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PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca la discussione congiunta dei disegni di legge, già approvati dal Senato: Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato (legge finanziaria per il 2006); Bilancio di previsione dello Stato per l'anno finanziario 2006 e bilancio pluriennale per il triennio 2006-2008; Nota di variazioni al bilancio di previsione dello Stato per l'anno finanziario 2006 e bilancio pluriennale per il triennio 2006-2008; Seconda nota di variazioni al bilancio di previsione dello Stato per l'anno finanziario 2006 e bilancio pluriennale per il triennio 2006-2008.
Avverto che lo schema recante la ripartizione dei tempi
per la discussione congiunta sulle linee generali è pubblicato in calce al vigente calendario dei lavori dell'Assemblea (vedi calendario).
PRESIDENTE. Dichiaro aperta la discussione congiunta sulle linee generali.
Avverto che i presidenti dei gruppi parlamentari di Rifondazione comunista e
della Margherita, DL-L'Ulivo ne hanno chiesto l'ampliamento senza limitazioni nelle iscrizioni a parlare, ai sensi dell'articolo 83, comma 2, del regolamento.
Avverto altresì che la V Commissione (Bilancio) si intende autorizzata a riferire oralmente.
Il relatore per la maggioranza sul disegno di legge n. 6177, onorevole Garnero Santanchè, ha facoltà di svolgere la relazione.
DANIELA GARNERO SANTANCHÈ, Relatore per la maggioranza sul disegno di legge n. 6177. Signor Presidente, onorevoli colleghi, iniziamo oggi la discussione del disegno di legge finanziaria su cui si è svolto in Commissione bilancio un esame approfondito molto impegnativo.
La Commissione è stata occupata nelle scorse settimane da un confronto molto serrato. Abbiamo lavorato intensamente, ricorrendo anche a sedute notturne, spinti dalla convinzione che non si dovesse rinunciare alla possibilità di intervenire per migliorare quello che rimane il provvedimento più importante di un intero anno: la legge finanziaria.
Si è svolta una discussione che ha coinvolto tutte le forze politiche, di maggioranza e di opposizione, e che ha coinvolto anche numerosi colleghi di altre Commissioni.
Abbiamo fatto un lavoro molto proficuo, che ci ha permesso di apportare numerose modifiche migliorative e consistenti integrazioni al testo che era stato approvato dal Senato.
Credo di interpretare una sensazione diffusa se rilevo che dall'esperienza di quest'anno esce ancora di più rafforzata la convinzione per cui una riforma della disciplina degli strumenti di bilancio è assolutamente necessaria.
Allo stesso tempo, però, non dobbiamo trascurare il fatto che l'esigenza di assumere tante decisioni importanti in un arco temporale ristretto, qual è quello a disposizione del Parlamento per la definizione della legge finanziaria, costringe tutti quanti, Governo e forze politiche, a uno sforzo aggiuntivo di responsabilità per mettere a fuoco le priorità alla luce della compatibilità, e per superare quella tendenza, molto diffusa nel nostro paese, a temporeggiare e a rinviare.
Insomma, se è vero che l'iter della finanziaria si conferma particolarmente convulso, è altrettanto vero che, paradossalmente, la legge finanziaria rimane lo strumento più efficace a disposizione del legislatore.
Dobbiamo allora domandarci se non si debba avviare un confronto per un riesame più generale delle riforme e delle procedure che regolano l'attività legislativa, e non soltanto la legge finanziaria, in modo da valorizzare i diversi strumenti a disposizione.
Fatta questa premessa di carattere generale, devo rilevare che nel caso specifico della legge finanziaria 2006, il lavoro che abbiamo svolto in Commissione ha permesso di affrontare e anche di risolvere numerosissimi problemi, tutt'altro che microsettoriali. Mi riferisco in primo luogo alle norme che sono state introdotte per rafforzare l'efficacia degli strumenti di controllo della spesa, ma anche alla modifiche apportate alle disposizioni riguardanti il patto di stabilità interno. Allo stesso modo, sono stati fatti numerosi interventi per quanto riguarda il comparto del welfare, con particolare riguardo alla famiglia e senza trascurare le disposizioni finalizzate ad offrire strumenti utili per una ripresa dell'economia.
La manovra finanziaria del 2006 si è articolata, oltre che nella legge finanziaria, anche nel decreto-legge n. 203 del 2005, recentemente convertito in legge. È una manovra coraggiosa, in cui prevalgono gli interventi correttivi rispetto a quelli espansivi.
L'Europa e i mercati finanziari ci hanno sollecitato a dimostrare la nostra serietà. Il Governo e questa maggioranza non si sono sottratti e hanno risposto a queste sollecitazioni. Come hanno ammesso anche autorevoli rappresentanti dell'opposizione, la manovra è estremamente rigorosa e non ha assolutamente quel profilo elettoralistico che secondo alcuni critici avrebbe inevitabilmente connotato
l'ultima finanziaria prima delle elezioni, a differenza - lo devo sottolineare - di quanto accaduto invece con la legge finanziaria approvata nell'ultimo anno della precedente legislatura.
L'onorevole Visco, in particolare, ha manifestato in Commissione un certo stupore per la scelta del Governo di porre in essere una manovra di contenimento piuttosto che di espansione della spesa, rilevando che in questo modo si sarebbe determinata una vera e propria inversione di tendenza rispetto agli anni precedenti, in cui l'attuale maggioranza e il Governo avrebbero, a giudizio dell'onorevole Visco, dimostrato scarsa sensibilità per l'esigenza della tenuta dei conti pubblici.
Naturalmente non posso condividere questo giudizio, in primo luogo perché la difficoltà di rispettare i parametri di Maastricht accomuna, prima di tutto, la Francia e la Germania, e poi l'Italia. Sarebbe allora opportuno che anche la nostra opposizione cominciasse a interrogarsi sulle ragioni per cui i maggiori paesi dell'UE vivono le stesse o comunque analoghe difficoltà, sia dal punto di vista dell'economia reale sia per quanto riguarda la finanza pubblica, e non limitarsi a descrivere invece con toni catastrofici la condizione dei nostri conti pubblici, che certamente è difficile, ma che questo Governo e questa maggioranza hanno saputo tenere sotto controllo.
In realtà, la manovra molto stringente di contenimento della spesa che è stata posta in essere con la legge finanziaria in esame è pienamente riconducibile agli obiettivi di politica economica che questo Governo e questa maggioranza stanno perseguendo sin dall'inizio della legislatura. Si tratta, in sostanza, di affrontare seriamente il problema, che a mio avviso è il problema dei problemi, della spesa pubblica, per smentire il luogo comune per cui il suo andamento risponderebbe sempre e comunque a logiche inerziali per la sua crescita, e sarebbe un fatto pressoché inevitabile.
La decisione di affrontare il nodo della spesa pubblica deriva in primo luogo dalla convinzione per cui non è più accettabile un ulteriore incremento della pressione fiscale, che deve anzi proseguire il percorso di discesa avviato, nonostante tutte le difficoltà finanziarie, in questa legislatura. Siamo infatti convinti che le entrate non debbano inseguire l'andamento della spesa. Allo stesso tempo, siamo convinti del fatto che la composizione della spesa deve cambiare, per cui la spesa va indirizzata verso le forme di impiego in grado di produrre effetti positivi sullo sviluppo dell'economia.
Ridurre la spesa pubblica nel nostro paese è sicuramente un'operazione molto difficile, perché immediatamente si scatenano le reazioni dei vari settori che lamentano sempre con toni tragici danni irreversibili, quando per lo più si tratta invece di intaccare privilegi. In una società fortemente «corporativizzata» come quella italiana ci vuole una buona dose di coraggio per affrontare questo tema, e questo coraggio lo hanno avuto sia il Governo sia la maggioranza del Parlamento. E allora mi domando se la nostra opposizione avrebbe avuto lo stesso coraggio e sarebbe stata in grado, soprattutto in una situazione economica difficile, di avviare le impegnative riforme strutturali, come quella del mercato del lavoro e quella previdenziale.
Questa convinzione ci ha indotto ad inserire nel testo del disegno di legge finanziaria, nel corso dell'esame in Commissione, in accordo con il Governo, alcune misure dirette a responsabilizzare ulteriormente i centri di spesa ad un comportamento che deve essere più rigoroso e ad una maggiore responsabilità, anche attraverso un più attivo coinvolgimento della Corte dei conti, con la quale la Commissione ha avviato un proficuo rapporto. In questo modo, otterremo l'ulteriore vantaggio di un costante monitoraggio dell'andamento della spesa a vantaggio oltretutto di quella trasparenza dei conti su cui ha insistito, anche in Commissione, l'onorevole Pennacchi.
Occorre, infatti, valorizzare le strutture a disposizione, piuttosto che inseguire,
come abbiamo letto su alcuni giornali, fantasiose ipotesi di creare nuove autorità per quanto riguarda i conti pubblici.
In qualità di relatore, valuterò positivamente ulteriori iniziative per il contenimento della spesa che dovessero emergere nel prosieguo dell'esame della legge finanziaria.
Per quanto riguarda, invece, gli enti territoriali, siamo convinti che le modifiche che abbiamo apportato rispondano, oltre che ai rilievi avanzati dalla recente sentenza della Corte costituzionale, anche ad una logica di maggiore equità, per cui non si debbono penalizzare quegli enti virtuosi che, nel corso degli anni, hanno rispettato il patto di stabilità.
Abbiamo, quindi, riscritto interamente questa parte della legge finanziaria, definendo regole più flessibili e differenziate a seconda delle dimensioni demografiche e territoriali degli enti, favorendo, in particolare, le spese destinate agli investimenti, per le quali sono stati individuati vincoli meno stringenti in relazione alle risorse che potranno essere reperite mediante l'alienazione di cespiti. Abbiamo, inoltre, provveduto a rifinanziare il fondo per la montagna.
Gli interventi di modifica più corposi che sono stati apportati al testo approvato dal Senato riguardano soprattutto la spesa sociale e, in particolare, la famiglia.
Su questo terreno rivendico con orgoglio il lavoro che abbiamo svolto in Commissione. Abbiamo insistito affinché si rafforzasse una connotazione sociale di questa legge finanziaria, perché siamo convinti che siano soprattutto i nuclei familiari che hanno dovuto affrontare i sacrifici più pesanti per il rialzo dei prezzi che si è registrato dopo l'introduzione dell'euro e soprattutto per il protrarsi di una bassa crescita dell'economia.
Sono a tutti noti le difficoltà e gli ostacoli che incontrano, in particolare, le giovani coppie che vogliono costruire una famiglia. Il livello bassissimo del tasso di natalità che si registra nel nostro paese - praticamente il più basso tra i paesi sviluppati - costituisce il più preoccupante indicatore di una condizione di crisi che non investe soltanto la sfera economica e che ha una valenza molto più generalizzata.
Siamo in presenza di un quadro che non sembra offrire sufficienti prospettive ai giovani, i quali, purtroppo, finiscono per investire poco sul loro futuro e per avere scarse possibilità nella crescita.
A soffrire di più in questa situazione - devo dirlo - sono le donne, strette tra la giusta aspirazione a svolgere un ruolo più attivo nella società e nel mondo del lavoro e le difficoltà di far fronte, tutti i giorni, agli impegni nei confronti della famiglia e dei figli, forse per la colpevole assenza di una coerente politica per la famiglia, a differenza di quello che, invece, avviene in altri paesi europei.
Ci auguriamo che le disposizioni che abbiamo introdotto in questo disegno di legge finanziaria possano contribuire a segnare una svolta in tal senso, almeno e soprattutto per quanto riguarda la consapevolezza del legislatore. Mi riferisco alle misure dirette a sostenere le famiglie, mediante la previsione di agevolazioni tributarie, con riferimento alle spese sostenute per le baby sitter o per gli asili nido.
Si tratta di interventi strutturali e non limitati ad una annualità. Per tale motivo abbiamo incrementato sia la dotazione del fondo nazionale per le comunità giovanili sia le risorse per il diritto allo studio e per l'edilizia universitaria. Abbiamo anche previsto uno stanziamento per la prestazione di fideiussioni per l'accensione di mutui volti all'acquisto, da parte dei giovani, della casa di abitazione.
È stato, poi, approvato un emendamento, presentato dal collega Crosetto, diretto a semplificare le procedure per l'alienazione degli immobili degli istituti per le case popolari. Tale emendamento è stato formulato in termini non vincolanti, in modo da rimettere agli enti territoriali interessati le decisioni da assumere in proposito. Si è provveduto anche a rimediare ad una palese ingiustizia modificando la disciplina in materia di tutela e sostegno della maternità per quanto concerne le donne atlete.
A fronte di queste misure, abbiamo previsto l'istituzione di quella che, sugli organi di stampa, è stata descritta, non senza qualche ironia, come la «pornotax». Personalmente, sono orgogliosa della disposizione che è stata inserita nel testo della legge finanziaria e mi auguro che, nel prosieguo dell'esame del provvedimento, tale disposizione non sia posta in discussione. Si tratta, infatti, di una norma che sostanzialmente riproduce un regime già previsto in altri paesi, in particolare nella legislazione francese. Ricordo che la Comunità europea ha respinto un ricorso in cui si asseriva che tale tassa fosse da considerare una duplicazione dell'IVA. La «pornotax» non è una duplicazione dell'IVA, ma piuttosto un tributo speciale su particolari prodotti. Si tratta di una misura che, più che scoraggiare il consumo di prodotti pornografici, è diretta a reperire risorse da destinare a sostegno delle famiglie. Pertanto, la cosiddetta «pornotax» non vuole essere e non è un intervento di carattere moralistico, ma piuttosto il tentativo di definire una politica tributaria anche in funzione di quegli obiettivi di qualificazione della spesa cui ho fatto riferimento in precedenza.
Nell'ambito di questa categoria di interventi, ricordo anche le disposizioni dirette a definire il regime economico dei medici specializzandi, i quali svolgono un'attività molto importante all'interno delle strutture ospedaliere a cui, fino ad oggi, non ha fatto riscontro un corrispondente riconoscimento dal punto di vista economico. Abbiamo così risolto una questione che si trascinava da molti anni e che aveva generato condizioni di diffuso disagio.
Ricordo, inoltre, le disposizioni introdotte per quanto concerne il riparto dei due miliardi di euro destinati alle eccedenze di spesa registratesi negli scorsi anni; a tale riguardo, si è stabilito che si debba fare riferimento al parametro della popolazione. Richiamo, altresì, le disposizioni volte a stabilire che le risorse finanziarie non completamente utilizzate possono essere impiegate per trattamenti di cassa integrazione, di mobilità e di disoccupazione e per azioni di impiego di lavoratori coinvolti in casi di crisi di interi comparti produttivi. Anche in questo caso si tratta di norme volte a garantire il miglior utilizzo delle risorse a disposizione.
Ho già avuto modo di ricordare le norme che sono state introdotte nel testo della Commissione allo scopo di creare tutte le condizioni per una ripresa dello sviluppo. Noi non abbiamo certo la pretesa di innescare un'immediata inversione di tendenza; ci sono tuttavia segnali di una ripresa che, se ancora non è robusta, è comunque incoraggiante. A tale proposito, abbiamo pensato che definire un tessuto normativo che supportasse le prospettive di ripresa potesse risultare utile. Larga parte di queste norme non comportano - desidero precisarlo - lo stanziamento di risorse ingenti.
Le condizioni della finanza pubblica non ci hanno permesso di disporre degli spazi di manovra che sarebbero stati auspicabili. Ciò nonostante, non si tratta comunque di norme meramente ordinamentali, ma piuttosto di disposizioni che sono dirette ad offrire al nostro sistema produttivo alcuni strumenti che potranno risultare utili per la ripresa dello sviluppo. Mi riferisco, in particolare, ad alcune disposizioni che, a suo tempo, la Commissione aveva già inserito nell'ambito del disegno di legge sulla competitività, che era stato approvato in prima lettura dalla Camera ma che, successivamente, si era arenato al Senato. Richiamo, a questo riguardo, le disposizioni volte a sostenere l'internazionalizzazione delle imprese, la realizzazione di interventi turistici di qualità e la previsione di un regime fiscale agevolato per le erogazioni liberali a sostegno dei beni culturali, nonché per quanto riguarda la cosiddetta legge obiettivo per le città.
Sottolineo, per quanto concerne, in particolare, le disposizioni in materia di turismo di qualità, che le stesse vogliono rispondere alle sollecitazioni che sono state avanzate, tra gli altri, dal collega
Ventura, nel corso dell'esame in Commissione, per un'azione più incisiva a favore delle imprese del turismo.
L'onorevole Ventura ha giustamente rilevato l'assurdità della situazione del nostro paese, per cui, nonostante la ricchezza incomparabile dei nostri beni culturali, dei monumenti, e la varietà del paesaggio, la quota di domanda turistica soddisfatta dall'Italia risulta costantemente in riduzione, a vantaggio di alcuni paesi concorrenti, tra cui, in particolare, la Spagna. Lo stesso onorevole Ventura ha giustamente sottolineato che la ripresa del turismo non richiede investimenti particolarmente dispendiosi o l'utilizzo di tecnologie avanzate, ma piuttosto l'adozione di interventi mirati, diretti, in primo luogo, a migliorare la qualità dell'offerta alberghiera.
A queste sollecitazioni, venute non solo dall'onorevole Ventura, ma anche da altri colleghi, durante il dibattito in Commissione bilancio, vogliono rispondere le disposizioni che abbiamo inserito nel testo del disegno di legge finanziaria.
Per quanto riguarda la cosiddetta legge obiettivo per le città, si è inteso prospettare un intervento a valenza generale ispirato all'obiettivo, certamente ambizioso, di concorrere all'avvio di quell'opera di recupero, salvaguardia e valorizzazione delle maggiori aree urbane che risulta necessaria non soltanto per il risanamento delle metropoli del Mezzogiorno, molte delle quali sono in condizioni di degrado, ma anche per le maggiori città del centro e del nord. Negli scorsi decenni, vi è stato sicuramente un grande assente nella politica italiana a livello centrale e locale: è mancata una coerente politica urbanistica che affrontasse in una logica organica la gestione degli spazi, la loro valorizzazione, la creazione di reti efficienti per quanto riguarda il trasporto pubblico e la riconversione e la ricostruzione delle zone non di pregio. Le misure introdotte hanno l'ambizione di rimediare a questo difetto. Se, malauguratamente, non dovesse scaturire nulla di concreto, si sarà trattato, in ogni caso, di una «sana provocazione» alla quale amministratori nazionali e soprattutto locali non potranno più sottrarsi.
Sono stati poi approvati alcuni importanti emendamenti per quanto concerne la gestione di talune partecipazioni pubbliche, con particolare riferimento alla proroga degli affidamenti e delle concessioni per la distribuzione del gas, oltre che in materia di trasporto locale. Sempre in materia di servizi pubblici locali, ricordo la disposizione diretta a promuovere la realizzazione di investimenti per la modernizzazione e la gestione unitaria del servizio idrico integrato nel Mezzogiorno, attraverso la previsione di una consistente riserva premiale, per un importo pari a 300 milioni di euro.
Per concludere, ribadisco che la Commissione ha svolto un lavoro molto consistente, come può evincersi facilmente dalla lettura del testo e dalle dimensioni delle modifiche introdotte.
Abbiamo lavorato in un clima che è stato quasi sempre sereno e, comunque, proficuo, avvalendoci dei contributi e dei preziosi interventi di numerosi colleghi. Abbiamo dimostrato che il Parlamento è in grado di fare proposte concrete, certamente perfezionabili, ma in ogni caso praticabili e meritorie; soprattutto, abbiamo smentito la tesi pessimistica di chi sostiene che ormai nelle decisioni di bilancio il ruolo del Parlamento è del tutto residuale.
Consegniamo, quindi, il lavoro svolto all'attenzione dell'Assemblea e dell'opinione pubblica. Mi auguro - e sarebbe necessario - che nel prosieguo dell'esame le decisioni adottate in Commissione non vengano smentite; ovviamente, sono possibili miglioramenti e correzioni e, a tal fine, come relatore, mi riprometto di lavorare con i colleghi e, soprattutto, con il Governo per verificare quali ulteriori modifiche si possono introdurre. Deve comunque essere chiaro che le modifiche dovranno essere limitate e non dovranno mettere in discussione le scelte più significative che abbiamo operato, in piena consapevolezza, in sede di Commissione bilancio.
Vorrei concludere il mio intervento in modo del tutto personale. Credo che la novità costituita da un relatore donna sulla legge finanziaria non sia un fatto irrilevante; abbiamo, infatti, dimostrato molto concretamente, al di là delle affermazioni di principio, che le donne non sono destinate a svolgere un ruolo marginale, ma possono giustamente rivendicare un ruolo attivo, di tutto rilievo, nei processi decisionali più importanti. Questo è avvenuto grazie alla maggioranza di questo Parlamento (Applausi dei deputati dei gruppi di Alleanza Nazionale, dell'Unione dei democratici cristiani e dei democratici di centro e della Lega Nord Federazione Padana).
PRESIDENTE. Il relatore per la maggioranza sul disegno di legge n. 6178 e relative note di variazioni, onorevole Peretti, ha facoltà di svolgere la relazione.
ETTORE PERETTI, Relatore per la maggioranza sul disegno di legge n. 6178 e relative note di variazioni. Signor Presidente, questo è il quinto ed ultimo disegno di legge di bilancio di questa legislatura. Sono stati cinque anni difficili per i conti pubblici, condizionati da diversi fattori, interni ed esterni alla pubblica amministrazione. Innanzitutto, la bassa crescita che, forse, è il fattore più significativo e più condizionante; noi, infatti, siamo partiti nel 2000 con una crescita del 3 per cento che, via via, è andata diminuendo (0,4 per cento nel 2002, 0,3 per cento nel 2003, 1,2 per cento nel 2004 e una crescita praticamente nulla nel 2005). Va, però, detto - per inciso - che, nonostante la bassa crescita, è aumentata l'occupazione e il tasso di disoccupazione è passato dal 9,1 per cento del 2001 al 7,7 per cento della fine del 2005.
Un altro fattore molto condizionante è il livello del debito, pari a 1.400 miliardi di euro (2 milioni e 800 mila miliardi di vecchie lire), che costano 71 miliardi di euro di bilancio; nonostante ciò, siamo riusciti, in qualche maniera, a passare dal 110,9 per cento del 2001 al 100,6 per cento del 2004, con una ripresa della crescita del rapporto debito-PIL nel 2005.
Un altro fattore condizionante riguarda la struttura del bilancio, che è caratterizzata da una grande rigidità nelle sue componenti più importanti: stipendi, pensioni, interessi, spese di funzionamento e investimento. Quindi, anche questo fattore rende difficile la tenuta dei conti.
Un'ulteriore caratteristica, molto importante, riguarda le decisioni di bilancio che portano, specie in Parlamento, a sovrastimare gli effetti delle misure di risparmio di spesa e di aumento di entrata, e a sottostimare, invece, gli effetti delle misure di aumento di spesa e di riduzione di entrata.
Infine, una difficoltà ulteriore per il contenimento del deficit è data dalla composizione demografica della popolazione, con un aumento della quota di anziani, e da una legislazione sociale particolarmente spostata verso la previdenza. Infatti, in Italia la spesa sociale è per il 64 per cento orientata verso le pensioni, contro il 46 per cento dell'Unione europea, precedentemente all'allargamento. Quindi, nel nostro paese si spende di più per le pensioni e di meno, ad esempio, per la sanità, per i portatori di handicap, per la famiglia, per i figli, per la disoccupazione, per l'abitazione e per contrastare l'esclusione sociale. Tutti questi fattori rendono particolarmente difficile una politica di bilancio che tenda a ridurre il debito ed il deficit.
In termini monetari e di competenza, questo bilancio prevede entrate finali per 384 miliardi di euro e spese finali per 435 miliardi di euro, delle quali la spesa corrente al netto degli interessi è pari a 322 miliardi di euro, la spesa per interessi è pari a 71 miliardi di euro, la spesa in conto capitale è di 41 miliardi di euro e il livello di rimborso di prestiti è di 188 miliardi di euro; il saldo netto negativo da finanziare è di 51 miliardi di euro, il risparmio pubblico negativo è di 16 miliardi di euro, l'avanzo primario è di 20 miliardi di euro e, infine, il ricorso al mercato, al lordo delle regolazioni debitorie, è pari a 243 miliardi di euro.
Le previsioni del bilancio a legislazione vigente, quindi, registrano una sostanziale
stabilità del saldo netto da finanziare rispetto al disegno di legge di assestamento per il 2005, nell'importo di 51 miliardi di euro. Il bilancio a legislazione vigente per il 2006 evidenzia, tuttavia, rispetto al bilancio assestato 2005, una riduzione sia delle entrate finali sia delle spese finali per circa 6,8 miliardi di euro; in particolare, la riduzione di 6 miliardi di euro per le spese finali, rispetto alle previsioni assestate, è determinata da riduzioni di entrate tributarie per 3 miliardi di euro e di entrate extratributarie per 1 miliardo di euro oltre che da una riduzione delle entrate del titolo III, relative alla alienazione e ammortamento dei beni patrimoniali e rimborso di crediti, che diminuiscono anch'esse di 2 miliardi di euro. In questo bilancio è previsto un lieve incremento della spesa per interessi, pari a 217 milioni di euro.
In questi cinque anni, forse i più difficili della storia repubblicana, abbiamo tentato una quadratura difficile, abbiamo cercato di tenere insieme l'equilibrio di bilancio e il mantenimento del livello di spesa sociale e abbiamo cercato anche di assicurare risorse per lo sviluppo. Abbiamo dato alcune risposte in termini di riduzione della tassazione, abbiamo ridotto l'IRPEG, l'IRAP e l'IRPEF. Inoltre abbiamo ridotto il costo del lavoro dell'1 per cento per le imprese, cioè in misura forse insufficiente, ma la direzione di marcia è stata impostata. C'è stato un aumento delle pensioni minime ed un aumento molto consistente della detrazione per i figli, tanto che possiamo pensare di arrivare, in un futuro non molto lontano, al quoziente familiare. È aumentato, infine, il numero delle persone che non pagano l'imposta sul reddito e abbiamo mantenuto un forte carattere di progressività nel sistema fiscale.
Questo è quanto è stato previsto, ed è quanto è stato possibile: del resto, l'arresto della crescita è stato troppo brusco. Il sistema economico-produttivo ed il sistema politico-amministrativo stanno reagendo, con lentezza, ma stanno reagendo. Devo aggiungere che anche l'opinione pubblica sta cogliendo la portata ed i rischi di tale brusca trasformazione; ora vi è la necessità di compiere un salto di qualità, con la consapevolezza che deve essere propria sia della maggioranza sia dell'opposizione (quindi, una consapevolezza condivisa). Ciò significa anzitutto un vero e proprio controllo di gestione, che aiuti a capire, nel dettaglio ed in tutti i comparti della pubblica amministrazione, il reale rapporto tra costi e benefici delle spese che vengono effettuate e aiuti, altresì, a distinguere i comportamenti efficienti da quelli inefficienti. È il presupposto indispensabile per poter introdurre una vera e propria cultura della produttività e dell'efficienza con meccanismi premiali che selezionino in maniera rigorosa i comportamenti virtuosi, che vanno premiati, distinguendoli da quelli viziosi, che vanno invece penalizzati.
Infine, ritengo necessario un vero potenziamento della lotta all'evasione fiscale, che si può condurre certamente rafforzando e rendendo più efficiente l'amministrazione finanziaria, ma soprattutto introducendo nella nostra legislazione fiscale il principio del contrasto di interessi tra prestatori di servizi e fornitori di beni, da una parte, e utilizzatori dall'altra. Si pone, insomma, la necessità di creare una consapevolezza immediata e diretta del costo dell'evasione; ciò consentirebbe di togliere il paese dall'emergenza finanziaria e libererebbe risorse per potenziare i settori che devono dare al paese la forza per invertire la direzione di marcia, in particolare la scuola, l'università, la ricerca, le infrastrutture e l'energia.
Questo bilancio, seppur parzialmente, dà una risposta nella consapevolezza dei veri problemi del paese (Applausi dei deputati dei gruppi dell'Unione dei democratici cristiani e dei democratici di centro e della Lega Nord Federazione Padana).
PRESIDENTE. Ha facoltà di parlare il relatore di minoranza, onorevole Morgando.
GIANFRANCO MORGANDO, Relatore di minoranza. Signor Presidente, naturalmente il quadro complessivo delle nostre
riflessioni e indicazioni in merito alla manovra di finanza pubblica di quest'anno è contenuto nel testo della relazione di minoranza che ho depositato; a questa, quindi, mi richiamo, limitandomi, in questo intervento, ad alcune considerazioni di carattere più generale.
La prima riflessione che vorrei svolgere è la seguente: in qualche misura, dopo aver ascoltato le relazioni dei relatori per la maggioranza sui disegni di legge finanziaria e di bilancio, mi sembra di intervenire su una materia che non conosciamo.
Ho sentito citare i risultati di questa legge finanziaria in termini di effetto sui saldi e di controllo dei conti; ho altresì sentito sottolineare i risultati che questa legge determinerà sul fronte della ripresa, della crescita e dello sviluppo. Ebbene, mi pare, francamente, che siamo lontani dalla realtà. Siamo lontani dalla realtà, signor Presidente, anzitutto perché questa è una legge finanziaria difficile da individuare nei suoi contorni precisi; come è noto e come hanno rilevato in molti, è fatta di «pezzi» diversi: il disegno di legge finanziaria vero e proprio, presentato all'inizio del mese di ottobre; il decreto-legge collegato, diventato poi il decreto-legge n. 203; il decreto-legge n. 211, con la manovra sugli acconti del 2005; il maxiemendamento presentato dal Governo nel corso dell'esame condotto dal Senato, che ha modificato in modo molto significativo i contenuti del disegno di legge finanziaria. È molto difficile districarsi tra queste diverse fonti normative ed è altresì molto difficile, quindi, avere chiarezza su questioni di fondo relative agli elementi del quadro macroeconomico.
C'è confusione sull'entità della manovra correttiva. Infatti, la Relazione previsionale e programmatica prevedeva una manovra pari a 12,2 miliardi di euro, mentre il disegno di legge finanziaria prevede 16,3 miliardi, e non è chiaro il rapporto tra queste due previsioni. Non c'è chiarezza, inoltre, in ordine alla reale dimensione del fabbisogno, e su tale aspetto non siamo riusciti ad ottenere un chiarimento in sede di Commissione.
Che il fabbisogno sia un tema aperto di discussione è reso evidente dal «balletto» che si è registrato nel periodo in cui la manovra finanziaria è stata presentata, a Bruxelles, dal ministro dell'economia e delle finanze ed un folto stuolo - almeno così hanno raccontato le cronache dei giornali - di suoi funzionari, impegnati a dimostrare alla Commissione europea la bontà delle previsioni per il 2006. Tali previsioni non erano condivise dalla Commissione, inducendo il commissario Almunia a rilasciare, in un comunicato, dichiarazioni che avevano, sostanzialmente, un tono diplomatico.
Potrei continuare a sottolineare gli elementi che, dal punto di vista del quadro macroeconomico e di finanza pubblica, non risultano chiari. Infatti, non ha contribuito a fare chiarezza - ed è il secondo aspetto che voglio evidenziare - il dibattito che si è svolto alla Camera dei deputati; anzi, esso è stato caratterizzato da una sorta di «balletto» delle discussioni in ordine alla caratteristica stessa del disegno di legge finanziaria.
Vorrei ricordare che, ancora in questi giorni, il Governo, sui giornali, ha ricordato che il bilancio appartiene all'Esecutivo e non al Parlamento; poco fa, invece, la relatrice ha orgogliosamente rivendicato le prerogative parlamentari, sfidando, in qualche misura, il Governo sulle modifiche da apportare ai testi approvati in Commissione bilancio.
Su questo punto, vorrei svolgere alcune osservazioni. È falsa, infatti, l'immagine di un disegno di legge finanziaria che si preoccupa essenzialmente dei conti pubblici e non delle prossime scadenze elettorali. A tale riguardo, invito l'onorevole relatrice ed i colleghi a compiere un'operazione: si faccia il conto di tutti i fondi che, all'interno del provvedimento in esame, sono stati istituiti per le più disparate finalità. Apparirà evidente, infatti, che lo scopo elettoralistico del disegno di legge finanziaria che stiamo discutendo costituisce uno degli elementi fondamentali che preoccupa di più.
Inoltre, onorevoli colleghi, ritengo francamente che sia molto difficile, per noi,
accettare che l'autonomia del Parlamento rispetto al Governo si esprima sul concordato preventivo per gli enti locali, oppure sull'introduzione della cosiddetta «pornotax». Non è questo, naturalmente, ciò che consente di verificare la capacità del Parlamento di definire, nell'ambito di un confronto dialettico con il Governo, una strategia di politica economica e finanziaria!
Siamo convinti, infatti, che i disegni di legge finanziaria e di bilancio siano del Parlamento, che opera in dialettica con il Governo, che fa valere, all'interno delle aule parlamentari, la sua maggioranza; non riteniamo, tuttavia, che si debba farlo instaurando una sorta di «braccio di ferro» su scelte che, francamente (come sostengono tutti i giornali, compresi quelli di oggi), sono difficilmente individuabili quali elementi caratterizzanti di una manovra di politica economica.
Tuttavia, signor Presidente, l'intento del mio intervento è svolgere una riflessione di carattere generale. Siamo in presenza, infatti, di un disegno di legge finanziaria (l'ultima dell'attuale legislatura) che ci consente di esprimere un giudizio complessivo sulle strategie di politica economica della maggioranza e dei Governi che si sono succeduti in questi anni, tutti caratterizzatisi sotto il segno politico del centrodestra.
Voi ricorderete certamente, infatti, quali erano le due grandi emergenze che contrassegnavano l'Italia negli anni Novanta: da un lato, la finanza pubblica fuori controllo, e dall'altro, la bassa crescita di un sistema economico che non era capace di ripartire. Ebbene, credo che oggi sia legittimo verificare come le diverse maggioranze che si sono succedute, a partire dall'inizio degli anni Novanta fino ai giorni nostri, hanno inciso, con le loro strategie, su tali questioni.
Vorrei osservare che gli anni Novanta sono stati caratterizzati da un grande sforzo di risanamento della finanza pubblica, che ha accomunato fasi politiche tra di loro molto diverse, a cominciare dalla manovra in più tempi realizzata nel 1992 dal Governo Amato. Complessivamente la situazione, al termine del decennio, si presentava sotto buoni auspici: l'indebitamento nel 2000 si collocava poco al di sotto del 2 per cento del PIL; il debito calava regolarmente, secondo gli impegni assunti in sede europea, ed era passato dal 124,3 per cento del 1995 al 111,3 per cento del PIL nel 2000; il saldo primario, inoltre, si attestava stabilmente intorno al 5 per cento del prodotto interno lordo, conformemente agli impegni assunti in sede europea già menzionati.
Nonostante l'artificiale polemica sul «buco», ridimensionata dallo stesso Ragioniere generale dello Stato, gli osservatori più autorevoli ritenevano che l'Italia fosse sostanzialmente uscita dal tunnel della crisi finanziaria.
Consideriamo la situazione nel 2005 attraverso le lenti di due soggetti insospettabili. Lo stesso Governo, nel Documento di programmazione economico-finanziaria riconosce che l'indebitamento si avvia a raggiungere il 5 per cento - con un tendenziale al 4,7 per cento - e prevede che il debito riprenda a crescere dal 106,6 per cento del 2005 al 108,2 per cento del 2006 ed ipotizza un avanzo primario dello 0,6 per cento.
Quello dell'avanzo primario è un tema delicato: si tratta di una grandezza molto importante, perché segnala la capacità del bilancio di produrre risparmi che consentano la progressiva riduzione del debito. Non a caso l'Italia aveva assunto un impegno a mantenerlo al di sopra del 5 per cento e nel 2000 il centrosinistra aveva lasciato in eredità alla nuova legislatura un avanzo primario al 5,7 per cento. L'andamento degli anni successivi è emblematico: 3,4 per cento nel 2001; 3 per cento nel 2002; 2,1 per cento nel 2003; 1,8 per cento nel 2004; la previsione per il 2005, come ho detto, è pari allo 0,6 per cento.
Il secondo insospettabile testimone della crisi della finanza pubblica italiana è l'Europa: nel consiglio Ecofin del 12 luglio 2005 si è formalmente preso atto che deficit, debito pubblico ed avanzo primario sono fuori controllo e richiedono interventi straordinari ed urgenti. Nella medesima
seduta si è raccomandata all'Unione europea l'apertura di una procedura per disavanzo eccessivo nei confronti dell'Italia, indicando le strategie che il nostro Governo dovrà seguire per riportare i conti pubblici in equilibrio: scendere sotto il 3 per cento entro il 2007; riprendere la riduzione del debito; conseguire un avanzo primario di livello adeguato. Siamo tornati alla situazione dell'inizio degli anni Novanta, sprecando un lungo percorso di risanamento, che aveva conosciuto difficoltà, ma che aveva prodotto significativi risultati.
Vale la pena di interrogarsi sulle ragioni che hanno determinato tale situazione. Secondo il Governo e la maggioranza le responsabilità sono tutte da attribuirsi alla crisi economica. L'ex ministro dell'economia, Siniscalco, presentando il DPEF, aveva insistito sulla bassa crescita quale fattore determinante del peggioramento dei conti. In realtà, non è così e la situazione ci deve allarmare, perché essa oltrepassa la soglia che sarebbe giustificata dallo sfavorevole andamento del ciclo. Le cause sono più profonde e strutturali: in Italia si è riprodotto un fenomeno che avevamo già conosciuto in passato, ossia sono diminuite le entrate ed è aumentata la spesa. I messaggi lanciati a più riprese dal Presidente del Consiglio contro la cosiddetta «truffa fiscale» e la strategia condonistica e di fiscalità straordinaria che ha caratterizzato l'intera legislatura hanno ottenuto il loro effetto: la pressione fiscale ordinaria - le entrate correnti - è calata dal 2001 al 2004 di circa un punto e mezzo di PIL, un calo che non è integralmente giustificato dalle misure discrezionali di riduzione dell'IRPEF, intraprese con la riforma fiscale, e dal calo dell'attività economica, che incide soprattutto sull'imposizione societaria.
A fronte del calo delle entrate correnti, registriamo il fallimento di tutti i tentativi di controllo della spesa. Come hanno ricordato molti ed autorevoli commentatori, il problema fondamentale della finanza pubblica italiana consiste nell'incapacità di controllare quantità e qualità della spesa pubblica. Basta un dato per dimostrare tale affermazione: nei primi quattro anni del decennio in corso la spesa corrente è cresciuta, in media, del 2,4 per cento l'anno, a fronte di un aumento medio del PIL dell'1 per cento. L'aumento della spesa corrente è stato finanziato dalla riduzione della spesa per interessi. Un autorevole quotidiano ha reso pubbliche cifre inconfutabili: nel 2001 la spesa corrente si attestava al 37,9 per cento del PIL; nel 2004 è passata al 39,3 per cento; e nel 2005 le previsioni affermano che salirà al 40,2 per cento. Vale la pena di ricordare quanto ha affermato la Corte dei conti, nell'audizione sul Documento di programmazione economico-finanziaria: le risorse liberate dalla convergenza dei tassi di interesse sui più bassi livelli prevalenti in Europa non sono state utilizzate né per correggere il disavanzo, né per ridurre in misura sensibile la pressione fiscale, né, infine, per ricomporre la spesa verso le voci in grado di accrescere la capacità di competere del nostro sistema produttivo. Si è, di fatto, consentita l'espansione della spesa corrente.
Sul tema della spesa si sono sprecate parole e provvedimenti, anche oggi, anche nella discussione sul presente disegno di legge finanziaria, parole e provvedimenti che regolarmente non hanno raggiunto gli obiettivi: il 2003 è stato l'anno del cosiddetto decreto «taglia spese», il 2004 quello del metodo Gordon Brown. Nessuno di tali interventi ha raggiunto lo scopo ed il loro fallimento si è riversato negli anni successivi in termini di eccedenza di spesa da finanziare. Basti pensare che nella composizione degli oneri correnti del disegno di legge finanziaria in discussione tali eccedenze di spesa costituiscono quasi il 20 per cento dell'intera manovra.
Dice, ancora, la Corte dei conti: «Le misure temporanee di controllo della spesa comportano un recupero più o meno pieno nell'anno successivo e impongono necessariamente l'adozione di nuove misure straordinarie».
Conclusivamente, signor Presidente, su questo punto possiamo ribadire che il frutto della legislatura che si avvia al
termine è un peggioramento strutturale dei conti pubblici e l'incapacità di definire strategie in grado di affrontare il problema. Come è noto, queste consistono non tanto nell'individuazione di strumenti straordinari, che sono di dubbia efficacia e di dubbia tenuta, ma in una continuativa azione di gestione e di controllo, nella realizzazione di sistemi informativi adeguati, nella condivisione degli obiettivi di stabilità interna tra tutti gli attori del sistema: proprio ciò che è mancato in questi anni.
Signor Presidente, le cose non vanno meglio sul fronte dell'altra emergenza che caratterizza il nostro paese, ossia quella dell'economia reale. Non mi sono mai appassionato alle graduatorie di competitività, che contengono evidenti approssimazioni e semplificazioni. Tuttavia, non c'è dubbio che la nostra capacità di reggere il confronto con altre economie in questi anni si è molto indebolita, perché sono venuti al pettine alcuni nodi strutturali a cui non è stato posto rimedio.
I dati del prodotto interno lordo sono, in proposito, impietosi: dalla crescita del 3 per cento del 2000 siamo passati a cifre vicine allo zero nel 2002 e nel 2003. Il rimbalzo del 2004 si è rivelato a tal punto effimero che lo stesso Governo, nel documento di programmazione economico-finanziaria, prevedeva per l'anno in corso una crescita pari a zero.
Questa mattina è stato detto che vi sono dei segnali positivi. Tali segnali positivi sono le ultime indicazioni dell'ISTAT: una prospettiva di crescita dello 0,1 per cento riportata dai giornali di questa mattina. Se questi sono i segnali positivi, noi siamo molto preoccupati.
Faccio la stessa considerazione rispetto ad un'altra questione posta dal collega Peretti, concernente l'andamento del mercato del lavoro. È noto - e lo sostengono tutti coloro che studiano questi problemi - che la crescita dell'occupazione in Italia è una crescita falsata, che deriva più da regolarizzazioni di posizioni irregolari che non da un'effettiva capacità del sistema economico e produttivo di creare nuova occupazione. Attenzione, quindi, a leggere con cautela i dati! Attenzione a non immaginare una realtà diversa da quella che abbiamo di fronte!
In effetti, sono altri i dati che evidenziano i problemi strutturali dell'economia italiana. L'insoddisfacente crescita dell'Italia che, come ho ricordato prima, si è registrata fin dall'inizio degli anni Novanta non è un fenomeno transitorio, ma il manifestarsi di un vero e proprio declino dell'economia; è una situazione di crisi che ha coinvolto l'Europa nel suo complesso, ma che ha colpito noi in modo più grave rispetto agli altri paesi. Anche a questo proposito, i dati sono evidenti e, in qualche misura, drammatici: il reddito pro capite dell'Italia diminuisce rispetto al reddito pro capite europeo e passa dal 106 per cento al 98 per cento; diminuisce anche rispetto al reddito pro capite degli Stati Uniti.
Il tasso di crescita della produttività e del lavoro diminuisce costantemente. La nostra presenza sui mercati internazionali si è ridotta in modo significativo: mentre nel 1995 le esportazioni italiane rappresentavano il 4,5 per cento delle esportazioni mondiali, nel 2003 siamo arrivati al 3 per cento.
Bastano, quindi, i pochi dati che ho ricordato per evidenziare come la situazione economica del nostro paese sia in grave difficoltà; essa è determinata da ragioni di tipo strutturale, che si accompagnano ad una trasformazione preoccupante della struttura della nostra società, che apre interrogativi per il futuro a cui dobbiamo dare risposte.
Negli anni passati eravamo abituati a confrontarci con il modello della società dei due terzi, in cui il benessere aveva ormai raggiunto la maggioranza della popolazione ed i problemi da risolvere erano quelli del terzo più debole. Oggi, tutto è diventato terribilmente più complicato: l'impoverimento dei ceti medi ci presenta una società che qualcuno definisce «a clessidra», che richiede una rinnovata capacità di analisi e la definizione di politiche economiche e sociali nuove.
Le politiche dello Stato sociale, che non troviamo in questo disegno di legge finanziaria,
se non come slogan, sono diventate, forse ancor più che in passato, elementi fondamentali della strategia di politica economica. Pensiamo soltanto alle politiche del lavoro, alle politiche dei servizi per consentire l'ingresso delle donne nel sistema produttivo e a tutte le altre politiche che concorrono a definire una strategia di welfare per lo sviluppo, di welfare funzionale alla ripresa della crescita e dello sviluppo.
Potrei citare molti altri dati per rendere plasticamente evidenti le difficoltà che attraversa l'economia reale del nostro paese. La colpa non è certo semplicisticamente ascrivibile al Governo in carica, ma a chi ha governato in questi anni e non ha fatto nulla per uscire da questa situazione di difficoltà. Nella relazione scritta cerco di dimostrare come le diverse manovre di politica economica del centrodestra siano state caratterizzate da un errore di impostazione strategica. Queste sono le ragioni per le quali rivolgiamo al Governo in carica l'accusa di aver lasciato incancrenire una situazione che oggi vede con difficoltà percorsi per la ripresa.
L'errore dell'impostazione strategica è tutto contenuto nel documento di programmazione del primo Governo Berlusconi: l'idea di una ripresa forte e duratura, di un nuovo miracolo economico, reso possibile essenzialmente dalle aspettative positive nei confronti del nuovo corso politico, e una strategia di riduzione del carico fiscale e dal taglio dei lacci e dei lacciuoli che tenevano incatenata l'economia.
Questa impostazione si è tradotta in una politica economica basata sul rafforzamento della domanda di consumi e di investimenti, con strumenti che, peraltro, poi si sono rivelati inadeguati, immaginando che da questa potesse emergere quasi miracolosamente la ripresa produttiva e la crescita del paese. Mai previsione fu più fallace, e i dati sono lì a dimostrarlo.
La causa dei mancati risultati è ascrivibile anche ad una sorta di eterogenesi dei fini della maggioranza di centrodestra. Nata per liberalizzare finalmente l'economia, in realtà ha rallentato il processo che il centrosinistra aveva avviato con significativi risultati. Nata pensando di dare risposte alla domanda di una nuova politica, si è ridotta alla tutela di interessi particolari, alla logica delle corporazioni dei gruppi di potere. Nata con l'ambizione di avviare una modernizzazione della pubblica amministrazione, anche come contributo alla crescita economica, ha riprodotto, in realtà, antiche logiche clientelari, coltivate anche attraverso un uso spregiudicato dello spoil system. Vi è qualche esempio, che per ragioni di tempo non voglio esaminare, anche in questa legge finanziaria. Per non parlare delle tutele, anche giudiziarie, di categorie ristrette e di una classe dirigente corrispondente sostanzialmente ad alcune cerchie amicali.
Non stupisce, di fronte a questo percorso, che le forze produttive del paese oggi abbiano maturato una posizione comune sui principali temi di politica economica, diversa da quella del Governo, che noi auspichiamo possa dare un contributo alla costruzione di una nuova prospettiva.
Signor Presidente, mi avvio alla conclusione. Ho illustrato le ragioni per le quali, a nostro avviso, ci troviamo di fronte al fallimento di un intero ciclo di politica economica. Potrei aggiungere agli argomenti esposti il «balletto» dei ministri: Tremonti prima, poi Berlusconi, poi Siniscalco, e poi nuovamente Tremonti. L'ultimo cambio ha portato qualche novità. Potremmo dire che la legge finanziaria in discussione costituisce un'ammissione di colpa, perché le tradizionali impostazioni vengono abbandonate. Non si parla più del completamento promesso della riforma fiscale, ancora fino a poco tempo fa individuato come il toccasana per la ripresa. È misteriosa anche la vicenda dell'IRAP. Al loro posto vi sono alcune indicazioni copiate un po' maldestramente dal centrosinistra: la riduzione del cuneo fiscale e la ripresa di un ragionamento di politica industriale, con una proposta sui distretti. Sembra di intravedere una nuova politica dell'offerta, fino a poco tempo fa guardata con sufficienza.
Naturalmente, è molto difficile pensare che lo stesso ministro delle una tantum, della finanza creativa e del fisco minimo sia in grado credibilmente di interpretare una nuova stagione. Il rischio è che ci troviamo di fronte a delle enunciazioni, cui poi non seguono i fatti. Abbiamo già qualche esempio nel passato. La legge finanziaria per il 2004 prevedeva - lo dico soltanto a titolo esemplificativo - la costituzione di un importante istituto di ricerca, l'Istituto italiano di tecnologia, che avrebbe dovuto imitare le grandi istituzioni internazionali e costituire un punto di forza della capacità innovativa del nostro sistema. A distanza di due anni, si sente parlare di quell'iniziativa soltanto perché non si capisce se la sua sede sarà a Genova oppure a Milano.
La Banca del sud rischia di fare la stessa fine: un buon manifesto di propaganda in vista delle elezioni, per tacitare le polemiche sul disimpegno del Governo verso il Mezzogiorno. Poi, tutto tornerà come prima.
PRESIDENTE. Onorevole Morgando...
GIANFRANCO MORGANDO, Relatore di minoranza. In sintesi - ho concluso, signor Presidente -, affrontiamo quest'anno il dibattito sulla manovra economica con la sensazione di intercettare fette crescenti di opinione pubblica delusa dal fallimento della politica economica del Governo e di Berlusconi in particolare. Il mito dell'imprenditore prestato alla politica, capace di portare una ventata di rinnovamento e di efficienza, sta rapidamente tramontando. Berlusconi ha vinto nel 2001 sulle questioni economiche e, probabilmente, perderà le prossime elezioni proprio sulle questioni economiche.
Le scelte in questo campo, quindi, si rivelano, ogni giorno di più, le vere scelte che contano, soprattutto in questa fase difficile per l'Italia. Il dibattito di questi giorni ci aiuterà a capire meglio quali sono le proposte del centrosinistra e per quali ragioni riteniamo che con questa legge finanziaria siamo giunti alla conclusione del ciclo politico del centrodestra (Applausi dei deputati dei gruppi dei Democratici di sinistra-L'Ulivo, della Margherita, DL-L'Ulivo e di Rifondazione comunista - Congratulazioni).
PRESIDENTE. Ha facoltà di parlare il rappresentante del Governo.
GIUSEPPE VEGAS, Viceministro dell'economia e delle finanze. Signor Presidente, mi riservo di intervenire in sede di replica.
PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Folena. Ne ha facoltà.
PIETRO FOLENA. Signor Presidente, signor rappresentante del Governo, colleghi, nel momento in cui ci accingiamo ad esaminare in Assemblea il testo del disegno di legge finanziaria, che giunge dal Senato dopo l'ennesima posizione della questione di fiducia, avremmo potuto tranquillamente, come gruppo di opposizione e come opposizione nel suo complesso, limitarci ad «inveire» contro il testo senza entrare nel merito, dato il suo evidente carattere elettoralistico, di cui il collega Morgando ha parlato. Avremmo potuto farlo anche perché, tra due giorni, sarà presentato un maxiemendamento sul quale, ancora una volta, si porrà la questione di fiducia in relazione ad un provvedimento così importante, espropriando il Parlamento di uno dei suoi poteri fondamentali, ed anche perché è del tutto evidente (ogni elezione ormai lo conferma) che la maggioranza del paese è contro di voi: si voterà tra qualche mese e noi, in modo unito, stiamo lavorando tenacemente per diventare una nuova maggioranza politica che ripari i danni prodotti.
Tuttavia, non ci limiteremo ad «inveire», perché abbiamo in noi, da uomini di sinistra, da esponenti politici che fanno parte della grande tradizione politica e culturale della sinistra italiana, il senso di responsabilità, quel senso di responsabilità che, in modo un po' «abusivo», il Presidente della Camera, Presidente di garanzia, richiama nei manifesti che campeggiano in tutte le strade d'Italia, dove è
scritto che bisogna tenere unito il paese. Ebbene, la manovra finanziaria costituisce l'ultimo tassello di un'opera di divisione del paese, divisione dei ricchi dai poveri, degli anziani dai giovani, del nord dal sud, una sorta di devolution sociale (potremmo dire «involution») che ci porta indietro, su alcuni terreni, di moltissimi anni e che accompagna la devolution istituzionale, che i cittadini italiani saranno chiamati a «cancellare» con il proprio voto nel referendum.
A noi che, all'epoca, abbiamo sempre contrastato la Democrazia cristiana verrebbe da dire che vi è da rimpiangere il carattere interclassista di quel partito. Non erano Governi dalla parte dei lavoratori, tuttavia mantenevano sempre un «occhio di riguardo» (non tutti, certamente) verso alcuni ceti sociali, mostrando attenzione ad una serie di istanze, di bisogni e di aspettative. Invece, voi vi siete preoccupati di inverare una delle previsioni meno riuscite di Carlo Marx, che sosteneva l'inevitabile scivolamento delle classi intermedie verso il proletariato. È un fatto tangibile per ogni cittadino.
Ormai non si parla più di «crisi» della quarta settimana, ma della terza. I lavoratori metalmeccanici sono in lotta da otto mesi per il rinnovo del contratto di lavoro e, ora che sta per ricominciare la trattativa, ottengono soltanto un arrogante niet da parte della Federmeccanica. Le vostre politiche fiscali hanno innalzato le tasse ai poveri ed abbassato quelle per i ricchi. Le vostre politiche economiche hanno portato il paese ad una situazione di «crescita zero».
Non ritornerò sui dati economici che il collega Morgando ha richiamato, se non su uno di essi, sul fatto cioè che il reddito pro capite in rapporto al PIL è letteralmente crollato, scendendo di 7,2 punti percentuali rispetto al 2001. In questi cinque anni, abbiamo perduto il 30 per cento dei mercati, e non a vantaggio della Cina o dell'India ma di nostri concorrenti europei, in primo luogo la Germania.
Il ministro Tremonti si è vantato, a più riprese, di aver salvato la Germania e la Francia dalle sanzioni dell'Unione europea a proposito dello sfondamento del tetto del 3 per cento. Ma, in realtà, la Francia e la Germania hanno sfondato quel tetto perché, per combattere la recessione, hanno investito; senza dirlo, si sono fatte gioco dei parametri monetari ed hanno pensato (bene o male, ma lo hanno fatto) alla loro economia reale. Per questo, oggi, quei paesi, sia pure tra molte difficoltà, vedono la «luce fuori dal tunnel», mentre noi siamo ancora molto indietro.
Non abbiamo simpatia per i parametri di Maastricht. Preferiremmo parametri radicalmente diversi, preferiremmo che l'Europa fosse - per così dire - molto meno monetaria e più sociale e politica. Tuttavia, voi, anche da questo punto di vista, avete dimostrato un fallimento. Siete ancora pervasi dalla logica che ha animato la politica dei grandi paesi occidentali negli anni Novanta, in base alla quale, togliendo le tasse ai ricchi, il paese si riprende perché, potendo i ricchi spendere di più, i benefici ricadranno un po' anche sui poveri. Mi viene in mente la parabola evangelica del ricco Epulone a proposito delle briciole di pane che cadono dalla mensa del ricco. In realtà, l'abbassamento delle tasse, soprattutto come l'avete realizzato voi, con i condoni, con lo scudo fiscale, con l'abolizione dell'imposta di successione e con la revisione delle aliquote, ha determinato un crollo del gettito fiscale. Così, poi avete tagliato i trasferimenti agli enti locali, che erogano gran parte del welfare. Avete controriformato le pensioni, abbassando la loro redditività; e adesso vi apprestate, pare, con un maxiemendamento, a sequestrare i fondi destinati alla previdenza integrativa del TFR, per metterli a ripiano del debito.
Insomma, vi state muovendo in una direzione che rischia di compromettere in maniera molto grave alcune delle prestazioni universalistiche faticosamente e in modo imperfetto conquistate dai lavoratori nel corso di questi anni.
Signor Presidente, onorevoli colleghi, signor rappresentante del Governo, noi abbiamo un'idea del tutto differente: un'idea antiliberista, ma soprattutto non ideologica. In cinque anni avete visto i
fallimenti delle vostre politiche: il paese è fermo e continuate ad insistere. Ancora adesso continuate con quelle vergognose politiche di privatizzazione e di cartolarizzazione che hanno contribuito a creare un mercato degli immobili in mano a pochi grandi gruppi e a far schizzare alle stelle i prezzi delle case. Per acquistare un appartamento, oggi, ci vogliono 18 anni di stipendio! Diciotto anni! È una vita di un lavoratore.
I colleghi del mio gruppo e quelli dell'opposizione, per gli emendamenti comuni, illustreranno le varie proposte emendative presentate. Non voglio nascondere che siamo molto preoccupati per il rischio del «colpo di grazia», inferto con questa legge finanziaria, alle finanze pubbliche.
Sulla parte strutturale della copertura ha già parlato il collega Morgando. Si tratta di proventi della lotta all'evasione contributiva non definiti, e quindi del tutto astratti. L'unica cosa certa è che, dei tagli alle spese per 12,7 miliardi, quelli certi sono solo i tagli relativi alla sanità e agli enti locali. I sindaci, non a caso, si lamentano. Ho ricevuto una lettera del sindaco del collegio nel quale sono stato eletto, quello delle Isole Tremiti, il quale scrive che, a partire da dicembre, taglierà l'erogazione dei servizi idrici, perché non ha i soldi. Questo caso riguarda qualche centinaio di cittadini, ma quanti «casi Isole Tremiti» avremo in Italia?
Per concludere, vorrei soffermarmi su due argomenti che riguardano il lavoro che svolgo come componente della Commissione ambiente e lavori pubblici.
Il primo argomento, al quale ho già accennato, riguarda la casa, che è una vera emergenza nazionale; ma nulla è previsto per alleviare il disagio abitativo. Eppure, il Presidente del Consiglio ne aveva parlato ampiamente; tutto però è rinviato a dopo le elezioni. Noi proponiamo un grande piano, che prevede che si ricostituisca un settore pubblico. Servono più case a basso prezzo; in realtà, sono stati tagliati anche i fondi per l'integrazione degli affitti, che dovrebbero servire come base per far riprendere un sistema che punti sui contratti concordati e non sui contratti di libero mercato, con i quali i lavoratori non hanno la possibilità di trovare casa. Serve bloccare gli sfratti, ma questo blocco il Governo non l'ha voluto. Serve una politica della casa come diritto: una politica generalizzata. Servono case per le giovani coppie, e servono case per gli anziani. Servono affitti equi per gli studenti fuori sede, che pagano 350-400 euro a testa per un posto letto. Non parliamo poi di una famiglia o di una giovane coppia!
Il secondo argomento riguarda la tutela comune dei beni del territorio. Noi, com'è noto, ci opponiamo - come Unione, dopo il vertice di Perugia - alla privatizzazione dei servizi idrici. Voi, dall'articolo 35 della legge finanziaria per il 2002 in poi, avete imposto la privatizzazione; noi abbiamo presentato una proposta emendativa che cerca di cancellare tale norma. Allo stesso modo, ci opponiamo, senza alcun indugio, ad alcune opere inutili e dannose. Non voglio parlare in questa sede dell'alta velocità in Val di Susa, per la quale il Governo, attraverso il ministro Pisanu in quest'aula, ha detto nelle settimane passate parole che hanno eccitato e fomentato la violenza, senza favorire il dialogo.
È solo merito dei sindaci e della loro responsabilità, se oggi comincia a esserci un processo che riporta le decisioni nella loro sede naturale, che è la sede democratica, prima di tutto degli enti locali.
Per quello che riguarda il ponte sullo stretto è del tutto evidente: tutti sanno che è una opera inutile, un'opera dannosa, solo che il Governo Berlusconi doveva dire in campagna elettorale che realizzava una grande opera, dopo non averne fatta alcuna in cinque anni (se non qualche cantiere già aperto dal centrosinistra)...!
Voi vi esaltate per il ponte: ogni giorno, nello stesso momento, migliaia di automobilisti rimangono imbottigliati sulla Salerno-Reggio Calabria, oppure sull'autostrada più «inaugurata» nel pianeta, cioè la Messina-Palermo, appunto inaugurata in tutti i sensi di marcia ogni tre o quattro mesi.
Per andare da Napoli a Palermo, per unire le due capitali del sud, servono in treno dalle 9 alle 12 ore: c'è da vergognarsi
a dirlo! Solo 35 minuti di questi tempi complessivi sono spesi per l'attraversamento dello stretto: con il ponte non ci sarebbe che un risparmio di pochi minuti.
Se quei soldi fossero investiti per migliorare le linee stradali e ferroviarie esistenti, i risparmi sarebbero enormi. Ma tutto questo non conta, perché bisogna fare favori alle aziende che vincono gli appalti, nonché agli amici degli amici.
Concludendo, signor Presidente, questa finanziaria, che trova la ferma opposizione del gruppo di Rifondazione comunista e di tutta l'Unione, è il giusto e naturale compimento - purtroppo - di quelle precedenti.
Per questo, per combattere l'impostazione ideologica che ha portato il paese verso una crisi grave ed ha posto i lavoratori, i disoccupati, i giovani in condizioni di precarietà e insicurezza senza precedenti, noi contrasteremo la finanziaria in questi giorni in Parlamento, a fianco dei lavoratori che hanno scioperato il 25 novembre e il 2 dicembre, a fianco degli insegnanti e degli studenti che sono scesi in piazza in ottobre contro i tagli e la privatizzazione dell'istruzione, e a fianco degli inquilini che hanno manifestato il loro disagio, nonché dei consumatori che hanno paura ogni volta che si recano al supermercato.
Ormai a Roma ogni giorno c'è una manifestazione di una diversa categoria che protesta: avete contro quasi tutte le categorie sociali! Ci sono voluti cinque anni, ma il paese adesso è vaccinato, e io spero che nei prossimi mesi, con la forza della lotta dei diritti, saprà darvi il benservito.
Non sarà facile riparare ai vostri danni, ma lo faremo, senza separare il risanamento dallo sviluppo e dalla coesione sociale; lo faremo dalla parte dei lavoratori e, signor Presidente, con responsabilità (Applausi dei deputati dei gruppi di Rifondazione comunista, dei Democratici di sinistra-L'Ulivo e della Margherita, DL-L'Ulivo).
PRESIDENTE. È iscritta a parlare l'onorevole Pennacchi. Ne ha facoltà.
LAURA MARIA PENNACCHI. Il nostro giudizio - quello di tutta l'opposizione di centrosinistra - sulla manovra di finanza pubblica che giunge ora qui alla Camera alle sue ultime battute è severamente negativo. Severamente negativo perché, innanzitutto, si tratta di una manovra molto consistente sul piano quantitativo. Questo va sottolineato: si tratta di una manovra che ha elementi elettoralistici, che però sono quisquilie piuttosto miserrime dal punto di vista delle quantità e dal punto di vista delle qualità (se una parola così importante come «qualità» può essere usata per queste quisquilie).
Nella sua intensità complessiva, tuttavia, la manovra è consistente: siamo intorno ai 24 miliardi di euro, più i tre miliardi che dovevano provenire da entrate relative a cartolarizzazioni ed essere destinati alla realizzazione di piani innovativi in adempimento dell'Agenda di Lisbona, che la Commissione europea ha già imposto (perché si tratta di una imposizione) di assegnare, se entrate ci saranno, (il «se» va sottolineato), a riduzione del fabbisogno.
Dunque, siamo di fronte a una manovra consistente. Il nostro giudizio è severamente negativo innanzitutto per questo, e anche però per un apparente paradosso: la manovra è consistente, ma non riesce a risanare la finanza pubblica, una finanza pubblica che è stata dissestata dal Governo in carica.
Non possiamo esimerci dal ricordare, anche in questo momento, in cui, come osservava il collega Morgando, ci troviamo nella situazione di trarre un doveroso bilancio dell'intera politica macroeconomica e microeconomica condotta dai Governi Berlusconi, che nel 2000 il deficit era pari allo 0,7 per cento del PIL ed era stato portato a tale livello partendo dal 7,6 per cento del 1996. Oggi, invece, ci troviamo - anche ipotizzando una piena realizzabilità della manovra in atto, che non si è mai verificata - nella condizione di non poter mantenere l'impegno, assunto con la Commissione europea, di conseguire il 3,8 per
cento di deficit, e dunque di dover temere l'attivazione di una procedura per deficit eccessivo.
La manovra non risana la finanza pubblica, non rilancia lo sviluppo, non assicura cittadinanza e solidarietà. Si tratta di tre aspetti fondamentali, sui quali intendo soffermarmi.
La manovra, in primo luogo, non risana la finanza pubblica. Ne è testimonianza il fatto, senza precedenti, che la Commissione di Bruxelles ci ha sottoposto, addirittura in corso d'opera e dunque prima che avesse luogo il voto finale sulla manovra, ad un esame speciale: noi siamo sorvegliati speciali! La Commissione di Bruxelles ci ha sottoposto la scorsa settimana a questa verifica in corso d'opera - non era mai accaduto! - e durante l'esame in sede referente sono stati inseriti alcuni palliativi - dobbiamo, infatti, considerarli tali - per rassicurare la stessa Commissione di Bruxelles. Si tratta, forse, di uno dei pochi atti positivi da parte della Commissione di merito, il cui lavoro è stato assolutamente risibile e ridicolo, configurando un ulteriore esproprio del Parlamento, quell'esproprio del Parlamento che denunziamo ininterrottamente dal 2001. Questi palliativi costituiscono l'ulteriore ammissione di colpa di cui parlava l'onorevole Morgando e che l'onorevole Crosetto in Commissione ha riconosciuto esplicitamente come tale: sono l'ammissione che i conti sono fuori controllo!
Siamo dunque pienamente legittimati a identificare il fallimento della politica economica dei Governi Berlusconi. Il risanamento già realizzato è stato totalmente dissipato, e del resto non poteva che essere così se con la memoria, traendo il bilancio che dobbiamo trarre, torniamo agli atti che si sono succeduti dal 2001 in poi, dalla depenalizzazione del falso in bilancio alla soppressione dell'imposta di successione e donazione sui grandi patrimoni, allo scudo fiscale, alla «Tremonti bis», e il nostro elenco potrebbe continuare.
La compromissione del risanamento finanziario è stata resa possibile anche attraverso la lacerazione istituzionale del processo di assunzione della decisione di bilancio andata avanti negli scorsi anni. Quest'anno la manovra, che doveva essere assunta nella sua completezza e totalità, consentendo una lettura unitaria e completa, entro il 30 settembre, è stata invece assunta con sette provvedimenti diversi, cui se ne sono aggiunti di ulteriori, e se ne aggiungeranno ancora, con il maxiemendamento che sappiamo bene essere in corso di preparazione. Con tali provvedimenti è stata introdotta una correzione, è stata adottata una manovra correttiva per il 2005, senza che ciò fosse detto esplicitamente, e successivamente è stata adottata addirittura una correzione della correzione, che ancora non era stata votata, della manovra correttiva per il 2006. E ci troveremo, con i palliativi già adottati in Commissione e con ulteriori misure che saranno contenute nel maxiemendamento, di fronte a una correzione della correzione della correzione! Pensate un po'! È stato un crescendo, a cominciare dal provvedimento «taglia-spese», con cui si è operata una singolare interpretazione che rappresenta una violazione dell'articolo 81 della Costituzione, in base al quale le coperture debbono essere non ex post ma ex ante.
Oggi, questo crescendo sfocia in una pessima qualità dei documenti di bilancio, nell'opacità lamentata in primo luogo da noi e, successivamente, da tanti osservatori, in particolare dal Fondo monetario internazionale, che ha dichiarato che i risultati della nostra manovra di finanza pubblica sono ben al di sotto degli standard dei paesi industrializzati! Questi risultati - cito le testuali parole del Fondo monetario internazionale - manifestano un «urgent need of improvement», un urgente bisogno di miglioramento rispetto ad una «lack of transparency», vale a dire una carenza di trasparenza che rende totalmente inaffidabili i nostri conti pubblici e mette il Parlamento nell'impossibilità di svolgere pienamente la sua funzione di controllo e di pungolo. Il Parlamento - lo affermiamo da tempo - è stato espropriato delle sue funzioni ed a tale situazione si dovrà porre un forte rimedio.
Si è preferito adottare provvedimenti sparsi e frammentati, poiché non si voleva
svelare che le previsioni erano troppo sfavorevoli e, quindi, condizionare negativamente Bruxelles. Una volta che le correzioni sono state adottate surrettiziamente (persino una manovra correttiva per il 2005), non è stato spiegato in cosa la previsione precedente fosse sbagliata.
Così, rimangono fortissimi dubbi sia in noi sia nella Commissione di Bruxelles che, infatti, la scorsa settimana, ha chiamato a rapporto la struttura tecnica del Ministero dell'economia. Rimangono fortissimi dubbi sul fatto che i nuovi tendenziali nascondano ciò che, con un eufemismo, potremmo chiamare «altri errori», ma che errori non sono.
Oggi, vengono al pettine i nodi delle coperture. Su tantissimi punti c'è ancora un'oscurità assoluta (richiamo l'esempio dell'ANAS e delle Ferrovie), per importi molto rilevanti. I consumi intermedi, per i quali era prevista nel 2005 una riduzione del 30 per cento, sono, invece, aumentati del 10 per cento nel 2005, come stabiliscono i documenti ufficiali. Nella legge finanziaria per il prossimo anno si prevede, viceversa, un ulteriore taglio; ciò, peraltro, senza alcun effetto stabile, un effetto che potremmo definire privo di rimbalzo sui consuntivi.
È stata adottata l'estensione dell'esenzione dell'ICI senza che fosse presentata una relazione tecnica. L'abbiamo chiesta insistentemente, ma non è stata presentata e questo avviene ormai sistematicamente. Sono stati siglati solo alcuni contratti del pubblico impiego e, comunque, la loro efficacia partirà dal 2006. Erano stati tutti inseriti nei tendenziali per il 2005. Cosa succederà rispetto ai tendenziali del 2006?
A queste domande, in questa fase finale della legislatura, in sede di discussione sul disegno di legge finanziaria, non abbiamo ricevuto risposta. I tagli veri riguardano solo il funzionamento della pubblica amministrazione (quasi 10 miliardi di tagli sul funzionamento della pubblica amministrazione!). Rilevanti tagli sono stati attuati sui contratti a tempo determinato, che provocheranno la «messa in libertà» - per usare un eufemismo - un licenziamento - per usare una parola più propria - di un numero molto rilevante di persone, dalle settantamila alle centomila e forse di più; si tratta di giovani ad alta scolarità che vengono «messi in libertà».
Per quanto riguarda i tagli sulle amministrazioni locali, il collega Morgando precedentemente ha dichiarato che qualcosa grida vendetta contro lo Spirito Santo, perché i tagli sono molto consistenti e, sugli stessi, abbiamo dovuto subire - forse subire non è la parola esatta perché non ha prodotto su di noi molti effetti, se non quelli dell'indignazione -, abbiamo dovuto ascoltare che si trattava non di tagli, ma di economie di spesa, come se il dizionario italiano non ci consentisse di affermare che «economie di spesa» è uguale a «tagli».
Abbiamo sentito che poteva bastare che il sindaco di una grande città si scrivesse da sé i discorsi senza ricorrere al suo staff - a questo riguardo, ricordo che non abbiamo ricevuto risposte convincenti in merito alle 450 persone che lavorano nello staff del ministro dell'economia e delle finanze - o che poteva bastare non organizzare una «festa del rospo» o qualche altra festa per raggiungere l'entità del taglio delle risorse da realizzare. Ancora, poteva bastare «tagliare» le cosiddette auto blu e le consulenze. E ciò, fra l'altro, era previsto nella relazione tecnica del Governo che accompagna il disegno di legge finanziaria. In quella relazione si prevedeva, in particolare, che i risparmi per le auto blu, ammontanti a ben il 50 per cento della spesa dell'anno precedente, sarebbero aumentati a 30 milioni di euro e le consulenze a 70 milioni di euro. In tal modo si poteva arrivare, in totale, a 100 milioni di euro di tagli. Tagli che, per il patto di stabilità interno, sono pari a 3,1 miliardi di euro.
I tagli alle risorse apportati agli enti locali assumono rilievo con riferimento al secondo aspetto su cui desidero soffermarmi, e cioè sul fatto che il disegno di legge finanziaria al nostro esame non solo non sostiene ma è anche contro lo sviluppo. I tagli agli enti locali avranno, tenuto conto che tali enti sono grandi
investitori, un impatto notevole sugli investimenti che essi potranno effettuare.
Ci sono anche altri elementi che bisogna ricordare in materia di sviluppo. In particolare, le maggiori entrate sono pari a 7,3 miliardi di euro: altro che riduzione della pressione fiscale e tributaria complessiva! Per oltre tre quarti, queste maggiori entrate gravano sulle imprese che, dunque, vedono assolutamente vanificata la risibile riduzione di un punto percentuale del costo del lavoro. Ci sono riduzioni dei trasferimenti alle imprese per 3,6 miliardi di euro e due terzi di queste riduzioni, per sottolineare aspetti che assumono un rilievo importante in tema di sviluppo, concernono i trasferimenti in conto capitale. Per non citare poi il limite assurdo posto alla spesa al fondo per l'innovazione tecnologica. Non saranno certo sufficienti a rilanciare lo sviluppo le poche decine di milioni di euro destinate ai distretti industriali, rispetto ai quali il professor Sylos Labini - venuto a mancare da pochissime ore e che ricordo come grandissima personalità della scienza economica italiana - ha avuto il tempo di dichiarare che le considerava assolutamente insoddisfacenti, quasi un'ingiuria. Allo stesso modo, non sarà sufficiente la Banca per il sud, su cui abbiamo chiesto chiarimenti che però non ci sono stati forniti, né sarà sufficiente lo 0,5 per mille. A quest'ultimo riguardo, abbiamo calcolato, assumendo come base la ex IRPEF attuale, che si potranno ottenere 600-700 milioni di euro che dovranno, però, essere destinati a vari scopi. Per dare un'idea: per raddoppiare la spesa per ricerca e sviluppo, che nel nostro paese è a livelli bassissimi, occorrerebbero 12 miliardi di euro. Lo 0,5 per mille svela, essendo esso finalizzato anche a sostenere la spesa e gli investimenti delle organizzazioni del volontariato e della società civile (organizzazioni che si sono dichiarate totalmente in disaccordo al ricorso a questa misura), una concezione residuale e caritatevole del welfare del Governo; talmente residuale che il welfare è da considerarsi praticamente nullo, come dimostra il fatto che il fondo per le politiche sociali non è stato rifinanziato e i tanto declamati bonus per i figli rappresentano una miserrima monetizzazione del bisogno. Inoltre, non si prevede nulla per la non autosufficienza, per il Mezzogiorno, per le crisi industriali e per le innovazioni tecnologiche.
L'Italia ha bisogno di ben altro! Ha bisogno di casa, di una struttura seria per la casa, e di servizi pubblici che possano consentire al tasso di attività femminile di riprendersi: se non si sblocca il potenziale di lavoro delle donne, questa società non potrà ripartire e rimarrà bloccata così com'è. Ha bisogno di tutte le altre cose che ricordavo. Ha bisogno, soprattutto, di etica pubblica, di senso civico, di grandi valori e idealità, di libertà - sì, in senso sostanziale -, di eguaglianza, di fraternità: grandi valori che la società italiana vuole vedersi ...
PRESIDENTE. Grazie, onorevole Pennacchi, voglia concludere, per favore...
LAURA MARIA PENNACCHI. ... restituiti. Sarà compito del centrosinistra rilanciarli e restituirli alla società italiana (Applausi dei deputati dei gruppi dei Democratici di sinistra-L'Ulivo e della Margherita, DL-L'Ulivo)!
PRESIDENTE. Constato l'assenza dell'onorevole Perrotta, iscritto a parlare; s'intende che vi abbia rinunziato.
È iscritto a parlare l'onorevole Meduri. Ne ha facoltà.
LUIGI GIUSEPPE MEDURI. Signor Presidente, se dobbiamo essere sinceri, dobbiamo dire che, per fortuna, questa è l'ultima finanziaria di questo Governo di centrodestra!
Di fronte ad un paese che cresce poco e male, in cui i segnali di ripresa, ogni volta annunciati, non si palesano mai, oggi avviamo una discussione su un disegno di legge finanziaria che davvero non affronta i principali nodi della nostra vita economica e sociale. Per di più, il testo non è neppure quello definitivo, visto che, per domani, si preannuncia un nuovo maxiemendamento!
Si tratta di un provvedimento disattento, come al solito, verso il Mezzogiorno, in cui si parla di una fantomatica Banca del Mezzogiorno, ma in cui non si affronta il tema dei tassi di interesse e dell'enorme differenza esistente tra i tassi praticati al sud rispetto a quelli praticati nei confronti di imprenditori nelle stesse condizioni, ma residenti al nord: c'è una differenza media di tre o quattro punti percentuali che non si giustifica se non in assenza di una politica pubblica a favore della promozione degli investimenti.
Siamo delusi da un atteggiamento a dir poco provocatorio rispetto alle misure adottate in questo disegno di legge finanziaria dopo l'esame in Commissione. Dove sono le politiche industriali? Dove sono gli interventi per le infrastrutture strategiche? Vorrei chiedere ai cari colleghi del sud (se fossero presenti ...) eletti per la Casa delle libertà cosa li spingerà a votare un provvedimento in cui, al comma 62, tra i finanziamenti per 400 miliardi di vecchie lire sono state inserite, nell'ordine, le seguenti infrastrutture: sistema pedemontano lombardo; tangenziali di Como e di Varese; accessibilità Valcamonica; accessibilità della Valtellina; interventi per l'autostrada Asti-Cuneo. L'opera più a sud è a Formia!
Sicuramente si tratta di opere necessarie; ma quante ne sono state ignorate al sud? E perché questo Governo le ha ignorate? Complimenti davvero per questo! Mi chiedo se abbiate fatto un giro sulla A3 adesso, nel periodo invernale. Ve lo consiglio sinceramente, soprattutto nei prossimi giorni di esodo per le festività natalizie, così come vi consiglio di prendere un treno diretto dal nord al sud ...! Sono stato presentatore di un emendamento che impegnava a destinare le risorse derivanti dalla riduzione degli stipendi dei parlamentari al miglioramento del trasporto ferroviario nel sud. Con tale emendamento intendevo «adottare» i vagoni ferroviari dei treni a lunga percorrenza dalla Calabria al nord, e viceversa, in maniera tale da disinfestarli, per consentire all'utenza del sud di avere un trattamento qualitativamente normale rispetto ad un viaggiatore del nord.
In questi anni, le disuguaglianze si sono accentuate e, per volere della Lega, non vi è stata iniziativa o provvedimento che non fosse declinato a vantaggio del nord. Quali sono le misure a sostegno dello sviluppo del sud? Se quelle sono le infrastrutture, in che modo l'economia meridionale può essere rilanciata se mancano investimenti strategici di prospettiva? Non un intervento mirato, specifico, in grado di attirare anche dall'estero investimenti di multinazionali!
Ma non si è agito neppure sul fronte interno, per accrescere la sicurezza dei nostri territori. Occorrevano risposte che non troviamo o che non fanno altro che accentuare la frammentazione e quella declinazione minimalista, clientelare ed assurda che mortificano il paese: una pioggia di coriandoli regalati a destra ed a manca per mostrare lo scalpo del proprio impegno! Così, gli LSU diventano solo quelli di Messina, dove oggi ancora si vota per il ballottaggio, e si ignora che vi sono altre decine di migliaia di lavoratori socialmente utili, magari impegnati in quei piccoli comuni in cui il loro servizio diventa essenziale. Se non vi sono proroghe o processi di incentivazione alla stabilizzazione, servizi quali scuolabus, mensa e raccolta rifiuti rischiano di venire meno!
E i forestali calabresi? Cosa avete messo in piedi in questi 12 mesi di proroga? Nulla! Non siamo in grado nemmeno di capire se il ministro Calderoli è commissario oppure no e deve essere la regione a farsi carico delle istanze di rivendicazione e del recupero di ulteriori fondi di fronte all'inerzia del Governo.
Si tratta di una finanziaria scandalosa, per certi aspetti: taglia del 10 per cento - un ulteriore 10 per cento - l'assegno di mobilità per i lavoratori soggetti a proroga e in deroga: fate i deboli con i forti perché consentite al fratello del vostro Presidente del Consiglio dei ministri di continuare a beneficiare degli incentivi per l'acquisto
dei decoder e, invece, tagliate l'assegno di mobilità mensile di 380 euro di un ulteriore 10 per cento!
Mi dite dove è finito il reddito di ultima istanza? Avete persino tassato con tanta enfasi le pensioni d'oro per finanziare quella misura già nel 2003; da allora sono trascorsi due anni e, quindi, vorremmo capire. Dove sono finiti i soldi del prelievo sulle pensioni d'oro e perché questo Governo non ha consentito, invece, la proroga della sperimentazione del reddito minimo di inserimento?
Una gestione francamente fallimentare che non ha assolutamente posto in essere alcuna iniziativa di contrasto della povertà che, di fatto, nel sud è aumentata. Ci sono i nostri emendamenti, sia della Margherita sia dell'intero centrosinistra, a testimoniare il nostro impegno su temi come: la non autosufficienza, il rafforzamento del Servizio sanitario nazionale nel Mezzogiorno e il sostegno alla maternità in maniera seria, non come avete fatto voi.
Dopo cinque anni, ci consegnate un paese stanco e sfiduciato e un Mezzogiorno che sta ancora peggio: più povero e nel quale è in atto una vera e propria desertificazione industriale. Fate l'elenco delle crisi e vi accorgerete che stanno scomparendo interi settori produttivi: per l'agricoltura di qualità non si promuovono investimenti, per la valorizzazione del turismo vi preoccupate di favorire i mega-impianti ricettivi, senza alcuna strategia di integrazione con il territorio; non c'è una visione di insieme delle voci dello sviluppo e del rilancio socio-economico di questo contesto territoriale massacrato dalle vostre politiche antimeridionaliste. Sfogliate le pagine di questa finanziaria e individuatemi una politica per il Mezzogiorno: in un minuto di tempo non riuscirete a citare un solo comma per il Mezzogiorno!
Vi apprestate pure a porre la questione di fiducia su questa finanziaria, una fiducia dettata esclusivamente dai vostri precari rapporti interni; infatti, si legge che persino i colleghi di Forza Italia si sono dichiarati insoddisfatti del lavoro della Commissione.
Una fiducia che voi darete consapevoli, però, che il paese reale, quello vero, la fiducia ve l'ha già tolta e ve la toglierà definitivamente alle prossime elezioni. Lascerete al paese un'eredità drammatica, ma noi saremo in grado di dare risposte all'altezza della sfida e dei bisogni veri dei cittadini (Applausi dei deputati dei gruppi della Margherita, DL-L'Ulivo e dei Democratici di Sinistra-L'Ulivo).
PRESIDENTE. È iscritta a parlare l'onorevole Labate. Ne ha facoltà.
GRAZIA LABATE. Signor Presidente, colleghi, sottosegretario Vegas, la finanziaria per l'anno 2006 ci consente di trarre un bilancio complessivo della manovra presentata dal Governo e, al tempo stesso, di aprire una riflessione sulla politica economica e sociale che questo Governo ha perseguito in questi cinque anni. In sintesi, potremmo dire, senza alcun desiderio di giudizio ideologico, che siamo di fronte a delle politiche che hanno reso l'Italia un paese che non cresce e che ha i conti pubblici fuori controllo.
Tutti gli indicatori economici dimostrano questa mia affermazione: tutti gli indicatori sociali manifestano come siano cresciute le soglie di povertà in un'Italia già afflitta da problemi strutturali e gli indicatori riguardanti la salute dei cittadini italiani ci consegnano certamente una maggiore longevità, ma una qualità di vita in cui le patologie croniche più rilevanti hanno un'incidenza sulla salute degli italiani tanto forte da consentire che ogni famiglia spenda privatamente dai 6 mila ai 7 mila euro annui.
Dunque, siamo di fronte ad una manovra che assume in sé un carattere recessivo, non fornisce risposte ai problemi più urgenti del paese, da quello del rischio di declino economico a quello della distribuzione sperequata dal reddito, dalla riduzione del potere di acquisto dei ceti medi e popolari alla marginalizzazione delle aree svantaggiate del paese. Inoltre, essa rappresenta - sento di affermarlo con forza e con passione in questa Assemblea - un grave, un duro colpo alle
politiche di welfare. A causa del mancato controllo della spesa pubblica e di scelte di politica economica e sociale profondamente sbagliate e inique, il Governo si trova ad affrontare le problematiche della crescita e del rilancio dell'economia del paese senza la necessaria dotazione di risorse e, soprattutto, senza la necessaria capacità di far fronte ad una situazione certamente difficile dell'Italia, trovando un giusto punto di equilibrio tra politiche economiche e politiche sociali e tra compiti e poteri istituzionali dello Stato centrale, delle regioni e delle autonomie locali. Insomma, questo disegno di legge finanziaria è la prova tangibile, senza alcuna ideologia dei numeri, della vostra incapacità di scegliere fra declino e progresso.
Sul piano istituzionale ci avete inferto tante ferite e avete inferto ferite al Parlamento in merito all'analisi ed all'approvazione di questa manovra finanziaria e del collegato fiscale che, precedentemente, nelle scorse settimane, avete approvato, anche in quel caso a colpi di fiducia. Tutto questo ha reso sempre più ampia la vostra discrezionalità nel presentare proposte che si accavallano in maniera confusa ai testi già presentati e si accompagnano, comunque e sempre, a richieste di fiducia su maxiemendamenti che, in realtà, riscrivono in profondità e nel merito articoli complessi di questo disegno di legge.
Non so che cosa scriverete nel maxiemendamento di mercoledì ma so che tutte le motivazioni relative agli emendamenti, che il relatore e la maggioranza hanno presentato in queste notti difficili in sede di Commissione bilancio, saranno nuovamente messi in discussione. Lo apprendiamo dalla lettura dei quotidiani, questa mattina. Sarà, ancora una volta, la riprova dello stato confusionale, della logica elettoralistica e delle misure una tantum ed ad personam che voi tentate di approvare con questa manovra finanziaria. Altro che risanare i conti pubblici! Voi li aggravate, lasciando questo paese, dal 2006, in una situazione davvero difficile e compromessa in profondità!
Vorrei tornare problema delle politiche sociali, del quale tanto si è discusso e si è parlato in queste settimane, poiché sembrava che il Governo tendesse a mettere in campo, finalmente, una politica per le famiglie italiane. Naturalmente, noi non ci facevamo illusioni. Sappiamo benissimo che cosa c'è dietro alla logica del bonus per il figlio nato nel 2005 e per il secondo nato nel 2006, così come conoscevamo benissimo la logica secondo cui, lo scorso anno, ci avete dato una detrazione fiscale per le badanti che seguivano gli anziani, peraltro così miserevole da non coprire nemmeno il costo orario di paga sindacale di una badante e da non consentire alle famiglie di concludere contratti in regola con la contribuzione degli oneri previdenziali e sociali. Sapevamo benissimo tutto ciò. Eppure, dietro a questa politica della famiglia avete perso tre settimane di tempo - con il ministro della salute in testa - per dare un'immagine della famiglia italiana e delle donne italiane tutte improvvisamente impazzite e dedite all'aborto continuo, in questo paese! Ci costringete ad una indagine conoscitiva che sarà una farsa, una burletta da parte del Parlamento italiano.
In questa manovra finanziaria vi siete rifiutati di prendere in considerazione gli emendamenti costruttivi che l'Unione e i Democratici di sinistra hanno presentato proprio a sostegno delle strutture consultoriali del nostro paese, il cui finanziamento, in dieci anni, non avete mai aumentato di una sola lira.
Quanta retorica, quanta falsità dietro questa necessità di rilanciare una politica seria per le famiglie italiane, che, invero, sì, andrebbe rilanciata! Invece, nessun intervento strutturale, nessuna politica di potenziamento degli asili nido, nessuna politica per le giovani coppie, nessuna politica che dia serenità per il futuro: il tema degli anziani non autosufficienti esce come il grande sconfitto da queste aule parlamentari. Per ben due volte, in Parlamento, non avete consentito l'approvazione di una legge che avrebbe permesso, affrontando il dramma umano, sociale e di salute dei nostri anziani con patologie
croniche rilevanti, di mettere in campo una politica di sostegno alle famiglie italiane, che portano tutto il carico complessivo di un anziano con malattia di Alzheimer o di Parkinson ovvero con patologie croniche degenerative; patologie che richiedono un sostegno da parte del sistema pubblico dei servizi ed incentivi di tipo economico e monetario per evitare quanto tragicamente avvenne due anni fa in Italia ovvero per evitare che, a seconda delle variazioni climatiche, muoiano nel nostro paese dai 7 mila agli 8 mila anziani.
Ecco a cosa ci avete ridotto! Non solo non avete avuto la minima intenzione di riqualificare il fondo per le politiche sociali rifinanziandolo e adeguando la consistenza dell'anno scorso al tasso di inflazione; addirittura, lo avete decurtato di 500 milioni di euro per il 2005 a fronte di impegni di spesa già assunti dalle regioni italiane e dal sistema delle autonomie locali per far fronte, con servizi reali alla popolazione, a quanto voi non siete stati in grado di mettere in campo con una vera politica sociale nel nostro paese. E poi ci fate tutti i conti, dichiarando che non è vero, che alle regioni ed agli enti locali, noi non diminuiamo la spesa per le politiche sociali e per la sanità. Ma il Presidente del Consiglio, che dichiara di voler compiere un'«operazione verità», prenda i documenti contabili e di bilancio, legga le intese tra Stato e regioni e faccia davvero l'«operazione verità». Scoprirà che il Governo, rispetto a quanto concordato, non onora i propri impegni e, anzi, continua la farsa della sottostima del Fondo sanitario nazionale consegnando al paese, sottosegretario Vegas, di anno in anno, una politica della sanità che non soltanto non copre i costi dei livelli essenziali di assistenza ma costringe le regioni italiane, anche per le modalità con cui trasferite le risorse, a ricorrere ad anticipazioni di cassa; e la voragine dei disavanzi pregressi aumenta nei trienni dal 2002 al 2006. Siamo stati tutti quanti rassicurati da voi, in questi mesi, all'insegna della parola d'ordine: le risorse per la sanità aumentano. Dove? Come? Anche nel vostro Documento di programmazione economico-finanziaria avevate giustamente calcolato il tendenziale - ve ne do atto - in 95 miliardi di euro, ma avete poi fatto di nuovo non l'«operazione verità» ma l'«operazione falsità».
PRESIDENTE. Onorevole Labate...
GRAZIA LABATE. Avete iscritto nel bilancio dello Stato una somma pari ad 89 miliardi di euro; l'avete incrementata di un miliardo di euro, con un rigido regime vincolistico dell'accesso alle regioni; ci avete detto: daremo altri due miliardi di euro, e li ancorate ad un sistema di vincoli che risultano la vergogna di questo paese. Un cittadino del Mezzogiorno non potrà più recarsi in una regione del centro-nord per sottoporsi ad un'operazione ortopedica raffinata ed importante perché avete messo vincoli anche sulla mobilità sanitaria ed avete cambiato in corso d'opera, con un colpo di mano, in Commissione bilancio, le modalità di ripartizione del fondo basate su solidarietà e peso dei bisogni di salute della popolazione nel nostro paese. Questo è il risultato delle vostre politiche sociali che ci consegnate.
Ma sono certa - e concludo, signor Presidente - che quanto ho affermato in questa Assemblea, nonché ciò che i cittadini proveranno nella loro esperienza di vita quotidiana, risulteranno la migliore «operazione verità» per mandarvi a casa, perché avete fallito!
Questa è la verità politica di questo paese, e sono sicura che i cittadini italiani, con intelligenza e con coraggio, cambieranno strada (Applausi dei deputati dei gruppi dei Democratici di sinistra-L'Ulivo e della Margherita, DL-L'Ulivo)!
PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Lettieri. Ne ha facoltà.
MARIO LETTIERI. Signor Presidente, signor viceministro, il rapporto dell'Economist intelligence unit sul sistema Italia dimostra che l'analisi della competitività effettiva nel periodo 2001-2005 vede l'Italia precipitare al trentunesimo posto nella
classifica mondiale: il nostro paese perde, quindi, otto posizioni rispetto alla precedente valutazione.
La comparazione della realtà economica del nostro paese con lo scenario globale suscita, pertanto, grande preoccupazione. Vorrei segnalare che, nel 2004, il PIL mondiale è cresciuto del 5,1 per cento: ciò è stato certamente il frutto dell'esplosione economica dei paesi emergenti (Cina, India e Corea del nord), nonché della ripresa americana e giapponese. L'Italia, invece, è cresciuta appena dello 0,2 per cento: siamo, dunque, alla crescita zero.
Ciò che è più grave, tuttavia, è che il nostro paese non sembra essere in grado di cogliere le opportunità della ripresa che si sta prospettando nell'area dell'euro. Attraverso il disegno di legge finanziaria in esame, frutto di continue correzioni, di un decreto-legge fiscale collegato e di un maxiemendamento, il Governo di centrodestra dimostra di non avere una politica economica ed una strategia di rilancio del sistema paese per renderlo più competitivo all'esterno e più equo e solidale al proprio interno.
Ci troviamo di fronte ad una serie di proposte - anche se, certamente, qualcuna è anche condivisibile - scoordinate e minute, che tuttavia non rappresentano un'organica politica economica e finanziaria. In questi cinque anni, è stato vanificato quanto di buono, con fatica, erano riusciti a realizzare i Governi di centrosinistra. È stato quasi azzerato, infatti, l'avanzo primario; è aumentato il rapporto tra deficit e PIL, che difficilmente riuscirà ad attestarsi al 3,8 per cento; anche il debito pubblico ha ripreso a salire, invertendo il trend discendente faticosamente avviato dal Governo Prodi.
Si tratta di dati tanto inconfutabili quanto amari, eppure vorrei osservare che, in questi cinque anni, le varie manovre finanziarie non sono state irrilevanti: il loro ammontare complessivo, infatti, è stato pari a circa 100 miliardi di euro. Nel periodo considerato, anziché incrementare la spesa effettiva per gli investimenti, è aumentata la spesa corrente. Sono altresì crollati i consumi delle famiglie: vorrei segnalare che, per la prima volta, nel Mezzogiorno il calo ha riguardato e riguarda tuttora i consumi alimentari, diminuiti dell'11 per cento. Alla debolezza della domanda interna, purtroppo, non ha sopperito quella esterna, per le note difficoltà delle economie verso le quali tradizionalmente esportiamo.
Tutto ciò ha determinato un impoverimento complessivo del paese, accentuando ancor di più le disuguaglianze, le ingiustizie e le sperequazioni sociali. I ricchi, infatti, sono diventati più ricchi, come i clienti privilegiati della Banca popolare italiana e gli speculatori finanziari ed immobiliari, mentre i poveri, e perfino i ceti medi, sono sempre più poveri, a causa del forte aumento del costo della vita, il quale, per le famiglie «normali», è sicuramente molto più alto di quello calcolato dall'ISTAT.
Si è di fronte ad un paese in difficoltà di ripresa e, per certi versi, sfiduciato, nonostante vi sia una notevole ricchezza di risorse umane, imprenditoriali e professionali, oltre al vasto, e spesso unico, patrimonio ambientale, storico e culturale. Evidentemente, non sono stati affrontati, al di là dell'ottimismo governativo, i veri nodi strutturali della crescita, a partire dal Mezzogiorno.
Con le sue scelte inefficaci e deludenti, infatti, il Governo di centrodestra ha mortificato le speranze e la voglia di intraprendere. Non si è dato alcun riferimento credibile alle forze sane della nostra società, alle intelligenze ed alle passioni dei nostri giovani, al mondo della ricerca e delle università, agli imprenditori seri ed a quella parte di classe dirigente tuttora motivata che ancora si sente al servizio del paese. Permane l'incertezza del futuro e l'insicurezza diffusa, che sono cause non secondarie della mancata ripresa di cui, come sostiene il Censis, si intravede appena qualche barlume.
Dopo anni di proposte avanzate dal centrosinistra, in questo disegno di legge finanziaria, finalmente, si riduce il «cuneo fiscale». La riduzione dei costi delle imprese è pari all'1 per cento, ma alle stesse, contemporaneamente, si sono imposti, con
il decreto-legge fiscale, maggiori oneri derivanti dal raddoppio del periodo di ammortamento degli oneri relativi all'avviamento.
Verso le imprese si continua, quindi, con la pratica del bastone e della carota. Le politiche fiscali del Governo verso le imprese sono contraddittorie, come dimostrano la stessa tardiva scoperta del «cuneo contributivo», le genericità relative ai nuovi distretti produttivi e l'irrisorietà degli stanziamenti. Peggio si fa ancora con la cosiddetta poison pill, estesa anche alle società private, in barba a qualsiasi logica di concorrenza, con il rischio che ci venga contestata in sede europea.
Il Mezzogiorno ha ancora bisogno di incentivi. Voi avete «tagliato» i contributi a fondo perduto previsti dalla legge n. 488 del 1992 e dal cosiddetto credito di imposta. Come dicevo, il Mezzogiorno ha ancora bisogno di incentivi, ha bisogno di una vera fiscalità di vantaggio, ha bisogno di infrastrutture adeguate e di una moderna logistica, che non solo riducano le diseconomie delle imprese e degli investitori ma servano a trasformare l'intera area meridionale in un naturale snodo dei traffici da e per l'Asia. Al sud occorre subito porre mano alla ristrutturazione di tutti i porti ed alla realizzazione della logistica e dei collegamenti, per rendere praticabili i traffici suddetti.
Il Mezzogiorno, come il resto del paese, ha senz'altro bisogno di sviluppare la ricerca e gli studi di eccellenza, di accrescere l'economia del sapere, ma le infrastrutture di cui ho parlato sono decisive per il suo «decollo» e per il nuovo ruolo che può svolgere rispetto ai traffici globali. Pertanto non è concepibile l'attuale arretratezza del sistema ferroviario meridionale, di cui ha parlato il collega Meduri, ed è assurdo che nell'area di Napoli non vi sia un grande hub aeroportuale.
Senza dotazioni infrastrutturali, non vi è speranza di intercettare i traffici di merci e di turisti provenienti dall'Asia. Si consideri, senatore Vegas, che nel 2020 i turisti cinesi saranno più di cento milioni. Il nostro paese difficilmente, in queste condizioni, riuscirà a catturane, come dovrebbe, una parte rilevante. Attualmente l'ENIT non ha nemmeno un ufficio in Cina, dove - tuttalpiù - ogni tanto girovaga qualche assessore regionale carico di brochure...
Gli interventi previsti in questo disegno di legge finanziaria spesso hanno finte coperture; altri sono quasi spot propagandistici, come la Banca del sud ed il fondo per indennizzare i risparmiatori truffati dalle vicende Parmalat, Cirio, bond argentini, ed altre.
La verità è che i conti che il centrodestra presenta al paese, anche con quest'ultimo suo disegno di legge finanziaria, sono fuori controllo ed amari per i cittadini italiani. La politica fiscale attuata in questi anni, costituita da condoni, «scudi fiscali», depenalizzazioni dei reati di falso in bilancio, oltre che immorale ed iniqua, ha di fatto incentivato l'evasione fiscale, che ha raggiunto dimensioni intollerabili.
A fronte di questa situazione disastrosa, il centrodestra, anziché dire la verità al paese e proporre poche ed efficaci misure, pensa alla costituzione di una superholding per gestire ulteriori dismissioni immobiliari e le privatizzazioni. Sarà un altro trucco, un'altra scelta «creativa», che non risanerà il debito pubblico, impoverirà ulteriormente il nostro paese e farà arricchire qualche «solito noto».
Noi ci opporremo con tutte le nostre forze, ma, per fortuna, ormai il centrodestra non avrà più il tempo di fare un'altra scelta scellerata (Applausi dei deputati dei gruppi della Margherita, DL-L'Ulivo e dei Democratici di sinistra-L'Ulivo).
PRESIDENTE. È iscritta a parlare l'onorevole Sasso. Ne ha facoltà.
ALBA SASSO. Signor Presidente, questa è una discussione «quasi virtuale», poiché non conosciamo, se non per grandi linee, il testo del maxiemendamento sul quale il Governo porrà la questione di fiducia. Per i settori cui intendo riferirmi nel mio intervento, ossia istruzione, università, ricerca e cultura, le linee sicuramente non saranno messe in discussione, perché sono già tracciate e rappresentano
la naturale prosecuzione di un cammino già avviato con le precedenti leggi finanziarie e le scelte di questo Governo.
Si tratta di un cammino caratterizzato da «tagli», dal 2001 in poi: penso alla scuola, con il 44 per cento in meno per le spese di gestione ordinaria, la riduzione del 24 per cento dei fondi per l'offerta formativa, la riduzione degli organici e la precarizzazione del personale, nonostante un aumento significativo del numero degli studenti. Basta fare un esempio: quando fu varata la legge n. 53 del 2003, la cosiddetta riforma Moratti, si previde un finanziamento di 8 miliardi e 320 milioni di euro. Quella epocale riforma del sistema - come era stata definita - doveva essere finanziata con un grande stanziamento. Invece, sembra finanziata solo con i tagli e con gli ulteriori tagli che l'attuazione della legge comporta. A fronte degli 8 miliardi di euro, in questi anni sono stati stanziati solo 200 milioni di euro.
Nel disegno di legge finanziaria per il 2006 vengono ridotte le spese per le supplenze brevi, quelle per il miglioramento dell'offerta formativa, quelle per l'aggiornamento dei docenti e per gli straordinari dei dipendenti ed anche quelle per l'aggiornamento del personale ausiliario tecnico e amministrativo. Sono tagliate anche le spese per il funzionamento degli uffici ed è ridotta a 565 milioni di euro la spesa per le supplenze brevi del personale docente e del personale ATA.
Per di più non vi è traccia di quel piano pluriennale per le assunzioni dei docenti (era una legge di questo Governo), mancano gli stanziamenti per il piano programmatico di attuazione della legge n. 53 del 2003, mancano i fondi destinati a finanziare il rinnovo contrattuale del personale della scuola recentemente sottoscritto. Non vi è alcun intervento risolutivo per l'edilizia scolastica e non vi è ancora il piano di riparto dei mutui per il 2005. A ciò occorre aggiungere i tagli operati dal decreto legislativo del 17 ottobre 2005, n. 211 e dal decreto-legge n. 203 del 2005, che prevede una riduzione dei finanziamenti alle scuole, in particolare una riduzione dei finanziamenti che garantiscono gli interventi integrativi per gli alunni disabili, le spese per l'igiene e la sicurezza, le spese per la formazione. Insomma, la spesa complessiva dello stato di previsione 2006 prevede una riduzione di un miliardo di euro rispetto all'assestamento di bilancio del 2005. Altro che - come dice il ministro Letizia Moratti - maggiori investimenti in questo settore! Altro che affermare - come dice sempre il ministro Letizia Moratti - che nessun altro Governo ha investito tanto per l'istruzione! Sembra quasi che non si distingua tra i costi e le spese di investimento.
Anche per il settore dell'università le cose non cambiano rispetto ad una domanda di formazione superiore e di ricerca innovativa che è in crescita. Vi è una nuova motivazione dei giovani verso gli studi universitari, con un aumento delle immatricolazioni del 20 per cento. Non crescono solo le iscrizioni dei giovani appena diplomati, ma tornano all'università anche coloro che l'avevano abbandonata o che non l'avevano scelta alla fine della scuola secondaria superiore.
Per un paese come il nostro che registra la più grave arretratezza nel basso numero dei laureati (la metà della media europea) dovrebbe essere una bella notizia. Invece, questo Governo, rispetto a tale fenomeno, che andrebbe coltivato come una piantina preziosa, c'è passato sopra con il diserbante. Proprio quando l'aumento della domanda avrebbe potuto generare sviluppo del sistema universitario, sono state fatte mancare le risorse per adeguare l'offerta. La legislatura volge al termine, senza che sia stato risolto alcun problema dell'università. Abbiamo visto solo norme improvvisate, tagli ai finanziamenti, blocco delle assunzioni e rilancio del centralismo.
Passando alle cifre reali, nei quattro anni dal 1998 al 2001, le università statali hanno avuto a disposizione in totale dallo Stato 3 miliardi e 228 milioni di euro in più rispetto al finanziamento del 1997. Nei successivi quattro anni - in cui era in carica questo Governo - dal 2002 al 2005, hanno avuto 750 milioni di euro in meno rispetto al finanziamento del 2001. Nella
legge finanziaria per il 2006 vi è di nuovo un taglio di 75 milioni di euro. Può sembrare poco rispetto ai quasi 7 miliardi del totale (poco più dell'1 per cento), ma appena si riflette sul fatto che circa il 90 per cento di quei 7 miliardi è destinato a pagare gli stipendi del personale, che ovviamente non sono comprimibili, si comprende che il taglio effettivo alle spese è ben più pesante (intorno al 10 per cento). È pesantissimo il taglio all'edilizia universitaria (il 40 per cento in meno nel 2006), che si aggiunge all'identico taglio operato già nella prima legge finanziaria di questo Governo.
Il centrosinistra nel 2001 lasciò il capitolo sull'edilizia universitaria a 250 milioni di euro. Il centrodestra, nel 2006, lo lascerà a 90 milioni di euro, ossia circa 50 euro l'anno per studente - sì, proprio 50 euro: non è un errore! - per mantenere, ristrutturare, costruire e arredare aule, biblioteche, laboratori e dipartimenti, vale a dire tutte quelle spese che costituiscono strumenti per la qualità del sistema. Ben diversa è la musica suonata per le università non statali, le quali ottengono una crescita del finanziamento di circa il 10 per cento nel quadriennio.
Sui beni e le attività culturali, noi continuiamo a stupirci, malgrado tutto. Non che ci aspettassimo il reintegro dei tagli allo spettacolo e alla cultura in generale, ma certo non potevamo immaginare che le riduzioni - in particolare, ci riferiamo a quelle che si sono abbattute sul Fondo unico per lo spettacolo - potessero essere tanto pesanti.
Partiamo da due dati: la consistenza del FUS prevista dall'ultima legge finanziaria del centrosinistra è di 526 milioni di euro; lo stanziamento del FUS nella legge finanziaria per il 2005 ammontava a 464 milioni di euro; il Governo, in questa finanziaria, ci riserva due sorprese interessanti. Da un lato, riduce in tabella C lo stanziamento per il Fondo unico per lo spettacolo fino a 300 milioni di euro, mentre, dall'altro lato, nello stato di previsione del ministero risultano stanziati oltre 442 milioni di euro, circa 22 milioni in meno rispetto all'anno precedente. Dunque, lo stanziamento previsto in bilancio sembrerebbe superare quello previsto dalla finanziaria. Sappiamo, però, che è meno di un reintegro sul filo di lana.
Fa testo il magro ed inadeguato stanziamento di 300 milioni di euro previsto in tabella C. La situazione sostanzialmente non muta, anche se nel passaggio dal Senato alla Camera il Governo ha deciso, sotto la spinta di vivissime proteste da parte dell'intero comparto della cultura, di aggiungere 85 milioni di euro in tabella C. Si rimane ancora di gran lunga al di sotto del finanziamento dello scorso anno ed è comunque una cifra assolutamente insufficiente rispetto alle esigenze del settore.
Potremmo dilungarci su questi temi, sulle mancanze e sulla miopia di questo Governo in materia di cultura e di spettacolo. Tuttavia, ritengo che dobbiamo riferirci alla tragica e pericolosa emergenza che questa finanziaria e le scelte dell'attuale Governo stanno creando in questo delicatissimo e strategico settore per l'economia e la crescita del paese. Si stupirà il Governo per la chiusura di teatri pubblici e di grandi istituzioni culturali, ma anche di musei, area archeologica, biblioteche ed archivi? Quali risposte si daranno alle associazioni e alle istituzioni che dovranno interrompere la loro attività per mancanza di finanziamenti? Quali risposte si daranno ai cittadini che si vedranno sottrarre il loro diritto alla cultura? Come si pensa di provvedere al dimezzamento dell'attività del centro sperimentale di cinematografia o alla Mostra del cinema di Venezia? Come si provvederà alla perdita dei posti di lavoro? Come si rimedierà all'esclusione dei cittadini dalla fruizione della cultura e del sapere?
Credo che queste saranno le conseguenze delle scelte sbagliate di questo Governo. Non si tratta di risparmi o di razionalizzazione della spesa, ma di tagli indiscriminati, del crollo del sistema culturale italiano.
Ritengo che in questa finanziaria siano confermate tutte le scelte compiute in questi anni, tese ad impoverire l'intero comparto dell'istruzione, dell'università,
della ricerca e della cultura. Tali tagli rispondono ad un'idea dietro la quale si nasconde un'immagine ben precisa di società, ossia un modello sociale in cui ad essere promossi non sono la solidarietà, i diritti di tutti, l'investimento nell'ingegno e nelle intelligenze, ma la competitività, l'egoismo e l'individualismo.
Questa finanziaria, in sintesi, non è minimamente ispirata a logiche di rigore o di sviluppo e non affronta in maniera strategica nessun problema di crescita del paese, valutando il ruolo della ricerca, delle infrastrutture, della cultura e dell'istruzione come premessa per una crescita del paese. Un paese cresce se cresce il livello culturale della maggior parte della sua popolazione.
È un pesante attacco allo Stato sociale realizzato anche attraverso la riduzione dei fondi per gli enti locali, riduzione che finirà con il penalizzare le «tasche» dei cittadini ed i settori e comparti di cui prima parlavo, con ciò penalizzano la speranza di futuro del paese.
Per noi investire in questi settori, invece, significa far crescere il paese, promuovere uguaglianza dei diritti, scommettere sulle intelligenze, sui talenti, sull'occupazione, preparare il futuro, un futuro diverso, di crescita per il paese, esattamente il contrario di quanto la manovra finanziaria e le scelte del Governo hanno compiuto (Applausi dei deputati del gruppo dei Democratici di sinistra-L'Ulivo)
PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Mariotti. Ne ha facoltà.
ARNALDO MARIOTTI. Signor Presidente, la relazione di minoranza dell'onorevole Morgando, gli interventi delle colleghe e dei colleghi e l'azione emendativa svolta unitariamente dall'Unione fanno emergere con chiarezza la manovra finanziaria alternativa del centrosinistra, che si contrappone al disegno di legge in esame, ultima finanziaria del centrodestra, caratterizzata da totale confusione, assoluta mancanza di chiarezza; e gli effetti disastrosi di questa situazione ricadranno sulla prossima legislatura e sul prossimo Governo.
Gli obiettivi di risparmio su cui avete impegnato l'Italia verso l'Europa in sede di Commissione e di Ecofin sono difficilmente conseguibili. Ecco perché siamo «osservati speciali». A rischio sono la credibilità e l'affidabilità internazionali del paese.
Intendo ricostruire brevemente (è stato già fatto) come si sono svolti i fatti. Il Governo ha presentato i disegni di legge finanziaria e di bilancio, non ha ritenuto necessario prevedere una nota di aggiornamento al Documento di programmazione economico-finanziaria perché sosteneva sfacciatamente che le previsioni contenute nel Documento di luglio fossero ancora valide. In sede di audizione delle Commissioni riunite di Camera e Senato, il ministro dell'economia e delle finanze confermava, a domanda specifica, il rispetto degli obiettivi per il 2005 compresi i 6,5 miliardi di entrate da dismissioni immobiliari. Solo 6 giorni dopo, signor Presidente e colleghi, tutto ciò non esisteva più, perché il Governo presentava, con il decreto-legge n. 211, una manovra correttiva sui conti del 2005 che «cancellava» i 6,5 miliardi di entrate da dismissioni e li sostituiva abbondantemente con tagli alle spese che hanno paralizzato la spesa pubblica e gli enti nazionali e locali in questi ultimi giorni dell'anno.
Nessuno sa quale sia l'effetto e quanto valga il programma effettivo della dismissione del patrimonio, perché il Governo si è rifiutato di presentare non soltanto la nota di aggiornamento al DPEF ma anche le più volte richieste relazioni tecniche, per dimostrare che il 4,3 per cento del rapporto tra deficit e PIL nel 2005 sarà rispettato. Quel decreto-legge è stato poi ricompresso nel decreto-legge n. 203, già approvato dalla Camera.
In sostanza, è avvenuto che abbiamo iniziato una discussione con una manovra di 10 miliardi e 396 milioni e, a tutt'oggi, con una ricostruzione parziale (perché non abbiamo gli strumenti ed i dati per fare altro), siamo a circa 17 miliardi di euro. Naturalmente dallo 0,8 si passa all'1,2 per cento e tutto ciò è ancora in sospeso perché non sappiamo cosa farà il
Governo con il maxiemendamento. Qualcosa in Commissione è già successo, con un contrasto aperto tra la relatrice per la maggioranza ed il viceministro Vegas, che rappresentava il Governo. I saldi non sono realizzabili. Questo è chiaro, lo diceva la collega Pennacchi e non intendo tornarvi.
Le coperture sono fittizie, in quanto esse portano, com'è già stato dimostrato per gli anni dal 2003 al 2005, ad uno slittamento della spesa e quindi ad un effetto rimbalzo. Pertanto, tutti i tagli di spesa, che voi prevedete per consistenti cifre - parliamo di diversi miliardi -, sono aleatori e saranno guai per la prossima legislatura e per il prossimo governo. Quello che succederà nel 2006 è ormai abbastanza chiaro. Accadrà che, poiché i tagli alla spesa negli enti territoriali sono imposti, essi verranno rispettati. Come dice la Corte dei conti e come ha ricordato il Ragioniere generale dello Stato, il patto di stabilità interno in questi anni è stato sempre rispettato da parte delle regioni, delle province, dei comuni e delle comunità montane. Chi non ha rispettato questo impegno è il Governo nazionale. Abbiamo un peggioramento della situazione infrastrutturale nel paese, anche a seguito della manovra, di cui ai commi 21 e 26, che va sotto il titolo «limitazione ai pagamenti». Vorrei spiegare cosa significa ciò. Quando si tagliano 300 milioni di euro all'ANAS, 1200 milioni di euro al fondo innovazione tecnologica, 336 milioni di euro agli investimenti fissi lordi e 400 milioni di euro alla contabilità speciale, per un importo complessivo pari a circa 2,5 miliardi, significa che a parte il peggioramento dello stato delle strade, delle ferrovie e delle infrastrutture, vi sarà una difficoltà a tenere il rapporto tra questi enti e le imprese, che hanno già compiuto le opere ed aspettano il pagamento. Quanto costerà questo nel bilancio del prossimo anno allo Stato nel suo complesso, per effetto di contenziosi, che certamente vi saranno e che vedranno perdenti gli enti appaltanti, visto che quanto stabilito contrattualmente voi non lo potete aspettare?
Continua, colleghi, un attacco politico, istituzionale e costituzionale verso le regioni, le province, i comuni e le comunità montane. Si lede la loro autonomia, violando l'articolo 117 della Costituzione ed ostinandosi a non applicare l'articolo 119 della Costituzione sul federalismo fiscale. È stato veramente chiarissimo il viceministro Vegas in Commissione in sede di replica, quando ha detto che questo Governo non può accettare di costruire il patto di stabilità interno sui saldi. Si ostinerà, come ha fatto fino all'ultimo, a costruirlo sui tetti di spesa, perché non vuole che le entrate locali inseguano le spese, cioè non vuole riconoscere agli enti locali quello che essi meritano, cioè non vuole riconoscere la loro autonomia.
In ultima analisi, non si vuole riconoscere agli enti locali la possibilità di coniugare autonomia e responsabilità. Non si vuole quindi applicare l'articolo 117 della Costituzione, né l'articolo 119. Siamo di fronte ad un Governo ipercentralista, nonostante le chiacchiere che si fanno sul federalismo e sulla devolution. Sento un silenzio assordante di quelle forze politiche, che hanno puntato tutta la loro strategia sulla devolution e sul federalismo. Abbiamo di fronte una politica vessatoria, centralistica e incostituzionale verso il mondo delle autonomie. Questa chiaramente non è la mia opinione, ma è ciò che ha scritto la Corte costituzionale nella sentenza n. 417 del 14 novembre 2005.
Ricordo che gli enti locali hanno sempre rispettato i patti. Sono invece i ministeri a non rispettarli e ad aver provocato il deficit eccessivo. Lo diceva prima la collega Pennacchi, voglio ora ripeterlo - nella speranza che arrivi una qualche risposta da parte del viceministro Vegas -: come mai lo staff diretto di collaborazione del ministro dell'economia e delle finanze è composto da 442 persone? Si tratta di 156 in più rispetto al 2001! Per un costo, sul bilancio dello Stato, pari a 6 milioni di euro! Sono 103 i direttori generali nominati dall'attuale Governo in questi quattro anni e mezzo, nonostante la riforma fatta dal Governo di centrosinistra, che ha ridotto da 24 a 14 i dicasteri. E si continuano a tagliare i fondi agli enti locali!
Ma veramente pensate di continuare in questo modo a fare propaganda per coprire le vostre vergogne? Il combinato disposto tra l'emendamento del relatore ed il subemendamento del Governo approvato in Commissione bilancio ha comportato un peggioramento enorme del testo licenziato dal Senato per quanto riguarda gli enti territoriali perché, a parità di saldi, sono stati esclusi dal patto di stabilità interno i comuni con 3.500 abitanti.
Non vi è alcuna novità: nessuno può, pertanto, appendersi la medaglia per questo, perché già nel 2005 si registrava tale situazione. Quindi, non vi è stato alcun miglioramento nella condizione degli enti locali, mentre è accaduto che quelle poche risorse, in termini di saldi, sono state ripartite in modo da peggiorare le condizione degli altri comuni e delle province.
Rispetto alla spesa in conto capitale del 2004, si è passati dalla preventivata percentuale dell'8,1 per cento in più al 6,9 per cento, registrandosi, quindi, un peggioramento degli investimenti nei confronti degli enti locali.
Per quanto riguarda la spesa corrente per gli enti locali, cosiddetti non virtuosi (mi riferisco, quindi, a tutti gli enti locali), nel testo del Senato era previsto un aumento del 6,7 per cento rispetto alla percentuale del 2004, mentre oggi si registra una percentuale dell'8 per cento in meno. Vi è, quindi, un peggioramento palese rispetto alle loro capacità.
Lo stesso discorso vale per le regioni e mi riferisco, in modo particolare, alla spesa in conto capitale. L'aumento possibile rispetto alla spesa in conto capitale del 2004 diventa oggi del 4,8 per cento, mentre nel testo licenziato dal Senato era prevista una percentuale del 6,9 per cento.
Si introduce, inoltre, il concordato preventivo per i tributi propri di regioni, province e comuni.
Penso che questa misura rappresenti il cavallo di Troia, perché poi nel maxiemendamento sono previste altre forme di condono. In merito a ciò, saremo molto vigili e, soprattutto, ci attiveremo per spiegare ai cittadini italiani quello che avete combinato in questi cinque anni di Governo, sostenendo l'esigenza che il paese avverte di cambiare rotta con un nuovo Governo ed una nuova maggioranza (Applausi dei deputati del gruppo dei Democratici di sinistra-L'Ulivo)!
PRESIDENTE. Constato l'assenza dell'onorevole Valpiana, iscritta a parlare; si intende che vi abbia rinunziato.
Sospendo la seduta, che riprenderà alle 15,15.
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