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PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca il seguito della discussione del disegno di legge costituzionale, già approvato, in prima deliberazione, dal Senato, modificato, in prima deliberazione, dalla Camera e approvato, senza modificazioni, in prima deliberazione, dal Senato: Modifiche alla Parte II della Costituzione (vedi l'allegato A - A.C. 4862-C - sezione 1).
Ricordo che nella seduta del 19 settembre 2005 si è conclusa la discussione sulle linee generali.
Avverto che, trattandosi di seconda deliberazione su una proposta di legge costituzionale, a norma del comma 3 dell'articolo 99 del regolamento, si procederà direttamente alla votazione finale, previe dichiarazioni di voto.
Avverto altresì che lo schema recante la relativa
ripartizione dei tempi è pubblicato in calce al vigente calendario dei lavori dell'Assemblea (vedi calendario).
PRESIDENTE. Passiamo alle dichiarazioni di voto sul complesso del provvedimento.
Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto l'onorevole Duilio. Ne ha facoltà.
LINO DUILIO. Signor presidente, signor ministro, onorevoli colleghi, mentre aspettavo di intervenire questa mattina come primo degli iscritti dinanzi ad un numero così esiguo e sparuto di colleghi, mi chiedevo se i costituenti che hanno dato vita alla nostra Carta costituzionale avrebbero mai previsto che si sarebbe arrivati ad una situazione in cui essa viene modificata unilateralmente da parte della
maggioranza, in un clima di indifferenza così sostanziale. Ciò peraltro avviene in seconda lettura, essendosi previsto che la modifica della Costituzione, data la sua importanza, non si può realizzare in un'unica soluzione ma necessita di un doppio passaggio.
Cala in me, che sono un romantico sul piano costituzionale, un po' di tristezza nell'osservare la condizione in cui siamo precipitati, con una seconda riflessione che servirà a ben poco e non produrrà alcun sussulto circa la possibilità di tornare indietro su questa modifica. Invito la maggioranza che l'ha realizzata questa modifica a riflettere sul fatto che essa ha modificato la legge elettorale sostenendo che abbiamo un Parlamento basato su una legge elettorale che produce una rappresentanza che non rispecchia la rappresentanza della maggioranza degli italiani - questa è la motivazione sostanziale che è stata data - e, dimenticandosi di questa motivazione, adesso, con 100 voti di differenza, alla fine della legislatura, modifica da sola la Costituzione. È una contraddizione in termini che si commenta da sé, al di là di quello che può essere il merito, su cui si può essere d'accordo o meno. Non si può cambiare la legge elettorale affermando che essa non riflette la maggioranza dell'opinione degli italiani e poi, con questo tipo di maggioranza, frutto dell'attuale legge elettorale, modificare la Costituzione.
Ripeto: questa è una contraddizione in termini, che ritengo vada stigmatizzata anche alla luce del fatto che l'attuale maggioranza scricchiola anche da un punto di vista politico. Non appartengo a quelli che guardano nella sfera di cristallo, ma non sono proprio sicuro che questa sarà ancora una maggioranza tra pochi mesi, a seguito della consultazione elettorale.
Detto questo, accenno ad alcuni punti nel merito del provvedimento in esame, che vorrei ricordare per invitare, con l'ottimismo della volontà ed il pessimismo della ragione, ad un sussulto che torni a far riflettere su quanto si sta facendo.
La prima questione è il tema delle garanzie, che non sono previste in questo progetto. Basta pensare al ruolo della Corte costituzionale, al quorum per l'elezione del Presidente della Repubblica, al referendum popolare, ai regolamenti parlamentari che mortificano il ruolo dell'opposizione. Il discorso delle garanzie è di grandissima rilevanza e a fondamento della vita democratica, per affrancarla dai rischi di una regressione qualitativamente poco democratica.
Credo che questo sia uno dei primi aspetti da riconsiderare relativamente al disegno di legge costituzionale di modifica della nostra Costituzione.
The second best, come dicono gli inglesi, vale a dire il secondo elemento che vorrei richiamare alla vostra attenzione, riguarda il ruolo del Primo ministro, il cui strapotere produce una mutazione del nostro sistema parlamentare, peraltro in modo subdolo. Vorrei sottolineare, inoltre, che voi avete approvato una legge elettorale che, sostanzialmente, porta questo Parlamento ad avere una trentina di sedicenti leader, come ha affermato il mio amico e maestro Gerardo Bianco, «uomini forti dal pensiero debole», e circa seicento «camerieri», lo dico tra virgolette, con tutto il rispetto per la categoria.
In tale contesto, con questo tipo di Parlamento, prevedete lo strapotere del Primo ministro, che sarà anche in grado di licenziarlo, in una situazione che è veramente un capolavoro sul piano della gentilezza democratica e sotto il profilo dei principi, degli equilibri, dei pesi e dei contrappesi di un sistema parlamentare nel quale il potere esecutivo dovrebbe porsi, rispetto a quello legislativo, in una condizione ben diversa da quella prevista in questo progetto.
Sono di fronte ad uno svilimento del Parlamento, che mette questa istituzione gloriosa in una condizione avvilente. Basta vedere lo spettacolo a cui è ridotto oggi il Parlamento per renderci conto che stiamo producendo una ferita gravissima al tessuto istituzionale! Sebbene ci troviamo in questa condizione, con la modifica della legge elettorale e la prossima modifica
della Costituzione, mettiamo sotto i piedi, se così posso dire, i principi su cui abbiamo costruito nel nostro paese un sistema democratico che ha retto per più di cinquant'anni.
State producendo una deriva cesarista, che sarà dovuta non alla cattiva volontà o ai cromosomi antidemocratici di Tizio, di Caio o di Sempronio! La democrazia è fatta di regole, di presupposti, di pesi e contrappesi (questo è il principio di fondo) e, pertanto, non ce la prendiamo con Tizio, con Caio o con Sempronio; quando le istituzioni sono messe nelle condizioni per cui chiunque ne può approfittare, in presenza di regole che elevano il potere e determinano strapotere, credo che soprattutto gli spiriti liberali che dovrebbero abitare nella maggioranza di centrodestra si dovrebbero sollevare.
Abbiamo un'altra idea di democrazia, anche con riferimento alla questione del federalismo, che è il terzo elemento - the third best, per essere ironici - che vorrei affrontare.
Noi abbiamo in mente un'idea di federalismo che unisce e non che divide; forse, tutti siamo stati un po' superficiali nell'introdurre la questione del federalismo, anche solo in termini semantici, oltre che istituzionali, nel nostro paese, senza avere posto un'adeguata attenzione a ciò che è accaduto in altri paesi che hanno già avviato alcune esperienze in senso federalista.
Noi siamo per un'idea di federalismo che unisce, che produce unità nel paese e non la sua disunità! A me, peraltro, piace poco la parola federalismo, perché amo il concetto di autonomia, essendo un popolare sturziano. Noi popolari siamo per lo Stato delle autonomie, piuttosto che per uno Stato federalista!
Con questa modifica state introducendo nel testo della Costituzione la previsione di competenze esclusive delle regioni in determinate materie (sanità, scuola, polizia locale) senza nemmeno sapere di che cosa si sta parlando. Qualcuno dice che la polizia sarà solamente amministrativa; qualcun altro afferma che sarà come quella che vediamo nei film americani, con la pistola, che insegue qualche malfattore sulla strada, e così seguitando.
Ci troviamo, insomma, in una situazione di pressappochismo giuridico e costituzionale che credo rappresenti un vulnus.
Vorrei concludere il mio intervento ribadendo che siamo per lo Stato delle autonomie, poiché proveniamo da una tradizione culturale, quella del popolarismo (da Sturzo a Moro, a Bachelet a Ruffilli), che individuava nelle autonomie il cuore dello Stato, in un'ottica di condivisione, non di divisione, come strada maestra per la costruzione per via sussidiaria di uno Stato in un orizzonte anche sovranazionale. Un impianto che non mortifica la solidarietà e che non esalta, come il vostro, un egoismo territoriale inevitabilmente destinato a produrre il temibile e regressivo rischio di coltivare principi, come sangue, suolo e valori, che sono suscettibili di involuzioni pericolosissime per la vita della nostra comunità.
Per tutte queste considerazioni, esprimeremo convintamente un voto contrario sul provvedimento in esame, confidando sul fatto che il referendum popolare cancelli questo colpo di mano che si sta realizzando con riferimento alla Costituzione del nostro paese (Applausi dei deputati dei gruppi della Margherita, DL-L'Ulivo, dei Democratici di sinistra-L'Ulivo e Misto-Verdi-l'Unione).
PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto l'onorevole Maran. Ne ha facoltà.
ALESSANDRO MARAN. Signor Presidente, colleghi, a oltre quattro anni dal suo insediamento, tutti possono constatare che il centrodestra non è in grado di condurre l'Italia nel processo di modernizzazione indispensabile per il suo rilancio.
Gli annunci del Presidente del Consiglio, Berlusconi, non hanno avuto alcun seguito concreto ed il paese rischia il declino, schiacciato dalle mancate riforme. Per il terzo anno consecutivo la crescita sarà inferiore all'1 per cento, la mobilità
sociale è bloccata, la transizione politico-istituzionale sembra non avere fine, la competitività e le esportazioni non reggono il passo con gli altri paesi europei e stiamo cadendo in una spirale di illegalità e di immoralità che non ha eguali in nessun paese avanzato.
E quando le cose vanno male e il centrodestra è in affanno, quando la discordia tra le forze della maggioranza parlamentare impedisce decisioni efficaci, si torna a premere il pedale sulle riforme costituzionali, sulle modifiche alla legge elettorale, quali obiettivi alternativi da dare in pasto all'opinione pubblica e, addirittura, come possibile terreno di incontro, di mediazione, tra partiti in conflitto sulle politiche concrete. Insomma, si dà la devolution alla Lega, il proporzionale all'UDC, il premierato forte a Forza Italia, si garantisce all'onorevole Fini la successione alla guida della Casa delle libertà e poi si vedrà!
Tuttavia, il rischio è quello di avviare processi di cambiamento non sufficientemente motivati e, comunque, di indebolire il tessuto costituzionale. La Costituzione non è una qualsiasi legge che offre risposte contingenti in base agli indirizzi prevalenti nell'elettorato in un dato momento: è il testo che racchiude ed esprime le basi stesse della convivenza civile e politica, che offre una cornice permanente di principi, all'interno della quale la dialettica politica si può svolgere, consentendo la prevalenza, di volta in volta, di indirizzi diversi, ma sempre nel rispetto di esigenze essenziali, di garanzie che riguardano tutti.
Disperdere e banalizzare questo patrimonio segnerebbe un pauroso regresso. Per questa ragione, di fronte al progetto proposto dalla maggioranza, prima ancora della valanga di motivatissime critiche che ne hanno investito i contenuti, occorre ribadire che è sbagliata la premessa. Una riforma costituzionale non si può approvare per volontà di una maggioranza elettorale comunque contingente, senza e contro il consenso delle minoranze. E se ha sbagliato il centrosinistra nella scorsa legislatura ad approvare da solo, all'ultimo momento, la riforma del Titolo V della Carta costituzionale (anche se in quel caso non si è trattato di una intesa della maggioranza imposta all'opposizione, ma di una intesa che ha travalicato i confini delle parti politiche, tanto che quella riforma alla Camera di deputati è stata votata insieme da maggioranza ed opposizione e solo in seguito il centrodestra si è ritirato improvvisamente dal processo riformatore che aveva condiviso), tanto più sbaglia l'attuale maggioranza ad insistere nel portare avanti una riforma ben più ampia e dirompente quale frutto di un programma approvato solo dagli elettori della Casa delle libertà e, addirittura, con un'iniziativa formalmente inclusa nel programma di Governo.
In questo modo finiremo per avere non una Costituzione, ma una legge costituzionale della maggioranza e del Governo per poi attendere magari che, in futuro, una nuova maggioranza e un nuovo esecutivo approvino a loro volta una nuova e diversa legge di riforma costituzionale.
Le modifiche alla Costituzione dovrebbero essere sempre un fatto straordinario, che interviene solo in presenza di una convinzione maturata sull'esistenza di problemi che non possono trovare una soluzione diversa ed adeguata all'interno della cornice costituzionale vigente nonché sull'attitudine delle riforme proposte a risolvere i problemi senza aprirne di maggiori.
Per questa ragione, le modifiche della Costituzione non dovrebbero mai essere il frutto di decisioni di maggioranza, nel senso di decisioni volute dalla maggioranza politica che dà vita al Governo né, tantomeno, di decisioni promosse dall'esecutivo.
Tale convinzione sta alla base della scelta, generalmente accolta in tutte le Costituzioni, compresa la nostra, di garantire la rigidità della Costituzione, attraverso la previsione di procedimenti di revisione speciale. Una previsione - mi riferisco all'articolo 138 della Costituzione - che, insieme alla disposizione sulla Corte costituzionale, non a caso fu inserita nella sezione della Carta intitolata alle garanzie costituzionali.
Semmai, oggi, dopo la trasformazione in senso prevalentemente maggioritario del sistema elettorale, il procedimento consente l'approvazione di modifiche sostenute da un consenso parlamentare troppo ristretto e da un troppo limitato consenso popolare esplicito.
Questo non vuol dire chiudersi; nessuno di noi pensa di chiudersi di fronte a proposte di revisioni costituzionali mirate, di cui si dovesse dimostrare la necessità, anche perché la stessa Costituzione è già cambiata, nel senso che già oggi riceve, per alcuni aspetti, un'applicazione diversa rispetto alle previsione del passato, pur mantenendo fermi i riferimenti di principio.
E non siamo chiusi a proposte mirate di revisione, anche perché le riteniamo necessarie; mentre il sistema politico precedente, con tutti i suoi limiti, possedeva una coerenza interna, costruita a tavolino dai padri costituenti nel 1947, il nuovo sistema non ha più questa coerenza. La modifica della legge elettorale, da proporzionale a maggioritario, impone di ripensare l'intero sistema dei pesi e contrappesi tra poteri ed istituzioni dello Stato, perché esiste il rischio che una minoranza nel paese, in grado di esprimere tuttavia una maggioranza in Parlamento grazie al sistema maggioritario, si mangi tutto e controlli tutto.
Senza contare che il nuovo Titolo V della Costituzione ha introdotto una modifica nei rapporti politici e finanziari tra i diversi livelli di governo che il nostro sistema istituzionale non è più in grado di gestire efficacemente. Per questo è necessaria una Camera parlamentare rappresentativa del mondo e delle esigenze delle autonomie territoriali, che svolga una funzione di coordinamento delle politiche e di mediazione dei conflitti tra i governi. Non vi è dubbio che si tratta di esigenze reali, ma la proposta in esame costituisce una risposta a questa esigenza per molti versi sbagliata e contraddittoria.
Intanto va chiarito che la proposta non trova la sua vera ragione d'essere in un progetto di effettivo rafforzamento del regionalismo italiano. La proposta del federalismo, infatti, doveva servire a ricomporre il rapporto logorato tra società ed istituzioni, ma da quando gli italiani nel 2001 hanno votato a favore di una riforma federale che doveva accrescere i poteri degli enti locali e rendere la politica più vicina agli interessi dei cittadini, le cose vanno avanti come e peggio di prima. Questo accade perché nei fatti la politica nazionale ha ridotto lo spazio di autonomia degli enti locali e, a parte un po' di lavoro in più per i giudici costituzionali, chiamati a mediare i conflitti tra le regioni e lo Stato determinati dalle diverse interpretazioni della nuova Carta costituzionale, di questo famoso federalismo non si è vista traccia, al punto che anche nel caso della devolution le novità sono in larga parte apparenti, perché, al di là di alcune correzioni minori, l'impianto della riforma del 2001 non viene sostanzialmente alterato.
La novità dovrebbe essere l'attribuzione di una competenza legislativa esclusiva alle regioni in alcune materie specifiche. Il progetto in discussione lascia, tuttavia, alla competenza statale la determinazione dei livelli essenziali dei diritti e le norme generali sull'istruzione, aggiungendo anche le norme generali sulla tutela della salute, mentre resterebbe di competenza concorrente l'istruzione. Quanto alla polizia amministrativa, tutto si ridurrebbe alla precisazione che essa può essere anche regionale, oltre che locale.
Come ha osservato Valerio Onida, il fatto che in tal modo si devolva alle regioni qualcosa e addirittura qualcosa di esclusivo è difficilmente sostenibile. Vi saranno naturalmente controversie ulteriori sui rapporti tra norme generali e princìpi fondamentali, di competenza dello Stato, e normativa di organizzazione di dettaglio di competenza regionale. Si discuterà su quanto la legislazione statale, in tema di determinazione dei livelli essenziali dei diritti, possa interferire nelle materie di competenza regionale, ma non verranno sostanzialmente spostati i confini tra i poteri centrali e locali.
«E allora - si è chiesto proprio Onida - val la pena di impiegare tante energie
politiche e parlamentari in una contrapposizione su temi costituzionali, anziché concentrarsi sullo sforzo per far funzionare un po' meglio questo nostro zoppicante regionalismo, attraverso la legislazione ordinaria, le riforme amministrative, la realizzazione del nuovo sistema finanziario e fiscale, promesso dalla Costituzione ma ancora inattuato e in assenza del quale i nuovi poteri delle regioni sono destinate a rimanere soltanto sulla carta»? E come si fa a non vedere il paradosso per cui, mentre si promettono alle regioni nuovi poteri con la cosiddetta devolution, lo stesso Governo che propone la riforma fa approvare in Parlamento norme e misure di legge ordinaria, diverse volte annullate dalla Corte costituzionale, che il più delle volte rinverdiscono pratiche centralistiche nel campo dei lavori pubblici, dell'urbanistica, dei fondi e microfondi gestiti dallo Stato per le finalità più diverse, in materie di competenza già regionali?
Come si fa a non vedere, con tutto il rispetto per le difficoltà congiunturali, anche in sede di legge finanziaria, che è necessario evitare manovre estemporanee e che occorre impostare con urgenza un sistema di finanza pubblica regionale e locale che sia certo, stabile, coerente? Che è necessario realizzare quel federalismo fiscale che l'articolo 119 della Costituzione detta, ma che nessuno nell'attuale maggioranza pare abbia fretta di realizzare, nemmeno quelli che dicono di battersi per il federalismo e che, in realtà lo tradiscono, perché non comprendono che il fallimento si evita non già mettendo altra carne al fuoco nel paniere delle competenze, ma rendendo effettivo l'ampio spazio di autonomia che è già concessa agli enti locali?
E non stupisce che il progetto di riforma in discussione, che sembra mosso da questo apparente intento di rifondare il bicameralismo su basi diverse da quelle attuali, non compia il passo necessario verso tale scopo, cioè l'istituzione di una Camera rappresentativa del mondo delle autonomie territoriali: un Senato federale. È ciò perché il Senato federale di federale ha pochissimo, e, come oggi, sarebbe formato da senatori eletti direttamente dai cittadini e vedrebbe solo una partecipazione, senza diritto di voto, dei rappresentanti regionali e locali. Dunque, sarebbe destinato a deliberare sulla base di schieramenti di partito e non sulla base di una provenienza regionale. Questa proposta non compie i passi necessari in questa direzione, perché la riforma in discussione non ha la sua vera ragion d'essere in un progetto di rafforzamento effettivo del regionalismo italiano.
Ci sarebbe da discutere se forme di regionalizzazione più intense di quella attuale siano auspicabili, sopportabili dal nostro paese. Ma resta il fatto che la riforma in discussione è diventata soltanto una bandiera che la Lega sventola al proprio elettorato, in cui le norme della cosiddetta devolution funzionano da merce di scambio, da traino per altre innovazioni costituzionali: sul Governo, sul Parlamento, sulla Corte costituzionale; innovazioni, queste sì, che rischiano di alterare equilibri costituzionali delicati.
Ma se la riforma non ha questo obiettivo, qual è l'obiettivo centrale?
PRESIDENTE. Concluda, onorevole Maran.
ALESSANDRO MARAN. Ho terminato, signor Presidente. Come dicevo, l'obiettivo è quello centrale di Governo.
Ce n'è abbastanza, allora, per chiedere, come faremo, il referendum per annullare una riforma contraddittoria (Applausi dei deputati dei gruppi dei Democratici di sinistra-L'Ulivo e della Margherita, DL-L'Ulivo).
PRESIDENTE. Invito i colleghi a rispettare i tempi.
Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto l'onorevole Zaccaria. Ne ha facoltà.
ROBERTO ZACCARIA. Signor Presidente, molte obiezioni di carattere generale, di ordine politico e costituzionale, sono già state svolte: le condivido e ad esse mi richiamo. In questa dichiarazione vorrei, però, soffermarmi su uno dei punti
emblematici della riforma che oggi discutiamo, e precisamente sull'articolo 39 del disegno di legge costituzionale, che modifica l'articolo 117 della Costituzione, già novellato nel 2001.
Con queste disposizioni si interviene, tra l'altro, con diverse correzioni ed integrazioni rispetto al testo del 2001, sia per quanto riguarda la definizione del riparto di competenze tra Stato e regioni, in alcuni ambiti materiali, sia con la novella relativa al quarto comma dell'articolo, introducendo la cosiddetta devoluzione.
È necessario operare una netta distinzione tra le due tipologie di modifiche, perché sono ragioni diverse che le ispirano. Infatti, mentre avrebbe potuto anche essere opportuno un intervento a fini migliorativi degli elenchi dei commi secondo e terzo dell'articolo 117 della Costituzione, questo non accade con la riformulazione del quarto comma dello stesso articolo, ovvero la cosiddetta devolution in senso stretto, che attribuisce competenze esclusive alla legislazione regionale su scuola, sanità e polizia amministrativa, regionale e locale.
Sul primo punto, in astratto, si sarebbe anche potuta valutare l'opportunità di intervenire su alcuni profili opinabili contenuti nel testo del 2001. Mi riferisco, in particolare, a materie quali le grandi reti di trasporto e navigazione, la produzione, trasporto e distribuzione nazionale dell'energia, e ad altre ancora.
Per quanto riguarda la devolution è invece necessario svolgere alcune considerazioni ulteriori. Essa è frutto di una sorta di trapianto; ricordiamo che la devolution costituiva una proposta di legge costituzionale a sé stante, dibattuta ed approvata in prima lettura all'inizio della legislatura e poi inserita bruscamente nel testo di riforma della seconda parte della Costituzione. Sebbene la devoluzione richiami, almeno in termini formali, il processo avvenuto in Gran Bretagna, gli aspetti di affinità sostanziale con una simile esperienza sono del tutto inconsistenti.
Una simile attribuzione di competenze esclusive non si riscontra neanche nelle esperienze europee tendenti alla più forte valorizzazione delle istanze decentrate: non si verifica nei Länder tedeschi, né nelle comunità autonome spagnole e nemmeno nell'esperienza belga. Di fronte ad una attribuzione di competenze così rilevante, non si riscontra, nel nostro ordinamento, una parallela affermazione della clausola di supremazia americana, o dell'analoga clausola costituzionale tedesca: in pratica, un istituto unificante azionabile dallo Stato centrale, che è stato richiamato anche dalla Corte costituzionale nella celebre sentenza n. 303 del 2003.
Non è possibile, infatti, considerare in questa luce la reintroduzione del limite dell'interesse nazionale per la legislazione regionale, soprattutto alla luce del controverso meccanismo individuato per la sua procedibilità.
Mi preme, soprattutto, sottolineare come il testo in esame sia oscuro e si presti alle interpretazioni più contrastanti. Dimostrazione: è stata sostenuta un'impostazione per così dire continuistica - lo ha sostenuto D'Onofrio - ed anche un'interpretazione di dirompente novità.
È interessante quello che in dottrina sostiene Gambino, il quale ha riassunto le due impostazioni in una sorta di binomio paradossale fra una bomba, da un lato, e una bolla di sapone, dall'altro. Tanto per fare un esempio, non si sa, né lo hanno chiarito gli esponenti del Governo, che cosa sia davvero la polizia amministrativa regionale e cosa comporti l'attribuzione esclusiva alle regioni della sua disciplina, a fianco dell'attribuzione allo Stato delle competenze in materia di ordine pubblico e sicurezza. Non è neppure ben chiarito il discrimine tra gli interventi dello Stato e delle regioni in materia di istruzione, date le attribuzioni, altrettanto esclusive dello Stato, in materia di norme generali sull'istruzione definite dall'articolo 117 della Costituzione.
Un altro dei principali rischi derivanti dalla cosiddetta devolution è la possibilità di un eccessivo rafforzamento della posizione delle regioni, non solo e non tanto nei confronti dello Stato centrale ma, anche e soprattutto, sul versante delle autonomie infraregionali. Il principio autonomistico
è ben presente nella Costituzione sin dall'articolo 5 e si è progressivamente affermato nell'ordinamento, anche attraverso le riforme attuate con norme ordinarie; cito, fra tutte, le leggi Bassanini. La riforma del Titolo V della Costituzione sembra averlo sviluppato ulteriormente anche se forse non ancora pienamente. L'assegnazione alle regioni di competenze così rilevanti rischia di trasformare gli enti locali da enti autonomi in meri istituti di decentramento che, com'è noto, è cosa ben diversa. Successivamente, mentre da una parte si fonda la legittimità e l'opportunità della devolution sul ritenuto necessario ampliamento delle funzioni e delle competenze delle regioni, dall'altra se ne limita una possibilità di sviluppo e di possibile differenziazione.
La maggioranza ha prospettato una sorta di bilanciamento all'interno della riforma costituzionale tra devoluzione di competenze esclusive alle regioni e reintroduzione della clausola dell'interesse nazionale. In dottrina si è da più parti contestato che la reintroduzione in Costituzione di una simile clausola sia sufficiente a ripristinare un indirizzo unificante a fronte della aumentata autonomia regionale. Si è da più parti ricordato come essa costituisca una sorta di formula vuota e come il vero parametro di confronto debba essere costituito dai livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali su tutto il territorio nazionale indicati dall'articolo 117, comma secondo, della Costituzione (questa è la posizione di Manzella). Inoltre, alla riesumazione dell'interesse nazionale si è proceduto inserendo una formula davvero originale, affidando il sindacato delle leggi regionali al Parlamento in seduta comune: vi ricordate, quando il Parlamento interviene, ad esempio, per eleggere i giudici costituzionali, che efficienza dimostra? Forse non ci si è accorti che il giudizio di merito sull'interesse nazionale delle leggi regionali non è mai stato, - ripeto, mai - attivato prima del 2001, quando era previsto il procedimento attraverso un atto bicamerale non legislativo. Figuriamoci cosa accadrebbe se lo si affidasse alla improbabile mediazione elefantiaca della struttura immaginata in questo testo.
Il pericolo maggiore del testo di questo provvedimento è quello che «tocca» l'unità nazionale nel suo risvolto di coesione sociale e territoriale. Tutti conosciamo bene il nostro paese, con le sue diversità e gli squilibri che storicamente ha vissuto e che tuttora lo attraversano. Lo sapevano bene i nostri padri costituenti che, per questo fine, avevano dato un forte impianto solidaristico alla nostra Carta costituzionale. Nella Costituzione del 1948, all'articolo 119, quarto comma, si prevedevano contributi speciali finalizzati alla valorizzazione del Mezzogiorno e delle isole o di singole regioni. Tali squilibri non sono stati eliminati nel corso degli anni e con la riforma del Titolo V si è generalizzata la clausola, istituendo, a fianco dei principi del cosiddetto federalismo fiscale, il fondo perequativo per i territori con minore capacità fiscale (articolo 119, terzo comma, della Costituzione). Inoltre, il testo del 2001 dispone la destinazione di risorse aggiuntive e prevede interventi speciali per promuovere la coesione e la solidarietà sociale e per rimuovere gli squilibri economici e sociali. Si tratta di un apparato molto complesso, ma in questa materia non si può intervenire con l'accetta.
Tutto ciò sta a dimostrare un interesse costante del costituente e del legislatore costituzionale a fini di solidarietà e di redistribuzione in una realtà nazionale estremamente diversificata dal punto di vista delle condizioni di partenza delle diverse parti del paese. Al contrario, la devolution mira direttamente, in nome, o meglio, con il pretesto dell'autonomia regionale, ad un abbandono dell'intervento di perequazione e di redistribuzione, a tutto vantaggio delle zone più ricche, lasciando, di fatto, al loro destino le zone più disagiate.
Questo è stato ben colto durante il dibattito che si è svolto nel paese in occasione delle elezioni regionali: in alcune regioni avete perso soltanto perché non avete compreso che la gente avrebbe capito questa modifica così devastante. Le
regioni riceveranno anche minori trasferimenti dallo Stato a causa dei continui tagli che vengono dalle vostre leggi finanziarie.
In conclusione, signor Presidente, credo che voi - voglio dire voi della maggioranza - approverete senza il nostro concorso questo pessimo testo di riforma costituzionale; ma noi abbiamo la certezza morale che vi batteremo al referendum: così salveremo la nostra Costituzione (Applausi dei deputati dei gruppi della Margherita, DL-L'Ulivo, dei Democratici di sinistra-L'Ulivo e Misto-Verdi-l'Unione)!
PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto l'onorevole Mantini. Ne ha facoltà.
PIERLUIGI MANTINI. Signor Presidente, in ragione della complessità e della delicatezza della materia, le chiedo, ringraziandola anticipatamente, di accordarmi la facoltà di produrre un testo scritto da pubblicare integralmente in calce al resoconto della seduta odierna.
PRESIDENTE. La Presidenza lo consente sulla base dei criteri costantemente seguiti.
PIERLUIGI MANTINI. Di conseguenza, in questa sede mi limiterò alle osservazioni possibili.
È ormai noto agli italiani che abbiamo più volte evocato e rievocato l'intervento dello spiritus creator su questi nostri lavori costituenti, come già fece, per il vero con maggiore successo, Benedetto Croce. Siamo rimasti inascoltati!
Neanche il più laico spirito costituente, quello del reale confronto democratico richiesto dalla Costituzione per ogni sua riforma, si è materializzato nel corso di questi travagliati lavori. Al contrario, il potere costituito si è fatto costituente e la maggioranza si è chiusa in se stessa, prima con i cosiddetti saggi, nella baita di Lorenzago, poi nelle aule del Parlamento.
Divisa e confusa, la maggioranza sta utilizzando la riforma della seconda parte della Costituzione a soli fini di equilibrio e riequilibrio interni: un po' di devolution alla Lega, l'interesse nazionale per AN, lo scambio con la legge proporzionale per l'UDC, il «premierato assoluto» per le pulsioni plebiscitarie e populiste di Forza Italia, accompagnato da una legge «salva Previti». Sembra un calembour assurdo e surreale, eppure è la realtà!
La riforma costituzionale in esame è priva di un'anima ed è intrisa soltanto di interessi di parte: regole per la Casa delle libertà anziché per la casa comune degli italiani, come dovrebbe essere la Costituzione. Non abbiamo mai negato la necessità di riforme mirate, adeguate a sostenere un bipolarismo democratico e l'efficienza del Governo, in un quadro di federalismo ordinato e solidale: in tal senso, abbiamo avanzato proposte (su cui non tornerò nello specifico) per cercare di disegnare le istituzioni del bipolarismo.
Ma ciò che, invece, emerge e viene sottoposto al nostro voto è un pasticcio indigeribile, un duro colpo ai principi sostanziali su cui si fonda l'ordinamento repubblicano. Userei tre espressioni gergali per riassumere ciò che questo disegno di legge costituzionale tenta di realizzare: involution, «premierato assoluto», da qualcuno definito «Silvierato assoluto», bicameralismo più che imperfetto.
Con la parola involution voglio indicare quel groviglio confuso di competenze legislative esclusive che sono state suddivise tra Stato e regioni, attraverso un meccanismo che, da una parte, le assegna e, dall'altro, le rinnega: attribuite una competenza esclusiva alle regioni in materia di sanità, polizia, istruzione, ma poi la rinnegate attribuendo alla competenza esclusiva dello Stato le norme generali sulla sanità!
Ponete grande enfasi sull'organizzazione scolastica delle regioni, ma restano allo Stato le norme generali sull'istruzione e i poteri che discendono dall'articolo 33 della Costituzione.
Volete la polizia dei governatori, ma vi riducete alla polizia amministrativa regionale, con ciò mortificando lo stesso principio di sussidiarietà che attribuisce ai comuni compiti amministrativi.
A questo pasticcio avete aggiunto la clausola di supremazia dell'interesse nazionale che consente, in pratica, alla maggioranza di Governo di annullare la stessa autonomia legislativa delle regioni. Complicazioni inutili che aumentano il contenzioso presso la Corte costituzionale nei conflitti di attribuzione, senza alcuna utilità.
Si rischia di perdere ulteriormente il principio fondamentale di sussidiarietà istituzionale, in favore di un federalismo autoreferenziale, competitivo e rissoso. In questo modo, però, non si svilupperanno mai con efficacia le politiche nazionali di cui l'Italia ha bisogno per uscire dalla deriva nella quale avete contribuito a metterla.
E poi, ancora, il premierato assoluto. Tutta la dottrina costituzionale più autorevole concorda sulla gravità del modello che avete disegnato con questa riforma: il potenziamento estremo della figura del Primo ministro attraverso la sua sostanziale elezione diretta e la sua esenzione dalla fiducia iniziale del Parlamento; il potere che gli è dato di forzare la Camera dei deputati all'approvazione delle misure legislative da lui ritenute essenziali; l'automaticità dello scioglimento della Camera, conseguente alla sfiducia ed il larghissimo potere di determinarlo in altri casi da lui esclusivamente valutati, facendo così venir meno le prerogative stesse, il contrappeso e l'equilibrio dei rapporti tra esecutivo e Parlamento.
Tutto questo, per l'appunto, senza alcuna attenzione per i poteri del Parlamento, per l'equilibrio tra gli organi istituzionali. Ed è giusto quanto detto da altra autorevole dottrina e cioè che il senso profondo che emerge è piuttosto quello di una drastica semplificazione del circuito democratico, riducendolo alla scelta, ogni cinque anni, di una sola persona direttamente investita dalla carica di Primo ministro, dotato dei massimi poteri nei confronti, non solo dell'esecutivo, ma anche del Parlamento, senza più nemmeno l'intralcio di un Capo dello Stato, i cui poteri vengono ridotti drasticamente.
E poi si passa da un bicameralismo perfetto, certamente atipico sulla scena istituzionale a livello mondiale, ad un bicameralismo che definirei più che imperfetto, perché non abbiamo un Senato federale, perché ci siamo fortemente distanziati sia dal modello americano sia da quello tedesco. Non abbiamo, quindi, membri del Senato designati dalle autonomie regionali, ma non li abbiamo neanche eletti in misura pari, quindi, secondo il principio del federalismo americano, che vuole che ogni Stato elegga un pari numero di senatori. Ed abbiamo un procedimento legislativo che, francamente, potrà essere materia per avvocati, perché ormai abbiamo quattro tipi di leggi ad iniziativa della Camera e del Senato, bicamerali e anche quelle post-contenzioso arbitrale. Infatti, avete voluto istituire addirittura una commissione arbitrale per capire quali siano e quali possano essere in determinate materie le competenze legislative, il che, credo, la dica tutta sul carattere assolutamente poco funzionale e tecnicamente grave ed impraticabile di questa stessa riforma.
Signor Presidente, onorevoli colleghi, non ho più tempo per fare ulteriori osservazioni, ma mi sia consentito di concludere con un appello, rivolto, in particolare, ai colleghi dell'UDC, che, più volte, hanno dichiarato di non apprezzare questa riforma costituzionale (mi pare di comprendere che i colleghi Follini e Tabacci si asterranno oggi dal voto, mentre altri voteranno a favore).
Ebbene, vorrei dire loro: smettetela con l'elogio dell'incoerenza, non riducete la politica alla mera distanza tra le parole e i fatti e ricordate che Winston Churchill...
PRESIDENTE. Concluda, onorevole Mantini!
PIERLUIGI MANTINI. ..., ormai senile - ho concluso -, il quale era solito dire che preferiva avere ragione piuttosto che essere coerente, era ormai un politico sconfitto (Applausi dei deputati del gruppo della Margherita, DL-L'Ulivo - Congratulazioni).
PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto l'onorevole Bressa. Ne ha facoltà.
GIANCLAUDIO BRESSA. Signor Presidente, oggi, a distanza di una settimana, stiamo assistendo al secondo tempo, dopo il voto sulla legge elettorale, di quello che voi, colleghe e colleghi di maggioranza, ritenete essere il vostro sogno della grande riforma politica istituzionale per l'Italia.
Friedrich Nietzsche dice che il vero sogno è la capacità di sognare sapendo di sognare, ma voi non sapete che state sognando, voi credete invece per davvero di stare facendo la grande riforma, ma questo potete crederlo solo qui ed ora in quest'aula, in una paradossale rivisitazione della sindrome del sommergibile, per cui si crede che la realtà non sia il mondo che vive, ma la dimensione entro cui si è costretti.
La dottrina costituzionale italiana non crede che questa sia la grande riforma, nella sua stragrande maggioranza, la considera sbagliata e pericolosa; non lo crede il mondo dell'economia e del lavoro, che si muove e si mobilita contro questa vostra proposta; non credono che questa sia la grande riforma i cittadini italiani che domenica, numerosissimi, vi hanno mostrato un assaggio molto saporito di quello che desiderano veramente: mandarvi a casa!
Non è il caso che, ancora una volta, ripeta i motivi di assoluta, radicale, irriducibile contrarietà alla vostra riforma. Mi limiterò a una sola osservazione per sottolineare la gravità di quanto state facendo ricorrendo ad una riflessione di Pietro Calamandrei, fatta qualche tempo dopo l'approvazione della nostra Carta costituzionale.
Calamandrei si lamentava allora di alcuni ritardi nell'attuazione della Costituzione, cosa quindi ben diversa dallo scempio che state consumando voi qui oggi, e diceva: «Più che la carenza delle leggi, sembra pericolosa la carenza della coscienza», e rinviava ad un giudizio molto duro di Balladore Pallieri che vi ripropongo per la straordinaria attualità ed efficacia: «Il fatto più grave è che si è accentuato il discredito per la legge, si è autorizzato il popolo italiano a considerare la legge, anche nella forma costituzionale, cosa di poco momento a cui si può passare sopra e che comunque deve cedere il passo di fronte ad altre esigenze considerate più importanti». Pericolosissimo principio in uno Stato repubblicano, il quale proprio nel rispetto della legge e della Costituzione trova il fondamento della propria unità e la base della vita ordinata.
Riflettete, colleghi, perché sembra scritta profeticamente per voi. Avete fatto una verifica di maggioranza e l'avete chiamata «riforma costituzionale» e più che la carenza della legge è pericolosa la carenza della coscienza di quello che state facendo. È questa banalizzazione della Costituzione - l'avere scambiato la devoluzione con l'interesse nazionale, il premierato assoluto con uno Senato pseudofederale, quasi fossero piatti sulla tavola imbandita dell'accordo di maggioranza e che nulla hanno a che fare con idee e forme del costituzionalismo moderno - che costituisce l'elemento di maggiore gravità e di grande preoccupazione.
Il diritto innaturale che vi siete arrogati a rifare a vostra immagine e somiglianza un pezzo cospicuo della Costituzione conduce inevitabilmente verso l'esito di trasformare la nostra Costituzione in una Costituzione di parte che, in un ordinamento che vuole essere autenticamente pluralista, è una contraddizione che rinnega della Costituzione proprio l'essenza quale luogo espressivo di valori condivisi e di regole del gioco idonee ad assicurarne l'attuazione.
Quella che state perpetrando è una vera e propria rottura costituzionale sul piano culturale e su quello normativo. Due sono i punti cruciali, entrambi convergenti verso l'obiettivo di devitalizzare la forza ordinativa della nostra Costituzione: l'esasperazione dei conflitti politici tra Governo e Parlamento, tra Governo e Presidenza della Repubblica, tra Camera e Senato, tra centro e autonomie; l'affievolimento delle garanzie per come sono
designati il ruolo e le funzioni del Presidente della Repubblica, della Corte costituzionale, il rapporto tra maggioranza e minoranza, i diritti di cittadinanza.
Nel primo caso, che si concreta nella prima rottura, l'esito è una politicizzazione della Costituzione; nel secondo caso, invece, il risultato è una sostanziale decostituzionalizzazione della nostra Carta: questa è la vostra grande riforma!
A rileggerla, non viene in mente Piero Calamandrei, che evocava lo spirito lungimirante, il senso storico appreso da Benedetto Croce, che impediva di trasformare la Costituzione in un gretto compromesso di partito schiacciato sulle previsioni elettorali dell'immediato domani; a rileggerla, mi viene in mente, piuttosto, il titolo di un libro, di una dolente bellezza, di Jean-Claude Izzo Casino totale e, più ancora, la frase di Jim Morrison con cui si apre il libro: «Non esiste la verità, ci sono solo storie». Sembra scritto proprio per voi: questa riforma è un «casino totale»! È una riforma costituzionale senza verità, ma con molte storie dietro: la storia della vostra incapacità di essere forza di governo e di cambiamento; la storia della vostra arroganza di maggioranza; la storia della vostra incapacità di ascoltare il Parlamento ed il paese; la storia di una stagione politica che non ha saputo guardare oltre se stessa ed i suoi immediati tristissimi interessi. Una storia da dimenticare e superare. E ciò è esattamente quanto accadrà la prossima primavera, quando a votare non sarete solo voi, in quest'aula, ma tutti i cittadini italiani (Applausi dei deputati dei gruppi della Margherita, DL-L'Ulivo, dei Democratici di sinistra-L'Ulivo e di Rifondazione comunista - Congratulazioni)!
PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto l'onorevole Leoni. Ne ha facoltà.
CARLO LEONI. Signor presidente, onorevoli colleghi, si sta per compiere, stamani, l'ennesimo atto di protervia di una maggioranza parlamentare che, come hanno chiaramente rivelato le recenti elezioni regionali, non è più maggioranza nel paese. Personalmente, sono tra quanti, non solo per scaramanzia ma per profondo rispetto nei confronti degli elettori, ritengono aperto in ogni caso l'esito delle prossime elezioni politiche; non penso che l'Unione abbia già vinto le elezioni...
PRESIDENTE. Scusi, onorevole Leoni; colleghi, per cortesia, lasciate parlare il collega. Ministro Calderoli...
CARLO LEONI. Ma ora, in una situazione quantomeno incerta, una maggioranza parlamentare che è stata già sconfitta alle «regionali», se non altro per rispetto nei confronti delle istituzioni, dovrebbe astenersi dall'operare forzature sulle regole, come invece è avvenuto attraverso la riforma della legge elettorale; soprattutto, dovrebbe astenersi da uno stravolgimento della Carta quale quello che intendete operare.
Le elezioni regionali vi hanno visto nettamente in minoranza; non è dato ora sapere se sarete maggioranza con le prossime elezioni politiche, molto probabilmente no. Certamente, oggi voi non potete pensare di essere i padroni dell'Italia; gli oltre quattro milioni di cittadini che domenica scorsa hanno votato alle «primarie» dell'Unione hanno voluto manifestare un senso di adesione al progetto politico del centrosinistra, ma anche una reazione a questa vostra protervia. Hanno capito che il vostro atteggiamento costituisce un segno di debolezza, non di forza; di disperazione, non di sicurezza: esso produrrà un effetto boomerang perché la reazione democratica della maggioranza degli italiani crescerà e vi porterà, di qui a qualche mese, due cattive notizie: la prima giungerà con le elezioni politiche della prossima primavera; la seconda con il referendum che cancellerà questo stravolgimento della Costituzione. Che la vostra sia una prova di debolezza e non di forza lo dimostra, d'altronde, lo slalom parlamentare che avete allestito: vi guardate in cagnesco, con diffidenza l'uno nei confronti dell'altro disputando se varare prima o dopo la devolution la legge elettorale.
Ciò significa che vi controllate a vicenda e che in ogni caso l'atto che si compie oggi è voluto dalla Lega, è frutto di una trattativa e di un accordo posticcio dove ognuno ha messo la suo bandierina.
Ne vengono fuori un patchwork privo di armonia e di funzionalità; un salto grave oltre la Repubblica parlamentare, con l'aumento dei poteri del Primo ministro; un doppio colpo all'unità federale del paese, sia con la devolution, che introduce una diseguaglianza nell'esercizio e nella fruizione di diritti sociali, a seconda delle regioni di appartenenza, sia con la clausola dell'interesse nazionale, attraverso la quale una maggioranza parlamentare può giungere a cancellare una legge regionale.
Si allestisce un Senato che è tutt'altro che federale: non lo è per composizione, né per meccanismo di elezione, né per le competenze ad esso attribuite. Si prevede un procedimento di formazione delle leggi che, bene che vada, porterà alla paralisi ed alla confusione permanente. Si contempla, altresì, un Presidente della Repubblica il cui ruolo viene ridotto a poco più di un maestro di cerimonie.
Affermo che il vostro è un atto di disperazione, e non di forza, poiché sono certo che i più consapevoli tra di voi magari non pensano, come facciamo noi, che si stia portando un grave attacco alla Repubblica parlamentare ed all'unità del paese, ma certamente sanno che tale impalcatura istituzionale non può funzionare. Tuttavia, non potete farci niente, perché a questo passaggio sono legate le sorti della maggioranza e della coalizione: per questi motivi, si tratta di un atto disperato e senza futuro.
Qualcuno tra di voi (come, ad esempio, gli onorevoli Tabacci ed Adornato), nel corso del dibattito, la scorsa settimana, sulla proposta di riforma della legge elettorale, ha fatto appello ad un confronto bipolare e meno drammatico, ad uscire dalla logica amico-nemico e ad un maggiore rispetto reciproco tra le due coalizioni. La domanda che vi pongo è: a chi rivolgete tale predica? Che rispetto c'è da parte di una maggioranza che, con i suoi soli voti, impone l'approvazione di una legge elettorale e lo stravolgimento della Costituzione, dopo aver imposto la legge Gasparri e le leggi ad personam? Vorrei altresì ricordare che oggi il Presidente del Consiglio ha affermato che, con i suoi voti, vuole cambiare anche la par condicio.
Che opposizione sarebbe quella che non dovesse ribellarsi a tale protervia? Noi non vogliamo la conservazione. Sappiamo bene che è necessario apportare degli aggiornamenti a taluni aspetti della Parte II della Costituzione, come la fine del bicameralismo perfetto ed un vero Senato federale o delle regioni. Riteniamo, altresì, che, per consolidare il bipolarismo, contro il rischio di un maggioritario estremista, occorra introdurre garanzie a favore non dell'opposizione, ma del Parlamento. Crediamo, infine, che servano interventi correttivi all'attuale Titolo V della Costituzione.
Vogliamo non conservare, ma migliorare. Migliorare, tuttavia, non significa lo stravolgimento arrogante e confuso della Parte II della Costituzione. Ebbene, noi intendiamo contrastare tale stravolgimento. Ci opponiamo oggi, ancora una volta, in Parlamento, e ci appelliamo da subito ai cittadini italiani, affinché, nella prossima primavera, diano vita ad un'alternativa politica democratica al Governo della Casa delle libertà ed affinché il referendum cancelli questa pagina nera della storia italiana (Applausi dei deputati dei gruppi dei Democratici di sinistra-L'Ulivo e della Margherita, DL-L'Ulivo).
PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto l'onorevole Tabacci. Ne ha facoltà.
BRUNO TABACCI. Signor Presidente, il disegno di legge costituzionale al nostro esame può essere scomposto in due parti ben distinte. La prima è diretta a correggere e ad integrare la riforma federalista approvata dal centrosinistra nello scorcio finale della XIII legislatura. Quella riforma, infatti, varata senza la necessaria ponderazione per conseguire un obiettivo politico di corto respiro, merita senz'altro di essere emendata, anche sulla base dell'esperienza
sin qui maturata, che ne ha evidenziato limiti e difetti.
Vorrei rispondere all'onorevole Leoni che il principio in base al quale ognuno si approva la sua Costituzione, purtroppo, è stato avviato, in maniera erronea, proprio dal centrosinistra, nella passata legislatura. Sarebbe bene che ciò non proseguisse: questa è la mia opinione odierna.
Il Parlamento ha compiuto, in massima parte, un buon lavoro, modificando una ripartizione delle competenze per non pochi aspetti irragionevole, nonché foriera di effetti paralizzanti e distorsivi dell'attività legislativa sia statale, sia regionale. Per rendersi conto delle incongruenze di cui è disseminata la materia, basti dare uno sguardo alla giurisprudenza della Corte costituzionale, la quale è stata chiamata a dirimere conflitti sempre più evidenti nei rapporti tra regioni e Stato.
Si trattava e si tratta, invece, di costruire un sistema realmente rispettoso dei principi di sussidiarietà, di adeguatezza e differenziazione che la riforma del Titolo V - lo ribadisco -, frettolosamente e demagogicamente concepita, avrebbe del resto già dovuto far propri.
Nell'ambito di interventi legislativi, tra l'altro, merita di essere sottolineata la riproposizione della nozione di «interesse nazionale» che, in omaggio ad una certa retorica federalista, si era deciso di espungere dall'ordinamento costituzionale, immemori della circostanza che la Repubblica, per quanto la si voglia federalista e autonomista, rimane, per nostra fortuna, una e indivisibile.
Il contenuto del disegno di legge, su questo versante, è condiviso anche da molti colleghi dell'opposizione, che onestamente, anche se tardivamente, hanno riconosciuto l'esigenza di correggere la rotta, facendo tesoro della prassi applicativa.
Invece, bisogna continuare a riflettere sul tema delle competenze esclusive. Del resto, è evidente come le competenze esclusive dello Stato e, in particolare quelle di natura orizzontale (determinazione dei livelli essenziali, eccetera), siano inevitabilmente destinate a lambire le competenze regionali.
Più in generale, è gravido di rischi parificare in toto le competenze legislative statali e regionali, perché questo meccanismo, se ci va bene, ci consegna ad una conflittualità istituzionale permanente e a tensioni politiche ed istituzionali alimentate dal fatto che le maggioranze a livello nazionale sono diverse da quelle a livello regionale e che da noi c'è la tradizione di utilizzare le maggioranze periferiche in alternativa al potere centrale.
Da un punto di vista strettamente politico, un simile innesto costituzionale è in aperta contraddizione con l'apparato complessivo dello stesso disegno di legge del Titolo V della Costituzione. Siamo intervenuti per riequilibrare e per restituire coerenza e funzionalità al disegno complessivo e per far valere le ragioni dell'unità.
È sicuramente un giudizio ingeneroso ed ingiusto, però, quello secondo il quale noi lo abbiamo fatto per disgregare lo Stato, penalizzando il Sud del paese. A questo tipo di accusa, però, non possiamo sottrarci per il modo con cui la Lega ne ha rivendicato il merito, che ha finito per evidenziare un contrasto di interessi che, forse, va al di là del vero, ma che ha determinato delle conseguenze che, sul piano elettorale, sono state pagate in misura assai evidente. Abbiamo invocato il vincolo di coalizione in circostanze assai meno rilevanti per l'interesse del paese e non siamo stati capaci di affermarlo quando sono entrati in gioco l'architettura costituzionale dello Stato e la nostra credibilità nei confronti di settori non irrilevanti del corpo elettorale.
Ciò che mi interessa osservare oggi - lo avevo già detto un anno fa - è che va esaminata la questione della modifica della forma di governo con riferimento alla recente approvazione della legge elettorale, alla quale anche io ho dato un contributo con una certa passione.
Ho avuto modo di dire ai colleghi dell'UDC che mi dispiace anche per quelli tra essi, i quali, avendo il giusto desiderio
di fare una battaglia per un modello di tipo proporzionale, si trovano ora in contraddizione politica rispetto ad un testo che avrebbe bisogno di un rafforzamento del sistema maggioritario.
Ovviamente, avevo detto queste cose un anno fa e non immaginavo che saremmo arrivati così maturamente a portare a conclusione un processo di riforma elettorale in senso proporzionale. Però, vedo che c'è un'antinomia molto forte. Ovviamente, oggi do atto ai colleghi dell'UDC e a me medesimo di aver compiuto quella battaglia e di averla anche vinta. Ma, poiché non ho cambiato idea e ritengo che la riforma costituzionale al nostro esame presupponga, invece, un rafforzamento del sistema maggioritario, non posso non chiedermi oggi quali riflessi debba avere su tale riforma l'essere andati in una direzione diametralmente opposta, nonostante si trattasse di un approdo allora inimmaginabile. Questo è il tema di fondo.
Ovviamente, lo dico solo in termini dialogici al presidente Bruno e ai componenti della Commissione: il maggioritario è stato abbandonato perché abbiamo valutato che esso era all'origine di coalizioni innaturali e coatte, strumentali alla raccolta del consenso, ma profondamente inadeguate a gestirlo. Il leader della coalizione aveva un ruolo di arbitro e di decisione finale nell'attribuzione dei collegi, giustificato dal fatto che i singoli candidati sarebbero stati votati dagli elettori di tutti i partiti della coalizione.
BRUNO TABACCI. Ad elezioni avvenute, per la medesima ragione, il leader poteva rivendicare un potere di guida all'interno della coalizione. Così, la riforma costituzionale ha immaginato di rafforzare sensibilmente i poteri e di garantirgli una sostanziale inamovibilità, applicando il principio del simul stabunt simul cadent: il leader, da una parte, e, dall'altra, la maggioranza parlamentare.
Già in occasione della prima deliberazione ho avuto modo di chiarire che ritengo del tutto inadeguati i meccanismi, a volte veri e propri marchingegni, come nel caso della disciplina sulla questione di fiducia, finalizzati a conseguire gli obiettivi della stabilità e della governabilità.
L'unico risultato certo appare quello di far risaltare l'onnipotenza del Capo del Governo, che stride però con gli equilibri propri del regime parlamentare. Che questo sia il tentativo, lo si evince da due istituti introdotti dal testo in esame: il voto bloccato e la questione di fiducia. In entrambi i casi, si vuole porre il Capo del Governo nelle condizioni di forzare la mano al Parlamento. Il paradosso è che, come tutti sappiamo, i regolamenti parlamentari, salvo il caso del tutto particolare dei decreti-legge, consentono oggi alla maggioranza di approvare ogni sorta di provvedimento legislativo in tempi brevi e certi; lo abbiamo fatto più volte in questa legislatura. La volontà, che il Capo del Governo dovrebbe coartare, è quindi con tutta evidenza quella dei parlamentari che lo sostengono, quasi che egli potesse governare da solo contro tutti e non sulla base del consenso della maggioranza parlamentare.
La riforma elettorale proporzionale cambia lo scenario e consente di ragionare sulla riforma costituzionale partendo da premesse diverse. Quella riforma ha dei limiti: penso all'assenza del voto di preferenza, ma al riguardo non mi ripeto, perché l'ho già detto. Tuttavia essa è obiettivamente diretta ad innescare una complessiva riforma del sistema politico. La scelta per il proporzionale manifesta la volontà di abbandonare un sistema imperniato sulla dialettica tra coalizioni, tanto eterogenee ed instabili al loro interno, quanto nettamente contrapposte, anche su tematiche quali le riforme costituzionali e la politica estera. Il risultato complessivo di una simile dialettica non poteva che essere una scarsissima capacità di governo del paese, e questo anche nei casi in cui la coalizione è maggioritaria ed ha resistito per l'intera durata della legislatura.
La nuova legge elettorale pone invece al centro i partiti, come del resto si conviene ad una democrazia parlamentare. Porre al
centro i partiti equivale a porre al centro le identità politiche, i contenuti programmatici, le affinità culturali e ideali. Il maggioritario all'italiana ha segnato uno svuotamento e l'impoverimento della forma partito. La nuova legge elettorale crea le condizioni per rilanciare la forma partito, favorendo processi di riaggregazione e disaggregazione delle attuali forze politiche. In tal modo, potranno porsi le premesse per una vera governabilità, fondata, come avviene in tutta Europa, su partiti che, anche quando fanno parte di una coalizione, presentano identità chiare, definite e tra loro affini.
Le nuove prospettive aperte dalla riforma elettorale impongono con tutta evidenza di ripensare anche la riforma costituzionale. Il Capo del Governo non può più essere considerato, come peraltro con non poche forzature si poteva sostenere in costanza di un sistema maggioritario, l'unico depositario, interprete ed esecutore dell'indirizzo politico e programmatico della maggioranza di Governo.
Per questo ragioni, egregi colleghi, devo ribadire il mio dissenso, che resta profondo. Mi dispiace per i colleghi della Lega, che rispetto profondamente, i quali avevano l'opportunità di prospettare l'inserimento della devoluzione all'interno di un contesto costituzionale condiviso. Proseguendo lo scontro parlamentare, si arriverà ad uno sbocco referendario duro e semplificatore. Non potrò non partecipare, interpretando il pensiero di molti moderati, a tale chiarimento referendario, nella speranza che si apra finalmente la strada per un'Assemblea costituente, in grado di aggiornare davvero la Costituzione, proseguendone lo spirito.
PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto l'onorevole Soda. Ne ha facoltà.
ANTONIO SODA. Signor Presidente, questa requisitoria dell'onorevole Tabacci sulle contraddizioni, non soltanto interne al testo, ma anche in tema di scelte politiche che sono state compiute in quest'aula nella riorganizzazione del sistema politico, mi esime dal riprendere alcuni temi di merito. Non c'è tensione, in quest'aula, da parte vostra. Non c'è la consapevolezza di segnare un passaggio storico, come avete detto in questi ultimi tempi. C'è piuttosto la mortificazione dell'intelligenza, della cultura e della capacità di esprimere liberamente le riflessioni, che anche molti di voi hanno fatto. Quindi mi limiterò ad un brevissimo appello a quei pochi che possono ancora ascoltare e forse proclamarsi uomini liberi.
L'invito a riflettere - se ne avete ancora il tempo, la capacità e la libertà - sull'opportunità di astenervi da questo voto suicida non nasce ricorrendo allo sdegno e all'ironia dolente di Claudio Magris, che il vostro ministro non ha neppure compreso; questo ministro che scrive piccoli saggi forse neppure accorgendosi di essere in grado di firmarli.
Né ricorrerò al dileggio di un insigne grammatico di Padova per il quale la tendenza all'anglicismo della devolution, che pochi di voi conoscono, è rivelatrice, nella povertà della cultura, dell'affanno che avete nel vano inseguimento di un orizzonte europeo, quando invece siete immersi in un soffocante provincialismo. Né mi appellerò ad un'insigne analista del «Devolution club», che ha sottolineato il collegamento fra differenti regimi di autogoverno e le divaricazioni degli statuti dei diritti sociali esercitabili in aree diverse del paese. Né, infine, invocherò gli allarmi sulle annunciate disuguaglianze su cui gli improvvisati riformatori da osteria sono stati più volte chiamati a meditare. Più semplicemente, vi ricorderò le conclusioni di un raro giornalista di inchiesta qual è Gianantonio Stella.
Narrando le metamorfosi del mitico nord-est, questo inviato di politica, cronaca e costume del più prestigioso quotidiano italiano segnalava come, in due brevi tornate elettorali, con buona pace del centralismo onnivero, onorevole Tabacci, fu spazzato via il più grande partito del dopoguerra italiano (dall'80, 70, 90 per cento, in alcune aree del nord-est, allo 0,2, 2 e 3,4 per cento). Egli ne indicò la ragione, sia pure evocando un proverbio
popolare poco elegante che forse gli amici della Lega conoscono meglio di me. Esso - scusate la mia pronuncia - in quelle aree suona così: «Finchè ghe n'è, viva il re. Se non ghe ne ve più, in mona anche lù!». Il messaggio è chiaro.
Sono infine le condizioni reali, quelle materiali e quelle morali e, in ultima istanza, secondo l'intuizione di una cultura dispersa ma non morta, sono queste le condizioni reali che muovono i singoli, le comunità, i popoli, anche nelle scelte politiche.
Insisto, presidente Bruno, sull'aspetto relativo all'ingovernabile sistema delle fonti delineate in questo testo. Esso sarà ingovernabile in quanto creerà un percorso labirintico nel quale non vi saranno commissioni paritetiche, legittimazione dei Presidenti delle due Camere, definizione di competenze, intervento della Corte costituzionale che renderanno praticabile qualsiasi intervento legislativo. Tutto ciò in un quadro per giunta complesso del sistema delle fonti che vede, da una parte, la presenza sempre più forte dell'ordinamento comunitario e della sua armonizzazione nelle legislazioni nazionali, la fonte legislativa primaria del Parlamento, le fonti normative secondarie del Governo, le fonti legislative primarie delle regioni e le loro fonti regolamentari. Voi avete costruito un percorso nel quale questo paese annegherà, se non vi fermate! Insieme alla devoluzione, scardinante sotto il profilo dell'uguaglianza dei diritti, al sistema delle fonti divenuto ingovernabile, state tracciando un modello di Governo rigido, per un verso, e populista, per un altro, delineato - Dio mi perdoni! - da questi esperti confusi, chiamandolo pomposamente riforma costituzionale!
Questo modello di Stato, di Governo, di legislazione e di rapporti (con l'Unione europea, tra lo Stato e le regioni e tra Governo ed il Parlamento) comporterà - voi siete sfuggiti a questa domanda - un costo altissimo in termini finanziari.
Qualcuno ha provato a fare i conti dei costi di questo farraginoso e pericoloso sistema; alla disgregazione della garanzia ugualitaria o universalistica dei diritti sociali fondamentali si associa il costo elevato ed insopportabile che graverà sul cittadino italiano e sulle comunità, in un periodo, peraltro, di scarsità di risorse pubbliche e di crisi del sistema produttivo del paese.
I cittadini stanno cominciando a capirlo; di qui quel proverbio popolare secondo il quale, in fondo, bisogna fare riferimento alle condizioni reali per l'organizzazione dei rapporti sociali, etici e produttivi fra i singoli e fra i singoli e le comunità e le comunità fra di loro.
Tali costi altissimi renderanno impraticabile questa riforma, che non vedrà mai la luce sotto il profilo del diritto vivente, perché noi vi fermeremo con i vostri elettori.
Voi pensate che questo sistema, questa cosiddetta riforma, susciti preoccupazioni e perplessità soltanto nel Mezzogiorno d'Italia, perché siete fermi all'epoca in cui l'onda, la spinta disgregatrice o, nella migliore delle ipotesi, la spinta delle autonomie che proviene dal nord faceva leva sui concetti di uno Stato che spendeva troppo, che destinava troppe risorse all'autoconservazione, del cosiddetto assistenzialismo del sud e via seguitando.
Oggi, nel nord-est e nelle aree più avanzate del paese, inondate da questa crisi terribile che impone la ricerca di un nuovo modello di sviluppo, quelle popolazioni che si rendono conto del costo degli apparati, della moltiplicazione delle organizzazioni anche territoriali, che non rispondono ad una visione democratica di partecipazione, ma soltanto ad una dimensione politicistica, si ribelleranno e su questo vi sfideremo! Lo faremo non soltanto in Calabria, in Basilicata, in Puglia, dicendo a quei nostri compatrioti, a quei nostri cittadini che saranno mortificati i loro diritti e che saranno annegate le loro esigenze, ma parleremo anche alle comunità del nord. Diremo loro che questa sciagura, che li mortifica e che diventerà per loro un peso insopportabile, è il frutto di una scelta confusa, irrazionale ed arbitraria che non potrà passare nella coscienza
del paese (Applausi dei deputati dei gruppi dei Democratici di sinistra-L'Ulivo e della Margherita, DL-L'Ulivo)!
PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto l'onorevole Gerardo Bianco. Ne ha facoltà.
GERARDO BIANCO. Signor Presidente, colleghe e colleghi, oggi non è un giorno felice per la nostra Repubblica e anche la sciatteria di quest'aula e l'assenza dei colleghi lo confermano. Sembra non vi sia sufficiente consapevolezza della gravità che si sta per consumare. Eppure, intere pagine di storia rischiano di essere cancellate da una riforma costituzionale che nasce dal retrobottega della politica.
È questo, infatti, lo sfondo che caratterizza l'iter di questo improvvido testo: lo scambio, il mercanteggiamento, il reciproco ricatto, il cattivo compromesso. Siamo molto distanti, signor Presidente - lei che è un grande liberale -, dall'atmosfera ideale e culturale che alimentò la Carta costituzionale che voi della maggioranza vi accingete a stravolgere, quella Carta costituzionale che vide i grandi spiriti della Costituente in quest'aula. Essa fiorì dalla lotta al fascismo, da un'ansia profonda di libertà, da una comune volontà di costruire uno Stato democratico che avesse nel Parlamento il suo caposaldo. Essa riprese il filo interrotto dell'eredità risorgimentale, che aveva raccolto e realizzato la secolare aspirazione, coerentemente espressa dalla più alta tradizione culturale e civile italiana - da Dante a Petrarca, da Leopardi a Manzoni, a Mazzini, che vedrà oggi consumare, in questo anno di celebrazione, il disfacimento dell'Italia -, ad essere un unico popolo in un'unica nazione.
Oggi, questa vostra riforma viene celebrata nelle sagre strapaesane dei presunti popoli padani - onorevole ministro -, nel disprezzo del tricolore, disperdendo in tal modo la nostra più preziosa storia.
Sento profondo nel mio animo lo sdegno, quel sentimento di rifiuto intellettuale e morale che, l'altro ieri, ha magistralmente espresso un grande intellettuale italiano, Claudio Magris, nel suo sarcastico atto di accusa - che dovrebbe essere letto da tutti voi - contro la cosiddetta devoluzione.
Questa non è una riforma, ma piuttosto una irresponsabile manomissione della Costituzione repubblicana. È uno strappo anche più grave - e invito i colleghi dell'opposizione a mobilitarsi - della pessima legge elettorale, che squalifica questa maggioranza.
L'utilizzazione dell'articolo 138 per modificare ben 50 articoli - circa i due terzi della seconda parte della Costituzione - che ne capovolgono la logica, l'impianto e l'equilibrio delle parti, non può che suscitare, onorevole Bruno, forti dubbi di correttezza costituzionale.
Siete privi del mandato parlamentare per modificare così radicalmente la Costituzione: manca quella proporzionalità che riflette le realtà sociali, politiche e culturali del paese, che possono poi consentire la condivisione generalizzata di una costruzione che stringe il patto solidale di tutto un popolo. Questo è un testo di parte e, quindi, è intrinsecamente ed a priori delegittimato.
In quale archivio - onorevoli di Alleanza nazionale, ieri Movimento sociale - è finita la vostra proposta di Assemblea costituente, che poteva costituire un itinerario positivo che avrebbe aperto nel paese un vasto dibattito, creando quel clima di partecipazione che è elemento essenziale per far sentire come comune quel patto fondativo della vita politica e civile di un popolo?
Avete preferito ammainare le vostre bandiere e perfino spegnere quel sentimento di patria che costituiva il valore più alto della vostra tradizione per un piatto di lenticchie governative.
Rileggetevelo questo vostro testo assurdo, prolisso e contraddittorio! L'elegante articolo 70, di un rigo e mezzo, viene sostituito da oltre 90 righe; l'articolo 72 passa da 24 a 67 righe; gli articoli 57 e 64 vengono triplicati; il 94 passa da 13 a 53 righe. È chiaro che in questa complicazione del testo vi è il tentativo di saldare le contraddizioni che derivano da quel
mercanteggiamento interno alla maggioranza. Davvero, in coscienza, mi chiedo se riteniate che si scriva così la Costituzione.
La vostra ossessione di esaltare il ruolo del Primo ministro, quasi che il vostro possa essere eterno, rompe il delicato equilibrio tra il Parlamento (la Camera dei «camerieri», come ha detto l'onorevole Duilio) e il Capo del Governo. Ciò è appunto sancito da quel capolavoro legislativo che rende obbligatorio il collegamento con il designato Primo ministro dei candidati, che annulla l'articolo 67 della rappresentanza.
Vi è molta arretratezza culturale nell'idea di rafforzare la governabilità con un accentuato potere del vertice. Le società complesse si governano con trame istituzionali articolate, con la libera e convergente cooperazione sociale e politica, non per comandi autoritari.
Voi decretate l'eclisse del Parlamento, che era l'asse portante della nostra Carta repubblicana, e aprite la strada al peronismo e al populismo. Come ha scritto il Kelsen: «Al tramonto del Parlamento segue sempre quello delle libertà e della democrazia».
Onorevole Bruno, beffarde sono le sue parole allorché afferma che la complessiva deminutio delle prerogative del Presidente della Repubblica mira ad esaltare il suo ruolo di garanzia. Il ridimensionamento è tale da ridurre quel ruolo a pura figura patetica.
Così pensate di equilibrare le istituzioni del paese? Con la Corte costituzionale (come è stato già detto) perversamente politicizzata nella sua composizione? La Costituzione repubblicana ha unito nel suo lungo corso l'Italia; questa la divide.
Onorevoli colleghi della destra, voi spesso invocate riconciliazioni storiche e politiche, ma invece state provocando profonde fratture.
Onorevole Tabacci, lei ha esposto una serie di contraddizioni; tuttavia, quale ruolo e quale peso avranno le sue indubbie ragioni nelle decisioni che saranno adottate? So che gli appelli fatti in quest'aula non servono a nulla. Tuttavia, onorevoli dell'UDC, che siete oggi assenti e che rivendicate eredità degasperiane e democristiane, davvero non siete consapevoli che con questa riforma rinnegate la Carta costituzionale scritta dai nostri padri costituenti?
GERARDO BIANCO. Chi quella carta non l'ha scritta e, pur giovandosene, l'ha contestata può essere oggi indifferente e disinvolto.
Onorevole ministro, non basterà tutta l'acqua del Po per assolvervi dal peccato del disfacimento dell'Italia. Tuttavia, chi ha la storia alle spalle ed ha coltivato ideali di libertà e di italianità, chi proviene dalle vicende di forze politiche che hanno costruito questa Repubblica dovrebbe pur interrogarsi e dire: «No, io non c'entro».
Circa 700 anni fa, in un'epistola ai reggenti di Roma, Dante Alighieri scrisse: «Con l'attuale miseria trafisse di dolore gli altri italiani e li confuse con la vergogna. Chi potrebbe dubitare che siate voi a dovervi vergognare e dolere, voi che allora foste la causa della sua inaudita eclisse?». Onorevoli deputati della maggioranza, questa eclisse della nostra Costituzione è la vostra vergogna, che ci coinvolge tutti. Abbiamo la speranza che domani gli italiani, con il referendum, ne ripristineranno l'onore (Applausi dei deputati dei gruppi dei della Margherita, DL-L'Ulivo, dei Democratici di sinistra-L'Ulivo, di Rifondazione comunista, Misto-Comunisti italiani - Congratulazioni - Commenti dei deputati della Lega Nord Federazione Padana)!
PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto l'onorevole Rotondi. Ne ha facoltà.
GIANFRANCO ROTONDI. Signor Presidente, onorevoli colleghi, la Democrazia cristiana voterà convintamente la devoluzione e ritiene che questa riforma...
PRESIDENTE. Onorevoli colleghi, per cortesia.
GIANFRANCO ROTONDI. Signor Presidente, la Democrazia cristiana accetta volentieri un'interruzione per consentire ai colleghi di complimentarsi con l'onorevole Gerardo Bianco, il cui intervento è sempre interessante, anche quando è dissonante.
PRESIDENTE. Onorevole Bressa, per cortesia...
GIANFRANCO ROTONDI. Esaurito l'entusiasmo condivisibile per l'intervento dell'onorevole Gerardo Bianco, voglio annunciare che voteremo convintamente questa riforma, recuperando una ragione supplementare dal disagio di coloro che, per 20 anni, hanno bloccato ogni ipotesi di riforma e ritrovano oggi un sussulto di energia per contestare l'unica riforma che in questo paese sia giunta al voto del Parlamento e che giungerà al voto degli italiani. Non si tratta, infatti, di una riforma che naviga nelle sole acque parlamentari: presto gli italiani si pronunceranno e trarranno da soli le valutazioni che noi abbiamo accompagnato al varo di questa riforma.
Quindi, chi grida al golpe, chi grida alla tecnica del blitz, chi agita bandiere confuse di fronte all'elettorato, avrà tutto il tempo di spiegare le proprie ragioni. L'elettorato, altresì, avrà tutto il tempo di verificare i danni che annunciate, e che io non vedo, perché la devoluzione presenta delle sfide, anche per il Mezzogiorno d'Italia, ma salutare questa riforma con le parole di un grande meridionalista come Guido Dorso credo sia l'accompagnamento più appropriato per un testo che tanto dibattito sta suscitando nei meridionalisti che si affollano al capezzale di un Mezzogiorno che muore.
Nel suo volume «La rivoluzione meridionale», Guido Dorso affermava che la sfida del Mezzogiorno è aggredire lo Stato agitando la bandiera del federalismo. Dorso diceva che il sud deve minacciare la secessione per ottenere il federalismo e che cento uomini di ferro, ottenuto il federalismo, cambieranno il Mezzogiorno.
L'eterogenesi dei fini, che il presidente Gerardo Bianco sovente cita e che ci ha insegnato negli anni giovanili, può aiutarmi a trasmettere l'idea che questa stessa riforma nasce dalla volontà di un uomo del nord, ma è nelle mani delle capacità degli uomini del sud. E, come tutte le riforme federaliste, può essere un contributo per unire questo paese e non per dividerlo (Applausi).
PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto l'onorevole Luciano Dussin. Ne ha facoltà.
LUCIANO DUSSIN. Signor Presidente, onorevoli colleghi, questa è una giornata molto importante per la Lega Nord, perché riesce a coronare anni di lungo lavoro nel tentativo di modernizzare questo paese. È una giornata importante anche per tutta la Casa delle libertà, che ha creduto in questo caposaldo del programma elettorale che abbiamo proposto ai cittadini nel 2001. È una giornata importante anche per il paese.
È ovvio - ascoltavamo poc'anzi alcuni interventi in tal senso - che taluni tentino di rovinare la festa con le solite bugie. Prima, addirittura, un esponente della Margherita affermava che questa maggioranza è priva di legittimità parlamentare. L'ho ricordato l'altro giorno ed anche in precedenza, ma, visto che si continua con le bugie, rimandiamo al deputato della Margherita quanto egli ha affermato: infatti, la vostra maggioranza abusiva, che nel 2001 ha cambiato la Costituzione con i voti comperati dall'altra parte, testimonia che siete falsi (Applausi dei deputati del gruppo della Lega Nord Federazione Padana)! Ma, se continuate a ribadire queste falsità, troverete sempre qualcuno che vi dirà che siete falsi, bugiardi fino alla fine (Commenti dei deputati del gruppo dei Democratici di sinistra-L'Ulivo)!
Queste sono cose che noi non dimentichiamo e che ribadiremo sempre. Si tratta di legittima difesa contro i bugiardi.
Vi è una serie di insistenze che provengono da parte di una opposizione che
non vuol cambiare questo paese, che si fa sponsor di uno Stato borbonico, di uno statalismo ormai asfittico e fuori tempo, non più in grado di adeguarsi all'economia e alla globalizzazione, che ci è passata sopra la testa, ma che ci obbliga a fare qualcosa di nuovo nel paese. Bisogna modificare anche la Carta costituzionale, non per peggiorarla ma per migliorarla e renderla più moderna e più vicina ai testi costituzionali degli altri paesi che sono, sotto questo aspetto, più avanti del nostro. Ma c'è qualcuno, come testimonia l'intervento «borbonico» che abbiamo ascoltato poc'anzi, che cerca di rovinare la nostra festa (Applausi dei deputati del gruppo della Lega Nord Federazione Padana).
Perché dicevo poc'anzi che quella odierna è una giornata importante? Perché finalmente stiamo per dare seguito e rispettare uno dei capisaldi, uno degli articoli più importanti della nostra Carta costituzionale varata nel 1948. Mi riferisco all'articolo 5. Ricordo, a me stesso e a chi vuole dimenticarlo, che in tale articolo si prevede che la Repubblica riconosce e promuove le autonomie locali; attua nei servizi che dipendono dallo Stato il più ampio decentramento amministrativo; adegua i principi ed i metodi della sua legislazione alle esigenze dell'autonomia e del decentramento.
Tale articolo è stato considerato lettera morta dal 1948 fino ad oggi. Con il provvedimento al nostro esame stiamo, quindi, rispettando uno dei capisaldi della Costituzione. Un caposaldo che stiamo difendendo noi, non certo voi, che invece state difendendo una cosa che purtroppo, in alcuni passaggi, non sta più ai tempi. Voi avete cercato, come ricordavo prima, di modificare il Titolo V della Costituzione con i voti di una maggioranza abusiva; modifica confermata poi dai cittadini con un referendum, che - ahimè - non prevede un quorum, in cui solo un cittadino su otto ha detto «sì», cioè un cittadino su otto ha riconosciuto che voi avevate proposto qualcosa di buono. Una modifica che è stata bocciata addirittura dai governatori delle regioni cosiddette «rosse» in quanto, nel corso di questi cinque anni dalla riforma del Titolo V proposta dal centrosinistra, l'Emilia-Romagna, la Toscana e la Campania non hanno attinto un bel nulla proprio perché voi avete cambiato la Costituzione affinché nulla cambiasse. La vostra è, infatti, una mentalità ultra borbonica.
Ciò detto, vi era il dovere da parte di chi è un po' più «sveglio» di proporre qualcosa di nuovo a questo paese, che ne ha bisogno, come testimoniano i discorsi retorici che abbiamo ascoltato poc'anzi, i quali, a nostro avviso, cozzano terribilmente con la necessità di adeguare la macchina statale di questo paese perché essa non dà risposte ai cittadini.
Cosa stiamo proponendo? Stiamo proponendo delle cose importanti. Innanzitutto, il rispetto dell'articolo 5 della Costituzione, ma anche il rispetto di quell'articolo che già nel 1948 istituiva le regioni ma che la Democrazia cristiana, ferma e sempre a braccetto con un Partito comunista altrettanto fermo e logoro, ha bloccato fino al 1975. Difatti, le regioni sono state ferme per tre decenni per colpa vostra! E dal 1975 fino ad ora sono rimaste ingessate. Con questa riforma, allora, noi attribuiamo competenze esclusive sia allo Stato sia alle regioni; in tal modo, i governatori regionali potranno misurarsi direttamente con il loro elettorato e non potranno più nascondersi dietro alle inefficienze del sistema borbonico, tanto caro all'onorevole Gerardo Bianco, che nascondeva le responsabilità di tutti.
Bocciamo definitivamente un bicameralismo che era peggio di una partita a ping pong - così è stato descritto -, perché prevedeva che un provvedimento rimbalzasse dalla Camera dei deputati al Senato e in quella sede bisognasse poi mettersi d'accordo con l'allora Partito comunista affinché si potesse rimodificarlo a virgole imbrogliando i cittadini e vanificando tutti i meriti del nostro popolo. Tutto ciò ha condotto il nostro paese allo stesso livello di quei paesi che sono molto più inefficienti del nostro, paesi sottosviluppati, qualcuno suggerisce, ed ha ragione, proprio per le responsabilità di quella macchina statale che giustificava le
inefficienze intellettuali dei signori che ancora oggi raccontano bugie dentro questo Parlamento. Pertanto, via anche il bicameralismo!
Si prevede una garanzia di governabilità perché vi è l'indicazione del premier.
Ricordo all'onorevole Gerardo Bianco, borbonico, che l'Ulivo si presentò, nel 2001, con un programma che contemplava il premierato forte. Dunque, ecco un'altra bugia che abbiamo udito oggi! Probabilmente, si tratta di una dimenticanza, ma del premierato forte avete parlato voi; oggi lo rinnegate, mentre noi lo portiamo avanti, perché siamo più coerenti con il nostro programma e, soprattutto, con quanto abbiamo scritto ai cittadini. Infatti, ricordo, a beneficio anche di quest'altra parte (perché ho sentito qualche voce dissenziente), che la Casa delle libertà ottenne la maggioranza dei voti dei cittadini italiani, nel 2001, sulla base di un programma che fu stampato (il famoso librettino) ed inviato famiglia per famiglia. Ebbene, a pagina 3 dell'opuscolo, al punto 7), si parlava, per l'appunto, della devoluzione dei poteri dallo Stato centrale alle regioni.
Sia a sinistra sia all'interno della Casa delle libertà qualcuno dimentica che alle promesse bisognerebbe rispondere con i fatti, per l'elementare esigenza di non andare a raccontare frottole al corpo elettorale. Il corpo elettorale ricorda se qualcuno non sta ai patti!
Non entro nel merito, perché ne abbiamo parlato tantissime volte e, comunque, il nostro capogruppo interverrà successivamente al riguardo, ma mi auguro che l'ennesimo imbroglio che sta preparando la sinistra non vada a creare ulteriori danni al paese, che ha bisogno di verità.
Stanno già orchestrando un referendum con gli spot che abbiamo udito prima. Ad esempio, dicono: «Questa è la riforma costituzionale voluta dalla Lega»; ma dimenticano che è stata votata anche dai cittadini del centrosud, perché anche costoro hanno approvato le proposte contenute nel programma della Casa delle libertà del 2001.
Un altro spot sarà: «Regioni ricche contro regioni povere». Allora, mi auguro che la Casa delle libertà riesca, tramite i mass media, a ricordare ai cittadini che questo è un appuntamento storico: se essi non si recheranno alle urne per confermare una proposta volta a modernizzare la macchina asfittica che descrivevo in precedenza, rischiamo che questo paese non abbia, nei prossimi decenni, nulla di nuovo. In tale denegata ipotesi, resterà ai cittadini una macchina statale che non sarà più al passo con i tempi: l'economia mondiale ed i rapporti sociali che stiamo vivendo a livello mondiale in questi ultimi periodi richiederanno accelerazioni che questa vecchia macchina non potrà più dare!
Quindi, la bugia delle regioni ricche contro le regioni povere rischia di fare male più alle regioni povere che a quelle ricche. Infatti, se riuscirete...
PRESIDENTE. Onorevole Luciano Dussin...
LUCIANO DUSSIN. ... a bloccare l'economia anche delle regioni ricche, che voi osteggiate da sempre, i primi a patire la fame saranno i cittadini residenti nelle regioni più povere (Applausi dei deputati del gruppo della Lega Nord Federazione Padana), i quali sono, pertanto, i primi ad avere la necessità di non essere imbrogliati da voi! Ci auguriamo che, quando saranno chiamati al referendum, essi si dimostrino più intelligenti ...
PRESIDENTE. Concluda, onorevole Luciano Dussin.
LUCIANO DUSSIN. ... delle proposta che sentiamo avanzare dal centrosinistra.
Concludo ricordando che, in questa giornata che segna un po' il trionfo del lavoro degli ultimi anni, il gruppo della Lega Nord Federazione Padana ...
PRESIDENTE. Grazie, onorevole Luciano Dussin.
LUCIANO DUSSIN. ... si sente a posto con la coscienza, perché è riuscito a rispettare uno dei capisaldi del programma elettorale del 2001 (Applausi dei deputati del gruppo della Lega Nord Federazione Padana - Congratulazioni).
PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto l'onorevole Cabras. Ne ha facoltà.
ANTONELLO CABRAS. Signor Presidente, mi spiace dover deludere il collega Luciano Dussin, pur comprendendo le ragioni per le quali egli ha considerato questa giornata - come l'ha definita? - la giornata del trionfo: al contrario, questa non appare una giornata trionfale, per come si sta sviluppando la discussione qui alla Camera e, ancor meno, per come viene vissuta dalla società, dal popolo, dal paese, che non sembra gioire per il trionfo a cui faceva riferimento il collega.
Come hanno efficacemente detto i colleghi dell'opposizione che sono intervenuti prima di me e come abbiamo preannunciato in precedenti occasioni, anche entrando nel merito con dovizia di dettagli, noi non voteremo il disegno di legge costituzionale in esame.
Tuttavia, vorrei che fossero abbandonati alcuni toni, che credo siano fuori misura, sia tra chi la sostiene, sia tra chi la contrasta.
In realtà, si tratta di una riforma senza capo né coda e dovremmo trasmettere al paese questo messaggio. È una riforma che non affronta nessuno dei problemi che, invece, sarebbe necessario affrontare. È piuttosto caricaturale la rappresentazione che vede, da una parte, i riformatori e, dall'altra, i conservatori, nella fattispecie noi dell'opposizione, perché è così che siamo considerati. In realtà, siamo stati gli unici ad aver avviato una vera riforma di sistema con il Titolo V della Costituzione, che inizialmente avete condiviso (mi riferisco alla fase istruttoria e delle votazioni della Commissione bicamerale e alla prima lettura dell'Assemblea). Poi, soltanto per una regione squisitamente politica, avete deciso di interrompere quel percorso. Poiché questa era la ragione politica, abbiamo pensato di concludere la riforma nella successiva legislatura. Ma su quel terreno occorreva proseguire e non sul vostro, senza capo né coda e che ha il solo obiettivo di tenere unita la vostra coalizione.
Dunque, con una mano, avete concesso alla Lega la possibilità di attaccare i manifesti durante la prossima campagna elettorale per comunicare che finalmente aveva conquistato una grande riforma della Costituzione, e, con l'altra, sempre nell'ambito della riforma, avete negato gli elementi di autonomia che la Lega vi ha chiesto, inventandovi un interesse nazionale che entra con gli scarponi nell'autonomia e nell'autogoverno che avevamo costruito (per cui è sufficiente che il Parlamento voti per cancellare una legge regionale).
Dovete spiegare al popolo del nord che questi sono l'autonomia e l'autogoverno che state approvando attraverso questa riforma costituzionale. Sicuramente, sarà questo l'argomento della propaganda che l'altra parte della maggioranza farà nel Mezzogiorno d'Italia, per cercare di negare il contenuto della riforma che prevede, tra l'altro, un Senato federale che di federale non ha niente.
La verità sta nel fatto che del Titolo V non avete cambiato sostanzialmente nulla! Avevate la possibilità di farlo, ma non lo avete fatto. E sta proprio lì la dimostrazione della nostra ragione, quando abbiamo percorso quella strada. Certamente, alcune cose andavano modificate - noi stessi lo abbiamo riconosciuto -, ma, in realtà, l'asse di quella riforma è la strada che dobbiamo riprendere e voi, con il vostro comportamento, avete dimostrato che quella era la strada giusta da percorrere.
La perla della vostra proposta sta nel contraddittorio equilibrio che avete costruito tra le due Camere. Avete aggiustato le cose, perché mai e poi mai il Senato avrebbe votato una proposta come quella che sarebbe stato necessario votare, perché non aveva un'anima. Quindi, per fare in modo che il Senato l'approvasse,
avete inventato un percorso contraddittorio nel quale il Premier è padrone della Camera politica, ma è assolutamente prigioniero, con le mani legate dietro la schiena, dell'altra Camera, ossia del Senato. Dunque, non avete migliorato il testo. Semmai, avete appesantito gli elementi di fragilità presenti nel sistema attuale.
Con questa proposta, vi state riprendendo l'autonomia e l'autogoverno che noi abbiamo rafforzato con la riforma del Titolo V, con l'interesse nazionale, ignorando completamente l'altra parte della riforma, ossia il federalismo fiscale, che avevate la possibilità di attuare grazie alla maggioranza che avete in entrambi i rami del Parlamento.
Non vi sfiora assolutamente, neanche in questo dibattito, il dubbio che, dopo reiterate sconfitte (ne avete già collezionate quattro; domenica avete avuto «l'antipasto» di una futura sconfitta che subirete il prossimo aprile, se il leader del Governo manterrà la promessa di votare il 9 aprile), state perseverando su una linea sbagliata?
È una legislatura che sarà ricordata per le vostre leggi sulla giustizia, per questo pasticcio sulla Costituzione, per la legge elettorale che avete finalizzato esclusivamente ad un vostro interesse politico del momento.
Il grande successo di partecipazione che si è verificato domenica, in occasione delle elezioni primarie da noi indette, e che voi avete anche provato all'inizio a minimizzare, vi ha fatto accorgere poi della grande contraddizione tra quanto dicevate (e cioè che si trattava solo di un trucco) e le immagini trasmesse da tutte le televisioni, che mostravano file enormi di cittadini, uomini, donne, giovani e vecchi che si recavano a votare. A quel punto avete cambiato versione: avete detto che in realtà le elezioni vere saranno un'altra cosa e che, quando voterà anche il centrodestra, Prodi non prenderà il 75 per cento dei voti...! Noi non pensiamo di raccogliere il 75 per cento alle prossime elezioni; siamo convinti però di ottenere la maggioranza sufficiente a mandarvi a casa! Dunque, tutti voi dovreste riflettere nei pochi mesi che restano, e anche qui, nel voto di oggi e in quello che vi sarà al Senato.
A conclusione del dibattito sulla legge elettorale vi abbiamo detto: attenti ché il popolo finirà per travolgervi! Sembrava un'affermazione eccessiva: mancavano pochi giorni, poi è arrivata la domenica e il popolo in realtà ha detto di avere tutta l'intenzione di travolgervi!
Penso che il prossimo 9 aprile, se non volete finire come un esercito in rotta e se volete essere sconfitti con dignità (perché si può essere sconfitti anche con dignità!), forse dovreste dimostrare di far tesoro dei messaggi inequivocabili che vi stanno giungendo dal popolo italiano ancora in queste ore e in questi giorni: a tale proposito, vi consiglio di rinforzare i vostri ormeggi, perché, se quello di domenica era il segnale di una meteorologia che vi è contraria, con probabilità il prossimo aprile sarete travolti da un uragano del tipo di quello verificatosi negli Stati Uniti.
Attenti a non perseverare, dunque, poiché in Italia è necessario che la dialettica tra maggioranza e opposizione prosegua anche nella prossima legislatura, ovviamente noi come maggioranza e voi come opposizione (Applausi dei deputati dei gruppi dei Democratici di sinistra-L'Ulivo e della Margherita, DL-L'Ulivo)!
DOMENICO BENEDETTI VALENTINI. Grazie della concessione!
PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto l'onorevole Pisapia. Ne ha facoltà.
GIULIANO PISAPIA. Signor Presidente, un popolo che non riconosce i diritti dell'uomo e non attua la divisione dei poteri non ha Costituzione: queste parole, scolpite nella Dichiarazione universale dei diritti dell'uomo e dei cittadini, dovrebbero essere la base di ogni ordinamento democratico e la casa comune in cui si può e si deve riconoscere la grande maggioranza dei cittadini.
La Costituzione dovrebbe essere il testo condiviso che deriva dal confronto di culture, storie ed esperienze diverse e che, in un rapporto dialettico ma sempre teso al massimo di condivisioni, affermi, tuteli e garantisca princìpi, diritti e doveri validi per tutti e di cui la divisione dei poteri, il rispetto delle reciproche competenze in un rapporto di leale collaborazione tra poteri dello Stato, come ha ribadito in più occasioni, anche recentemente, la Corte costituzionale, l'eguaglianza dei cittadini davanti alla legge, un sistema di pesi e contrappesi che trovano il loro fulcro negli organi di garanzia, debbono essere nel contempo i presupposti e i punti fondanti.
Dopo la sconfitta della dittatura e il superamento della monarchia, la Costituzione in senso moderno ha il compito di limitare i poteri e di garantire i diritti. Oggi, la maggioranza parlamentare, che non è più maggioranza nel paese, invece di cercare quelle convergenze necessarie affinché i princìpi base di un ordinamento democratico siano sentiti e recepiti come princìpi di tutti, o quantomeno di una larga maggioranza di cittadini, sta per l'ennesima volta stravolgendo le basi di una moderna democrazia, quali l'equilibrio e la divisione dei poteri, l'universalità dei diritti, l'eguaglianza dei cittadini, il pluralismo istituzionale.
Si sono indeboliti con la controriforma del centrodestra quegli organi di garanzia la cui finalità è il controllo sull'esercizio del potere e il cui scopo è garantire le libertà individuali ed assicurare un equilibrato pluralismo istituzionale, in un contesto di uguaglianza tra i cittadini nonché tra le diverse regioni e le diverse zone del paese; si sono modificati e in parte stravolti non solo oltre 40 articoli della nostra Carta costituzionale, tra le più belle, le più attuali ed apprezzate del mondo, ma si è anche inciso sulla Prima parte della Costituzione, che tutela i diritti soggettivi e regola i rapporti politici, economici e sociali di tutti noi.
L'indignazione, in Parlamento e nel paese, è sempre più forte perché si vogliono imporre regole che non tutelano i diritti ed i principi di una moderna democrazia, diritti e principi in cui la maggioranza di centrodestra non si riconosce. Non mi è possibile ripercorrere i vari e fondati motivi della nostra forte opposizione a questa controriforma costituzionale, in quanto anche il tempo è tiranno, come lo è stato questo modo di scardinare i principi fondanti della nostra Repubblica. Lo hanno fatto, però, con un'incisività pari all'efficacia, ragionevolezza e fondatezza dei motivi della nostra profonda critica, l'onorevole Mascia e gli altri parlamentari del gruppo di Rifondazione comunista e di tutta l'attuale opposizione.
La maggioranza di centrodestra ha fatto prevalere, ancora una volta, la forza dei numeri - e anzi, più propriamente in questo caso, la tirannia dei numeri - su ogni ragione e su qualsiasi ragionevolezza; non posso quindi non ricordare come non sia certo stato un caso il fatto che, nella ricerca spasmodica di un testo condiviso, l'Assemblea costituente, il 22 dicembre 1947, a scrutinio segreto, approvò il testo della Costituzione con un'ampia maggioranza: 453 voti favorevoli su 515 presenti. Inoltre, in quei giorni, ha rappresentato la riprova della ricerca di una Casa comune - riconoscibile anche da chi aveva e poteva avere, su alcuni temi e su alcuni articoli, posizioni diverse - il fatto che, prima della votazione finale della Carta costituzionale, l'onorevole La Pira, che aveva partecipato ai lavori della prima sottocommissione della Commissione dei 75 (presieduta dall'onorevole Muccio Ruini), dapprima chiese che fosse messo ai voti un preambolo che faceva un richiamo alle radici religiose della Carta costituzionale; poi, dopo un confronto che raggiunse livelli altissimi di reciproco rispetto tra posizioni diverse, ritirò - dopo un invito del presidente Terracini, teso a non incrinare quel nobile equilibrio raggiunto dai padri costituenti - la proposta proprio per non creare divisioni in un momento così importante per il nostro paese.
Del resto, un legislatore saggio avrebbe dovuto innanzitutto - e prima di stravolgerlo - rendere realtà concreta quel testo: dal ripudio della guerra, troppo spesso violato, alla libertà religiosa, all'articolo 2,
che «riconosce e garantisce» i diritti fondamentali dell'uomo, alla «pari dignità sociale», prevista dall'articolo 3 della Costituzione, al diritto al lavoro, al diritto di asilo per lo straniero «al quale sia impedito (...) l'effettivo esercizio delle libertà democratiche garantite dalla Costituzione». Questa maggioranza invece si è premurata solo di scardinare i principi costituzionali e non ha voluto comprendere - o, peggio, non è stata in grado di comprendere - gli insegnamenti di chi a quel testo aveva dato un contributo determinante, tesi a ricordare sempre che, per preparare il testo di una nuova Costituzione democratica, non solo è più opportuno ma è addirittura più prudente muovere dal punto di vista delle minoranze e soprattutto rispettarne il punto di vista. Come non ricordare il saggio e forte ammonimento di Piero Calamandrei: «Cerchiamo di esaminare i problemi costituzionali con spirito lungimirante. Quel senso storico che abbiamo imparato da Benedetto Croce non si deve trasformare in un gretto compromesso di partito che restringa il nostro campo visivo alle previsioni elettorali o elettoralistiche dell'immediato domani».
Nulla di tutto ciò è stato compiuto; questo insegnamento è rimasto carta straccia. Il centrodestra si è limitato ad un vergognoso, ignobile, inaccettabile - «gretto», avrebbe detto Piero Calamandrei - compromesso di alcuni partiti, anzi di poche persone che si sono autodefinite «saggi» di quella che oggi non possiamo non definire la casa delle «illiberalità». Tutto ciò, oltretutto, in aperta violazione di una delle norme cardine del nostro ordinamento costituzionale, quell'articolo 138 che indica gli strumenti e le modalità delle riforme costituzionali; una norma, peraltro, che dovrebbe essere utilizzata con ancora maggiore prudenza in un sistema maggioritario e di cui invece è stato violato, apertamente, lo spirito.
Ancora, Piero Calamandrei, riprendendo i concetti espressi da un altro padre costituente, Costantino Mortati, aveva chiarito come non tutte le norme della Costituzione fossero rivedibili e come non si potessero modificare più norme che trattano temi tra loro completamente differenti, come, nel caso specifico, quelle relative al federalismo, agli organi di garanzia ed ai rapporti tra poteri dello Stato.
Il referendum confermativo, infatti, per essere effettivamente un modo per dare l'ultima parola ai cittadini, deve proporre un quesito su una materia omogenea e ben individuata. Le modifiche ammissibili, hanno sostenuto i padri costituenti, debbono essere puntuali, specifiche ed attinenti a un determinato istituto o ad un singolo tema.
Così non è, così non è stato. Gli italiani, tuttavia, sapranno cancellare questo ripetuto tradimento della Carta costituzionale, nata dalla Resistenza e dalla volontà democratica di chi si era opposto alla dittatura ed aveva sconfitto il regime che aveva cancellato, nel nostro paese, le libertà fondamentali.
Nella Costituzione, come ha ricordato il Presidente Scálfaro nel suo libro La mia Costituzione, vi sono le regole perché un popolo possa convivere nella pace e nella serenità; vi sono le regole affinché un popolo possa vivere in modo costruttivo, collaborativo e solidale; vi sono le regole per vivere liberi, lavorando e lottando per la giustizia; vi sono, nella nostra Carta costituzionale, le regole per mantenere viva la pace, sia al proprio interno, sia nei rapporti con gli altri popoli.
Nella Carta costituzionale votata dai nostri padri costituenti, vi sono tutte le regole scritte della nostra democrazia. L'abbiamo studiata, l'abbiamo amata e l'amiamo ancora. La difenderemo con le armi della democrazia: il referendum, strumento di alta democrazia, cancellerà la controriforma che il paese non vuole e non può accettare (Applausi dei deputati dei gruppi di Rifondazione comunista, dei Democratici di sinistra-L'Ulivo, della Margherita, DL-L'Ulivo, Misto-SDI-Unità Socialista e Misto-Comunisti italiani - Congratulazioni)!
PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto l'onorevole Zeller. Ne ha facoltà.
KARL ZELLER. Signor Presidente, onorevoli colleghi, il provvedimento in esame contiene non solo aspetti indubbiamente positivi, ma anche parecchie ombre. La Südtiroler Volkspartei, infatti, avrebbe voluto e sostenuto una riforma più coraggiosa, per introdurre un sistema federale avanzato, paragonabile a quello vigente nella Svizzera, nel Belgio o nella Germania.
Il nuovo Senato, in verità, ha poco di federale, poiché i senatori non sono espressione dei consigli o delle giunte regionali, ma saranno, come avviene dal 1948 ad oggi, eletti direttamente, e manca un collegamento vero con il territorio. Vorrei altresì osservare che anche il procedimento legislativo appare assai farraginoso. Non apprezziamo, inoltre, le modifiche che hanno concentrato troppi poteri nelle mani del premier.
Vorrei rilevare che anche nel nuovo articolo 117 della Costituzione si notano alcuni passi indietro rispetto al testo vigente. Vi è solo da sperare che tale tendenza possa essere controbilanciata dalla cosiddetta devolution, in forza della quale alle regioni vengono trasferite competenze esclusive in materia di assistenza e di organizzazione sanitaria e scolastica.
Sebbene il nostro giudizio sui punti sopraelencati non sia positivo, non nascondiamo comunque la nostra soddisfazione per l'introduzione di una clausola di salvaguardia per le regioni a statuto speciale, che dovrebbe garantire contro ingerenze statali compiute in nome dell'interesse nazionale. Ringraziamo il ministro Calderoli per i chiarimenti forniti in occasione dell'esame del provvedimento da parte del Senato della Repubblica, confermati anche dal presidente Pastore, in ordine alla portata della predetta clausola di salvaguardia. Infatti, condividiamo pienamente la lettura data, con cui si esclude l'applicabilità, sulla base dell'interesse nazionale, dell'annullamento degli atti delle regioni a statuto speciale.
A nostro avviso, costituisce indubbiamente un notevole passo in avanti la scelta per cui, in futuro, la modifica degli statuti speciali sarà possibile solo previa intesa con le stesse regioni e le province autonome. Il novellato testo dell'articolo 117 della Costituzione...
PRESIDENTE. Onorevole Zeller, concluda.
KARL ZELLER. ... costituzionalizza infatti, per la prima volta nella storia della Repubblica, il carattere pattizio delle regioni a statuto speciale.
Pertanto, per i motivi sopra illustrati, preannunzio l'astensione dal voto dei deputati appartenenti alla Südtiroler Volkspartei (Applausi dei deputati del gruppo Misto-Minoranze linguistiche).
PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto l'onorevole Lo Presti. Ne ha facoltà.
ANTONINO LO PRESTI. Signor Presidente, onorevoli colleghi, vorrei svolgere un breve intervento per sottolineare un aspetto della riforma in esame sfuggito ai più, ma che dimostra come bene abbia fatto il centrodestra a modificare la Costituzione per restituire ad essa l'autentico ruolo di garanzia dell'equità delle leggi e della loro corretta e coerente applicazione a difesa dell'interesse della collettività.
Si tratta di un ruolo che un'improvvida e pasticciata riforma varata dal centrosinistra, con soli quattro voti di scarto, aveva formalmente messo in discussione. Vengo subito alla questione, concernente uno dei tanti vizi cui oggi, come già detto, porremo rimedio.
Il testo ancora vigente dell'articolo 117 della Costituzione - quello da voi, colleghi della sinistra, modificato - attribuisce alle regioni italiane la potestà legislativa concorrente in materia di professioni, senza distinzioni tra intellettuali e no. In pratica, i legislatori di sinistra, con tale riforma costituzionale, avevano aperto la porta ad una reale e pericolosissima secessione normativa, che avrebbe potuto stravolgere un intero sistema, quale, ad esempio, quello degli ordini, modulato a difesa di interessi generali rilevanti, attribuendo alle regioni
competenze a legiferare a piacimento, in modo concorrente o, addirittura, contrapposto con lo Stato.
Comprenderete sicuramente, cari colleghi della sinistra, ma lo hanno già compreso i milioni di professionisti italiani che continuate a prendere in giro, quali conseguenze quel sistema che voi avete creato avrebbe potuto comportare. Ad esempio, la regione Lombardia avrebbe potuto prevedere un sistema di organizzazione territoriale regionale degli ordini diverso dalla Sicilia o un sistema di tariffe diverso da quello della Campania o del Veneto. Immaginate, quindi, quale guazzabuglio!
Per la verità, le regioni, soprattutto quelle amministrate dalla sinistra, ci avevano provato ad andare per la loro strada in tale delicatissimo settore. Per fortuna, sono state «stoppate» dalla Corte costituzionale, che ha rilevato l'incoerenza della previsione costituzionale da voi introdotta, che noi oggi modificheremo, imponendo alle regioni di rispettare i principi generali in materia di professioni, dettati - per fortuna - dalle leggi ancora in vigore, che il centrodestra ha difeso e valorizzato. Quella sì, dunque, che sarebbe stata la vera secessione! Altro che le bugie, le «balle» che andate raccontando in giro per il paese, trovando persino sponda in alcuni giornali pseudoindipendenti, che contribuiscono a falsificare la realtà, ingannando i cittadini con parole di inaudita violenza. Penso, ad esempio, a quelle lette l'altro ieri sul Corriere della Sera: «Ributtante riforma; attentato al patriottismo e al buon Governo; la devolution mira a disfare l'Italia». Ma di cosa parlate? Ma di cosa parla il Corriere della Sera? E voi pseudo - o neo - patrioti di una sinistra che ancora oggi nelle piazze sfila insieme agli «incappucciati» e li accoglie nelle liste dei candidati alle elezioni primarie, inneggianti all'odio verso gli elettori, ai cittadini che non la pensano allo stesso modo e che voi ritenete, con disprezzo, «minoranze da educare»?
Ma vedrete quale sarà la forza di queste minoranze, la forza dei moderati che non sfilano, ma che ragionano e sanno distinguere il giusto dall'ingiusto, l'utile dal superfluo o dal dannoso. Noi metteremo le cose a posto, con questa riforma. Restituiremo allo Stato la potestà legislativa primaria nelle professioni; riequilibreremo i poteri delle regioni e potremo, in tal modo, proseguire sulla strada delle riforme, compresa quella delle professioni che milioni di professionisti attendono. Quegli stessi professionisti alla cui autonomia, libertà e professionalità avete più volte attentato, proponendo improbabili e selvagge liberalizzazioni per vanificarne il ruolo, il prestigio e la funzione.
Noi garantiremo, con la nostra riforma, o meglio, con la nostra «controriforma», la vera unità del paese, quell'unità che voi avete messo in discussione, quando avete pure abolito l'interesse nazionale, che noi reintrodurremo, per impedire la deriva secessionista che voi - e soltanto voi - avete rischiato si potesse determinare.
Cari colleghi, gli italiani, i professionisti italiani, per fortuna non sono sprovveduti e le vostre menzogne, condite dalla vostra penosa retorica, vi faranno naufragare miseramente (Applausi dei deputati dei gruppi di Alleanza Nazionale e di Forza Italia)!
PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto l'onorevole Mattarella. Ne ha facoltà.
SERGIO MATTARELLA. Signor Presidente, tra la metà del 1946 e la fine del 1947, in quest'aula, si è esaminata, predisposta ed approvata la Costituzione della Repubblica. Con l'attuale Costituzione, che vige dal 1948, l'Italia è cresciuta, nella sua democrazia anzitutto, nella sua vita civile, sociale ed economica. In quell'epoca, vi erano forti contrasti, anche in quest'aula. Nell'aprile del 1947 si era formato il primo governo attorno alla Democrazia Cristiana, con il Partito comunista e quello socialista all'opposizione. Vi erano contrasti molto forti, contrapposizioni che riguardavano la visione della società, la collocazione internazionale del nostro paese.
Vi erano serie questioni di contrasto, un confronto acceso e polemiche molto forti. Eppure, maggioranza e opposizione,
insieme, hanno approvato allora la Costituzione.
Al banco del Governo, quando si trattava di esaminare provvedimenti ordinari o parlare di politica e di confronto tra maggioranza e opposizione, sedevano De Gasperi e i suoi ministri. Ma quando quest'aula si occupava della Costituzione, esaminandone il testo, al banco del Governo sedeva la Commissione dei 75, composta da maggioranza ed opposizione. Il Governo di allora, il Governo De Gasperi, non sedeva ai banchi del Governo, per sottolineare la distinzione tra le due dimensioni: quella del confronto tra maggioranza ed opposizione e quella che riguarda le regole della Costituzione.
Questa lezione di un Governo e di una maggioranza che, pur nel forte contrasto che vi era, sapevano mantenere e dimostrare, anche con i gesti formali, la differenza che vi è tra la Costituzione e il confronto normale tra maggioranza ed opposizione, in questo momento, è del tutto dimenticata.
Le istituzioni sono comuni: è questo il messaggio costante che in quell'anno e mezzo è venuto da un'Assemblea costituente attraversata - lo ripeto - da forti contrasti politici. Per quanto duro fosse questo contrasto, vi erano la convinzione e la capacità di pensare che dovessero approvare una Costituzione gli uni per gli altri, per sé e per gli altri. Questa lezione e questo esempio sono stati del tutto abbandonati.
Oggi, voi del Governo e della maggioranza state facendo la «vostra» Costituzione. L'avete preparata e la volete approvare voi, da soli, pensando soltanto alle vostre esigenze, alle vostre opinioni e ai rapporti interni alla vostra maggioranza.
Il Governo e la maggioranza hanno cercato accordi soltanto al loro interno, nella vicenda che ha accompagnato il formarsi di questa modifica, profonda e radicale, della Costituzione. Il Governo e la maggioranza - ripeto - hanno cercato accordi al loro interno e, ogni volta che hanno modificato il testo e trovato l'accordo tra di loro, hanno blindato tale accordo. Avete sistematicamente escluso ogni disponibilità ad esaminare le proposte dell'opposizione o anche soltanto a discutere con l'opposizione. Ciò perché non volevate rischiare di modificare gli accordi al vostro interno, i vostri difficili accordi interni.
Il modo di procedere di questo Governo e di questa maggioranza - lo sottolineo ancora una volta - è stato il contrario di quello seguito in quest'aula, nell'Assemblea costituente, dal Governo, dalla maggioranza e dall'opposizione di allora.
Dov'è la moderazione di questa maggioranza? Non ve n'è! Dove sono i moderati? Tranne qualche sporadica eccezione, non se ne trovano, perché la moderazione è il contrario dell'atteggiamento seguito in questa vicenda decisiva, importantissima e fondamentale, dal Governo e dalla maggioranza.
Siete andati avanti, con questa dissennata riforma, al contrario rispetto all'esempio della Costituente, soltanto per non far cadere il Governo. Tante volte la Lega ha proclamato ed ha annunziato che avrebbe provocato la crisi e che sarebbe uscita dal Governo se questa riforma, con questa profonda modifica della Costituzione, non fosse stata approvata.
Ebbene, questa modifica è fatta male e lo sapete anche voi. Con questa modifica dissennata avete previsto che la gran parte delle norme di questa riforma entrino in vigore nel 2011. Altre norme ancora entreranno in vigore nel 2016, ossia tra 11 anni. Per esempio, la norma che abbassa il numero dei parlamentari entrerà in vigore tra 11 anni, nel 2016!
Sapete anche voi che è fatta male, ma state barattando la Costituzione vigente del 1948 con qualche mese in più di vita per il Governo Berlusconi. Questo è l'atteggiamento che ha contrassegnato questa vicenda.
Ancora una volta, in questa occasione emerge la concezione che è propria di questo Governo e di questa maggioranza, secondo la quale chi vince le elezioni possiede le istituzioni, ne è il proprietario. Questo è un errore. È una concezione profondamente sbagliata. Le istituzioni
sono di tutti, di chi è al Governo e di chi è all'opposizione. La cosa grave è che, questa volta, vittima di questa vostra concezione è la nostra Costituzione (Applausi dei deputati dei gruppi della Margherita, DL-L'Ulivo, dei Democratici di sinistra-L'Ulivo, di Rifondazione comunista, Misto-Comunisti italiani e Misto-SDI-Unità Socialista - Congratulazioni)!
PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto l'onorevole Collè. Ne ha facoltà.
IVO COLLÈ. Signor Presidente, onorevoli colleghi, ci accingiamo oggi a votare un testo di riforma costituzionale che, nel percorso sin qui intrapreso, ha sollevato e solleva tuttora dubbi e preoccupazioni. Ciò, a scapito di quella che avrebbe dovuto essere la ricerca di una concertazione e di un consenso ampio, più ampio. Si tratta di preoccupazioni già evidenziate in quest'aula nel corso della prima deliberazione ed ulteriormente manifestate da più parti nel successivo passaggio in Senato. Sono preoccupazioni emerse in varie sedi e sollevate a più riprese da tutti i presidenti dei Consigli delle regioni a statuto speciale e delle province autonome, che congiuntamente hanno evidenziato le loro riserve. Preoccupazioni, potremmo dire veri e propri segnali dell'azione unilaterale di questa maggioranza, che ci riporta inevitabilmente all'attuale situazione, per noi poco chiara nel metodo e nel merito.
Mi auguravo che il segnale positivo scaturito dall'approvazione dell'intesa avrebbe rappresentato il primo passo verso una più ampia corresponsabilità: ipotesi oggi smentita da un provvedimento privo di quella chiarezza necessaria ad assicurare la giusta linearità di intenti e di principi. Mi chiedo come si possa pretendere di realizzare un ordinamento in senso federale, senza richiedere il concorso ed il consenso, con pari dignità, di tutti i soggetti che lo costituiscono.
Questo testo non dà, purtroppo, le risposte auspicate. Entrando brevemente nel merito, infatti, ci troviamo oggi a dover approvare un provvedimento che non individua con certezza e non distingue con chiarezza le competenze regionali da quelle statali. Promette, ma nei fatti non attribuisce, una rappresentanza vera alle autonomie all'interno del Senato federale. Introduce elementi di incertezza tali da incrementare ulteriormente il contenzioso costituzionale tra Stato e regioni. Mette a rischio l'autonomia e la potestà legislativa delle regioni, attribuendo al Governo la discrezionalità ad impugnare norme regionali, sotto il pretesto del mantenimento della salvaguardia dell'interesse nazionale.
Avremmo voluto, onorevoli colleghi, che la maggioranza riprendesse quel confronto e quel dibattito indispensabili per giungere ad una soluzione condivisa. Ciò non è avvenuto, nonostante i nostri numerosi appelli al buonsenso ed i nostri ripetuti richiami a quei principi democratici fondanti la nostra Costituzione
PRESIDENTE. Onorevole Collè, la invito a concludere.
IVO COLLÈ. Annuncio pertanto che, venendo a mancare queste prerogative essenziali e vista l'attuale situazione, il mio voto, signor Presidente, non potrà essere favorevole.
PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto l'onorevole Moroni. Ne ha facoltà.
CHIARA MORONI. Signor Presidente, onorevoli colleghi, il Nuovo PSI voterà questa riforma costituzionale. Si tratta certamente di un progetto ambizioso, che modifica in modo sostanziale il sistema istituzionale italiano, ma è pur vero che i riformisti hanno il dovere di essere ambiziosi.
Sono profondamente convinta che oggi la politica abbia un dovere primario nei confronti dei cittadini: quello di tentare in ogni modo di ricomporre quella frattura così evidente fra i cittadini italiani e le istituzioni che li devono rappresentare. La partecipazione non può essere tema di fugaci e superficiali riflessioni solo all'indomani di consultazioni elettorali, che
ogni volta dimostrano un'irreversibile tendenza alla riduzione della partecipazione. È evidente come il cittadino non si senta rappresentato dalle istituzioni, che vive come qualcosa di distante da lui, di estraneo e di incapace di dare risposte alle sue esigenze, non solo materiali.
Tutti noi, classe dirigente, sbagliamo quando rincorriamo demagogicamente, a scopo elettorale, l'insofferenza dei cittadini, accettando di svilire non già le nostre persone ma l'istituzione che rappresentiamo, anziché rafforzare e valorizzare l'istituzione stessa. Il luogo privilegiato di partecipazione attiva dei cittadini al meccanismo di formazione della rappresentanza deve tornare ad essere quello dei partiti. Lì deve concretizzarsi la mediazione culturale e politica, l'elaborazione, che deve costruire i contenuti, volta a definire l'identità delle singole forze politiche.
Tutti dobbiamo e abbiamo profondissimo rispetto nei confronti del lavoro dei nostri padri costituenti. Un eccezionale senso di responsabilità deve animare il legislatore che intenda mettere mano alla Carta costituzionale. Indubbiamente le riforme costituzionali dovrebbero avere larghissima condivisione, certamente però non è questa maggioranza ad avere introdotto il vulnus dell'approvazione a colpi di maggioranza di riforme così importanti. È innegabile ed evidente la necessità di correggere quella scellerata riforma del Titolo V approvata alla fine della scorsa legislatura, che non ha fatto altro che innescare una sostanziale destrutturazione dello Stato unitario. L'attuale articolo 114 della Costituzione segue una logica di disarticolazione dello Stato estremamente pericolosa, affidando allo Stato il ruolo di elemento costitutivo della Repubblica in modo paritario rispetto agli altri enti territoriali, scindendo lo Stato e la Repubblica, che rimane termine vuoto laddove perde la sua coincidenza con lo Stato stesso.
Il Nuovo PSI ha contribuito, per quello che ha potuto, a rendere questa riforma più coerente, efficace ed efficiente esprimendo spesso opinioni criticamente costruttive nel merito. La costruzione di un sistema federale, per così dire, dall'alto non è cosa facile e quasi certamente comporterà un percorso di approssimazione successiva nel quale vanno contemporaneamente consolidati i valori unitari e collaborativi. La volontà di dare avvio a questo percorso ha portato a pensare ad un sistema federale coerente, che non si risolve nella devoluzione di competenze alle regioni ma necessita di una architettura organicamente costruita.
In ordine alla forma di governo e quindi al premierato, siamo stati fra coloro che hanno sostenuto la necessità di correnti pesi e contrappesi, della tutela del principio della separazione dei poteri e della valorizzazione del ruolo centrale del Parlamento. Ad un rafforzamento del Primo ministro e dell'esecutivo e al rapporto dialettico con la propria maggioranza, non può che fare da contraltare un Parlamento forte e un ruolo di garanzia del Presidente della Repubblica. Indubbiamente, nel testo finale sono stati compiuti numerosi passi in avanti sul tema. L'introduzione della possibilità di una mozione di sfiducia costruttiva da parte della maggioranza collegata al premier rappresenta un bilanciamento fondamentale dei poteri del premier stesso rispetto alla sua maggioranza.
Da ultimo, la riforma della legge elettorale in senso proporzionale recentemente approvata da questa Camera certamente rappresenta l'ideale contrappeso rispetto ad un sistema che ha un esecutivo forte, ma che altrettanto vuole un Parlamento rafforzato da un sistema proporzionale che valorizza il ruolo dei partiti e della partecipazione democratica all'interno dei partiti, che rafforza l'identità e l'autonomia delle singole forze politiche e che garantisce un rafforzamento della capacità politica di trovare sintesi all'interno delle coalizioni. L'identità dei partiti è garanzia di elaborazione politica ed è garanzia di capacità di sintesi all'interno di coalizioni che devono tendere ad essere più omogenee per essere più forti nell'azione di governo.
Il Nuovo PSI ha sempre detto che il primo punto programmatico della nostra forza politica era la legge elettorale proporzionale. Certamente, colleghi della sinistra, questa maggioranza e questo Governo saranno ricordati - ebbene sì - per la capacità, la forza e l'orgoglio di aver mandato in sordina un sistema maggioritario che tanti danni ha creato a questo paese, per la capacità e la forza di introdurre un sistema proporzionale che garantisce l'efficienza della rappresentanza democratica, coordinandosi con la capacità di garantire Governi stabili.
Il Nuovo PSI ha sempre detto che avrebbe votato questa riforma costituzionale se, insieme ad essa, fosse stata presentata ed approvata una legge di riforma del sistema elettorale in senso proporzionale, perché abbiamo sempre ritenuto e tuttora riteniamo che questo sistema istituzionale si possa reggere con i giusti pesi e contrappesi solo in un sistema elettorale proporzionale. Ebbene, oggi, la legge elettorale proporzionale c'è, e il Nuovo PSI non si tira indietro e voterà convintamente questa riforma costituzionale (Applausi dei deputati dei gruppi Misto-Liberal-democratici, Repubblicani, Nuovo PSI e della Lega Nord Federazione Padana).
PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto l'onorevole Boato. Ne ha facoltà.
MARCO BOATO. Signor Presidente, onorevoli colleghi, credo che non sia più tempo di sottili disquisizioni dottrinarie né di merito, né di analisi tecnico-giuridiche. A tutto questo siete stati sordi e ciechi ed è ora il momento di dire «basta».
La Casa delle libertà ha fatto della riforma costituzionale una merce di scambio al proprio interno e addirittura un'arma di ricatto e di intimidazione reciproca, per evitare la dissoluzione della stessa maggioranza e la conseguente definitiva crisi del Governo Berlusconi. La settimana scorsa, la Casa delle libertà ha imposto, per così dire, manu militari e in modo assolutamente unilaterale, un totale stravolgimento del sistema elettorale. Talmente grave è apparsa questa squallida operazione di manomissione delle regole del gioco, talmente grave è stata che colui che aveva proposto questa iniziativa di riforma elettorale, il segretario dell'UDC Follini, si è clamorosamente dimesso, disconoscendo questo figlio abnorme e deforme che pure aveva contribuito poco responsabilmente a concepire. A Marco Follini, scaricato da tutta la Casa delle libertà e da quasi tutto il suo partito con una brutalità e una soddisfazione prive di precedenti, va il nostro rispetto ma anche il nostro profondo dissenso per essere stato l'apprendista stregone che ha evocato questo «mostro» politico e giuridico che ora, giustamente ma tardivamente, disconosce.
Qualche settimana fa, il Presidente Berlusconi ha parlato pubblicamente, con un'espressione davvero infelice e poco rispettosa, di metastasi all'interno della propria maggioranza. In realtà, la riforma costituzionale, così come la riforma elettorale, sono parti integranti di questa vera e propria metastasi che avete imposto alle istituzioni repubblicane. Avete già fatto strame delle regole del gioco elettorale, e oggi fate strame delle istituzioni costituzionali, di cui alla legge fondamentale che è stata scritta in quest'aula dall'Assemblea costituente negli anni 1946-1947.
La Repubblica italiana non è di vostra proprietà, non è né un'impresa di assicurazione né una holding finanziaria, né un gruppo televisivo. La Costituzione repubblicana è il patrimonio più nobile e prezioso della Repubblica e del popolo italiano attraverso tutte le sue generazioni, dalla sconfitta del fascismo e dal referendum repubblicano ad oggi.
Oggi, voi imporrete, con la mera forza dei numeri, questo ignobile patto di sangue che avete stretto tra di voi per non prendere atto che siete ancora solo formalmente maggioranza in Parlamento - ancora per pochi mesi -, ma non lo siete più nel paese. Spesso - ahimè - non vi stimate neppure tra di voi. Talora vi disprezzate reciprocamente. In molti casi, sospettate gli uni degli altri di possibili
tradimenti e quando qualcuno, come Follini, osa obiettare, viene brutalmente scaricato.
Avete stretto questo ignobile patto di sangue per cercare di sopravvivere a quella che avete definito la vostra metastasi; una metastasi che, per voi, è una malattia mortale in termini di consenso popolare, di credibilità internazionale e di governabilità nazionale.
In questo patto di sangue per la sopravvivenza, avete imposto, con disciplina militare, lo stravolgimento unilaterale della legge elettorale, oggi lo stravolgimento della Carta costituzionale; e poi lo farete con le norme penali e processuali a vostro vantaggio nella cosiddetta ex Cirielli e, da ultimo, tenterete di spazzare via anche la par condicio.
Sono i vostri tentativi disperati di cambiare manu militari l'assetto del sistema costituzionale ed istituzionale e di avere mano libera per cercare di manomettere, a suon di miliardi, la sovranità popolare.
Domenica scorsa, lo dico senza retorica, avete già avuto una prima, sia pur parziale, risposta dalla straordinaria partecipazione popolare alle primarie dell'Unione e, a questa straordinaria partecipazione di popolo, avete risposto con imbarazzo e sarcasmo e, prima di tutto, spazzando via qualunque ipotesi di primarie del centrodestra, da cui sareste terrorizzati.
Per quanto riguarda le riforme costituzionali, i colleghi della Lega non se ne sono accorti: il Presidente Berlusconi ha dichiarato ieri che il centrosinistra, con la riforma del Titolo V, ha dato troppi poteri alle regioni. Altro che richiamo al regime borbonico pateticamente fatto da Dussin! Berlusconi dice che il centrosinistra ha dato troppi poteri alle regioni! Prendetene atto pateticamente, colleghi della Lega.
Nella scorsa legislatura, comunque, non abbiamo avuto il timore di promuovere noi stessi un referendum, ai sensi dell'articolo 138 della Costituzione, che abbiamo vinto anche per abbandono del campo da parte vostra.
In questa legislatura, anche sulla riforma costituzionale, la Casa delle libertà si dimostra terrorizzata dal giudizio della sovranità popolare, al punto che potevate votarvela in seconda deliberazione nell'aprile scorso (erano ampiamente trascorsi tre mesi), invece l'avete tirata a lungo fino ad ottobre, perché avete il terrore che si celebri il referendum prima delle elezioni politiche.
Ma, prima o dopo le elezioni politiche, questo referendum si celebrerà e, alla fine, sarà il popolo sovrano ad esprimere il suo giudizio definitivo.
La paura del giudizio popolare vi ha indotto a questo dilazionamento, ma, alla fine, questo giudizio popolare vi sarà. Vi è nemesi storica; vi è un limite a tutto, colleghi. Vi è, perfino, una eterogenesi dei fini; vi è, ed è ben noto, anche l'effetto boomerang di operazioni calcolate malamente a tavolino, senza sapere prevedere che, alla fine, il popolo sovrano avrà davvero l'ultima parola!
Noi verdi, noi gruppi del centrosinistra, noi gruppi dell'Unione voteremo «no» in quest'aula, ma voi prevarrete solo con l'imposizione di una disciplina militare e intimidatoria ai vostri deputati.
Non amiamo la demagogia, non amiamo il populismo, siamo fedeli - noi, sì - alle prerogative del Parlamento, che voi avete manomesso sistematicamente. Ma il primo articolo della Costituzione afferma solennemente che la sovranità popolare appartiene al popolo, che la esercita nelle forme e nei limiti previsti dalla Costituzione. Tra le tante controriforme che avete imposto, non avete ancora abolito l'articolo 1 della Costituzione, non siete riusciti ad abolire le elezioni politiche - anche se ne avete manomesso le regole -, e non vi è stata l'abolizione del referendum popolare, previsto dall'articolo 138 della Costituzione, che noi promuoveremo.
Alla fine di questa vostra metastasi interna, di questa vostra metastasi imposta alle regole, alle istituzioni e alla Costituzione, il giudizio tornerà al popolo sovrano, sia nelle elezioni politiche del 9 aprile 2006, sia nel successivo referendum popolare, nonché nelle elezioni amministrative.
Siamo fiduciosi - ve lo diciamo con tranquillità - che sarà il popolo sovrano a dirvi pacificamente e democraticamente «basta!». A dirvi questo «basta!» grande e solenne con l'arma pacifica e democratica del voto, prima nelle elezioni politiche, poi in quelle amministrative e, da ultimo - perché avete voluto voi che così fosse -, nel referendum popolare oppositivo a questo stravolgimento unilaterale della Costituzione. Ormai, la vostra stagione si è conclusa! Giuliano Ferrara vi aveva suggerito ripetutamente di chiuderla e concluderla con dignità; avete invece deciso di chiuderla malamente, con soprusi ed imposizioni.
Tutto ciò lascerà un segno profondo e lacerante anche al vostro interno (il caso Follini insegna). Uscirete di scena malamente, senza dignità, con arroganza, e maledirete il destino cinico e baro; questo destino si chiama sovranità popolare, e in essa riponiamo solennemente e tranquillamente la nostra speranza e la nostra fiducia (Applausi dei deputati dei gruppi Misto-Verdi-l'Unione, dei Democratici di sinistra-L'Ulivo, della Margherita, DL-L'Ulivo e Misto-SDI-Unità Socialista).
PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto l'onorevole Armando Cossutta. Ne ha facoltà.
ARMANDO COSSUTTA. Signor Presidente, colleghi, il Parlamento della Repubblica e il nostro paese devono fronteggiare in queste settimane i micidiali colpi di coda di questo Governo. E i colpi di coda, come sappiamo, spesso sono anche i più pericolosi!
Si voterà, probabilmente, il 9 aprile; questa Camera ha poche settimane di vita, a Natale di fatto si chiude e, in questo breve tempo, una dopo l'altra, si impongono leggi pesanti, una più grave dell'altra.
Si è approvata la legge elettorale, che ha sradicato un sistema politico ormai consolidato, che ha prospettato un avvenire di instabilità per le nostre istituzioni; una legge pessima, il popolo italiano se ne è reso conto, e molti dei 4 milioni di cittadini che sono andati a votare alle primarie ci sono andati proprio per protestare contro la soperchieria che avete compiuto.
Vi è poi la legge finanziaria, che non guarda allo sviluppo ma che, anzi, prevede diversi tagli, in particolare per i comuni e, dunque, per i servizi ai cittadini, colpendone il tenore di vita. Si tratta di una legge che vuole rappresentare una sorta di vendetta di Berlusconi contro i comuni che, in larga maggioranza, hanno votato in questi anni per il centrosinistra.
Inoltre, si vorrebbe approvare la cosiddetta legge «salva Previti», una nuova legge ad personam, per salvare dal carcere l'amico e compare di Silvio Berlusconi, nonché la legge sulla par condicio, che il Presidente del Consiglio vorrebbe imporre tentando di ingannare con migliaia di spot gli elettori italiani e salvarsi dal loro giudizio conclusivo.
Infine, oggi, qui alla Camera, si conclude l'iter della legge sulla cosiddetta devolution. Una legge che ferisce a fondo l'ordinamento costituzionale, annullando alcuni dei suoi principi fondamentali, primo tra tutti il principio di uguaglianza. Con l'approvazione di questa legge, i cittadini - è la verità - non sarebbero più uguali tra loro. Non si è uguali quando il diritto non è garantito allo stesso modo per tutti, in maniera universale. Un diritto, o è universalmente garantito, o non è un diritto. Si affidano alle regioni poteri esclusivi su materie di interesse generale e nazionale.
Sono stato per un'intera legislatura presidente della Commissione parlamentare bicamerale per le regioni. Per dieci anni ho diretto, nell'allora Partito comunista italiano, il settore delle regioni e delle autonomie locali. Pertanto, conosco questi problemi e da sempre sostengo con decisione e convinzione il principio ed i diritti di autonomia per le regioni, innanzitutto, per i comuni e per le province. Tuttavia, in questo caso, non è in corso l'attuazione di un principio tra i più importanti del nostro ordinamento costituzionale, come quello dell'autonomia,
bensì una sovversione istituzionale. Voi la chiamate federalismo, ma si tratta di un grande pasticcio.
Il federalismo può essere anche una cosa seria, ma comporta equilibri, contrappesi, garanzie e condizioni materiali che molte regioni non posseggono e non potranno possedere. Lo chiamate federalismo, ma è semplicemente una struttura caotica. Tuttavia, essa è voluta dalla Lega che sa, forse meglio di altri, come questo nuovo ordinamento, stabilito con la legge sulla devolution, non garantirà quanto si ha in mente di realizzare. Infatti, sa perfettamente che non funzionerà e, anzi, confida - è questa la mia precisa opinione - sui disastri che tale nuovo ordinamento provocherà per poter rilanciare il suo vero obiettivo, peraltro mai nascosto: la secessione e la separazione. D'altra parte, affermano, scrivono a chiare lettere e perseguono tale obiettivo.
Ma voi, colleghi della maggioranza, come potete accettare questo misfatto? Onorevoli colleghi dell'UDC, ho ascoltato le parole e l'atteggiamento di dissenso degli onorevoli Tabacci e Follini. Ma il partito dell'UDC come si comporta di fronte a questo misfatto, che certamente non può condividere?
Voi stessi, onorevoli colleghi di Alleanza nazionale, che sostenete di richiamarvi ai valori della nazione e della sua unità, come potete accettare questo scempio?
E voi, onorevoli colleghi di Forza Italia, che nelle imprese e nelle professioni aspirate ad avere un equilibrato, serio ed ordinato intervento delle istituzioni? Invece, avremo una grande confusione e vedremo contrasti e contestazioni fra regioni e Stato, fra regioni e comuni, fra una regione e l'altra. Avremo ingiustizie, gravi differenze tra i cittadini italiani. Alle regioni saranno affidati con competenza esclusiva temi quali la sanità, l'istruzione, la polizia locale. Non si tratta di questioni quantitative su chi farà di più o di meno, bensì di questioni sostanziali, perché alle regioni sono affidati gli ambiti che riguardano l'ordinamento stesso di questi settori e la loro organizzazione. Ciò potrà comportare una grande differenza tra chi abita in Lombardia, in Puglia o in un'altra regione.
Voi sapete benissimo come stanno le cose, ma non osate ribellarvi perché questo è ciò che vuole la Lega ed è la Lega che lo impone. La Lega è l'asse portante della maggioranza di Berlusconi, senza la quale quest'ultimo sarebbe già crollato.
Come potete voi, amici e colleghi della Lega, dell'Unione dei democratici cristiani e dei democratici di centro, di Alleanza nazionale, di Forza Italia, voi stessi come potete accettare che con questo ordinamento si dia vita a dei poteri in capo al nuovo dirigente del Governo (che verrà chiamato «Capo del Governo», e non più «Presidente del Consiglio») che sono poteri immensi, che non esistono e non sono praticati in nessun altro paese democratico, d'Europa e fuori d'Europa. Voi vi accingete a votare una stortura inaccettabile. Voi state per portare a compimento uno scempio giuridico, una violenza contro i cittadini!
Oh, cari colleghi, a ben altro pensavamo quando, allora, ancora giovane, sfilavo per le vie della mia città, Milano liberata, con la bandiera rossa della mia brigata partigiana e con la bandiera tricolore della patria. A ben altro allora pensavamo! E voi rinnegate quello che abbiamo conquistato con la nostra lotta, con la nostra battaglia, con l'unità democratica di tutte le forze politiche e del nostro popolo.
Oggi voterete, ma non avrete la maggioranza dei due terzi, senza la quale il referendum si renderà inevitabile, persino, possiamo dirlo, obbligatorio. È un referendum con il quale noi potremo seppellire questa legge iniqua, questa legge sbagliata, questa legge pericolosa. E con essa seppelliremo tutta quanta la vostra politica (Applausi dei deputati dei gruppi Misto-Comunisti italiani, dei Democratici di sinistra-L'Ulivo, della Margherita, DL-L'Ulivo e di Rifondazione comunista)!
PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto l'onorevole Pappaterra. Ne ha facoltà.
DOMENICO PAPPATERRA. Signor Presidente, onorevoli colleghi, in questi ultimi mesi della XIV legislatura, il Presidente del Consiglio, capo indiscusso della maggioranza di centrodestra, tenta di cimentarsi in uno slalom difficile, piazzando ad ogni porta le leggi di riforma sulle quali ha ricompattato la Casa delle libertà ed eliminando, come ha fatto, dal suo percorso, il segretario dell'UDC, Marco Follini, l'unico della squadra che aveva tentato di ostacolare la sua spericolata discesa.
Dopo la prima porta, agevolmente saltata, quella della riforma elettorale, sulla quale permangono forti dubbi di costituzionalità espressi da diversi costituzionalisti e da autorevoli rappresentanti delle istituzioni, oggi tocca saltare la seconda porta, quella della riforma costituzionale, meglio nota come devolution, giunta alla terza lettura delle quattro previste dall'articolo 138 della Costituzione, prima del referendum confermativo al quale sin da ora chiamiamo a raccolta tutti gli italiani che si ritrovano nelle parole del Capo dello Stato. Egli, nel suo straordinario settennato non ha mai smesso di difendere la Costituzione, il cui impianto non può essere smontato a pezzi al solo scopo di soddisfare esigenze particolaristiche o rivendicazioni localistiche; o al solo scopo di pagare, con un voto parlamentare di scambio, il prezzo dovuto alla Lega per aver dato via libera alla riforma elettorale voluta da Berlusconi.
Superata questa seconda porta, sarà la volta della terza, quella della legge «salva Previti», che cala il sipario sulle leggi ad personam e, in successione, quella della quarta, rappresentata dalla legge finanziaria, che anziché essere improntata al rigore economico si trasformerà, nei prossimi giorni, in un pozzo senza fondo, per trarre vantaggi elettorali di ogni specie. I segnali in tal senso, purtroppo, già si intravedono, in barba ad ogni esigenza di contenimento della spesa pubblica.
Poi si cimenterà nell'assalto all'ultima e decisiva porta, quella dell'abolizione della par condicio, che gli consentirà di parlare ventiquattr'ore su ventiquattro su tutti i canali televisivi di sua proprietà, o sotto il suo diretto controllo, per tentare di rovesciare un risultato che nelle previsioni appare irrimediabilmente compromesso.
Nei confronti di questa furia devastatrice, non ci meravigliano affatto i continui richiami del Capo dello Stato, da sempre custode delle regole e garante dell'unità del nostro paese. Anzi, come socialisti, continueremo sempre ad apprezzarlo.
In questa occasione siamo invece meravigliati del fatto che esponenti del mondo imprenditoriale e di quello ecclesiastico, che in occasione della prima lettura della riforma costituzionale avevano fatto sentire il loro autorevole pensiero, oggi restino chiusi in un assordante silenzio.
Voglio ricordare, colleghi, quello che disse il presidente di Confindustria, Montezemolo, quando la riforma costituzionale fu approvata in prima lettura. La riforma federale dello Stato - disse Montezemolo - va affrontata con razionalità e con un occhio al portafoglio. Facciamo prima i conti senza preclusioni, e se serve ad avvicinarsi ai cittadini, che ben venga il federalismo che non porta costi ulteriori, burocrazia in più e, soprattutto, non snatura l'impianto costituzionale di uno Stato moderno. In questo caso - disse Montezemolo - anziché il pasticcio, è meglio uno stop. Sarebbe curioso conoscere cosa è cambiato da allora ad oggi: il testo di ieri è uguale a quello di oggi. Così come, allo stesso modo, siamo stupiti, come Socialisti, dal silenzio del presidente della Conferenza episcopale italiana, che pure in questi mesi è intervenuto su tante vicende della vita del nostro Stato, dai PACS all'aborto, dal principio della laicità dello Stato all'esenzione ICI sugli immobili di proprietà della Chiesa. Avremmo gradito che, in questa triste circostanza per i destini della nostra Costituzione, egli avesse ripetuto le stesse cose che disse il 20 gennaio del 2004, all'apertura del consiglio permanente della CEI, che scatenarono la reazione dell'allora capogruppo della Lega nord, Alessandro Cè, che consigliò al cardinale Ruini di parlare il meno possibile e di occuparsi di più dell'ambito
spirituale e di meno di quello materiale. Rileggiamole, colleghi, quelle parole: «Il percorso riformatore avviato da oltre un decennio deve essere portato a compimento con una visione il più possibile organica e lungimirante senza mettere nemmeno apparentemente in discussione l'unità della nazione». Un modo, questo, per esprimere, da parte del cardinale Ruini, una posizione storica della Chiesa. Noi Socialisti, che da sempre, prima con Nenni, poi con Craxi ed oggi con Boselli, abbiamo difeso la nostra rispettosa autonomia e le nostre battaglie per i diritti civili senza mai cadere in atteggiamenti anticlericali, sottoscriviamo alla lettera questo autorevole pensiero. Gradiremmo, però, che si levasse anche oggi un forte dissenso verso questa riforma, che è la stessa di allora e che rappresenta una ferita lacerante per la nostra Carta costituzionale.
Quello che sta avvenendo nel Parlamento è molto triste, perché è vero che con questa riforma si modifica solo la seconda parte della Costituzione, escludendo apparentemente i principi fondamentali, ma è altrettanto vero che, quando questa riforma sarà approvata con il suo disegno secessionista, con un premier alla Putin, con il Presidente della Repubblica che non potrà far sentire più la sua voce, con la Corte costituzionale assoggettata al potere politico, con un Senato federale che è tutto tranne che federale, con l'umiliazione continua di Roma «capitale ladrona» e con uno Stato che avrà venti sistemi sanitari e scolastici diversi, anche i principi fondamentale della Carta costituzionale saranno considerati valori vecchi e superati, dei quali liberarsi quanto prima possibile.
Non c'è alcun dubbio che questo scorcio finale della XIV legislatura sarà ricordato come una delle pagine più nere della lunga storia parlamentare italiana, perché le norme costituzionali che il centrodestra riscrive non sono il frutto di una condivisa strategia costituente, ma rappresentano semplicemente il punto di coagulo di una maggioranza condizionata dall'autoesaltazione del suo capo e sottoposta al continuo ricatto di un partito della coalizione (la Lega nord). D'altro canto, a cosa corrispondono se non a queste impostazioni le norme che, ad esempio, prevedono un premierato che indebolisce la base parlamentare della nostra Repubblica e che avvia il nostro paese verso una deriva plebiscitaria? Oppure, a cosa corrispondono norme costituzionalizzanti la devolution che rompono il principio di eguaglianza tipico di ogni Stato democratico e cancellano l'universalità dei diritti di ogni cittadino all'istruzione, alla sicurezza e alla salute? E, a proposito di questo, lasciatemi dire una cosa. I leader della Casa delle libertà avevano programmato un giro per tutte le città del sud per spiegare che la devolution non è affatto in contrasto con gli interessi del Mezzogiorno. Capofila di questo tour era il ministro per le riforme istituzionali e la devoluzione, senatore Calderoli. Il giro è partito da Reggio Calabria il 24 settembre ma, dopo il prologo, si è fermato. Non hanno proseguito il giro perché hanno subito capito che al sud i cittadini gli effetti nefasti di questo ricatto scellerato li hanno ben compresi, dandone una prima prova alle elezioni regionali: ne daranno una seconda, ulteriore, alle prossime elezioni politiche, che penalizzeranno la classe dirigente, anche meridionale, della Casa delle libertà che si è prestata a questo tragico scambio.
Va dato atto, e lo facciamo come Socialisti, a Marco Follini di essersi chiamato fuori da questa offensiva sceneggiata di Reggio Calabria, ed oggi, alla luce delle sue ultime decisioni, quel gesto assume ancor di più un alto valore politico e di rispetto verso i cittadini del Mezzogiorno d'Italia.
Di fronte ai continui inviti a soprassedere al varo di questa riforma, il centrodestra ha sempre replicato ricordando che il Titolo V della Costituzione fu modificato dal centrosinistra nella passata legislatura con i soli voti della maggioranza.
Questo è vero, colleghi, ma è altrettanto vero che i leader del centrosinistra hanno più volte riconosciuto, con onestà, che sbagliarono a fare approvare la revisione del titolo V con i soli voti della maggioranza,
pur avendo ricevuto, allora, il sostegno pieno di tutti i presidenti delle venti regioni italiane e pur essendo stata confermata la scelta da un referendum popolare.
Oggi, il discorso è - lasciatecelo dire - profondamente diverso. La riforma che proponete voi della maggioranza di centrodestra, sotto il ricatto di un partito che rappresenta meno del cinque per cento degli italiani, costituisce una modifica strutturale delle fondazioni della Casa costituzionale edificata nel 1948. Sarebbe il caso che si tornasse alla correttezza istituzionale e che prevalesse il buonsenso. In caso contrario, lo Stato rischierà di sgretolarsi a causa di queste continue alterazioni dei pilastri che lo sostengono. Prima di ogni altra cosa, dovrebbe essere chiaro a tutti, colleghi, che la Costituzione non può essere esposta di continuo alle spinte quotidiane di chi è al Governo né può essere riformata a colpi di maggioranza né può essere utilizzata come merce di scambio per garantirsi la tenuta di una coalizione.
Noi vi consigliamo di fermarvi. Se non lo farete, come purtroppo temiamo, dopo la grande spinta al cambiamento ricevuta dalle primarie, toccherà al centrosinistra aprire la nuova fase della riscossa nel nostro paese: con la vittoria elettorale nel 2006 e con il referendum abrogativo di questo mostro giuridico che cancella l'impianto di una Costituzione che noi Socialisti continuiamo a ritenere, nonostante i suoi anni, giovane, moderna, progressista e libertaria (Applausi dei deputati dei gruppi Misto-SDI-Unità Socialista, dei Democratici di sinistra-L'Ulivo e della Margherita, DL-L'Ulivo)!
PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto l'onorevole Pisicchio. Ne ha facoltà.
PINO PISICCHIO. Onorevole Presidente, onorevoli colleghi, con il voto di oggi sulla riforma costituzionale, la Camera si trova a fornire, a pochi giorni di distanza dall'approvazione della legge elettorale, una seconda prova di sconcertante velocità di decisione (quasi a volere evitare troppe occasioni di ripensamento): una decisione che viene assunta nella dimensione bizzarra dell'inaudita altera parte, su una riforma autoprodotta, autodiscussa ed autoapprovata da parte della stessa maggioranza, con una velocità che non abbiamo visto riservata, in quest'aula, neppure alle più innocue ratifiche di trattati internazionali.
Eppure, quel grumo di norme che la pubblica opinione ha imparato a conoscere con il vacuo ed inutile barbarismo di devolution non è faccenda di pochi addetti ai lavori: è la modifica di un'intera impalcatura dell'ordinamento costituzionale!
La Costituzione, così come la legge elettorale, ma ancora più di questa dal punto di vista della gerarchia delle norme, è la regola condivisa del gioco, a fondamento dello Stato democratico, e non può essere cambiata, com'è stato ricordato più volte, a colpi di maggioranza. A parere di molti autorevoli costituzionalisti, appare incerta, già oggi, l'applicabilità della formula prevista dall'articolo 138, proposto e predisposto dal costituente per adattamenti limitati e non certamente per riforme di impianto come quella che si va ad approvare, peraltro in un Parlamento espressione di uno spirito maggioritario. La revisione costituzionale è, infatti, un momento di riformulazione della regola condivisa, della norma di tutti gli italiani e non già di una maggioranza, come quella eletta per esprimere un Governo nel sistema maggioritario.
Approvarsi le riforme a maggioranza, a colpi di maggioranza - lo dico ai colleghi del centrodestra, recentemente conquistati dal demone del proporzionale, il che, per la verità, non ci dà dispiacere - significa sottoporre il sistema ad un'estenuazione continua: ogni maggioranza farà la sua Costituzione!
Già ha sbagliato il centrosinistra - noi dell'UDEUR abbiamo più volte stigmatizzato l'errore, ma ha avuto la lealtà intellettuale di riconoscerlo lo stesso centrosinistra - a forzare, nella passata legislatura, sul Titolo V, sia pure sostenuto del
consenso dei rappresentanti delle autonomie locali di entrambi gli schieramenti.
Perseverare in questo errore ci sembra un inutile accanimento destinato a ricadere sull'ordinamento, sulla sua credibilità e, dunque, sui cittadini utenti della forma Stato.
La Costituzione è fatta per durare nel tempo, per essere la certezza, il riferimento sicuro della cittadinanza democratica. Non ci pare che gli Stati Uniti o la Francia o le grandi democrazie occidentali abbiano sentito il bisogno di scompaginare le sacre carte su cui è edificato l'ordinamento delle loro istituzioni statuali e il registro dei diritti fondamentali del cittadino di fronte allo Stato. Le loro Costituzioni sono le stesse da decenni se non addirittura da centinaia di anni, come negli Stati Uniti.
Probabilmente, occorrerebbe un'intesa, una sorta di moratoria tra tutte le parti politiche. Il Parlamento, quale che possa essere la maggioranza risultante dalle elezioni, deve impegnarsi a promuovere un'Assemblea per la revisione costituzionale eletta a base proporzionalistica e rappresentativa di tutte le culture e i filoni politici principali nel nostro paese; un'Assemblea chiamata, entro il tempo definito, alla riscrittura di quelle norme contemplate nella parte seconda della nostra Costituzione relative all'organizzazione dello Stato-ordinamento che, nel corso dei lunghi anni trascorsi dalla Costituente, si sono consumate.
Solo così potrebbe essere consegnato al paese un nuovo contratto sociale capace di esprimere davvero lo spirito civile del popolo sovrano. L'impianto che, invece, state approvando, colleghi della maggioranza, è solo il frutto di un patto scellerato, di un'intesa di scambio tra i partiti nazionali del centrodestra con il partito regionale della Lega, un do ut des ben cadenzato e sincronizzato, una legge elettorale contro una devolution con un sovrappiù di Cirielli.
Devolution: c'è un bello scritto di Magris comparso l'altro ieri su un quotidiano nazionale indipendente. È un interessante accostamento tra l'espressione devolution, ripetuta con coatta iattanza, e Alberto Sordi. Scrive Magris: «Alberto Sordi è morto e i suoi involontari imitatori hanno poco del suo genio e molto della balordaggine dei personaggi da lui creati».
Il fatto è, illustri colleghi della maggioranza, che questa parola ipnotica, così gagliardamente esibita dalla Lega, appare sempre più inconsapevole delle sue stesse ragioni. Cos'è, infatti, nell'esperienza storica e nella dottrina, il processo federalista che porta alla devoluzione delle competenze? È un processo di riunificazione o di unificazione di enti, territori, Stati, precedentemente separati. Gli Stati Uniti, per esempio, o la stessa Unione europea, anche se non ha raggiunto ancora l'esperienza di un'integrazione federalista.
Come si attua quel processo? Trasferendo poteri e porzioni di sovranità degli Stati all'entità ad essi sovraordinati: la Confederazione in America, l'Unione europea qui da noi. Il percorso inverso, quando non segue la logica del regionalismo e del decentramento funzionale, quando abbandona l'insegnamento di Sturzo, di Cattaneo, di Gioberti, quando diventa battaglia ideologica, rischia di scivolare verso altri approdi pericolosi e lesivi dell'unità nazionale. Ecco, allora, la devolution, con tutto il carico di ideologismo secessionista che reca con sé!
Colleghi, questa riforma è un pericolo per l'unità della nazione e per questa ragione l'UDEUR manifesta in quest'aula, ancora una volta, il forte «no» alla devolution per la sua intima portata secessionistica, antisolidaristica e fortemente antimeridionalistica (Applausi dei deputati dei gruppi Misto-Popolari-UDEUR, dei Democratici di sinistra-L'Ulivo, della Margherita, DL-L'Ulivo e Misto-SDI-Unità Socialista - Congratulazioni)!
PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto l'onorevole Mascia. Ne ha facoltà.
GRAZIELLA MASCIA. Signor Presidente, siamo giunti al termine di un percorso che porterà...
ANTONIO BOCCIA. Presidente, stiamo discutendo la riforma della Costituzione...!
PRESIDENTE. Per cortesia, prego i colleghi di prendere posto! Colleghi...!
GRAZIELLA MASCIA. ...la Camera dei deputati ad approvare la riforma della seconda parte della Costituzione, che avrà gravi ripercussione anche sulla prima parte, quella riguardante i diritti fondamentali; una riforma che demolisce diritti e princìpi, modifiche che finiranno per sfigurare definitivamente il nostro sistema costituzionale.
Sul merito dei singoli aspetti (l'alterazione dei poteri e delle funzioni del Capo dello Stato, la concentrazione di poteri forti nelle mani di un Primo ministro, la politicizzazione della Corte costituzionale, lo svuotamento dei poteri del Parlamento, la devolution) abbiamo a lungo discusso in quest'aula e già prodotto una mobilitazione nel paese per la difesa di una rinnovata legalità costituzionale, anche attraverso la riappropriazione di uno spazio pubblico espropriato da troppi interessi personalistici e da troppe riforme che guardano solo dalla parte del potere. Il nostro giudizio è netto e la nostra contrarietà è totale!
Ho trovato a tale proposito molto attuali le parole di Piero Calamandrei; già nel lontano 1952 egli ammoniva sugli effetti nefasti dell'identificazione tra maggioranza e Costituzione: padrona del Governo, diceva Calamandrei, si è accorta che chi governa può benissimo fare a meno di tutti quei controlli costituzionali che lo spirito romantico dell'Assemblea costituente aveva sognato, la Corte costituzionale, l'indipendenza della magistratura, il referendum popolare, bellissimi temi per conferenzieri da circoli rionali, ma in pratica intralci micidiali per chi è al potere e vuole rimanerci.
E allora, la conclusione, prima appena sussurrata, poi in questi ultimi tempi apertamente proclamata, è venuta da sé: non è il Governo che deve adattarsi alle esigenze della Costituzione, è la Costituzione che deve conformarsi alle esigenze di questo Governo! Questa non è la Costituzione fatta dal popolo italiano per il popolo italiano; questa è la Costituzione fatta affinché la maggioranza possa continuare a rimanere maggioranza: la Constitution c'est moi!
E ancora, aggiungeva Calamandrei, è stato detto che la schiettezza di una democrazia è data dalla lealtà con cui il partito (o la coalizione nel nostro caso) che ha il potere è disposta a lasciarlo. La lealtà del gioco democratico è soprattutto nel saper perdere, ma la democrazia diventa una vuota parola quando il partito che si è servito dei metodi democratici per salire al potere è disposto a violarli pur di rimanervi, il che può farsi anche senza mettere fuorilegge gli oppositori, con qualche ben studiata revisione costituzionale o anche semplicemente con qualche trucco elettorale, che permetta al partito che è al potere di rimanervi, anche quando nel paese sia diventato minoranza: parole purtroppo di piena attualità, che Calamandrei scriveva più di cinquant'anni fa. Oggi però, c'è qualcosa di più: la classe dirigente che ci governa ritiene che la politica serva essenzialmente a fare gli interessi delle lobby di suo riferimento e, prima di tutto, quelli personali del suo leader.
È una politica questa quale massima espressione del privato, è l'incarnazione portata alle estreme conseguenze del personalismo e dell'esaltazione del leader, e non più coalizione di ideali ma rappresentazione di interessi immediati, leciti e non: in altre parole, il tentativo di costituzione di un partito-azienda. L'attuale Costituzione, stando così le cose, non può essere altro che un intralcio agli affari, occorre cambiarla, adeguarla ai nuovi tempi che, se non gloriosi, saranno però forieri di grandi soddisfazioni materiali.
Così siete andati avanti a tappe forzate, con un progetto costruito e discusso fuori dalle aule del Parlamento, con i vostri cosiddetti «saggi» che definivano le sintesi possibili sulla base di interessi, sensibilità e sollecitazioni particolari delle diverse forze politiche della Casa delle libertà.
Potevano le opposizioni, le sinistre, cercare un accordo con questa maggioranza? Certamente no!
Nelle democrazie parlamentari, ma si potrebbe dire nelle democrazie tout court, compito delle opposizioni è quello di vigilare affinché la maggioranza legiferi entro i limiti posti dalla Costituzione, non quello di accordarsi con essa. L'opposizione è il cane da guardia della Costituzione e, di fronte al pericolo, deve abbaiare e all'occorrenza mordere.
Fuor di metafora, l'opposizione ricorre a tutti i metodi democratici, dal confronto parlamentare, alla sensibilizzazione, alla movimentazione nel paese, al ricorso alla Corte costituzionale (custode ultima della Carta), al referendum (procedura che attiveremo). Le opposizioni devono comunque sempre considerare ed usare, non per i propri interessi immediati ma per quelli del paese, tutti gli strumenti che la democrazia mette a disposizione.
Chi si rivolge alla Costituzione, diceva Togliatti citando Dante, è: «(...) come quei che va di notte, che porta il lume dietro e sé non giova, ma dopo sé fa le persone dotte (...)». Oggi, la maggioranza, il lume, lo porta davanti, ad evitare tutti gli ostacoli che possono intralciare un cammino di affari, di immunità e di impunità. Perciò, in questi mesi, è stato necessario per le opposizioni dare al paese un segnale forte: non basta solo non trattare, ma bisogna far sapere che in questa Assemblea si è ormai nell'impossibilità di svolgere il proprio compito di parlamentare. Dunque, il più grande senso di responsabilità nei confronti delle istituzioni democratiche e del paese intero comporta proprio l'utilizzo di tutti gli strumenti consentiti dal regolamento; e così ci siamo condotti, dall'ostruzionismo all'abbandono dell'aula al momento del voto. Abbiamo in ogni caso voluto sottolineare come la democrazia, di questi tempi, rischi di diventare una parola vuota; oggi, ci sarà una sola votazione, quella finale di questa lettura - tuttavia, vogliamo che rimanga agli atti il nostro annuncio di voto contrario -, ma insisteremo nel paese con queste nostre denunce, preparando i referendum e dando segnali forti per dissociare inequivocabilmente le opposizioni dalle scelte scellerate della maggioranza: con chi ritiene la politica l'espressione migliore dei propri interessi, nessun commercio (Applausi dei deputati dei gruppi di Rifondazione comunista, dei Democratici di sinistra-L'Ulivo e della Margherita, DL-L'Ulivo - Congratulazioni)!
PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto l'onorevole Gibelli. Ne ha facoltà.
ANDREA GIBELLI. Onorevole Presidente, onorevoli colleghi, onorevole Presidente del Consiglio Berlusconi, oggi, con il voto sulla riforma costituzionale, facciamo entrare la Casa delle libertà nella storia del paese (Commenti dei deputati del gruppo dei Democratici di sinistra-L'Ulivo), introducendo un cambiamento epocale realizzato dopo sessant'anni di immobilismo. Il voto di oggi rappresenta le ragioni di un'alleanza politica nata cinque anni fa per cambiare un paese prigioniero di un sistema costituzionale che nei fatti gli ha impedito di essere competitivo e moderno.
Presidente, tutti gli Stati maggiormente protagonisti sul versante della crescita economica sono Stati federali: l'occasione offerta dal voto di oggi, o si coglie e si entra nella storia, oppure, non si coglie e si lascia per sempre la possibilità di cambiamento. Oggi, intendo dare risposte anche a chi ancora una volta tenta, o in termini politici - i colleghi di centrosinistra - o in termini giornalistici, di denigrare un modello di Stato che, là dove applicato, è stato un successo storico. Oggi si tenta di far passare concetti che nulla hanno a che fare con le ragioni stesse del federalismo o con la filosofia di pensiero che ha animato storicamente i padri del federalismo.
Per dare un senso a quanto ha sempre animato la Lega nella sua missione storica - proporre l'unica soluzione possibile per cambiare radicalmente il paese -, mi rivolgo a lei, Presidente Berlusconi, come leader della coalizione, con le parole scritte, circa centocinquanta anni fa, da
Carlo Cattaneo. Ebbene, Cattaneo così scriveva: «(..) Ogni popolo può avere molti interessi da trattare in comune con altri popoli; ma vi sono interessi che può trattare egli solo, perché egli solo li sente, perché egli solo li intende. E v'è inoltre in ogni popolo anche la coscienza del suo essere, anche la superbia del suo nome, anche la gelosia dell'avita sua terra. Dì là il diritto federale, ossia il diritto dei popoli; il quale debba avere il suo luogo, accanto al diritto della nazione, accanto al diritto dell'umanità».
Queste parole, scritte nel XIX secolo, sono per noi oggi un lume sull'identità perduta dell'Europa; in contestazione con un modello di Stato continentale, tecnocratico ed indifferenziato, comincia oggi a far sentire il suo peso il senso di appartenenza dei popoli europei.
Oggi, vi è un gran parlare tra laici e cattolici sul tipo di società e di Europa che si vorrebbero edificare; si tenta di definire un insieme di valori irrinunciabili per vincere le aggressioni culturali e la sfida che la globalizzazione impone.
Questi intellettuali, pur affrontando il tema dell'identità dell'Europa in senso laico-cristiano, non affrontano mai, in concreto, il modello di Stato che dovrebbe garantire il giusto equilibrio tra locale e globale, tra identità e progresso. Noi della Lega Nord abbiamo fatto la nostra parte, proponendo una soluzione concreta.
Non va dimenticato che oggi si è giunti a questo importante appuntamento interpretando politicamente le spinte dal basso dei popoli, che hanno chiesto, dalle piazze, dalle strade e dagli enti locali, un diverso modo di partecipare alla vita istituzionale, comprendendo, prima di ogni altro, la crisi degli Stati nazionali, minacciati dalla globalizzazione.
Tale bisogno, cui prima la Lega Nord, poi tutta la Casa delle libertà hanno saputo dare una risposta, oggi diventa realtà. Infatti, il processo di globalizzazione in atto, che costituisce il principale carattere distintivo della fase storica che stiamo vivendo, ha nell'omologazione forzata delle diversità culturali, etniche, religiose e sociali il proprio fondamento. Il lato oscuro della globalizzazione trova come maggiore alleato la sinistra italiana ed europea, che vede nell'indifferenziazione l'attuazione in concreto dell'eguaglianza assoluta, ispirandosi a modelli sociali, culturali e politici crollati miseramente con la caduta del muro di Berlino del 1989, ma che, ancora oggi, tentano di omologare l'Europa ad una loro visione di parte, senza interpretare i bisogni e le ragioni storiche di un continente che, per millenni, si è dato un modo per riconoscersi, e quindi un modo per vincere le sfide del futuro.
Per contrastare il cosiddetto «mondo uno», in cui le differenze si appiattiscono, gli Stati più moderni - lo ripeto: gli Stati più moderni - hanno risposto in un modo: decentrando il potere politico. In altre parole, di fronte all'omologazione delle diversità, i popoli rispondono con la «rivoluzione federalista». Essi, cioè, tentano di preservare e di mantenere intatte le proprie tradizioni, le proprie radici e le proprie identità, vale a dire quel senso di appartenenza che ha fatto nascere, in Europa, quei principi fondanti che oggi, invece, qualcuno vuole relativizzare. I principi che rappresentano la cultura di riferimento dell'Europa non sono concetti astratti, Presidente Berlusconi, ma rappresentano la traduzione delle radici, delle identità e delle tradizioni dei popoli europei.
Annullare i popoli vuol dire annullare la cultura di riferimento che ha fatto dell'Europa la patria delle libertà e dei diritti, e lasciare il campo ai rigurgiti comunisti e postcomunisti, che considerano la tradizione e le identità il retaggio di un oscuro passato, per proporre, nell'uguaglianza indistinta, un sogno utopistico sconfessato dalla storia (Applausi dei deputati dei gruppi della Lega Nord Federazione Padana, di Forza Italia e di Alleanza Nazionale)!
Oggi i nemici del federalismo e della devoluzione usano termini che denigrano un processo irreversibile, riportando sulle prime pagine di numerosi quotidiani nazionali falsità, distorcendo la realtà e proponendo concetti che sono l'opposto dell'essenza stessa del federalismo. È paradossale
notare che i nemici del federalismo e della devoluzione continuano oggi a sostenere l'idea che il federalismo che la Lega propone dividerà il paese!
Non è forse un caso che, in Europa, l'esperienza di maggior progresso economico e sociale si sviluppi all'interno di paesi federali. Infatti, le ristrutturazioni dei poteri e delle libertà - e sottolineo delle libertà -, avviate primariamente nei cantoni svizzeri, poi nelle comunidades autonomas spagnole, nei Länder tedeschi ed austriaci, nelle comunità e regioni belghe e nella devolution di Scozia, Galles e Irlanda del Nord, stanno assumendo forme sempre più precise e motivazioni adeguate alle necessità di un mondo caratterizzato ormai, ed in modo definitivo, dal pluralismo culturale e decisionale, nonché dalla varietà rispetto all'uniformità.
Anche sulla devoluzione si parla a sproposito. Come si fa a credere che sia negativo il trasferimento di poteri e competenze dallo Stato centrale alla periferia, come afferma la sinistra italiana, senza avere l'onestà intellettuale di vedere un modello di riferimento nella Gran Bretagna di Tony Blair, un leader laburista che, proprio in questi anni, sta riformando il paese dando più potere alla Scozia e al Galles? Infatti, il Regno Unito, che rimane tale - al di là di tante chiacchiere comuniste! -, con l'approvazione dei progetti voluti dal Governo nel 1997, ha imposto un'accelerazione storica che ha visto, nella decentralizzazione dei poteri, un modo per sviluppare democrazia diretta ed autogoverno nelle comunità territoriali.
Mentre la Gran Bretagna compiva scelte coraggiose, diventando un faro di riforme istituzionali e sociali, noi abbiamo «sonnecchiato» con le riforme Bassanini e con l'inconcludenza di Romano Prodi (Applausi dei deputati dei gruppi della Lega Nord Federazione Padana, di Forza Italia e di Alleanza Nazionale)!
Evidentemente, il federalismo e la devoluzione toglieranno potere all'ultimo partito-Stato, ossia i DS. Avrà minor peso quella cultura catto-comunista, che vede nell'identità non un fatto sociale, ma un fatto rigorosamente e vergognosamente privato. Noi, invece, riteniamo, attraverso il concetto di federalismo per devoluzione, un modo per spiegare come uno Stato ipercentralizzato ed iperburocratizzato - e, quindi, non federale - può trasformarsi gradualmente in uno Stato federale. Non una riforma di facciata, come quella del centrosinistra, ma una riforma che cambierà il volto del paese.
La lezione di Carlo Cattaneo, dopo centocinquanta anni, è ancora viva e straordinariamente attuale, ma per poterla concretizzare vi è stata la necessità di un movimento politico che ha portato il federalismo all'interno delle discussioni parlamentari. Ciò ha avuto bisogno della spinta, negli ultimi trent'anni, della Lega Nord che, in nome di un ideale, ha imposto e voluto un patto politico per un idem sentire con chi ha voluto approcciare tale progetto.
Proprio oggi mi rivolgo agli alleati della Casa delle libertà, Alleanza Nazionale, l'UDC e Forza Italia: con questo voto si dimostra che questa riforma è l'esempio che sensibilità diverse hanno saputo diventare complementari. Questa riforma è la testimonianza che la storia repubblicana può essere rinnovata. Riconosco il merito di chi ha abbracciato l'idea federalista. Ci aspettiamo che il processo iniziato oggi sia ancora, per il futuro e per il prossimo appuntamento elettorale, il punto di contatto tra noi e voi ed un modo per continuare sulla strada del federalismo. Con il federalismo fiscale, è un modo concreto per dare risposte alle esigenze del nord, alle esigenze del centro ed alle esigenze del sud. Non può esistere, cioè, uno Stato come quello attuale, che dietro la tenda corta dell'unità di facciata, toglie i soldi ai poveri delle regioni ricche per darli ai ricchi delle regioni povere (Applausi dei deputati dei gruppi della Lega Nord Federazione Padana, di Forza Italia e di Alleanza Nazionale)!
Oggi, Presidente Berlusconi si deve prendere atto (Commenti del deputato Maura Cossutta)...
ANDREA GIBELLI. Stai zitta!
Si deve prendere atto che, con la scelta di democrazia e di cambiamento adottato dalla Lega Nord, la devolution ed il federalismo diventano un fatto concreto nella storia, non solo politica, ma istituzionale del paese.
PRESIDENTE. Onorevole Gibelli, si avvii a concludere.
ANDREA GIBELLI. Concludo, signor Presidente.
La Lega Nord ha una sola parola. Non ammette tentennamenti, ma sa riconoscere chi rispetta gli accordi e se vi fosse ancora, nel centrodestra, qualcuno che avesse un dubbio sulla necessità storica di un cambiamento netto quale questo, nessuna tra le parole che potrei aggiungere a quelle che ho pronunziato possono valere quanto le seguenti: «(...) qui ho sentito linguaggi diversi dal nostro, eppure quelle lingue non ci erano straniere, perché parlavano del più grande bisogno dell'uomo, quello della libertà, quello del diritto di potersi riconoscere nella propria gente, quello del dovere di partecipare alla storia degli altri popoli, non come distruzione, non come sopraffazione, ma come collaborazione e solidarietà. Non, quindi, l'Europa dei finanzieri, ma anche l'Europa della piccola e della media industria e dell'artigianato, convinti come siamo che la vita la devono fare gli uomini. Noi non abbiamo paura di dire quello che pensiamo, perché siamo forti della forza dell'onestà, dell'obbedienza e della fratellanza (...)».
PRESIDENTE. Onorevole Gibelli, concluda.
ANDREA GIBELLI. Concludo, signor Presidente. Queste parole sono state stampate, volantinate e pagate dal popolo di Pontida.
Se ho iniziato il mio intervento con le parole di Carlo Cattaneo, non posso che concluderlo con chi le ha pronunciate, il 9 dicembre del 1989, ossia Umberto Bossi (Applausi dei deputati dei gruppi della Lega Nord Federazione Padana, di Forza Italia e di Alleanza Nazionale - Congratulazioni).
PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto l'onorevole Volontè. Ne ha facoltà.
LUCA VOLONTÈ. Signor Presidente, onorevoli colleghi, voteremo ed approveremo oggi la riforma costituzionale, nella piena consapevolezza di aver lavorato, nel corso di questi anni, avendo a cuore il bene del paese e delle future generazioni (Una voce dai banchi del gruppo della Margherita, DL-L'Ulivo: Bravo!).
PRESIDENTE. Per cortesia! Prego i colleghi di prendere posto e di lasciar svolgere l'intervento all'onorevole Volontè. Ministro Landolfi, per cortesia!
Prego, onorevole Volontè.
LUCA VOLONTÈ. A fronte della richiesta pervenuta da parte di un alleato, soprattutto la Lega Nord, di attuare il programma della Casa delle libertà sulla devolution, chiedemmo infatti - noi dell'UDC - di ampliare le riflessioni sulle lacune e sugli errori presenti nella riforma del Titolo V della seconda parte della Costituzione, ossia la riforma varata dal centrosinistra. Era la primavera del 2003. Da allora in poi, la storia di questa riforma, più ampia e più completa ha preso l'avvio.
L'approccio riflessivo e temperato che abbiamo dimostrato in questi anni ci ha consentito oggettivamente di rispondere a quei problemi e di far evolvere positivamente il sistema delle competenze verso un federalismo solidale, molto più equilibrato e comunitario di quello attuale.
Con un'azione attenta alla realtà, come essa si è evoluta in questi anni, si è posta mano ad alcune materie oggi collocate tra quelle concorrenti, riportandole laddove devono stare, cioè in uno Stato federale che abbia a cuore l'origine stessa della propria nazione.
Già nell'articolo 114 della Costituzione si è svolta esplicitamente un'analisi, per merito soprattutto nostro, e si è fatto
riferimento ai principi di leale collaborazione e sussidiarietà, come principi ordinativi dei rapporti e dei comportamenti istituzionali tra Stato, regioni, province, città metropolitane e comuni.
Per queste ragioni, l'inceppamento della riforma del Titolo V e la migliore definizione del principio di sussidiarietà, si sono voluti introdurre elementi correttivi e, nello stesso tempo, innovativi dell'articolo 117 della Costituzione.
Le materie riportate in capo allo Stato (le norme generali sulla tutela della salute, della sicurezza e della qualità alimentare, l'ordinamento della capitale federale, le reti strategiche di trasporto e navigazione di interesse nazionale, le relative norme di sicurezza, l'ordinamento della comunicazione, l'ordinamento delle professioni intellettuali, l'ordinamento sportivo, la produzione, il trasporto e la distribuzione nazionale dell'energia, la promozione internazionale del sistema economico produttivo italiano, come la politica monetaria, la tutela del credito, le organizzazioni comuni di mercato) rispondono a entrambe le esigenze già citate.
Quanto alle distorsioni prodotte dalle modifiche introdotte nella scorsa legislatura, basti guardare alle critiche, alle autocritiche, ai costi (circa 61 miliardi di euro stimati dall'ISAE) e ai contenziosi presenti e pendenti dinanzi alla Corte costituzionale.
Mi vorrei soffermare, in questa totale confusione e in questo disturbo - se mi consente -, su alcune altre materie. La promozione del sistema economico produttivo italiano in capo allo Stato, evidentemente, risponde alle esigenze che, nel mondo globalizzato, hanno non solo e non tanto le nostre imprese, quanto i prodotti italiani.
Un ultimo accento va posto sulla opportuna e indispensabile rimessione della tutela della salute in capo alla legislazione esclusiva dello Stato. Con ciò - è di tutta evidenza -, si risponde alle preoccupazioni del paese sulla possibilità di diverse norme e, quindi, di diversi interventi in materia di tutela della salute, a seconda della regione in cui il cittadino risiede. È indubitabile che, diversamente dalla precedente riforma costituzionale, la tutela della salute è garantita su tutto il territorio nazionale per tutti i cittadini italiani.
L'UDC ritiene fermamente che l'introduzione del principio di sussidiarietà e della sussidiarietà fiscale, in particolare, ossia di più libertà per le persone e per la società, produrrà riflessi positivi soprattutto per il cittadino, consentendogli di superare tutti gli ostacoli burocratici che incontra nel quotidiano. Soprattutto, ciò potrebbe rappresentare un volano di sviluppo straordinario per tutte quelle iniziative no profit che facilitano il passaggio da un welfare State bloccato ed antico ad una welfare society.
Il fatto che le autonomie funzionali non dovranno più tenere conto che una qualche regione approvi una norma contro di essa, una chiara e nuova allocazione delle materie che sono state riportate tra le competenze dello Stato, le nuove materie inserite tra quelle delle regioni e, infine, la cosiddetta clausola di supremazia, fortemente voluta da noi, tutto ciò attua un federalismo equilibrato e solidale tra il centro e la periferia, tra il Nord e il Sud, tra la società italiana lo Stato.
Siamo stati tra quelli più prudenti, rispettosi ed anche timorosi nei confronti del percorso delle riforme costituzionali. Lo siamo stati perché fermamente convinti che lo spirito unitario che ha animato i lavori costituenti debba essere ritrovato ogni qualvolta si affronti un tema centrale, qual è la legge fondamentale di una nazione.
Ricordo come nel luglio dello scorso anno eravamo stati messi sul banco degli imputati e ritenuti responsabili di una crisi. Ebbene, la nostra posizione era motivata da ragioni di cui oggi la maggioranza va in gran parte fiera. Il metodo del confronto con la società italiana ha portato molti miglioramenti del testo dall'inizio della legislatura ad oggi.
Ma, se, da una parte, grazie alla nostra tenacia e alla costanza di allora, oggi il testo è divenuto patrimonio comune e condiviso, non possiamo non ricordare con rammarico l'atteggiamento pregiudizievole
assunto dall'opposizione (Il Presidente Casini fa il suo ingresso in aula - Generali applausi).
PRESIDENTE. Vi ringrazio molto, onorevoli colleghi.
Mi scusi, onorevole Volontè, sono io l'elemento di perturbazione (Generali applausi). Onorevoli colleghi, lasciamo continuare l'onorevole Volontè.
LUCA VOLONTÈ. Complimenti, Presidente!
PRESIDENTE. Grazie!
LUCA VOLONTÈ. Se, grazie alla nostra tenacia e costanza di allora, oggi il testo è divenuto patrimonio comune e condiviso, non possiamo non ricordare con rammarico l'atteggiamento pregiudizievole assunto dall'opposizione, che allora lanciava fiori al nostro passaggio, salvo poi cambiare rotta - lo abbiamo visto qui lo scorso anno -, quando si avvide che le nostre ragioni non erano volte alla rottura, bensì al miglioramento del testo. È stato un «no» a prescindere, merito certamente di Prodi o meglio demerito suo e di chi, come lui, ha scelto di non contribuire alla costruzione comune della Carta costituzionale appunto di tutto il popolo italiano.
Non rintraccio alcun merito nell'evitare il dialogo. Non vi è merito alcuno ad evitare il confronto di lavoro comune per il bene del paese; un diabolico perseverare, che avete tenuto anche in occasione del dibattito sulla legge elettorale, una legge elettorale che non è assolutamente in contrasto, è evidente, con il testo costituzionale. Basterebbe ricordare qui, ai molti colleghi che hanno rinvenuto invece un contrasto, l'articolo 30 delle modifiche che andiamo a votare, dove esplicitamente è prevista anche la possibilità di una legge elettorale proporzionale. Pensiamo di aver fatto il nostro dovere e di averlo fatto bene.
Signor Presidente, onorevoli colleghi, abbiamo votato allora e voteremo oggi una riforma che arriva in porto assai diversa da come era partita. Per cercare di cambiarla, ci siamo assunti le nostre responsabilità e i rischi del caso. La devolution è controbilanciata da tante competenze che tornano, com'è giusto, allo Stato. La clausola di supremazia segna il primato della politica nazionale sul localismo. La sussidiarietà è entrata a pieno titolo nel lessico costituzionale. Il premierato, infine, è temperato dalla possibilità di approvare una mozione di sfiducia costruttiva.
Questo è il contributo che il gruppo dell'UDC ha dato a questa riforma. Queste, come altre, sono le ragioni che ci stanno a cuore, per continuare a confermare anche oggi il nostro voto favorevole (Applausi dei deputati dei gruppi dell'Unione dei democratici cristiani e dei democratici di centro, di Forza Italia, di Alleanza Nazionale e della Lega Nord Federazione Padana).
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