Resoconto stenografico dell'Assemblea
Seduta n. 675 del 21/9/2005
Back Index Forward

Pag. 71


...
Discussione del disegno di legge: Conversione in legge del decreto-legge 17 agosto 2005, n. 164, recante disposizioni urgenti in materia di attività cinematografiche (A.C. 6055) (ore 19,10).

PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca la discussione del disegno di legge: Conversione in legge del decreto-legge 17 agosto 2005, n. 164, recante disposizioni urgenti in materia di attività cinematografiche.

(Discussione sulle linee generali - A.C. 6055)

PRESIDENTE. Dichiaro aperta la discussione sulle linee generali.
Avverto che il presidente del gruppo parlamentare dei Democratici di sinistra-L'Ulivo ne ha chiesto l'ampliamento senza limitazioni nelle iscrizioni a parlare ai sensi dell'articolo 83, comma 2, del regolamento.
Avverto, altresì, che la VII Commissione (Cultura) si intende autorizzata a riferire oralmente.
Il relatore, onorevole Rositani, ha facoltà di svolgere la relazione.
Coraggio, onorevole Rositani...

GUGLIELMO ROSITANI, Relatore. Onorevole Presidente, onorevoli colleghi, il provvedimento in esame reca diverse disposizioni


Pag. 72

in materia di beni e attività culturali, e non solo di attività cinematografiche, come invece suggerisce il titolo originale del decreto, che la Commissione ha comunque provveduto a correggere; si tratta di interventi connotati da necessità e urgenza, che perseguono la finalità di assicurare la corretta funzionalità dei rilevanti comparti su cui incidono.
L'intervento principale - sulla cui urgenza ed opportunità, in Commissione, hanno convenuto tutti i gruppi - è recato dall'articolo 1; tale disposizione integra la disciplina vigente in materia di attività cinematografiche, ridefinita dal decreto legislativo n. 28 del 2004, allo scopo di garantire l'adeguamento ai dettami della sentenza della Corte costituzionale n. 285 del 2005.
Tale pronuncia, nel confermare che la materia dello spettacolo è oggetto di legislazione concorrente tra Stato e regioni, ha dichiarato l'incostituzionalità di una serie di disposizioni del decreto legislativo n. 28 del 2004 nella parte in cui non prevedono l'intesa o il parere della Conferenza Stato-regioni per l'adozione dei decreti ministeriali e degli atti amministrativi previsti a sostegno del settore.
In ossequio a questo pronunciamento della Corte costituzionale, si individuano, quindi, gli atti su cui deve intervenire la Conferenza Stato-regioni. Fondamentale è, altresì, la previsione che gli atti già adottati ed i procedimenti pendenti siano trasmessi nel termine di trenta giorni, al fine di garantirne la validità, alla Conferenza Stato-regioni per le intese ed i pareri richiesti. Si intende, in tal modo, evitare la paralisi del settore, nella consapevolezza che la tempestiva applicabilità dei decreti attuativi concernenti il sostegno pubblico al settore risulta pregiudiziale al fine di assicurare la vitalità di tale preminente espressione della cultura nazionale.
Si intende, quindi, dare immediata soluzione ad un problema che ha notevoli ricadute socioeconomiche, stante l'importanza del comparto cinematografico, che coinvolge centinaia di imprese e migliaia di addetti.
L'articolo in oggetto è stato modificato dalla Commissione con l'approvazione di due emendamenti. Il primo ha precisato che la sanatoria prevista dal comma 2 riguarda i procedimenti pendenti avviati anche dopo il 28 luglio 2005. Il secondo, introducendo i commi 2-bis e 2-ter, ha invece esteso agli altri settori dello spettacolo la previsione dell'intesa della Conferenza unificata sui decreti ministeriali che definiscono criteri e modalità per l'erogazione dei finanziamenti pubblici.
Si tratta di un intervento volto ad assicurare i requisiti minimi di costituzionalità alla disciplina di tale materia, in modo da evitare la paralisi del settore dello spettacolo dal vivo, consentendo la definizione di nuove modalità di sostegno già a partire dal prossimo anno, ferma restando la necessità di varare un più ampio intervento di riordino dell'intero comparto dello spettacolo dal vivo, che la VII Commissione sta elaborando tramite un distinto provvedimento legislativo.

PRESIDENZA DEL VICEPRESIDENTE ALFREDO BIONDI (ore 19,15)

GUGLIELMO ROSITANI, Relatore. Quanto agli altri interventi previsti dal decreto-legge in esame, l'articolo 2 ha essenzialmente finalità di coordinamento legislativo, essendo volto a dare una collocazione più adeguata alla normativa relativa a Cinecittà Holding Spa, che viene ricondotta, con limitate modificazioni, nell'ambito del già citato decreto legislativo n. 28 del 2004.
Ricordo che tale società presenta annualmente al ministro per i beni e le attività culturali - al quale è peraltro assegnato l'esercizio dei diritti dell'azionista - i programmi relativi, tra l'altro, allo sviluppo del cinema nazionale e alla promozione delle opere cinematografiche.
L'articolo 3, che novella il decreto legislativo n. 19 del 1998, è volto a garantire la piena operatività della Fondazione La Biennale di Venezia. In primo luogo, si estende anche al sindaco di Venezia la facoltà, già riconosciuta al presidente della


Pag. 73

regione Veneto ed al presidente della provincia di Venezia, di farsi sostituire da un delegato in seno al consiglio d'amministrazione, ponendosi, in tal modo, le condizioni per assicurare la regolare composizione di tale organismo e quindi la funzionalità della Fondazione.
Le modalità di composizione del consiglio d'amministrazione vengono modificate anche ponendo in capo al ministro un potere sostitutivo di designazione qualora la partecipazione dei soggetti privati non raggiunga determinati requisiti, ossia se essa sia inferiore al 20 per cento del patrimonio e l'apporto annuo ordinario di tali soggetti alla gestione dell'attività sia inferiore al 7 per cento del totale dei finanziamenti statali. È infine attribuito al Ministero per i beni e le attività culturali, in quanto titolare del potere di vigilanza sulla Fondazione, la designazione di un componente del collegio dei revisori dei conti.
L'articolo 4 apporta modifiche alla disciplina in materia di verifica preventiva dell'interesse archeologico, recentemente introdotta dall'articolo 2-quater del decreto-legge n. 63 del 2005. Si è ravvisata la necessità di introdurre precisazioni terminologiche che, senza incidere sulla portata applicativa dell'importante istituto, intendono assicurare una migliore scrittura del relativo procedimento, garantendone una più corretta applicazione, in coerenza con il sistema di tutela predisposto dal codice dei beni culturali e del paesaggio.
Si interviene, inoltre, anche in riferimento alle collezioni numismatiche, prevedendosi l'abrogazione della relativa disposizione contenuta nel citato decreto-legge n. 63 del 2005, ritenuta di non chiara formulazione, ed una contestuale parziale riformulazione dell'articolo 10 del codice dei beni culturali e del paesaggio, che reca la definizione delle collezioni o serie di oggetti che rientrano nei beni culturali, estendendola a quelle che abbiano anche particolare rilevanza archeologica, numismatica o etnoantropologica.
Viene poi specificato che la qualificazione di beni culturali e di cose di interesse numismatico è attribuita qualora la produzione delle medesime - in rapporto all'epoca, alle tecniche ed ai materiali - non sia caratterizzata da serialità o ripetitività, confermando peraltro l'intervento delle soprintendenze nella valutazione tecnica della sussistenza dell'interesse culturale.
Sulle disposizioni recate dall'articolo 4 la Commissione è intervenuta con la presentazione di alcuni emendamenti, mirati ad assicurare la più chiara formulazione del testo. Il primo di tali emendamenti modifica l'articolo 2-ter del decreto-legge n. 63 del 2005, precisando che i dipartimenti universitari di archeologia o i singoli archeologi intervengono nella predisposizione, da parte della stazione appaltante, della documentazione prevista dall'articolo 18 della cosiddetta legge Merloni, e non successivamente a tale predisposizione, per controllarne i contenuti. Ciò per evitare un appesantimento delle procedure, che potrebbe determinare ritardi nella realizzazione dei lavori.
Con il secondo emendamento, che ha modificato la lettera a), n. 1, del medesimo comma 1, è stato precisato che la relazione archeologica ivi prevista deve indicare anche gli esiti delle indagini eseguite, al fine della determinazione dei conseguenti interventi.
Con il terzo emendamento, che ha aggiunto il comma 2-bis, viene invece modificata la parte relativa alle collezioni di cui all'articolo A del codice dei beni culturali e del paesaggio, che elenca i beni per i quali è necessaria la notifica alla soprintendenza. In sostanza, si ripristina la dizione vigente fino all'entrata in vigore della legge di conversione del decreto-legge n. 63 del 2005, legge il cui articolo 2-decies ha modificato detto decreto-legge in modo che non appare del tutto corretto. Si tratta di un intervento mirato a precisare gli effetti dell'abrogazione dell'articolo 2-decies, già disposta nel testo originale del provvedimento in esame dalla lettera b) del comma 1, e che, quindi, raccoglie - tra l'altro - la richiesta di chiarimento formulata nel parere del Comitato per la legislazione.


Pag. 74


L'articolo 5, infine, reca un contributo straordinario, pari a 10 milioni di euro, per la prosecuzione dei lavori di ristrutturazione degli edifici adibiti a sede del Centro per la documentazione e la valorizzazione delle arti contemporanee di Roma, che - come è noto - svolge importante attività di valorizzazione e conservazione delle testimonianze della cultura visiva internazionale. La necessità di intervenire tempestivamente è dettata dalla circostanza che nel 2002 è stato disposto un definanziamento dalla richiamata legge, nonostante già fosse avvenuto l'affidamento dei lavori di ristrutturazione.
In conclusione, esprimo l'auspicio che il provvedimento in esame possa essere rapidamente convertito in legge da quest'Assemblea e, successivamente, dal Senato, fornendo in tal modo ai soggetti interessati ai suoi interventi - e, in primo luogo, agli operatori del cinema e dello spettacolo in generale - quel quadro di certezza normativa che appare assolutamente necessario per garantire l'efficace e proficuo svolgimento della loro importante attività.

PRESIDENTE. Prendo atto che il rappresentante del Governo si riserva di intervenire nel prosieguo del dibattito.
È iscritto a parlare l'onorevole Colasio. Ne ha facoltà.

ANDREA COLASIO. Signor Presidente, ringrazio anzitutto l'onorevole Rositani. Abbiamo già avuto modo di discutere, in sede di Commissione, del provvedimento in esame e ritengo che la discussione svolta sia stata, in sostanza, franca. Su un aspetto sono d'accordo con lei, onorevole Rositani: quando sostiene la necessità che comunque questo provvedimento abbia un esito positivo. È vero: l'articolo 1 regola, norma e mette ordine in una situazione di caos e di criticità che, evidentemente, la sentenza n. 285 del 2005 della Corte costituzionale ha prodotto nei confronti del nostro sistema industriale cinematografico.
Mi preme, tuttavia, per l'onestà e la chiarezza che contraddistinguono i nostri rapporti, ricordarle anche che noi, in sede di definizione del decreto legislativo n. 28 del 2004, avevamo rimarcato negativamente che nella definizione normativa delle competenze si fosse preclusa la possibilità di estendere una politica di tipo concertativo, che vedesse le regioni quali soggetti forti.
In estrema sintesi, la sentenza n. 285 del 2005 della Corte costituzionale stigmatizza proprio tale aspetto: la mancata concertazione nella definizione delle politiche industriali, distributive e promozionali del cinema, che veda, coerentemente con la riforma del Titolo V della Costituzione, un rapporto forte e cooperativo tra sistema centrale ed articolazioni periferiche dei governi locali.
Oggi si sana una situazione rispetto alla quale avevamo sottolineato la necessità di un intervento già nel 2004. Ben venga, quindi, un intervento d'urgenza.
Ciò che lascia perplessi, onorevole Rositani, mi rivolgo anche al Governo, è come all'interno di questo provvedimento si siano inserite norme che nulla o poco hanno a che vedere con la necessità e l'urgenza di un provvedimento di sostegno alla nostra produzione cinematografica. Approfondirò in seguito tale tema.
Colgo ancora l'occasione per sottolineare alcuni aspetti che mi stanno particolarmente a cuore e che, forse, avrebbero comportato un intervento più significativo rispetto all'attuale criticità che attraversa il nostro sistema cinematografico.
Innanzitutto, mi rivolgo al collega Rositani...

PRESIDENTE. Prego i colleghi di fare silenzio: il collega sta svolgendo un intervento, anche senza leggere, e ognuno di voi sa come sia difficile parlare quando alle spalle vi è brusio. Si tratta anche di rispetto per l'intelligenza dell'interprete ...!
Prosegua pure, onorevole Colasio.

ANDREA COLASIO. Indubbiamente, affrontando il decreto-legge, credo, onorevole Rositani, che si sarebbe dovuto prendere atto, a distanza di un anno dall'approvazione del cosiddetto decreto legislativo Urbani, che qualcosa non ha funzionato


Pag. 75

nel reference system. Lo dico con chiarezza: noi, come Margherita, non abbiamo espresso, a suo tempo, un giudizio completamente negativo sul reference system, tant'è che esprimemmo un voto di astensione sul decreto legislativo.
Dobbiamo, però, prendere atto del fatto che il fondo di rotazione, che dovrebbe essere alimentato dagli incassi del cinema italiano, è in una situazione di insolvenza: lo ricordava recentemente il ministro Buttiglione nel corso di un'audizione.
Il problema, in estrema sintesi, è molto semplice: il reference system funziona se c'è un mercato. Ebbene, il nostro sistema cinema sta attraversando una fase di assoluta criticità, che si contraddistingue per una debolezza degli operatori del mercato. Il dato comparativo con i grandi paesi europei è emblematico: vi è un consumo cinematografico sotto la media europea. La media europea è di 2,4 biglietti venduti con riferimento alla popolazione europea; in Italia il consumo cinematografico è di 2 biglietti. Ciò significa che, rispetto ai grandi paesi (mi riferisco a Spagna, Gran Bretagna, Francia, dove la bigliettazione è moltiplicata per tre), vi è un deficit di domanda.
Onorevole Rositani, vorrei ricordare un dato: nel 1992 la bigliettazione globale in Italia si fermava a 83 milioni. Oggi, anche grazie alla legge n. 122 del 1998 (per cui, paradossalmente, la televisione salva il cinema), abbiamo risalito la china e, quindi, vi è una bigliettazione (cito il dato dell'anno scorso) pari a 111 milioni. Rispetto alla Spagna (che, pur avendo molti abitanti in meno, ha una bigliettazione di 140 milioni) o al caso inglese (con una bigliettazione di 175 milioni) o di altri paesi con una bigliettazione di 184 milioni, è evidente che scontiamo un deficit di domanda.
Il problema è che, probabilmente, in Italia vi è non solo una debolezza dell'offerta, ma anche una debolezza dell'articolazione dell'esercizio della distribuzione.
Ancora: nel 1998, il 73 per cento delle sale era caratterizzato da una struttura monosala.
Nello stesso anno, in Spagna, le monosale rappresentavano solo il 9 per cento dell'offerta complessiva. Francia e Germania avevano un dato inferiore al 25 per cento.
Ciò vuol dire che è mancata un'adeguata politica di differenziazione dell'offerta per quanto concerne un pubblico diverso.
Solo da poco abbiamo iniziato una politica, che ritengo positiva, di creazione di multiplex e di megaplex, che garantiscono non solo una maggiore penetrazione territoriale dell'offerta, ma anche la possibilità di interloquire con un pubblico giovanile, che, nella fattispecie, è il pubblico dei multiplex.
È evidente, però - questo è il dato negativo -, che manca una politica strategica di diversificazione dell'offerta, tanto è vero che alcune aree del sud e alcune aree periferiche del nostro paese possono essere definite correttamente come una sorta di «deserti culturali». Non vi è, infatti, una presenza significativa di offerta cinematografica. È evidente che tale aspetto incide negativamente sulla massa complessiva di bigliettazione. Questo nodo, a mio parere, è irrisolto.
Inoltre, va focalizzato un aspetto molto importante, ossia gli indici di concentrazione del box office. Infatti, questo dato ci permette di capire quale crisi attraversa il sistema del nostro cinema, inteso come industria culturale.
Il dato è assai emblematico: se prendiamo in considerazione i primi cinque film, i primi venti film e i primi cento film che sono stati distribuiti lo scorso anno nelle nostre sale, vedremo che i primi venti film coprono il 5 per cento della bigliettazione complessiva e che i primi cento rappresentano il 90 per cento della bigliettazione complessiva. Se rapportiamo lo stesso indice di concentrazione alla produzione specificamente nazionale, abbiamo un dato che è a dir poco problematico. I primi cinque film di produzione nazionale coprono da soli il 64 per cento del box office.
Se consideriamo che ogni anno, in Italia, anche grazie al concorso del FUS,


Pag. 76

vengono prodotti circa 100 film, risulta che circa il 75 per cento di essi non ha pubblico. Va detto, per inciso, che i primi 25 film coprono il 93 per cento del box office.
L'interrogativo è chiaro: non vi è alcun raccordo tra l'intervento dello Stato, la produzione cinematografica e l'impatto a livello di pubblico. Quindi, l'indice di concentrazione impone una seria riflessione sulla capacità di tenuta del nostro sistema imprenditoriale cinematografico e, soprattutto, sulla congruenza tra l'offerta e la domanda.
A ciò si aggiunga un'altra considerazione: l'offerta cinematografica nazionale complessiva - sottolineo molto negativamente tale dato - rappresenta solo il 22 per cento degli incassi complessivi, a fronte di un'offerta filmica del 27 per cento.
La produzione americana, invece, rappresenta in Italia il 60 per cento degli incassi, a fronte di un 28 per cento della produzione. Ciò vuol dire che, nel caso della produzione italiana, vi è un sovraccarico dell'offerta rispetto alla domanda. Tuttavia, il dato negativo è un'altro: se compariamo questo dato con una filmografia forte, come quella francese, dove, evidentemente, esiste una normativa che non è di tipo protezionistico in senso deteriore, ma che è attenta al prodotto nazionale, risulta che la bigliettazione della produzione francese rappresenta ben il 35 per cento della domanda globale, a fronte di una offerta filmica del 40 per cento.
Penso che questi dati debbano farci riflettere molto, oggi, sul deficit del nostro sistema industriale. Per troppi anni, forse sbagliando, abbiamo connotato il nostro cinema in termini di «musa assistita», dimenticando che, accanto alla dimensione poetico-narrativa e alla dimensione affabulatoria, il nostro cinema avrebbe dovuto caratterizzarsi anche come prodotto e come industria culturali. I due elementi vanno insieme. Diversamente, rischiamo che lo Stato sostenga una produzione, pur meritoria (penso alle opere prime), ma anche di depotenziare e di decodificare l'offerta, ossia di non offrire opportunità di crescita e di una patrimonializzazione adeguata ai nostri operatori.
Il vero problema nel nostro paese è che mancano un prodotto medio e, soprattutto, un numero significativo e adeguatamente patrimonializzato di imprese di produzione. Lì - lo dico con rammarico -, qualcosa non ha funzionato quando si è implementata la legge n. 122 del 1998.
Come ricordavo prima, si tratta di una legge importante che ha salvato, paradossalmente, il cinema imponendo quote (10 per cento degli incassi) restituite dal sistema televisivo alla produzione cinematografica nazionale. È evidente che quanto successo ci convince poco: si è ridefinita la mission di Medusa e RAI ha costituito RAI Cinema e 01 come distribuzione. Il nostro dubbio è se questa sia stata l'interpretazione corretta della citata legge n. 122 o se non si dovessero, invece, canalizzare tali risorse a favore della crescita di un mercato più ampio e pluralistico di produttori indipendenti. Forse, la verità sta nel mezzo: era giusto potenziare Medusa e RAI Cinema; al tempo stesso, parte di quelle risorse dovevano rifluire nella produzione non caratterizzando i produttori indipendenti come meri produttori esecutivi. Questo, infatti, è il rischio che contraddistingue molta parte della nostra produzione. Se un tempo in Italia non si faceva un film senza la commissione cinema, oggi in Italia non si fa un film senza una lettera di garanzia scritta o da RAI Cinema o da Medusa. Ciò va a detrimento di una struttura pluralistica e della libertà di espressione artistica.
Onorevole Rositani, ce lo siamo già detto reiteratamente: quando abbiamo svolto in Commissione cultura le audizioni sul cosiddetto decreto Urbani, gli operatori del settore hanno stigmatizzato l'assenza di qualcosa di importante. La legge n. 122 del 1998, parla di canone e di pubblicità, ma dimentica o lascia nell'angolo una voce importante e significativa per quanto concerne il consumo televisivo nel nostro paese: non si parla di abbonamenti. Ciò significa che Sky non deve ottemperare alle norme della legge n. 122. Credo si


Pag. 77

tratti di un errore madornale e penso che, in un decreto-legge urgente in tema di cinema, si sarebbe dovuta sanare tale contraddizione in termini per cui un grande operatore televisivo come Sky non è tenuto, diversamente da RAI e Medusa, ad ottemperare ad una norma importante per la tutela, la promozione e la crescita della produzione cinematografica nazionale ed europea.
Vi è un altro aspetto che merita di essere considerato, ed è forse quello meno affrontato dal provvedimento in esame. Quando con il cosiddetto decreto Urbani affrontammo le norme antipirateria, siamo stati molto chiari nel dire che era necessario contrastare la pirateria. Il destino del consumo cinematografico nel nostro paese nei prossimi tre, quattro o cinque anni conoscerà mutamenti culturali enormi per quanto concerne le modalità del consumo. Non moltissimi anni fa, quando nel mercato, accanto alla sala, comparve la cassetta VHS, molti grandi produttori cinematografici dissero che si trattava della morte del cinema. Fortunatamente non fu così, e non fu così per la televisione che sembrava essere la morte del cinema, tanto è vero che oggi, nella filiera dei ricavi di un buon film, vi è una ripartizione 30-30-30 tra diritti televisivi, VHS (o, meglio, oggi DVD) e box office. Siamo convinti che la rete Internet, che per molti anni è stata percepita come distruttrice di valore, rappresenterà per il cinema italiano, che potrà conquistare nuovi mercati, una grande opportunità.
La nostra perplessità, però, riguarda cosa si è fatto a favore della digitalizzazione del nostro patrimonio filmico, sia storico sia contemporaneo: si è fatto nulla o poco. Eppure, onorevole Rositani, sarebbe bastato osservare le dinamiche che hanno contraddistinto negli ultimi anni la produzione musicale: in questa sede abbiamo già discusso di Napster, di MP3, di file sharing. Quest'anno, negli Stati Uniti, le risorse entrate in modo regolare dalla rete al settore cinema hanno superato quelle dei comparti tradizionali. Dunque, se ragioniamo positivamente e sappiamo qualificare l'offerta, anche i nostri produttori saranno in grado di trasformare la rete da distruttrice di valore a nuova grande opportunità come soggetto che crea valore.
È importante, però, che le strutture di supporto alla nostra produzione cinematografica lavorino a sostegno di una professionalità dei nostri operatori che vada nel senso della digitalizzazione, cosa che in questo decreto-legge, purtroppo, non viene nemmeno vagamente evocata.
Un'ultima considerazione per quanto concerne il cinema. Uno degli aspetti fondamentali riguarda la nostra immagine cinematografica. Ammesso e non concesso, onorevole Rositani, che noi non si voglia continuare a consumare una rendita di posizione simbolica, che ha contraddistinto e caratterizzato la nostra produzione cinematografica, dal neorealismo a Fellini, è evidente che dobbiamo intervenire con modalità fortemente innovative. Il fatto di aver normato in questo decreto la Biennale di Venezia e la Mostra del cinema è sicuramente cosa giusta. Noi avevamo detto infatti che era sbagliato non prevedere, per quanto concerne il sindaco di Venezia, la possibilità di farsi sostituire da un delegato all'interno del consiglio di amministrazione. Però, proprio perché in questi giorni la Mostra del cinema ha mostrato di avere il fiato corto, si pone un problema serio che concerne il sottosegretario Pescante, che so che mi sta ascoltando. In una conferenza stampa, si è annunciato il Festival internazionale del cinema di Roma, che verrà realizzato nell'ottobre del 2006. Si tratta di una iniziativa meritoria, e al riguardo si è messa in moto una grande macchina da guerra, la fondazione per la musica di Roma. È evidente che Cinecittà e la grande potenzialità di offerta culturale che contraddistingue Roma fanno sì che vi sarà - io credo - una virtuosa, operosa e buona concorrenza tra Roma e Venezia.
Tuttavia, signor sottosegretario, ciò avviene nel momento in cui Venezia - grazie all'intelligenza e all'operato del presidente Croff - sta cercando di riconquistare uno status internazionale ed una sua credibilità, a fronte peraltro di un punto di


Pag. 78

debolezza che è chiarissimo: senza il nuovo palazzo del cinema, Venezia è destinata a perdere il suo ruolo a livello di manifestazione internazionale. Senza un intervento strategico, che sappia anche far sì che Venezia diventi mercato, noi rischiamo la morte della Mostra internazionale del cinema. Abbiamo già perso un po' di anni, signor sottosegretario, perché vi siete impegnati nella riscrittura della governance della Biennale, dimenticandovi però che un aspetto di assoluta criticità è l'inadeguatezza del sistema infrastrutturale per le proiezioni a Venezia.
Il Lido, così come si configura oggi, è una grossa sagra di paese e non ha invece le caratteristiche di quel grande evento internazionale, che deve essere vetrina anche per la nostra produzione nazionale. In questi quattro anni, non siamo riusciti ad allocare un soldo, a fronte di un progetto che il presidente Croff ha già nei cassetti. È stata bandita una gara internazionale, vi è un progetto, vi è un costo preventivato di 100 milioni di euro (circa 200 miliardi di vecchie lire).
In questo stesso provvedimento viene finanziato, all'articolo 5 - cosa meritoria - sia il MAXXI di Roma. Ritengo sia un'opera importante, trattandosi di un museo d'arte contemporanea, che caratterizzerà in modo positivo la presenza in un settore debole, quello dell'arte contemporanea. Lo trovo però ultroneo, fuori luogo, nel senso che non andava inserito in questo provvedimento, o quanto meno sarebbe stato necessario da parte del Governo dare un segnale forte - a fronte di una presa di posizione del comune di Roma, della regione Lazio e della provincia di Roma (che iniziano legittimamente un'azione di competitività, di eccellenza oserei dire, nei confronti della Mostra d'arte cinematografica di Venezia) - nella direzione di cominciare a creare delle risorse, assieme alla regione Veneto, per far sì che il nuovo palazzo del cinema possa finalmente essere costruito. Invece, nulla di tutto ciò.
Il gruppo della Margherita ha presentato numerose proposte emendative, che hanno l'intenzione quanto meno di contemperare certi aspetti; per esempio, diciamo: non destiniamo i dieci milioni di euro solo al MAXXI, ma diamo anche un piccolo segnale simbolico, attribuendo almeno il 50 per cento a favore del nuovo palazzo del cinema. In proposito, ci aspettiamo risposte significative.
Vi è un ulteriore aspetto: viene normata Cinecittà Holding. Siamo assolutamente consapevoli che essa possa e debba svolgere una funzione importante. Tuttavia, crediamo che Cinecittà Holding Spa svolga ancora alcune funzioni improprie: ci lascia perplessi il fatto che nel provvedimento siano previste ulteriori funzioni e l'acquisto di nuovi esercizi. Che senso ha, nel 2005, prevedere un'azione di sostegno e di intervento strategico nell'ambito di una cultura che voi chiamate liberale, con lo Stato che diventa esercente? Ho, a tale riguardo, dubbi e perplessità. Cinecittà Holding Spa può e deve svolgere una funzione concernente la digitalizzazione. È giusto che vi sia un atto di indirizzo da parte del Ministero per i beni e le attività culturali, ma non credo sia utile, soprattutto ai fini del consolidamento e della crescita di un sistema di esercizio moderno nel nostro paese, che lo Stato torni a fare l'esercente. Il gruppo della Margherita è favorevole alla dismissione di quelle funzioni improprie.
Vorrei, inoltre, ringraziare il Governo in ordine ad una questione che non attiene più alla tematica del cinema, riguardando la verifica preventiva di interesse archeologico (si tratta di una disposizione importante ed, a tal fine, abbiamo espresso il nostro plauso al ministro Buttiglione). Si tratta di una norma di grande civiltà, poiché trae origine dalla considerazione che, nel nostro paese, la politica infrastrutturale non può prescindere dalla configurazione del nostro territorio come una sorta di museo territoriale diffuso. Ben venga, quindi, una norma - lo abbiamo già ricordato in sede di discussione specifica - che sottolinei la necessità di una correlazione tra intervento infrastrutturale e consapevolezza che il nostro sottosuolo è una grande miniera archeologica.


Pag. 79


Occorre, tuttavia, prendere atto del fatto che non esiste una gerarchia nella tutela del territorio, come da noi sottolineato, e mi compiaccio che la relazione al provvedimento in esame prenda atto in positivo dei nostri rilievi critici. Non esiste un monumento di serie A o un coccio di serie B, ma un sistema di tutela unitario. Non esistono gerarchie tra i vari beni e, pertanto, anche a tale riguardo, si è operato positivamente, correggendo una stortura.
Si possono svolgere le stesse considerazioni per quanto riguarda le collezioni numismatiche. A tale riguardo, abbiamo presentato un ordine del giorno che è stato correttamente recepito dal Governo, ponendo rimedio ad un errore gravissimo. Si era, infatti, ipotizzata una suddivisione tra monete antiche di pregio, in quanto rare e di forte valore patrimoniale, e monete antiche meno significative, in quanto prodotte in modo seriale. Ciò ha fatto inorridire il mondo archeologico e scientifico italiano, dal momento che la produzione seriale numismatica non è irrilevante per una corretta ricostruzione filologica di ambienti, anche con riferimento ad una ricostruzione storiografica corretta per quanto concerne le quantità di monete prodotte e di scambi. L'errore era drammatico; pertanto, dalla relazione al provvedimento in esame emerge un tentativo di chiarezza, poiché, come si dice nella stessa, la vecchia norma apriva un vulnus nella tutela delle cose di interesse numismatico, e questo mi fa molto piacere.
A ciò si aggiunga (si tratta di una problematica da noi sollevata) che il fatto di aver escluso l'obbligo di denuncia e di notificazione alle competenti autorità rischiava di incentivare il commercio illegale di monete, legato alla piaga degli scavi clandestini. Credo che l'introduzione dell'obbligo della notifica e, conseguentemente, l'attribuzione alle competenti soprintendenze territoriali di un potere sovraordinatorio e di controllo e di definizione dell'interesse culturale, a prescindere dal carattere seriale o meno della produzione, sia un elemento positivo, che va sottolineato in modo oltremodo positivo.
Pertanto, secondo il gruppo della Margherita, DL-L'Ulivo, come emerge anche nella relazione, si è corretto, recependo le nostre indicazioni, un vulnus grave rispetto ad una logica di tutela che ha sempre contraddistinto, in modo anche bipartisan, il nostro ordinamento e l'operato della nostra classe politica.
Concludo - lo dico al collega Rositani che so essere attento - con un'ultima osservazione: è evidente che a breve dovremo discutere nuovamente la legge quadro sullo spettacolo, che si contraddistingue per molti aspetti di criticità e di problematicità, in modo non molto dissimile da come si è operato per quanto concerne il decreto in materia di cinema. Anche in questo caso sarà importante non sottovalutare l'intesa e la necessaria cooperazione istituzionale con i governi territoriali.
Per quanto concerne il cinema, temo che questi interventi legislativi, per quanto straordinari ed urgenti, non forniranno risposte positive. Ritengo si imponga una riflessione seria sulla tenuta del nostro mercato cinematografico. Noi oggi produciamo 100 film, 75 dei quali sono destinati a finire negli archivi del centro sperimentale o nel caveau della BNL; dunque possono far parte della storia cinematografica, ma non creano un mercato.
Ritengo che, se effettivamente si voleva intervenire in modo drastico sul nostro cinema, che è sull'orlo del baratro, lo si doveva fare innovando, in modo veramente deciso, alcuni punti di debolezza, soprattutto la scarsa patrimonializzazione degli operatori. Dunque, occorreva lavorare su defiscalizzazioni più ampie non solo per gli operatori italiani, ma anche per quelli internazionali che decidono una location in Italia, portando l'IVA al 4 per cento.
Esprimo un giudizio molto positivo sull'esternazione resa dal ministro Buttiglione alla Mostra del cinema di Venezia; dunque bisognerà operare, nei limiti del possibile e concordando una strategia modulata e


Pag. 80

flessibile con gli operatori, attraverso una tassazione di scopo che sappia indicare tutti gli operatori della filiera per creare le risorse aggiuntive che non passino più, in modo discrezionale e politico, per la commissione cinema, ma che sappiano premiare con automatismi - che andranno studiati - chi nel mercato opera e rischia in proprio. Quindi, onorevole Rositani, il reference system funziona se vi è il mercato; oggi ci troviamo in una situazione di assoluta criticità e il rischio, nell'epoca della globalizzazione, è quello di essere sempre più marginali.
Eppure, il nostro cinema rappresentava il secondo vettore strategico a livello internazionale. Ricordo che i 4.200 miliardi allocati dal 1985 al nostro cinema non sono riusciti a far crescere in modo coerente e competitivo un mercato e degli operatori in grado di essere competitivi a livello internazionale. Disponiamo di pochi operatori, tra l'altro sottopatrimonializzati; dunque, dovremmo lavorare sulla definizione - cosa che qui non si è fatta - di produzione nazionale e, soprattutto, dovremmo connotare in modo diverso la figura e lo status del produttore indipendente. Che senso ha che un operatore indipendente ceda oltre 7 anni i suoi diritti? Ciò pregiudica l'operatore e la possibilità di coproduzioni.
Sono convinto che si dovrà lavorare di più e meglio nelle coproduzioni, utilizzando - cosa che i nostri produttori non fanno - i programmi comunitari Media e Media plus, per i quali saranno necessari interventi e gran qualità (Applausi dei deputati del gruppo della Margherita, DL-L'Ulivo).

PRESIDENTE. Onorevole Colasio, mi complimento per il suo intervento veramente esemplare!
È iscritta a parlare l'onorevole Grignaffini. Ne ha facoltà.

GIOVANNA GRIGNAFFINI. Signor Presidente, voglio innanzitutto osservare che questo provvedimento, che il Governo è stato costretto a scrivere, è la dimostrazione lampante della sua incapacità di governare, cioè di dar vita a provvedimenti dotati di senso, capaci di durare nel tempo. Invece, la loro caratteristica, al di là del merito e del contenuto dei vari provvedimenti prodotti dall'Esecutivo, è quella di essere interventi temporanei ed affrettati che durano lo spazio di un mattino. Il provvedimento oggi alla nostra attenzione ne è l'ennesima riprova.
Infatti, esso è composto da alcuni articoli che provano a porre rimedio ad altrettanti errori commessi in leggi precedentemente approvate da questo Governo. Quindi, si tratta di un provvedimento di riparazione che non affronta la prospettiva e le questioni di sviluppo dei settori che coinvolge (cinema, beni culturali, l'arte contemporanea, eccetera), ma di un intervento che deve cercare di riparare ai danni fatti dalle leggi di questo Esecutivo. Questi danni contengono già qualcosa di irreversibile ed è questo l'aspetto che maggiormente ci preoccupa, perché proprio quei danni, in particolare per quanto attiene alla questione dei finanziamenti alle attività cinematografiche e allo spettacolo dal vivo, hanno già creato un dolorosissimo blocco nell'erogazione dei finanziamenti al cinema, al teatro, alla musica, ovvero a tutto lo spettacolo dal vivo. Si tratta di errori che costano, cari colleghi, tanto più se si vanno a sommare al fatto che in questi settori le risorse destinate dal Governo - quindi le risorse legate al FUS - sono diminuite negli ultimi quattro anni progressivamente fino al 10 per cento, corrispondente al taglio netto operato sul fondo unico dello spettacolo con le varie leggi finanziarie.
Da una parte siamo fortemente contrari alle scelte ed alle politiche del Governo in materia di spettacolo ed attività cinematografica, ma siamo altresì molto preoccupati del fatto che si ponga immediato rimedio a questi errori, per consentire una ripresa ed un'ordinata gestione ed allocazione delle risorse - già scarse - destinate a questo settore.
Perché il Governo ha sbagliato sulla questione del cinema? Io do un giudizio diverso da quello offerto dall'onorevole Colasio. Infatti, credo che la legge Urbani


Pag. 81

di revisione del credito cinematografico non sia sbagliata soltanto perché è stata impugnata dalla Consulta, ragione per cui ci troviamo oggi a discutere di questo provvedimento, visto che ostinatamente e nonostante i richiami delle regioni e dell'opposizione la maggioranza non ha voluto riconoscere nel testo il ricorso all'intesa con la Conferenza Stato-regioni come strumento indispensabile per una politica concertativa nel settore delle attività cinematografiche e, più in generale, dello spettacolo. Ciò vale a dire che questa maggioranza non ha metabolizzato l'assorbimento del Titolo V ed ha prodotto un provvedimento in contrasto con la norma costituzionale; tale aspetto è stato rilevato e vi stiamo adesso ponendo riparo con questo provvedimento.
Tuttavia, io mi trovo in disaccordo con il provvedimento - definito dal ministro Urbani e, fino a prova contraria, condiviso anche dal suo successore, onorevole Buttiglione, visto che non vi sono stati distinguo - perché lo ritengo un provvedimento non tanto sbagliato, quanto inutile e, per certi versi, perfino sciocco.
Mi riferisco, ovviamente, al provvedimento e alla sua fisionomia, non alle persone. Tale provvedimento muoveva dalla considerazione che il problema del cinema italiano fosse costituito dall'eccessiva quantità di investimenti statali per ciascun film prodotto. Si è dunque introdotta una norma che riduce la quantità di impegno e di capitale investito da parte dello Stato rispetto a ciascuna produzione.
Formulo una domanda banale: la legge allora definiva un tetto, non un obbligo. Chiunque, se i produttori avessero voluto, avrebbe potuto non ricorrere a un investimento così elevato, fino al 90 per cento, che, secondo le dichiarazioni più disinvolte rese alla stampa da produttori e registi, diminuiva la funzione vitale del produttore. Se vi fossero stati in Italia - e vi erano - produttori che non intendevano ricorrere al capitale dello Stato o intendevano ricorrervi solo in parte rispetto al budget complessivo del film, avrebbero potuto farlo. Non era, dunque, questo aspetto a definire lo stato di sofferenza del cinema italiano.
Un'ulteriore considerazione riguarda il famoso sistema del reference system, inventato da questo Governo per portare un po' di efficientismo, di efficacia, di logica di mercato, di confronto con le situazioni internazionali (si tratta degli slogan che venivano utilizzati). Il reference system è la certificazione in virtù della quale chi ha riscosso successo oggi potrà continuare in eterno a produrre domani. Ma il cinema, come tutte le arti, oltre che come tutte le industrie e come tutte le attività dello spirito, ha bisogno di tempi lunghi, di lentezza, di rischio; ha bisogno di provare, di far esordire tanti giovani, di sperimentare più strade: non è fabbricando successi che si crea l'identità di un paese, la consapevolezza della propria cultura, delle proprie radici e del proprio futuro. Tale provvedimento, così come concepito, ingessa il cinema italiano e lo determina dentro la strada rigida degli autori di successo e, quindi, dei generi di successo. Si tratta di una strada che mortifica talenti ed energie.
Sono state ricordate alcune questioni importanti, alle quali intendo brevemente accennare. Il cinema italiano, in questo momento, avrebbe avuto bisogno di ben altro, vale a dire di uno sguardo strategico; avrebbe avuto bisogno, in primo luogo, di un riconoscimento di legittimità e di simpatia da parte di questo Governo, che, invece, ha lavorato, con i suoi provvedimenti, come se il cinema italiano fosse un elemento di fastidio, da castigare il più possibile, perché reca disturbo. Dunque, il cinema italiano avrebbe avuto bisogno, in un momento difficile di transizione come quello attuale, di un pensiero lungo, che, riconoscendo la doppia identità che da sempre è costitutiva dello spettacolo e della cultura cinematografica, in bilico tra arte e industria, si facesse carico delle sfide della contemporaneità. Purtroppo non concordo con quanto sostenuto dal collega Colasio, con il quale, invece, molto spesso ho condiviso osservazioni e riflessioni.


Pag. 82


Il collega Colasio, infatti, ha parlato di coproduzioni internazionali. Bene, sappiamo tutti che le coproduzioni internazionali (che nella storia del cinema sono state sempre il più clamoroso fallimento da un punto di vista economico) sono state anche quelle che più hanno portato il cinema in uno spazio ibrido, anonimo, in cui vige l'idea che bisogna prendere un attore italiano e uno francese, un tecnico tedesco e uno spagnolo, che si deve girare un pezzo a Madrid e un altro altrove. Si tratta di prodotti di laboratorio, che il pubblico ha rifiutato e che la storia del cinema ignora. Questo è il destino delle coproduzioni.
Vi è però anche un'altra questione. Anzitutto premetto che non corrisponde al vero l'affermazione che in Italia, quest'anno, si produrranno cento film, al massimo saranno trenta. Si tratta di un'informazione che fornisco a quest'aula. Infatti, essendo venuti a mancare i finanziamenti già erogati per i film d'esordio, per le opere prime, si verificherà un quasi totale azzeramento della produzione «assistita». Si noti poi che la media della produzione del cinema italiano è di cento film all'anno, o meglio, è più vicina agli ottanta, e che quest'anno, come detto, ci attesteremo sui trenta film. Questi sono i dati.
Va evidenziato il problema che siamo in competizione non solo con il mercato americano (che ha una produzione quattro volte superiore alla nostra), ma anche con i mercati cinese e indiano (che sfornano in media 4 mila film all'anno). Si tratta di film che riguardano una serie di generi, una visione del mondo e storie e paesaggi diversi. Uno dei problemi del cinema italiano non è rappresentato quindi dalle coproduzioni, ma dalla necessità di immaginare uno spazio europeo della circolazione, della distribuzione delle opere, la cui identità deve però restare nazionale. Ciò va inquadrato in un discorso culturale, cui facevo riferimento poc'anzi; parlo cioè della forza, della capacità del cinema di lanciare un appello, di coinvolgere le masse sui valori e l'identità di una nazione e sulle sue articolazioni, anche territoriali.
Quindi, il cinema italiano faccia il cinema italiano, ma si collochi in una dimensione europea. Sul piano dello sviluppo delle cinematografie transnazionali dei paesi europei, sarebbe importantissimo se si riuscisse a costruire quello spazio europeo della circolazione delle opere e dei prodotti audiovisivi come sta avvenendo per la ricerca. La costruzione di uno spazio europeo della ricerca infatti è oggi lo strumento più prezioso che abbiamo a disposizione per salvaguardare un livello minimo per la ricerca italiana.
Oltre al tema dello spazio europeo (e quindi del problema delle dimensioni), vi è anche la questione, già sollevata, dello sviluppo tecnologico e della nuova fase in cui il cinema si trova ad operare.
Questa nuova fase è sicuramente segnata da uno sviluppo tecnologico che sta portando ad una modificazione nei processi di produzione degli audiovisivi e dei film, ma anche, e soprattutto, nei processi di fruizione e circolazione dei prodotti cinematografici e audiovisivi. Ossia, quello che è stato fino a circa venti anni fa il luogo centrale del consumo cinematografico, la sala, già oggi (e in prospettiva lo sarà sempre più) è destinata a diventare solo una delle varie occasioni di fruizione dei prodotti cinematografici. Già da tempo di tali prodotti si può fruire mediante tecnologie come le videocassette e i DVD e attualmente si stanno rendendo disponibili anche sui cellulari e attraverso i vari schermi «personalizzati», che sempre più in futuro invaderanno la vita dell'uomo.
Ho svolto queste osservazioni perché penso che una riflessione sul tema debba prendere il via proprio da queste premesse. Tra l'altro, questa nuova fase fornisce spunti secondo me molto interessanti, che daranno molto da pensare agli autori anche su come costruire storie nell'ambito di questo meccanismo di trasformazione tecnologica, su come fare linguaggio.
Ci sono una serie di problemi di mercato, estetici, linguistici e culturali, che


Pag. 83

sarebbe bene affrontare. Questa modalità di trasformazione, in particolare, farà sì che il cinema sarà solo un settore, un genere all'interno di una più generale industria dei contenuti, di cui anche l'audiovisivo sarà un settore.
Noi ci troviamo di fronte al fatto che sempre più ci saranno offerte integrate di consumi culturali, turistici e del tempo libero, all'interno delle quali quella di sport farà concorrenza, come genere, all'offerta di cinema. Il cinema deve quindi pensarsi come un medium che ha perso la propria centralità e il proprio primato nella produzione dell'immaginario. E pensare di aver perso la propria centralità vuol dire pensarsi come parte del sistema integrato dei media, come parte cioè di una catena produttiva forte, che servirà in modo diverso. Ciò significa, pertanto, pensarsi anche come innovazione tecnologica, ad esempio, il digitale, che non è soltanto una tecnica di visione, ma è anche una tecnica di produzione che sta cambiando il modo stesso di concepire il racconto, la scenografia e la sceneggiatura.
Ci sono aspetti importanti e c'è un momento di transizione delicato. Bisognava avere la forza, la convinzione, il riconoscimento che il cinema poteva essere collocato in questa dimensione aperta al futuro. Questo Governo, invece, con i provvedimenti più specifici cui ho fatto riferimento e, in particolare, con la cosiddetta legge Gasparri, si è mosso in una logica esattamente contraria rispetto a quel pensiero lungo, a quella proiezione nel futuro che ho qui richiamato. Questo Governo non ha sufficientemente vigilato sul modo con cui è stata applicata e finanziata la legge n. 122 del 1998. Quest'ultima, come tutti sanno, è la legge che destina risorse, in percentuali variabili, delle imprese radiotelevisive, private e pubbliche, alla produzione di fiction e di cinema.
Questa legge presenta già un problema, in quanto non è stata sufficientemente monitorata - a questo riguardo mi rivolgo, in particolare, al sottosegretario Pescante, qui presente -, e RAI e Mediaset la disattendono fortemente nelle sue articolazioni concrete. A mio avviso, comunque, si tratterebbe di andare oltre lo spirito giusto e positivo che ha mostrato il centrosinistra, il quale ha avuto una bella intuizione nell'approvare la legge n. 122 del 1998. Noi abbiamo avuto l'intuizione, che hanno oggi tutti i grandi sistemi europei e mondiali, del fatto che il finanziamento del cinema in questo sistema integrato non potrà che essere, quantomeno fino al 30 per cento, a carico del sistema complessivo dei media, visto che il settore cinema ne è il pezzo più importante e più pregiato.
Occorre, quindi, capire che, da una parte, si pone una questione di politiche pubbliche e di investimento rispetto agli esordi, ai giovani e alle differenze culturali e linguistiche; dall'altra parte, si pone una questione di mercato, di grandi numeri, che significa trovare un mercato europeo per la produzione italiana ed europea. Si pone, altresì, una questione di risorse e di investimenti perché, per quante defiscalizzazioni noi facciamo - e le dobbiamo fare -, per quante risorse aggiuntive da comparti extracinematografici cerchiamo di fare affluire sul mercato cinematografico, queste non risolveranno mai il problema di grandi numeri che abbiamo di fronte.
A partire dalla Francia, tutte le nazioni europee hanno individuato la possibilità di drenare risorse dal settore complessivo della multimedialità, del digitale, dell'innovazione tecnologica, e via dicendo, alla produzione, appunto, di pregio. È esattamente il contrario di ciò che ha fatto la legge Gasparri, non solo da un punto di vista della trasposizione nel digitale del monopolio-duopolio che già costituisce l'assetto del settore audiovisivo, ma soprattutto perché non v'è alcun riconoscimento o possibilità di azione per i produttori di contenuti, i quali vengono interamente sacrificati, dalla citata legge, agli operatori di comunicazione e telecomunicazione, i quali sono i veri arbitri dell'intero sistema.
Non ci piace neppure il modo in cui il provvedimento in esame risolve la questione di Cinecittà Holding Spa. Non ci piace perché il modo in cui questo Governo interviene rispetto a Cinecittà, tra


Pag. 84

l'altro attribuendole funzioni improprie, è lo stesso che ha caratterizzato la sua politica nei confronti, ad esempio, di una società per azioni come Arcus.
Che fa il Governo? Anziché assumersi in prima persona la responsabilità di attivare politiche pubbliche che perseguano obiettivi strategicamente lungimiranti, esso delega a società di natura privatistica la gestione e persino la definizione delle politiche nel settore culturale. È accaduto con Arcus, luogo oscuro che governa miliardi provenienti ai beni culturali dalle varie leggi obiettivo: Arcus è un luogo oscuro che non consente, non soltanto all'opposizione, ma ai cittadini italiani di conoscere chi decide, come e perché, in ordine alle risorse da destinare al settore dei beni culturali. Con Cinecittà - mi appello al sottosegretario Pescante ed al ministro Buttiglione - sta accadendo la stessa cosa: il ministero rinuncia alla potestà di determinare gli indirizzi per Cinecittà e la delega interamente alla suddetta Spa.
Non ci piace nemmeno il modo in cui avete risolto, anche se con qualche aggiustamento, la questione della verifica preventiva di interesse culturale. Il problema dell'esclusione dalla tutela delle produzioni seriali, delle collezione numismatiche che non abbiano carattere di originalità, rimane (sul punto interverrà diffusamente un altro collega).
Vi è, poi, la questione riguardante la Biennale di Venezia. Siamo d'accordo sulla sostanza del provvedimento, ma riprendo il tema per svolgere una considerazione. Se c'è qualche possibilità che Venezia ritrovi la sua funzione di vetrina culturale del cinema, questa è legata al fatto che si sviluppi con forza, intensità e successo l'iniziativa promossa a Roma. Perché lo dico? Perché nel settore del cinema dobbiamo uscire dalla logica della tutela e della nicchia, secondo la quale c'è un piccolo ambito da preservare.
La strategia è perdente: si vince soltanto rilanciando l'Italia come grande sistema della produzione culturale, seriale, di mercato, capace di attirare diversamente, per la specificità di città come Roma e Venezia, capace, insomma, di moltiplicare il pubblico e le domande! Invece, ragioniamo sempre nell'ottica delle piccole risorse da distribuire tra poveri.
Non è così! Se il cinema, nella logica di sviluppo cui facevo riferimento precedentemente, viene considerato una grande risorsa e un vettore di sviluppo grazie alle sue grandi potenzialità di raccogliere pubblici disparati nelle diverse aree geografiche, allora, l'idea di un festival a Roma è un moltiplicatore di energie cinematografiche. È una manna, non una condanna! Quindi, inviterei anche gli amici di Venezia a considerare questo evento con spirito cosmopolita e a smetterla di chiudersi nell'orticello della loro piccola città e del loro piccolo lido.
In conclusione, ricordo con dispiacere che, in Commissione, sono state dichiarate inammissibili alcune proposte emendative presentate dal nostro gruppo relative all'archivio della Presidenza del Consiglio dei ministri.
Al riguardo, mi appello anche alla sensibilità del Presidente e ricordo che il provvedimento in esame contiene un articolo che rivede norme approvate recentemente con il codice dei beni culturali. Anche le nostre proposte emendative fanno riferimento a quella stessa articolazione, ossia modificano aspetti relativi al suddetto codice. Tuttavia, ci tengo a sottolineare (ed è un punto assai delicato) che, in un provvedimento approvato alla fine del mese di luglio, prima della pausa estiva, è stata introdotta una norma che non destina più all'archivio di Stato i documenti della Presidenza del Consiglio.
Voi sapete quale è stata la funzione dell'archivio di Stato (e spero che continui ad esserlo). Penso che l'espropriazione dei fondi, dei materiali della Presidenza del Consiglio rispetto a questo luogo, che è una garanzia di consultazione, anche per gli utenti, sia un problema che riguarda tutti. È un tema che ha sollevato indignazione in tutti i giornali di destra, di sinistra e di centro (l'intellettuale che ha aperto la questione è Ernesto Galli della Loggia, sul Corriere della sera).
Invito gli uffici e la Presidenza a riconsiderare l'ammissibilità di quelle proposte


Pag. 85

emendative ed invito l'intera Assemblea, maggioranza ed opposizione, a considerare l'importanza del ripristino di questa funzione strategica che l'archivio di Stato ha sempre svolto e che deve continuare a svolgere (Applausi dei deputati del gruppo dei Democratici di sinistra-L'Ulivo).

PRESIDENTE. È iscritta a parlare l'onorevole Titti De Simone, pronta a osare tutto... Ne ha facoltà.

TITTI DE SIMONE. Presidente, ora non esageriamo...!
Signor Presidente, il provvedimento al nostro esame cerca di rimediare ad una serie di errori che il Governo ha compiuto su questo terreno (e non solo su questo terreno, come ben sappiamo noi e come ben sa il popolo italiano), adottando un provvedimento che, nel luglio scorso, è stato definito illegittimo della Corte costituzionale, con riferimento alla capacità dello Stato di legiferare in concerto con le regioni, sulla base della modifica intervenuta nel Titolo V della Costituzione.
Questo terreno della legislazione non è stato rispettato correttamente dal Governo, malgrado i richiami fatti già allora dall'opposizione - e non solo da noi, ma anche da molte associazioni del settore e dagli operatori - al rispetto puntuale della normativa. Il ministro Urbani e la maggioranza decisero allora di tirare dritto, fino a quando la Corte costituzionale non ha potuto non prendere atto dell'errore compiuto, dichiarando illegittimo il provvedimento.
Questo non è certamente un errore da poco sotto il profilo formale del diritto: certamente ha costituito un problema, poiché si è ripetuto in tanti altri settori. Il Governo ha dimostrato impermeabilità ad un confronto reale con le regioni sul terreno della legislazione concorrente: lo stesso atteggiamento ha avuto anche verso il settore della scuola.
A tale proposito, devo dire che sono, però, confortanti i riscontri delle ultime decisioni della Conferenza Stato-regioni, circa l'applicazione della riforma Moratti, sul decreto di riforma della scuola secondaria superiore, le quali mettono in evidenza l'incapacità del Governo a sviluppare in questi anni una sana e corretta dialettica-confronto con le regioni. Si è trattato di una impermeabilità molto arrogante, che alla fine si è trovata di fronte ad un muro: al momento di rispettare le norme e le regole, l'arroganza del Governo può passare fino ad certo punto!
Il problema non è solo quello del metodo, per quanto molto grave: vi è anche quello di sostanza. Infatti, i ritardi nell'attuazione del citato provvedimento hanno di fatto paralizzato l'erogazione dei finanziamenti destinati alla produzione cinematografica, creando non pochi disagi e problemi agli operatori del settore: si tratta di errori che hanno causato danni notevoli.
Adesso, il Governo cerca di ricorrere ai ripari mettendo una toppa a un danno determinato colpevolmente, perché, come molte volte abbiamo sottolineato, era del tutto evidente che si stavano commettendo degli errori nel proseguire in quella direzione. Il rimedio che si intende proporre all'attenzione del Parlamento ha degli elementi riparativi e di urgenza del tutto condivisibili: ciò riguarda certamente l'articolo 1, che sana il vulnus di legittimità sottolineato dalla Corte costituzionale e garantisce la possibilità di sbloccare i finanziamenti, il cui ritardo ha posto il settore in una condizione non facile.
Sono state, inoltre, come al solito (ci siamo abituati a questa metodologia), inserite nel decreto-legge in discussione, il quale dovrebbe possedere i requisiti di urgenza, visto che si tratta di una decretazione di tale natura, altre misure che non ci sembra possano essere in esso contenute, configurando in tal modo un provvedimento molto disorganico e non omogeneo.
Del resto, anche il Comitato per la legislazione, nel parere - ben noto al relatore Rositani - fornito alla VII Commissione, compie alcuni rilievi circa il carattere disomogeneo del testo, la non conformità alle esigenze di semplificazione e di riordino normativo, la mancanza delle


Pag. 86

relazioni sull'analisi tecnico-normativa e sull'analisi di impatto della regolamentazione.
Sono, dunque, tutti profili molto seri; non è la prima volta, peraltro, che vengono sottoposti all'esame del Parlamento provvedimenti così deficitari e che il Comitato per la legislazione si esprime in tali termini.
A mio avviso, le proposte emendative del relatore tese a risolvere in qualche modo tali profili, benché condivisibili, non sono però sufficienti ad assicurare comunque un adeguato miglioramento del provvedimento in oggetto.
A tale elemento di metodo - ma non solo di metodo; invero, anche in questo caso, infatti, il metodo è sostanza -, si aggiunge il merito del provvedimento, che interviene nel settore del cinema mirando a porre in atto politiche che possano promuovere ed aiutare un comparto che pure, certamente, sta dando soddisfazioni al nostro paese. Si tratta però di un ambito che, comunque, si trova ancora oggi a confrontarsi con seri limiti di carattere normativo, i quali impediscono un suo sviluppo ed una sua piena valorizzazione.
Dunque, su ciò vogliamo soffermarci particolarmente perché, nel dichiarare ovviamente condivisibili i contenuti dell'articolo 1, desideriamo però rimarcare la necessità - cui questo provvedimento non dà una risposta seria, congrua, approfondita ed organica - di intervenire sull'insieme del settore della cinematografia. È necessario non solo fornire un quadro di certezza normativa cui fare riferimento, ma anche apprestare congrui finanziamenti che assicurino il rilancio del settore. Si tratta di questione non secondaria; è, invece, un profilo centrale che il provvedimento, ancora una volta, non affronta severamente.
In questi anni di Governo, con le leggi finanziarie approvate, i tagli al fondo unico dello spettacolo sono stati sensibili, notevoli. Si è ormai vicini al 10 per cento di tagli operati in un settore in affanno; un settore che rivela difficoltà di rilancio, di consolidamento e di promozione - soprattutto per quanto attiene le nuove, giovani produzioni - e nel quale è anche intervenuto il blocco delle risorse. Dunque, l'insieme di tali situazioni e delle scelte del Governo, nonché gli errori compiuti hanno, in questi anni, messo in una condizione di serio disagio il settore del cinema. A ciò si aggiungano le scelte politiche adottate da questo Governo con il cosiddetto decreto Urbani.
Si tratta di un provvedimento che allora contestammo, perché lo ritenevamo molto limitato ed insufficiente e, per certi versi, anche molto dannoso. Ciò sulla base della necessità di rilanciare il settore, valorizzando la circolazione delle opere e rivolgendo particolare attenzione alle produzioni più giovani ed indipendenti, nonché agli investimenti. Occorre valorizzare e promuovere la produzione cinematografica italiana nell'ambito di un contesto europeo, mentre il citato decreto Urbani, al contrario, si è particolarmente preoccupato di cristallizzare la situazione esistente.
Detto provvedimento, infatti, non ha liberato spazi e risorse, aprendo nuove opportunità, ma ha congelato, ovviamente con ricadute negative, la situazione di fatto. Vorrei osservare che si è determinato un sistema che ha paralizzato fortemente la produzione, ponendo ostacoli molto seri alle opere giovanili ed a quelle indipendenti, nonché ai documentari ed al comparto audiovisivo.
Ribadisco, dunque, che siamo in presenza di una cristallizzazione del settore che non giova alla circolazione delle opere in ambito europeo e che penalizza la produzione italiana, che si trova a competere con un mercato maggiormente dinamico rispetto al nostro.
Abbiamo valutato in maniera molto negativa - e non solo noi - lo stesso ricorso ad un vincolo quale il reference system, proprio perché esso configura un modello che, anziché rendere più dinamico ed aperto il settore, lo cristallizza e lo paralizza, soprattutto in ordine alla circolazione delle opere in ambito europeo. Vorrei aggiungere, inoltre, che il reference system si colloca all'interno di una


Pag. 87

logica completamente mercantile, che non ha niente a che vedere con la valorizzazione delle nostre opere e dei settori più interessanti, importanti e ricchi della cultura italiana, come, ad esempio, le produzioni cinematografiche.
Tutto ciò non ha nulla a che fare con l'obiettivo di sostenere, imprimendo dinamismo, le nuove generazioni e le nuove produzioni, proprio perché la logica mercantile è fondata sull'incasso. Sulla base di tale logica, vengono condizionati gli accessi alle risorse pubbliche, le quali, ovviamente, sono di appannaggio soltanto dei soliti monopolisti. Mi riferisco a quelle realtà imprenditoriali multinazionali che ormai controllano ampiamente il settore nel suo complesso, dalla produzione alla distribuzione, e persino all'esercizio. Gli interessi del Presidente del Consiglio, ad esempio, non sono estranei a questo mercato, come ovviamente è ben risaputo!
Dunque, le politiche fin qui adottate dal Governo in carica hanno mostrato, a nostro avviso, numerosi limiti. Del resto, i problemi esistenti non sono stati minimamente risolti neanche nel corso dell'esame svolto in sede di Commissione, attraverso l'approvazione di alcuni emendamenti che cercavano di intervenire in materia di finanziamenti allo spettacolo dal vivo.
Anche questo è un settore fortemente penalizzato - ed anche un po' umiliato - dal Governo. Anche su tale aspetto registriamo una sostanziale incapacità di questa maggioranza e di questo Governo ad approvare e portare avanti una disciplina organica di un settore che oggi versa in una condizione piuttosto critica, quale quello dello spettacolo dal vivo, che avrebbe avuto bisogno di una maggiore attenzione, sia in termini di disponibilità di risorse, sia in termini di quadro normativo. Il relatore, onorevole Rositani, è ben a conoscenza della situazione, essendo stato molto attento, tra l'altro, all'esame ed avendo anche avuto una parte attiva nella parte del provvedimento che riguarda lo spettacolo dal vivo. Tuttavia, le divergenze che si sono prodotte, anche all'interno della maggioranza, su tale terreno hanno frenato moltissimo l'iter del provvedimento sullo spettacolo dal vivo. Ciò vale anche per quanto riguarda il campo dei finanziamenti. Anche sui finanziamenti, infatti, gli operatori del settore formulano le loro critiche e si registra un disagio molto forte nei confronti del Governo. Dunque, anche le modifiche apportate al provvedimento non sono certo esaustive e non offrono una risposta sufficientemente puntuale anche su tale versante.
Registriamo, tra l'altro, che le modifiche apportate prevedono un'intesa con la Conferenza Stato-regioni circa l'erogazione dei contributi alle attività dello spettacolo dal vivo, ma introducono una scadenza di 60 giorni, decorsi i quali il Governo può adottare ugualmente i decreti relativi, anche se l'intesa non è stata raggiunta. Ciò a noi sembra un raggiro. Infatti, se le regioni non sono sostanzialmente d'accordo sul tipo di provvedimento che il Governo propone, il ministero, decorsi 60 giorni, si ritrova ad avere le mani libere e può aggirare l'eventuale contrarietà della Conferenza Stato-regioni. Lo ripeto, a noi ciò pare un raggiro del Titolo V della Parte II della Costituzione, e si prefigurano pertanto elementi di illegittimità costituzionale.
Come è già stato detto dai colleghi che mi hanno preceduta, rivolgiamo alcune critiche alla parte del provvedimento che riguarda Cinecittà holding, perché a noi sembra, in modo del tutto evidente, che ciò che viene proposto dal Governo vada nella direzione, per noi negativa, di una centralizzazione delle competenze nelle mani del Ministero dell'economia, come già avvenuto con Arcus per quanto riguarda il settore dei beni culturali. Noi contestiamo proprio la filosofia di fondo che riguarda la creatura Arcus, ma non è questo comunque il tema in oggetto. In ogni caso, anche con questo provvedimento, il Governo ripropone la medesima filosofia, con una centralizzazione di Cinecittà holding nelle mani del Ministero dell'economia, configurando, anche a tal proposito, una logica tutta incentrata sul mercato, sul profitto e non, invece, sull'aspetto sicuramente più importante per la collettività, ossia sull'aspetto del bene


Pag. 88

culturale che il cinema rappresenta quale bene comune per tutta la società e per la nostra collettività. Si configura, dunque, a tal proposito, la solita logica mercantile, che marginalizza - a nostro avviso - negativamente il ruolo del Ministero per i beni e le attività culturali, a vantaggio del Ministero dell'economia.
Sottolineiamo che, a nostro avviso, alcuni emendamenti hanno anche introdotto elementi peggiorativi in materia di controlli e di procedure di accertamento dell'interesse archeologico dei siti.
A ciò si aggiunge, per quanto attiene alla materia numismatica, una visione del tutto sbagliata e molto criticata dagli ambienti legati a tale settore. Infatti, le proposte introdotte con il decreto-legge in discussione prefigurano una riduzione della tutela rivolta alle collezioni numismatiche, qualora connotate da serialità.
Pertanto, il nostro giudizio sul provvedimento nel suo complesso è negativo. Ferma restando la necessità di sbloccare i finanziamenti per il cinema attraverso l'articolo 1 di questo decreto-legge, dopo la paralisi cui il Governo li ha costretti a causa degli errori compiuti, ci sembra che complessivamente lo stesso configuri una serie di ombre, di politiche e di interventi sbagliati.
Ci sarebbe stato bisogno di tutt'altro, almeno dal nostro punto di vista, per rispondere davvero alle esigenze di cui oggi il settore del cinema ha bisogno e che il cosiddetto decreto legislativo Urbani non ha affrontato, consolidando le rendite acquisite e le posizioni di controllo del sistema.
Tale settore avrebbe bisogno di un intervento di tutt'altro segno, che affrontasse, innanzitutto, il serissimo problema delle risorse. In proposito, le politiche dei tagli portate avanti da questo Governo, riguardanti tutto il settore della cultura, hanno inciso fortemente sul settore cinematografico, tant'è che si passa da una produzione media di 100 film italiani a 30 film prodotti quest'anno. In altri termini, vi è un calo verticale e vertiginoso delle produzioni cinematografiche, proprio a causa dei tagli e delle scelte compiuti da questo Governo.
È un danno per la cultura del paese, per la sua immagine in ambito internazionale e, ovviamente, per la valorizzazione delle opere italiane in un mercato che - come sappiamo- oggi rischia di penalizzarle molto pesantemente. Mi riferisco alla produzione proveniente dagli Stati Uniti e da altri mercati che si stanno sviluppando fortemente: penso alla Cina, all'India e via dicendo.
Sarebbero, dunque, necessarie altre scelte ed altre politiche. Vorremmo richiamare, ad esempio, un nodo fondamentale, ossia il problema dell'antitrust e, comunque, della possibilità di risolvere situazioni di monopolio e di controllo del settore, che è attualmente nelle mani di pochi. Queste politiche di antitrust, che oggi concretamente pongono in una situazione di fortissimo svantaggio tanta parte della produzione cinematografica, dovrebbero essere affrontate con delle proposte sia di tipo verticale sia di tipo orizzontale. Esse debbono intervenire non solo nel rapporto tra produzioni, ma anche nel rapporto tra produzione, distribuzione ed esercizi, che costituisce il problema reale da affrontare.
Sarebbe stato necessario fare dell'altro per sviluppare delle politiche serie sul terreno della promozione delle produzioni italiane ed europee, proprio per valorizzare il cinema italiano, investendo sulla costruzione di uno spazio europeo come spazio di produzione, circolazione e promozione delle opere.
Riteniamo nettamente sbagliata la politica del Governo, perché ci sta a cuore che il cinema resti un interesse primario di questo paese e della sua cultura, perché esso costituisce un momento essenziale della crescita culturale.
Pensiamo che all'interno di qualunque progetto politico che voglia davvero contribuire alla costruzione di una società realmente democratica la cultura costituisca un punto strategico fondamentale e che da esso dipendano i diritti di scelta, la formazione della coscienza critica del cittadino


Pag. 89

e, dunque, la nostra reale libertà e capacità di incidere nello sviluppo sociale del paese.
Nell'accostarsi, quindi, al settore del cinema, è fondamentale considerare questa premessa, ossia che esso si caratterizza e si distingue per la sua peculiarità. Non a caso, infatti, il cinema è definito come industria dei prototipi, forma di espressione artistica e, al tempo stesso, industria singolarissima. Ogni prodotto, infatti, è unico, con un suo iter produttivo e distributivo non ripetibile. Intorno a tale industria girano risorse economiche ed umane in notevoli quantità.
Si dice, dunque, «cinema», ma, in realtà, usiamo questo termine per indicare un mondo molto complesso, che comprende vari aspetti apparentemente tra loro molto diversi: elaborazione creativa, finanziamenti, produzione, distribuzione, campagne pubblicitarie, circolazione nelle sale, eccetera. Sono tanti i momenti che contribuiscono a costruire l'opera cinematografica.
Pensiamo, pertanto, che sia molto importante che il mondo di questa industria sia realmente libero. È fondamentale che lo Stato si proponga come obiettivo lo sviluppo della propria cinematografia, anche attraverso incentivi economici e strutturali e forme di sostegno allo sviluppo che assumano diverse e articolate modalità, senza mai perdere di vista la necessità che a questi sostegni e agevolazioni accedano anche il nuovo, l'emergente, i giovani.
Il cinema italiano sta vivendo un momento di grande creatività, ma molte difficoltà si pongono davanti agli autori per quanto riguarda le strutture produttive e distributive. Dunque, è necessario un approccio sistemico e non frammentato, come quello di questo Governo, ai problemi che lo riguardano.
In un paese realmente democratico, l'offerta culturale e, quindi, anche quella cinematografica hanno bisogno della presenza reale e concreta di più voci e di forme espressive, cioè di un pluralismo produttivo, artistico, di linguaggi e di generi, che, invece, viene mortificato dall'attuale sistema.
Tale sistema è stato cristallizzato, paralizzato, bloccato, ingessato dai provvedimenti portati avanti dal Governo in questa legislatura. Certo, ciò non ha aiutato a difendere il cinema italiano ed europeo. Noi pensiamo che per difenderlo, per favorirlo, per promuoverlo vi sia bisogno non solo di sostegno all'industria cinematografica nazionale...

PRESIDENTE. Dovrebbe affrettarsi a concludere...

TITTI DE SIMONE. ...ma anche - e concludo - di interventi strutturali e normativi in grado di consentire la ricostituzione di un mercato realmente libero e dinamico. In questo senso diciamo che bisogna mettere in atto misure di antitrust che impediscano la costituzione di posizioni dominanti, cioè la concentrazione in poche aziende, come avviene oggi, delle varie fasi della produzione e della distribuzione cinematografica, rappresentando interessi che potrebbero apparire, a prima vista, anche contraddittori tra loro.
Sono questi gli obiettivi principali che sarebbe stato necessario raggiungere. Tutt'altra, invece, la politica che il Governo sta portando avanti e che viene in modo così deludente rappresentata da questo ennesimo provvedimento (Applausi dei deputati del gruppo di Rifondazione comunista).

PRESIDENTE. È iscritta a parlare l'onorevole Cima. Ne ha facoltà.

LAURA CIMA. Signor Presidente, sarò molto più sintetica...

PRESIDENTE. Non me lo dica, non ci voglio credere...!

LAURA CIMA. ...perché i colleghi che mi hanno preceduto, in particolare l'onorevole Grignaffini e l'onorevole Titti de Simone, ma anche in parte l'onorevole Colasio, hanno già ampiamente spiegato dubbi e perplessità sul disegno di legge e,


Pag. 90

soprattutto, insoddisfazioni di fondo sulla politica del Governo in materia di cultura e spettacolo.
Il provvedimento in esame - come dice lo stesso relatore Rositani nella sua onesta relazione - è un decreto-legge riparatore di errori precedentemente commessi. Il più grave è stato stigmatizzato dalla Corte costituzionale con la sentenza n. 285 del luglio di quest'anno: non si è tenuto conto del nuovo Titolo V e del fatto che, dopo la modifica costituzionale, lo Stato deve concertare con le regioni le politiche relative a cinema e spettacolo. Il decreto Urbani, proprio per tale mancanza di politiche di concertazione, è stato impugnato, così come altri provvedimenti. Ad esempio, la norma sulle collezioni numismatiche è stata approvata solo pochissimi mesi fa con il decreto-legge n. 63 ed è già da correggere. Lo stesso discorso vale per la procedura di verifica preventiva dell'interesse archeologico.
Si tratta di un provvedimento confuso che tratta diversi argomenti, e lo fa solo per mettere alcune toppe. È un po' l'emblema di molti dei provvedimenti che il Governo, non solo in tale materia, ha varato in questa legislatura. Dunque, è chiaro che non siamo d'accordo, anche se, ovviamente, non possiamo dire di essere contrari all'articolo 1, che ripara all'errore che la Corte costituzionale ha rilevato con la sua sentenza.
Per quanto riguarda l'articolo 2 del provvedimento in esame, vi sono dei problemi non di poco conto, perché la decisione di creare questo soggetto, Cinecittà Holding Spa, indica la volontà di una delega privatistica per gli indirizzi delle politiche per il cinema. Questa società ha, quindi, delle funzioni improprie. Anziché attivare la produzione culturale italiana e cinematografica, come sarebbe necessario affinché l'Italia assuma il ruolo che storicamente ha sempre avuto e che gli compete, rispetto alla ricchezza della nostra cultura a livello internazionale ed europeo, si determina in realtà una riduzione del ruolo ricoperto dal Ministero per i beni e le attività culturali a vantaggio, per esempio, del Ministero dell'economia e delle finanze. Ciò evidenzia come si mortifichi il tutto, danneggiando così la libertà di espressione. Manca la capacità di governo di indirizzare questa libertà di espressione e di valorizzarla, al fine di renderla competitiva sul mercato internazionale.
Con riferimento all'articolo 3, non possiamo non essere d'accordo, perché non possono essere eccepite le modifiche relative alla Biennale di Venezia. Il problema reale è che si sono aperti altri fronti, che questo decreto (riparatore) in realtà non ripara. Ad esempio, la dichiarazione del sindaco di Roma, Veltroni, durante il festival di Venezia, di voler promuovere un festival internazionale del cinema a Roma - sicuramente un'iniziativa molto positiva, che aiuterà a rilanciare il cinema e la nostra capacità di promozione del cinema stesso, peraltro non solo quello italiano (dato che i premi al cinema italiano non sono così copiosi) - crea una situazione di difficoltà per quanto riguarda il Festival di Venezia, così come denunciato dal sindaco di Venezia. Al riguardo, può crearsi una competitività positiva se il Governo se ne farà carico, ad esempio cercando di risolvere il problema del nuovo palazzo del cinema, con riferimento al quale il sindaco di Venezia ha denunciato i ritardi. Diversamente, ciò può anche dare luogo ad una situazione che potrebbe determinare una crisi - la collega Grignaffini diceva che rischia di diventare una nicchia, come il Festival di Venezia - per il festival di Venezia, un'istituzione molto prestigiosa, che noi Verdi crediamo si debba in tutti i modi difendere e sostenere, perché è parte della nostra storia. Venezia è la città che, tra Biennale e Festival del cinema, si mostra come vetrina delle culture e della capacità di accoglienza, in particolare nel mese di settembre, attirando tanti turisti.
Di questo avrebbe dovuto farsi carico il Governo, mentre non mi sembra che per ora vi sia alcuna indicazione al riguardo. Sempre riferendomi al Festival di Venezia, ho avuto modo di partecipare ad alcune giornate ed ho seguito con molto interesse la rassegna dei corti. Ebbene, ho verificato quanto il nostro cinema sia in crisi, nel senso che i


Pag. 91

produttori e i giovani di altre nazioni che hanno partecipato a tale rassegna - il premio, come sappiamo, è andato al Giappone - sono stati sicuramente messi in grado, dai loro paesi, di lavorare meglio. Al contrario, il cinema italiano è giovane ed in espansione, anche in ordine a quanto espresso dalla collega Grignaffini; mi riferisco al superamento della sala, vale a dire alla possibilità di concepire il cinema come qualcosa che va dalla sala alla televisione, alla videocassetta, all'audivisivo, al digitale e via seguitando, in una sorta di multimedialità (l'utenza non è più fissa in sala per ricevere il messaggio culturale). In particolare, non è stato previsto alcun investimento ed i nostri produttori, autori e registi italiani giovani si trovano in grande difficoltà (questo festival lo ha evidenziato).
D'altra parte, i film presentati erano di produzione quasi monopolistica, perché la legge Urbani ha ormai determinato una sorta di cristallizzazione nel sistema. La RAI la faceva da padrone, ma un vizio era evidente: le varie produzioni usavano attori e linguaggi più simili alle fiction televisive che non al cinema vero e proprio; tant'è vero che sono state premiate altre modalità di produzione che permettono una maggiore libertà di espressione, nonché l'accesso a quei fondi che i nostri produttori più indipendenti e più giovani non potevano utilizzare (la legge Urbani non lo permette).
Non vorrei ripetere le considerazioni svolte precedentemente sulla legge Gasparri, che condivido totalmente; per quanto riguarda, invece, la legge n. 122 del 1998, essa presenta un altro spirito e, pertanto, avremmo dovuto sostenerla maggiormente. Forse, sarebbe anche interessante capire se è stata disattesa, e quanto, da RAI e Mediaset.
Il problema vero, di cui non si può non parlare in questa fase di discussione sulle linee generali del provvedimento sulla cinematografia, è che tale normativa, come tutte le altre varate in materia in questi anni dal Governo ed approvate dalla maggioranza, non affronta il problema della mancanza di adeguati finanziamenti pubblici nel settore dei beni culturali e dello spettacolo. Non solo si è evidenziata una contingenza dovuta al decreto Urbani, che ha bloccato i finanziamenti al cinema, al teatro, alla musica ed allo spettacolo, ma, in realtà, vi è un taglio piuttosto consistente e drastico, che ha messo in crisi, tra l'altro, anche il nostro cinema e tutto ciò che è cultura nel nostro paese.
Spetta allo Stato sostenere la produzione culturale, la nostra cultura e la nostra identità; in realtà, la stiamo perdendo per l'incapacità del Governo di sostenere la creatività italiana, il pluralismo e le diverse espressioni dello spettacolo, il cinema in primo luogo, e ciò determina un'emergenza, che ormai dura da troppo tempo, frutto di un'inadeguata politica governativa in questo settore.
Soprattutto in questo ultimo anno, vi sono state continue manifestazioni e proteste da parte degli operatori del settore (produttori, autori e gli stessi artisti), per denunciare con forza il ridimensionamento che ha subito in questi ultimi anni il fondo unico dello spettacolo. Le risorse sono ormai del tutto insufficienti e ciò ha penalizzato enormemente e messo in crisi l'industria cinematografica.
Ritengo sia fondamentale, nella legge-quadro sullo spettacolo, tenere conto di quanto fino ad oggi non si è considerato, cercando di rilanciare la nostra produzione. Inoltre, sarebbe importante adeguare, fin dalla prossima legge finanziaria, le risorse destinate al fondo per lo spettacolo (su tale questione abbiamo presentato uno specifico emendamento).
Ci sarebbe ancora molto da dire, ma vista l'ora, ritengo di aver evidenziato le questioni per noi più importanti.

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Ria. Ne ha facoltà.

LORENZO RIA. Signor Presidente, chiedo che la Presidenza autorizzi la pubblicazione in calce al resoconto della seduta odierna del testo integrale del mio intervento.


Pag. 92

PRESIDENTE. Onorevole Ria, la Presidenza lo consente, sulla base dei criteri costantemente seguiti.
Non vi sono altri iscritti a parlare e pertanto dichiaro chiusa la discussione sulle linee generali.

Back Index Forward