Resoconto stenografico dell'Assemblea
Seduta n. 659 del 20/7/2005
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Seguito della discussione del disegno di legge: S. 1296-B - Delega al Governo per la riforma dell'ordinamento giudiziario di cui al regio decreto 30 gennaio 1941, n. 12, per il decentramento del Ministero della giustizia, per la modifica della disciplina concernente il Consiglio di presidenza della Corte dei conti e il Consiglio di presidenza della giustizia amministrativa, nonché per l'emanazione di un testo unico (Rinviato alle Camere dal Presidente della Repubblica) (Approvato dal Senato) (A.C. 4636-bis-D) (ore 14,05).

PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca il seguito della discussione del disegno di legge, rinviato alle Camere dal Presidente della Repubblica, già approvato dal Senato: Delega al Governo per la riforma dell'ordinamento giudiziario di cui al regio decreto 30 gennaio 1941, n. 12, per il decentramento del Ministero della giustizia, per la modifica della disciplina concernente il Consiglio di presidenza della Corte dei conti e il Consiglio di presidenza della giustizia amministrativa, nonché per l'emanazione di un testo unico.
Ricordo che nella seduta di ieri il Governo, dopo la votazione dell'articolo 1 e l'illustrazione degli emendamenti riferiti all'articolo 2, ha posto la questione di fiducia sull'approvazione, senza emendamenti ed articoli aggiuntivi, dell'articolo 2 del disegno di legge n. 4636-bis-D, nel testo della Commissione, identico a quello approvato dal Senato (vedi l'allegato A della seduta del 19 luglio 2005 - A.C. 4636-bis-D sezione 6).

(Dichiarazioni di voto sulla questione di fiducia - Articolo 2 - A.C. 4636-bis-D)

PRESIDENTE. Passiamo alle dichiarazioni di voto sulla questione di fiducia.
Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto l'onorevole Cento. Ne ha facoltà.

PIER PAOLO CENTO. Signor Presidente, i deputati Verdi voteranno contro la fiducia al Governo. Ancora una volta ci troviamo di fronte ad una decisione dell'esecutivo che tende a mettere il bavaglio alla normale e ordinaria dialettica parlamentare per nascondere le proprie divisioni, i propri fallimenti e l'incapacità di affrontare e risolvere le emergenze che pure esistono sul terreno dell'amministrazione della giustizia.


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Questa volta, peraltro, la richiesta di fiducia ha un significato politico e istituzionale ancora più grave. Con questo atto del Governo decade, infatti, la possibilità da parte del CSM di esprimere pareri sull'insieme di questa riforma e, in particolare, sul cosiddetto emendamento Bobbio. Le stesse polemiche di questi giorni contro l'autonomia del CSM sono il segno di un nervosismo crescente e inaccettabile che caratterizza il centrodestra anche nelle polemiche con gli altri poteri di rilevanza costituzionale.
Preoccupa il crescente tentativo da parte del Governo e di esponenti della maggioranza di centrodestra di coinvolgere nella polemica lo stesso Presidente della Repubblica. Basta vedere la discussione che si è aperta sulla possibile data delle elezioni politiche del 2006.
Come non sottolineare, inoltre, che la richiesta di fiducia del Governo sulla riforma dell'ordinamento giudiziario giunge dopo che la Presidenza della Repubblica aveva rinviato alle Camere il primo testo approvato dal Parlamento, sottolineandone, in almeno quattro punti che condizionano tutta la riforma, gli aspetti di incostituzionalità?
La riforma dell'ordinamento giudiziario, che è all'esame del Parlamento dopo il rinvio del Presidente della Repubblica, non ha trovato risposte adeguate ai rilievi ad essa formulati. Anzi, il lavoro parlamentare di questi giorni non solo non ha risolto i problemi di incostituzionalità ma, semmai, ne ha evidenziati altri, come dimostrano anche le pregiudiziali che i rappresentanti dell'opposizione avevano portato all'attenzione di questa Assemblea.
La riforma dell'ordinamento giudiziario è sbagliata e inutile nell'affrontare le vere questioni dell'emergenza giustizia. Tale riforma mette a rischio l'autonomia e l'indipendenza della magistratura ed è stata utilizzata come una clava nei confronti di un corpo dello Stato su cui, invece, era necessario intervenire con riforme meditate, condivise e capaci di segnare una crescita nel sistema di garanzie del nostro paese.
La volontà autoritaria del Governo e della maggioranza nel chiudere ogni spiraglio di discussione ha anche reso impossibile un confronto sereno, che pure i Verdi avevano sollecitato, sulla necessità di affrontare il tema della separazione delle funzioni e delle carriere dei magistrati. Anche su quel tema avete preferito chiudere il confronto, utilizzare quello strumento come elemento di forza nel rapporto tra maggioranza ed opposizione e, sostanzialmente, sacrificarlo alla volontà del Governo di un uso politico e strumentale della stessa riforma dell'ordinamento della giustizia.
Noi avevamo sollecitato altre priorità. Il paese ha bisogno di interventi legislativi, che in questi quattro anni il Governo non ha saputo mettere in campo, atti a rendere celere il processo nel nostro paese ed a garantire un equilibrato e certo sistema delle sanzioni penali.

PRESIDENTE. Onorevole Cento...

PIER PAOLO CENTO. Concludo, signor Presidente.
Il paese ha bisogno di interventi legislativi atti a tutelare un nuovo sistema di garanzie per il cittadino, sia quando si trova nella veste di imputato, sia quando si trova nella veste di parte offesa.
Insomma, vi è stato un fallimento del Governo. Noi Verdi voteremo contro la fiducia per segnalare ancora una volta il fallimento sulla giustizia ed il fallimento complessivo delle politiche del Governo e per ribadire la necessità di andare al più presto ad elezioni politiche per ridare la parola ai cittadini e consentire loro di scegliere un Parlamento ed un Governo adeguati alle emergenze di questo paese (Applausi dei deputati dei gruppi Misto-Verdi-l'Unione e Misto-SDI-Unità Socialista).

PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto l'onorevole Diliberto. Ne ha facoltà.

OLIVIERO DILIBERTO. Signor Presidente, onorevoli colleghi, voteremo contro


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la fiducia posta da un Governo che, evidentemente, non si fida neppure della propria maggioranza. La fiducia è stata posta su un provvedimento la cui incostituzionalità e le cui aberrazioni sono state più volte ricordate in quest'aula. Non ci tornerò, se non per ribadire che l'indipendenza della magistratura non è principio a tutela della magistratura medesima, ma a tutela del più sacro dei principi costituzionali: quello dell'uguaglianza di tutti i cittadini di fronte alla legge. Una magistratura umiliata e subalterna di fronte al potere politico non è certo in grado di assolvere a tale principio.
In fondo è proprio questo il vostro disegno: colpire ulteriormente, anche attraverso questo provvedimento di controriforma dell'ordinamento giudiziario, l'impianto della Costituzione, non a caso in via di complessivo smantellamento per la vostra iniziativa controriformatrice.
Attraverso un garantismo fasullo - nel quale ogni tanto casca, a dir la verità, anche qualche esponente della sinistra - avete più volte colpito il principio di eguaglianza. Tutte le vostre leggi sulla giustizia sono ispirate al medesimo criterio: ipergaranzie per i potenti, per la gente comune tolleranza zero, la marginalità, il dissenso sociale. Forti con i deboli e deboli con i forti.
Il falso in bilancio, le rogatorie internazionali, il rientro dei capitali illegalmente esportati all'estero, la brusca frenata sulla cooperazione internazionale in campo giudiziario, la Cirami, il lodo Schifani, la cosiddetta legge salva Previti, gli attacchi al CSM sono tutte misure che hanno a che fare con processi ai cosiddetti colletti bianchi, alla classe dirigente. Per gli altri, viceversa, tolleranza zero. Ricordate l'emendamento sulla tortura? Poi è stato ritirato, ma fu approvato da una sciagurata maggioranza parlamentare. Inoltre, vi sono state le richieste di taglie, quelle di armare i privati cittadini, la castrazione, da ultimo i controlli sulla saliva per gli immigrati, sino alle recenti ipotesi di raddoppio del fermo di polizia giudiziaria ed ai controlli a poste e telefoni in palese violazione della privacy, quella di tutti, indiscriminatamente.
A tutto ciò si affiancano leggi già approvate o in itinere: la Bossi-Fini, la legge Fini sulle tossicodipendenze, ma anche la ripresa delle schedature dei sindacalisti nelle fabbriche e l'obbrobrio di Bolzaneto e della scuola Diaz, che non dobbiamo dimenticare.
Nulla, ripeto, nulla è stato fatto per la giustizia dei comuni cittadini, per ridurre le lungaggini, drasticamente aumentate, i ritardi, le carenze negli organici, le esigenze del processo civile, di quello fallimentare e delle esecuzioni. Non è stato fatto niente che possa aiutare in questa direzione: solo protezioni per i ricchi ed i potenti, ed attacco e delegittimazione, sino all'intimidazione, della magistratura, che è una vera e propria ossessione del premier, come tutti sappiamo.
Allora, cari colleghi dell'opposizione, spero che a nessuno sfugga la gravità del momento. Nessuna apertura da parte nostra a tentazioni cosiddette bipartisan, ad accordi o «accordicchi». Tutto ciò ci è già costato carissimo in altre epoche, anche recenti. Nessuna scorciatoia rispetto a presunti pacchetti sicurezza, con l'alibi del terrorismo: misure del tutto inutili contro il terrorismo e gravemente limitatrici della libertà personale di ciascuno di noi e delle garanzie costituzionali. Questa volta sì che parliamo di garanzie, perché riguardano tutti i cittadini e non solo una parte di essi. E quanto inefficaci siano queste misure lo dice proprio l'orrendo attentato di Londra, ove era stato approvato un pacchetto di modifiche legislative limitatrici appunto della libertà personale, ma che non hanno certo impedito l'attentato.
Da qui alle elezioni, il nostro dovere è quello dell'opposizione. Sulla giustizia abbiamo le carte in regola, perché quando abbiamo governato noi furono approvate leggi solo nell'interesse dei cittadini e della giustizia comune, per migliorare il servizio giustizia, ma anche perché fummo noi ad approvare la modifica costituzionale del


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cosiddetto giusto processo, nella direzione di una vera politica di garanzie, quelle di tutti.
Opposizione, dunque, rigorosa e, al contempo, costruttiva, indicando cosa dovremo fare noi quando, spero tra breve, torneremo a governare, a cominciare dall'impegno, quando ci saremo di nuovo noi - dopo il disfacimento di questi ultimi cinque anni! -, che questa controriforma dell'ordinamento giudiziario non ci limiteremo blandamente a correggerla. No, noi questa legge la dovremo drasticamente abrogare (Applausi dei deputati del gruppo Misto-Comunisti italiani)!

PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto l'onorevole Buemi. Ne ha facoltà.

ENRICO BUEMI. Signor Presidente, onorevoli colleghi, i Socialisti democratici italiani negheranno la loro fiducia a questo Governo. Ciò sia in ragione di un giudizio complessivo del suo operato in questi quattro lunghi, travagliati, contraddittori e spesso irresponsabili anni, sia per le scelte di contenuto e sia per le modalità, spesso inaccettabili, con cui i problemi sono stati affrontati, in particolare in materia giudiziaria. Oggi la nostra posizione è ancor più determinata nel giudizio negativo per il metodo utilizzato e per il contenuto del provvedimento in esame.
Si tratta di un provvedimento confuso e contraddittorio, che non ha risolto i problemi posti dal Presidente Ciampi con il messaggio di rinvio alle Camere, mantenendo così aperte varie questioni di costituzionalità; nel contempo, tale provvedimento non ha neanche avuto il coraggio di affrontare i nodi storici dell'ordinamento giudiziario italiano.
Se non fosse stato imposto con arroganza e chiusura, con voti di fiducia e tempi contingentati, sia in Commissione sia in Assemblea, un disegno di legge sostanzialmente vendicativo nei confronti della magistratura - giacché non affronta il problema di una corretta impostazione dei percorsi formativi unitari degli operatori giudiziari (siano essi avvocati, pubblici ministeri o giudici), così come non affronta quello di una separazione netta delle carriere fra magistrati inquirenti e magistrati giudicanti, né quello di un'impostazione della dinamica delle carriere dei magistrati in grado di valorizzare crescita professionale, qualità e quantità delle prestazioni, senza burocratizzarne l'attività (che di tutto ha bisogno, fuorché di burocratismi!), così come non predispone una regolamentazione definitiva della magistratura onoraria (che non è giusto escludere da una legge di riforma dell'ordinamento giudiziario, perché sappiamo quanta urgenza esista in questo ambito della giurisdizione) - e se si fosse accettato e promosso un confronto vero su tutti questi aspetti, con magistrati, avvocati e mondo scientifico, con un particolare rispetto per la dialettica parlamentare fra maggioranza e opposizione, che è la condizione indispensabile per dare il necessario equilibrio alla regolazione di un settore così delicato ed importante, come quello della giustizia, ebbene in tal caso non solo avremmo potuto dare al paese un moderno ordinamento giudiziario, ma avremmo anche potuto evitare imbarazzanti invasioni di campo da più parti, compresa quella dell'organo di autogoverno della magistratura.
Si sarebbe potuto evitare uno scontro frontale con la magistratura associata, le cui scelte di sciopero continuiamo a ritenere inopportune, seppure legittime e motivate da un'arroganza del legislatore inaccettabile su argomenti di questa natura, ma anche con l'avvocatura associata, da sempre attenta ed aperta alle esigenze di riforma. Di certo, comunque, non si sarebbero esposte le più alte cariche dei due rami del Parlamento a critiche per le prese di posizione a difesa dell'autonomia delle Camere.
Di forzatura in forzatura, di lesione in lesione, la maggioranza ed il Governo, con questi comportamenti, stanno squilibrando il nostro sistema istituzionale ed esponendo a critiche le più alte responsabilità di garanzia per le prese di posizione


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spesso necessarie, ma non sempre prive di quel distacco che, invece, è indispensabile per il loro ruolo.
Per tali ragioni, signor Presidente, che sinteticamente abbiamo voluto evidenziare, i Socialisti democratici italiani ribadiscono che negheranno la fiducia a questo Governo (Applausi dei deputati del gruppo Misto-SDI-Unità Socialista - Congratulazioni).

PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto l'onorevole Oricchio. Ne ha facoltà.

ANTONIO ORICCHIO. Signor Presidente, onorevoli colleghi, il Governo, ancora una volta, pone la questione di fiducia sul disegno di legge delega in materia di riforma dell'ordinamento giudiziario, all'esame della Camera. Una riforma che, da tempo, il paese attende, ma che, sicuramente, non si attendeva in questo modo.
L'aver stroncato per l'ennesima volta ogni forma di dibattito - anche a svantaggio dei deputati delle forze politiche di maggioranza - nella sede istituzionale più congrua, ovvero in Parlamento, fa ripiegare nel disagio più profondo quanti, per molteplici motivazioni, pensano che una giusta riforma dell'ordinamento giudiziario costituisca un'ineludibile necessità per tutto il nostro paese e per la modernizzazione dello stesso, anche sotto il profilo dell'organizzazione giudiziaria.
L'atteggiamento del Governo appare ancor più ingiustificabile dopo la nota vicenda del rinvio alle Camere disposto dal Presidente della Repubblica proprio per il provvedimento oggi in esame, sebbene vi sia la necessità che, su provvedimenti così impegnativi per gli equilibri istituzionali e per la stessa coesione degli organismi costituzionali, si legiferi con la saggezza e la sensibilità di chi ha a cuore l'interesse generale d'Italia e non, invece, a furia di rozzi colpi di maglio. Ma tutto questo non è evidentemente riuscito in questi anni a divenire patrimonio culturale comune, prima ancora che politico, dell'attuale Governo e del suo capo.
Nonostante ciò, il Governo insiste nel porre e riproporre questioni di fiducia che, come quella in esame, mortificano questo Parlamento.
Anche per tale motivo, i Popolari-Udeur voteranno contro la richiesta fiducia. Ma ulteriori aspetti sotto il profilo sia tecnico che, soprattutto, politico giustificano ancora di più questa contrarietà.
L'articolato della legge delega, inalterato a seguito del blocco dell'esame degli emendamenti di oggi e di ieri, per effetto delle reiterate posizioni della questione di fiducia, condensa in sé numerose approssimazioni e soluzioni errate. Si pensi, ad esempio, alla problematica degli incarichi direttivi, all'irrisolta questione del valore degli atti di concertazione, alla ricorribilità al giudice amministrativo, incongruamente attribuita al ministro della giustizia, ed, infine, alla poco chiara ed insufficiente normativa in tema di temporaneità degli incarichi e delle funzioni.
Si ha netta l'impressione che, per questo provvedimento, che il legislatore non potrà non tornare ad esaminare nel corso della prossima legislatura, salvo ulteriori interventi istituzionali nelle more in materia, i suoi fautori, mossi probabilmente da input imperativi, abbiamo agito senza ascoltare nessuno, con una furia non richiesta né consigliabile nella fattispecie e paragonabile a quella di un elefante impazzito, trovatosi in una stanza piena di cristalli.
Quanto all'aspetto politico - e, soprattutto, con riferimento a quest'ultimo -, le ragioni del «no» dei Popolari-Udeur alla questione di fiducia di oggi brillano anche con riferimento agli errori ed ai torti di una maggioranza oggi attinta dall'esplosione delle proprie contraddizioni interne, sempre più assottigliata già prima delle scorse elezioni regionali per effetto dell'abbandono della stessa da parte di un significativo gruppo di parlamentari: fatto, quest'ultimo, non sottovalutabile sotto il profilo della motivazione politica, specie al cospetto del valore dell'adesione non già alla maggioranza, ma a gruppi di minoranza; il che non è usuale nella storia del nostro paese, anche se è quasi passato sotto silenzio su televisione e stampa.


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L'aver voluto, per questo importante provvedimento come per altri - si pensi, ad esempio, al sistema dell'emittenza -, procedere senza la necessaria condivisione del Parlamento ha, di fatto, isolato, come dimostrato dal dato emerso dalle recenti elezioni regionali, l'attuale maggioranza dal paese reale e da intere categorie professionali (non già da una sola categoria professionale), che oggi non reputano più questo Governo e il suo capo all'altezza della difficile situazione che vive il paese.
Prendere atto di tutto ciò è un coraggioso gesto di rispetto e di saggezza verso il paese. Gli elettori del 2001, avevano affidato agli eletti di questa legislatura fra i tanti compiti, anche quello di procedere a riforme incisive sulla struttura del paese come quella dell'ordinamento giudiziario. Tuttavia, gli stessi elettori, compresi quelli del centrodestra - e soprattutto quella parte non insignificante, moderata e riformista di quest'ultimo -, non volevano e non vogliono lacerazioni istituzionali, né concessero con il loro voto una sorta di illimitata licenza di stravolgimento di modi, forme, condivisioni, tradizioni e rispetto istituzionali, vale a dire di tutti quei valori che, dalla Costituzione in poi, hanno costituito il comune patrimonio ideale che ha fatto grande il nostro paese, oggi purtroppo gestito con logiche e squadre di Governo di valore inversamente piccolo.
Quindi, proprio il voto di oggi segna quasi come una sorta di conclusione di una illusione ormai tramontata, l'epilogo di un sogno, quello del 2001, fallito per gli errori della dirigenza del centrodestra, da cui gli italiani hanno giustamente già preso le distanze e che, sulla scorta di quanto avvenuto in altri paesi - come ricordato recentemente dal direttore di origine italiana del noto quotidiano tedesco Die Zeit -, avrebbe dovuto indurre a procedere subito ad elezioni, al fine di evitare al paese il costo dell'ulteriore perdita di tempo di un anno e, nel corso di questo anno, inutili e sbagliati provvedimenti come quello in esame su cui è stata riproposta la fiducia.
I Popolari-UDEUR esprimeranno dunque un convinto voto contrario sulla fiducia oggi chiesta da questo Governo (Applausi dei deputati del gruppo Misto-Popolari-UDEUR).

PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto l'onorevole Pisapia. Ne ha facoltà.

GIULIANO PISAPIA. Signor Presidente, il gruppo di Rifondazione comunista si appresta a negare, con profonda convinzione, la fiducia a questo Governo che, in oltre quattro anni, non ha realizzato alcuna riforma nell'interesse del paese, facendo approvare dalla sua maggioranza non solo numerosi provvedimenti tesi a favorire i soggetti più forti a scapito dei più deboli e degli emarginati, ma anche un progetto di modifica di gran parte della Costituzione che stravolge alcuni principi fondanti del sistema democratico, creando uno squilibrio tra i poteri dello Stato a favore dell'esecutivo e ai danni del Parlamento e che creerebbe ancora più profonde diseguaglianze tra le regioni del nostro paese, incidendo quindi negativamente anche sulla prima parte della Costituzione.
Esprimeremo dunque un voto contrario sulla fiducia non solo perché non condividiamo il provvedimento sull'ordinamento giudiziario, ma anche e soprattutto in quanto, in tutta la legislatura - ormai finalmente al termine -, il Governo non è stato capace o, meglio, non ha dolosamente voluto fornire alcuna risposta alle aspettative di quei milioni di cittadini che, da anni, attendono una giustizia più celere ed efficiente, che sia garantista per tutti e non solo per pochi.
Il Governo Berlusconi ha di fatto vanificato, con vari provvedimenti che avevano il chiaro obiettivo di favorire alcuni imputati eccellenti, le riforme approvate nella scorsa legislatura, che erano riuscite a creare i presupposti e le condizioni per una positiva inversione di tendenza nel campo della giustizia civile e penale, com'è stato ricordato dai procuratori generali nella relazione di apertura dell'anno giudiziario.
Tuttavia, il motivo della nostra sfiducia va ben oltre i temi della giustizia e deriva


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dalla constatazione e dal giudizio complessivo su ciò che il Governo ha fatto e, in molti casi, non ha fatto in questi anni e su quanto intende realizzare nei pochi mesi che ancora restano prima dello scioglimento delle Camere.
Non vi è tema sul quale sia possibile esprimere un giudizio positivo: dalle pensioni alla lotta alla disoccupazione; dalla scuola alla sanità; dall'università al mondo delle telecomunicazioni; dalla giustizia alla sicurezza dei cittadini.
Il risultato di quattro anni di malgoverno è che sono sempre più numerose le famiglie ormai sotto la soglia della povertà. Circa 8 milioni di persone sono costrette a vivere con un reddito familiare tra i 300 e gli 800 euro mensili.
Il salario ha perso potere d'acquisto in misura variabile, colpendo soprattutto i ceti più bassi, le retribuzioni dei dipendenti sono diminuite di oltre il 30 per cento, a fronte di un aumento della produttività del 18 per cento. Contemporaneamente, però, come ha ricordato recentemente un articolo del Corriere della Sera, i profitti dei primi venti gruppi industriali compiono un balzo del 50 per cento, in presenza di ricavi che migliorano di non più del 9 per cento e di un'occupazione che cala del 2,2 per cento.
Del resto, l'essere stati costretti a porre la fiducia per non rischiare, come avvenuto spesso nel corso di questa legislatura, di essere messi in minoranza, non è altro che la conferma di quanto avvenuto in tutte le recenti competizioni elettorali, che hanno dimostrato come la maggioranza parlamentare sia oggi minoranza nel paese.
È ormai incontrovertibilmente provato il fallimento irreversibile di questo Governo e la crescente sfiducia degli elettori nei confronti di Berlusconi e dei suoi ministri. Con il voto di fiducia su un provvedimento così importante e delicato, come quello relativo all'ordinamento giudiziario, si è consumato un ulteriore, grave strappo alle regole democratiche, in quanto si è impedito il libero confronto e la necessaria dialettica parlamentare su un disegno di legge che riguarda lo status di un organo di garanzia democratica, dimostrando chiaramente la volontà di far approvare con la forza dei numeri, ma contro ogni senso di ragionevolezza, un testo criticato in gran parte, non solo dall'opposizione, ma anche dalla cultura giuridica e da tutti gli operatori della giustizia.
Si tratta di un provvedimento che non solo non inciderà positivamente sull'organizzazione della giustizia, ma che determinerà una situazione negativa per tutti coloro che da tempo chiedono riforme tese ad una giustizia civile e penale realmente al servizio dei cittadini. L'abbiamo sempre detto e continueremo a ripeterlo: un nuovo ordinamento giudiziario era non solo necessario, ma anche urgente per garantire una maggiore professionalità della magistratura e per eliminare gli avanzamenti di carriera automatici senza un effettivo controllo rispetto alla capacità e alla professionalità dei singoli magistrati, così come era opportuna una tipizzazione degli illeciti disciplinari, anche per evitare l'arbitrarietà o l'eccessiva discrezionalità dell'azione disciplinare, pur in presenza di comportamenti deontologicamente o professionalmente censurabili.
Con rammarico, con forte rammarico, abbiamo dovuto prendere atto che il testo approvato dal Senato e blindato per l'ennesima volta alla Camera non fornisce risposte adeguate alle aspettative degli operatori della giustizia e, soprattutto, alle richieste dei cittadini che chiedono una giustizia più equa, un giudice effettivamente al di sopra delle parti, ma anche processi celeri e rispettosi delle garanzie individuali. Su una riforma così importante era necessario e doveroso ascoltare le opinioni, i suggerimenti e le proposte alternative, modificative e migliorative che arrivavano da più parti e pervenire ad un testo il più condiviso possibile nell'interesse di tutti, opponendosi con forza alle spinte e alle resistenze corporative, ma tenendo conto dei rilievi di chi ha realmente interesse ad una giustizia degna di un paese civile. Ed era, altresì, indispensabile


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intervenire su altri aspetti determinanti per rendere almeno dignitoso il funzionamento della giustizia.
Si doveva contemporaneamente lavorare per approvare leggi tese ad accelerare i tempi, vergognosamente lunghi, dei nostri processi, per contrastare efficacemente la piccola e grande criminalità, per garantire a tutti, anche ai meno abbienti, una difesa effettiva e non solo virtuale. Invece, il nuovo codice penale è rimasto nel cassetto; la giustizia civile è sempre più sull'orlo di un collasso irreversibile; nulla è stato fatto per rendere più vivibili le carceri, dove sono detenuti anche decine di migliaia di cittadini presunti non colpevoli e dove è ormai quasi annullata ogni opera tesa al reinserimento di chi ha sbagliato. Non si è voluto capire che ogni detenuto reinserito nella società comporta una diminuzione della recidiva e, quindi, del numero dei reati, con intuibili effetti positivi sulla sicurezza dei cittadini.
Oggi, di fronte alla tracotanza di chi ci governa non possiamo, quindi, che dare la nostra totale sfiducia. La nostra sfiducia a questo Governo, tuttavia, si sta sempre più trasformando in fiducia nel futuro. Fiducia nell'opposizione parlamentare che ha già dato la dimostrazione, nelle ultime competizioni elettorali, di essere passata nel paese da minoranza a maggioranza e che ha già dimostrato di essere in grado di proporre agli elettori un progetto ed un programma alternativi capaci di restituire a tutti i cittadini la speranza di una società più giusta. Abbiamo riconquistato elettori che avevamo perso ed abbiamo fatto capire a numerosi elettori del centrodestra che sono stati ingannati da promesse che non sono state e non potranno essere mantenute.
Ebbene, prima che possiate stravolgere la Costituzione, la nostra Costituzione, la Costituzione più bella del mondo, prima che la precarietà e la disoccupazione, che continuano ad essere alimentate dalla politica di questo Governo, avanzino, vi sarà, anche nel Parlamento, un'altra maggioranza.
Pertanto, oggi non ci limitiamo a dire «no» alla richiesta di fiducia, ma la nostra risposta sarà doverosamente anche quella di rafforzare l'unità dell'opposizione, per restituire al paese gli strumenti della dialettica democratica e per predisporre un programma organico di riforme, che possa restituire al nostro paese, ai suoi cittadini, agli immigrati che fuggono dalla fame, dalla miseria, dalla guerra e dalla violenza e che ci chiedono assistenza, ospitalità e integrazione, una giustizia senza aggettivi, in quanto effettivamente degna di questo nome (Applausi dei deputati dei gruppi di Rifondazione comunista, dei Democratici di sinistra-L'Ulivo e Misto-Comunisti italiani - Congratulazioni).

PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto l'onorevole Guido Giuseppe Rossi. Ne ha facoltà.

GUIDO GIUSEPPE ROSSI. Signor Presidente, onorevoli colleghi, l'odierno voto di fiducia non costituisce soltanto un passaggio procedurale, ma assume i connotati di una vera e propria fiducia politica all'azione riformatrice del Governo, che si concretizza nel disegno di legge di riforma dell'ordinamento giudiziario.
Si può riformare questo paese? Si possono modificare alcune delle regole, che risalgono ad oltre sessanta anni fa, sul funzionamento della giustizia? A tali domande la maggioranza del Parlamento intende rispondere «sì», in quanto vuole offrire una speranza di cambiamento al paese.
Il gap di competitività di sistema che ci divide dagli altri paesi europei è costituito dall'incapacità di progettare e di eseguire in tempi ragionevoli il cambiamento. In Spagna, al di là delle scelte di merito del Governo Zapatero, che la Lega Nord non condivide assolutamente, si è giunti in poco tempo, dopo le elezioni, ad adottare scelte importanti su temi di estrema rilevanza, quali la politica estera, i rapporti nella società e il modo in cui la società stessa deve essere strutturata. Ciò significa che la politica riesce ancora ad essere centrale nel processo decisionale ed a costituire la cinghia di trasmissione con la volontà popolare: e scusate se è poco, in un sistema democratico!


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Nulla di tutto ciò accade nel nostro paese, vincolato dai veti incrociati, dagli interessi delle corporazioni, dalle necessità elettorali di breve e di brevissimo periodo, dai bizantinismi e dalle alchimie politiche che vengono contrabbandate per sapienza e saggezza, ma che invece condannano a morte la politica. I cittadini italiani ed europei non sanno cosa farsene di una politica che non sceglie, che non decide, che non innova: non dobbiamo quindi lamentarci se manca la partecipazione, se vi è disaffezione al voto, se la politica è avvertita come qualcosa di sempre più distante. Gli oltre tre anni di discussione sul provvedimento in esame, gli svariati passaggi parlamentari, i quattro scioperi della magistratura testimoniano tale incapacità, o meglio, tale enorme difficoltà, tipicamente italiana, di decidere. Per tali motivi, oggi è un giorno importante per il paese, perché vince la politica e vince la democrazia.
Occorre chiedersi il motivo di tanto accanimento, contro la volontà di cambiamento, da parte della magistratura italiana e, di riflesso, della minoranza parlamentare. La Costituzione del 1948 è nata in un preciso contesto politico, ed assegnava alla magistratura un'autonomia e un'indipendenza che costituivano la risposta al periodo autoritario e dittatoriale del regime fascista. Si intendeva attribuire notevole libertà, autonomia e indipendenza alla magistratura, in quanto si proveniva da tale esperienza. Si trattava di un'autonomia e di un'indipendenza che non avevano pari negli altri paesi europei: né in Francia, né in Gran Bretagna, né in Germania, in cui i pubblici ministeri, vale a dire coloro che esercitano l'accusa in nome e per conto dello Stato, non sono magistrati o comunque sono in collegamento organico con il Governo e con il ministro della giustizia. Non va dimenticato, infatti, che nel nostro paese il ministro della giustizia non può incidere minimamente su ciò che fanno i giudici: si tratta di un aspetto che va comunicato ai cittadini, in quanto spesso non è compreso bene.
Tanta autonomia e tanta indipendenza sarebbero, dunque, una cosa buona e giusta, sarebbero elementi molto utili in presenza di una magistratura molto autonoma e molto indipendente. Ciò non avviene in questo paese, perché a partire dagli anni Sessanta e Settanta (quando in Italia tutto è stato politicizzato), anche una parte importante della magistratura è stata politicizzata e inserita in un disegno molto preciso di cambiamento, in alcuni casi di sovvertimento della società tramite le vie non della politica, ma della magistratura: una concezione che non è mai democratica, ma che è sempre e comunque di carattere autoritario.
Ebbene, anche quando è mancato questo elemento di forte politicizzazione di sinistra, tipico degli anni Sessanta e Settanta, ossia negli anni Novanta, è sorta una volontà della magistratura di costituirsi come una sorta di contropotere, come una sorta di potere dello Stato che si è dato una finalità più che politica, direi metapolitica, mi si consenta di definirla come una finalità quasi da «guardiani della rivoluzione». I magistrati non si ritengono interpreti della legge, ma un potere metapolitico, che in alcuni momenti deve intervenire per salvare la patria, per salvare la Costituzione. Ben comprenderete come questa funzione poco abbia a che fare con le regole democratiche.
Questa mentalità, questa volontà di incidere sulla politica si è manifestata, ad esempio, con gli scioperi, con le censure, di natura prettamente politica, da parte del Consiglio superiore della magistratura nei confronti delle decisioni in itinere del Parlamento; si è manifestata con le censure nei confronti del Parlamento, nei confronti di ministri. Questo è avvenuto nel nostro paese.
Inoltre, si è tentato di disapplicare leggi importantissime. Pensiamo, ad esempio, a quanto accaduto in questa legislatura relativamente alla legge Bossi-Fini, legittimamente approvata dal Parlamento, la cui applicazione è stata avversata in ogni modo dalla magistratura ordinaria con oltre 500 ricorsi di costituzionalità alla Corte costituzionale. Questo ovviamente si


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inserisce in un disegno politico volto a tentare di bloccare la volontà del legislatore.
In questi anni, dunque, si è scambiata - più o meno consapevolmente - l'indipendenza con l'autocrazia, mettendo in crisi la tripartizione tipica del modello democratico occidentale, così come noi lo conosciamo: il Parlamento produce le leggi (è la fonte del diritto); il Governo porta avanti l'azione amministrativa di attuazione e la magistratura tenta di calare nella realtà, di applicare nel concreto quello che il Parlamento ha deciso. Questo modello è saltato.
Si pone allora un problema di democrazia, di rappresentatività, di impossibilità di legiferare. Nel nostro paese il Parlamento legifera, ma ogni legge deve passare nel «tritacarne» dell'interpretazione dei giudici ordinari, dei giudici di Cassazione, della magistratura amministrativa e della magistratura costituzionale. Una tale situazione disorienta e spaventa i cittadini, che avvertono di non aver più una rappresentatività politica.
Risulta perciò patetico e sostanzialmente antipolitico il punto di vista della minoranza, che si appiattisce sulle posizioni della magistratura pensando di ricavarne una rendita di posizione. Non sarà così: questa rendita non vi sarà. Si otterrà, invece, l'effetto esattamente opposto, contribuendo a sbilanciare l'equilibrio dei tre poteri poc'anzi citati, che è alla base di un corretto e ordinato sviluppo democratico in un paese occidentale come il nostro.
I contenuti del provvedimento al nostro esame saranno meglio illustrati dai miei colleghi che interverranno in fase di dichiarazioni di voto finali. Vi sono diverse innovazioni e riforme che spesso assumono contenuti tecnici a volte anche difficili da spiegare ai cittadini, ma che, in ogni caso, rientrano in quella ratio volta a tentare di rendere - si tenta: l'impresa non è facile - più agile e rispondente ai bisogni dei cittadini questa giustizia. È questo l'obiettivo che ci siamo posti.
Una di queste modifiche che desidero porre in rilievo, sempre nel solco della Costituzione, è quella di tentare di dividere le funzioni all'interno della magistratura italiana, tra chi giudica e chi accusa. Questa, a mio avviso, è una piccola, grande rivoluzione che avrebbe potuto essere realizzata in maniera più incisiva modificando la Costituzione. Ma è noto a tutti come in questo paese sia difficile modificare la Carta costituzionale e andare avanti nel processo riformatore: l'Italia viene da venticinque anni di «Bicamerali» e di tentativi di modificarla non andati a buon fine. Speriamo di riuscirci noi in questo scorcio di legislatura che rimane in modo da dare al paese un segnale.
Questa divisione di funzioni, tra chi giudica e chi accusa, sebbene sia di difficile comprensione per i cittadini, rappresenta, ripeto, una piccola, grande rivoluzione, proprio perché differenzia chi svolge l'importante funzione di giudicare e chi, invece, svolge quella di accusare, chi, cioè, deve portare le prove, che possono togliere la libertà ad un cittadino, e che, come tale, si deve confrontare con la controparte, vale a dire, con la difesa. Questo rappresenta un passaggio assolutamente importante in materia di giustizia.
Oggi, in ogni caso, e con convinzione, il gruppo della Lega Nord Federazione Padana rinnova la fiducia a questo Governo, e, soprattutto, rinnova la sua fiducia per il cambiamento di questo paese (Applausi dei deputati dei gruppi della Lega Nord Federazione Padana, di Forza Italia e di Alleanza Nazionale).

PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto l'onorevole Monaco. Ne ha facoltà.

FRANCESCO MONACO. Signor Presidente, con il voto che stiamo per esprimere si mette il sigillo su un'altra delle pagine oscure di questa legislatura per il merito e per il metodo che si è seguito nel varare il provvedimento al nostro esame: una riforma dell'ordinamento giudiziario che è, in verità, una controriforma, che niente dà al servizio giustizia e molto toglie alla qualità e all'armonia dell'ordinamento giudiziario, alla funzionalità e all'efficienza dell'amministrazione della


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giustizia, nonché all'autonomia e all'indipendenza della magistratura che, com'è noto, è principio costituzionale cardine di uno Stato democratico e di diritto. Una controriforma che promette di «inceppare'» la macchina della giustizia e di comprometterne l'affidabilità e l'equilibrio. Non a caso, una riforma che ha inanellato stroncature un po' da tutti: da parte della comunità degli studiosi, del CSM, degli avvocati e dei magistrati. Questi ultimi hanno fatto ricorso, e non una volta soltanto, all'arma irrituale ed estrema dello sciopero, con una larghissima adesione.
Una riforma che è incappata nella censura del Presidente della Repubblica, che l'ha rinviata alle Camere per la manifesta incostituzionalità di suoi punti qualificanti. Una riforma che, seguendo una procedura offensiva per il Parlamento e per lo stesso Capo dello Stato, ci è stata qui riproposta in forma blindata sino alla provocazione di un nuovo secondo ricorso al voto di fiducia che ha stroncato ogni possibile dibattito; una procedura ancora più provocatoria e intollerante proprio perché a valle dei severi rilievi del Presidente della Repubblica e nel silenzio-assenso dei Presidenti delle Camere; questi ultimi solleciti a singhiozzo delle prerogative del Parlamento, che pure non si fanno scrupolo di opporle, tali prerogative, al CSM o persino al Capo dello Stato, ma che qui, appunto, girano la testa da un'altra parte.
Vogliamo dare voce qui non solo al nostro dissenso ma, di più, alla nostra indignazione. Dissenso e indignazione, ma non sorpresa. Davvero in questa legislatura, in tema di giustizia, si è superato ogni limite. Abbiamo assistito sgomenti alle più sfacciate forzature; il pensiero corre alla sequela delle leggi ad personam di cui non riusciamo quasi più a tenere il conto: dalle rogatorie internazionali mirate ad inibire precisi processi al lodo Schifani, poi puntualmente bocciato dalla Corte costituzionale, per mettere al riparo il Presidente del Consiglio dei ministri da situazioni imbarazzanti per lui e per noi, alla cosiddetta legge Cirami, concepita per mettere in mora giudici sgraditi ai soliti noti, sino alla cosiddetta salva-Previti che ancora in queste ore occupa le aule del Senato e che, in controtendenza rispetto al principio della certezza della pena e della domanda di sicurezza dei cittadini, azzera centinaia di processi. È tale l'abitudine, direi l'istinto, delle leggi su misura, che anche qui vi è riuscito di infilare una sfacciata norma contro un magistrato sgradito, con devastanti effetti di sistema.
Queste leggi ad personam sono e restano scolpite nella memoria dei cittadini come la metafora concreta della politica della giustizia di questo Governo e di questo ministro: un vero e proprio marchio di infamia sul fronte, appunto, della politica della giustizia!
Dicevo che, avendoci fatto l'abitudine - e, anzi, rischiando l'assuefazione, pericolo cui dobbiamo reagire, perché l'attitudine all'indignazione di fronte alle odiose ingiustizie è una virtù civile -, non proviamo tuttavia sorpresa. La sorpresa, semmai, sopravvive con riguardo ad un solo profilo: ci chiediamo come si possa, nonostante il discredito accumulato dalla Casa delle libertà ed il prezzo pagato, in termini di consenso, a tali vergognose forzature, a tali sfacciati privilegi, persistere così sfrontatamente, come si possa mostrarsi tanto ottusamente recidivi.
Mi chiedo se non vi sia un rapporto - mi rivolgo ai colleghi di Alleanza Nazionale - tra il travaglio che li affligge in queste ore, tra l'impressione che essa, Alleanza Nazionale, abbia smarrito la propria ragione sociale e, dall'altro, la vistosa, clamorosa contraddizione di un partito un tempo legalitario, che aveva il culto dell'ordine e della legge, unito anche ad una certa sensibilità sociale, e che, da quattro anni, predica «tolleranza zero» per i poveri cristi e pratica «tolleranza mille» verso i furbastri e tracotanti dei piani alti. Né più né meno dei colleghi di Forza Italia, dei quali non merita neanche fare parola. Ad Alleanza Nazionale dico: in politica si può anche perdere, ma altra cosa è perdersi, rinnegare se stessi!
Allo stesso modo, ci chiediamo come i sedicenti moderati dell'UDC, i quali si


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atteggiano a statisti ed hanno testé celebrato un congresso un po' furbastro, smarcandosi vistosamente da Berlusconi, fuori tempo massimo, soltanto perché Berlusconi è, oggi, politicamente perdente, ancora una volta, e come sempre, si apprestino a votare ciò che è «invotabile» e, come se non bastasse, ci propinino lo spettacolo ipocrita e un po' ridicolo di chi deposita quaranta emendamenti per poi ritirarli precipitosamente nell'arco di due ore, prima ancora che fosse annunciato il voto di fiducia!
In tema di giustizia, non dobbiamo soltanto denunciare ciò che è stato fatto, vale a dire questa controriforma dell'ordinamento e le «leggi fotografia», che violano il senso comune della giustizia e producono ferite, sbreghi nell'ordinamento; dobbiamo anche denunciare ciò che non è stato fatto e, invece, si sarebbe dovuto fare, in positivo, per far funzionare il servizio giustizia, l'unica cosa che conta davvero agli occhi dei cittadini comuni.
Non sono state fatte le attese riforme dei codici di procedura penale e civile; non è stato fatto nulla per ridurre la durata dei processi, che è la vera e propria emergenza della giustizia nazionale. Sono stati ridotti, invece, i mezzi e le risorse destinati alla giustizia!
In questa clamorosa contraddizione tra la sollecitudine per la giustizia domestica - qui intesa come giustizia del premier e dei suoi «domestici» e la noncuranza per la giustizia dei cittadini - sta la cifra di questo Governo, un Governo che si è segnalato, ahimè, anche presso l'opinione pubblica internazionale per la sua sistematica azione contro la legalità ed il senso della legalità.
Penso alla depenalizzazione del falso in bilancio, anche qui in controtendenza rispetto all'esigenza di un capitalismo regolato; penso ai condoni a raffica; penso ai vergognosi privilegi fiscali assicurati a chi aveva esportato illecitamente capitali all'estero; penso al conflitto di interessi che sta ancora lì, come un macigno che inquina la vita pubblica, sfacciatamente ignorato, quando non esibito come un non problema (si veda l'impasse della RAI, tenuta in scacco personalmente da Berlusconi, cioè dal proprietario dell'azienda concorrente).
Nello scenario che ho sommessamente evocato, fatto di giustizia negata, di privilegi ostentati e di illegalità predicata e praticata ai vertici dello Stato, sconcerta lo spettacolo cui ci tocca di assistere in queste ore.
Mi riferisco alla propaganda ed alla demagogia del partito in cui milita il ministro della giustizia.
Come possa stare insieme l'ostentazione della faccia feroce con quattro anni nei quali la Lega e il suo ministro hanno tenuto il sacco a chi faceva strame della legalità e del rigore in un paese che già non brilla per senso dello Stato e della legge, francamente non riusciamo a comprenderlo, se non accedendo alla seguente conclusione: a costoro - intendo alla Lega e ai suoi pittoreschi ministri - non importa letteralmente nulla dell'efficacia delle misure da varare urgentemente contro la minaccia terroristica; a loro preme solo agitare una bandiera, proponendo ricette tanto incivili quanto inutili, con un solo risultato sicuro e certificato, quello di paralizzare il Governo, di inibirgli ogni iniziativa che pure ha incrociato la disponibilità delle opposizioni a cooperare positivamente contro una minaccia attuale ed incombente, che tutti ci interpella e che solo il premier ha potuto, con la sua irresponsabile leggerezza e per coprire le divisioni interne al suo Governo, rappresentare - udite! - come una minaccia statisticamente improbabile nell'immediato. Non ci sono parole a commento.
Un ultimo rilievo. La storia del provvedimento riguardante l'ordinamento giudiziario si segnala negativamente sotto un altro profilo, anche questo niente affatto nuovo. Alludo al conflitto tra gli organi costituzionali, un altro degli elementi che ha contrassegnato tutta intera la legislatura come mai nella storia della Repubblica, che ancora, nelle ultime ore, ha sfiorato lo scontro istituzionale ai vertici dello Stato, con un attacco indiretto, ma palese, dei Presidenti delle Camere al Capo dello Stato, indiretto, perché formalmente


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indirizzato contro il CSM, ma palese, perché dovrebbe essere noto ai Presidenti delle Camere che l'ordine del giorno del CSM è vagliato ed autorizzato dal Presidente della Repubblica.
Proprio il provvedimento sull'ordinamento giudiziario ha prodotto scontri tra Governo e magistrati, tra Governo e CSM, tra Governo e Presidenza della Repubblica e, da ultimo, tra Presidenti delle Camere e Quirinale. Scusate se è poco! Ecco un altro dato che ricorderemo di questo Governo: l'attitudine a lacerare non solo il tessuto sociale, ma anche quello istituzionale, ad alimentare conflitti, non solo dentro il corpo sociale, ma anche tra gli organi dello Stato.
Ci conforta il pensiero che questo Governo sia al suo epilogo. Non è solo una speranza. Molti sono gli indizi che la sua stagione politica si sta esaurendo. Dunque, è tempo di bilanci. Anche questa è un'occasione per anticipare un giudizio retrospettivo.
Grandi e profondi sono i danni che esso ha procurato all'economia nazionale e all'immagine del nostro paese nel mondo, ma personalmente rifletto spesso sulla circostanza che dei tanti danni prodotti da questo Governo uno svetta su tutti e resterà scolpito a lungo nella memoria collettiva: è il contributo che esso ha dato all'eclissi del senso della legalità, al depauperamento dell'etica civile, alla mortificazione dello spirito repubblicano e, più semplicemente, di ogni elementare senso del dovere verso il prossimo e verso la comunità. Qui sta la vera devastazione prodotta dall'anarchismo di questo Governo. Qui sta l'immane compito che sarà affidato a chi gli succederà. Ed ecco una ragione in più per prendere sul serio e nel senso giusto la questione morale anche da parte nostra. Sappiamo che sarà opera di lunga lena e che la politica da sola non ce la può fare.

PRESIDENTE. Onorevole Monaco...

FRANCESCO MONACO. Non siamo sicuri - sto per concludere, signor Presidente - di essere all'altezza di un'opera di ricostruzione morale, civile ed istituzionale di questa portata, perché di questo si tratta.
Ciò di cui siamo sicuri è che quella di oggi, per voi - mi rivolgo alla maggioranza -, è una vittoria di Pirro, e che sta per calare il sipario sull'avvilente spettacolo di cui il colpo di mano che si consuma oggi rappresenta solo uno degli ultimi atti (Applausi dei deputati dei gruppi della Margherita, DL-L'Ulivo e dei Democratici di sinistra-L'Ulivo).

PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto l'onorevole Anedda. Ne ha facoltà.

GIAN FRANCO ANEDDA. Signor Presidente, solo poche parole per confermare, se ancora ve ne fosse la necessità, l'assenso meditato e convinto - lo ripeto: meditato e convinto - di Alleanza Nazionale alla riforma dell'ordinamento giudiziario, senza indugiare, come ha fatto il collega che mi ha preceduto, in valutazione squisitamente elettoralistiche che inducono, per un interesse comprensibile anche se non apprezzabile, a dimenticare in quale misura siano state vittime esponenti del suo partito o della storia del suo stesso partito.
Inutile, dopo tante discussioni - non è vero che non si sia discusso -, commentare, chiarire, spiegare, giustificare le norme. Utile indicare il senso generale, la finalità della riforma da troppi anni attesa e del tutto necessaria.
La riforma intende realizzare una ancora maggiore professionalità e specializzazione tra i magistrati: sottolineo «ancora maggiore» giacché in Italia - non intendo fare raffronti, come ormai è diventato di moda, tra gli ordinamenti degli Stati esteri ché ciascuno di essi ha la propria peculiarità - abbiamo una magistratura di alto livello professionale, così come di alto livello sono l'Avvocatura dello Stato, le magistrature amministrative e contabili, un livello del quale il Parlamento deve essere attento e geloso custode. Attento anche nel correggere le distorsioni che il tempo e le incrostazioni


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della prassi (ahimé, uno dei pericoli sempre immanenti) possono avere creato, ed a quanto è accaduto nella magistratura. Delle distorsioni abbiamo esattamente individuato le cause.
La prima, principale radice di tutto quanto è accaduto è la suddivisione della magistratura in correnti di chiara, non negata, ispirazione politica, che ha avuto riflessi anche sull'organo di autogoverno e, di conseguenza, anche sui magistrati, la cui carriera molto spesso è stata regolata dalla iscrizione (che significa lottizzazione) all'una o all'altra corrente piuttosto che dal merito, dalla capacità, dalla laboriosità.
Di qui discende la necessità di puntuali regole, di indicazioni che, pur lasciando al CSM il giudizio definitivo, così come la Costituzione prevede, offrano allo stesso Consiglio parametri di riferimento dei quali dovrà tenere conto per valutare capacità e meriti.
Comprendo le ragioni di fondo del dissenso dell'Associazione nazionale magistrati trasferitosi nel CSM, comprendo meno la volontà dell'opposizione di sinistra di avere sposato, senza critiche e senza nemmeno chiedere la dote, le posizioni sindacali dell'Associazione nazionale magistrati.
Si tratta dell'affievolimento di un potere discrezionale e, perciò, assolutamente arbitrario ed incontrollato, potere dal quale le correnti si alimentano. È questo il fulcro centrale della riforma ed è questa la causa e la ragione del dissenso. Tale modifica porta ad un affievolimento del potere incontrollato, che ha quindi spinto la magistratura ad un miope conservatorismo all'insegna, come sempre, del «che tutto cambi perché nulla venga mutato».
Abbiamo inteso liberare i magistrati da una condizionamento non più accettabile, renderli effettivamente liberi ed indipendenti, e ci dispiace - lo diciamo con sincera dichiarazione - che molti magistrati non si siano resi conto - alcuni sì! - di questa libertà che la riforma porta loro.
Se guardiamo alla storia, molti nell'Assemblea Costituente guardarono con diffidenza al Consiglio superiore della magistratura. Taluno - l'onorevole Grassi - paventò che il CSM diventasse il despota dell'ordinamento; altri - l'onorevole Preti - che fosse creato uno Stato nello Stato, una casta chiusa e intangibile, separata e irresponsabile. Addirittura, l'onorevole Persico parlò di «mandarinato».
Queste preoccupazioni, piaccia o meno, si sono tradotte in realtà; lentamente negli anni, il Consiglio superiore della magistratura, con circolari e direttive, ha ampliato la propria sfera di competenza ben oltre la previsione della Costituzione. La responsabilità è di chi non ha voluto o non ha saputo evitarlo, ovvero non si è avveduto di come fosse necessario tagliare la degenerazione alle radici.
Lo scontro sulla riforma dell'ordinamento giudiziario - si tratta di disposizioni che in base alla Costituzione spetta al Parlamento varare con legge - ne è la prova: non soltanto vi è il tentativo del Consiglio superiore della magistratura di censurare il Parlamento - non sarebbe la prima volta - ma addirittura tale organo si predispone a denunciare dinanzi alla Consulta, con attività propria ed illegittima, la incostituzionalità della riforma stessa.
Infine, non commenterò, per un dovuto, sincero e non formale rispetto della decisione presa dal Presidente del Repubblica, i motivi del rinvio della legge al Parlamento; oso certamente affermare, però, che - ravvisando nella possibilità attribuita al ministro dal testo precedente di rendere al Parlamento una relazione sulla politica giudiziaria una lesione all'autonomia della magistratura - è stata prospettata l'incostituzionalità di una previsione normativa non per un pericolo reale, sibbene per uno futuro ed incerto. Il pericolo che la politica giudiziaria possa interferire con l'obbligatorietà dell'azione penale, sempre con il dovuto rispetto, è un assurdo logico.
Le modifiche apportate sono più che soddisfacenti; francamente, l'Associazione nazionale magistrati, e la sinistra che ne ha sposato le tesi, ricorderanno molto


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bene quel bambino che, privato della merendina, e nulla potendo fare, invoca, piangendo, la mamma!
Il Parlamento approva un legge, richiesta dall'articolo 108 della Costituzione; il nostro auspicio è che l'interpretazione sia conforme alla nostra volontà (Applausi dei deputati dei gruppi di Alleanza Nazionale, di Forza Italia e della Lega Nord Federazione Padana).

PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto l'onorevole Violante. Ne ha facoltà.

LUCIANO VIOLANTE. Dovremmo riflettere, Presidente e colleghi, approfonditamente sulle ragioni per le quali questa è stata una legislatura incapace di affrontare i problemi della modernizzazione e della competitività del paese. Sostenerlo mentre si discute la questione di fiducia su disposizioni che definiscono lo statuto dei magistrati non è fuori tema; un paese è oggi moderno e competitivo quando possiede un sistema di risoluzione dei conflitti tra i cittadini che abbia due caratteristiche: velocità ed affidabilità.
Le imprese, le famiglie, i cittadini hanno bisogno di sapere, nei tempi della vita, non in quelli della politica, quali siano i loro diritti e doveri, nonché, con certezza, quali saranno gli effetti giuridici delle loro decisioni e dei loro comportamenti. Questa è la moderna versione del principio di legalità che viene dal pensiero liberale dell'Ottocento, arricchito dall'esperienza contemporanea.
Non un atto, però, della vostra politica della giustizia si è preoccupato di affrontare tali nodi; anzi, numerosi vostri interventi hanno reso più incerte le regole e più difficile la conclusione dei processi.
Alcune vostre prese di posizione, anche a livello istituzionale elevato, hanno teso ad impedire la costruzione di un rapporto di fiducia tra cittadini ed istituzioni giudiziarie; errore grave, perché ha tolto credibilità a voi stessi ed al prestigio internazionale del paese.
In tale opera, avete avuto, come validi alleati, anche alcuni magistrati, che hanno disinvoltamente e reiteratamente superato le barriere del riserbo e dell'anonimato, scudi tradizionalmente assai efficaci contro le intemperanze e gli abusi della politica.
È accaduto, a volte, che persino l'Associazione nazionale magistrati sia caduta nella trappola astutamente tesa da alcuni di voi, e si è trasformata in una sorta di controparte di questa maggioranza politica. Questi sono stati gli errori dei magistrati.
Ma la classe dirigente, di fronte ai problemi del rendere giustizia in una società moderna, non costruisce il proprio progetto politico sugli errori altrui, come non lo costruisce sulle particolari convenienze processuali di singoli esponenti politici. Una classe dirigente avrebbe dovuto porsi l'obiettivo di raggiungere quattro risultati: processi più veloci, diritti più garantiti, regole più certe, magistratura più rispettata.
Non siamo in questa situazione. Non ci saranno processi più veloci, perché questa riforma non riguarda i bisogni dei cittadini. Non ci saranno diritti più garantiti, perché non è previsto alcun criterio oggettivo ed automatico per escludere il magistrato che si sia rivelato incapace.
Il magistrato che segue una delicata inchiesta sul terrorismo internazionale, ad esempio, non potrà sperare che il suo lavoro nell'interesse della sicurezza degli italiani venga valutato positivamente per il suo futuro professionale. Dovrà fare un concorso, dove gareggerà con fini cesellatori di pandette che hanno messo da parte metà del lavoro giudiziario per poter destinare più tempo alla carriera. E farà carriera non chi ha difeso meglio i diritti dei cittadini, forse anche rischiando la vita, ma chi, trascurando il lavoro giudiziario, si è meglio preparato per il concorso.
Noi proponiamo, invece - e questa sarà una delle riforme che introdurremo, nella prossima legislatura, se i cittadini continueranno a darci il loro consenso, come fanno, con continuità ed in misura crescente, dal 2002 -, che tutti i magistrati, nessuno escluso, siano sottoposti a verifica del lavoro svolto ogni quattro anni, in


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modo che per ciascuno ci sia la possibilità di progredire professionalmente, se si è dimostrato capace nel concreto esercizio quotidiano dell'attività giurisdizionale.
La vostra riforma non mira a costruire una magistratura più rispettata: riduce i poteri costituzionali del Consiglio superiore della magistratura, non si occupa della qualità professionale, crea le premesse per un controllo politico, diretto ed indiretto, sul lavoro di tutti i magistrati. Eppure, l'ordinamento giudiziario è una delle grandi occasioni che può avere un Governo, davanti a sé, per dimostrare lungimiranza, senso delle istituzioni e capacità di visione politica.
Anche la recente presa di posizione di due autorevoli cariche istituzionali contro una deliberazione del CSM fondata su una inequivoca norma di legge, e comunque espressamente autorizzata dal Capo dello Stato, è parsa una non necessaria polemica, nella quale il terreno della giustizia è stato, ancora una volta, impropriamente scelto per definire il proprio ruolo nei futuri ed eventuali scenari politici.
La giustizia ha due dimensioni: una di servizio per i cittadini e l'altra di potere dello Stato. Non avete affrontato la dimensione del servizio, ed avete concentrato la vostra attenzione sulla dimensione di potere.
Nel centrodestra, accanto a visioni democratiche, liberaldemocratiche e moderatamente conservatrici, convive una minoranza numerica, ma assai potente quando si tratta di assumere delicate scelte di governo, che ha una cultura politica autoritaria, per alcuni aspetti populista, per altri intimidatoria. Siete voi che, con l'irruzione di questa visione nella politica della giustizia, siete andati a scontri istituzionali reiterati e senza costrutto e siete andati ad una visione vendicativa della riforma.
Il sistema politico italiano avrebbe potuto e dovuto prendere le distanze tanto dal giustizialismo quanto dall'illegalismo. Il giustizialismo è la cultura del ricorso all'apparato giudiziario per risolvere i problemi politici. Di essa furono espressione, tra gli altri, nella stagione di Tangentopoli, l'attuale Presidente del Senato, dirigenti politici della Lega e di Alleanza Nazionale.
È stato a volte confuso con il giustizialismo un altro fenomeno, del tutto distinto. Si tratta del legalismo, vale a dire l'idea che le regole e le leggi servano per affrontare e risolvere tutti i problemi, anche quelli che devono essere risolti con lo strumento della politica. Questo è stato a volte, nel passato - siamo pronti a riconoscerlo -, anche l'errore di alcuni di noi. Se si vuole, è l'errore che, a volte, hanno fatto nella storia i ceti subalterni e chi si è assunto la funzione storica di rappresentarli. Ma è una storia vecchia e superata, anche perché quei ceti non sono più oggi subalterni.
All'altro polo del giustizialismo sta l'illegalismo. L'illegalismo costituisce il ribaltamento della cultura costituzionale dell'Occidente ed una pericolosa adesione alle teorie del potere politico «costituzionalmente incontrollabile» proprie del diritto sovietico, o comunque asiatico.
Il costituzionalismo occidentale concepisce l'insieme delle regole e delle istituzioni cui è demandato il compito di applicarle come argini all'esercizio indiscriminato della forza della politica. La concezione rivelata, invece, dalle vostre azioni è ispirata al criterio inverso: quello per cui è la forza della politica che deve limitare l'applicazione delle regole e deve dirigere l'operato delle istituzioni che sono incaricate di applicarle.
Mi scuso per la sommarietà di queste proposizioni, dovuta a questa particolare occasione. Credo, comunque, onorevoli colleghi, che sarà necessario affrontare, nella riflessione politica dei prossimi mesi, il senso costituzionale di questa legislatura, alla luce di alcuni seri spunti critici - ed anche autocritici - rilevati, ad esempio, dalla relazione di Marco Follini al congresso del suo partito. Tra l'altro, noto per incidens che l'UDC non è ancora intervenuta in questo dibattito sulla fiducia e, se non interverrà, sarà la prima volta nella storia del nostro paese che un partito di maggioranza non partecipa ad un dibattito sulla fiducia.


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Vi sono state innovazioni politiche e parlamentari, nell'esercizio del potere e nel rapporto tra Parlamento e Governo, che devono essere attentamente valutate, sia dal punto di vista del potere sia da quello delle regole, anche per non ricadere negli stessi errori e per riprenderne gli aspetti positivi, se ve ne sono stati.
Come dicevo, la maggioranza avrebbe potuto prendere le distanze tanto dal giustizialismo quanto dall'illegalismo. Non è stato così, perché è prevalsa l'idea dell'autosufficienza, dell'inutilità del confronto e del timore delle ragioni dell'avversario. Tale posizione ha portato al logoramento della maggioranza, alla crisi di consenso - anche interno - e, quindi, alla necessità di «tappare la bocca» agli stessi deputati di maggioranza tramite il ricorso al voto di fiducia. Avete già posto la questione di fiducia su questo provvedimento nel giugno dello scorso anno. Il Capo dello Stato rimandò la legge alle Camere ed oggi ci risiamo. Ma di cosa avete paura? I tempi sono contingentati; avete circa novanta deputati in più e, tuttavia, temete che il provvedimento sia discusso; temete che le idee si confrontino.
Avete già impedito, tramite la posizione della questione di fiducia, di discutere la manovra economica dello scorso anno. Le nostre analisi sulla vostra incapacità di risolvere i problemi economici e finanziari italiani si sono rivelate più corrette della vostra fiducia. Ora avete deciso che tutti i problemi - IRAP, pensioni, sfondamento del bilancio, debito pubblico, competitività - saranno risolti a partire dal 2006 quando, prevedibilmente, non sarete più al Governo. In quattro anni, avete messo l'Italia in ginocchio. Toccherà a noi aiutarla a riprendersi ed a farla correre.
Ma torniamo alla giustizia. Durante il governo di centrosinistra, tra l'altro, le risorse finanziarie sono aumentate del 40 per cento, sono state dimezzate le carenze di personale, è stato istituito il giudice unico di primo grado, è stato fissato il principio costituzionale del giusto processo. Oggi, con il vostro Governo, gli uffici giudiziari non possono neanche stenografare le udienze, perché avete consumato tutti i fondi disponibili in bilancio!
Come accade per i regimi al tramonto, diminuiscono le manifestazioni di consenso ed aumenta l'imposizione; si riduce il confronto, anche interno, ed aumentano le prove «muscolari». Avrete questa stanca fiducia; non da noi, certamente. Noi abbiamo oggi la fiducia del paese e contiamo su di essa per tornare al Governo e varare, tra l'altro, una riforma giudiziaria che garantisca i cittadini, assicuri magistrati capaci e dia certezze di regole ai cittadini stessi ed alle imprese. Ma tutto ciò cercheremo di farlo non da soli, perché sappiamo che non abbiamo ricette magiche e perché sappiamo che una classe dirigente è veramente tale quando gode della fiducia dei cittadini e quando è capace di individuare e stimolare anche i pregi e le competenze degli avversari (Applausi dei deputati dei gruppi dei Democratici di Sinistra-L'Ulivo, della Margherita, DL-L'Ulivo e del gruppo Misto-SDI-Unità Socialista - Congratulazioni).

PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto l'onorevole Antonio Leone. Ne ha facoltà.

ANTONIO LEONE. Signor Presidente, questa riforma, che giunge finalmente al suo traguardo, ha avuto un iter fin troppo travagliato, ma bisogna anche rilevare che su di essa si è addensata e scaricata una serie di tensioni politiche e di interessi che vanno ben al di là del sacrosanto diritto che hanno tutti i cittadini ad avere a disposizione un servizio-giustizia degno di un paese moderno ed avanzato.
Ricordo che questa riforma rappresenta l'attuazione di un preciso impegno programmatico che la Casa delle libertà, nel suo complesso, aveva assunto di fronte agli elettori in occasione delle elezioni politiche del 2001. Ciò tanto per rispondere, ancora una volta, a quegli esponenti dell'opposizione, ed ai loro sostenitori, che accusano - un giorno sì e l'altro pure - la Casa delle libertà ed il Governo Berlusconi di non aver rispettato i propri impegni


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programmatici. Questo disegno riformatore, nel testo al nostro esame, tiene doverosamente conto dei quattro rilievi mossi dal Presidente della Repubblica e recepisce, in modo equilibrato ed esaustivo, le osservazioni presidenziali.
Quale segno di apertura al contributo dell'opposizione, ricordo che sono stati recepiti nel corso del dibattito in prima lettura circa dieci emendamenti, aventi come primi firmatari gli onorevoli Finocchiaro, Maura Cossutta, Kessler ed altri. Alcuni di tali emendamenti erano marginali, ma altri erano piuttosto significativi.
La fiducia posta sull'approvazione della riforma dell'ordinamento giudiziario ha suscitato, come al solito, da parte delle opposizioni e da parte di una certa magistratura, un clamore spropositato rispetto all'intento di questa maggioranza, che era ed è quello di andare, finalmente, a mettere in discussione un ordinamento che mai nessuno aveva avuto, finora, il coraggio di riformare.
Del resto, sulla solita e stanca polemica di rito, è bene rilevare che lo scopo della questione di fiducia era quello di evitare di vanificare circa tre anni di lavoro e di confronto a pochi giorni dalla conclusione dei lavori in vista della pausa estiva.
Quanto, poi, al presunto abuso del ricorso alla questione di fiducia, possiamo serenamente affermare che in questa legislatura se ne è fatto un uso che rientra assolutamente nella media delle passate legislature. In questo caso, dopo ben sette letture e numerosissime modifiche, la riforma dell'ordinamento giudiziario non poteva rischiare una battuta d'arresto proprio in una fase del lavoro parlamentare che vede, oltre che la già citata pausa estiva, soprattutto l'urgenza di concludere anche l'esame di altri provvedimenti di notevole importanza.
Lo scopo di questa maggioranza, all'indomani della vittoria delle elezioni del 2001, era - ed è, ancora adesso - proprio quello di realizzare alcune riforme rispetto alle quali mai nessuno nella storia di questo paese - e sottolineo: mai! - aveva avuto il proposito, il coraggio ed i numeri per farle.

PRESIDENZA DEL VICEPRESIDENTE PUBLIO FIORI (ore 15,20)

ANTONIO LEONE. Sul merito di ogni singola riforma si può certamente discutere, data peraltro la strumentale ed abissale divergenza politica che separa gli schieramenti. Ma, di certo, si potrà dare atto al Governo ed alla maggioranza che lo sostiene di aver avuto la forza di porre mano a questioni che in questo paese si è sempre stentato anche solo a sfiorare.
Sono passati diversi anni da quando fu un referendum popolare a tentare lo scardinamento di un sistema giudiziario obsoleto e chiuso in se stesso, che non rispondeva nemmeno per gli errori commessi. Allora, i cittadini vennero chiamati ad esprimersi sulla responsabilità civile dei magistrati e, nonostante la vittoria di quel referendum, le cose sono cambiate di poco, anche grazie ai Governi di centrosinistra che hanno ulteriormente peggiorato la situazione, compiendo ulteriori passi indietro.
A tutt'oggi, i procedimenti disciplinari e soprattutto le condanne nei confronti dei magistrati che abbiano commesso errori sono pochissimi. Possiamo pensare che ciò sia dovuto al perfetto funzionamento del sistema giudiziario ed alla bravura impareggiabile dei magistrati italiani? Ci piacerebbe che fosse così; ma sappiamo benissimo - e lo sanno soprattutto i cittadini - che il sistema giudiziario del nostro paese si sta crogiolando drammaticamente, da troppi anni, in un decadimento che va a discapito del sistema stesso.
Impegnarsi per imprimere, per la prima volta, una nuova disciplina all'ordinamento della giustizia con l'obiettivo di farla funzionare meglio era un dovere da compiere da parte di un Parlamento che si deve occupare dei diritti universali dei cittadini. Ben vengano le critiche... Signor Presidente, non vorrei dar fastidio ai colleghi...

PRESIDENTE. Lei è molto gentile, onorevole Leone.

ANTONIO LEONE. Ben vengano le critiche ed anche le riflessioni degli addetti ai


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lavori. Ben venga il confronto con il CSM, se fosse stato costruttivo. Il Parlamento non può, accettare un atteggiamento di difesa corporativa, che si preoccupa della casta, ma non dei problemi che questa non può e, spesso, non vuole risolvere quando si tratta soltanto di mantenere vivi i privilegi ed un sistema che funziona meglio per gli addetti ai lavori che per i destinatari del diritto.
Da questo punto di vista, la pesante polemica di questi giorni con il Consiglio superiore della magistratura è servita solo a ribadire una ingiustificata e pericolosa distanza tra istituzioni che dovrebbero rispondere esclusivamente al bene comune del cittadino. Violare il dettato costituzionale che sancisce la separazione dei poteri, che è uno dei cardini fondamentali della nostra democrazia, è stato solo un superficiale quanto grave atto di irresponsabilità, che ha inutilmente avvelenato il clima e che si aggancia a quella idea di supplenza nei confronti della politica ed anche del Parlamento che la magistratura ha ritenuto di assumersi sul finire della prima Repubblica.
A proposito del dettato costituzionale, non è, per caso, ipotizzabile, attraverso il documento deliberato dal Consiglio superiore della magistratura, un'ennesima richiesta da parte del CSM di elevare un conflitto di attribuzione con le Camere, nel momento in cui si minaccia di adire la Corte costituzionale? E non è questo un travalicamento di poteri? È pur vero che l'ordine giudiziario è un potere dello Stato, ma non è certamente un contropotere. E non si è dimenticato che la stessa Corte costituzionale, con la sentenza n. 284 del 2005, ha ribadito l'inammissibilità del ricorso per conflitto di attribuzione tra poteri dello Stato proposto dallo stesso CSM avverso una disposizione della legge finanziaria per il 2004. Lo ricorderete: ne abbiamo parlato anche in quest'aula. Il CSM, in quanto tale, non è titolare di un tale diritto: si deve solo attendere che altri, eventualmente, si assumano lo zelo di sollevare un incidente di costituzionalità, e non certo per ordini di scuderia.
Pertanto, il principio dell'indipendenza della magistratura deve essere sì tutelato, ma non deve avere un'interpretazione così ampia da consentire il travalicamento delle funzioni proprie dell'ordine giudiziario e l'invasione nelle competenze del potere legislativo, come invece sta avvenendo anche in questa occasione.
Il Parlamento fa le leggi e i magistrati devono applicarle e non debbono assolutamente interferire nella fase legislativa, anche perché le leggi, in particolare quella sull'ordinamento giudiziario, sono costruite nell'interesse della generalità dei cittadini e non degli addetti ai lavori, siano essi magistrati o avvocati. Questo - i magistrati dovrebbero ben saperlo - non è uno Stato corporativo.
Per quanto riguarda la polemica sollevata dalle dichiarazioni del Presidente del Senato Pera e dallo stesso Presidente della Camera Casini circa le interferenze del CSM nell'iter di questa legge, c'è da dire che la volontà dell'organo di autogoverno della magistratura di dare pareri non richiesti al ministro della giustizia su questo provvedimento è quanto meno discutibile e si configura come una forma di pressione, che certamente noi non apprezziamo. Una sana dialettica politica impone di ricondurre il dibattito nelle aule parlamentari, che ne sono il luogo deputato.
In questi giorni - e non solo, per la verità - abbiamo sentito sull'argomento tante parole in libertà. Quel che ci ha stupito è che un ex ministro della giustizia, in maniera opaca, imprecisa e palesemente strumentale, abbia parlato di un provvedimento che porterà ad una magistratura meno sicura, meno certa e meno indipendente. Tali affermazioni non sono supportate da nessun elemento concreto inteso ad individuare le conseguenze normative che questo provvedimento provocherebbe.
La verità e la differenza tra noi ed voi, cari amici oppositori di professione, è che noi vogliamo una magistratura solo meno politicizzata. Ma le leggi, come potete ben intuire, servono a ben poco su questo terreno. Sono le coscienze cui bisognerebbe mettere mano, le coscienze degli


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uomini, degli uomini magistrati e degli uomini legislatori. Voi non siete stati capaci di farlo e non ne sarete mai capaci.
È proprio il caso di dirlo: ai posteri l'ardua sentenza (Applausi dei deputati dei gruppi di Forza Italia e di Alleanza Nazionale - Congratulazioni)!

PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto, a titolo personale, l'onorevole Falanga. Ne ha facoltà.

CIRO FALANGA. Signor Presidente, intervengo per dichiarare il voto contrario dei due componenti Repubblicani europei di questa Assemblea.
Mi preme preliminarmente precisare che svolgo questo breve intervento con una straordinaria serenità d'animo, per la sintonia nella motivazione del «no» del Movimento Repubblicano europeo e il mio coscienzioso convincimento politico e culturale.
Onorevoli colleghi, signor Presidente, che fosse avvertita da tutte le parti politiche ed anche dai destinatari delle regole la necessità di una riforma dell'ordinamento giudiziario mi pare dato sicuramente per scontato. Il nostro «no» è motivato dal metodo che ha accompagnato l'iter del provvedimento in esame. Esso è all'esame del Parlamento da circa tre anni. Eppure, le modifiche al testo originario, sicuramente emblematiche, sono state apportate frettolosamente all'ultima ora.
Mi riferisco chiaramente al cosiddetto emendamento Bobbio. Esso affronta, ancora una volta in maniera distonica rispetto a precedenti disposizioni di questa stessa maggioranza di Governo, l'aspetto relativo all'età massima in servizio della magistratura, nella prospettiva, questa volta, non del congedo, ma dell'accesso ad incarichi direttivi.
La disposizione - come è noto - prevede che con il compimento del sessantaseiesimo anno di età, vale a dire quattro anni prima del collocamento a riposo ordinario, al magistrato non possano essere conferiti incarichi direttivi. Essa, come ho detto, è distonica e contraddittoria: con la legge finanziaria del 2001 si è elevato progressivamente il limite massimo di permanenza in servizio fino a 75 anni di età, e con l'originario progetto all'esame di questa Assemblea si è avuta una riduzione al settantaduesimo anno di età, ovviamente sempre a discrezionalità del soggetto interessato. Nel passaggio tra una Camera e l'altra, tale disposizione è stata stralciata e, quindi, l'età di collocamento in pensione straordinario è rimasta a 75 anni. Oggi, con l'intervento emendativo del senatore Bobbio, il limite di età per l'assunzione di cariche direttive viene ridotto a 66 anni. È chiaro, quindi, che il provvedimento ha uno scopo particolare, peraltro dichiarato dal suo stesso autore.
Ebbene, il «no» diviene ancora più convinto...

PRESIDENTE. Onorevole Falanga...

CIRO FALANGA. Pochi minuti ancora, signor Presidente...

PRESIDENTE. Onorevole Falanga, lei aveva due minuti a disposizione e ne ha già utilizzati tre...

CIRO FALANGA. Solo qualche secondo...

PRESIDENTE. Qualche secondo va bene... Prego, onorevole Falanga.

CIRO FALANGA. Il nostro «no» diviene ancora più convinto quando prendiamo atto che trattasi di provvedimento ad personam o contra personam: sono questi i provvedimenti di particolarissimo allarme sociale. Vedete, colleghi, si sconfessa la storia del Parlamento italiano quando, piuttosto che raggiungere lo scopo del bene comune, si persegue uno scopo particolare.
Per tale motivo, peraltro, il provvedimento stesso si presta a rilievi di incostituzionalità tanto per la violazione dell'articolo 3 della Costituzione quanto per quella dell'articolo 97 della stessa. Credo che il provvedimento all'esame della Corte costituzionale sicuramente ristabilirà il giusto equilibrio che ci deve essere ed il


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corretto esercizio della funzione legislativa di un Parlamento in un paese democratico ed in uno Stato di diritto.

PRESIDENTE. Sono così esaurite le dichiarazioni di voto sulla questione di fiducia.
Poiché la votazione per appello nominale sulla questione di fiducia avrà luogo a partire dalle ore 16,05, devo sospendere la seduta fino a tale ora.
Pertanto, la seduta è sospesa: riprenderà alle 16,05 con la votazione per appello nominale.

La seduta, sospesa alle 15,30, è ripresa alle 16,05.

PRESIDENTE. Ricordo che prima della sospensione della seduta si sono svolti gli interventi per dichiarazione di voto sulla questione di fiducia.

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