Resoconto stenografico dell'Assemblea
Seduta n. 660 del 21/7/2005
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Seguito della discussione del disegno di legge: Conversione in legge del decreto-legge 28 giugno 2005, n. 112, recante disposizioni urgenti per la partecipazione italiana alla missione internazionale in Iraq (A.C. 5949) (ore 9,40).

PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca il seguito della discussione del disegno di legge: Conversione in legge del decreto-legge 28 giugno 2005, n. 112, recante disposizioni urgenti per la partecipazione italiana alla missione internazionale in Iraq.
Ricordo che nella seduta di ieri si è concluso l'esame delle proposte emendative e degli ordini del giorno presentati.

(Dichiarazioni di voto finale - A.C. 5949)

PRESIDENTE. Passiamo alle dichiarazioni di voto sul complesso del provvedimento.
Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto l'onorevole Armando Cossutta. Ne ha facoltà.

ARMANDO COSSUTTA. Signor Presidente, onorevoli colleghi, noi ribadiamo la nostra opposizione alla guerra ed il nostro «no» al rifinanziamento della presenza militare italiana in Iraq. Insistere nel mantenere in quel paese i nostri soldati, signori del Governo, è un errore grave ed imperdonabile.
È cosa grave per i soldati italiani, che rischiano ogni giorno la loro vita in


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un'operazione di guerra - di guerra, ripeto -, e in una guerra immotivata, unilaterale ed imperiale. È grave per il nostro paese, che, rendendosi compartecipe e corresponsabile nell'occupazione straniera di quel territorio, è sempre più esposto all'ostilità dei paesi e dei popoli dell'intero Islam. È grave rispetto alla situazione generale, a livello internazionale, perché, con la permanenza in Iraq, l'Italia contribuisce, oggettivamente e direttamente, a tenere acceso, anziché spegnere, un conflitto crudele.
Voi, invece, insistete. La vostra retorica militarista è cinica ed irresponsabile. Noi, e non voi, signori del Governo, vogliamo veramente lavorare per la pace in Iraq. Ma la pace in Iraq sarà possibile soltanto quando finirà l'occupazione delle armate americane, presenti in quel paese ormai da tanto tempo.
La guerra non è finita con l'occupazione militare di Bagdad da parte delle truppe americane, ma è cominciata allora, si è intensificata di mese in mese e si è tragicamente imbarbarita. Lo sanno tutti che questa guerra sta diventando inarrestabile: è una guerra che continuerà e che si sta trasformando, ormai, in un conflitto che è, nello stesso tempo, guerra per l'indipendenza del proprio paese e guerra civile.
Sono di questi giorni le notizie sui gravi e laceranti contrasti all'interno di tale società: sciiti, sunniti e curdi sono divisi più di prima, gli uni contro gli altri; la presenza delle truppe di occupazione americane non favorisce la loro intesa, ma esaspera i loro contrasti. Ripeto, lo sanno tutti.
Voi dite: ma possiamo lasciare quel popolo al suo destino? Certo che no, ma con la guerra preventiva - una guerra divenuta ormai permanente - non lo aiutiamo a conquistare pace e libertà. Soltanto con il ritiro delle truppe che hanno occupato quel paese, che hanno martoriato quel popolo, si può aprire una prospettiva di sicurezza, che non è né semplice, né facile, ma è l'unica via da percorrere. Certo, per garantire sicurezza ci vorrà anche la presenza di forze in grado di contribuire a garantire tale sicurezza, ma non con le forze che attualmente occupano l'Iraq, bensì con altre forze: ci sono, sono disponibili, sono presenti in altre parti del mondo; non con le truppe americane o con quelle dei paesi che, con gli americani, hanno occupato militarmente l'Iraq. Affinché si possa verificare una nuova condizione per quel paese, occorre che si dichiari di porre fine all'occupazione e lo si dichiari subito. È questo che noi chiediamo. Domandiamo di far sì che si possa immediatamente operare per costruire una nuova realtà.
Non ci si venga a dire, ancora una volta, che dobbiamo rimanere in tale area per contribuire a combattere il terrorismo. Lo abbiamo ripetuto e lo ripetiamo: il terrorismo va combattuto e va combattuto strenuamente, senza incertezze. Noi non abbiamo dubbi su ciò. Ma il terrorismo non lo si vince con la guerra. La guerra - lo abbiamo constatato - lo favorisce, lo amplifica, lo estende. È la verità e, lo ripeto ancora, lo sanno tutti. Per questo abbiamo presentato i nostri emendamenti nella seduta di ieri, con i quali abbiamo chiesto che l'Italia contribuisca, con il proprio atteggiamento e con il proprio rifiuto a continuare la sua permanenza nel territorio iracheno, a porre fine all'occupazione, alla fine di una guerra, quindi, che soltanto nell'occupazione trova la sua ragione e - purtroppo - la sua orrenda motivazione. Con i nostri emendamenti, abbiamo deciso di chiedere, e abbiamo chiesto, l'immediato ritiro delle nostre truppe. Ne ha parlato ieri, con grande efficacia, il segretario del nostro partito, Oliviero Diliberto, e lo ripetiamo oggi. Ma voi, signori del Governo, non volete e non sapete rispondere a tale nostra richiesta.
Le opposizioni, oggi, tutte insieme, voteranno «no» al rifinanziamento della missione militare. Lo facciamo sapendo che tra di noi vi sono valutazioni, analisi, opinioni ed anche proposte diverse, ma siamo uniti - profondamente e sinceramente - grazie, in particolare, alla mediazione di Romano Prodi, per sostenere


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con forza la nostra opposizione alla guerra ed il nostro «no» alla presenza militare in Iraq dei soldati italiani.
Noi comunisti chiediamo un ritiro immediato. Lo abbiamo chiesto e siamo lieti che su tale nostra proposta altre forze della sinistra abbiano voluto aggiungere i loro voti ed i loro consensi. Lo abbiamo chiesto, purtroppo, da soli, ma lo abbiamo fatto con grande determinazione e consapevolezza, perché la necessità è immediata, non può essere diluita nel tempo. È una decisione politica. Non è una decisione tecnica. Non è una decisione militare. È, lo ripeto, una scelta politica. È per questo che noi abbiamo insistito ed insistiamo per il ritiro immediato.
Lo facciamo con senso preciso delle nostre responsabilità, con la nostra consapevolezza e coscienza degli interessi nazionali, per una dedizione profonda, antica e permanente alla causa della pace e della libertà.
L'interesse del popolo italiano, l'interesse del popolo iracheno, l'interesse del mondo, è oggi quello di venire via di lì. Lo hanno fatto altri paesi importanti, lo stanno decidendo altri paesi ancora; e noi no, signori del Governo? Ma fino a quando? Fino alla fine non saremo capaci di liberarci dal vassallaggio nei confronti degli Stati Uniti d'America?
Signori del Governo, non saprete mai guardare con lucidità, con chiarezza, con fermezza e con consapevolezza nazionale, non dico alla necessità di un rapporto amichevole con gli Stati Uniti (ci mancherebbe altro: questa amicizia è un fatto reale della nostra politica!), ma di guardare, in primo luogo, ai bisogni, alle esigenze della vita, del bene, del futuro dell'Italia, che coincide, in questo momento, con una decisione che proponiamo e riteniamo indispensabile ed immediata per il ritiro dei nostri soldati.
In questo modo, coerente e chiaro, possiamo contribuire, meglio che in altro modo, a cercare di garantire sicurezza, libertà e pace al popolo iracheno (Applausi dei deputati del gruppo Misto-Comunisti italiani e di deputati dei gruppi dei Democratici di Sinistra-L'Ulivo e della Margherita, DL-L'Ulivo).

PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto l'onorevole Ciro Alfano. Ne ha facoltà.

CIRO ALFANO. Signor Presidente, onorevoli colleghi, ci apprestiamo a votare il decreto-legge sulla prosecuzione della partecipazione alla missione internazionale in Iraq, denominata Antica Babilonia.
A differenza degli altri, è il primo decreto-legge che viene adottato in presenza di un Governo iracheno legittimato a governare in forza di libere e democratiche elezioni svoltesi il 30 gennaio scorso.
Molte contraddizioni sono emerse nell'ambito del dibattito: c'è chi si cela dietro alla pace, nell'estremo tentativo di ritrovare una unità che, di fatto, non c'è; c'è chi dichiara di sostenere un alleato come gli Stati Uniti e, poi, evidenzia un antiamericanismo; c'è chi riconosce l'operato delle nostre Forze armate e, nei fatti concreti, è contro la prosecuzione della nostra presenza nella missione, seppure con i «se» e con i «ma»; c'è chi continua a chiedere una risoluzione ed una presenza dell'ONU, dimenticando che ben tre sono le risoluzioni emanate da tale organismo che legittimano la forza multinazionale in Iraq fino al 31 dicembre 2005 (risoluzione n. 1546 del 2004).
C'è, infine, chi dimentica che lo stesso Governo iracheno ha fatto esplicita richiesta, formulata secondo il dettato della suddetta risoluzione ed accolta dal Consiglio di sicurezza dell'ONU il 31 maggio scorso, affinché le forze multinazionali restino sul loro territorio per sostenere il processo di democratizzazione in corso di consolidamento. Dov'è l'unione in politica estera? Sulle posizioni di Zapatero? Temo proprio di sì!
La FED annuncia un documento politico non parlamentare, i Comunisti, i Verdi ed altri non hanno la stessa posizione. Prodi tace: è un cattivo messaggio per il futuro del nostro paese.
La risoluzione n. 1546, nell'affermare che l'ONU deve svolgere un ruolo di guida


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nell'assistenza al popolo e al Governo iracheno, indica un percorso preciso per un Governo eletto democraticamente, con una sua Costituzione, e per un'Iraq federale, democratico, pluralista e unificato.
Il popolo iracheno, solo allora, potrà avviarsi verso un processo di sviluppo veramente sostenibile. Non possiamo e non dobbiamo dimenticare, infatti, come ho avuto occasione di rappresentare durante la discussione sulle linee generali, gli attentati terroristici, i rapimenti e le minacce che vengono compiuti ogni giorno in Iraq. Essi sono attribuibili alla rete terroristica internazionale che fa capo ad Al-Quaeda e a tutti gli oppositori, seguaci del vecchio regime, i quali hanno tutto l'interesse a tenere il paese nel caos e nel terrore e ad impedire che si consolidi il Governo scelto dagli elettori, per destabilizzare l'intera area medio-orientale, per impadronirsi delle immense risorse idriche ed energetiche, per mettere in ginocchio le economie occidentali e per finanziare attentati terroristici in tutto il mondo.
I fatti sembrano dimostrare che non vi sia connessione diretta fra l'intervento militare in Iraq e gli attentati terroristici. I rapimenti e gli eccidi compiuti ne sono una prova. Gli attacchi, per lo più, sono compiuti non ai danni dei nostri militari o di quelli della coalizione, ma degli stessi iracheni e delle forze dell'ordine locali.
Non possiamo lasciarli soli proprio in questo momento. La nostra è e resta una missione umanitaria, con interventi precisamente indicati nell'odierno decreto, che indica i vari settori di intervento, quali, per esempio, scuola e sanità, ove la Croce rossa italiana è impegnata da tempo anche in attività finalizzate alla riabilitazione delle strutture cliniche e assistenziali. Vi è, inoltre, il settore delle infrastrutture, con progetti mirati, che prevedono la creazione di collegamenti stradali, aeroportuali e portuali e di reti elettriche ed idriche. L'acqua, infatti, è stata portata in circa 30 villaggi.
L'impegno che il nostro paese profonde nel contesto delle relazioni internazionali è, pertanto, inequivocabilmente orientato all'affermazione in Iraq della pace e della sicurezza, attraverso un percorso di formazione a tutto campo e di addestramento, anche delle loro forze militari e di polizia.
Lo ribadisco: non possiamo e non dobbiamo lasciarli soli proprio in questo momento. Il ruolo dell'Italia in ambito internazionale sta assumendo sempre maggiore rilevanza. Ne è una dimostrazione anche il fatto che dal 1o agosto l'Italia assumerà il comando della missione ISAF, continuando così a fornire un contributo essenziale al delicato lavoro di intelligence e di lotta al terrorismo al confine tra Afghanistan e Pakistan, affinché le istituzioni democratiche afghane si rafforzino e si consolidino per rendersi autonome.
Per la comunità internazionale è il momento di serrare i ranghi al sostegno della ricostruzione economica e politica dell'Iraq. Un segnale forte in tal senso lo ha dato la Banca mondiale, che ha concesso all'Iraq, in concomitanza con l'apertura della Conferenza degli Stati donatori in Giordania, un prestito di 500 milioni di dollari per la ricostruzione del paese. Si tratta del primo prestito che la Banca concede a Bagdad dal 1973.
È proprio in attesa che ritorni la normalità a Bagdad che l'Italia, proprio per far rinascere i musei di Bagdad, esporrà su un sito web, visitabile all'inizio del prossimo anno, i reperti ancora disponibili e quelli che sono andati perduti, unitamente ad una parte dei tesori iracheni esposti in altri paesi, come Stati Uniti, Gran Bretagna, Francia e Russia.
Concorrono a tale progetto, fra gli altri, il nostro Ministero per i beni e le attività culturali, il Comando dei carabinieri, il Comando interforze dello stato maggiore della difesa e le università di Roma.
Sentiamo di rivolgere sempre il nostro sentito ringraziamento a tutti i militari e civili impegnati nella missione in Iraq, unitamente a quelli della coalizione, per fare affermare pace, libertà e democrazia, valori indispensabili per ogni paese civile.
Infine, rivolgo un particolare pensiero di riconoscenza e di gratitudine ai caduti ed alle loro famiglie.


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Per tutti questi motivi, nell'auspicare che il Parlamento non si divida su un tema di così grande valore ed importanza, dichiaro a nome del gruppo dell'UDC il voto favorevole alla conversione in legge del decreto-legge in esame (Applausi dei deputati dei gruppi dell'Unione dei democratici cristiani e dei democratici di centro e di Forza Italia).

PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto l'onorevole Mastella. Ne ha facoltà.

MARIO CLEMENTE MASTELLA. Signor Presidente, onorevoli colleghi, dirò in premessa - quasi a richiamare su di me, da parte dei miei alleati, una sorta di piccola indulgenza plenaria per i percorsi eretici che frequenterò nel mio intervento - di essere d'accordo anch'io con la linea Zapatero, da molti evocata in questi giorni. Sono, infatti, d'accordo con Zapatero nell'aumentare, dopo la strage di Londra, i controlli sui cellulari imponendo ai gestori di telefonia mobile di conservare, per almeno un anno, i dati delle chiamate.

PRESIDENTE. Onorevole Carlucci, la prego...

MARIO CLEMENTE MASTELLA. È un modo efficace ed intelligente per combattere una delle battaglie contro il terrorismo.
Per il resto - lo dirò con franchezza ai miei alleati -, il modello Zapatero non è il mio, la sua tradizione non è la nostra. Sono distanti dalle mie attitudini politiche le linee programmatiche di politica interna e di politica estera con cui la sinistra spagnola ha vinto da sola - sottolineo da sola - le elezioni. Perciò, nessuno pensi di importare tali linee con i nostri voti e con il nostro consenso anche nel nostro paese.
La prossima competizione elettorale non toccherà soltanto gli aspetti economici, su cui ad oggi il centrosinistra è certamente vincente sul centrodestra, ma si trasformerà in un confronto-scontro politico ed ideologico sui valori. Noi non abbiamo alcuna intenzione di regalare a nessuno i nostri valori, neanche, per la verità, alla destra del paese.
Colleghi della sinistra, le recenti elezioni regionali hanno registrato un vistoso successo dell'Unione grazie certamente alla forte presenza territoriale delle sinistre, ma anche grazie al contributo determinante del centro, di cui l'UDEUR, proprio dopo le ultime elezioni, si sente espressione politica non più modesta né marginale. Non è, quindi, per attirare sui Popolari-UDEUR un po' di attenzione vanitosa se operiamo una dialettica distinzione sulla questione irachena declinando opinioni e giudizi diversi da alcuni nostri alleati.
Abbiamo sempre apprezzato l'intransigenza altrui, ed anche oggi la apprezziamo per cui, anche se volessimo, non potremmo riporre in soffitta la nostra. Vale per noi, ma anche per gli altri, la massima di Aristofane secondo cui è inutile insegnare al granchio a camminare dritto. I valori, anche quelli di politica estera, difficilmente possono essere disattesi. Essi sono un punto di riferimento obbligato per noi e per i nostri elettori. Tra i valori, strategica per noi rimane, ad esempio, la scelta della pace ed ogni gesto che ad essa si accompagna. Per ispirazione ideale e religiosa restiamo contrari alla guerra, ad ogni tipo di guerra. Per questo abbiamo condannato e non abbiamo condiviso l'iniziativa militare angloamericana. Abbiamo, però, convintamente sempre ritenuto che il contingente italiano inviato in Iraq in missione di pace dovesse operare con il più ampio consenso parlamentare.
Oggi, per fortuna, grazie anche all'impegno dei nostri soldati, la situazione in Iraq sta lentamente cambiando. Non possiamo quindi proprio ora, nel momento più delicato della ricostruzione morale e materiale di un paese distrutto dalla guerra, abbandonare a se stessa quella fragilissima democrazia. Finanziando ancora per sei mesi la nostra missione ma fissando nel contempo, come recita il nostro ordine del giorno, un calendario di rientro del contingente italiano, vogliamo aiutare il popolo ad uscire dal tunnel della


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dittatura che si lascia, purtroppo, alle spalle migliaia di morti, tremende torture ed efferate violenze.
Vogliamo aiutare quella gente disperata a superare la situazione attuale, minata da continue e disumane azioni terroristiche, che colpiscono non solo i militari ma anche civili inermi, donne e bambini. Ecco perché consideriamo - e lo diciamo ad alta voce - un errore politico votare contro il rifinanziamento della missione italiana, limitandosi a dichiarare e a chiedere l'immediato ritiro dall'Iraq. Riteniamo però - questo sì - maturi i tempi perché il Governo attui un piano che indichi il rientro graduale dei nostri militari, come chiediamo con il nostro ordine del giorno.
Ma essere in quei territori - in fondo, è l'interrogativo che è serpeggiato nel paese - significa partecipare, nonostante la solidarietà, a scansare o a non scansare eventuali atti di cinico terrorismo ideologico, nel senso che l'Italia, se è là, rischia di più per quanto riguarda la possibilità - Dio non voglia - di atti di terrorismo? La verità, questa è la mia risposta, è che questo terrorismo fondamentalistico a sfondo islamico non fa distinzione tra buoni e cattivi, tra paesi buoni e paesi cattivi; non combatte né per la libertà, né per la povertà, non ha a cuore gli interessi degli umili e degli ultimi dal punto di vista evangelico. Prova ne è il fatto che ha cadenzato le sue azioni stragiste proprio nel giorno in cui i grandi del mondo riscoprivano finalmente, con un po' di umanità ritardata, la drammatica e tragica vicenda africana.
La questione irachena - di questo sono dispiaciuto - fa anche riemergere - ciò va detto con molta chiarezza - la linea che purtroppo divide il centrosinistra su aspetti rilevanti di politica estera. Diciamo la verità: la novità della situazione, dal discreto successo delle elezioni irachene alla ripresa finanche del dialogo faticoso in Terrasanta, alla riapertura di canali di collaborazione tra Europa e America, tra Francia e America, le recenti stragi a Londra, avrebbe richiesto un minimo di coraggio, scelte meno conservatrici e più coerenti da parte del futuro eventuale Governo dell'Unione. L'esito unitario non deve essere mai tarato, in una democrazia, sull'esigenza di restare uniti nel centrosinistra, ma sull'esigenza di dare una politica credibile al paese, soprattutto in politica estera.
Cercare tra di noi, come anche oggi, rimedi tattici in permanenza non risolve il problema politico, che non riguarda questa o quella scelta di politica estera, ma la collocazione internazionale dell'Italia. C'è in sostanza - va detto con serenità - una parte del centrosinistra che si è integrata, e noi con loro, nel sistema di alleanze e di valori dell'Occidente, che dissente - noi l'abbiamo fatto - dalle scelte politiche dell'amministrazione americana, ma sempre nell'ambito di un confronto tra alleati che sono destinati in politica estera a restare tali. C'è un'altra parte, proveniente dalla tradizione comunista o dai movimenti alternativi, che invece si sente estranea a questi valori.
Fino a quando si resta all'opposizione, le posizioni possono anche riconciliarsi, pur non conciliando, ma come faremo quando, e se saremo, al Governo del paese? A chi, per questa nostra scelta, ci guarda o ci guarderà con sufficienza intellettualistica o con un certo broncio gruppettaro, voglio ricordare che lo stesso priore di Barbiana, Don Milani, nella sua famosa lettera, sventolata come un libretto rosso contro l'obbedienza passiva, non si oppone di per sé all'uso delle armi o all'esistenza di eserciti che difendono la sovranità popolare, la libertà e la giustizia. Egli contesta solo, e giustamente, le guerre di aggressione. Sostiene insomma, come scrive, che occorre guidarsi in queste scelte con coscienza. All'essere guidati dalla nostra coscienza, colleghi del Parlamento, ci siamo sempre attenuti, nei nostri gesti di natura parlamentare.
Questa è stata, questa è, questa resterà la nostra linea pacifica e non pacifista, degasperiana e democristiana, con la quale abbiano convissuto ad aspiriamo a convivere anche nel prossimo futuro! Questa è la linea, cari colleghi e colleghe, che oggi i Popolari UDEUR intendono assumere


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con il voto favorevole al rifinanziamento della missione militare di pace in Iraq (Applausi dei deputati del gruppo Misto-Popolari-UDEUR e di deputati dei gruppi di Forza Italia, di Alleanza Nazionale e dell'Unione dei democratici cristiani e dei democratici di centro).

PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto l'onorevole Pecoraro Scanio. Ne ha facoltà.

ALFONSO PECORARO SCANIO. Signor Presidente, questi dibattiti rischiano di ripetersi periodicamente, assomigliandosi tutti, di fronte al dramma dell'emergenza terrorismo. Vorrei anche ricordare al mio amico Clemente Mastella che l'Italia conserva per quattro anni i dati delle chiamate telefoniche; siamo, quindi, additati come il paese che in assoluto invade la privacy dei cittadini rispetto a tutti gli altri. Dovremmo, pertanto, riflettere sull'equilibrio tra i temi della sicurezza e quelli dei diritti e delle libertà dei nostri concittadini.
Tornando al dibattito in esame, vorrei porvi la seguente domanda: esattamente l'anno scorso abbiamo discusso o no in questa sede della exit strategy e del meccanismo di rientro dall'Iraq? Ricordo, forse, male? Qualcuno legga a tale proposito i resoconti stenografici o ascolti le registrazioni del dibattito che si è svolto: era identico!
Cari colleghi, di fronte all'occupazione militare, al dramma iracheno, ad un paese governato sostanzialmente da un'organizzazione anglo-americana, ad una tragedia continua, che perdura, siamo giustamente allarmati. Rimaniamo attoniti di fronte a tragedie come quella di Londra, ma in Iraq ogni giorno vi è una strage come quella di Londra. Evidentemente, per noi i morti occidentali contano di più, mentre quelli iracheni, nell'attenzione dei mass media e nella nostra sensibilità, sono diventati ormai una notizia quotidiana, della quale quasi non curarsi.
L'anno scorso abbiamo ascoltato gli amici della maggioranza che dicevano che gradualmente si sarebbe trovata una via di rientro. Oggi, dopo un anno, siamo ancora di fronte alla tragedia dell'Iraq (la guerra sarebbe addirittura finita ancora prima, secondo dichiarazioni facili ed inette).
Quella guerra è un fallimento; la vicenda irachena è un dramma. Voi avete trascinato il nostro paese in una occupazione militare, senza nemmeno avere il coraggio di venire in quest'aula a chiedere di partecipare ad una guerra, perché conoscevate le difficoltà (mi riferisco alla vostra maggioranza), di ottenere un consenso palese.
La missione di pace è una penosa ipocrisia! Blair e Bush hanno almeno la dignità di dire che stanno partecipando ad una guerra, e lo dicono palesemente, anche se perdono valanghe di voti, come nel caso di Blair. Noi contestiamo questa guerra, ma non siamo ipocriti come voi, incapaci anche di ammettere che avete trascinato il paese in una occupazione militare! È esattamente quello che Romano Prodi ha scritto nel documento da cui spesso si fa riferimento e da cui si estrapolano frasi. L'Unione intera ritiene che avete trascinato l'Italia in una occupazione militare, attraverso le parole del leader della nostra coalizione, e la mantenete in una posizione sbagliata e folle, di cui spero renderete conto al popolo italiano.
L'anno scorso avete promesso una strategia di uscita, ma quale è questa strategia? Siete capaci solo di fare annunci e, adesso, quello del ritiro di 300 militari solo per potenziare un altro disastro che si chiama Afghanistan. A tale riguardo, non avete avuto il coraggio di svolgere una discussione in questa sede: si tratta di una missione che, a nostro avviso (lo abbiamo sempre detto) non porta frutti, perché i bombardamenti non esportano la democrazia in Afghanistan. Vi è il dramma dei talebani, che giustamente andavano cacciati: ma con quale metodo? Oggi, l'Afghanistan è il paese del burka e dell'oppio. È uno Stato basato sostanzialmente sulla droga; e, poi, fate i proibizionisti a chiacchiere!
Ci troviamo in una condizione assurda, in cui investiamo tanti nostri giovani nel presidio della sola Kabul. Non sono sicure


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né la zona del confine pakistano né quella del confine iraniano. Voi lo sapete, ma non si svolge un dibattito in merito.
Allora, oggi discutiamo nuovamente di prorogare per l'ennesima volta il finanziamento di una missione in una realtà rispetto alla quale anche i più alti istituti inglesi che si occupano di strategia militare parlano di incentivo al terrorismo internazionale grazie a queste guerre e a quella in Iraq in particolare.
Dunque, è evidente che la contrarietà del centrosinistra al finanziamento di questa missione è una contrarietà alla guerra, all'ignavia, all'incapacità di realizzare una seria strategia di politica estera, alla schizofrenia degli annunci, un giorno annunciando possibili ritiri e un altro ribadendo la nostra presenza per altri cinque, sei o dieci anni. Non avete la più pallida idea di cosa fare con riferimento alla vicenda irachena, questo è il dramma! E, peggio ancora, non disponete di una politica autonoma a livello internazionale, il che è molto grave!
Per quanto ci riguarda, ribadiamo la necessità di un ritiro immediato, che non è un ritiro istantaneo. Nessuno pensa che in un giorno si possano ritirare le truppe dall'Iraq. E, quando parliamo di quanto realizzato da Zapatero, non penso che l'Iraq dopo il ritiro della Spagna abbia subito una ripercussione drammatica, in quanto se in Iraq vi è una situazione drammatica è per colpa dell'occupazione militare, e non del ritiro.
Tutte le forze politiche che hanno partecipato alle elezioni avvenute in Iraq hanno chiesto il ritiro delle truppe di occupazione, mentre voi continuate ad affermare che, quando gli iracheni ce lo chiederanno, ce ne andremo. L'hanno chiesto in occasione delle elezioni, ma non vi è alcun segnale di cambio di strategia da parte delle forze occidentali impegnate in quel paese, in particolare dell'Italia. Nel nostro paese non vi è un dibattito degno di questo nome in materia di politica estera.
Concludo ricordando che quanto realizzato da Zapatero, piaccia o non piaccia, cari amici del centrodestra, lo attueremo noi quando vinceremo le elezioni l'anno prossimo. Infatti, ritireremo le truppe dall'Iraq - non in un giorno, ma probabilmente nell'arco di qualche mese -, in quanto l'unica strategia per mettere fine all'occupazione militare è quella di ritirarsi, consentendo davvero la realizzazione di una politica estera di pace.
L'Italia non deve continuare a dimostrarsi un paese a sovranità limitata da questo punto di vista e ad ipocrisia illimitata, in quanto continuate a chiamare missione di pace quello che gli altri alleati chiamano missione di guerra.
Di fronte a tali questioni, il nostro «no» al rifinanziamento è un «no» di pace e costituisce un ennesimo appello al ritiro delle truppe dall'Iraq. Oltretutto, non fate altro che parlare di gradualità, ma dodici mesi non sono bastati come gradualità? Credo che la cosa più semplice sia affermare che, ad aprile o a maggio, quando vinceremo elezioni, ritireremo le truppe; infatti, uno dei primi atti di un Governo di centrosinistra non può che essere quello di porre fine alla vergogna di una scelta operata contro la Costituzione, che prevede il ripudio della guerra, e in modo irresponsabile, con una missione che all'epoca doveva essere un convoglio che accompagnava la realizzazione di un ospedale a Baghdad.
Al contrario, noi lavoreremo per una politica di pace. Sarà una politica estera di pace, perché la politica estera di un'alleanza di centrosinistra può essere di pace, e non di guerra né di finta realpolitik, che altro non sarebbe che fatalistica rassegnazione ad una stato di guerra permanente nel pianeta. Parteciperemo dunque con gli stessi veri valori di pace che sono alla base della marcia Perugia-Assisi dell'11 settembre. Chiediamo non soltanto a tutte le forze dell'Unione, ma anche agli esponenti del centrodestra che non hanno «mandato all'ammasso» la propria coscienza, di partecipare, perché il «no» alla guerra e il «no» al terrorismo siano davvero una scelta strategica e politica e non soltanto un pensiero personale che, quando si va votare, si traduce nell'aumento delle spese militari e nel sostegno alle politiche di


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guerra. Vi chiediamo di compiere un minimo sforzo di coscienza, perché la pace è un bene supremo (Applausi dei deputati dei gruppi Misto-Verdi-l'Unione e di Rifondazione comunista).

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