Resoconto stenografico dell'Assemblea
Seduta n. 703 del 10/11/2005
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TESTO AGGIORNATO AL 14 NOVEMBRE 2005

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(Falso dossier relativo alla vendita di uranio del Niger all'Iraq - n. 2-01708)

PRESIDENTE. L'onorevole Pisa ha facoltà di illustrare la sua interpellanza n. 2-01708 (vedi l'allegato A - Interpellanze urgenti sezione 2).


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SILVANA PISA. Signor Presidente, vorrei ringraziare il ministro Martino per essere venuto personalmente a rispondere in aula; questa presenza ci sembra rilevante.
Partirei dalla seguente considerazione: i servizi segreti sono, appunto, segreti (lo dice la parola) e fanno il loro mestiere. Naturalmente, è importante che non siano deviati, come è stato in passato (sono abbastanza vecchia da ricordarmi la costruzione della «strategia della tensione» negli anni Settanta), ed è importante che non agiscano gli uni contro gli altri, come sembra succeda oggi negli Stati Uniti. In questo scontro, secondo diversi commentatori, si sarebbe inserita la volontà di coinvolgere i nostri apparati.
Pur sapendo che questo è un possibile sfondo, abbiamo fiducia negli uomini dello Stato e la nostra interpellanza vuole non tanto proseguire su questo piano, quanto piuttosto cercare di capire la responsabilità della politica del Governo di cui lei fa parte, signor ministro, circa la costruzione e l'uso del cosiddetto Nigergate. Infatti, anche alla luce di una vasta informazione che ci è stata fornita dalla stampa, riteniamo che questo Governo sia stato il primo a sapere che la notizia sulla fornitura di uranio all'Iraq da parte del Niger per costruire armi di distruzione di massa fosse una «patacca», per usare un termine che va tanto in voga; soprattutto, lei non poteva non sapere, per la sua responsabilità funzionale nei confronti del SISMI.
La prima domanda è la seguente: perché, essendo a conoscenza di questo falso (i servizi ne avevano dato notizia dal 2001, 2002), lei ed il suo Governo avete avallato questa bugia e quali legami avete favorito, mantenuto e costruito intorno a questa vicenda? Mi riferisco ai meeting di Roma, ai contatti con gli iraniani; insomma, non voglio far troppa dietrologia: è tutto scritto nell'interpellanza.
La seconda domanda riguarda la contraddizione tra l'affermazione da parte dei servizi che esistevano prove documentali - cito testualmente - sul citato acquisto di uranio nell'ottobre del 2002, in sede di Comitato di controllo, e la consapevolezza, sempre dei servizi, che il dossier, pubblicato da Panorama in data 12 settembre 2002, a sostegno di questa tesi fosse, invece, di scarsissima credibilità.
Come mai, quando avete scoperto, dopo la pubblicazione dell'articolo, che questa informativa consisteva in una «patacca», non se n'è data un'informazione adeguata gli alleati? Oppure, nel caso che i nostri alleati, invece, siano stati avvisati, perché il nostro Governo è diventato complice dell'amministrazione Bush nella costruzione di questa colossale menzogna pubblica che è servita a sostenere la guerra irachena?
L'altro ordine di domande riguarda quali azioni, quale missione e quale ruolo abbiano svolto i nostri servizi sul terreno iracheno prima e durante la guerra in Iraq, nonostante la non belligeranza ufficiale del nostro paese.
Chiediamo di sapere, in particolare, se i servizi si siano resi conto dell'inadeguatezza e della scarsa possibilità di reazione dell'esercito iracheno, militarmente inconsistente e, infatti, dissolto al più presto; se di questo abbiano informato voi e l'alleato USA; se dal teatro iracheno abbiano fornito informazioni circa la reale inesistenza delle armi di distruzione di massa o invece se abbiano dato informazioni sulla dislocazione e individuazione degli obiettivi militari (tipo le batterie missilistiche: lei lo sa meglio di me).
Di tale azione degli apparati, Palazzo Chigi sostiene di avere riferito al Comitato di controllo, ma di essa i membri del Copaco sostengono invece di non sapere niente. Si tratta di attività che evidentemente non si sostanzia in un «affare di tecnici», ma che chiama in causa responsabilità politiche.
Chiediamo allora se queste stesse attività non contrastino col carattere di peacekeeping attribuito dal Governo e dal Parlamento alla missione Antica Babilonia e non configurino nei fatti una partecipazione italiana alla guerra irachena.
È importante oggi trovare delle risposte, poiché tutta questa vicenda, signor ministro, che era ovviamente a vostra conoscenza, di fatto riscrive la storia della guerra irachena in una luce totalmente


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diversa e dà ragione a noi, che quelle cose le dicevamo fin da allora, e non per un pregiudizio ideologico, ma perché era quanto sostenevano gli ispettori dell'ONU («Non ci sono armi di distruzioni di massa in Iraq») che avevano lavorato e lavoravano sul campo. Tutto ciò fin dall'epoca delle affermazioni dell'ex agente della CIA Scott Ritter e degli ispettori stessi che a Baghdad svolgevano regolarmente le loro ispezioni (El Baradei e gli altri).
Dunque, il Presidente del Consiglio, pur essendo informato - Panorama è un giornale suo, mi pare! - dell'inattendibilità delle prove fornite per scatenare il disastroso conflitto iracheno (ricordo che le truppe degli Stati Uniti hanno cominciato a trasferirsi negli Emirati arabi già dall'estate del 2002), il 25 settembre dello stesso anno afferma al Senato che «esistono elementi di prova sul riarmo nucleare di Saddam, di cui i Governi e l'intelligence dell'Alleanza occidentale sono a conoscenza». Il 6 febbraio 2003, alla vigilia della guerra, Berlusconi afferma di nuovo che occorre «convincere il dittatore iracheno a disvelare il possesso e le postazioni delle sue armi di distruzione di massa».
Ci troviamo di fronte, insomma, alla costruzione di un gigantesco imbroglio di cui l'Italia non ha avuto l'esclusiva. Ricordo in Gran Bretagna la costruzione di false prove basate su una tesi di laurea di dieci anni prima; ricordo negli Stati Uniti la fialetta che Powell ha mostrato all'ONU, per non citare che gli aspetti più folkloristici, signor ministro, benché gli esiti siano stati drammatici, come sappiamo tutti. Insomma, Berlusconi, Bush e Blair sono corresponsabili di un vero disastro, pagato con un prezzo altissimo di vite umane: più di 30 mila civili iracheni morti, le tante giovani vite dei soldati della coalizione, la distruzione di un intero paese, l'indebolimento delle istituzioni internazionali e dell'Europa, la perdita di credibilità degli stessi Governi occidentali, l'aumento esponenziale del terrorismo internazionale, la mattanza quotidiana nel territorio iracheno, il rischio di una guerra civile e di uno Stato teocratico. Scusi se è poco...! L'unico dato positivo, ma è veramente troppo poco, è l'aver tolto di mezzo il dispotico Saddam.
E non ci ripeta che il Consiglio di sicurezza dell'ONU, votando le successive risoluzioni, di cui riconosciamo pregi e difetti e che non legittimano né la guerra né l'occupazione, ha preso atto della situazione. Conosciamo anche noi quello che Stigliz chiama il «Washington consensus», che significa il riconoscimento della legge del più forte.
Né ci venga a dire per l'ennesima volta che con le elezioni abbiamo esportato la democrazia, perché tutti noi abbiamo apprezzato la partecipazione alle elezioni (fa più piacere vedere persone in fila per votare che non teste tagliate), ma non ci è sfuggito che si è trattato di un processo eterodiretto, in larga misura non trasparente (mancanza di anagrafe, commissione elettorale nominata dagli americani), di cui l'amministrazione Bush, prima ancora che gli iracheni, aveva bisogno per giustificare la propria presenza sul suolo iracheno, nonostante i disastri sul campo. Tant'è che le truppe USA in questi stessi giorni, signor ministro, stanno aumentando la loro consistenza da 132 mila a 160 mila uomini. Se la situazione irachena fosse migliorata, non ce ne sarebbe stato bisogno. Ricordo, tra parentesi, che tutte le forze politiche che hanno partecipato alle elezioni avevano nel loro programma la fine dell'occupazione, tant'è che tredici paesi si sono ritirati.
Il punto è che la democrazia non si esporta con i cacciabombardieri, né con l'occupazione militare né col dominio, perché non solo il fine non giustifica i mezzi, ma in questo modo si creano protettorati e non democrazie e si alimenta il terrorismo.
In questi anni vi siete arrampicati sugli specchi e avete mentito ripetutamente, a noi e al popolo italiano, per giustificare l'appoggio del vostro Governo alla guerra di Bush, fatta per ragioni diverse da quelle presentate all'opinione pubblica.
Alle nostre interrogazioni ed interpellanze - tanto, lo sa meglio di me, signor


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ministro, vi abbiamo dato il tormentone: è il nostro ruolo -, avete reagito reticenti, evanescenti, manipolando la verità.
Voglio portare brevemente alcuni esempi.
Sulle torture ad Abu Ghraib, di fronte all'evidenza di prove documentali certe, il ministro Giovanardi ha dichiarato che si trattava di episodi di «mele marce», tempestivamente allontanate e punite; invece, si sapeva già che si trattava di un sistema teorizzato dalla Difesa degli Stati Uniti in manuali operativi - e perciò praticato da tempo «per fiaccare i prigionieri» - e che la catena di comando di questo sistema risaliva fino a Rumsfeld, che ne era a conoscenza e non è stato toccato dalla vicenda.
Sui bombardamenti ripetuti e a tappeto a Falluja - una città di 300 mila abitanti in cui quasi la metà delle case, degli edifici pubblici, delle scuole, delle moschee sono stati distrutti, con migliaia di morti anche civili -, ci avete risposto, prima, con il sottosegretario Baccini, che non eravate a conoscenza di piani di «soluzione finale» ma che, anzi, l'azione nella città irachena si basava sulla collaborazione per liberare alcuni centri urbani dalla presenza destabilizzante di bande di pericolosi criminali e terroristi. Un mese dopo, vi abbiamo chiesto di intervenire presso i nostri alleati almeno per la cessazione delle ostilità, per consentire un corridoio umanitario (siamo andati là come pacificatori, ha dichiarato sempre il ministro Fini), ma il sottosegretario Mantica ha risposto che l'operazione era ormai conclusa (mentre i bombardamenti di Falluja sono durati mesi e mesi). Vi abbiamo interrogato - attraverso il collega Bulgarelli - fin dal dicembre 2004 sull'uso, a Falluja, di gas velenosi e napalm, e ci avete risposto che il napalm, con cui sono state distrutte generazioni di vietnamiti, non è un'arma chimica, ma è un'arma incendiaria - quasi ciò fosse una grande differenza rispetto alla morte -; non solo, ci avete risposto che è un arma incendiaria proibita da un protocollo dell'ONU, protocollo, però, non ratificato dagli Stati Uniti. Insomma, vi sembrano risposte responsabili?
Nella scorsa primavera, abbiamo visionato del materiale documentale, recapitato da alcuni medici di Falluja - e messo in onda, in questi giorni, da RAI News 24 -, in cui si prova che a Falluja sono state usate bombe al fosforo bianco che bruciano e staccano la pelle dal corpo. Questa notizia è stata confermata non solo da marines americani, con nome e cognome, ma persino dal Governo inglese rispondendo ad un'interrogazione parlamentare: il Governo inglese, alle interrogazioni parlamentari risponde anche ammettendo gli errori. Anche su ciò, in questi giorni, abbiamo presentato interrogazioni: chissà quali altri «segreti e bugie» inventerete!
Sarebbe saggio, invece, per far luce su tale vicenda irachena, istituire una Commissione di inchiesta. In Gran Bretagna e negli Stati Uniti è stato fatto; da noi, no, nonostante le richieste dell'opposizione. Ricordo una proposta di legge del collega Folena del 10 febbraio 2004, volta ad istituire una Commissione di inchiesta; tutto è rimasto opaco e poco trasparente.
Avete negato, di fronte ad ogni evidenza, che il contesto iracheno, nel quale voi avete inviato i nostri militari, fosse un contesto di guerra; l'unica voce pubblica dissonante del vostro schieramento, che ha definito ipocrita non riconoscerlo, è stata quella della presidente Selva. In questo modo, avete tradito la fiducia dei nostri militari, mandandoli allo sbaraglio pur di mantenere la faccia rispetto alla falsa intitolazione dell'operazione come missione di pace.
Voglio portare, a tale proposito, alcuni esempi. Ricordo l'indagine, ancora in corso, della procura militare sulle misure di sicurezza insufficienti ad Animal House; ricordo, altresì, la protesta degli elicotteristi per l'inadeguatezza dei loro velivoli in un teatro di guerra; ricordo la battaglia dei due ponti, dove hanno perso la vita donne civili iracheni.
Questi episodi, ministro, lei li conosce meglio di me, e voglio concludere con le parole - come sempre efficaci - del generale Mini: «Noi militari ci possiamo permettere nei nostri ranghi soltanto di essere degli eroi (...). Gli eroi sono consapevoli


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della propria missione e della violenza che li circonda, hanno fede nei valori di riferimento e nei capi: sono pronti a combattere per assolvere la loro missione e hanno tutti i mezzi necessari per evitare rischi inutili (...). Perché se ammettessimo di essere invece martiri o vittime innocenti (...), dovremmo poi ammettere la colpa, il dolo, la malvagità, l'idiozia e l'imperizia di coloro che, avendo una qualsiasi responsabilità, non hanno adeguatamente preparato strutture e uomini, che hanno negato le risorse necessarie, che hanno fatto venir meno la fede mentendo, assegnando missioni sbagliate e assumendo impegni internazionali non credendoci e sapendo di non poterli onorare (...)».
Queste parole sono di un illustre generale e credo che testimonino anche un senso comune sempre più diffuso nel nostro esercito. Ritengo che esse vi dovrebbero suggerire di avviare una riflessione profonda. Noi, con la presente interpellanza, abbiamo messo insieme tante bugie, e credo che su queste voi dovreste risponderci, poiché non lo avete mai fatto fino in fondo.
Vorrei rilevare che il generale Powell, ex Segretario di Stato americano, lo ha fatto, riconoscendo che, se fosse stato a conoscenza dei veri dati sulle armi irachene, si sarebbe opposto al conflitto. Mi piacerebbe tanto, signor ministro, sentirle pronunciare una frase così!
Credo che, se il Governo volesse uscire con un minimo di dignità dalla vicenda irachena (per la quale abbiamo pagato un prezzo altissimo in termini di vite umane, quelle dei nostri soldati), dovrebbe accettare di dire la verità: si tratta dell'unico modo per rispettare il popolo italiano e per rendere giustizia ai morti!

PRESIDENTE. Il ministro della difesa, onorevole Martino, ha facoltà di rispondere.

ANTONIO MARTINO, Ministro della difesa. Signor Presidente, onorevole colleghe e onorevoli colleghi, l'interpellanza urgente in esame tocca quattro distinte tematiche, ricondotte ad un presunto quadro ragionativo unitario attraverso una strumentale connessione di questioni tra loro non pertinenti e reciprocamente autonome.
Nello specifico, si tratta dell'asserito coinvolgimento di istituzioni governative italiane nel cosiddetto Nigergate, di alcuni incontri avuti a Roma da Michael Ledeen nel corso del 2001, del ruolo dell'intelligence italiana in Iraq prima della missione nazionale, o addirittura prima dell'inizio delle ostilità, e del carattere asseritamente bellico della nostra missione in quel paese. Risponderò su ciascuno dei quattro distinti e, ripeto, separati argomenti.
Circa la prima questione, confermo la posizione, già più volte espressa dal Governo, di assoluta estraneità del SISMI, e perciò dell'esecutivo, rispetto a qualsiasi attività di disinformazione connessa, direttamente o indirettamente, con il falso dossier Iraq-Niger.
Tale posizione, peraltro, è stata ufficialmente assunta ed illustrata anche nel luglio 2003 tanto in questa sede, quanto in occasione dell'audizione, presso il Comitato parlamentare di controllo sugli organismi di informazione e sicurezza, allorché il sottosegretario di Stato alla Presidenza del Consiglio dei ministri, dottor Gianni Letta, ha potuto fornire ulteriori spunti di conoscenza e di informazione più direttamente attinenti all'operato dei servizi, nel quadro di riservatezza peculiare di quel consesso di controllo parlamentare e democratico.
Del resto, è a tutti noto come, nella medesima data di presentazione di questa interpellanza, lo stesso sottosegretario di Stato alla Presidenza del Consiglio dei ministri ed il direttore del SISMI abbiano, su propria richiesta, nuovamente affrontato l'argomento, ricostruendo, in modo analitico ed aggiornato, il quadro di conoscenze disponibili. In quel contesto, sono emersi diversi profili, afferenti ad attività tuttora in corso e direttamente coinvolgenti aspetti di intelligence funzionali alla tutela della sicurezza nazionale, che sono stati consegnati a quella cornice parlamentare di riservatezza.


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Nondimeno, nei gradi di dettaglio consentiti dall'ordinamento, il Governo rivendica di avere sempre assicurato, con la massima tempestività ed aderenza rispetto alle esigenze, tanto in Assemblea quanto in sede di Comitato parlamentare per i servizi di informazione e sicurezza e per il segreto di Stato, un'informazione né confusa, né reticente, né tampoco inquietante. La risultante di tali percorsi, ed a fronte degli incauti tentativi di coinvolgimento, è l'esclusione di qualsiasi responsabilità del SISMI, che il Governo anzi sostiene nel suo operato per la fedele attuazione delle direttive impartitegli.
Reputo necessario sottolineare, in questa sede, alcuni punti della vicenda, fornendo indicazioni utili a fugare eventuali residue perplessità su quella che si è già ampiamente manifestata come una montatura, un tentativo di coinvolgere il Governo in una storia falsa e fuorviante, una maldestra operazione politica per avallare, secondo alcune presunte relazioni giornalistiche, la tesi, a dir poco fantasiosa, di un esecutivo favorevole alla guerra, che avrebbe cercato di manipolare le proprie informazioni addirittura per scatenare un intervento armato in Iraq da parte dei paesi alleati.
Le evidenze informative concernenti la vicenda riguardano fatti riferibili agli anni 1999-2000 e, forse, anche ad anni antecedenti e sono state acquisite e fornite tra la fine dell'anno 2000 e i primi giorni del 2001. Solo qualche episodico, ulteriore elemento è stato ottenuto in tempi immediatamente successivi, ma comunque senz'altro prima della tragica vicenda dell'11 settembre 2001. Di tali evidenze è stata data formalmente notizia agli Stati Uniti nel corso del medesimo mese di settembre 2001, come da prassi ordinaria tra membri amici della comunità di intelligence internazionale.
Successivamente, a seguito di formale richiesta dell'intelligence statunitense e sempre nel corso del 2001, sono stati forniti elementi integrativi di conoscenza - meramente, date, estremi di riferimento, nominativi e contenuti - riferibili alle evidenze di intelligence, agli atti di archivio ed oggetto della segnalazione del precedente mese di settembre.
Nessuna documentazione - sottolineo, nessuna - è mai stata fornita ad alcuno, né in quella, né in altre circostanze. Anche in epoca immediatamente successiva sono state condivise con la comunità di intelligence americana solo opinioni o perplessità su contenuti e valenza degli elementi di cui sopra. Qualche tempo dopo, nei medesimi termini e limiti, tali evidenze sono state ulteriormente condivise con la comunità di intelligence britannica. Parimenti, pressoché nello stesso periodo, il dato informativo in questione è stato ancora condiviso, in termini essenziali, con l'IAEA, nell'ambito del programma di formazione dei componenti dell'Action team in partenza per l'Iraq, proprio per favorire l'acquisizione di elementi di valutazione sull'originaria notizia. Nessuna ulteriore e diversa attività è stata svolta dal servizio o da autorità italiane.
Negli ultimi mesi del 2002, si apprendeva, in via informale, che alcuni giornalisti italiani si sarebbero presentati presso l'ambasciata americana, probabilmente per fornire - o ottenere - notizie su problematiche interessanti l'Iraq. Nessuna indicazione o conferma è stata ottenuta da alcuna autorità americana in questo senso, fino ai primi mesi del 2003, allorché, in via confidenziale, il SISMI veniva informato di quanto avrebbero fatto e detto giornalisti italiani presso l'ufficio stampa dell'ambasciata americana. Il servizio, dal canto suo, in via autonoma, negli ultimi mesi del 2002 aveva acquisito formalmente evidenza di tali fatti tramite fonti vicine ad ambienti giornalistici italiani, senza tuttavia ottenere particolari o precise conferme.
Alla fine di febbraio del 2003, il servizio ha avuto un ulteriore contatto con l'IAEA, nel corso del quale ha appreso dall'Agenzia che la stessa era in possesso di documenti riguardanti la nota questione, di cui - peraltro - non veniva né consegnata, né esibita copia. Il servizio ribadiva l'informazione iniziale dell'IAEA, specificando di non avere mai fornito


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documenti ad alcuno e chiedendo di poter entrare in possesso di quelli nella disponibilità dell'Agenzia, che però non aderiva a tale prospettiva, in quanto dichiarati come provenienti da altri servizi di diversi paesi - mi spiace di non riuscire ad attirare l'attenzione dell'onorevole interpellante -, ed in tale periodo, specialmente dopo i primi mesi del 2003, a seguito della nota dichiarazione dell'organismo internazionale sui documenti, al servizio emergeva l'interferenza di un personaggio - ormai noto alle cronache - che avrebbe avuto un qualche ruolo nella vicenda. Veniva, dunque, avviata un'indagine conoscitiva per chiarire significato e portata di tale interferenza, atteso che, fino a quel momento, nulla si conosceva, né poteva autorizzare alcuna supposizione, sui rapporti tra il personaggio in questione ed i noti, dibattuti problemi.
Nel luglio 2003, periodo di molto successivo a quello in cui l'IAEA aveva dichiarato la falsità dei documenti, le operazioni belliche si erano concluse, le polemiche giornalistiche erano esplose e, specialmente, l'iniziativa giudiziaria in Italia e le indagini negli Stati Uniti erano notoriamente e conclamatamente avviate.
Quell'accertamento si consolidava e si accentuava, in quanto un servizio collegato europeo informava il SISMI del tentativo di uno o più soggetti italiani di cedere, verosimilmente dietro compenso economico, documenti afferenti la vicenda Iraq-Niger ed altri importanti coinvolgimenti internazionali per transazioni del medesimo tipo.
L'interesse istituzionale del servizio straniero e di quello italiano era comprensibilmente elevato, atteso che appariva sorprendente che, in quel frangente, con le polemiche e le inchieste notoriamente in corso, vi fossero iniziative di disseminazione di documenti di quella natura e concernenti quel tipo di prospettiva.
L'attività informativa avviata permetteva di acclarare contestuali contatti di organismi stranieri con chi aveva offerto i documenti al servizio collegato straniero e di ricostruire anche per il passato atteggiamenti e ruoli del protagonista principale.
Nel corso della medesima attività informativa e nei mesi successivi, oltre al persistere dei menzionati rapporti, se ne accertavano altri tra il medesimo soggetto ed ulteriori persone ed ambiti appartenenti al mondo mediatico che hanno operato anche in Italia. Tutte le relazioni ufficiali hanno dato contezza di tutto ciò con le doverose cautele di legge, ma senza mai fondarsi su elementi anonimi o su dati incerti o non documentabili. Ogni documentazione, quando richiesto dalle competenti autorità parlamentari, giudiziarie e di Governo, è stata sollecitamente e puntualmente fornita.
Non così risulta essere per talune cosiddette inchieste giornalistiche, che appaiono fondate su illazioni e su indicazioni provenienti da anonimi, che spesso risultano materialmente false, non esatte ed eccedenti per questa ragione i limiti del consentito. Talvolta, al più, riportano pareri di soggetti estranei agli apparati pubblici che, senza assunzione di responsabilità e senza titolo, propongono scenari e formulano giudizi fondati esclusivamente sul loro personale avviso (almeno sei giornali ne riportano fedelmente le dichiarazioni e le rispettive posizioni).
L'autorità giudiziaria italiana si è espressa su questo punto con provvedimenti formali, confermati dai giudici. Il sottosegretario Letta ed il direttore del SISMI hanno fornito al Copasis dati ed elementi di conoscenza e di valutazione rigorosamente supportati da evidenze documentali ostensibili in quel contesto fin nel dettaglio. Essi hanno, altresì, chiarito al medesimo Copasis che all'audizione cui hanno chiesto di sottoporsi ne dovrà seguire una ulteriore, che hanno formalmente chiesto per completare il quadro informativo anche in relazione agli specifici definitivi accertamenti su paesi ed ambiti che hanno originato i documenti dichiarati falsi e sui contesti e le persone che hanno poi tentato di utilizzarli per intossicare la comunità internazionale e la pubblica opinione.


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Esiste il fermo dovere giuridico e, per quanto mi riguarda, anche politico di smascherare chi può aver voluto far risalire al nostro paese e alle sue istituzioni responsabilità che essi non hanno e che vanno, invece, ascritte ad altri. Sono i fatti e le prove - non generiche fonti anonime - ad autorizzare questa puntuale presa di posizione. Per questi fatti e prove, tutta la vicenda non manifesta più alcuna significatività ai fini di un ipotetico ruolo italiano nella creazione e nella veicolazione del dossier.
D'altra parte, un coinvolgimento del Governo italiano in tal senso ha trovato autorevolissime e rispettabili smentite anche negli Stati Uniti e in Gran Bretagna, tanto in merito all'attività di approfondimento politico, quanto in chiusura dell'indagine condotta dall'FBI, che ha archiviato la relativa inchiesta per quanto riguarda l'Italia. Non solo: con pubbliche dichiarazioni, lo stesso vicedirettore dell'FBI ha spiegato come la vicenda del dossier in argomento non facesse parte di un tentativo di influenzare la politica estera statunitense, ma semmai di un disegno criminale mirato ad un guadagno finanziario.
Quanto al secondo quesito - ovvero se alla fine del 2001 vi siano stati o siano stati promossi incontri sollecitati da Michael Ledeen con l'intelligence italiana -, rispondo anche in questo caso in termini rigorosamente precisi, sottolineando come l'operato di questo ministro sia sempre stato collocato nell'ambito e nel rispetto delle attribuzioni istituzionali.
Io stesso ho disposto l'esecuzione di una doverosa attività di verifica preventiva e di acquisizione di notizie rispetto ad una prospettiva di contatti in Italia tra persone di altre nazionalità su tematiche presentate come di interesse multilaterale.
Tale doverosa quanto prudente attività preliminare risponde a regole di ordinaria e corretta cautela, in funzione di possibili determinazioni o atteggiamenti delle competenti autorità di Governo.
Desidero precisare in modo esplicito che queste tematiche non riflettevano, neppure indirettamente, questioni riguardanti l'Iraq o il Niger, né tanto meno interessi di questi paesi con terzi. Non ho alcuna difficoltà a rappresentare che gli organi italiani interessati hanno valutato prive di ogni interesse le prospettive esplorate, abbandonando ogni rapporto nell'arco di pochi giorni.
Aggiungo, inoltre, che gli stessi organismi hanno condiviso, autorizzati dal Governo italiano, ogni contenuto con le competenti autorità degli Stati Uniti. Tanto quanto sopra risulta documentalmente formalizzato in atti recanti date certe.
Taluni quotidiani italiani e statunitensi hanno enfatizzato, riferendole come vere, notizie di miei meeting, se non di incontri conviviali, con Ledeen e con il direttore del SISMI. Si tratta di eventi mai avvenuti e mai neppure ipotizzati. Si tratta, cioè, di descrizioni false.
Ancora una volta, desidero marcare la differenza fra i dati certi, ostensibili nelle sedi e con le formule previste dalla legge, da un lato, e il chiacchiericcio, dall'altro.
Sono così al terzo argomento, ovvero al ruolo dell'intelligence in Iraq. L'Iraq è stato, alla stregua degli altri paesi dell'area, oggetto di vivo e crescente interesse informativo nel quadro della rimodulazione e del riorientamento dello strumento intelligence, cui l'intera comunità internazionale è stata obbligata a seguito della radicale evoluzione della minaccia dopo l'11 settembre.
Ricordo, al riguardo, le misure di potenziamento in campo informativo decise in quel periodo in sede atlantica ed europea ed i conseguenti atti di indirizzo parlamentare, resi poi esecutivi dal Governo. Così, con uno sforzo poderoso, tutta l'intelligence occidentale - l'Italia non ha fatto eccezione - si è sottoposta ad un processo di adeguamento della propria fisionomia rispetto al diverso scenario geopolitico, caratterizzato, per la prima volta, da un complesso intreccio di fenomeni, tutti concorrenti ad alimentare il terrorismo internazionale sul piano globale, traendo linfa dalle numerose e diversificate aree di crisi mondiale, prima fra tutti il Medio Oriente.
Il SISMI, anche e soprattutto grazie alla nuova dirigenza, ha dovuto cambiare il


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software di base, manifestando a chiare lettere l'esigenza di conseguire, in pochissimo tempo e con la minaccia sempre incombente, nuove professionalità, nuovo know how e nuove expertise. Non è stata un'operazione di poco momento né di scarso impatto, anche, se non soprattutto, in termini di discontinuità rispetto a fisionomie e mentalità consolidatesi nel corso di oltre un cinquantennio.
Con il compito di raccogliere informazioni per garantire gli interessi italiani ovunque localizzati e proteggere la sicurezza nazionale da qualsivoglia minaccia, secondo quanto previsto dalla legge, e con un lavoro in progress, il SISMI ha quindi intrapreso la strada del consolidamento di tutte quelle aree caratterizzate da profili di interesse rispetto alla galassia della minaccia di matrice integralista islamica ovunque localizzabile.
L'Iraq ovviamente non era e non è un'eccezione in tale prospettiva, indipendentemente dalla presenza per un determinato periodo di truppe italiane sul posto. Abbiamo conferme significative in importanti operazioni di intelligence condotte dal SISMI in molti paesi nordafricani, mediorientali ed asiatici, laddove né era, né è ipotizzabile al momento un rischieramento di truppe nazionali. In tali termini - e aggiungerei, per fortuna! -, il SISMI era dunque anche in Iraq, mutuando il modus operandi dall'esperienza maturata nel biennio precedente in Afghanistan.
Al riguardo, debbo dire che, se il Servizio non avesse avuto tale lungimiranza, molte vicende che hanno riguardato interessi nazionali o, più concretamente, nostri concittadini probabilmente avrebbero conosciuto diversi e più funesti esiti.
I nostri agenti sanno fare bene il loro lavoro, forse perché ben preparati ad interagire con determinate controparti sia nel controllo delle reti informative, sia operando sul terreno. È un aspetto importante poiché si tratta di controparti che accettano il confronto con i nostri uomini, spesso rifiutando a priori contatti con altri. Basti pensare a quante volte blasonate agenzie occidentali si sono rivolte al SISMI per chiedere un aiuto, rivelatosi poi risolutivo, come documentato dalle tante attestazioni di gratitudine ufficialmente tributate.
In definitiva, la proiezione del SISMI in Iraq va inserita in questo contesto e con le descritte finalità, e non certo impropriamente ricondotta ad una prospettiva né bellica, né prebellica. Una volta sviluppati e consolidati i rapporti in loco, certo, le informazioni ottenute sono valse anche a salvare vite di civili e di soldati esposte alla minaccia militare di Saddam Hussein anche prima della missione dei contingenti italiani. Salvare vite, perché di questo si è trattato, e non illuminare o anche solo indicare obiettivi di possibile interesse militare per le forze della coalizione.
Circa, infine, la quarta tematica posta dagli interpellanti che l'intera questione delinei un contrasto con il carattere di peace-keeping della nostra missione in Iraq configurando una partecipazione italiana alla guerra, essa è smentita dall'inconsistenza della tesi, ma soprattutto sono gli atti ed i fatti a dimostrarlo. L'Italia non ha partecipato alla guerra (Commenti del deputato Pisa). La sua posizione è chiara fin dall'inizio: fu il Presidente del Consiglio, il 19 marzo 2003, a dichiarare in Parlamento, in forma solenne ed inequivocabile, la non belligeranza dell'Italia manifestata in Consiglio supremo di difesa e sancita dal Parlamento. Tutto questo esclude tassativamente qualunque nostro ruolo attivo nella guerra. Anzi, sin dall'inizio della crisi irachena forte è stato l'impegno alla ricerca di soluzioni che potessero scongiurare il ricorso alla forza, un impegno profuso a tutti i livelli e portato in tutti gli ambiti internazionali.
Le scelte successive sono derivate dalla presa di coscienza della criticità della situazione per il popolo iracheno e dell'importanza di partecipare alla stabilizzazione di quel paese nel più ampio contesto dell'impegno italiano contro il terrorismo internazionale. Il 15 aprile 2003 il Parlamento approvò l'invio di un contingente militare. Quegli atti di indirizzo parlamentare, discendenti da un ampio ed intenso dibattito, hanno rappresentato il


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formale assenso ed il principio fondante della nostra missione, disposta dal Governo immediatamente dopo la fine delle ostilità. In particolare, il nostro intervento si è solidamente incardinato nel quadro delle risoluzioni delle Nazioni Unite, la n. 1483 del 22 maggio 2003 e la n. 1511 del 16 ottobre, che caratterizzano la missione come parte di intervento multilaterale per contribuire alla stabilità e sicurezza dell'Iraq conferendo alle Nazioni Unite un ruolo centrale in tale processo.
A conferma di questo, proprio l'altro ieri il Consiglio di sicurezza ha approvato all'unanimità la risoluzione n. 1637 che prolunga il mandato della forza multinazionale in Iraq fino al 31 dicembre 2006. È, dunque, l'ONU che ha chiesto agli Stati membri di contribuire a quella garanzia anche con forze militari inserite in una forza multinazionale. È il Governo iracheno eletto democraticamente che ce lo ha più volte richiesto, anche in questi giorni, per voce del Presidente della Repubblica in visita nel nostro paese. La nostra è una missione militare di pace, quella pace che è valore primario di tutti gli italiani e dei nostri militari. Nessun compito aggressivo o bellicoso, bensì essenzialmente protettivo, difensivo ed umanitario, una presenza pacificatrice di cui andiamo orgogliosi. È anche grazie a ciò che abbiamo ottenuto importanti risultati e che constatiamo gli straordinari, ancorché faticosi, passaggi della riconquista da parte della gente irachena della propria libertà e democrazia secondo il calendario delineato dal Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite.
In questo quadro oggi, dopo avere già in agosto operato una prima riduzione della forza, siamo in grado di studiare, insieme ai nostri alleati ed alle autorità irachene, un graduale e concordato rientro del nostro contingente militare dall'Iraq, ipotesi rispetto alla quale si manifestano voci di convergenza anche di parte dell'opposizione. Pensiamo, così, non lontano il giorno in cui i nostri militari potranno riferire dell'Iraq come di una missione compiuta.

PRESIDENTE. L'onorevole Deiana, cofirmataria dell'interpellanza, ha facoltà di replicare.

ELETTRA DEIANA. Signor Presidente, ringrazio anch'io il ministro per la sua disponibilità a recarsi in aula ed a fornirci una risposta meno burocratica di quelle che, solitamente, i sottosegretari del suo ministero o il ministro per i rapporti con il Parlamento Giovanardi forniscono, rispondendo ai quesiti, più volte sottoposti all'attenzione del Governo, relativi alla vicenda irachena.
Ovviamente, la sua gentilezza, ministro, nulla toglie alla durezza dell'intendimento, dell'intelligenza con cui si ostina a ribadire tutte le argomentazioni tradizionali con cui lei stesso, signor ministro, ed il suo Governo difendete l'operato della maggioranza, dell'Italia, diretta da voi, in questa vicenda.
Io, a differenza dell'onorevole Pisa, non spero affatto in un ravvedimento, perché, evidentemente, le ragioni di collaborazione e di intesa strategico-militare, nonché di internità alla nuova filosofia di dominio politico degli Stati Uniti su gran parte del mondo, in particolare su quella regione del mondo, sono radicate in lei, signor ministro, per la sua storia, e anche nella maggioranza che sostiene il suo Governo.
Quindi, non confido in ciò; tuttavia, mi piacerebbe che lei, poiché è una persona intelligente e di grande conoscenza, oltre a sforzarsi di decostruire, come ha fatto, tutte le ragioni addotte, per cui si sente di affermare, con grande sicurezza, che la vicenda del cosiddetto Nigergate è stata una colossale «bufala» e che il suo Governo ed il servizio militare italiano, il servizio segreto, non c'entrano, facesse un'altra cosa. Anche in merito a ciò, vorrei ribadire quanto affermato dall'onorevole Pisa, vale a dire che...

ANTONIO MARTINO, Ministro della difesa. Credo che anche un suo collega di partito la pensi allo stesso modo, giusto per completare il quadro...!

ELETTRA DEIANA. Vorrei dire che le nostre critiche non sono rivolte al SISMI,


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ai vari corpi o apparati dello Stato, ma al Governo. Le nostre critiche e le nostre richieste sono rivolte al Governo! La politica deve svolgere il suo compito ed assumersi le responsabilità! Gli apparati ed i corpi dello Stato, a meno che non siano deviati o affetti da vocazioni di tradimento, rappresentano un altro capitolo che non c'entra nulla. Fanno quello che la politica dispone.
Stavo dicendo che mi piacerebbe che la stessa foga, la stessa puntigliosità con cui lei decostruisce gli ingredienti della montatura del Nigergate, dicendo che il suo Governo non c'entra nulla, si manifestasse facendoci capire i motivi per cui il Governo italiano non ha fatto nulla per contrastare la montatura con cui gli Stati Uniti hanno costruito il loro discorso pubblico sulla guerra! Ministro, lei mi deve stare a sentire!

ANTONIO MARTINO, Ministro della difesa. Se c'è qualcuno che si può lamentare sono io, non lei!

ELETTRA DEIANA. Lei ha detto che vi è stata una campagna di intossicazione.
Lei mi insegna, come tutti gli strateghi e gli esperti militari, che la disinformazione e l'informazione di guerra determinano l'intossicazione dell'opinione pubblica, in particolare in paesi, come i nostri, che hanno guadagnato qualche elemento antropologico di rifiuto della guerra. Pertanto, queste operazioni sono di assoluta importanza e di una certa congruità perché la guerra diventi un elemento accettabile e sopportabile e, comunque, transiti nell'opinione pubblica.
Lei, signor ministro, praticamente non dice nulla - ed è questo l'elemento di cecità e ottusità politica che intendo rilevare - sulla gigantesca montatura che gli Stati Uniti d'America hanno messo in atto e su tutti gli ingredienti che hanno permesso tale montatura, nella quale rientra il nostro paese non fosse altro che per il silenzio connivente e la complicità compiacente con cui la intossicazione planetaria costruita dallo staff del Presidente Bush ha veicolato la questione, non fosse altro che per il silenzio compiacente e per la non critica; tutto ciò ha quindi consentito alla montatura di propagarsi nel mondo.
Dunque, signor ministro, mentre lei si affanna a dimostrare la montatura, alludendo a chissà quali nemici del nostro paese che avrebbero favorito tale veicolazione, nulla dice sulla montatura principale, vale a dire sulle famose armi di distruzione di massa e sullo scoppio immediato delle ostilità (45 minuti, come ha raccontato buffonescamente il premier britannico di fronte al suo Parlamento).
Su tutti questi elementi di una mastodontica montatura e di una gigantesca operazione di intossicazione di massa chiediamo al Governo di pronunciarsi ora, nel momento in cui tutti - lei per primo, signor ministro, ed il Presidente del Consiglio - parlate della necessità di exit strategy concordata, razionalizzata, condivisa con gli alleati americani e con il Governo iracheno.
In realtà siamo di fronte ad una internità alla guerra del nostro paese. Lei, signor ministro, più volte ha sottolineato che le grandi questioni riguardanti la difesa e la sicurezza del paese devono essere affrontate con serietà e responsabilità; ovviamente, non posso che essere d'accordo con le sue affermazioni.
Ma come si fa ad essere seri e responsabili quando ci si sottrae al confronto su questo punto? Cosa dite oggi, a quasi tre anni di distanza, sulla montatura gigantesca che ha dato luogo a questa guerra? E come potete sottrarvi all'interrogativo che vi rivolgiamo circa il silenzio sulla montatura, la copertura della stessa, le pacche sulle spalle del Presidente Bush nel momento in cui costruiva la montatura? Tutto ciò ha costituito un elemento di consenso alla guerra, di legittimazione della stessa, di partecipazione all'intossicazione dell'opinione pubblica. Non è guerra questa?
Gli strateghi e gli analisti delle nuove guerre, a partire dai suoi amici neocon americani, sostengono che la costruzione di un discorso pubblico convincente sulla guerra costituisce elemento essenziale


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della guerra. La non belligeranza militare - se capisco bene ciò che lei, signor ministro, intende dire - si riduce al fatto che l'Italia non ha partecipato ai bombardamenti su Baghdad. Ma la guerra, signor ministro - lei lo sa benissimo - non è mai soltanto il bombardamento sulle città; la guerra è stata preparata dalla montatura e da un'abile azione di penetrazione preventiva in Iraq.
Il Presidente del Consiglio afferma di aver fatto di tutto per convincere Bush a non entrare in guerra e a tentare altre strade. A mio avviso, se un paese importante come l'Italia avesse detto: «Caro Presidente degli Stati Uniti d'America, smettiamola con questa "bufala" delle armi di distruzione di massa. Diamo retta agli ispettori dell'ONU e cerchiamo veramente altre strade»...

PRESIDENTE. Onorevole Deiana...

ELETTRA DEIANA. Mi accingo a concludere, signor Presidente.
Ebbene, il Presidente degli Usa avrebbe optato per una moral dissuasion o, comunque, non si sarebbe arrivati al nostro coinvolgimento, come invece è accaduto con il nostro silenzio complice e con le pacche sulle spalle (oltre a molto altro) che lo hanno in qualche modo autorizzato.
Internità alla guerra significa anche che il Governo italiano non ha fatto nulla affinché venisse comunicato agli USA che il famoso dossier era esattamente quello che era, ovvero una montatura. Non è stata fatta da noi personalmente, bensì da personaggi di cui conoscevamo l'inattendibilità tramite il nostro servizio segreto militare.
Quel dossier ha fatto parte delle informative che venivano messe sul tavolo del Presidente Bush dagli agenti della CIA e dallo staff presidenziale nell'imminenza dell'attacco all'Iraq. Quando il Presidente Bush pronunciò le sedici famose parole che annunciavano durante il suo discorso sullo stato dell'unione l'imminente attacco, il riferimento al dossier nigerino era assolutamente centrale.

ANTONIO MARTINO, Ministro della difesa. Non c'era affatto!

ELETTRA DEIANA. Come no? C'entrava, perché il Presidente Bush fece riferimento all'acquisto di uranio che il rais di Baghdad aveva fatto in Niger.
Quindi, signor ministro, vi è internità e non soltanto il fatto....

PRESIDENTE. Onorevole Deiana, ora sono costretto a richiamarla sui tempi...

ELETTRA DEIANA. Signor Presidente, mi accingo a concludere.
Abbiamo detto che i militari italiani sono sotto il comando inglese. Come si può fare un'azione di peacekeeping quando si è sotto il comando militare di uno Stato belligerante, che partecipa dalla A alla Z a tutte le azioni militari? Noi siamo nella filiera di comando della potenza che con gli Stati Uniti d'America ha fatto direttamente la guerra. Dunque, non si può camuffare in maniera così platealmente volgare la partecipazione ad una missione di guerra, seppure defilata, in un'azione di peacekeeping. Tuttavia, il problema è maggiormente di fondo.

PRESIDENTE. Onorevole Deiana....

ELETTRA DEIANA. Signor Presidente, concludo.
Vi è internità morale, militare e politica, di cui voi dovete rendere conto a questo Parlamento, al paese e alla vostra stessa maggioranza elettorale, al cui interno molti - voi lo state capendo benissimo e per questo vi affannate a parlare di uscita concordata, cercando di coinvolgere l'opposizione - non sono d'accordo su questa vicenda terribile in cui avete portato il nostro paese.

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