzioni ai bisogni dei cittadini italiani e delle imprese italiane, ma purtroppo non abbiamo ottenuto nulla.
Ricordo che nella situazione attuale, infatti, vi sono numerose famiglie che non riescono ad arrivare alla fine del mese, al punto che, durante la quarta settimana, assistiamo addirittura ad un crollo dei consumi di prodotti di primaria importanza, come il latte e il pane. Credo si tratti di un dato importante, che ci deve far riflettere. D'altro canto, un altro aspetto del periodo particolare che viviamo è rappresentato dal crollo delle esportazioni. Rispetto a queste due questioni, qual è la risposta data dal Governo?
Dobbiamo effettivamente riconoscere che l'unica questione affrontata, anche se


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in modo timido, è la riduzione dell'1 per cento del cuneo fiscale a favore delle imprese. Come affermiamo da tempo, ritenevamo che fosse necessario farlo prima, ed in maniera molto più sostanziosa, in modo da consentire di beneficiarne non solo alle imprese, ma anche ai lavoratori, con ciò aumentando il reddito disponibile delle famiglie. Si trattava, in altri termini, di garantire maggiori disponibilità economiche alle famiglie ed ai cittadini per rilanciare i consumi, dal momento che proprio il calo di questi ultimi rappresenta uno dei motivi per i quali la nostra economia è particolarmente stagnante.
Vi sono inoltre altre questioni che, a nostro avviso, sono state affrontate di modo non corretto. Il nostro paese, infatti, sconta una storica carenza infrastrutturale, ma la risposta data dal Governo è stata quella di tagliare i fondi destinati all'ANAS ed alle Ferrovie dello Stato; lo stesso avviene per quanto concerne il trasporto pubblico locale.
Vorrei osservare che normalmente, nel periodo invernale, assistiamo all'assoluta necessità di chiudere le nostre città al traffico, al fine di tutelare la salute pubblica, a causa del superamento dei livelli di inquinamento consentiti; tuttavia, qual è la risposta che viene data a tale problema?
Come risposta vi è, come dicevo in precedenza, il taglio dei fondi a disposizione delle Ferrovie dello Stato - circa 550 milioni di euro di spesa corrente, senza contare la spesa in conto capitale - e dei fondi agli enti locali che, di conseguenza, tra le varie disponibilità di bilancio, dovranno proprio ridurre i servizi ed, in modo particolare, il trasporto pubblico locale.
E richiamo un'altra questione su cui credo si debba riflettere: voi, nel 2001, avete vinto le elezioni politiche partendo dal problema della sicurezza. Spesso e volentieri i fatti di cronaca venivano, infatti, strumentalizzati. Ebbene, sono passati cinque anni e non ci sembra che sul problema della sicurezza si siano compiuti grandi passi in avanti, anzi. Da tale punto di vista, già dall'anno scorso, in particolare - e quest'anno i dati vengono riconfermati, poiché sono solo in parte rimpinguate le riduzioni dello scorso anno - si applicano i tagli alle risorse delle Forze dell'ordine, delle Forze di polizia e della Guarda di finanza. Credo che ciò rappresenti un modo sbagliato e scorretto di combattere il crimine e l'evasione fiscale.
Un'ulteriore questione importante, che rappresenta una costante del nostro paese e che tutti gli analisti economici ritengono essere uno tra i problemi principali del nostro paese, è la bassa occupazione, ossia la circostanza che vi sono poche persone attive rispetto al totale della popolazione: nel nostro paese si arriva al 56-57 per cento, in Francia al 66-67 per cento e nel Regno Unito addirittura al 73 per cento. Se si osservano tali dati, ci si accorge che il problema è correlato alla bassa occupazione femminile. Rispetto a tale questione non vi sono state risposte nelle scorse leggi finanziarie e nemmeno nel presente disegno di legge finanziaria.
Nel nostro paese solo il 10 per cento dei bambini riesce ad usufruire dell'asilo nido. Questa è una necessità e rispetto a tale problema quale risposta si dà? Tagliare fondi agli enti locali e prevedere patti di stabilità che limitino la spesa indipendentemente dalle entrate, fino al punto che anche servizi, quali l'asilo nido, che spesso e volentieri rimangono in gran parte a carico delle famiglie non possono essere erogati perché, altrimenti, l'ente locale rischia di superare i limiti posti dal patto di stabilità.
Voglio soffermarmi, infine, proprio sulla questione degli enti locali, per rilevare che in questi anni, soprattutto negli ultimi tre, vi è stato un forte taglio dei trasferimenti agli enti locali medesimi. Cito alcuni dati: nel 2001, venivano trasferiti agli enti locali 15,5 miliardi di euro, nel 2006 ne verranno trasferiti 14,2. Si tratta circa di 1 miliardo e 250 milioni di minori trasferimenti. Se si tiene conto che tra il 2001 ed il 2006 vi sono cinque anni di inflazione e, quindi, vi è un incremento del costo della vita mediamente del 2-2,7 per cento, vi è un'effettiva minore disponibilità di risorse, pari a 3 miliardi di euro


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che, come dicevo in precedenza, si ripercuote in modo particolare sulle famiglie e proprio sulle famiglie più deboli, in quanto l'ente locale è un erogatore di servizi soprattutto a favore delle fasce deboli e delle famiglie. Quindi, da tale punto di vista credo che si stia compiendo un errore che incrementa la difficoltà di molte famiglie italiane a riuscire ad arrivare alla fine del mese. Se, infatti, si osservano i motivi che determinano tale tipo di situazione, ci si accorge che il costo dei servizi è uno tra i fattori determinanti a far sì che lo stipendio non sia più sufficiente ad arrivare alla fine del mese.
Sono due le questioni che riguardano gli enti locali: una è quella dei trasferimenti, che ho già affrontato; l'altra concerne il patto di stabilità. Il patto di stabilità, da tre anni ad oggi, si fonda sui tetti di spesa. Basarsi sui tetti di spesa significa non applicare agli enti locali il meccanismo che l'Unione europea chiede sia applicato alla pubblica amministrazione. I parametri di Maastricht prevedono che tutte le amministrazioni che compongono la pubblica amministrazione debbano osservare determinati parametri per rimanere nei limiti prefissati.
Rispetto a ciò, però, i parametri hanno a che vedere con il deficit e con il debito, e, quindi, con un saldo fra le entrate e le spese. Da due anni a questa parte per gli enti locali italiani si applica solo un tetto alla spesa. Ciò comporta, innanzitutto, l'impossibilità effettiva di premiare gli enti più virtuosi, quelli che hanno maggiori entrate proprie, ossia che hanno avuto maggiore capacità di scovare l'evasione e di far pagare correttamente i servizi. Pertanto, si pongono tutti gli enti sullo stesso piano, fissando un limite di spesa che diventa uguale sia per gli enti più «spreconi» sia per quelli più virtuosi. Questo è un errore che abbiamo tentato più volte di far presente: purtroppo, non siamo stati ascoltati né dal Governo né dal relatore. Credo sia un errore molto grave, perché non fa giustizia e non rende equità rispetto alla differenza degli enti locali.
Comunque, attraverso questo meccanismo, di fatto, lo Stato pensa di poter risparmiare dagli enti locali 2 miliardi di euro, ma questa cifra non sarà raggiunta. Ciò si tradurrà in una mancata copertura per il fatto che l'ente locale supererà tale limite esternalizzando il servizio. E, nel momento in cui viene esternalizzato il servizio, normalmente aumentano i costi, perché il soggetto coinvolto da tale esternalizzazione deve percepire qualcosa per il servizio reso agli enti locali.
Ciò per dire che, ancora una volta, questi meccanismi non hanno fatto altro che peggiorare la situazione dei conti pubblici e, nello stesso tempo, hanno creato grandi difficoltà proprio agli enti locali.
Da questo punto di vista, credo sia importante soffermarsi solo su un aspetto (e concludo, signor Presidente): in questi ultimi mesi, in modo improprio, è stato lanciato un messaggio secondo cui i problemi del nostro paese dipendono dagli enti locali. È la cosa più scorretta che si potesse dire, anche alla luce di quanto sostengono l'ISTAT, il Ragioniere generale dello Stato e la Corte dei conti, che dimostrano, numeri alla mano, che nell'ambito della pubblica amministrazione gli enti locali costituiscono quella parte che funziona meglio.
È importante non lanciare questo messaggio distorto: ciò può servire a portare l'attenzione altrove, invece di soffermarsi sulla parte della pubblica amministrazione che effettivamente compie degli sprechi. Spero vi sia la possibilità di ascoltare le nostre proposte. Purtroppo, continuate ad andare avanti a colpi di maggioranza e ciò comporterà, tra l'altro, un'altra conseguenza importante e fondamentale: anche questo disegno di legge finanziaria sarà costituito da più di 400 commi. Questo è il modo più sbagliato di legiferare, soprattutto per chi la legge finanziaria deve applicarla tutti i giorni. È un modo per far sì che il nostro paese non cresca e si perda in mille lacci e lacciuoli.

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Maurandi. Ne ha facoltà.


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Le ricordo, onorevole Maurandi, che ha 26 minuti di tempo a disposizione... Mi correggo: in realtà, si tratta di dieci minuti.

PIETRO MAURANDI. Solo dieci? Signor Presidente, mi ha spiazzato!

PRESIDENTE. Mi scusi, ma nel prospetto degli interventi il tempo a sua disposizione figurava in una casella sbagliata. Troppa grazia...

PIETRO MAURANDI. Signor Presidente, mi ha spiazzato quando ha detto 26 minuti...

PRESIDENTE: Lo so, ma lei poteva avere tempo e modo...

PIETRO MAURANDI. Signor Presidente, mi chiedo, intanto, a cosa serva la legge finanziaria. Parto da questa domanda, perché quando si discute della validità di tale strumento molti tendono a metterla in dubbio. In realtà, l'oggetto della discussione è un altro e riguarda la cosiddetta emendabilità o meno del testo predisposto dal Governo. I sostenitori della tesi della inemendabilità, che non condivido, portano due argomenti: quello del numero e della eterogeneità degli emendamenti (come è accaduto puntualmente anche quest'anno: mi riferisco al cosiddetto assalto alla diligenza) e quello dell'iter faticoso di approvazione della legge.
Credo si tratti di due argomenti infondati, perché in realtà è possibile costruire un iter virtuoso, che consenta di selezionare gli emendamenti e di fare emergere, infine, la manovra del Governo e della maggioranza per quello che è, ed anche di delineare una manovra alternativa da parte dell'opposizione.
Per quanto riguarda i tempi, il tutto avviene nell'arco di due o tre mesi, dall'approvazione del Governo a quella di Camera e Senato. Certamente, si tratta di un iter faticoso e intenso, ma non c'è nessun'altra legge che venga approvata in tempi così rapidi. Naturalmente, altra cosa sono il contenuto e l'efficacia della manovra, ma ritengo che vi sia la possibilità di assolvere pienamente le funzioni proprie della legge finanziaria e di realizzare pienamente gli obiettivi per i quali essa serve.
La legge finanziaria serve essenzialmente per due cose: innanzitutto, per risanare la finanza pubblica. Questa è la sua funzione fondamentale. Inoltre, essa serve per impiegare i frutti del risanamento al fine di costruire, sostenere ed indurre prospettive di sviluppo per il paese. Quindi, noi dobbiamo esaminare la legge finanziaria per il 2006 sotto questi due aspetti. Poiché si tratta dell'ultima finanziaria della legislatura, è anche possibile compiere un bilancio dei risultati ottenuti con le cinque leggi finanziarie della legislatura.
Per quanto riguarda il risanamento della finanza pubblica, bastano pochi numeri per esporre la situazione. Il collega onorevole Ventura riportava in Commissione bilancio un dato, secondo il quale le cinque leggi finanziarie di questa legislatura sono costate 92 miliardi di euro. Si tratta di una cifra enorme, con cui si potevano fare un sacco di cose. A fronte di questa cifra e di questi sacrifici degli italiani, quali sono i risultati che avete ottenuto? È presto detto. Si possono citare tre dati. Il debito pubblico nel 2006 tornerà al 110 per cento del PIL, com'era nel 2001, quando vi è stato consegnato dai Governi di centrosinistra, dopo che era stato abbattuto di ben 12 punti nella passata legislatura.
Il secondo dato è il rapporto deficit-PIL, che ha sfondato da tempo il 3 per cento e che nel 2006 sarà come minimo del 3,8 per cento, se andrà bene, cioè se tutte le previsioni della manovra finanziaria saranno rispettate.
Infine, l'avanzo primario, che vi è stato consegnato alla fine della legislatura scorsa al 5 per cento del PIL e che era positivo da 15 anni, è praticamente ridotto a zero e ne avete mangiato un punto all'anno.
Quindi, sul risanamento della finanza pubblica i risultati che avete ottenuto sono pari a zero.


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Di fronte a questa situazione siete stati messi sotto tutela dall'Unione europea, che vi ha dettato le cifre della manovra e, come ha detto Tremonti in un eccesso di sincerità, vi ha messo in «amministrazione controllata».
Per quanto riguarda lo sviluppo, anche qui è presto detto. Le cifre parlano da sole. L'economia italiana è praticamente a crescita zero (0,2, se va bene, nel 2005) e sarà al di sotto della media europea nel 2006 e nel 2007.
Di fronte a tali risultati, c'è da chiedersi come avete fatto. Forse ci vuole del talento anche per fare questo, ossia per coniugare il dissesto della finanza pubblica con la crisi economica. Si tratta, a ben vedere, di un risultato strabiliante: 92 miliardi di euro di sacrifici per ottenere finanza pubblica fuori controllo ed economia bloccata.
I governi normali, a prescindere dal loro colore politico, quando hanno problemi di risanamento della finanza pubblica e di sviluppo, possono seguire due strade: con la prima si interviene per il risanamento e si trascura lo sviluppo (il risultato sarà che lo sviluppo è ridotto a zero o molto basso, ma la finanza pubblica è risanata); con la seconda strada si trascura il risanamento e si compiono interventi per lo sviluppo (il risultato sarà che la finanza pubblica è dissestata ma il tasso di sviluppo è elevato).
Voi avete trovato una nuova strada. Avete inventato una vostra «terza via»: dissesto della finanza pubblica e sviluppo zero. Credo che diventerete un caso di studio nelle università. Si tratta di un caso da manuale di spreco di risorse. Ben 92 miliardi di euro per ottenere il dissesto della finanza pubblica e la stagnazione dell'economia: dovreste proprio spiegare come li avete usati, cosa ne avete fatto. Onorevole Tremonti, senatore Vegas, dove avete messo i 92 miliardi di euro? Noi sappiamo bene cosa ne avete fatto e dove li avete messi. Certamente non li avete usati per il bene del paese.
È un caso lampante di inefficienza dell'attività di Governo, anche prescindendo dal merito delle scelte.
Nel merito, avete fatto scelte di politica economica certamente di destra, ma il punto è che non avete ottenuto alcun risultato per il paese. In questo senso avete fallito la vostra prova di Governo; è per questo che non siete credibili neanche come destra. La profonda delusione che serpeggia e dilaga tra i cittadini in generale, anche tra il vostro elettorato, deriva appunto da ciò: dalla consapevolezza dell'enormità delle risorse che avete rastrellato e dalla povertà dei risultati che avete ottenuto.
Potremmo fare un lungo elenco delle misure con cui, in appena cinque anni, avete portato il paese alla situazione attuale. Si potrebbe fare un elenco (in verità, questo breve) delle categorie, dei gruppi, delle lobby che si sono arricchiti in questi anni, che si sono avvantaggiati della vostra politica. Non è però questo il momento per svolgere tale analisi e, peraltro, non ne avrei neanche il tempo.
Intendo, invece, limitarmi ad indicare due cause principali del fallimento della vostra prova di governo, due tarli che hanno roso in modo irreparabile la vostra politica economica.
La prima causa è l'attesa della ripresa prossima ventura. Ne avete parlato ad ogni disegno di legge finanziaria, ad ogni DPEF, ed avete sempre sbagliato. Naturalmente, il problema non è l'errore, sempre possibile quando si compiono previsioni, ma il vostro è un errore sistematico perché generato dal fatto che avete sempre scelto le previsioni più ottimistiche, e questa è una scelta politica. Avete sbagliato perché avete confuso desideri, auspici e speranze con la realtà.
In questo momento, in questi mesi, il rischio di sbagliare nuovamente è ancora più grande proprio perché, ora, vi sono timidi segnali di ripresa dell'economia. Di fronte a questi segnali, ancora deboli, e che vedono pur sempre l'economia italiana in difficoltà rispetto alle altre principali economie europee, siete portati ancora di più ad esagerare. Già non parlate più di segnali ma di ripresa in atto. Anzi, qualche


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esponente del Governo e della maggioranza parla di netta ripresa, ancora una volta confondendo...

PRESIDENTE. Speriamo che vi sia una ripresa...

PIETRO MAURANDI. Certo speriamo, signor Presidente, ma non bisogna confondere la rappresentazione della realtà o dei desideri con la realtà stessa, perché altrimenti facciamo veramente «illusionismi». È proprio degli illusionisti mostrare cose che in realtà non esistono. Ha ragione il Presidente Casini quando parla di «illusionismi». È un peccato che poi abbia edulcorato la sua espressione, consentendo a Berlusconi di attribuirla al centrosinistra cioè di fare un'altra operazione di «illusionismo».

ETTORE PERETTI, Relatore per la maggioranza sul disegno di legge n. 6178 e relative note di variazioni. Riguarda tutti!

PIETRO MAURANDI. La seconda causa del disastro della finanza pubblica, dell'economia bloccata è la vostra idea che la riduzione delle imposte sia la chiave di volta per risolvere i problemi dell'economia italiana. È un errore grave perché nasce da un pregiudizio ideologico e da un'analisi superficiale e rozza di quanto avviene nel mondo.
È vero - come voi dite - che nel mondo vi sono paesi ad elevato tasso di sviluppo con una bassa pressione fiscale (il caso più evidente sono gli Stati Uniti) ma vi sono anche paesi ad alto tasso di sviluppo con un'elevata pressione fiscale. Si può citare, ancora una volta, la Danimarca, spesso portata a modello, che ha una pressione fiscale prossima al 50 per cento. Ciò mi serve per dire che la relazione tra tasso di sviluppo e pressione fiscale è piuttosto debole, non è così significativa come voi pretendete. Semmai è molto più forte la relazione tra pressione fiscale ed equità distributiva, nel senso che paesi con elevata pressione fiscale hanno generalmente una più equa distribuzione del reddito.
Se ne può anche comprendere la ragione. Non intendo avanzare questa tesi per generalizzarla; so bene che la realtà è più complessa. Intendo, però, sottolineare che la vostra strategia, mentre non ha prodotto effetti positivi sulla finanza pubblica e sull'economia nazionale, ha inciso profondamente sulla distribuzione del reddito, che è nettamente peggiorata. I poveri sono diventati più poveri e i ricchi più ricchi, in questo paese. La cosa più odiosa che può fare un Governo è comportarsi come Robin Hood alla rovescia. Ciò non tanto perché si tagliano risorse a chi ne avrebbe bisogno - questo può accadere, quando non si hanno risorse da distribuire -, ma perché si danno risorse aggiuntive a chi non ne ha bisogno, e questa è una cosa veramente odiosa! Voi questo avete fatto, in modo sia diretto sia indiretto, quando avete cancellato...

PRESIDENTE. Onorevole Maurandi, la invito a concludere.

PIETRO MAURANDI. ...l'imposta di successione sui grandi patrimoni, quando avete premiato i capitali esportati illegalmente e in generale gli evasori fiscali con i condoni di ogni genere, quando avete lasciato correre l'inflazione senza assumere iniziative al riguardo, quando rifiutate di compensare l'azione del fiscal drag...

PRESIDENTE. Si fermi qua, onorevole Maurandi: ha già citato parecchie inadempienze...

PIETRO MAURANDI. Signor Presidente, le chiedo soltanto due minuti ancora.

PRESIDENTE. Sta bene, onorevole Maurandi.

PIETRO MAURANDI. Anche perché lei, Presidente, all'inizio mi ha confuso: mi ha detto che avevo 26 minuti!

PRESIDENTE. Non abusi di me, che già ci sono quelli che subiscono gli abusi...!


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PIETRO MAURANDI. Non abuserò certamente!
Stavo facendo riferimento ad una serie di misure, il coronamento delle quali è la riforma dell'IRPEF, con la quale avete dato pochi euro ai redditi medio bassi e migliaia di euro ai redditi alti.
Insomma, questi sono i vostri risultati: finanza pubblica fuori controllo, economia bloccata. Vedo per le strade i manifesti di Forza Italia, quelli formato lenzuolo, nei quali si dice che avete attuato il programma e che volete andare avanti così. Ma se questi sono i risultati, è meglio pensarci un poco, perché c'è un rapporto di causa ed effetto tra programmi e risultati. Altrimenti, i programmi cosa li fate a fare? Non vi viene in mente che più si attua il programma e peggio è per l'Italia? Quindi, altro che andare avanti! Bisogna buttare il programma e i suoi autori! Naturalmente, si potrebbe anche dire che il programma era buono, ma è stato attuato male. Tuttavia, poiché gli autori e gli attuatori sono gli stessi, bisogna buttare il programma, gli autori e gli attuatori!

PRESIDENTE. Ci penseranno gli elettori...

PIETRO MAURANDI. Come quando un'orchestra esegue male una pessima musica: bisogna buttare la musica, gli autori e i suonatori! E naturalmente è compito nostro quello di convincere l'elettorato che è ora davvero di cambiare musica con le elezioni di aprile (Applausi dei deputati del gruppo dei Democratici di sinistra-L'Ulivo)!

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Blasi. Ne ha facoltà. A lei la difesa, dopo l'accusa...

GIANFRANCO BLASI. C'è una domanda che bisogna porsi per prima, rispetto a questa manovra economica, e bisogna farlo con nettezza anche dopo il dibattito svolto nella giornata odierna. Siamo o non siamo innanzi ad una finanziaria elettorale, come dicono i colleghi di sinistra, che abbandonerebbe ogni pudore istituzionale, le compatibilità europee e la certezza strutturale delle coperture, per mettersi al presunto servizio degli interessi di «bassa cucina» della maggioranza? Sappiamo tutti, colleghi, che non si tratta di una finanziaria elettorale, non solo perché essa non somiglia a quella del 2001, che potremmo definire la madre di tutte le finanziarie elettorali - la finanziaria del cosiddetto buco (ve la ricorderete tutti) -, ma soprattutto perché la rigidità delle scelte di questa finanziaria è stata prima monitorata e poi condivisa da Bruxelles, fino all'Ecofin della settimana scorsa. Il rapporto tra deficit e PIL - lo avete detto anche voi poc'anzi - sta rientrando nelle flessibilità consentite. Dunque, questa manovra economica viene giudicata anche dagli osservatori terzi credibile.
Parto da questa premessa per riordinare le fila di un dibattito spesso lacerato più dalla propaganda politica che dalla verità dei fatti. La seconda considerazione è che ogni manovra economica ed ogni documento di programmazione economico-finanziaria sottendono un modello culturale di riferimento. Questo vale per i Governi che li presentano, ma anche per le opposizioni, quando queste si sforzano di produrre modelli alternativi. La sinistra italiana in tutti questi cinque anni ha faticato a prospettarci modelli organici di riforma di questo o quel settore alternativi ai nostri. Conosciamo le difficoltà e le differenze che spaccano e consumano i rapporti tra i riformisti e i massimalisti, fra ideologie stataliste e tentativi di emancipazione liberale. Neanche questa finanziaria è sfuggita alle contraddizioni che segnano la sinistra. Vi è, per esempio, un tentativo timido, che riconosciamo, di aprire in direzione della famiglia, di nuove forme di welfare e di difesa della maternità, come per esempio i famosi emendamenti presentati dall'onorevole Bindi e dall'onorevole Turco, inseguendo peraltro le scelte operate dal nostro Governo.
Tuttavia, se andiamo a leggere ed a scavare le coperture che individuate nei vostri emendamenti, più o meno riformatori (ove peraltro non avete intese complessive


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perché quegli stessi emendamenti sono stati criticati da una parte della sinistra), potremmo scoprire che, per coprirli, nel 99 per cento dei casi aumentate le tasse, le rendite finanziarie e le accise sui beni di consumo. Quindi, passano gli anni, ma non mutate pelle! Restate prigionieri di uno schema antico che, non solo a mio giudizio, vi farà perdere anche le prossime elezioni! Lo schema è il seguente: più spesa pubblica, più tasse.
Per quanto riguarda la terza considerazione, vorrei dire che si tratta di un disegno di legge finanziaria che prevede una razionalizzazione della spesa pubblica. Rende più leggero lo Stato e comporta anche (mi rivolgo al collega Stradiotto) una razionalizzazione all'interno del comparto degli enti locali e lo fa escludendo da questo processo tutti i comuni sotto i cinquemila abitanti, cioè la stragrande maggioranza degli enti locali che, così dite, non potranno più offrire servizi sociali. Sappiano gli italiani che tutti i comuni sotto i cinquemila abitanti sono esclusi da questo schema di razionalizzazione!
Agli altri comuni è chiesto, come si chiede ai ministeri ed allo Stato centrale, uno sforzo di compartecipazione in questo momento di difficoltà economica. Vi è lo sforzo di rendere più leggero lo Stato, con l'obiettivo di mettere a posto i conti pubblici: in tale contesto, il disegno di legge finanziaria offre alcune risposte strutturali e ne vorrei citare alcune.
La prima è la riduzione del «cuneo fiscale», come da voi riconosciuto, che piace alle imprese, che promuove e rafforza i processi di flessibilità sui costi aziendali.
La seconda è l'introduzione normativa del distretto industriale come luogo identitario di promozione e sviluppo della piccola e media impresa, nata sui territori, in uno spazio di promozione del made in Italy, a metà strada tra tendenza alla globalizzazione e promozione di tutto ciò che è tipico, locale.
La terza è la continuazione del progetto di modernizzazione del paese attraverso le infrastrutture strategiche che vengono finanziate e che sono un vero e proprio biglietto da visita delle nostre intenzioni politiche, visto che desideriamo far crescere il nostro paese, tenerlo collegato alla parte più viva e produttiva dell'Europa. Ecco perché sulla TAV in Val di Susa dovreste squarciare il velo di ipocrisia che vi tiene prigionieri di forme arcaiche di conservatorismo ideologico!
Il quarto punto è rappresentato da un pacchetto di azioni sociali a difesa della famiglia, a sostegno della natalità, per dare sollievo anche alle fasce più deboli della nostra popolazione: anche in ordine a tale aspetto, vi è nel disegno di legge finanziaria - siamo orgogliosi di averlo fatto - l'individuazione precisa di determinati obiettivi.
Vi è poi un'altra considerazione: qualche giorno fa, a Firenze, un famoso sociologo americano, di cultura non lontana dal cosiddetto antagonismo, assai critico su alcuni processi legati alla globalizzazione, molto noto per i suoi scritti, come, per esempio, il suo ultimo Il sogno europeo (mi riferisco a Jeremy Rifkin), parlando dell'Italia, ci ha invitato ad alcune scelte di fondo ed, in particolare, ha usato questa formula: più idrogeno, meno Stato, più figli.
Vorrei riflettere brevemente su queste opzioni. Per quanto riguarda la prima, la dipendenza dal petrolio può strangolarci nei prossimi anni. Il prezzo è, visto anche il fabbisogno dei paesi emergenti, soprattutto di Cina ed India, destinato ancora a salire. Abbiamo bisogno di accorciare gli spazi del dibattito politico e di fare determinate scelte, effettuando ricerche sulle nuove fonti nucleari. In ordine a tale aspetto non si può tardare. Come è noto, siamo indietro rispetto a tutti gli altri paesi europei.
Sulla formula «meno Stato», anche noi abbiamo subito spinte centraliste e resistenze al cambiamento. Credo, tuttavia, che la sinistra italiana non sia nelle condizioni politiche di offrire garanzie liberali e riformiste ai bisogni più moderni del paese.
Sull'opzione «più figli» sono d'accordo con Rifkin: più figli significa più identità,


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meno frammentazione, più forza culturale, più opportunità di tenere il filo della propria storia e del proprio futuro. Ecco perché Forza Italia è fiduciosa, crede in ciò che ha realizzato e sa di avere davanti a sé ancora terreno fertile. Sappiamo anche di aver affrontato momenti difficili e abbiamo il realismo per ammetterlo, ma siamo convinti delle nostre idee e consapevoli di possedere le motivazioni ed il coraggio per andare avanti.
Vorrei inoltre aggiungere una breve considerazione sul sud. Questo pomeriggio ho sentito interventi del tipo «Piove, governo ladro!», « Nevica, governo ladro!». È uscita una bella giornata di sole, ma non importa, lo stesso: «governo ladro!». Ritengo che questo modo di impostare il dibattito sul Mezzogiorno sia deludente e, per certi versi, scadente.
Anche in questa finanziaria si registra uno sforzo organico di ragionare sul Mezzogiorno e non solo sul Fondo unico per le aree sottoutilizzate - che, come l'onorevole Fassino ha affermato a Porta a Porta, non è mai stato così ricco di risorse finanziarie come in questi anni -, ma anche sulla stessa banca del sud, in ordine alla quale, attraverso una serie di emendamenti presentati in Commissione, abbiamo offerto al Governo la possibilità di incrementare un'idea che non deve restare soltanto una suggestione. Tale sforzo si palesa anche sulla riforma complessiva del welfare, guardando anche al passato e sapendo che strutturalmente il settore agricolo italiano ha bisogno di essere rivisto in funzione di una attenzione che le aziende agricole, soprattutto delle aree svantaggiate e di quelle montane, meritano, perché non possono essere considerate alla stregua di altre aziende presenti in territori più forti, dove la possibilità di fare massa critica, di utilizzare le energie finanziarie, di dotarsi di strumenti di innovazione tecnologica ha favorito la tenuta del sistema. Ciò non è accaduto in alcune zone del paese ed è giusto avere una particolare attenzione per queste aree.
Vorrei svolgere una ultimissima considerazione a livello personale. Ritengo che la finanziaria e, nel suo complesso, tutto il passaggio parlamentare della manovra economica meritino di riconoscere al Parlamento più rispetto e più attenzione. Sono preoccupato del fatto che il Governo finisca per chiedere la fiducia sia alla Camera sia al Senato. Ne abbiamo dibattuto molto anche nel gruppo di Forza Italia e ne capiamo le ragioni contingenti; tuttavia, dobbiamo fare uno sforzo cercando di riconoscere al Parlamento il ruolo e la funzione che merita in un passaggio delicatissimo della vita parlamentare qual è, appunto, quello dell'approvazione della legge finanziaria.
Il Parlamento deve poter partecipare fino in fondo, deve poter svolgere la sua parte, perché la democrazia parlamentare è un patrimonio straordinario di ricchezza del nostro paese al quale non possiamo e non dobbiamo rinunciare (Applausi dei deputati dei gruppi di Forza Italia e dell'Unione dei democratici cristiani e dei democratici di centro).

PRESIDENTE. Sono così esauriti gli interventi previsti per la seduta odierna.
Il seguito della discussione congiunta sulle linee generali è rinviato alla seduta di domani.

Per la risposta ad uno strumento del sindacato ispettivo (ore 19,15).

RENZO INNOCENTI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

RENZO INNOCENTI. Signor Presidente, intervengo per sollecitare il Governo, in particolare il ministro delle comunicazioni, a fornire una risposta alla mia interrogazione n. 3-04726, presentata il 14 giugno di quest'anno.
C'è un preciso motivo per cui mi permetto di sottoporre all'attenzione della Presidenza la necessità di un sollecito. L'interrogazione riguarda un processo di razionalizzazione - così viene definito - che prevede la chiusura di uffici postali e il ridimensionamento significativo del servizio


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postale in provincia di Pistoia, con particolare riferimento agli uffici postali collocati in zone particolarmente disagiate, quali le zone montane.
Sulla base di informazioni assunte, risulterebbe che il Ministero delle comunicazioni, che in base all'accordo di programma dello scorso anno esercita anche le funzioni di autorità di vigilanza sul servizio postale, si accingerebbe nei prossimi giorni e nelle prossime settimane a individuare gli uffici postali da chiudere. In particolare, ve ne è uno che è caratterizzato dal fatto di aver subìto negli ultimi anni una serie di azioni criminali, in particolare tre rapine, e che è stato chiuso un anno fa. La chiusura persistente in una zona montana di un ufficio postale fatto oggetto di rapine, a mio parere, e a parere anche dei cittadini, rappresenterebbe un'abdicazione nei confronti della necessità di garantire il servizio. Vi è, dunque, una doppia motivazione: non solo perché si tratta di una zona disagiata, ma anche perché la mancata riapertura di quell'ufficio postale in località Piazza significherebbe venir meno rispetto ad un dovere che lo Stato credo debba garantire, per mantenere la propria presenza, pur con le dovute e necessarie modificazioni organizzative dell'ufficio.
Non vorrei, signor Presidente, che la risposta pervenisse all'interrogante quando il ministro ha già preso una decisione, come spesso accade. In questo caso, visto che il ministro delle comunicazioni ancora non ha deciso, mi permetto di chiedere alla Presidenza di sollecitare il Governo affinché, prima di decidere, risponda all'interrogazione.

PRESIDENTE. Onorevole Innocenti, la Presidenza trasmetterà la sua sollecitazione al Governo, anche perché sarebbe bene che non l'avessero vinta i rapinatori, rispetto alle poste!

Annunzio di una delibera dell'Autorità garante della concorrenza e del mercato.

PRESIDENTE. Il Presidente dell'Autorità garante della concorrenza e del mercato, con lettera in data 5 dicembre 2005, ha trasmesso, ai sensi dell'articolo 6, comma 9, della legge 20 luglio 2004, n. 215, la delibera del 30 novembre 2005, con la quale l'Autorità ha dichiarato che la carica di consigliere regionale è incompatibile, ai sensi dell'articolo 2, comma 1, lettera a), della legge n. 215 del 2005, con la carica di governo di sottosegretario di Stato al Ministero della salute, entrambe ricoperte dal dottor Domenico Zinzi.
La predetta delibera è a disposizione degli onorevoli deputati presso gli uffici della segreteria generale.

Ordine del giorno della seduta di domani.

PRESIDENTE. Comunico l'ordine del giorno della seduta di domani.

Martedì 13 dicembre 2005, alle 9,30:

1. - Seguito della discussione congiunta dei disegni di legge:
S. 3613 - Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato (legge finanziaria 2006) (Approvato dal Senato) (6177-A).

S. 3614 - Bilancio di previsione dello Stato per l'anno finanziario 2006 e bilancio pluriennale per il triennio 2006-2008 (Approvato dal Senato) (6178-A).

Nota di variazioni al bilancio di previsione dello Stato per l'anno finanziario 2006 e bilancio pluriennale per il triennio 2006-2008 (6178-bis).

Seconda nota di variazioni al bilancio di previsione dello Stato per l'anno finanziario 2006 e bilancio pluriennale per il triennio 2006-2008 (6178-ter).
- Relatori: Garnero Santanchè, sul disegno di legge 6177-A e Peretti sul disegno di legge 6178-A e relative note di variazioni, per la maggioranza; Morgando, di minoranza.


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2. - Seguito della discussione del disegno di legge (con votazioni a partire dalle ore 15,30):
S. 3614 - Bilancio di previsione dello Stato per l'anno finanziario 2006 e bilancio pluriennale per il triennio 2006-2008 (Approvato dal Senato) (6178-A).

Nota di variazioni al bilancio di previsione dello Stato per l'anno finanziario 2006 e bilancio pluriennale per il triennio 2006-2008 (6178-bis).

Seconda nota di variazioni al bilancio di previsione dello Stato per l'anno finanziario 2006 e bilancio pluriennale per il triennio 2006-2008 (6178-ter).
- Relatori: Peretti, per la maggioranza; Morgando, di minoranza.

La seduta termina alle 19,20.

TESTO INTEGRALE DELL'INTERVENTO DEL DEPUTATO PIETRO TIDEI IN SEDE DI DISCUSSIONE CONGIUNTA SULLE LINEE GENERALI DEI DISEGNI DI LEGGE NN. 6177 E 6178 E RELATIVE NOTE DI VARIAZIONI

PIETRO TIDEI. Signor Presidente, onorevoli colleghi, difficile, se non impossibile, rintracciare spunti positivi in questa finanziaria 2006. Con coscienzioso realismo, si tratta infatti di una manovra che non garantisce sviluppo, non incentiva l'occupazione e non applica soluzioni strategiche per sanare il deficit dello Stato. Soprattutto, è una manovra che, a dispetto delle dichiarazioni trionfaliste del premier e del ministro Tremonti, si abbatterà come una scure sulle tasche degli italiani. E queste non sono le avventurose considerazioni di chi si diletta a prevedere catastrofismi, ma le obiettive riflessioni che maturano spontanee da una attenta analisi dei conti pubblici e della stessa manovra economica del Governo; riflessioni che testimoniano, in tutti i settori strategici dello Stato, un dato di fatto lapalissiano: quattro anni di governo di centrodestra si sono rivelati fallimentari.
Partiamo da un dato emblematico per offrire un valido riscontro a questa mia affermazione; un dato su cui ruota poi l'intera impostazione di questa Finanziaria, ovvero la spesa corrente primaria dello Stato. Nel 2001, al termine dei cinque anni di governo del centrosinistra, era pari al 37,9 per cento del PIL; una quota, sebbene di poco, comunque inferiore a quella ereditata dal Governo Prodi nel 1996. Ebbene, nel 2004, dopo tre anni di finanze affidate al ministro Tremonti, è salita al 39,3 per cento; nel 2005, dopo un anno di gestione Siniscalco, è arrivata addirittura al 40,2 per cento. Di fatto in quattro anni la spesa corrente primaria è aumentata del 2,3 per cento, che tradotto in moneta significa 30 miliardi di euro.
Come intende rispondere oggi il riassunto ministro Tremonti di fronte a questa pericolosa zavorra per i conti pubblici? Ancora una volta con una finanziaria infarcita di una tantum, forse condoni, e nessun reale intervento strutturale a lungo termine. Il tutto condito da tagli indiscriminati di cui si rendono vittime in primo luogo gli enti locali, secondo una logica assolutamente inaccettabile, perché la strategia del Governo è ormai chiara: non assumersi nessuna responsabilità per gli sbagli compiuti in questi anni, scaricando sugli enti locali non solo l'onere di sanare i conti pubblici, ma addirittura il compito di far ripercuotere sui cittadini le uniche due soluzioni a disposizione, entrambe sciagurate, per non mandare in dissesto finanziario un ente locale, ovvero aumentare le imposte oppure tagliare i servizi. Scelte che obbligano comunque i cittadini a mettere mano al portafogli. Ecco dunque svelato l'inganno di chi afferma che questa Finanziaria non toccherà le tasche degli italiani. Un inganno a cui fanno da corollario altre gravi bugie proprio in merito ai tagli inferti agli enti locali. Analizziamoli attentamente: si tratta di quasi 3 miliardi di euro di minori spese, di cui 1,9 miliardi ricavati da comuni e province, e 1,1 miliardi dalle regioni. Vengono confermate le


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regole del patto di stabilità interno dettate dalla finanziaria dello scorso anno e ne risulta che per i comuni il taglio alle spese è del 6,7 per cento. Ma hanno ragione da vendere i sindaci quando affermano che questo dato, già esorbitante, è calcolato in difetto. Se infatti consideriamo che la legge finanziaria per il 2005 prevedeva per l'anno successivo un incremento di spesa del 2 per cento, i tagli effettivi della finanziaria per il 2006 ammontano all'8,7 per cento. Tagli confermati anche per l'anno 2007, per il quale sono indicati minori spese per lo 0,3 per cento cui va aggiunto sempre un 2 per cento di riferimento del 2005 che porta i tagli al 2,3 per cento. Nel 2008, invece, vengono indicate maggiori spese per un 1,9 per cento rispetto al complesso del 2007. Ma si tratta solo di previsioni, non suffragate da nessuna certezza, come era una previsione quel 2 per cento in più calcolato dalla finanziaria 2005 per il 2006 che invece si è tramutato in meno 6,7 per cento. È evidente che questo Governo naviga a vista e si affida solamente alla buona sorte, sordo a qualunque richiesta di concertazione o revisione di scelte discutibili; ma soprattutto, impassibile e arrogante anche di fronte a sentenze costituzionali che evidenziano in modo inequivocabile l'illegittimità dell'impianto stesso su cui si fonda l'asse portante di questa legge finanziaria. La riprova eclatante è arrivata in tal senso dalla sentenza con cui la Corte costituzionale ha bocciato il decreto «taglia spese» del luglio 2004, specificando a chiare lettere che si è lesa l'autonomia delle regioni laddove si è imposto loro su quali capitoli specifici eliminare le spese. Di fronte ad una sentenza come questa che, lo ripeto, sconfessa platealmente l'impostazione della finanziaria, qualunque normale Governo avrebbe accettato di rivedere la legge, correggendo quegli aspetti ritenuti incostituzionali. Invece abbiamo assistito a reazioni di assoluta indifferenza, con il ministro Tremonti che è arrivato finanche ad affermare che questa sentenza non intacca in nulla e per nulla la finanziaria 2006. Dobbiamo dedurre che per lui sono più autorevoli e sensati i pareri di qualche amico giurista che non le sentenze della Corte costituzionale; davvero un modo bizzarro di concepire lo Stato e la giustizia, anche se sappiamo bene che la Lega ci ha abituato a molto peggio in questi anni. Dunque si va avanti come se niente fosse; la finanziaria non subisce la benché minima modifica e il ministro continua a rassicurarci che «tutto va bene, la manovra è efficace, bisogna essere ottimisti e non cadere nel catastrofismo».
Ma i conti pubblici non si controllano con gli scongiuri, né con gli inganni. Infatti nei tagli agli enti locali, che il Governo ha deciso di lasciare totalmente immutati, è celata una seconda bugia, laddove il ministro Tremonti continua a ripeterci che da questa sforbiciata sono assolutamente esentate le spese a carattere sociale. Ma non è così. L'articolo 22 della legge finanziaria, comma 4, lettera d) specifica testualmente che le spese sociali escluse dalle riduzioni di spesa sono quelle «che risultano dalla classificazione per funzioni, prevista dal regolamento di cui al decreto del Presidente della Repubblica n. 194 del 31 gennaio 1996 ». Ebbene, in questa classificazione non sono comprese categorie di spese per servizi sociali di primaria importanza, come istruzione e formazione; servizi per la cultura e i beni culturali quali biblioteche, musei e pinacoteche; servizi turistici, sportivi e ricreativi; trasporti pubblici locali; viabilità e urbanistica; parchi naturali; rilevamento, disciplina e controllo degli scarichi delle acque e delle emissioni atmosferiche; funzioni nel campo della tutela ambientale; servizi di protezione civile; servizio mensa nelle scuole e altro ancora. L'elenco potrebbe continuare. A ciò deve aggiungersi poi il taglio di 504 milioni di euro al Fondo sociale delle regioni; soldi che erano stati inseriti nella finanziaria 2005 e che nel giro di un anno si sono letteralmente vaporizzati. In pratica questo Governo è riuscito nella comica impresa di smentire se stesso a distanza di soli dodici mesi, dopo che svariati ministri, esponendosi in prima persona, avevano dato la loro parola che questi soldi sarebbero stati trasferiti.


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E sappiamo bene che il Fondo sociale viene impiegato dalle regioni per la gestione degli asili nido, della disabilità, degli anziani, della tossicodipendenza, degli indigenti. Qui pertanto non ci sono giustificazioni o artificiosi rimandi a tabelle 10 del decreto n. 194 per celare l'inganno. Si tratta di servizi sociali indispensabili dove troviamo 504 milioni di euro in meno: una cifra che fa rabbrividire. Qualcuno, a questo punto, vuole forse raccontarci che le spese sociali non sono intaccate dalla finanziaria!
Le cose non vanno meglio per il tetto di spesa alle risorse in conto capitale, giacché il patto di stabilità viene ad interessare anche queste. L'ammontare complessivo non potrà superare per il 2006 il totale del 2004 aumentato del 10 per cento per i comuni e del 6,9 per le regioni, mentre per gli anni 2007-2008 l'aumento rispetto all'anno precedente non potrà superare il 4 per cento. Questo dato rende bene l'idea dell'assenza di strategie a lungo termine, che inutilmente continuiamo a rimproverarvi, mirate a rilanciare lo sviluppo del paese. La spesa in conto capitale rappresenta infatti lo strumento più dinamico per la spesa degli enti decentrati, soggetta a variazioni di ampio respiro difficilmente ingabbiabili in rigidi parametri di stabilità; questo perché da essa dipendono gli interventi strutturali e gli investimenti più significativi per una comunità a cui sono vincolati spesso il reale miglioramento della qualità della vita e le concrete possibilità di incidere positivamente su sviluppo e occupazione. Solo nel 2004, per intenderci, il 74 per cento degli investimenti pubblici è stato realizzato dalle istituzioni locali. Porre rigidi limiti e paletti alla spesa in conto capitale significa impedire sul nascere quel rilancio economico del paese che solo da una omogenea e sostenuta azione degli enti locali può prendere corpo. Abbiamo tentato di avanzare proposte: ad esempio lo spostamento del riferimento del tetto alla spesa media di un triennio o quinquennio precedente; l'esclusione dal patto di stabilità dei piccoli comuni; l'aumento della spesa di investimento in virtù di maggiori entrate tributarie o di partecipazioni azionarie; l'esclusione dalle spese sottoposte al tetto di quelle necessarie per il cofinanziamento di opere pubbliche relative a bandi per obiettivi comunitari; l'attuazione dell'articolo 119 della Costituzione sul federalismo fiscale attraverso il trasferimento dallo Stato alle autonomie locali e regionali di tributi per finanziare le funzioni loro attribuite. Proposte tuttavia rimaste inascoltate. L'unico consistente aiuto che questa finanziaria concede agli enti locali è il 30 per cento delle somme riscosse a titolo definitivo nella lotta all'evasione fiscale. Una concessione significativa, che cozza tuttavia anche in questo caso contro una realtà tutt'altro che rosea ed appetibile rispetto a quella prospettata. Compartecipare alla lotta all'evasione comporta infatti per un comune la disponibilità di ingenti risorse umane e finanziarie, oltre che strumenti adatti all'operazione e adeguata formazione, ovvero una spesa di partenza che, in mancanza di certezze sugli effettivi introiti, pochissime amministrazioni si sentirebbero di azzardare, in quanto ogni investimento sarebbe vincolato ad ipotetici e futuri ritorni economici.
Ecco dunque che il filo conduttore di questa finanziaria riappare costante: l'affidamento su positivi auspici nel tempo futuro. E questo sarebbe il nuovo miracolo italiano? Di miracoloso, probabilmente, c'è solo la permanenza al Governo di una coalizione che ha dimostrato di non riuscire a governare il paese. Ed appare peraltro piuttosto grottesco concentrare oggi tutta questa attenzione sulla lotta all'evasione dopo che per anni avete incentivato l'illegalità con condoni e premi per chi aveva costruito abusivamente, esportato capitali all'estero evadendo il fisco, falsato bilanci e quant'altro. Per questo, a fronte di questi semplici numeri ed esempi che ho elencato, l'accusa del ministro Tremonti agli enti locali di sperperare il denaro pubblico e l'invito a tagliare questi sprechi (come feste, cene e addirittura auto blu) suona come una inaccettabile offesa nei confronti degli amministratori italiani. Sono sindaco della città di Santa Marinella, che conta circa


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quindicimila abitanti, e sono presidente da oltre cinque anni della Lega delle autonomie locali del Lazio, che associa quasi duecento enti locali della regione. Mi confronto quotidianamente con le difficoltà di sindaci, presidenti di comunità montane e università agrarie che spesso non contano nemmeno mille abitanti, ed è noto che il 70 per cento dei comuni italiani ha una popolazione al di sotto dei cinquemila abitanti. Ricevo ogni giorno il grido d'allarme di amministratori che spesso si portano direttamente da casa la carta per le fotocopiatrici, che chiedono collette tra i genitori per riparare le perdite d'acqua nelle scuole, che rinunciano a corsi di formazione per personale dipendente perché non possono permettersi l'assenza dei talvolta unici dirigenti assunti in un Ente, che non riescono a stanziare 200 euro per l'assistenza ad un bambino malato o ad un anziano solo, che girano tutti insieme, a turno, con la stessa utilitaria in dote al comune da dieci anni. Ma in quale paese vive il ministro Tremonti? Ma dove vede lo spreco di auto blu? Forse nei ministeri di questo Governo. Personalmente vedo invece quotidianamente la disperazione di sindaci e amministratori che spesso sopperiscono in svariati modi alla mancanza di soldi degli enti locali. Voglio ricordare come negli ultimi anni comuni, province, regioni, comunità montane, università agrarie, hanno contribuito con grande efficacia e responsabilità al processo di risanamento dei conti pubblici, rispettando nel 97 per cento dei casi il patto di stabilità, come autorevolmente certificato dalla Corte dei conti, sobbarcandosi con ammirevole determinazione e spirito di sacrificio i tagli economici e le normative penalizzanti imposte dallo Stato, dal tetto alle spese, all'inserimento della spesa in conto capitale nel patto di stabilità interno, dal limite di indebitamento, al blocco di ricorso alle addizionali Irpef. Contemporaneamente ad un accrescimento delle competenze, si è assistito a limitazioni e vincoli senza precedenti che hanno inficiato come non mai la libertà di azione degli enti locali. Fino all'ignominioso tentativo di azzerare le comunità montane che solo la veemente reazione dell'UNCEM ha per ora scongiurato, fermo restando lo sciagurato azzeramento del fondo nazionale per la montagna previsto da questa finanziaria.
Ma c'è un dato che più di ogni altro rende bene l'idea di come questo Governo stia procedendo da anni a sperperi e soluzioni senza logica, a tutto discapito dei milioni di cittadini comuni costretti poi a subire sulla propria pelle l'ingiustizia di certe scelte. Tutti ricordano la riduzione dell'aliquota Irpef voluta lo scorso anno dal Presidente Berlusconi; una riduzione ammontante complessivamente a 6,2 milioni di euro, di cui si è voluto far beneficiare tutti i cittadini senza nessuna distinzione, introducendo dunque la riduzione delle tasse anche per i redditi superiori ai 100 mila euro. Tale riduzione indiscriminata ha fatto sì che il risparmio medio annuale per ogni famiglia italiana sia stato alquanto modesto, circa 150 euro, a fronte di spese ben maggiori per il consistente aumento del costo di molti servizi. Ecco dunque che anche in questo caso ci troviamo di fronte all'ennesima soluzione priva di strategia da parte di questo Governo; voglio far notare che 6,2 milioni di euro di indiscriminata riduzione Irpef rappresentano la somma dei tagli ad enti locali e sanità per l'anno 2006. Non si poteva allora impiegare diversamente questi soldi, utilizzandoli magari per interventi strutturali di miglioramento dei servizi pubblici che a lungo termine garantirebbero risparmi molto più cospicui di 150 euro annuali per ogni italiano? Assolutamente no. Si è pensato bene di equiparare ricchi e poveri facendo risparmiare soldi anche a chi guadagna oltre 200 milioni delle vecchie lire. Si tratta di una palese ingiustizia sociale che vale più di qualunque altro esempio per dimostrare il vostro inefficace e demagogico sistema di governo. Questi tagli, ministro Tremonti, si potevano tranquillamente evitare, e senza alcuno sforzo elucubrante di finanza creativa. Bastava semplicemente meno demagogia elettorale.
È su questi dati e queste scelte che occorre una seria analisi, per comprendere


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che le ragioni della crisi sono da ricercarsi in realtà nelle scelte sbagliate adottate dal Governo. Come Lega delle autonomie locali abbiamo avanzato proposte: ad esempio escludere come nel 2005 i comuni da 3000 a 5000 abitanti e le comunità montane fino a 50.000 abitanti dal vincolo del patto di stabilità; prevedere un fondo speciale per i piccoli comuni, le comunità montane e l'associazionismo al fine di assicurare contributi non inferiori al 2004; cancellare i vincoli nell'applicazione dell'addizionale Irpef ed assicurare l'autonomo e pieno utilizzo degli oneri di urbanizzazione; ripristinare al 25 per cento il livello possibile di indebitamento per gli investimenti degli enti locali; avviare misure di federalismo fiscale con compartecipazioni ai cespiti erariali - Irpef ed IVA - che non siano un semplice trasferimento erariale ma una previsione di fiscalità locale dinamica; accorpare nell'ICI tutte le imposte sugli immobili, destinandone il gettito agli enti locali e impegnandoli nella gestione delle funzioni catastali; prevedere interventi di risanamento delle aziende di trasporto pubblico, con una compartecipazione alle accise sui carburanti; prorogare al 31 dicembre 2006 i termini di accertamento dell'ICI limitatamente alle annualità di imposta 2001 e successive. Ci sarà la volontà di discuterle e accettarle o si proseguirà nell'abusato e propagandistico spot elettorale «l'opposizione è senza proposte»? La sensazione è l'opposta, ovvero che sia proprio il Governo a non avere proposte.
Ho approfondito ora il tema degli enti locali, ma basta osservare altri settori strategici nella vita del paese per comprendere la gravità della situazione: ad esempio sanità, ricerca, ambiente, cultura, istruzione, trasporti, occupazione. In tutti questi settori la finanziaria prevede tagli. Il Presidente Berlusconi promise, come tutti ben ricordano, un milione di posti di lavoro e continua a ripetere che l'occupazione cresce. Non capiamo esattamente dove e, soprattutto, in che termini. Di sicuro non nella pubblica amministrazione, dove la finanziaria si abbatte come una scure con 984 milioni di euro da risparmiare. Una norma introduce infatti un limite di spesa per i lavoratori precari delle pubbliche amministrazioni pari al 60 per cento di quella registrata nel corso dell'anno 2003. Attualmente, secondo stime del Ministero dell'economia, sono impiegati presso enti locali, sanità e regioni circa 63.000 dipendenti a tempo determinato e circa 50.000 co.co.co. Questo significa che per la riduzione di spesa della finanziaria saranno licenziate 45.000 persone. Non solo. Per la pubblica amministrazione centrale il taglio comporterà licenziamenti per diecimila persone a tempo determinato e 17.000 co.co.co. Il totale complessivo quindi è di 72.000 licenziamenti previsti per il 2006.
Onorevoli colleghi, io credo che su questi dati sia veramente giunto il momento di aprire una seria riflessione, soprattutto per il fatto che la stragrande maggioranza dei lavoratori precari sono giovani compresi tra i 25 e i 35 anni. E la riflessione deve aprirsi sulle garanzie di vita che lo Stato sta offrendo alle giovani generazioni; garanzie che si stanno sempre più assottigliando, trasformandosi in semplici speranze, peraltro poco ottimiste. E su questa collettiva incertezza di fondo pesa come un macigno la legge n. 30 che questo Governo ha ciecamente voluto, sordo a critiche e proteste, e che sta miseramente fallendo abbassando drasticamente il livello di povertà dei giovani. Ammettiamolo: la flessibilità auspicata da questa legge si è trasformata ovunque in precariato e questi 72.000 licenziamenti nella sola pubblica amministrazione ne sono una eclatante riprova. Il lavoro è precario, l'emergenza abitativa dilagante, i costi e gli affitti delle case insostenibili, la possibilità di una pensione dignitosa praticamente una incognita. Torno a chiedere: quali sono le garanzie di vita che stiamo offrendo ai nostri giovani? Qual è il futuro che gli stiamo prospettando? Possibile che sia solo colpa delle «sfavorevoli congiunture economiche internazionali?» Gli stanziamenti per il Fondo nazionale per gli affitti sono scesi in quattro anni da 336 a 217 milioni di euro; alle regioni è stata trasferita la competenza in materia della


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politica della casa ma non sono stati trasferiti i fondi; alcuni decreti-legge, come quello n. 86 del 2005, volto a fronteggiare l'emergenza abitativa con misure straordinarie, sono rimasti inattuati. Possibile che non si comprenda la necessità di interventi strutturali anziché l'ennesima riproposizione di una tantum puramente elettorali, come gli incentivi alle giovani coppie per l'acquisto di una casa limitati ad un solo anno? Più intelligente sarebbe stato avviare serie contrattazioni con le banche per facilitare realmente l'accensione di mutui per la casa alle giovani coppie; oppure prevedere uno sgravio per l'ICI sulle case delle coppie da poco sposate. Niente di tutto ciò. Anzi, si è pensato bene di esentare dall'ICI gli edifici cattolici, solo per raccogliere qualche voto in più. L'ultimo spot elettorale del Presidente Berlusconi è stato quello di «una casa per tutti ». Stupisce non poco che il premier si sia accorto solamente ora dell'emergenza abitativa. In cinque anni, mentre lui si edificava una sontuosa villa in costa Smeralda, i prezzi delle case sono triplicati, senza che il Governo abbia mai battuto ciglio, senza che mai si sia avviata una seria politica di abbattimento dei costi delle case. Non è pensabile che oggi una abitazione di 80 metri quadrati costi mezzo miliardo delle vecchie lire. Ciò significa condannare all'indebitamento a vita milioni di giovani. Qualcuno deve spiegarci, quando afferma che il Governo sostiene le famiglie, come si pensa di aiutare i giovani a sposarsi quando sette contratti di lavoro su dieci sono ormai sistematicamente a progetto. Avete la reale percezione di cosa significhi per un giovane con contratto a progetto presentarsi in banca per chiedere un mutuo e vedersi sbattere ogni porta in faccia? La realtà è che all'odiosa ma spesso efficace soluzione del «togliere ai padri per dare ai figli» cinque anni di Governo Berlusconi hanno sostituito quella del «togliere ai padri, ai figli e anche ai nipoti».
Abbiamo di fronte problemi di estrema gravità, per la cui soluzione non è più consentito attendere. Bisogna agire nell'immediato e dare risposte istantanee. Ma questa finanziaria, in tutta la sua struttura, affida ogni soluzione al futuro, rimandando sempre gli oneri ai governi che verranno. Ho già esposto alcuni esempi; voglio citarne altri due, perché li ritengo emblematici di questa irresponsabile politica del futuro: nella finanziaria 2005, in un settore strategico come quello dei trasporti, si prevedeva un apporto dello Stato al capitale sociale delle FS Spa di 400 milioni di euro per il 2005, 4000 per il 2006 e 6.300 per il 2007; la finanziaria 2006 ha così rimodulato tale apporto: zero euro per il 2006, 850 mila euro per il 2007 e 850 mila euro per il 2008. In pratica dai 10.300 milioni di euro previsti in tre anni nel 2004 si è passati ad appena 1.700 milioni, di cui per ora nessuno realmente disponibile. Altro esempio, il recente emendamento sugli aiuti ai paesi poveri: si erano inizialmente previsti 400 milioni di euro, già il 25 per cento in meno rispetto allo scorso anno; l'emendamento del senatore Azzolini questi 400 milioni di euro sono stati portati ad appena 56; per il 2007 il finanziamento diventa di 70,3 milioni anziché i 390 previsti, e per il 2008 di 76 milioni invece dei 380 stimati. Non c'è solo una mancanza di strategia e intelligenza nel capire che il problema dell'immigrazione si risolve soprattutto aiutando dal loro interno i paesi poveri. Esiste anche un problema etico: mi domando infatti che paese siamo diventati se ormai non vogliamo più investire nemmeno sulla solidarietà e sulla pace, preferendo destinare maggiori risorse al Ministero della difesa per la professionalizzazione dell'esercito, per il finanziamento di missioni militari e per il rifinanziamento della nostra permanenza armata in Iraq, dove forse vale la pena ricordare che la democrazia è stata esportata scaricando quintali di fosforo sui civili. In compenso per quanto riguarda la ricerca abbiamo tagli per il 65 per cento, per lo spettacolo di 267 milioni di euro, per la sanità di 2,5 milioni di euro; per la cultura, la scuola e ambiente, poi, i tagli sono tutti a tre cifre.
La triste realtà è che la capacità di semplice sopravvivenza nel nostro paese si sta spaventosamente abbassando per milioni


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di cittadini. I lavoratori sono preoccupati, gli studenti sono preoccupati, i pensionati sono preoccupati, gli anziani sono preoccupati, i giovani sono preoccupati. Altro che ottimismo! Questi sono i reali problemi da risolvere. È sulle difficoltà di vita quotidiane che gli italiani attendono risposte. Chiediamoci veramente se oggi, tra le famiglie che non riescono ad arrivare a fine mese, l'aspettativa principale sia l'approvazione della legge elettorale, della ex Cirielli o della devolution.
Onorevole Presidente, onorevoli colleghi, io non sono tra coloro che dividono categoricamente i politici in buoni e cattivi, a seconda degli schieramenti politici, e non ritengo assolutamente che in una coalizione stia il bene e in un'altra il male. Sarebbe una profonda mancanza di rispetto nei confronti delle istituzioni e di ogni uomo politico che, come me e come tutti in quest'aula, dedicano energia e impegno per migliorare la vita del nostro paese. Perché la piena fiducia sulla lealtà dell'avversario politico rappresenta la radice fondante della nostra democrazia. Ma oggi è evidente una differenza tra chi, come il centrodestra, sta governando nell'interesse di pochi, e chi, come il centrosinistra, vuole governare nell'interesse di tanti. Questa è la vera e profonda differenza che oggi ci divide e irreparabilmente ci allontana; ed è per questo che, sono convinto, questa finanziaria sarà probabilmente approvata con il solito colpo di maggioranza; ma su questa strada l'attuale maggioranza non andrà molto lontano.