Resoconto stenografico dell'Assemblea
Seduta n. 691 del 19/10/2005
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La seduta, sospesa alle 10,15, è ripresa alle 10,45.

Si riprende la discussione.

(Ripresa esame dell'articolo unico - A.C. 6063)

PRESIDENTE. Avverto che le Commissioni I (Affari costituzionali) e V (Bilancio) hanno espresso i prescritti pareri (vedi l'allegato A - A.C. 6063 sezioni 1 e 2).
Il parere della Commissione bilancio sul testo è favorevole, a condizione che sia approvato l'emendamento 1.600 della Commissione.
Ha chiesto di parlare l'onorevole Ruggieri. Ne ha facoltà.

ORLANDO RUGGIERI. Signor Presidente, onorevoli colleghi, le prospettive del settore agroalimentare italiano nel medio e lungo periodo ci pongono di fronte a scenari preoccupanti. In Italia si prospetta, infatti, nel prossimo decennio un incremento della domanda alimentare e dei costi di produzione sensibilmente più alto di quello della produzione nazionale, con la conseguente maggiore presenza sul mercato italiano di beni di importazione. Di fronte a queste difficoltà strutturali sarebbe necessario per gli operatori poter disporre di un quadro di certezze in merito alle politiche seguite e alle decisioni normative.
Il provvedimento al nostro esame, invece, non risponde in alcun modo a questa esigenza, in quanto è fonte di ulteriori motivi di incertezza e di perplessità. Difatti, ancora una volta siamo chiamati a fronteggiare gli effetti di una crisi con un decreto-legge che non incide sulle cause che sono alla radice di questa crisi. Non penso che sia soltanto una banale coincidenza se per la terza o quarta volta il provvedimento viene denominato «Interventi urgenti in agricoltura», poiché effettivamente l'attività di questo Governo è stata prevalentemente finalizzata a fronteggiare le emergenze e gli effetti della crisi. Continua clamorosamente a latitare una vera politica agricola nazionale che con coraggio affronti alla radice questi fenomeni negativi.
Pur non volendo addentrarmi nelle linee della politica agricola nazionale, voglio soltanto accennare a due aspetti che mi sembrano assolutamente rilevanti. Mi riferisco al tema della competitività e a quello della commercializzazione dei prodotti delle imprese. Il primo risulta rilevante per la redditività delle nostre imprese, perché tutti sappiamo che bisogna produrre con qualità e che essa comporta costi non comprimibili, per quanto riguarda alcuni fattori di produzione come l'energia, il gasolio, le assicurazioni; tuttavia essi in qualche maniera possono essere ridotti attraverso virtuose e serie politiche dei fattori, intesi come segnali produttivi positivi in grado di diminuire tali costi.
Ad esempio, il costo del denaro in agricoltura è ancora troppo alto rispetto ad altri settori, così come è ancora troppo alto il costo della terra e quello del lavoro, riferito non allo stipendio dei dipendenti agricoli, ma agli oneri contributivi, assistenziali e previdenziali. Quindi, occorre impostare una politica dei fattori che sia


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in grado di colpire i costi che mettono le imprese agricole italiane fuori mercato.
Accanto al tema della competitività, vi è quello della commercializzazione, pure determinante per la nostra agricoltura. Da questo punto di vista occorre dire che in questi quattro anni nulla si è fatto. Pertanto, è necessario avere regole chiare e trasparenti all'interno della filiera, poiché molto spesso la parte agricola è quella più debole nella fase di contrattazione. Dall'altra parte occorre coraggio per investire in infrastrutture di trasporto e logistiche.
La battaglia persa per l'ortofrutta nei confronti della Spagna, nostra diretta concorrente in Europa, è da ricercare proprio in questa debolezza, che ha permesso agli spagnoli di portare i propri prodotti sui mercati del nord Europa prima di noi, in modo più efficace e meno costoso.
Pertanto, due sono i temi in campo: competitività e commercializzazione. Su tali temi, per anni, abbiamo atteso invano una politica seria da parte del Governo, in grado di colpire le cause della crisi in agricoltura e non soltanto e sempre i suoi effetti disastrosi (con la concreta probabilità di andare incontro ad una nuova crisi agricola). Sappiamo bene che non vi sono risorse per continuare a fronteggiare tali crisi attraverso il ristoro dei danni causati agli agricoltori, con rimborsi e contributi economici; dunque, o si colpiscono le cause o la situazione attuale della finanza pubblica non permetterà di colmare le difficoltà di reddito delle imprese con interventi una tantum.
Nonostante il decreto-legge al nostro esame sia stato profondamente modificato dal Governo e dal relatore, l'opposizione, con un paziente sforzo, ha presentato importanti emendamenti, alcuni dei quali sono stati recepiti in sede di Commissione sia dal relatore sia dal Governo. Ne voglio brevissimamente ricordare qualcuno.
Mi riferisco all'emendamento sulla questione del conferimento, segnalato da tutte le cooperative, che hanno fatto presente come con il termine conferimento si intenda una fattispecie ben specifica, a cui bisognava aggiungere la vendita del prodotto, che differisce dal conferimento stesso. Mi riferisco inoltre a quello, sicuramente importante, che prevede da parte della grande distribuzione organizzata l'obbligo di destinare una percentuale significativa e prefissata della superficie degli scaffali destinati ai prodotti alimentari a quelli della regione su cui insiste il grande magazzino.
Si tratta di un tema che sicuramente andrà meglio contrattato a Bruxelles, perché potrebbe andare incontro ad obiezioni in merito alle regole di concorrenza interne del mercato europeo. Inoltre, tale norma dovrà essere applicata dalle regioni che hanno competenza esclusiva in materia di commercio. È ovvio che tale disciplina può essere applicata solo in assenza di normative regionali, tuttavia, a mio avviso, si tratta di un passo importante, perché il rapporto tra agricoltura e grande distribuzione organizzata oggi vede sicuramente la prima, unitamente ai suoi prodotti, in una situazione di debolezza e di inferiorità in termini di potere commerciale. Esiste una proliferazione dei prezzi che spesso porta alla triplicazione di quanto pagato al produttore agricolo o, in altri casi, nel settore dell'ortofrutta, addirittura a dieci volte tanto. Quindi, si tratta di un problema importante.
Abbiamo poi presentato alcuni emendamenti in materia di Corpo forestale dello Stato, uno dei quali in particolare interessa i parenti delle vittime appartenenti al personale di tale Corpo. La nostra è una proposta assolutamente legittima, volta ad equiparare questo organismo agli altri Corpi di polizia, al fine di sanare una ingiustizia. Vi è anche una proposta di carattere finanziario, volta a recuperare 10 milioni e mezzo di euro dalle disponibilità relative ai costi per allievi ufficiali non utilizzati per intero, che possono servire per sanare i bilanci del Corpo forestale dello Stato.
Ci attendiamo che il Governo fornisca una risposta positiva a queste proposte emendative, come in parte è già avvenuto in Commissione. Dobbiamo dare atto al Governo e allo stesso relatore di aver attentamente vagliato le nostre proposte ed in parte di averle anche recepite; rimane


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però la nostra opposizione di fondo, soprattutto perché nel merito si tratta solo di interventi urgenti, che non colpiscono, come ho detto prima, le cause di questa crisi e che non hanno consentito di esaminare più a fondo il provvedimento. Se dovesse essere chiesta la fiducia, tali disposizioni tra l'altro non potrebbero essere oggetto di adeguata discussione e questa rappresenterebbe sicuramente l'ennesima occasione persa di confronto e di dialogo (Applausi dei deputati del gruppo della Margherita, DL-L'Ulivo).

PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare l'onorevole Rossiello. Ne ha facoltà.

GIUSEPPE ROSSIELLO. Signor Presidente, onorevoli colleghi, se qualcuno fosse chiamato a dare una valutazione della forza e della capacità del Governo di centrodestra su questo decreto, ne dovrebbe subito dedurre che siamo al totale fallimento. E non solo perché, com'è stato già rilevato, si interviene sistematicamente con provvedimenti di urgenza che sono soltanto un intervento «tampone» rispetto alla malattia; ma anche perché non vi è né la capacità né, a mio avviso, la volontà politica di andare alla radice dei fenomeni ed attuare una politica generale che preceda le cause di quanto sta avvenendo in questo paese.
Il decreto-legge n. 22 del 2005, e poi la legge n. 71 del 2005, sono nati sulle strade statali: il primo sulla statale n. 106, il secondo sulla statale n. 98. Lì scattò la crisi di mercato del settore ortofrutticolo. Si discusse molto e si decise, in qualche modo, di «lanciare» la crisi di mercato, equiparandola ad una crisi di calamità, in ciò tenendo conto che in quella zona, la appulo-lucana, ma anche in Sicilia, agli anni di siccità (1999, 2000 e 2001), si aggiungeva un periodo di crisi di mercato. Le imprese erano in ginocchio. Fummo tutti quanti d'accordo che la soluzione della crisi di mercato poteva rispondere a quei problemi. Nel «pacchetto» complessivo aggiungeremmo quindi le modalità per intervenire sulle difficoltà nel rapporto tra imprese e banche e le modalità per intervenire sulle difficoltà in materia di contribuzione e fisco. Inoltre, nella legge n. 71 del 2005 furono in qualche modo inserite altre misure. Di fatto, quella legge si è fermata in Europa; allo stato, non ci è dato conoscere le ragioni per le quali gli effetti di quella legge sono stati bloccati.
Vi avevamo avvertito, in quella circostanza, che bisognava contrattare preventivamente con l'Europa, per tentare di capire se la crisi di mercato potesse essere «letta» come un aiuto improprio. Il Governo ci assicurò che l'Europa ci sarebbe venuta incontro su tale prospettiva. Così non è stato. Il Governo, oltre ad aver detto una bugia, rivela anche la sua incapacità di trattare con l'Europa sulla base di un rapporto di forza, e io aggiungo, sulla base di un rapporto di correttezza. La legge n. 71 del 2005 salta. E quegli imprenditori, prima illusi, poi scettici ed infine arrabbiati (questa è la escalation), sono ancora in attesa di capire come andrà a finire.
Sulla statale n. 98, poi, scoppia la questione dell'uva da vino, dell'uva da tavola. E in zone limitrofe, ma non solo (in Puglia, in Campania, ma anche in Toscana), scoppia la crisi del pomodoro. Questo Governo, invece di affrontare il nodo alla radice, propone un altro decreto. Ma questa volta si ipotizza di lasciar perdere la crisi di mercato e seguire la direzione di un meccanismo collaudato con l'Europa: l'aiuto de minimis.
Bisogna, a questo punto, sottolineare tre elementi in relazione all'intervento de minimis. Il primo: in relazione all'aiuto de minimis emerge anche un'ipotesi di «trascinamento» dalla legge n. 71 del 2005. Una prima domanda: perché si è detto che si vuole unificare sull'ipotesi de minimis alcune questioni legate alla citata legge n. 71 ed altre legate al decreto-legge n. 182 del 2005? Come dire: con questo aiuto, che al massimo raggiunge i 3 mila euro, ma che può essere di mille euro ad azienda, molto probabilmente abbiamo pagato la metà del salario di un addetto. Insomma, altro che imprese!
La seconda questione. Abbiamo comunicato i criteri? Ci sarà, di fatto, un albo


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che ci consentirà di capire come sarà distribuito questo aiuto de minimis? I criteri sono stati comunicati in Europa o ancora una volta un secondo locomotore impazzito andrà a sbattere e fermarsi su un binario morto?
La terza questione. Già nel corso della seduta di ieri sono emersi grossi problemi di copertura finanziaria, problemi che, a mio avviso, si riproporranno anche oggi nel corso dell'esame degli emendamenti.
Noi abbiamo presentato emendamenti che sostanzialmente si indirizzano in due direzioni. In primo luogo, quella di disvelare tutte le contraddizioni che dalla legge n. 71 del 29 aprile 2005 al decreto-legge in esame sono sotto i nostri occhi. In secondo luogo, quella di individuare un percorso corretto nel rapporto con le regioni perché, ancora una volta, si sta invadendo, ad esempio per il settore del commercio, un campo di esclusiva competenza regionale. Si pone, quindi, per tale rapporto un problema di correttezza in ordine alle normative e alle leggi cosiddette concorrenti.
Pur condividendo alcune ragioni di fondo degli interventi previsti, siamo assai preoccupati perché mentre noi vogliamo che si prevedano interventi strutturali inseriti all'interno di una vera politica, quella dei piani di settore, la vostra politica, invece, quasi sicuramente condurrà alla nascita di conflitti tra i vari settori. Non sarà, infatti, improbabile prevedere che il settore ortofrutticolo dovrà competere con il settore vitivinicolo, e quest'ultimo vedersela con altri settori. Ciò avverrà perché, in primo luogo, manca una politica che metta assieme vari piani di settore, che ci consentirebbe una maggiore forza in sede di contrattazione in Europa. In secondo luogo, manca un costante monitoraggio tra il Ministero delle politiche agricole e forestali e le regioni, tant'è che spesso al tavolo della Conferenza Stato-regioni, piuttosto che nascere soluzioni, nascono conflitti tra poteri complementari sui quali è chiamata ad esprimersi la Corte costituzionale.
Noi riteniamo che, se non c'è rispetto in ordine ai meccanismi di contribuzione, di fiscalità e di quelli all'interno dei quali le filiere lunghe penalizzano di fatto i produttori, se cioè non agiamo con spirito costruttivo nel prevedere un intervento organico, finiremo per trovarci di fronte, di volta in volta, ad emergenze e ad occupazioni di strade. Una situazione quest'ultima che rischierà di sfuggire di mano a tutti, comprese le organizzazioni professionali.
Invito poi i responsabili del Ministero, che in questo provvedimento ci propongono di articolare meglio le forme di controllo sulla filiera dei prezzi - cosa che ci trova perfettamente d'accordo e sulla quale noi da tempo abbiamo denunciato il fenomeno delle lobby e qualche volta anche delle organizzazioni malavitose nel momento in cui dal produttore al mercato i prezzi schizzano verso l'alto - a prevedere anche appositi strumenti sanzionatori. Con i nostri emendamenti, in qualche modo, li abbiamo proposti, non senza indicare anche strumenti in grado di esercitare una funzione deterrente. In Commissione ne abbiamo parlato: far scattare accertamenti fiscali nei confronti dei punti vendita nei quali i prezzi schizzano verso l'alto può essere un elemento di deterrenza che potrebbe coadiuvare la volontà di controllare la filiera dei prezzi.
Onestamente, non so prevedere come procederà l'esame del decreto-legge; più specificamente, non so se, lungo il percorso, emergeranno difficoltà di copertura finanziaria e se sarà possibile approvare alcuni degli emendamenti che noi abbiamo presentato. A tale proposito, debbo correttamente riconoscere, qui in Assemblea, che il relatore si è dimostrato, in Commissione, disponibilissimo al dialogo.
Se dialogo non vi sarà e se alle nostre orecchie arriverà voce del ricorso alla posizione della questione di fiducia, ancora una volta perderemo l'occasione per quel confronto da tutti invocato in quest'aula ed i nostri produttori agricoli capiranno che, per questa maggioranza, l'agricoltura è una cenerentola alla quale si guarda sbagliando spesso le diagnosi e, di conseguenza, prescrivendo le terapie


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sbagliate! Grazie (Applausi dei deputati del gruppo dei Democratici di sinistra-L'Ulivo).

PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare l'onorevole Burtone. Ne ha facoltà.

GIOVANNI MARIO SALVINO BURTONE. Onorevole Presidente, siamo al terzo, forse al quarto provvedimento messo in campo dal Governo per tentare di fronteggiare la crisi, le emergenze del comparto agricolo. È una caratteristica dell'Esecutivo di centrodestra quella degli interventi tampone: per le calamità naturali, per le crisi di mercato e, oggi, per le difficoltà del settore vitivinicolo.
Non c'è un disegno complessivo, non c'è una visione strategica capace di ricercare le cause ed i limiti dei problemi, di delineare una nuova frontiera dell'innovazione produttiva orientata sempre più verso la qualità, di pensare a processi nuovi di commercializzazione e, in definitiva, ad un'agricoltura orientata verso la realizzazione di una filiera alimentare moderna che metta insieme la produzione, la trasformazione e la commercializzazione.
Questo Governo non ha alibi per ciò che non ha fatto! Pur avendo avuto cinque anni a disposizione ed una larga maggioranza, ha assunto decisioni ricorrendo spesso al voto di fiducia. Anziché elaborare un piano agricolo nazionale serio, capace di assicurare redditività, il Governo si è limitato a fare grandi proclami per bocca del ministro ed interventi parziali, parcellizzati, settoriali, che presentano un comune denominatore: la totale inattuazione! Infatti, il decreto-legge n. 22 del 28 febbraio 2005, convertito dalla legge n. 71 del 29 aprile 2005, recante interventi urgenti nel settore agroalimentare è fermo presso la Commissione europea, in attesa di un «via libera» che è ben lontano.
Il Governo non sta producendo alcun impegno serio per rimuovere gli ostacoli e per avere certezze circa la praticabilità degli strumenti e l'utilizzazione delle risorse. Ciò che più è grave è che non viene applicata nemmeno la cosiddetta legge omnibus, il primo intervento varato dal Governo. Dopo anni dall'approvazione di norme che vennero presentate dal Polo di centrodestra come risolutive rispetto ai problemi dell'agricoltura, l'agricoltura meridionale, in particolare, ha subito non soltanto il danno, ma anche la beffa! In quella legge si prevedeva il ripianamento debitorio con il concorso degli interessi dello Stato. Ebbene, coloro i quali hanno chiuso i mutui, stanno pagando a tasso corrente, quindi, senza alcuna agevolazione da parte dello Stato. La legge parlava di risarcimento per i danni subiti a causa delle calamità naturali. Ebbene, non c'è stato un solo produttore che abbia ricevuto l'indennizzo. La legge affermava l'esenzione per i pagamenti richiesti dai consorzi di bonifica. Ebbene, i produttori, nei giorni scorsi - altro che esenzione! -, hanno ricevuto l'ingiunzione di pagamento.
Con questo decreto-legge si fa di peggio. Le risorse sono largamente insufficienti e non sono neanche nuove; esse provengono dal decreto legge 28 febbraio 2005, n. 22. Si tratta, precisamente, dei fondi predisposti per la sospensione del versamento dei contributi previdenziali e per interventi indennizzatori per le imprese riconosciute in uno stato di crisi.
Il Governo utilizza il sistema dei vasi comunicanti: illude tanti produttori, ma le risorse passano da un provvedimento all'altro, con il risultato finale che non arriveranno mai nelle tasche dei produttori agricoli.
Signori del Governo, colleghi della maggioranza, se non ci fosse da piangere, sicuramente ci sarebbe da ridere (Applausi dei deputati del gruppo della Margherita, DL-L'Ulivo)! Il quadro è particolarmente preoccupante. Lo stato di crisi dei diversi comparti sta determinando una grave difficoltà economica. Con la crisi, si ha il fallimento di numerose aziende, con ripercussioni sociali - la perdita di tanti posti di lavoro - e con danni ambientali per l'abbandono delle campagne e le conseguenti desertificazioni territoriali.
Noi ci batteremo anche nel corso dell'iter parlamentare di questo provvedimento per dare un contributo concreto


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alla definizione di una strategia complessiva che consenta di superare la logica dell'emergenza e che possa delineare una prospettiva di reale cambiamento del settore agricolo (Applausi dei deputati del gruppo della Margherita, DL-L'Ulivo).

PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare l'onorevole Preda. Ne ha facoltà.

ALDO PREDA. Signor Presidente, vedo che attorno a questo decreto-legge si è creata molta confusione, e probabilmente l'assenza in quest'aula del ministro e dei sottosegretari del Ministero delle politiche agricole e forestali, che non vedo...

FILIPPO MISURACA, Relatore. Motivi fisiologici!

ALDO PREDA. Non li vedo, non so dove siano, Misuraca! In ogni caso, non sono in aula ad ascoltare. Credo che la loro assenza sia la dimostrazione dell'estrema confusione che c'è su questo decreto-legge. Correttezza vorrebbe che almeno un sottosegretario del Ministero delle politiche agricole e forestali fosse in quest'aula ad ascoltare gli interventi che svolgiamo. Credo sia un atto scorretto da parte dei rappresentanti di tale ministero.
Quello in esame è stato annunciato come un provvedimento importante. Il testo presentato dal Governo faceva riferimento ad accordi da sottoscrivere da parte del Ministero delle politiche agricole e forestali e dei presidenti delle regioni. I soggetti erano i produttori agricoli di uva da vino. Sullo sfondo c'era l'accordo sottoscritto dal ministro e pubblicizzato attraverso tutti i media, dalle televisioni ai giornali, dopo le manifestazioni in Puglia dei produttori agricoli.
Ma noi abbiamo un Governo - lo abbiamo visto nella gestione di questo decreto-legge - incapace di disegnare futuri scenari nei quali collocare la politica agricola di questo paese. Il testo che discutiamo oggi in quest'aula è completamente diverso da quello presentato dal Governo.
Il relatore, peraltro abilmente, ha profondamente corretto il testo in esame, a volte opportunamente, e ringrazio, al riguardo, anche il sottosegretario Delfino, che siede ai banchi del Governo; quest'ultimo ha quindi presentato una serie di dieci proposte emendative correttive, successivamente annunciando il ritiro di alcune di esse (ed effettivamente ritirandone una parte). Un tale modo di legiferare non è serio; peraltro, non si tratta dell'unico caso verificatosi nel corso dell'iter dei decreti adottati in materia agricola, decreti che normalmente, proseguendo il loro percorso legislativo, si trasformano in provvedimenti omnibus, profondamente modificati rispetto alla versione originaria.
Ho rilevato come manchi lo scenario nel quale muoversi; ebbene, il decreto in esame sconta tale mancanza di disegno politico del Governo e del Ministero delle politiche agricole e forestali su un tema che è essenziale per l'economia del nostro paese. Ritengo che dobbiamo avere il coraggio di delineare gli scenari futuri tenendo conto dell'andamento generale dell'economia mondiale e dell'evoluzione di quella italiana, e tenendo altresì conto delle tendenze del settore agricolo, soprattutto a fronte della nuova PAC. Non possiamo intervenire sui problemi posti con la nuova PAC attraverso la nota inviata dal Ministro delle politiche agricole e forestali in data 12 ottobre 2005, la quale reca l'indicazione, in maniera vaga e generica, di un piano straordinario per la ristrutturazione delle filiere agroalimentari. Ritengo che dobbiamo, invece, tener conto sia dell'andamento dei prezzi mondiali, sia degli scambi internazionali, sia del progresso tecnico nei settori economici.
Secondo le ultime analisi condotte da un istituto legato al Ministero delle politiche agricole e forestali (l'ISMEA, istituto che effettua studi interessanti, che immagino il sottosegretario o il ministro, normalmente, non leggano), è possibile ipotizzare, nell'arco dei prossimi dieci anni, per la maggior parte dei prodotti agricoli, una riduzione dei divari dei prezzi vigenti in seno all'Unione europea rispetto a quelli mondiali, con un allineamento tendenziale


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dei primi ai livelli più bassi dei secondi. Ciò accadrà per effetto non solo dell'integrazione commerciale dei paesi dell'est europeo nell'Unione, ma anche delle politiche di riduzione del sostegno di mercato da parte della Commissione europea; ne seguiranno inevitabilmente una serie di cambiamenti nell'economia e nelle produzioni agricole italiane.
L'Italia, infatti, è un paese grande per alcuni prodotti agricoli e ciò implica che il prezzo nazionale sia determinato in modo endogeno, secondo i livelli di domanda e offerta presenti nel mercato interno. Ritengo che il problema vada valutato urgentemente, perché altre crisi avanzano, proprie appunto di un grande paese: il bene nazionale ed il bene importato, fortunatamente, non sono sempre perfettamente sostituibili, e quindi i loro prezzi sono differenti; ma per alcune produzioni agricole importanti l'Italia, rispetto all'Europa, è un paese piccolo, e ciò implica che il prezzo interno non dipenda dalle condizioni del mercato interno ma sia, invece, fissato a livello europeo.
Il mondo agricolo, oggi, ha bisogno di certezze, di programmazione, di prospettive; bisogna essere consapevoli del fatto che il quadro sopra esposto delinea forti momenti di crisi. Infatti, la nostra produzione agricola per l'80 per cento è di commodities: non solo il grano e il mais, ma anche altre produzioni, una volta proprie della tradizione agricola del nostro paese e di nicchia (ovvero di alta qualità), oggi sono diventate produzioni di commodities. Ciò significa che risentiremo fortemente dei prezzi del mercato europeo; le emergenze in alcuni settori esistono già, abbiamo vissuto quella dell'ortofrutta ed ora attraversiamo quella dell'uva da tavola e del vino.
Abbiamo un andamento dei prezzi che, a seconda delle stagioni e degli anni, arrecherà danni ai produttori agricoli o ai consumatori, oppure a tutti e due, come è accaduto quest'anno.
Vorrei ricordare che le proposte emendative che abbiamo presentato in Commissione, nonché la discussione che abbiamo cercato di sviluppare in quella sede (e che riproponiamo anche in Assemblea), prendevano in considerazione tale scenario. Infatti, se non teniamo presente lo scenario attuale, difficilmente riusciremo a varare un provvedimento che non rappresenti un semplice intervento tampone.
L'articolo 1 del decreto-legge in esame, nel testo originariamente presentato dal Governo, rappresenta l'esempio della notevole confusione esistente. Attraverso tale articolo, infatti, l'Esecutivo intendeva, ed intende tuttora, individuare la copertura finanziaria degli interventi a sostegno del settore vitivinicolo nelle risorse destinate al settore ortofrutticolo dal decreto-legge n. 22 del 2005, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 71 del 2005.
L'individuazione di tale fonte di copertura ha fatto sorgere, naturalmente, una serie di interrogativi. Che fine farà, ad esempio, la legge n. 71 del 2005? Vorrei ricordare che tale provvedimento è sottoposto ad una procedura di infrazione da parte dell'Unione europea. Tale legge stabiliva un principio importante, quello delle crisi di mercato, ma attualmente è sotto osservazione a livello comunitario.
Sorge, inoltre, un'altra domanda: che fine farà tale provvedimento, dal momento che si sta procedendo a «svuotarlo», utilizzando in modo difforme le risorse finanziarie per esso stanziate? Ci è venuto in mente un altro interrogativo: che fine faranno le istanze presentate dai produttori agricoli alla regione sulla base della stessa legge n. 71 del 2005?
Vorrei segnalare che abbiamo sollevato altri problemi. Pensiamo che gli aiuti de minimis possano veramente far uscire dalla crisi il settore vitivinicolo o altri comparti agricoli in difficoltà? Gli aiuti de minimis possono veramente stabilizzare i comparti in crisi e sostituire interventi capaci di esercitare un'azione strutturale ed organica? Non pensiamo che sia così; credo occorrerà riflettere su tali aiuti, poiché hanno bisogno di una disciplina generale. Occorre individuare, infatti, criteri che regolamentino la ripartizione del plafond nazionale tra i diversi settori.
Abbiamo segnalato altri problemi irrisolti, ma non abbiamo ricevuto risposte.


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Vorrei evidenziare, infatti, che la legge n. 71 del 2005 non ha superato i rilievi formulati dalla Commissione europea in merito alla compatibilità con l'ordinamento comunitario. Ed il decreto-legge in esame? Sono stati compiuti accertamenti a livello europeo?
Ebbene, vorrei ricordare che, dopo avere sollecitato la trasmissione, a livello comunitario, del provvedimento in esame, pochi giorni fa il sottosegretario di Stato ci ha riferito, in Commissione agricoltura, che lo stesso è stato inviato all'Unione europea. A nostro avviso, tuttavia, non è sufficiente inviare all'Unione europea il testo di un provvedimento, poiché occorrerà anche discuterlo nell'ambito del quadro più generale dei rapporti comunitari; oggi, però, a livello europeo siamo estremamente deboli!
Allora, non vorrei trovarmi di fronte ad un'ulteriore operazione illusionistica, poiché, in questi ultimi tempi, abbiamo assistito a numerose operazioni di questo tipo, come il ministro competente che va a fare il sindacalista dei produttori del comparto dell'ortofrutta, del vino e dell'uva! Si tratta di operazioni illusionistiche, compiute sia dal Governo, sia dal ministro Alemanno, che suscitano un'ovvia aspettativa in ordine all'adozione di interventi di grande rilievo, attraverso promesse che alimentano speranze.
Alla fine, tuttavia, ci troviamo di fronte al «gioco delle tre carte »: i finanziamenti sono sempre i medesimi e «girano» da una legge all'altra, reperendo dal provvedimento precedente le risorse necessarie a finanziare l'ultimo provvedimento! Poi, si addebita la colpa a qualcuno: probabilmente, all'Unione europea o alle regioni!
L'articolo 1-ter del decreto-legge in esame prevede, altresì, interventi in relazione alla crisi del settore ortofrutticolo. Mi domando, tuttavia: si tratta del piano ortofrutticolo nazionale? È possibile, di fronte agli scenari abbastanza complicati determinati dai mercati, dalla situazione economica e dall'andamento dei prezzi internazionali, non avere un piano ortofrutticolo nazionale in presenza di una crisi di settore, oppure un piano vitivinicolo nazionale, sempre con il settore in crisi?
Possiamo continuare a procedere con provvedimenti tampone? Non credo che sia questa la strada giusta. Cito solamente alcuni articoli del provvedimento in esame. L'articolo 2, così come è stato formulato dal Governo - anche se il relatore ha tentato alcune correzioni - è fumo negli occhi. Onorevoli colleghi, l'articolo 2 è relativo alla formazione ed al controllo dei prezzi, ma il Governo sa come si formano i prezzi delle produzioni agricole nel nostro paese? Come si formano i prezzi nei mercati generali o nella grande distribuzione? Come si formano i prezzi nella piccola distribuzione, a volte in maniera difforme dalla grande distribuzione? Credo che la grande scommessa delle aggregazioni e delle filiere organizzate poste in essere dai produttori, anche in questo caso, possa rappresentare la carta vincente.
I nostri emendamenti, che abbiamo presentato in Commissione e riformulato in Assemblea, si pongono - e vi pongono - una serie di problemi, quali quello dei futuri scenari, dello stato di crisi - grave - di alcuni settori agricoli, della regolamentazione delle produzioni agricole e della ristrutturazione delle filiere. I nostri emendamenti, in altre parole, indicano una strada difficile, ma che deve essere percorsa, altrimenti i provvedimenti continueranno ad essere adottati solo a seguito delle occupazioni delle autostrade, delle strade, degli aeroporti o delle ferrovie e rimarranno provvedimenti tampone, che non consentono di uscire dalla crisi.
Credo che la nostra agricoltura si possa risollevare solo se la si ristruttura, se si fa una grande scommessa sulle aggregazioni, ossia se cambia, perché deve cambiare. Credo che la nostra agricoltura potrà cambiare solo quando vi sarà un ministro - o un sottosegretario - diverso al banco del Governo e noi potremo esprimere un nostro ministro dell'agricoltura (Applausi dei deputati del gruppo dei Democratici di sinistra-L'Ulivo).


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PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare l'onorevole Ria. Ne ha facoltà.

LORENZO RIA. Signor Presidente, onorevoli colleghi, il provvedimento in esame, che propone altri e nuovi interventi urgenti - gli ennesimi interventi urgenti in agricoltura - dimostra chiaramente come la politica del Governo e della maggioranza si caratterizzi per la ripetuta adozione di disposizioni urgenti che tentano di rimediare agli effetti della situazione di crisi, ma senza alcuna capacità di rimuoverne le cause organiche e fondamentali. L'iniziativa primaria di questo Governo, negli ultimi anni, è stata prevalentemente finalizzata a fronteggiare le emergenze e gli effetti delle crisi. È risultata assolutamente assente, invece, una politica agricola nazionale capace di individuare le ragioni vere delle diverse crisi. Da ciò consegue che le risorse disponibili sono sempre insufficienti a fronteggiare la proliferazione delle situazioni di difficoltà e, al tempo stesso, le misure poste in essere si rivelano di limitata incisività, non essendo cioè riconducibili ad alcun disegno strategico coerente e lungimirante.
L'agricoltura italiana vive da tempo un lungo e complesso processo di crisi strutturale, che sta provocando - e, in alcuni casi, ha già provocato - il dissesto del settore. L'apertura dei mercati, l'aumento dei costi di produzione, il controllo della grande distribuzione sui prezzi al consumo, insieme a molti altri fattori negativi, hanno messo in ginocchio ciò che una volta era, soprattutto nel Mezzogiorno, un settore fondamentale dell'economia.
Noi, in questa delicata materia, riteniamo necessario recuperare la concezione ed il ruolo primario del settore agricolo ed agroalimentare. Conformemente a tale obiettivo, che resta, soprattutto per il Mezzogiorno, la stella polare delle nostre scelte, rileviamo l'inadeguatezza del decreto-legge in discussione non solo ad affrontare le emergenze del settore, ma anche - e soprattutto - ad operare in un quadro di riferimento capace di intervenire efficacemente con azioni coerenti ed ordinate in un disegno strategico.
Nel nostro paese la quasi totalità dei comparti agricoli sta mostrando serie situazioni di difficoltà e di crisi. Il settore vitivinicolo, che fino all'anno scorso ancora dimostrava sufficienti livelli di redditività, oggi avverte gravi preoccupazioni. Peraltro, si confermano le crisi del comparto bieticolo-saccarifero, dei pomodori e dell'ortofrutta, così come del settore lattiero-caseario. Si pensi, infine, agli enormi problemi che sta attraversando il comparto della floricoltura italiana.
Dunque, è innegabile che in Italia l'agricoltura non garantisce alle imprese una redditività sufficiente sia per ragioni di competitività sia per ragioni connesse alla commercializzazione dei prodotti, a causa dell'aumento spaventoso dei costi di produzione e della diminuzione dei consumi.
Anche con il decreto-legge in esame, come già più volte è accaduto nel recente passato, vengono posti in essere semplici interventi emergenziali che, per di più, rischiano di rimanere inattuati e di tradursi in una profonda delusione per gli operatori interessati. Dunque, con questo ennesimo decreto-legge, si cerca di lenire gli effetti disastrosi delle crisi, con la probabilità di andare incontro ad una nuova crisi agricola.
Sappiamo che non vi sono risorse per continuare a fronteggiare tali crisi attraverso il risarcimento dei danni causati agli agricoltori, con rimborsi o contributi economici. Dunque, o si colpiscono le cause profonde, o la situazione attuale della finanza pubblica non permetterà di colmare le difficoltà di reddito delle imprese con interventi una tantum.
Alle questioni di carattere generale cui ho fatto riferimento e che sono di netta contrarietà al provvedimento, si accompagnano quelle relative al merito specifico del provvedimento in esame. In primo luogo, il decreto-legge, nella sua impostazione originaria, faceva riferimento ai produttori di uva da vino che conferivano il prodotto ai trasformatori. Sullo sfondo, infatti, vi era l'accordo raggiunto dopo le manifestazioni che avevano infiammato, la scorsa estate, la Puglia. Tale accordo prometteva


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ai produttori di uva da vino 80 milioni di euro, sottratti, ovviamente, a quanti avevano presentato domanda per le provvidenze recate dall'articolo 1 del decreto-legge n. 22 del 2005, convertito dalla legge n. 71 del 2005.
Sappiamo, infatti, che non solo la citata legge n. 71 è stata bloccata in sede comunitaria, ma si è ritenuto di prelevare da quella legge le risorse necessarie per finanziare il decreto-legge oggi in discussione.
Si è evidenziato da più parti che ciò potrà produrre effetti negativi sugli agricoltori che già avevano presentato le domande e i documenti per la certificazione della crisi di mercato sulla base della legge n. 71 del 2005 e che avevano già ottenuto dalle regioni la certificazione di tale mancato reddito. A questo proposito, all'interno del presente decreto-legge si prevede di recuperare tale situazione con l'aiuto nei limiti del de minimis di 3 mila, 2 mila e mille euro, a seconda dell'estensione aziendale, e di applicare tale aiuto anche ai produttori di uva da vino. Appare evidente che non si tratta di cifre minimamente sufficienti a permettere alle imprese di resistere e di superare il periodo di crisi.
Risulta chiaro, a questo punto, che il decreto-legge n. 22 del 2005, come convertito dalla legge n. 71 dello stesso anno, è dichiarato ormai morto, senza cioè la possibilità che da esso derivi alcun effetto reale. Ciò è determinato principalmente dalla debolezza e dallo scarso credito con cui il Governo italiano ha condotto i negoziati a livello comunitario. Anche in sede di Conferenza Stato-regioni si erano proposti alcuni miglioramenti alla legge n. 71, al fine di consentirne l'approvazione da parte della Commissione europea. Tutto questo non ebbe esito ed, infatti, la legge n. 71 è stata bloccata proprio in sede comunitaria.
Tengo a precisare che tali accorgimenti in riferimento agli aspetti di compatibilità comunitaria non sono stati tenuti in considerazione neppure in questa sede. Pertanto, anche tale decreto-legge rischia nuovamente di incontrare problemi seri a Bruxelles. È evidente, a questo punto, che il problema dell'efficacia dell'intervento in esame riguarda l'aspetto delle certezze e della sicurezza del mondo imprenditoriale. Anche in questo caso il rischio dell'incompatibilità comunitaria risulta essere troppo forte ed anche ora si potrebbe giungere all'abrogazione tacita degli effetti del presente decreto-legge dopo la sua conversione.
Sempre dal punto di vista del merito del provvedimento, va sottolineato un problema di dettaglio, già ricordato in sede di discussione sulle linee generali. Al comma 2 dell'articolo 1, alle lettere a), b) e c), si gradua l'intervento sui de minimis indipendentemente dal tipo di cultura, quindi senza alcun legame con la qualità del prodotto. Ancora una volta, perciò, i finanziamenti sono distribuiti a pioggia senza essere finalizzati ad aziende e colture specifiche. D'altra parte, anche le regioni possono concedere aiuti in de minimis e, dunque, la disciplina dettata dallo Stato in materia di competenza esclusiva delle regioni, in quanto aiuto senza alcuna forma di concertazione con le regioni stesse, potrebbe realizzare una nuova forma di invasione delle competenze regionali e potrebbe aumentare il contenzioso costituzionale tra lo Stato e le regioni. È auspicabile, quindi, che il Governo consegua l'intesa con le regioni su tale materia per poi introdurre, con un decreto ministeriale, norme di applicazione per gli aiuti in de minimis.
Sostanzialmente, consideriamo questo decreto-legge al di sotto di ogni esigenza. Per tale ragione, abbiamo presentato una serie di emendamenti tesi a disegnare un quadro coordinato di azioni strategiche per lo sviluppo del settore agricolo, intervenendo sui problemi pressanti dell'emergenza, ma anche inquadrando ogni proposta urgente all'interno della visione generale che vorremmo contribuire a costruire a vantaggio dell'economia nazionale e dei redditi collegati all'agricoltura.
Tutta l'opposizione ha presentato numerose ed importanti proposte modificative al testo operando in maniera assolutamente


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costruttiva sul decreto-legge in esame, nonostante la situazione del tutto particolare che sta vivendo il nostro Parlamento per la riforma della legge elettorale imposta a questa Assemblea dalla maggioranza.
Molte modificazioni al testo originario sono state accolte in sede di Commissione sia dal relatore, sia dal Governo. Innanzitutto, l'emendamento relativo al problema del cosiddetto conferimento, segnalato da tutte le cooperative, che hanno fatto presente come, con tale termine, si intenda una fattispecie ben specifica a cui bisognava aggiungere la vendita del prodotto, che differisce dal conferimento tout court.
Inoltre, ritengo molto importante la proposta emendativa, con la quale si prevede l'obbligo, per la grande distribuzione organizzata, di riservare una percentuale significativa e prefissata della superficie degli scaffali destinati ai produttori alimentari a quei prodotti della regione su cui insiste il grande magazzino. Si tratta di un tema che sicuramente andrà meglio contrattato in sede comunitaria, anche perché potrebbe anche in questo caso contrastare con le regole di concorrenza interna del mercato europeo. Tale norma, peraltro, dovrà essere applicata dalle regioni, che hanno competenza esclusiva in materia di commercio; pertanto è ovvio che essa troverà applicazione soltanto in assenza di normative regionali ad hoc già in vigore o eventualmente già predisposte ed approvate.
Ritengo tuttavia che questo sia un passo importante, proprio perché l'agricoltura, nel rapporto con la grande distribuzione organizzata, si trova in una situazione di evidente debolezza ed inferiorità in termini di potere commerciale. È comunque chiaro che questa riformulazione proposta dal Governo ha colto il senso delle proposte emendative da noi presentate - che pertanto abbiamo ritirato -, nonostante debba essere affrontato seriamente il rapporto con l'ordinamento regionale.
Numerose proposte emendative sono state poi presentate in materia di Corpo forestale dello Stato, tra le quali una in particolare interessa i parenti delle vittime appartenenti al personale di tale Corpo. La nostra proposta è volta ad equiparare questo organismo agli altri corpi di Polizia. Si tratta di una misura assolutamente legittima, che mira a sanare un'ingiustizia palese nel rapporto con le altre Forze armate. Vi è poi anche una proposta di carattere finanziario, volta a recuperare 10 milioni di euro dalle disponibilità relative ai corsi per allievi ufficiali.

PRESIDENTE. Onorevole Ria, la invito a concludere.

LORENZO RIA. Concludo dicendo che abbiamo presentato anche proposte emendative per la riduzione delle accise, con riferimento al costo dei carburanti, per il settore vitivinicolo e per quello florovivaistico. Ci attendiamo quindi che il Governo fornisca una risposta positiva a tali proposte emendative. Gli agricoltori, i quali avrebbero bisogno di certezze e di indicazioni strategiche, si trovano di fronte ad un provvedimento che contiene soltanto promesse prive di riscontro nella realtà e che ha un mero effetto di annuncio e di propaganda.
Il Governo e la maggioranza dovrebbero dimostrarsi capaci di definire con chiarezza il quadro delle risorse disponibili e le linee di azione prioritarie, che intendono attuare, piuttosto che prevedere misure estemporanee ed estranee ad una strategia coerente di intervento (Applausi dei deputati dei gruppi della Margherita, DL-L'Ulivo e dei Democratici di sinistra-L'Ulivo).

PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare l'onorevole Di Gioia. Ne ha facoltà.

LELLO DI GIOIA. Ci troviamo, come sempre, a discutere di provvedimenti che danno la sensazione, anzi la certezza, di determinare nel nostro paese una condizione di grande difficoltà.


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PRESIDENZA DEL VICEPRESIDENTE FABIO MUSSI (ore 11,43)

LELLO DI GIOIA. Lo stiamo verificando anche con questo decreto-legge in materia di agricoltura, che dovrebbe rappresentare in buona sostanza l'occasione per una discussione complessiva sui problemi che investono la nostra agricoltura e in modo particolare, consentitemi di dirlo, quella del Mezzogiorno d'Italia.
Il dato è che, con il provvedimento in esame, non si danno risposte all'agricoltura e tanto meno ai produttori agricoli per il semplice motivo che, come sostenuto dai colleghi del centrosinistra, siamo di fronte ad una normativa contraddittoria ed insufficiente che ha ingenerato aspettative che non verranno soddisfatte: infatti i fondi stanziati vengono semplicemente spostati da un capitolo ad un altro, anzi, per essere chiari, da un provvedimento ad un'altro.
L'agricoltura sta vivendo un periodo particolare, sia perché non vi sono le condizioni per una riconversione agricola, sia perché all'interno del nostro paese si stanno sistematicamente registrando situazioni, anche di carattere naturale, che stanno causando in misure incisivo l'abbassamento del reddito agricolo.
In tale contesto, sarebbe stata opportuna la predisposizione da parte del Governo di un piano organico per fornire risposte certe e serie al mondo agricolo ed ai produttori e, quindi, fare in modo che l'agricoltura divenisse di fatto un momento importante per la produzione del reddito nonché per l'occupazione.
Il dato vero è che le nostre campagne si stanno spopolando e che i giovani non si interessano più all'agricoltura, perché, di fatto, le aziende stanno vivendo una situazione di grande sofferenza finanziaria. Questo Governo non sta predisponendo un intervento capace di rideterminare certe condizioni di reddito e, quindi, di dare prospettive all'agricoltura, ai produttori nonché ai giovani che potrebbero trovare occupazione in questo settore.
È pertanto necessario discutere della questione con grande impegno e responsabilità. Il centrosinistra, anche rispetto a tale provvedimento, nella Commissione di merito ha tentato di porre all'attenzione del Governo i problemi che emergono nel mondo agricolo; per tutta risposta, vi è stato un atteggiamento negativo, anche se devo sottolineare, con grande onestà, che il testo del decreto-legge è stato totalmente modificato, perché il relatore si è reso conto che lo stesso non rispondeva agli impegni assunti e, soprattutto, alle aspettative del mondo agricolo e dei produttori.
Abbiamo visto cosa è accaduto qualche mese fa in alcune realtà del nostro paese. Mi riferisco, per esempio, alla Puglia, alla Calabria ed alla Campania dove i produttori sono scesi in piazza con forza relativamente alle questioni dell'uva e del pomodoro! Già precedentemente, in queste realtà del Mezzogiorno, si sono registrate situazioni di grande difficoltà. Mi riferisco alla problematica dell'olio (avvertita lo scorso anno) e della barbabietola da zucchero (si tratta di una questione che è stata avvertita negli anni passati, quest'anno e che, probabilmente, si riproporrà nel prossimo futuro).
Si tratta di un problema che si verificherà e che, già oggi, il mondo agricolo sta contestando con grande forza; infatti, diversi stabilimenti di produzione dello zucchero stanno chiudendo, soprattutto nel Mezzogiorno d'Italia. E il Governo, come risposta a tali problemi, pone in contrapposizione gli stabilimenti del sud, ad esempio quello di Termoli e quello di Foggia. Questa è la logica portata avanti dal ministro delle politiche agricole e forestali, che si è recato - come avvenuto nel corso delle precedenti campagne elettorali -, una volta, presso lo stabilimento di Termoli rassicurando i lavoratori e, una volta, presso quello di Foggia affermando la medesima cosa. Il dato vero è che questi stabilimenti probabilmente chiuderanno, determinando una ulteriore crisi del sistema economico, produttivo ed occupazionale.
Dunque, anche con riferimento alla questione del settore bieticolo-saccarifero,


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ritengo vi debba essere un grande impegno da parte del Parlamento e del Governo per evitare la chiusura di stabilimenti che creano occupazione e sviluppo. Tuttavia, non mi pare esista un piano organico, tant'è vero che nei prossimi giorni vi saranno scioperi, contestazioni e mobilitazioni da parte di agricoltori e di produttori di zucchero.
Entrando nel merito del decreto-legge al nostro esame, occorre evidenziare che il relatore ha cambiato sostanzialmente il testo presentato dal Governo, in quanto si è reso conto che non era possibile affrontare i problemi della viticoltura, della produzione di pomodori e di olio e del settore bieticolo-saccarifero attraverso l'impostazione originaria. In tale provvedimento sono state inserite disposizioni anche con riferimento ai formaggi DOP, ma sono state diminuite le provvidenze per i consorzi costituiti per tali prodotti.
Il presente decreto-legge svuota, di fatto, le illusioni alimentate durante il periodo estivo dal ministro delle politiche agricole e forestali. Dove sono i finanziamenti? Quali sono i finanziamenti? Dal precedente decreto-legge n. 22 del 2005 sono stati tolti ben 80 milioni di euro per poi inserirli in questo nuovo decreto.
Si capisce chiaramente che i fondi a disposizione per tale provvedimento sono estremamente esigui; non vi sono risorse per fornire risposta alle aspettative dei produttori che, durante il periodo estivo, avevano dimostrato la propria indignazione, il loro disappunto per la politica agricola del Governo. Oltretutto, vi è stata una ulteriore presa in giro. Infatti, i presidenti delle regioni avevano concluso accordi per risolvere i problemi emersi in quel periodo, ma oggi non vi sono le condizioni economiche per rispettare tali accordi.
Noi crediamo che sia necessario, nel momento in cui si affronta un problema serio come quello dell'agricoltura - che oggi vive momenti di grande difficoltà dal punto di vista produttivo, economico e di produzione di reddito -, parlare in modo palese e dare risposte chiare al mondo dell'agricoltura e, più in generale, dei produttori.
Siamo fortemente contrariati dal tipo di decreto sottoposto alla nostra attenzione ed è, quindi, evidente che esprimiamo forte contrapposizione alle scelte che questo Governo sta portando avanti. È per tale motivo che sono stati presentati in Commissione diversi emendamenti, a dimostrazione della grande responsabilità con cui il centrosinistra guarda a questa materia, nonostante quello attuale sia un momento particolare della vita politica e parlamentare a causa delle scelte unilaterali che avete adottato e che già oggi sono contestate dalla stessa maggioranza.
In particolare, per ciò che riguarda la riforma elettorale e, segnatamente, i criteri di elezione del Senato della Repubblica, basta leggere i comunicati diffusi da qualche senatore del centrodestra, nei quali si ripropongono le stesse tesi che abbiamo sostenuto in quest'aula. Ciò nonostante, avete assunto una posizione sbagliata, contestata dal centrosinistra che, con grande responsabilità, di fronte ad un provvedimento importante come quello in esame, ha tentato di dare una risposta sottoponendo all'attenzione della Camera emendamenti finalizzati a costruire un sistema organico all'interno del settore agricolo e creando, quindi, le prospettive necessarie perché i produttori agricoli possano avere certezze nelle loro attività. Il nostro contributo, però, non è stato accolto; il Governo non ha avuto la sensibilità per farlo. Non si è compresa la grande disponibilità che il centrosinistra ha offerto in questa discussione per fare in modo che vi fosse una considerazione diversa nei riguardi dei produttori agricoli; vi è stata, invece, la netta chiusura del Governo rispetto alle proposte emendative presentate dal centrosinistra.
Non vi è, quindi, alcuna possibilità di discussione: ci sono, semplicemente, posizioni aleatorie. Basti pensare alla questione dei de minimis, che ha formato oggetto di valutazione quest'oggi da parte dei parlamentari del centrosinistra. In particolare, i de minimis sono considerati


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in modo indiscriminato, senza una logica, senza un criterio che incida sulla produzione di qualità e sulla base di un rapporto ingiusto, estremamente esiguo, che parte da mille euro ed arriva a 3 mila euro. Che cosa può significare questa misura per un produttore agricolo che in questo periodo vive momenti di grande drammaticità dovuti a difficoltà di vario genere? Penso, ad esempio, ai danni provocati dalle alluvioni e dalla siccità e, in genere, a quelli connessi ad eventi naturali, cioè a tutte le circostanze che non consentono di determinare una condizione di reddito.
Credo che il nostro mondo agricolo in questo momento stia soffrendo in modo particolare. Nei mesi scorsi, i lavoratori agricoli hanno dimostrato grande civiltà, manifestando il proprio dissenso verso le scelte di questo Governo; ebbene, se non si compie una svolta chiara e seria rispetto ai problemi del settore agricolo, nel prossimo futuro questi lavoratori scenderanno ancora per strada per portare avanti le loro rivendicazioni di uomini che perdono i propri redditi ed hanno bisogno di un forte supporto da parte di questo Governo (Applausi dei deputati dei gruppi Misto-SDI-Unità socialista e Misto-Verdi-l'Unione).

PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare l'onorevole Nardini. Ne ha facoltà.

MARIA CELESTE NARDINI. Signor Presidente, con grandissima preoccupazione il gruppo di Rifondazione comunista si appresta alla discussione in Assemblea del decreto-legge in esame, dopo che, nel corso di questi mesi, abbiamo assistito al dibattito svoltosi in Commissione agricoltura.
Sono ormai passati due mesi dalle caldissime e preoccupanti giornate di agosto, quando sulle strade della Puglia non solo si svolgeva una serie di manifestazioni da parte di produttori, contadini e braccianti, ma si verificava anche la morte di un lavoratore che si recava in un'altra regione per lavorare. Quelle ore convulse e il movimento che stava combattendo per portare avanti le sue giuste rivendicazioni portano con sé questo terribile ricordo.
In quelle ore, risultò particolarmente attivo il ministro Alemanno; in proposito, ricordo una lunga e stancante giornata, durata dalla 15 alle 23, nella sala della prefettura gremita di produttori agricoli e di rappresentanti di associazioni, al termine della quale lo stesso ministro sbandierò la proposta di accordo.
Signor Presidente, rappresentanti del Governo (anche se questa mattina il ministro Alemanno non è presente), da queste considerazioni nasce la nostra preoccupazione. Sono passati due mesi ed a quei contadini e produttori che avevano invocato aiuti il Governo offre - e il Parlamento dovrebbe accingersi a votarlo - un decreto che non contiene nulla di quanto promesso dal ministro. Siamo convinti che tutto questo è dovuto all'inesistenza di una politica nel settore agricolo. Infatti, si dovrebbe partire da idee forti, cercando di realizzare investimenti seri. Occorrerebbe compiere delle scelte, mentre siamo di fronte ad un provvedimento il cui vero problema è già evidente fin dall'articolo 1. Questa norma prevede misure finanziarie che il Governo copre con le risorse destinate alla legge n. 71 del 2005, il vecchio decreto n. 22, finalizzato a fronteggiare la crisi del mercato ortofrutticolo. Quindi, si tratta di una sorta di coperta di Linus: con quelle risorse e con ben poche altre aggiunte furono promessi ai produttori 80 milioni di euro. Invece, si è scesi a 40 milioni di euro per i produttori di vino. Poi, il decreto è diventato altro ed è del tutto evidente che, in presenza delle varie crisi del settore, più si entra nel dettaglio e maggiori problemi emergono.
Noi deputati dell'Unione abbiamo provato, in Commissione, con una serie di emendamenti tutt'altro che ostruzionistici (nonostante fossimo in una fase di attività ostruzionistica) e di grande qualità, di introdurre elementi di cambiamento. Mi riferisco a quegli emendamenti che cercavano di affrontare alcuni problemi critici che il settore agricolo oggi sta vivendo, come quelli relativi ai costi del gasolio e


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della benzina, che gravano in modo pesante sugli agricoltori, sui floricoltori, sui pescatori e su altre categorie, che quei costi non riescono più a sostenere.
Non si tratta di una questione strumentale o ostruzionistica: noi vi rappresentiamo - e credo che voi lo comprendiate - un problema enorme, al quale non siete in grado di dare una risposta. Questo è uno dei nodi più importanti, se è vero, come è vero, che è emerso in numerosissime occasioni; lo abbiamo constatato non solo noi, che siamo andati ad ascoltare le ragioni di quella gente per tentare di dare risposte e di costruire delle ipotesi, ma anche il ministro. Credo non sia più un mistero che i debiti che gravano sulle imprese agricole e sui produttori li spingono a ricorrere al mondo dell'usura. Abbiamo presentato diversi emendamenti al riguardo e voteremo tutti quelli che comunque consentiranno di risolvere questo problema.
Abbiamo proposto che entro il mese di marzo 2006 si possa arrivare alla contribuzione del 20 per cento della somma debitoria e ad una rateizzazione. Come vedete, nessuno di noi pensa ad una sanatoria, ad un condono generalizzato, perché noi non siamo mai stati su questa strada, a differenza di voi. Questa è un'altra delle grandi questioni che noi abbiamo posto. Mi riferisco al caro gasolio, alla questione dei contributi ed a quella delle infrastrutture. Signor Presidente, in Campania, quando piove, ci sono grandi problemi; la situazione viaria è drammatica. Siamo passati di crisi in crisi; nell'arco di qualche mese, dalla crisi del settore bieticolo-saccarifero - richiamata da molti colleghi - siamo passati alla crisi del pomodoro, che ha causato tanti problemi in Puglia. Abbiamo partecipato ad incontri, anche presso il ministero, alla fine di agosto e all'inizio di settembre, dai quali sono emersi problemi gravi legati ad episodi di illegalità e di criminalità organizzata, sui quali non possono più essere stesi veli. Abbiamo tentato di fare chiarezza in proposito, chiedendo al ministro di svolgere una serie di controlli e di darne conto. Abbiamo visto entrare ed uscire dai caselli autostradali i camion vuoti; qualcosa vorrà pur dire questo, signor Presidente!
Siamo inoltre passati dalla crisi del pomodoro, che ha investito sia la Puglia sia la Campania in maniera assai pesante, alla crisi dell'uva da vino e dell'uva da tavola.
Ci era stato detto che per la «distillazione di crisi» avremmo chiesto a Bruxelles (così è avvenuto) una quota di distillazione di 6 milioni di ettolitri. Signor Presidente, ce ne sono stati accordati soltanto due milioni! Non so se tale quantità possa corrispondere alla reale crisi del settore vitivinicolo del nostro paese, soprattutto nel sud (ma riguarda anche altre aree). Come mai, signor Presidente, a Francia e Spagna non è stato riservato analogo trattamento?
Come ricordavo, nel primo articolo del provvedimento sono affrontate le questioni finanziarie. Si tratta, in particolare, delle risorse relative agli aiuti de minimis, l'unica misura presente in questo decreto. Tradotto in cifre, si tratta di un intervento massimo di 3 mila euro per agricoltore, o meglio per coloro che, ovviamente, potremo inserire in un albo, in un registro. Vedremo quante saranno le domande. Probabilmente, non a tutti potrà essere concessa questa soluzione. Tremila euro corrispondono a circa 6 milioni delle vecchie lire, ma è necessario tener conto degli ettari di terreno e del numero di bovini adulti. Che criterio è questo, signor Presidente? Non si tiene conto del tipo di coltura, né della qualità del prodotto. L'intervento, per la precisione, va da un massimo di 3 mila fino a mille euro.
Dopo tutta questa «traversata», dopo tutte queste promesse e alla fine di questa «giostra», ci presenteremo ai produttori, agli agricoltori, con queste misure? Certamente si potrà dire che sono meglio di nulla; va bene, ma 3 mila euro sono forse meglio di una risposta seria? Certo, non si chiudono le porte rispetto a questa previsione, ma non possiamo accettare una risposta simile da parte di un Governo che va continuamente sbandierando certe dichiarazioni, con un attivismo sfrenato. A


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volte abbiamo anche apprezzato l'attività del ministro. Lo abbiamo fatto nel momento in cui venivano assunti degli impegni. Ma non possiamo oggi apprezzare un Governo che si presenta con questo strumento e fornisce questo tipo di risposte.
Signor Presidente, perché oggi siamo in difficoltà nella scelta delle risorse? Perché il problema è a monte, in quell'unico strumento che costituisce la «bandiera» di un Governo: la legge di bilancio, la legge finanziaria. È nella finanziaria che le scelte vanno realizzate.
Oggi vorremmo sapere quali sono i fondi che restano a disposizione del settore agricolo. Ancora non riusciamo a saperlo. Diversi deputati lo hanno chiesto al Governo: nei prossimi giorni ci attendiamo queste risposte. Avremmo potuto pensare di attingere risorse altrove, ma il problema - ripeto - è a monte.
Vorrei chiedere un chiarimento a questo Governo, che si accinge a presentare un'altra finanziaria «salata». Perché avete impegnato tanti fondi dello Stato per le armi, per le guerre, quando tali fondi erano necessari per sanare l'agricoltura? Perché avete voluto sottrarli alla possibilità di ripresa del mondo agricolo e, quindi, del benessere del paese? È proprio di questo che stiamo parlando, della salute del paese. Perché non è indifferente, signor Presidente, ciò che si mangia e, anzitutto, se possiamo mangiarlo; ossia se siamo nelle condizioni economiche per poter accedere alla tavola.
Nel corso di questi mesi abbiamo anche scoperto questo nel mondo agricolo. In particolare, abbiamo verificato che proprio in quelle aziende i cui titolari avevano inseguito sogni e impegnato i loro soldi pensando di poter costruire un futuro per i loro figli, i giovani non potranno viverci e saranno costretti ad andare via, non sappiamo dove, giacché all'orizzonte non si vedono spiragli. Quei giovani, ripeto, nella loro terra non potranno continuare a viverci se è vero, com'è vero, come ci diceva un contadino in quelle giornate molto calde - calde in tutti i sensi -, che un contadino deve riuscire a vendere tanti chili di uva per potersi permettere un caffè. Noi, di fronte a tali problematiche, non sappiamo far altro che offrire una goccia di acqua, anzi una goccia di acqua salata (Applausi dei deputati del gruppo di Rifondazione comunista)!

PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare l'onorevole Lumia. Ne ha facoltà.

GIUSEPPE LUMIA. Signor Presidente, con questo decreto-legge non ci siamo! Quello in esame è un provvedimento tampone, limitato, insufficiente e contraddittorio che, da ultimo, si va trasformando nell'ennesimo decreto-legge omnibus, mancante di una strategia a sostegno della crisi del settore agricolo e finalizzato a prevedere interventi, anche clientelari, con coperture finanziarie insufficienti. Si tratta di un decreto-legge che non tiene in considerazione gli accordi seri conclusi con gli agricoltori e con i produttori e destinati a far fronte ad una stagione di crisi profonda del settore, che ha fatto registrare la mobilitazione di energie, passione, impegno e fatica di molti produttori, delle associazioni professionali e dei presidenti di regione, con in testa quello della regione Puglia.
Non ci siamo! I produttori agricoli stanno vivendo una crisi senza precedenti. I prezzi all'origine di tutti prodotti agricoli sono crollati; al contrario, i prezzi al consumo rimangono ancora alti. L'assenza di politiche pubbliche di intervento lungo tutte le filiere, soprattutto nel raccordo tra i vari momenti della produzione, della trasformazione e della commercializzazione, sia nei contesti locali sia in quello mondiale, ha creato dei vuoti ed ha messo in serio pericolo il presente ed il futuro delle aziende agricole italiane.
Nel Mezzogiorno la situazione è drammatica. In Puglia e in Sicilia siamo ormai di fronte ad un contesto che rischia di far regredire la stessa realtà sociale del mondo agricolo. L'esasperazione rimane, quindi, alta. Solo grazie alla responsabilità di alcuni sindaci molto accorti e capaci di guidare la protesta avviatasi in Puglia e in Sicilia abbiamo evitato sia disordini gravi sia che sulla crisi del settore agricolo


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potesse cadere il silenzio, potesse cioè cadere quella sorta di velo che occulta la realtà a causa anche di un'informazione, spesso anche pubblica, che non ha saputo, salvo rare eccezioni, dare voce e rappresentanza ai soggetti interessati né descrivere quanto sta avvenendo nel comparto in questione.
Dobbiamo ringraziare i sindaci Rubino e Aiello e gli altri sindaci, di centrodestra e centrosinistra, che insieme hanno capito che la cosa è seria, che hanno contestato questo Governo, che hanno incalzato il Parlamento e che hanno costretto molti parlamentari, anche della maggioranza, a prendere atto della grave crisi esistente nel settore nonché del fatto che il decreto-legge in esame non è in grado di fornire una risposta sufficiente.
Le proteste ancora continuano. Sono proprio di queste ore le iniziative promosse in Sicilia da molti produttori nei confronti degli ispettorati agrari. È sufficiente telefonare agli ispettorati per apprendere che tali iniziative sono ancora in corso.
Le promesse che sono state fatte, del tutto inadeguate, non sono state nemmeno mantenute. Anche nel settore vitivinicolo, si pensava di bloccare la protesta con gli incontri del ministro Alemanno in Puglia ed in Sicilia, nel corso dei quali erano stati promessi mari e monti. I produttori agricoli hanno dovuto constatare che c'è inganno, che non c'è serietà, che non c'è progettualità e, di conseguenza, anche in queste ore sono in agitazione: nei comuni delle province di Trapani, Agrigento e Palermo, i produttori vitivinicoli stanno occupando le aule dei consigli, interloquiscono e cercano di far valere, ancora una volta in modo onesto, razionale e responsabile, le loro ragioni, che non sono di un settore specifico, ma di tutta l'agricoltura e che dovrebbero diventare anche le ragioni della politica (purtroppo, ancora non è così).
Ne approfitto per segnalare alcune difficoltà nelle quali il mondo agricolo si è imbattuto quando si è mosso. In particolare, non posso non ricordare le intimidazioni che hanno subito alcuni produttori. Si pensi a quello che è successo alla cantina Alto Belice, nella zona di Corleone: oltre alle minacce indirizzate al presidente ed al consiglio di amministrazione, è addirittura arrivata quella di far saltare gli impianti di questa storica ed importante cantina del panorama vitivinicolo siciliano.
Insomma, siamo di fronte ad una situazione realmente grave che va presa sul serio, anche perché è in atto un processo di regressione sociale. Il movimento contadino aveva contribuito a trasformare gli agricoltori da semplici braccianti a produttori autonomi, coltivatori diretti, imprenditori titolari di piccole aziende agricole. I figli hanno potuto studiare, le aziende hanno saputo innovare e si sono inserite anche in fette di mercato importanti. Ebbene, oggi, esse rischiano di tornare indietro, con il conseguente regresso sociale e con ripercussioni pesanti sulla loro vita e sulla condizione economica del sud, della Puglia e della Sicilia. Inoltre, dobbiamo anche denunciare l'aggressione delle mafie - con il racket e l'usura nelle campagne - che adesso provano a fare un salto di qualità: cercano di entrare dentro le aziende, strangolate dai debiti, abbandonate, lasciate sole. Insomma, non c'è sostegno né alla sicurezza delle aziende agricole né al loro serio sviluppo.
Basti pensare agli accordi internazionali che il ministro Alemanno, insieme alla grande distribuzione italiana, ha concluso con alcuni paesi del Mediterraneo (si tratta dei famosi green corridors, dei corridoi verdi). Le merci di tali paesi entrano in Italia senza essere sottoposte a controlli fitosanitari adeguati, nemmeno a quelli che vengono effettuati sui nostri prodotti agricoli. In cambio, esporteremo i prodotti industriali del nord!
Insomma, non si stanno mettendo l'Italia, il Mezzogiorno e la Sicilia in condizione di fronteggiare la sfida del Mediterraneo, la sfida del mercato unico del Mediterraneo, per affrontare la quale bisognerebbe far vivere all'agricoltura italiana un momento di coesione e di valorizzazione di tutte le produzioni ed occorrerebbe fare in modo che essa costituisca


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un corpo unico, allo scopo di evitare una concorrenza interna spesso sleale e fratricida che, da un lato, mette in ginocchio i comparti agricoli del Mezzogiorno e, dall'altro, non procura i promessi benefici alle realtà agricole dei paesi che si affacciano sul Mediterraneo.
In altre parole, assistiamo ad una guerra misera, all'ennesima guerra misera! Essa dimostra, ancora una volta, l'assenza di una progettualità ampia, capace di collocare il tessuto agricolo del Mediterraneo dentro la competizione mondiale e di assicurare un miglioramento dei prodotti agricoli ed anche del rapporto con i consumatori.
Per quanto riguarda la copertura finanziaria di questo provvedimento, ci siamo divertiti a constatare, in realtà con amarezza, che si sta attuando il gioco delle tre carte. Si prendono le risorse destinate alle crisi e alle calamità e si trasferiscono al decreto-legge n. 22 del 2005, con cui si cerca di affrontare un altro tipo di crisi, vale a dire quella del mercato che, nei mesi scorsi, ha coinvolto interi settori, soprattutto ortofrutticoli. Poi, il decreto-legge n. 22 è messo da parte e quelle risorse, che erano state precedentemente destinate soprattutto alle calamità, ora servono a «coprire» questo ulteriore decreto-legge: siamo, appunto, alla terza carta. Ma se scopriamo la terza carta, ci troviamo di fronte all'insufficienza delle risorse stanziate. Man mano che il ministro Alemanno si sposta sul territorio, promette. Man mano che si trova di fronte alla drammatica realtà della crisi di tutti i comparti dell'agricoltura, promette. Man mano che si va avanti nel tempo, si aggiungono ulteriori necessità di intervento. Chissà a quanti settori agricoli e a quante regioni deve dare risposte quel plafond di 130 milioni di euro!
Lo verificheremo, quando, al momento cruciale, sarà svelata la verità, perché si dovranno fare i conti seriamente e, «guardando negli occhi» delle varie regioni, si dovranno porre in essere scelte più vere e più serie.
Qualcuno penserà che, mancando pochi mesi alla fine della legislatura, si arriverà alle elezioni con ancora alcuni nodi da sciogliere e con molte promesse non esaudite, sperando di varcare quella soglia e di lasciare a chi arriverà la gestione di una situazione non solo di crisi ma anche di caduta dell'autorevolezza che le istituzioni dovrebbero dimostrare in una situazione realmente difficile.
Per quanto riguarda il nostro rapporto con Bruxelles, ancora una volta, non si è chiari. Anche in questo caso, si è deboli: è un Governo debole nell'interlocuzione con la Commissione europea; è un Governo debole, che non è in grado di arrivare per tempo; è un Governo debole che non ci ha ancora spiegato cosa veramente sia successo con il decreto-legge n. 22.
Il ministro Alemanno, invitato ripetutamente dai Democratici di sinistra, dalle altre forze dell'opposizione e anche da qualche singolo parlamentare di maggioranza - spesso, lo devo ammettere, sotto tono, all'orecchio, strattonando la giacca, raramente a testa alta e nei luoghi istituzionali più adatti a fare questo lavoro - non ha saputo fornire risposte o, forse, non ha voluto o, viceversa, poteva e non voleva o voleva e non poteva. Anche su ciò, non abbiamo notizie serie e chiare.
Il risultato è che andata in fumo la possibilità di intervenire e di affrontare il problema delle calamità e della crisi di mercato, di aprire un varco, di intervenire seriamente con le risorse pubbliche, per far fare un salto di qualità ai vari prodotti agricoli durante le crisi di mercato. Anche rispetto a ciò, si è di fronte ad un crollo di autorevolezza e di lealtà da parte di questo Governo nei confronti del mondo agricolo.
Vorrei richiamare anche l'esempio dell'intervento sugli aiuti de minimis. Anche in questo caso non si capisce il tipo di copertura e quante risorse saranno stanziate per questo intervento che - lo sappiamo tutti - è una piccola, piccola cosa, che onestà vorrebbe che si presentasse per quello che è, ossia un piccolo, piccolo intervento, legato alla previsione dei 3 mila euro. Il relatore sa che forse questa somma non sarà elargita e forse gli agricoltori potranno aspirare al massimo a


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mille euro, perché conosciamo il modo in cui si sta allargando questo tipo di intervento in una realtà in crisi.
Ecco perché, anche a tale riguardo, non si fa chiarezza: si lascia la questione nell'indeterminatezza tentando di «vendere» per grande un intervento minimo, piccolo, senza far trasparire la verità e precisare che, molto probabilmente, non si tratterà neppure di 3 mila euro messi a disposizione delle singole aziende agricole.
Nel settore vitivinicolo, siamo giunti al confronto con la Commissione europea senza autorevolezza ed in ritardo; sì, anche in ritardo. Quanto si poteva compiere per tempo - ad esempio, chiedere la distillazione di crisi - è stato fatto molto in ritardo rispetto ad altri paesi, quali la Francia, la Spagna il Portogallo, la Grecia...

PRESIDENTE. Onorevole Lumia...

GIUSEPPE LUMIA. Siamo arrivati così in ritardo da non ottenere le quote che, invece, si dovevano conseguire per dare una risposta seria alla crisi del settore vitivinicolo, con l'adozione, appunto, di tale procedura. Non siamo riusciti ad ottenere neanche un rimborso che fosse pari a quello conseguito dalla Francia e dalla Spagna, ovvero 1,94 euro; abbiamo invece perso, per questo grave ritardo, già adesso, nella comparazione con gli altri paesi, una somma considerevole. Ma potevamo ottenere molto di più perché, se fossimo intervenuti in tempo, quando realmente già si profilava la crisi del settore, avremmo potuto avere addirittura, in base ai calcoli che si configurano in questo settore, 2 euro e 50 centesimi piuttosto che l'1,91 ottenuto adesso.
Insomma, siamo in ritardo e senza autorevolezza; manca un'adeguata politica nazionale di supporto alle regioni ed al modo agricolo. Non si prevede alcuna misura finalizzata all'abbattimento dei costi, così come è stato denunciato più volte da parte dei nostri parlamentari in Commissione e ora in Assemblea. In particolare, con riferimento ai costi previdenziali e fiscali ed alla situazione debitoria, non si prevede alcunché, così come verifichiamo anche con riferimento alla ipotesi di rateizzazione. Mancano inoltre interventi relativi ai trasporti ed al gasolio. Ricorderete, parlamentari del centrodestra eletti in Sicilia, quando nella passata legislatura infiammavate le piazze, promettendo «mari e monti»: come sono lontani quei tempi! Ricorderete quando, sul versante dei trasporti, promettevate alle aziende del settore l'abbattimento del costo della benzina - allora sostenevate - a mille lire o quando promettevate agli agricoltori l'abbattimento del costo del gasolio, del 50 o dell'80 per cento! Niente di tutto ciò è stato fatto; sono trascorsi mesi, anni, si sta concludendo la legislatura ma ancora, quelle promesse sono lì, scolpite nella testa e nel cuore dei produttori agricoli e degli autotrasportatori...

PRESIDENTE. Onorevole Lumia...

GIUSEPPE LUMIA. E diventeranno...

Una voce: Tempo!

GIUSEPPE LUMIA. ...oggetto di giudizio nei vostri confronti.

PRESIDENTE. Mi ero distratto, onorevole Lumia, ma le devo far osservare che ha superato di molto il tempo a sua disposizione.

GIUSEPPE LUMIA. Concludo, signor Presidente.
Sul caro-prezzi, voglio solo ricordare che la misura individuata in questo decreto-legge è stata chiesta anche da noi; vorremmo però diventasse una misura seria e a tal fine bisogna prevedere penalità serie, con l'effettuazione di controlli fiscali nei confronti di quanti non mettano realmente quelle catene di distribuzione e quelle aree commerciali a disposizione della valorizzazione dei prodotti agricoli.
Ma chiedo, Presidente, perché...

PRESIDENTE. Onorevole Lumia, la prego...


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GIUSEPPE LUMIA. ... non ci confrontiamo sulla legge in materia di prezzo all'origine, sullo strumento che mette il consumatore nelle condizioni di conoscere il prezzo per l'agricoltore e quello finale.
Ecco perché, dinanzi all'assenza, in questo decreto-legge, delle tante previsioni che sarebbero invece necessarie, la fiducia che eventualmente porrete si tradurrà ancora una volta in una sfiducia nei riguardi del mondo agricolo, che vi ha già voltato le spalle (Applausi dei deputati del gruppo dei Democratici di sinistra-L'Ulivo).

PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare l'onorevole Sedioli. Ne ha facoltà.

SAURO SEDIOLI. Signor Presidente, onorevoli colleghi, siamo dinanzi all'ennesimo «provvedimento pasticcio»; l'avvio della discussione lo ha dimostrato, palesando l'assenza di adeguate coperture finanziarie. Sulle coperture, noi abbiamo cominciato il dibattito ma ancora non si è fatta chiarezza.
Sarà difficile, signor Presidente e onorevoli colleghi, tramutare un pasticcio in un bel soufflè! Noi ci abbiamo provato, attraverso la presentazione di proposte emendative. Se esse saranno accolte, miglioreremo il provvedimento in esame; tuttavia, siamo ancora molto distanti rispetto alle esigenze avvertite dai nostri imprenditori agricoli, che stanno vivendo una situazione ormai insopportabile. Il loro reddito, infatti, è stato colpito duramente.
Vorrei segnalare che, in una recente manifestazione, è stato esibito un cartello molto esplicito, che diceva: «Il primo anno si sopporta e si tampona, ma il secondo anno si abbandona!». Signor Presidente, siamo già al terzo anno di crollo del reddito degli agricoltori, che forse non accettano più i tamponamenti, ma scelgono la strada dell'abbandono. Credo sia questo il vero rischio che corriamo.
Stiamo esaminando un decreto-legge che, come spesso capita (direi quasi sempre), viene adottato sulla base di motivazioni di urgenza (a volte, anche limitata), ma diventa successivamente, come in questo caso, un decreto omnibus. Vorrei ricordare che, in Commissione agricoltura, abbiamo discusso persino dei criteri di promozione del personale del Corpo forestale dello Stato!
Ebbene, con tale provvedimento si vogliono affrontare i problemi della crisi di mercato, sui quali tornerò (anche con riferimento alle proposte emendative che abbiamo presentato); l'altro aspetto è rappresentato dal contrasto agli andamenti anomali dei prezzi nelle filiere agroalimentari. Si tratta sicuramente della parte più debole del decreto-legge in esame, che avrebbe potuto essere affrontata senza ricorrere alla solita giustificazione che «la coperta è troppo corta», vale a dire che non sono disponibili risorse finanziarie.
No: si poteva fare di più, senza ricorrere ad eccessive spese di carattere pubblico! Infatti, il contrasto agli andamenti anomali dei prezzi nelle filiere agroalimentari prevede l'adozione di metodi di rilevamento del tutto inefficaci, al massimo utili alla statistica, senza disporre serie misure sanzionatorie, anche di carattere fiscale, per i trasgressori.
In ordine alla questione della cosiddetta forbice che si è determinata tra i prezzi alla produzione e quelli al consumo, inoltre, vorrei ricordare che avevamo avanzato proposte emendative concrete nell'ambito dell'esame del decreto-legge n. 22 del 2005, convertito nella legge n. 71 del 2005. Avevamo affermato che era necessario agli effetti degli interessi non solo dei produttori, ma anche dei consumatori individuare un percorso capace di garantire la tracciabilità sia del prodotto sia del prezzo. Il consumatore, infatti, deve certamente conoscere non solo l'origine di un determinato bene, il luogo di produzione, i metodi impiegati e tutti i passaggi della sua trasformazione, ma anche la tracciabilità del prezzo, per poter individuare i diversi passaggi subiti da quest'ultimo.
Ciò perché troppe volte il prezzo esoso al consumo viene scaricato sul produttore, che è la vera e propria vittima di tale situazione. È bene, dunque, che il consumatore sappia quanto è stato pagato al produttore e quali siano stati, invece, i


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costi sostenuti per la trasformazione, il confezionamento e la commercializzazione del prodotto, perché solo così può comprendere dove risiedano le responsabilità e quali misure sia possibile adottare.
Il ministro competente affermò, allora, che la nostra era una proposta ancora troppo lontana dalla realtà e, dunque, quasi impossibile da applicare. Ricordo che proponemmo anche l'adozione di un sistema sperimentale, al fine di verificare quali correzioni dovessero essere apportate e quali strade potessero essere intraprese. Il ministro ci rispose che avrebbe affrontato successivamente il problema, nell'ambito di provvedimenti successivi, soprattutto quello a favore della competitività, ma non abbiamo visto nulla!
Onorevoli colleghi, è un anno esatto che il Governo sta affrontando il problema della crisi di mercato. Il decreto-legge in esame dovrà essere convertito entro il 9 novembre prossimo; tuttavia, vorrei ricordare che il primo provvedimento sulle crisi di mercato venne adottato nel novembre 2004, vale a dire un anno fa: si trattava del decreto-legge n. 280 del 2004.
Quel decreto-legge ha fatto una brutta fine perché era completamente errato ed è decaduto, appunto, perché sbagliato e non a causa dei tempi di conversione. Esso prevedeva l'intervento nelle crisi di mercato qualora i prezzi avessero fatto registrare un crollo del 30 per cento rispetto all'anno precedente: una strada impraticabile! Successivamente al suo decadimento, avvenuto nel gennaio 2005, è stato adottato il decreto-legge n. 22 del 2005, convertito successivamente nella legge n. 71 del febbraio 2005. Con tale ultimo provvedimento è stato cambiato tutto il sistema: non vi era più la diminuzione del prezzo del 30 per cento, ma la riduzione del reddito al 30 per cento.
Ma, in questo caso, al pari di quello precedente, tale misura non era stata discussa né confrontata con le disposizioni di carattere europeo e si sono commessi errori enormi che noi avevamo denunciato, quale quello di prevedere l'intervento del 30 per cento della riduzione del reddito, senza esaminarne la causa, così che un imprenditore che aveva fatto il suo dovere, che aveva fatto investimenti, ma che era stato colpito dalla crisi di mercato, avrebbe dovuto successivamente dividere i pochi soldi rimasti con l'imprenditore che non aveva fatto il suo dovere ed aveva verificato un calo di reddito a causa della sua incapacità imprenditoriale. Tale sistema non funzionava. Non solo: il decreto-legge n. 22 del 2005, convertito successivamente nella legge n. 71 del 2005, aveva una copertura finanziaria assolutamente inadeguata.
Giungiamo oggi all'esame del decreto-legge n. 182, del settembre 2005. Ebbene, è trascorso un anno in cui il Governo si è arrabattato in tutti i modi ma senza esiti. I produttori agricoli continuano, all'emanazione di ogni provvedimento, a porsi alcune domande, senza sapere, dal momento che il decreto-legge è immediatamente efficace, in che modo le misure urgenti saranno convertite. Tali domande scompaiono nel nulla, perché o il provvedimento decade, o viene - come è accaduto per il decreto-legge n. 22 del 2005 - di fatto annullato e gli agricoltori non possono avere neanche una minima risposta alle proprie domande.
Onorevoli colleghi, di fatto, il decreto-legge n. 22 del 2005, convertito successivamente nella legge n. 71 del 2005, non è stato affossato dall'Europa. Ancor prima, lo ha affossato il Governo italiano, con la presentazione del decreto n. 182 del 2005, che stiamo esaminando, privando di fatto di risorse il primo provvedimento. Si obietta che i due provvedimenti si integrano tra loro. Non è assolutamente così. Consideriamo le risorse: non si sommano una con l'altra nei due provvedimenti ma un decreto-legge «ruba» le risorse all'altro decreto-legge. Non siamo di fronte, quindi, a sinergie, ma a situazioni alternative.
Abbiamo, dunque, la necessità di fare chiarezza su tali questioni, soprattutto dopo che - come ricordavo - è passato un anno senza esiti, nel corso del quale sono soltanto aumentati i motivi di tensione nelle campagne.
Abbiamo affrontato in Commissione la discussione, con la presentazione dei nostri


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emendamenti, su un testo che è stato successivamente modificato integralmente per effetto della presentazione di un emendamento da parte del relatore - emendamento giusto, perché la situazione precedente non era sostenibile -, che ha comportato un ribaltamento del testo originario del decreto-legge. Quindi, ci siamo trovati nella condizione di avere svolto audizioni su un testo che non era quello che oggi discutiamo.
La Conferenza Stato-regioni aveva esaminato il testo precedente e non conosciamo il pronunciamento di tale organo nella nuova versione. Rischiamo, proprio a causa del ricorso al de minimis, in cui vi sono competenze esclusive da parte delle regioni, di aprire un contenzioso tra Stato e regioni e con l'Europa, proprio perché si tratta di un aspetto non concordato.
Se il de minimis permette allo Stato membro di ricorrere a questa misura, senza che le domande debbano tornare a Bruxelles, i criteri debbono essere stabiliti dalla Comunità europea e noi non conosciamo ancora il suo parere sull'applicazione di questa misura.
Anche sul de minimis credo che si debba fare chiarezza. Si parla di 3 mila euro, ma bisogna capire che i 3 mila euro costituiscono il massimo del de minimis e che nessuno riuscirà a percepire 3 mila euro in tre anni.
Ricordo che il de minimis è la misura più piccola che permette agli Stati membri di intervenire senza presentare domanda a Bruxelles. È una misura così piccola da non essere considerata agli effetti della concorrenza sleale. I 3 mila euro per azienda in tre anni rappresentano il massimo, perché tale somma sarà modulata in 2 mila euro o in mille euro per azienda, a seconda delle dimensioni dell'azienda stessa e delle unità zootecniche. Soprattutto, inoltre, avremo a disposizione non più di 130 milioni di euro in tre anni. Questo è il tetto al de minimis a livello nazionale e deve essere suddiviso per tutte le crisi che ci sono state nel nostro paese, non solo per l'uva della Puglia, ma per tutte le crisi in tutto il territorio nazionale: nel settore bovino, caprino, cerealicolo e, addirittura, per quanto riguarda i pomodorini (ho visto un emendamento in tal senso), ossia - ripeto - in tutti i settori e su tutto il territorio nazionale! Immaginate di dover dividere i 3 mila euro per azienda per tutte le situazioni di crisi e per tutte le aziende che hanno dovuto sopportarle. Se va bene, prenderanno 200 euro a testa. Se va bene...!
Siamo di fronte ad un de minimis che è più vicino al nulla che al minimo. Ecco perché è sbagliato parlare di 3 mila euro per azienda in tre anni. Sarebbe già poco, ma siamo largamente al di sotto di tale cifra.
Abbiamo la necessità, quindi, di affrontare questi problemi non più soltanto con interventi urgenti. Abbiamo chiamato «intervento urgente» un decreto sulle crisi di mercato del novembre dell'anno scorso e ancora non abbiamo risolto nulla! Forse, se avessimo adottato un disegno di legge, avremmo potuto discutere meglio e oggi saremmo nelle condizioni di fornire maggiori elementi di certezza alle nostre aziende.
Fra l'altro, si pone anche una questione delicata in questo provvedimento. Essa riguarda l'applicazione di una normativa che esclude gli agricoltori senza iscrizione previdenziale dai contributi comunitari. In altre parole, coloro che non abbiano un'iscrizione previdenziale e che non siano in regola con i pagamenti dei contributi previdenziali non incassano i contributi della Comunità europea.
In Italia vi è una situazione disastrosa da questo punto di vista, che il Governo aveva promesso in più occasioni di affrontare. C'è stato un tavolo per la riforma previdenziale in agricoltura fra il Ministero del welfare e il Ministero per le politiche agricole, ma non c'è stata una sola riunione!
Il ministro promette di affrontare il problema nell'ambito del maxiemendamento alla legge finanziaria. Io non so come farà e non so con quali risorse. Mi permetto, quindi, di non credere a questa prospettiva o, perlomeno, ritengo che si tratti di un'altra promessa che ritroveremo nella legge finanziaria, che comunque sarà


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inapplicabile in attesa di regolamenti attuativi e di tutto il resto, proprio perché, magari, contrasterà anche con le normative di carattere europeo.
Forse si dirà, come ho sentito anche in interventi precedenti, che siamo di fronte ad un intervento che, almeno, dà qualcosa. Ma - dicevo prima - è qualcosa che è più vicino al nulla che al minimo.
Ben altri provvedimenti sarebbero stati necessari! Il ministro ci ha inviato una lettera-proclama proprio in questi giorni, nella quale dice che bisogna realizzare il piano straordinario per la ristrutturazione delle filiere agroalimentari. Scopre - leggo testualmente - che «l'agricoltura italiana non può attendere il compimento dei riti della politica per procedere sul terreno delle riforme e della modernizzazione». Se la prende con il corporativismo, con l'assistenzialismo, con gli interessi lobbistici, con le proteste demagogiche. Ma il ministro dov'era in questi cinque anni? Solo oggi viene folgorato sulla via di Damasco, con una conversione a 180 gradi, e ci racconta che è necessario un piano straordinario per la ristrutturazione delle filiere agroalimentari che, probabilmente, farà la fine del piano ortofrutticolo? Nel mese di luglio egli aveva detto agli agricoltori che il piano era pronto: non l'abbiamo visto. In un'audizione alla Camera aveva dichiarato che anche il piano bieticolo-saccarifero era pronto: non abbiamo visto nulla!
Ebbene, credo sia ora di smetterla con i proclami e sia necessario, invece, passare ad una politica seria, a misure efficaci per quanto riguarda gli aspetti strutturali che determinano la crisi di mercato. Abbiamo bisogno, quindi, di un confronto e di misure che questo Governo non è più in grado di approntare. Ci ha portato a fine legislatura senza aver fatto nulla, senza aver affrontato le questioni che si pongono nel mondo agricolo, ed oggi ci viene a dire che bisogna realizzare il piano per la ristrutturazione delle filiere agroalimentari. Ciò accade proprio all'ultimo minuto, quasi a dire: io l'avrei fatto, ma non c'è il tempo. No, il tempo c'era, e lo poteva fare sicuramente negli anni scorsi (Applausi dei deputati del gruppo dei Democratici di sinistra-L'Ulivo)!

PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare l'onorevole Bellotti. Ne ha facoltà.

LUCA BELLOTTI. Signor Presidente, intervengo come una sorta di «frangivento», interrompendo queste ondate di mistificazione, di rappresentazioni verosimili dello stato dell'agricoltura italiana. Dico verosimili perché, in un quadro magari anche reale, vengono inserite situazioni assolutamente false, atte a rendere tale quadro, e comunque la soluzione finale, assolutamente distorti rispetto alla realtà.
Ci viene rimproverato che questo testo non sia nient'altro che il frutto di politiche volte ad un rattoppamento della situazione attuale, alla pura e semplice difesa di posizioni già consolidate. Mi chiedo, in effetti, cosa le sinistre si aspettino da un decreto-legge che reca interventi urgenti in agricoltura. Forse, nonostante la nostalgia mai sopita che sembra pervadere alcuni settori dell'Assemblea per le pianificazioni sovietiche, potremmo ragionare, una volta tanto, sul quadro di insieme in cui si colloca un provvedimento per giudicarne la necessità.
Non vi sorprendo se affermo che i fondi destinati al settore agricolo sono insufficienti. Certo, è senza dubbio vero che l'ideale sarebbe aumentare gli stanziamenti destinati all'AGEA, acquistare tutte le produzioni in eccesso e, magari, rafforzare i programmi di cooperazione con i paesi in via di sviluppo. Il problema è rinvenire i finanziamenti. Se dobbiamo ragionare con disponibilità immaginarie, come fa la sinistra, siamo tutti bravissimi ad erogare fondi. Teoricamente, chiunque, con una disponibilità illimitata, sarebbe capace di gestire l'agricoltura italiana. Sotto tale punto di vista, i vincoli europei pongono almeno un freno a certe gestioni un po' troppo disinvolte che erano usuali in passate legislature.
Se la carenza di fondi non bastasse, sarebbe utile ricordare che il Governo ha dei limiti nell'erogare ulteriori risorse per


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il settore primario. Lo stesso Governo è riuscito a far ottenere, comunque, all'Italia il terzo posto in ordine agli stanziamenti dell'Unione europea in materia di agricoltura, dopo la rivisitazione della politica agricola comunitaria: il terzo posto su 25 paesi, non su 15. Per la prima volta, dopo molti anni, l'agricoltura ha ritrovato un ruolo di centralità che non le era mai appartenuto e sarebbe davvero ingeneroso non riconoscerlo, oltre che palesemente disonesto.
Ritengo sia doveroso sottolineare che il nostro paese ha superato la Francia, per quanto riguarda la certificazione dei prodotti di qualità. Sarebbe sicuramente ingeneroso non ricordare quanto è stato fatto in questo periodo sul piano della qualità e della sicurezza delle nostre produzioni, nonché la posizione assunta dal nostro paese nei confronti degli organismi geneticamente modificati. In Europa, le lotte sostenute per la difesa dei settori giudicati strategici, perché d'eccellenza, hanno portato altrettante vittorie, come è accaduto, ad esempio, per la tutela del nostro olio d'oliva. La tabacchicoltura e la bieticoltura, che sembravano essere vittime sacrificali sull'altare degli interessi di poteri che ben conosciamo, e che spesso voi colleghi della sinistra difendete, sono state salvate dall'intervento del nostro Governo. Sarebbe inoltre ingeneroso non ricordare che è stato autorevolmente portato a casa un provvedimento sulle quote latte che nessuno di noi si sarebbe mai aspettato, nonché la difesa dei marchi di qualità delle nostre produzioni.
Credo che questo Governo, contrariamente a quello che è successo in passato, non abbia mai svenduto in Europa l'agricoltura italiana, magari per qualche quota d'acciaio in più! Il rilancio del made in Italy è il nostro progetto. È diventato nostro nel momento in cui abbiamo deciso di realizzarlo, ponendo in essere politiche tali da concretizzarlo, anche attraverso provvedimenti urgenti, come quello che stiamo esaminando. Oggi è in atto una selezione spietata. I paesi più poveri riescono a produrre colture a prezzi più competitivi, per l'inconsistenza del prezzo della manodopera internazionale. L'unico modo di difenderci è specializzarci, non illudendo l'agricoltore con erogazioni illimitate, bensì guidandolo verso quei tipi di coltivazione rispetto alle quali nessun prezzo più basso può dissuadere dall'acquisto dei prodotti dell'agricoltura italiana.
L'articolo 1 del decreto-legge in esame affronta il tema del sostegno alla viticoltura nel Mezzogiorno, e noi siamo ben disposti a scommettere sulla qualità della nostra produzione. Il regime de minimis, che possiamo definire in modo semplice ed esplicativo come un aiuto concesso alle singole imprese, è un sostegno che viene giudicato indispensabile al fine di assicurare un pieno assorbimento del prodotto da parte dei grossisti. Tuttavia, esso sfiora sempre le norme europee in materia di aiuto di Stato. D'altra parte, altre prassi di sostegno, diverse da quelle elencate, non sono mai state efficaci; neppure in Unione sovietica, dove nel 1980, non so se lo ricordate, si è cercato addirittura di bloccare il prezzo della vodka. Quindi, questo Governo fa con quanto ha, e cerca di farlo bene.
Dicevo che l'ottica di rilancio della nostra agricoltura non parte da questo decreto-legge. Infatti, riforme strutturali non sono in esso delineate; si tratta soltanto di porre in essere rimedi a problemi di mercato urgenti e non rinviabili. Non a caso, il provvedimento d'urgenza in esame segue di due mesi quello portato avanti dalla Francia, che desta spesso le simpatie della sinistra. La nostra opera è portata avanti, in seno all'Unione europea, di concerto con la Spagna e con la Francia. Quindi, non alziamo la bandiera bianca sulla nostra agricoltura! Dobbiamo sicuramente rivedere la politica europea in materia di aiuti di Stato rafforzando il sostegno ad un'agricoltura che sempre più deve avere un ruolo centrale.
Credo, inoltre, sia ben difficile per noi accettare lezioni di politica economica agricola da parte di chi, come per noi Prodi, nei 14 punti del suo «cartello» elettorale non trova lo spazio per citare


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nemmeno una volta, anche di sfuggita, l'agricoltura, che invece sta a cuore sicuramente al centrodestra.

PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare l'onorevole Rocchi. Ne ha facoltà.

CARLA ROCCHI. Signor Presidente, secondo il punto di vista del gruppo della Margherita ed il mio personale, il provvedimento in esame presenta una serie di limiti importanti che lo rendono non adeguato a risolvere i problemi che, invece, sarebbe molto urgente e necessario risolvere.
Li elencherò per punti: in primo luogo, rileviamo una mancanza di visione organica per quanto riguarda le questioni agricole. Ci saremmo aspettati dal Governo una politica complessiva per fare fronte a problemi di grande rilievo quali quelli posti dalla globalizzazione, dall'aumento dei costi di produzione, dalla necessità di valorizzare le produzioni di qualità e di sviluppare le colture alternative, specie nel campo delle produzioni energetiche. Invece, siamo di fronte ad una politica complessiva che culmina poi nel provvedimento in esame, il quale presenta la sola caratteristica di inseguire le emergenze. A febbraio è stato varato il decreto-legge n. 22, convertito dalla legge 29 aprile 2005, n. 71, che reca interventi urgenti nel settore agroalimentare, resisi necessari dai gravissimi problemi di crisi di mercato del settore ortofrutticolo. A settembre, è stato varato il decreto-legge n. 182, con l'obiettivo di fare fronte ai problemi molto gravi relativi al mercato del settore dell'uva e del vino da tavola. Come si può notare, ad ogni stagione, ad ogni produzione viene emanato un provvedimento di urgenza per far fronte all'emergenza del momento.
È troppo semplice rilevare che sarebbe stata più opportuna ed efficace una politica complessiva che avesse tenuto conto delle diverse situazioni dei vari settori e che avesse potuto prevedere, senza particolari doti di lungimiranza, i problemi reali cui fare fronte e, auspicabilmente, quelli che si potevano prevenire.
Si può ulteriormente rilevare che la politica agricola nazionale, per rimanere in buona salute, dovrebbe poter risolvere due punti essenziali: quello della competitività e quello della commercializzazione dei prodotti delle imprese.
Competitività significa poter avere una situazione in cui il lavoro in campo agricolo viene affrontato con dei costi che permettono alle imprese di essere sul mercato (lo dico molto banalmente). A ciò si arriva attraverso una politica mirata ed intelligente di sgravi fiscali, di facilitazioni, di abbattimento del costo del lavoro, piuttosto che attraverso una politica di tipo assistenziale, oltretutto posta in essere a macchia di leopardo. Tutto ciò - lo rileviamo con dispiacere - non è avvenuto.
Allo stesso modo, abbiamo osservazioni da fare per quanto riguarda la commercializzazione dei prodotti. Infatti, portare avanti con successo una politica di commercializzazione significa oggi porsi in maniera competitiva rispetto ad un mercato sempre più ampio, valorizzando la propria qualità e capacità rispetto ad altre nazioni.
Noi, in campo agricolo, siamo stati soccombenti non soltanto rispetto a nazioni (faccio un paragone in un altro settore) che possono vantare una situazione di vantaggio rispetto al costo del lavoro, ma, ad esempio, rispetto alla Spagna che, da questo punto di vista, ci somiglia e ci è - per così dire - parente prossimo. Pertanto, abbiamo riscontrato con dispiacere che si arranca, che siamo in affanno e che il settore sta vivendo un momento di grave sofferenza.
Passando alla questione delle risorse, per capire la nostra preoccupazione ed il nostro allarme, vorrei svolgere alcune considerazioni in merito a quanto è accaduto rispetto al provvedimento di urgenza in esame. Quest'ultimo non viene dotato di nuove risorse ma, per poter coprire le esigenze, si fa affidamento e, lo dico tra virgolette, «si saccheggiano» le risorse già destinate al decreto-legge n. 22, che vengono impiegate per la copertura finanziaria del provvedimento in corso di approvazione; è un modo di tirare un lenzuolo corto che non copre la necessità nuova e scopre quella precedente.


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Da un punto di vista della procedura, le regioni hanno ricevuto dagli operatori centinaia di migliaia di richieste ai sensi del citato decreto-legge n. 22 del 2005. Le aziende in crisi chiedevano la sospensione del versamento dei contributi previdenziali e assistenziali, nonché interventi indennizzatori finalizzati alle ripresa economica, tutti previsti dal provvedimento richiamato.
Con il decreto-legge in esame, le richieste ricordate in precedenza potranno essere accolte solo nel limite definito de minimis; dunque, ogni azienda si potrà veder riconosciuti al massimo 3 mila euro (una sorta di intervento amatoriale).
Lo stesso destino varrà anche per le aziende che producono uva da vino, con l'aggravante che a queste ultime saranno destinati soltanto 40 milioni di euro, mentre nel testo originario presentato dal Governo ne erano previsti 80 milioni. Dimezzare un contributo significa non essere nella condizione di realizzare un intervento organico e risolutivo. Ciò ha determinato proteste accesissime da parte degli agricoltori, specialmente in Puglia; tuttavia, siccome tali proteste in questo momento si sono acquietate, la maggioranza ha ritenuto di non dover integrare quei fondi.
Inoltre - cosa molto grave nella politica comunitaria -, il Governo non riesce a vedersi riconosciuti i quantitativi necessari per la distillazione del vino, ottenendo da Bruxelles solo due milioni di ettolitri, mentre il fabbisogno stimato era pari a sei milioni. Anche sul decreto-legge n. 22 del 2005 la Commissione europea non ha fornito una risposta; dunque, il decreto non è attuabile.
Riteniamo che ciò accada in quanto il Governo, tautologicamente, non è in grado di far accadere altro, cioè non è nelle condizioni di far valere in Europa le proprie ragioni e le proprie esigenze. Proponiamo dunque di considerare gli interventi previsti dal decreto-legge n. 22 distinti da quelli inseriti nel provvedimento di urgenza in esame, in modo che la copertura non sia a strascico, ma ogni provvedimento abbia la propria copertura, al fine di evitare un gioco pericoloso, non chiaro e soprattutto inefficace.
Abbiamo detto che, in base al provvedimento comunitario n. 1860, nel prossimo triennio ogni azienda avrà diritto a 3 mila euro di contributo, con un budget annuale nazionale di 130 milioni di euro. Tale budget può essere utilizzato dallo Stato o dalle regioni, ma previo accordo. Dunque, occorre trovare questo accordo per definire i criteri di elargizione dei contributi e, quindi, per garantirne una fruizione organica, mirata ed efficace. Tutto ciò non è previsto nel decreto e, a nostro avviso, il Governo sta realizzando una ennesima intromissione nelle competenze delle regioni, il che comporterà certamente un nuovo contrasto di fronte alla Corte costituzionale. Pertanto, chiediamo che la materia sia regolamentata attraverso un decreto ministeriale conseguente ad un accordo con le regioni e le province autonome.
Inoltre, il Governo si propone di acquistare dal mercato 800 mila quintali di uva da tavola per far fronte alle problematiche del settore. Tale norma è in palese contrasto con la normativa comunitaria in materia di concorrenza. Dunque, delle due l'una: o il Governo apre una trattativa con l'Unione europea, notificando il provvedimento e attendendo un'autorizzazione, oppure bisognerà dichiarare in maniera esplicita - come richiesto da un nostro emendamento - che l'acquisizione avverrà con le regole e le limitazioni previste dal regime de minimis, altrimenti - come avvenuto per il decreto-legge n. 22 - anche il provvedimento in esame resterà privo di applicazione.
Non è improbabile che lo scopo del Governo sia quello di promettere un intervento quando la crisi è molto forte e predisporre un provvedimento pur sapendo che è inattuabile, per poi dare la colpa quando ciò sarà evidente, al contesto europeo, mentre sappiamo bene che è l'avvio corretto della procedura a rendere attuabile un provvedimento.
Inoltre, si deve ricordare anche l'anomalo andamento dei prezzi lungo le filiere


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agroalimentari. In questo caso si promette ma non si mantiene e, quindi, si è in assenza di strumenti efficaci per rilevare i prezzi, per reprimere fenomeni negativi e perfino per dissuaderli. Invece, pensiamo che, pur rimanendo in regime di mercato, si dovrebbero introdurre efficaci elementi di deterrenza nei confronti di chi compie azioni speculative e, soprattutto, si dovrebbe promuovere ed incentivare l'obbligatorietà dell'accertamento fiscale in presenza di uno scostamento sensibile dei prezzi rispetto a quanto rilevato dagli studi di settore.
In conclusione, vorrei richiamare altri due aspetti. Il primo riguarda la spinosa questione del Corpo forestale dello Stato. Esso ha bisogno di seri provvedimenti per quanto attiene al destino, agli interessi e alla copertura dei parenti delle vittime, appartenenti al personale di tale corpo. Noi proponiamo di equiparare tale organismo agli altri corpi di polizia. A ciò nulla osta sotto il principio formale né sotto quello funzionale. Invece, sarebbe necessario operare in tale direzione per un senso di giustizia ed equità nei confronti di chi lavora tanto duramente e da tanto tempo (è recentissima la festa per il centottantatreesimo anniversario del Corpo forestale dello Stato). Quindi, sarebbe un giusto riconoscimento da parte del Parlamento e sarebbe giusto aspettarsi da parte del Governo sensibilità affinché il Corpo forestale veda riconosciuti i propri diritti, le proprie funzioni e le proprie potenzialità.
Naturalmente vi è necessità di dotare un provvedimento del genere degli strumenti economici. Noi abbiamo indicato di recuperare 10,5 milioni di euro dalle disponibilità relative ai corsi per allievi ufficiali, non utilizzati per intero, che potrebbero sanare i problemi di bilancio del Corpo forestale dello Stato.
Un altro aspetto da noi preso in considerazione attiene alle quote latte. Nella fattispecie chiediamo che venga prorogato il regime transitorio per il pagamento mensile ridotto, soprattutto facendo riferimento alle imprese di montagna, a quelle delle zone svantaggiate e a quelle titolari di quote B, che sono sempre in affanno rispetto a questo tipo di problema. Ci attendiamo che il Governo dia una risposta positiva a queste proposte emendative, anche perché in Commissione lo stesso Governo e il relatore hanno valutato con attenzione, riconoscendone la fondatezza, le nostre proposte, perfino recependole in parte.
Tuttavia, fatte queste considerazioni e sapendo bene che con esse non si esaurisce l'intero panorama delle contestazioni possibili, siamo di fronte ad interventi urgenti che comunque non riescono ad aggredire le cause della crisi. Inoltre, dobbiamo considerare la questione finanziaria che sarebbe banale non definire da «nozze con i fichi secchi», trattandosi di un provvedimento che riguarda l'agricoltura, perché di questo stiamo parlando.
Infine, esiste una questione di metodo perché non è possibile che, per sanare problemi dello stesso comparto, il Parlamento abbia dovuto esaminare tre decreti distinti, uno diverso dall'altro, che continuano a cambiare. Tali decreti hanno avuto anomali tempi di discussione in Commissione, producendo lo strozzamento dell'esame. Addirittura, si potrebbe arrivare alla deprecabile intenzione del Governo di porre la questione di fiducia, che strozzerebbe ulteriormente la discussione senza giovare alla completezza del provvedimento.
In conclusione, il gruppo della Margherita ha operato coscienziosamente, volonterosamente e con grande competenza grazie ai colleghi della Commissione agricoltura per modificare positivamente e costruttivamente il decreto-legge, nonostante la situazione che il nostro Parlamento sta vivendo, con le ovvie e conosciute tensioni relative alla violenta introduzione, con conseguente forzatura dei tempi, della legge elettorale.
Con grande senso di responsabilità, ci siamo mossi su questo provvedimento come se la situazione in Parlamento fosse di placido e pacifico dialogo tra i gruppi di maggioranza e di opposizione. Lo abbiamo fatto nonostante la situazione; il nostro senso di responsabilità si evidenzia nei


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comportamenti di chi è intervenuto, ed è agli atti. Il desiderio è di contribuire al miglioramento del testo; questo ci proponiamo di fare con attenzione e serietà, anche nel prosieguo dell'esame del provvedimento in aula (Applausi dei deputati dei gruppi della Margherita, DL-L'Ulivo, dei Democratici di sinistra-L'Ulivo e Misto-Verdi-l'Unione).

PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare l'onorevole Franci. Ne ha facoltà.

CLAUDIO FRANCI. Signor Presidente, onorevoli colleghi, è la seconda volta che nel corso del 2005 il Parlamento è chiamato ad affrontare i problemi delle emergenze e della crisi del settore dell'agricoltura. Tale settore, come ricordato, vive momenti di difficoltà dovuti a problemi più complessivi di competizione internazionale, ma anche a deficienze strutturali che riguardano il nostro paese. Credo che per intervenire su questioni di emergenza, come quelle di cui stiamo discutendo, occorra avere chiare tre questioni. La prima riguarda una strategia sul futuro complessivo del settore agricolo nel nostro paese. La seconda è relativa alla chiarezza e alla certezza degli strumenti messi a disposizione delle imprese per poter accedere agli interventi previsti dai decreti-legge e dalle leggi che approviamo. La terza questione riguarda la garanzia e la certezza delle risorse finanziarie a disposizione degli interventi.
Credo onestamente, lo ricordo anche all'onorevole Bellotti, che prima è intervenuto in una appassionata difesa del lavoro del ministero e del Governo, che siamo ben lontani dall'aver chiarezza su questi tre elementi, costituenti delle azioni nei confronti del mondo agricolo.
La situazione relativa alla strategia è già stata sottolineata dai colleghi dell'opposizione intervenuti in precedenza, ma se vogliamo avere riprova della provvisorietà che caratterizza le politiche del mondo agricolo, basta riferirsi alla lettera-proclama che il ministro Alemanno ha inviato in questi giorni ai parlamentari della Commissione agricoltura e agli assessori regionali, nella quale ripropone interventi urgenti e straordinari in favore delle filiere agroalimentari del nostro paese, in favore dello sviluppo rurale e quant'altro. Dopo cinque anni, dopo interventi sempre di natura emergenziale, ancora una volta parliamo di straordinarietà, senza una visione complessiva dei problemi dello sviluppo agricolo. Non solo, lo facciamo a pochi mesi dallo scioglimento delle Camere, con tutte le obiezioni che al riguardo possono essere mosse.
Per quanto riguarda gli strumenti e le risorse finanziarie, credo si possa sostenere che siamo di fronte ad un mondo magico, ad un sistema di magie, dove gli strumenti e le risorse appaiono e scompaiono e vengono trasferite da una parte all'altra, lasciando il tutto in un situazione di indeterminatezza che proietta il sistema delle imprese agricole del nostro paese in una condizione non solo già di disagio, ma che, ormai, è definibile più propriamente di sconforto.
Consentitemi, per comprendere a fondo la questione in discussione, di ripercorrere i passaggi che il Parlamento ha vissuto in quest'anno, in relazione ai decreti emergenziali, e che si appresta a rivivere con la discussione odierna.
Rispetto alle crisi del 2004, che avevano coinvolto tutto il settore ortofrutticolo, il Governo presentò il decreto-legge n. 22 del 2005, che sostanzialmente introduceva due elementi. Anzitutto, ricordo il criterio in base al quale le aziende potevano accedere ai benefici previsti dal provvedimento: aver subito una riduzione del reddito in misura del 30 per cento rispetto al reddito medio del triennio precedente. Si trattava di un'operazione difficilissima: lo dimostra il lavoro di verifica compiuto in questi mesi dalle regioni.
L'articolo 1-ter individuava sostanzialmente le forme sulle quali il decreto agiva e i benefici - sia di carattere fiscale e previdenziale sia in termini di prestiti che si sarebbero concessi al settore agricolo - che si introducevano. In pratica, si definivano le caratteristiche dei soggetti ai quali venivano destinate le risorse e i vari strumenti attuativi del decreto. Quel decreto


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definiva, inoltre, anche le risorse. Risorse, che noi giudicammo insufficienti, e stimate dal Governo in 120 milioni di euro destinati a far fronte all'emergenza del settore ortofrutticolo.
In agosto scoppia la crisi, per alcuni versi drammatica come alcuni colleghi intervenuti hanno posto in rilievo, dell'uva da vino in Puglia, e dell'uva da tavola nelle regioni del Mezzogiorno. Il ministro per le politiche agricole e forestali incontra i rappresentanti delle regioni, e da questo incontro scaturirà poi il decreto, che la Commissione agricoltura inizia successivamente ad esaminare.
Nel decreto-legge in esame, il ministro definisce l'entità delle risorse finanziare necessarie ad affrontare la crisi del mercato dell'uva da vino e da tavola - si fa riferimento a 90 milioni di euro considerati necessari per intervenire a sostegno di quelle produzioni -, e individua, nel ricorso al de minimis, la forma migliore per poter accedere ai contributi.
La sensibilità del relatore, onorevole Misuraca, ha condotto a cambiare anche radicalmente l'articolo 1 del decreto-legge in esame. L'indeterminazione con la quale sono definite le modalità tramite le quali i contributi possono essere erogati e la genericità con la quale il provvedimento è presentato all'esame della Commissione agricoltura hanno richiesto una ristesura del testo del provvedimento che sarebbe ora quello al nostro esame.
Cosa prevede questa riscrittura del testo del provvedimento? Si prevede che tutte le norme che erano contenute nella legge n. 71 del 2005 siano accorpate nel disegno di legge di conversione del decreto-legge n. 182; viene fissato il meccanismo de minimis, applicabile a tutti i diversi settori agricoli in crisi, ortofrutta, uva da tavola e da vino; si individua la contribuzione, che varia per le imprese del settore, da 1000 a 3000 euro, che consente di poter accedere al de minimis, ed, infine, si ridefiniscono le risorse finanziarie. A quest'ultimo riguardo, nel primo decreto si prevedevano per il settore dell'ortofrutta 120 milioni di euro. Nel secondo decreto si prevedevano per l'uva da tavola e da vino 80 milioni di euro che, per la verità, andavano a prosciugare i 120 milioni del primo decreto, ma, nel frattempo, nessuno aveva detto che quella crisi era stata superata. Nel terzo decreto si rimodulano ancora una volta le risorse finanziarie disponibili stimandole in 80 milioni di euro per le crisi relative all'anno 2004, e in 40 milioni per le crisi concernenti l'uva da tavola e da vino.
Ciò detto, si pone un primo interrogativo. O queste crisi sono state superate o, se non sono state superate, le risorse finanziarie stanziate non sono sufficienti per affrontarle. Risorse la cui entità è definita nei decreti del Ministero per le politiche agricole e forestali. Siamo, quindi, di fronte ad una coperta corta che non è in grado di dare risposta ad alcuno dei bisogni emersi.
Ci siamo trovati di fronte ad una magia all'inverso: la farfalla non è uscita dal bozzolo, ma vi è entrata!
Oltre a quello delle risorse, un altro problema, che è stato già sottolineato, riguarda l'uso degli aiuti de minimis. Guardate che con il provvedimento in esame assorbiamo, di fatto, tutto il plafond di cui il nostro paese dispone! Sappiamo che la misura può essere utilizzata sia dalle regioni sia dallo Stato. Ebbene, con il provvedimento in esame lo Stato decide di utilizzare tutto il plafond. Ciò significa che se qualche regione, di fronte a particolari emergenze, avesse l'esigenza di farne uso, con risorse proprie, non potrebbe!
Ciò avviene in assenza, da una parte, di regole e, dall'altra, del registro nazionale in cui i contributi de minimis debbono essere iscritti. Possiamo anche trovarci di fronte al caso di un'azienda che, beneficiando di contributi statali e regionali, riceva più di 3000 euro in tre anni (in tal caso, essa sarebbe sottoposta all'obbligo di rimborso o soggetta ad azioni di recupero delle risorse eccedenti ricevute). Secondo le direttive comunitarie, il registro è obbligatorio, ma noi ne facciamo a meno, perché nulla dispone al riguardo il decreto-legge. Reputo di difficile realizzazione l'ipotesi che taluni operatori ricevano più


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di 3000 euro; tuttavia, qualora ciò accada, bisogna che sia chiaro che i 3000 euro incideranno nell'arco del triennio.
Ma l'operazione peggiore che si sta conducendo mediante il decreto-legge in esame è la seguente: a tutte le aziende che dovevano beneficiare degli interventi previsti dal decreto-legge n. 22 del 2005, le quali hanno già avviato le relative pratiche (siano esse fiscali, finanziarie o contributive) diciamo, sostanzialmente, che ci siamo sbagliati, che tutto quello che avevamo detto loro non è vero e che si riparte daccapo, con criteri nuovi e con risorse ancora più incerte. Questa è la preoccupazione più grande che nutriamo in merito al provvedimento in esame.
Alcuni colleghi hanno sottolineato la vicenda dell'uva da tavola. Mi associo anch'io alle loro preoccupazioni. Così com'è scritto, il comma 5 dell'articolo 1 pone un problema serio: assicurando un sostegno alle produzioni, esso infrange le norme comunitarie e, di conseguenza, rischia, ancora una volta, di mettere in mora il provvedimento e di renderlo, per così dire, inagibile.
Nella discussione si sono intrecciate altre questioni, alcune delle quali appaiono veramente stupefacenti. Penso, ad esempio, alle promozioni nel Corpo forestale dello Stato, per le quali si pensava di togliere il requisito dell'anzianità o ad altre situazioni sulle quali varrebbe la pena di riflettere: ad esempio, il rafforzamento dell'Ispettorato centrale per la prevenzione delle frodi avviene, di fatto, con l'assunzione di tre dirigenti e la soppressione di dieci agenti.
Insomma, mi pare che siamo fermi a misure tampone, a raffazzonature. Per quanto ci riguarda, noi del centrosinistra cercheremo di operare al meglio anche qui in aula, presentando emendamenti volti a migliorare il testo, ovviamente qualora il Governo non ritenga di porre la questione di fiducia (Applausi dei deputati del gruppo Misto-Comunisti italiani).

PRESIDENTE. Dobbiamo ora sospendere gli interventi sul complesso delle proposte emendative e rinviare il seguito del dibattito al prosieguo della seduta.
Ricordo che alle 15 avrà luogo lo svolgimento di interrogazioni a risposta immediata.

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