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PRESIDENTE. Passiamo alle dichiarazioni di voto sul complesso del provvedimento.
Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto l'onorevole Lion. Ne ha facoltà.
MARCO LION. Signor Presidente, onorevoli colleghi, il disegno di legge oggi al nostro esame è conseguente all'impegno assunto dal Governo con le parti sociali ed il paese di far seguire alla legge finanziaria per il 2005 un provvedimento collegato sulla competitività. Tale collegato - dopo che si sono persi molti mesi anche a causa dei contrasti interni allo stesso Governo - si è tradotto in un decreto-legge ed in questo disegno di legge veramente penoso oggi esaminato dall'Assemblea.
Si chiedeva un intervento in grado di fornire alcune serie ed efficaci risposte alla progressiva perdita di competitività e di quote di mercato. Tale intervento era stato sollecitato dal paese, dai sindacati, dalla Confindustria, dalla stessa opposizione, oltre che dall'Unione europea e, a più riprese, dallo stesso Presidente della Repubblica. La produttività e la competitività, però, in questi anni sono ulteriormente calate. Se è vero che questa tendenza non è solo di oggi, vorremmo comunque comprendere cosa sia stato fatto dal Governo in questi anni per invertire tale tendenza. Abbiamo verificato che in quattro anni di legislatura il Governo ha negato addirittura la perdita di competitività del nostro paese, dichiarando che viviamo in un'Italia «felice», dove tutti sono contenti e soddisfatti.
Di fatto, vi sono imprese in difficoltà, che rischiano di essere escluse dal mercato; aumenta il ricorso alla cassa integrazione guadagni e, come ci ha ricordato il Fondo monetario internazionale nel suo rapporto di aprile, l'Italia ha registrato la più significativa perdita di quote di mercato negli ultimi anni e presenta anche la più bassa percentuale di esportazioni, in rapporto al totale delle esportazioni, nel comparto dell'alta tecnologia. Siamo quindi un paese caduto veramente in recessione, con una perdita di competitività del 25 per cento negli ultimi quattro anni.
Alla luce di questa vera, autentica emergenza, non possiamo che constatare come i due provvedimenti suddetti - sia il primo sia quello oggi al nostro esame -, che avevano l'ambizione di rilanciare lo sviluppo e la competitività, si rivelino null'altro che un insieme di interventi incapaci di fornire una sia pur minima risposta alla drammatica situazione economica e finanziaria del paese. Di tale situazione, voi, come maggioranza, avete gran parte della responsabilità.
I due provvedimenti ricordati fanno espressamente riferimento, già nel titolo, ad un piano di azione per lo sviluppo. Vorremmo capire, però, dove sia rintracciabile uno stralcio di tale piano all'interno di una così variegata accozzaglia di norme. Già il decreto-legge n. 35 del 2005 si era rivelato un insieme confuso di disposizioni, le più svariate ed eterogenee, evidentemente incapaci di produrre alcun beneficio od effetto strutturale sulla nostra economia. Si tratta di norme parziali, prive di alcuna strategia di sviluppo e di crescita.
Purtroppo, questa inadeguatezza è confermata dal disegno di legge oggi al nostro esame. Ad esempio, cosa c'entrano la competitività, l'innovazione e lo sviluppo con la possibilità - come paventato inizialmente in Commissione bilancio - di aprire nuovi casinò o di alienare per 90 anni (da parte dello Stato) le spiagge, il demanio marittimo per finanziare i grandi progetti di sviluppo turistico (formalmente si prospettava tale ipotesi non come una vendita ma come una concessione per 90 anni)? Fortunatamente, il lavoro nelle Commissioni ha scongiurato buona parte di tali ipotesi. Resta il fatto che queste erano le proposte e le ricette iniziali del Governo.
Che dire, poi, delle disposizioni sul volontariato, che nei giorni scorsi hanno portato in piazza centinaia di volontari per protestare contro il rischio - più che concreto - di una drastica riduzione delle risorse destinate ai centri di servizi, che avrebbe comportato un rischio per la stessa autonomia delle 30 mila organizzazioni di volontariato presenti in Italia?
Anche nelle norme sulla produzione energetica, poi, non vi è alcun riferimento a misure per l'aumento dell'efficienza ed il risparmio energetico. Manca, come sempre, qualsiasi riferimento vero e concreto
agli obiettivi di Kyoto e all'obbligo di dotarsi, entro il 2007, delle migliori tecnologie ambientali.
Insomma, la situazione economica del paese avrebbe richiesto ben altre misure; senza considerare che in questo pacchetto sulla competitività mancano, sostanzialmente, risorse aggiuntive per lo sviluppo rispetto a quelle previste dall'ultima legge finanziaria. E questo anche grazie alla demagogica ostinazione del Governo a voler portare a casa una sedicente riduzione delle tasse, rastrellando, per la relativa copertura, le poche risorse disponibili, che avrebbero potuto essere utilizzate ben più efficacemente. Questa assenza di risorse finanziarie spendibili rende ancora più evidente l'inefficacia delle misure che ci proponete.
Per tutte queste ragioni, in particolare, per la questione legata alle nostre città e per la solita idea di sviluppo economico e turistico, che parte dalla individuazione non chiara di alcuni comparti, di alcuni nomi da finanziare rispetto ad altri, nonché per l'insieme del provvedimento, noi Verdi non potremo che votare contro di esso (Applausi dei deputati del gruppo Misto-Verdi-l'Unione).
PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto l'onorevole Grotto. Ne ha facoltà.
FRANCO GROTTO. Signor Presidente, il disegno di legge che ci accingiamo a votare, recante il titolo di Piano di azione per lo sviluppo economico, sociale e territoriale, unitamente al decreto-legge approvato, sempre su questo tema, qualche settimana fa, dovrebbe rappresentare il piano e il progetto che il Governo e questa maggioranza hanno messo a punto per rilanciare la competitività dell'economia italiana.
Quello al nostro esame è un provvedimento annunciato più volte come lo strumento in grado di affrontare la crisi economica, rilanciare la produzione ed invertire una tendenza, purtroppo negativa, che vede il nostro paese in preoccupante recessione. Un provvedimento che giunge in notevole ritardo rispetto ai problemi e alle esigenze del sistema economico e produttivo, e che, al ritardo, somma un'insufficiente qualità del testo, diventato praticamente una sorta di omnibus, in cui è stata grande la corsa per portare a casa qualche piccolo risultato, più in termini elettorali che in termini di proposte serie per rilanciare l'economia italiana.
Non vi è un'azione forte, precisa e mirata per dare ossigeno e sostegno al settore produttivo. Penso, ad esempio, a tutto il comparto manifatturiero, che versa in una situazione di profonda difficoltà a seguito della chiusura di molte aziende e della perdita di numerosi posti di lavoro.
Questo provvedimento, fra le altre cose, è confuso e giunge alla vigilia della presentazione del DPEF e della legge finanziaria. Conseguentemente, è impossibile per noi socialisti esprimere un giudizio positivo, dato che è palese la debolezza della proposta proprio sul piano della competitività. Una misura legislativa, questa, che non mette in campo risorse aggiuntive e che lamenta carenze di impegni finanziari in grado di rilanciare seriamente piani per lo sviluppo, per la ricerca e l'innovazione. Già con la precedente legge finanziaria si sarebbe dovuto pensare ai settori in crisi nel mondo della produzione e del lavoro. Viceversa, le scelte di questo Governo e della sua maggioranza, incapaci di leggere la realtà e convinti ancora di poter realizzare i sogni promessi, hanno sperperato in altre direzioni le poche risorse disponibili. Penso, ad esempio, alla tanto sbandierata riduzione delle tasse, che ha portato benefici solo ed esclusivamente ai redditi molto alti senza rilanciare, come annunciato dal Governo, i consumi.
Non è solo l'opposizione a denunciare la debolezza della manovra; molti analisti ed economisti hanno manifestato perplessità e scetticismo in merito alla manovra per il rilancio dell'economia presentata dal Governo. Ciò che ci preoccupa ulteriormente è che il Governo non ha ancora compreso il contesto economico nel quale ci troviamo ad operare. Si tratta di un
contesto grave e con fortissime difficoltà. La produzione industriale continua a calare e peggiora rispetto alle attese. L'ISTAT ha reso noto che, all'inizio del 2005, la produzione ha fatto registrare una flessione del 3,2 per cento su base annua. L'analisi per settore evidenzia un susseguirsi di arretramenti e difficoltà, in particolare nel comparto del made in Italy. Non vi è praticamente settore che non denunci un preoccupante calo della produzione.
Non siamo soltanto noi dell'opposizione a denunciare lo stato di grave difficoltà in cui versa il paese; da Confindustria ci giungono, infatti, parole che chiedono di agire in termini immediati, mentre le associazioni di categoria denunciano come preoccupante - e, aggiungerei, allarmante - il ricorso sempre più massiccio alla cassa integrazione straordinaria per crisi di settori o fallimenti aziendali. L'effetto combinato dello stop della produzione industriale e dei dati negativi sui conti pubblici, con la conseguente perdita di quote sui mercati internazionali, rischia di essere micidiale per il paese.
Credo, allora, che avere i conti pubblici sani significhi avere maggiori risorse per le politiche di sviluppo. Sane ed efficienti politiche di sviluppo dettate dal confronto e dalla concertazione con i soggetti operanti nel paese e con le parti sociali sono il solo terreno in cui far crescere aziende ed imprese in grado di competere anche al di fuori dei confini nazionali.
Quello che stiamo per votare è un provvedimento totalmente insufficiente, schiacciato dalla palese mancanza di risorse e dall'assenza di un piano condiviso. Diverso sarebbe se il disegno di legge in esame contenesse un decisivo rafforzamento dell'azione di semplificazione amministrativa e di liberalizzazione o se, contestualmente, si procedesse ad una rapida approvazione delle norme sul risparmio, al fine di rafforzare la fiducia dei risparmiatori, elemento fondamentale per consentire alle imprese di finanziarsi sul mercato. Sarebbe strategico, inoltre, proseguire la lotta contro l'illegalità, il lavoro sommerso o dare un senso compiuto al piano infrastrutturale del paese, alla ricerca ed all'innovazione.
Per queste considerazioni e per le altre formulate dai colleghi dell'opposizione, il nostro voto sarà contrario ed esprimerà un giudizio negativo non soltanto sul provvedimento in esame, ma anche sul Governo e sulla sua maggioranza (Applausi dei deputati dei gruppi Misto-SDI-Unità Socialista e Misto-Verdi-l'Unione).
PRESIDENTE. Saluto la delegazione del consiglio provinciale di Avellino, presente in tribuna ed in visita alla Camera (Applausi).
Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto l'onorevole Russo Spena. Ne ha facoltà.
GIOVANNI RUSSO SPENA. Signor Presidente, i deputati del gruppo di Rifondazione comunista voteranno contro il provvedimento in esame.
Ormai, perfino le parole del Governo non hanno più senso. Come le controriforme vengono chiamate riforme, così ai titoli pomposi dei disegni di legge presentati dal Governo corrisponde, in effetti, quasi il nulla: sotto i titoli, niente!
Ad esempio, al provvedimento in esame, a prima firma Berlusconi, e sottoscritto da tutti i ministri, è stato dato il titolo: «Piano di azione per lo sviluppo economico, sociale e territoriale». Se fosse veramente così, il provvedimento sarebbe veramente importante in un momento di pre-recessione come quello attuale. Invece, dopo molti mesi di audizioni, dopo un iter molto tortuoso, che ha visto anche le dimissioni del relatore, poi rientrate, e discussioni interne alla maggioranza, dopo gli sbandierati propositi propagandistici del Governo sulla necessità di un rilancio produttivo, dopo due leggi finanziarie che hanno colpito le capacità produttive del paese, smantellato interi segmenti di Stato sociale e compiuto un'operazione colossale di redistribuzione dei redditi a favore delle rendite e dei profitti - drenando, quindi, stipendi, salari e pensioni e colpendo tutti i redditi medi, oltre che quelli bassi -, ci
troviamo di fronte ad una confusa congerie di modesti e mediocri provvedimenti: la metafora evidente del fallimento della politica economica del Governo, se è vero che il ministro Siniscalco, ieri, ha perfino evocato lord Keynes, dopo avere perseguito per anni ed anni una politica thatcheriana!
Ci troviamo di fronte al ripetersi degli assi fondamentali della politica economica del Governo: privatizzazione e liberalizzazione, assoluto primato del mercato, precarizzazione estrema del lavoro, riduzione dei diritti universalistici dello Stato sociale. Non a caso, tra le confuse misure di questo provvedimento, emergono pessime disposizioni sotto il profilo piano sociale e civile. Ricordo solamente alcuni punti: il permanente attacco al governo democratico del territorio, con politiche di liberalizzazione e di privatizzazione che trasformano i territori urbani ed extraurbani in luoghi indifesi rispetto all'attacco dei poteri forti immobiliari; gli incentivi ai processi di privatizzazione del bene acqua, secondo una concezione che mercifica i beni comuni, rendendoli occasioni di profitto privato e sottraendoli al governo democratico delle comunità; l'attacco al volontariato sociale - su cui è intervenuta la collega Maria Celeste Nardini -, un attacco sventato soltanto dalla forte iniziativa delle opposizioni; misure eterogenee che sono nient'altro che prebende clientelari e soddisfacimento di mediocri interessi corporativi.
Insomma, questo liberismo da piccolo cabotaggio è tanto più grave, perché è profonda la crisi dell'economia del paese. Vi sarebbe bisogno di una profonda svolta di politica economica, di una selezione di priorità, di una concentrazione selettiva delle risorse.
I recentissimi dati dell'OCSE sono allarmanti: nel 2005 torna a crescere il tasso di disoccupazione e neppure la precarizzazione del mercato del lavoro e della erogazione della prestazione lavorativa riesce più a mascherare una disoccupazione in crescita, che colpisce soprattutto le donne ed approfondisce un solco inquietante fra nord e sud, che ha fatto diventare nuovamente fisiologico il dramma della nuova emigrazione interna e del nuovo caporalato di massa.
In tale situazione, occorrono decisi interventi di redistribuzione del reddito. Occorre rafforzare l'offerta, rilanciando l'intervento pubblico qualificato in senso sociale ed ambientale, di società sostenibile. Occorre promuovere di nuovo alcune parole chiave che ormai sembrano indicibili, molto spesso anche a sinistra, come programmazione economica e democratica, fondata anche sulla democrazia partecipativa delle nuove municipalità, come piano industriale del lavoro, fondando la competitività su una filiera produttiva che rilanci formazione, ricerca, investimenti tecnologici.
Occorrerebbe che il sud non fosse considerato più una zona franca, un luogo senza qualità, gerarchicamente dipendente e coloniale, in cui installare centrali a turbogas a Termoli, megainceneritori ad Acerra, megainsediamenti militari in Puglia, e non solo e anche quella grande allusione ad un'idea prometeica e gigantista dello sviluppo che c'è nel ponte sullo Stretto.
Il sud, invece, si chiama sviluppo autocentrato, cooperazione nord-sud e sud-sud, aree di solidarietà mediterranea, reti di convenienze produttive e mercantili che uniscono l'Europa e le altre sponde del Mediterraneo, un Mediterraneo denuclearizzato e di pace, un mare inclusivo e non una frontiera escludente nei confronti delle grandi migrazioni.
La politica economica del Governo, invece, come dimostra questo provvedimento, è essa stessa un fattore di crisi. Viene ancora incentivata, infatti, la rendita immobiliare, mentre vengono trascurati i fattori strategici anche all'interno di un'economia di mercato. La cosiddetta competitività, araba fenice della bancarotta governativa, non sta nella precarizzazione del lavoro e dei lavori, né nel protezionismo per proteggere segmenti produttivi, per lo più obsoleti, ma nella dimensione delle imprese, nella capacità di stare sui mercati, nella internazionalizzazione. Cito un solo dato: credo che nessuna
legge finanziaria potrà essere seriamente impostata facendo finta di dimenticare che in Italia la rendita finanziaria è tassata al 12 per cento (in Europa è al 18 per cento; colleghe e colleghi, che dite sempre il contrario, è bene che lo ricordiate), mentre il lavoro è tassato al 32 per cento.
Il Governo parla di difficoltà di tutti i paesi europei, ma faccio notare che, nel frattempo, il Governo francese, che non è retto certamente da bolscevichi e nemmeno da Leon Blum, ha stanziato nell'ultimo anno due milioni di euro soltanto per progetti straordinari di potenziamento dell'attività di ricerca e di sviluppo, costruendo una vera e propria agenzia pubblica per l'innovazione.
Il Governo italiano, invece, tende solo a salvaguardare gli interessi delle rendite finanziarie e immobiliari, sicché cresce l'accumulazione opulenta degli strati più ricchi della popolazione mentre gran parte del paese si inabissa in un impoverimento quotidiano che genera ansia, incertezza, insicurezza, spesso privazione di socialità.
Dentro il dissesto pubblico italiano, insomma, vive un preciso ed odioso disegno classista, ed io ritengo, in conclusione, che il confronto programmatico nell'Unione, per essere serio ed alternativo, e per costruire l'alternativa programmatica al Governo Berlusconi, debba partire proprio da tale dato; nella crisi italiana, non tutti sono colpiti allo stesso modo e vive in essa un preciso ed odioso disegno classista che dobbiamo riuscire a sconfiggere con un futuro programma di Governo alternativo (Applausi dei deputati dei gruppi di Rifondazione comunista e Misto-Verdi-l'Unione).
PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto l'onorevole Alberto Giorgetti. Ne ha facoltà.
ALBERTO GIORGETTI. Signor Presidente, il gruppo di Alleanza Nazionale voterà a favore dell'approvazione del disegno di legge in esame, sia per i contenuti del provvedimento sia, anche, per il metodo seguito nella discussione dello stesso alla Camera sia, infine, in considerazione del percorso del decreto-legge sulla competitività.
Un ringraziamento doveroso desidero rivolgere ai relatori, gli onorevoli Saia e Crosetto, che hanno lavorato per rendere il testo il più condiviso possibile e affinché potessero essere raccolti tutti gli spunti interessanti volti a migliorare complessivamente la produzione normativa.
Vorrei in qualche modo confutare le considerazioni svolte dall'opposizione in merito al quadro generale; a mio avviso, più che sul provvedimento in sé, l'opposizione incentra la sua battaglia - legittima, ma che noi evidentemente confutiamo - sul piano complessivo delle scelte di politica economica che il Governo ha adottato ed intende adottare nel prossimo futuro.
Noi, in attesa del confronto sul DPEF - che avverrà nei prossimi giorni, ma che è evidentemente prematuro anticipare in questa sede -, vorremmo ribadire come si ravvisi una forte coerenza nel provvedimento, coerenza che ha condotto ad un miglioramento sostanziale ed alla correzione della disciplina recata, circa taluni elementi, già dal decreto. Si è quindi puntato a rafforzare l'efficacia delle scelte, di politica economica e di sostegno alle nostre imprese, adottate già con il richiamato decreto-legge.
Il provvedimento è teso inoltre a valorizzare e migliorare gli aspetti tecnici della contabilità delle amministrazioni pubbliche, in vista di una sostanziale armonizzazione dei sistemi contabili che consenta di affrontare meglio i problemi di omogeneità legati allo sviluppo ed alla responsabilità nel controllo della spesa pubblica.
Un provvedimento, infine, che ha seguito il filone avviato in questi anni e che si lega agli scenari di intervento internazionali, in particolar modo nell'area euro; scenari delineatisi in sede Ecofin e nel percorso che ha portato anche al Consiglio europeo di Lisbona. Si è dunque puntato sostanzialmente sui temi dell'innovazione tecnologica, dell'istruzione e della riqualificazione professionale e sulla necessità di portare il paese - oggi in arretrato per
quanto riguarda i livelli di competitività nel sistema globale - verso una capacità maggiore di essere presenti nel confronto internazionale e verso una ripresa del prodotto interno lordo nazionale.
Sono tutti temi che devono essere affrontati con ancora maggior vigore; lo dichiariamo con grande chiarezza e quale forza di questa maggioranza. È un provvedimento significativo, ma non, evidentemente, esaustivo; le questioni da affrontare sono tante e, tuttavia, riteniamo che alcune siano state sicuramente affrontate nell'articolato, anche attraverso un confronto continuativo con le categorie. Confronto che ha rappresentato un elemento sicuramente qualificante, in un quadro in cui alcune linee di condotta sono emerse in maniera molto chiara.
Il primo grande tema è costituito sicuramente dal sostegno del settore pubblico alle imprese (in particolar modo, quelle piccole e medie) sul versante dell'internazionalizzazione e della competizione globale, attraverso l'assegnazione di nuovi strumenti, come la Simest, per favorire l'innovazione tecnologica e la registrazione di marchi e brevetti.
Si tratta di questioni già affrontate nell'ambito di precedenti provvedimenti, ma che vengono riprese, in maniera significativa, all'interno del testo in esame. Vengono destinate risorse significative al settore della ricerca, garantendo la compartecipazione ai costi sostenuti, nell'ambito di una logica di sistema, dalle università e dai centri di ricerca accreditati. Il sistema Italia, infatti, deve attivare le giuste sinergie per affrontare in maniera più efficace la sfida della competizione sul mercato globale.
Come dicevo, è stata dunque rivolta attenzione, attraverso modifiche normative e tecniche, al fondo per l'innovazione tecnologica, agli strumenti legati alla Simest e, più in generale, a tutto ciò che attiene al potenziamento della rete infrastrutturale. Evidentemente, la competizione si svolge attorno ai fattori che tutti noi conosciamo.
Oggi abbiamo avuto il coraggio di avviare un percorso legato alla legge obiettivo per le città: la rivalutazione della riqualificazione urbana, concepita ora come strumento finalizzato non solo al miglioramento della vivibilità, ma anche a rilanciare gli investimenti e sostenere la crescita del prodotto interno lordo, rappresenta una delle chiavi significative per promuovere oggi lo sviluppo.
Pensare allo sviluppo di sistemi di mobilità, con priorità stabilite anche dal CIPE, nell'ambito di uno stretto rapporto con gli enti locali, in cui lo Stato si accorda con il territorio per progettare scenari di crescita legati al potenziamento infrastrutturale, anche al di là dell'individuazione delle grandi opere strategiche della legge obiettivo, rappresenta, evidentemente, un salto di qualità. La realizzazione di tale processo è a medio termine, ma questo Governo e questa maggioranza hanno sentito il dovere di avviarla, nell'ambito di una logica che vede una pluralità di fattori contribuire alla crescita e allo sviluppo.
Si tratta di questioni legate, più in generale, al sistema energetico. Attraverso una serie di interventi, infatti, si lancia un segnale importante in ordine alla sburocratizzazione delle procedure per quanto concerne la realizzazione delle reti necessarie all'alimentazione (penso, ad esempio, al tema del gas).
Più in generale, vorrei ricordare la questione delle risorse idriche, un tema assolutamente importante proprio per quelle aree svantaggiate, citate anche da qualche collega precedentemente intervenuto, che hanno la necessità di rafforzare, in tempi rapidissimi, le condizioni minimali territoriali necessarie a sostenere il loro sviluppo. È evidente che, nell'applicazione del sistema «premiale» per i consorzi ATO (mi riferisco alle aree territoriali che hanno rispettato gli impegni stabiliti dalle disposizioni nazionali), si riconosce anche un merito a chi vuole proseguire, con grande responsabilità, nella realizzazione di un progetto nazionale che deve comunque procedere in tempi celeri.
Vorrei evidenziare che il tema dello sviluppo compatibile, accennato in particolar
modo dal collega Russo Spena, sta a cuore a questa maggioranza. Nel provvedimento in esame, infatti, si ritrovano sicuramente degli accenni, inseriti grazie al lavoro svolto dai relatori e dalle Commissioni, in ordine al sostegno alle energie rinnovabili. Si tratta sicuramente di una scelta da valorizzare, aumentando nei prossimi anni le risorse ad esse destinate, e vorrei ribadire che questa maggioranza, ed in particolar modo Alleanza Nazionale, intende sostenerla con fermezza.
Vorrei rilevare che si tratta, tra l'altro, di un provvedimento che contiene elementi importanti, legati al sistema del welfare (e, dunque, tratta anche degli ammortizzatori sociali), in ordine a due settori fondamentali per il nostro sistema produttivo, come quello automobilistico e quello degli elettrodomestici.
Per la prima volta, si predispone un intervento significativo, che aumenta la flessibilità introdotta nel corso degli ultimi anni in risposta a leggi che sono state, nel tempo, considerate poco flessibili sulle soluzioni da dare a sistemi che meritano sostegno e che rappresentano, ancora oggi, un aspetto fondamentale del nostro sistema produttivo. Anche da tale punto di vista va dato merito a questa maggioranza di aver individuato, soprattutto, questi due interventi che danno - al contrario di ciò che afferma l'opposizione - una risposta immediata ai problemi di difesa e di protezione dei nostri lavoratori e, allo stesso tempo, una prospettiva vera per il rilancio dei sistemi menzionati, che noi vogliamo restino elemento portante del nostro sistema produttivo nazionale.
Si tratta, dunque, di un percorso che va in direzione del sostegno agli investimenti, alla ricerca ed alla qualificazione della difesa brevettuale - e, quindi, anche del made in Italy -, attraverso un intervento specifico che rientra tra le numerose iniziative adottate dal Governo e dalla maggioranza nel corso degli ultimi anni.
PRESIDENTE. Onorevole Alberto Giorgetti, concluda.
ALBERTO GIORGETTI. Concludo, signor Presidente. Si tratta di intervento specifico che riguarda anche il sistema di promozione della nostra produzione nazionale, ossia il sistema fieristico. In precedenza si è parlato dei temi fiscali. Ritengo che vi sia un segnale importante in direzione di una «Tremonti» del sistema fieristico, ossia la valorizzazione del prodotto nazionale ed il sostegno alle nostre produzioni, inserito in un contesto - come dicevo in precedenza, organico - che offrirà sicuramente una prospettiva di sviluppo più vigorosa rispetto a quelle che si sono registrate negli scorsi mesi
In conclusione, signor Presidente, Alleanza Nazionale è soddisfatta di questo provvedimento, consapevole che gli interventi che dovranno essere adottati nel prossimo Documento di programmazione economico-finanziaria e nella prossima legge finanziaria dovranno certamente essere più corposi e più forti, per sostenere in modo efficace lo sviluppo del nostro sistema produttivo e del sistema Italia nel suo complesso (Applausi dei deputati del gruppo di Alleanza Nazionale).
PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto l'onorevole Duilio. Ne ha facoltà.
LINO DUILIO. Signor Presidente, onorevoli colleghi, dico subito che noi siamo insoddisfatti di questo provvedimento. Ciò non per obbedire alla classica «liturgia» secondo cui l'opposizione non concorda mai con i provvedimenti presentati dalla maggioranza, ma perché, se si ricorda bene, questo provvedimento ci era stato promesso in occasione della presentazione del Documento di programmazione economico-finanziaria dello scorso anno. Successivamente, in ottobre, era stato rinviato ai primi mesi dell'anno in corso. Ora siamo giunti alla presentazione del nuovo Documento di programmazione economico-finanziaria. Noi, con un poco di «candore», avevamo ritenuto che un tempo così lungo sarebbe servito a predisporre un provvedimento che - come recita, in modo solenne, il titolo del disegno di legge in esame - avrebbe consegnato al Parlamento ed al paese contenuti effettivamente
determinanti per risollevare le sorti dell'economia del nostro paese.
Invece, analizzando il contenuto del provvedimento in esame, ci si trova di fronte a ciò che potremmo definire uno «spezzatino», senza un disegno, se così si può dire. La montagna ha, cioè, partorito il topolino. Troviamo di tutto un po'. È il tentativo, un poco velleitario, di razionalizzare l'esistente; il tutto affidato, come al solito, a deleghe, deleghe ed ancora deleghe. Il prossimo anno, se proprio vorremo cimentarci nell'esercizio di vedere quali effetti concreti si saranno determinati dopo il varo di questo provvedimento, probabilmente dovremo tristemente concludere che lo stesso provvedimento si aggiunge ai moltissimi che sono stati varati nel medesimo arco di tempo e che non hanno inciso sulle performance del nostro sistema economico. Questo provvedimento non contiene, infatti, novità sostanziali rispetto alla tendenza in atto: tenta semplicemente di «mettere delle pezze» alla situazione in essere.
Peraltro, come noto, stiamo parlando della questione centrale, del cuore del problema dello sviluppo del nostro paese. Siamo, infatti, tutti convinti - maggioranza ed opposizione - che, se lo sviluppo economico e la crescita della nostro paese non riprenderanno vigore, non usciremo da questa situazione.
Non riusciremo nemmeno a sanare in modo virtuoso la situazione della finanza pubblica, che oramai fa acqua da tutte le parti. Ci siamo conquistati anche una reprimenda in sede di Unione europea, con un artificio per il quale, peraltro, paradossalmente, il nostro ministro dell'economia e delle finanze - lo abbiamo letto sui giornali - ha manifestato la propria soddisfazione. Sinceramente, non ho ancora capito di cosa sia soddisfatto il nostro ministro dell'economia e delle finanze. Peraltro, ricordo bene quanto egli ci ha detto in tutte le sedi e in tutte le occasioni in cui gli avevamo fatto presente di andare verso una prospettiva certamente non molto virtuosa. Ma così è: il nostro ministro ha affermato di essere soddisfatto.
L'unica cosa chiara che abbiamo conquistato in sede europea è l'eredità che verrà lasciata al futuro. Anche se - come mi auguro - dovessimo vincere le elezioni, ci troveremo con una eredità che non è frutto della fantasia dell'allora superministro dell'economia, ma di un dato certificato anche autorevolmente a livello europeo.
A questo punto, vi è l'esigenza di mettere ordine nei nostri conti pubblici e di sostenere la domanda. Lo ricorderete: la domanda sarebbe stata sostenuta da un provvedimento sulle tasse che avrebbe aumentato il reddito disponibile dei cittadini. Abbiamo solo bruciato un po' di miliardi di euro, senza che si sia prodotto assolutamente alcun risultato sul versante della domanda interna e nemmeno su quello della domanda internazionale.
Vi è il problema del rilancio dell'offerta: vedremo cosa verrà scritto nel prossimo DPEF e nella prossima legge finanziaria. Ci soffermeremo sul tema più ampiamente, quando saremo chiamati a commentare tali atti presentati al Parlamento. Intanto, mi auguro che si assuma un atteggiamento un poco più sofisticato e serio rispetto ad alcune questioni che ci accompagnano da troppo tempo. Mi riferisco, ad esempio, alla crescita della spesa corrente, per la quale si è constatato che anche l'utilizzo un poco acritico e miracoloso del cosiddetto metodo Gordon Brown non ha sortito alcun effetto. Forse, prima di replicare sostanzialmente tale misura, sarebbe bene che si svolgesse un'analisi più seria ed approfondita sulle cause che determinano la crescita della spesa corrente, evitando che si colpisca a pioggia ed intervenendo, quindi, in modo mirato, sofisticato e selezionato.
Vedremo, peraltro, cosa accadrà sul fronte delle entrate. Anche a tal proposito, si sente parlare di provvedimenti che dovrebbero colpire l'evasione fiscale. Mi sembra che anche questo tema sia stato già trattato molte volte nel nostro paese.
Tuttavia, prima di concludere il mio intervento, mi interessa richiamare brevemente l'attenzione, in particolare, sul tema
della crescita dello sviluppo, che è più pertinente rispetto al titolo del disegno di legge in esame.
In questo provvedimento - come dicevo prima - non emerge alcun disegno, non emerge alcuna idea, non vi è assolutamente la possibilità di confrontarci su qualcosa di nuovo. Mi rivolgo al viceministro dell'economia e delle finanze: dovremmo chiederci, ad esempio, se nel nostro paese possiamo fare a meno di grandi imprese, considerato che vi sono poche grandi imprese, tutte malate, che versano in condizioni di difficoltà. Cosa possiamo fare per disporre di alcune aziende, per così dire, pivot, che possano servire a trainare lo sviluppo e, magari, anche a rilanciare quel tessuto di piccole e medie imprese che nelle grandi imprese trovavano un ancoraggio che permetteva performance in grado di consentire un protagonismo di eccellenza alle stesse piccole e medie imprese?
Vi sono realtà come l'ENI, l'ENEL, la Finmeccanica: è possibile che ci dobbiamo accontentare semplicemente del fatto che queste imprese realizzino buoni utili e che portino maggiori entrate allo Stato? E ciò senza che si pongano un problema più complessivo relativo al sistema paese, nell'ambito del quale esercitare un ruolo che possa prendere in considerazione, di nuovo, l'aggancio con il sistema delle piccole e medie imprese di cui essere in qualche modo traino e punto di riferimento, affinché le stesse si possano irrobustire ed esercitare una funzione di grande rilevanza sul mercato internazionale. Vi è un problema - per dirla con Schumpeter - di nuovi prodotti e nuovi mercati.
All'articolo 10 vi è un accenno ad alcuni settori. Però, anche qui non vi è un preciso disegno, anche innovativo, che possa permettere di individuare i nuovi segmenti produttivi, visto che non credo che ormai il tradizionale made in Italy possa essere rilanciato e possa svolgere la funzione che ha svolto negli anni precedenti.
Quali sono questi nuovi settori produttivi, questi nuovi prodotti e questi nuovi mercati che nel disegno di legge, a vostro avviso, dovrebbero trainare in qualche modo lo sviluppo? Quali sono le questioni cui almeno alludere per far sì che il nostro sistema economico possa essere rilanciato?
Non vi è nulla di tutto questo. Non risulta nemmeno che si siano studiati i sistemi economici di altri paesi, come quello irlandese o quello di altre realtà, che pure avevano delle difficoltà ma che si sono affrancati dalla condizione in cui si erano trovati. Pertanto, oggi siamo il fanalino di coda anche rispetto ad economie che avevano registrato gli stessi problemi che abbiamo noi.
È possibile sperimentare degli strumenti nuovi? È possibile dare spazio alla fantasia, non in modo creativo sul versante della finanza, ma su quello di un sistema economico che deve trovare nuove strade? È possibile inventare delle free zone all'interno delle quali si possa sperimentare qualcosa di nuovo che successivamente possa essere esteso a macchia d'olio, se possibile, in tutto il paese? Insomma, è possibile costruire un cantiere di nuove idee sul versante dello sviluppo, senza rassegnarsi allo «spezzatino» senza disegno e alla razionalizzazione dell'esistente di cui parlavo prima?
Ricordo che nel prossimo Documento di programmazione economico-finanziaria è prevista una crescita zero. In Europa abbiamo acclarato che nel 2005 avremo una crescita zero e che nel 2006, secondo me troppo ottimisticamente, è prevista una crescita dell'1,5 per cento. Tenendo conto delle previsioni di crescita dei paesi che vivono nell'area dell'euro, rispetto ad essi ci troveremo comunque ad avere quasi due punti percentuali in meno, essendo prevista una crescita zero nel 2005 e, troppo ottimisticamente, mezzo punto percentuale in meno nel 2006. Come possiamo uscire da questa situazione?
Anche sul versante della pubblica amministrazione, che rappresenta un altro nodo toccato dai provvedimenti di semplificazione inseriti nel disegno di legge, troviamo le solite cose. Non è affrontato, per esempio, il problema della mobilità, che
adotti un meccanismo non velleitario e casuale per sostituire coloro che vanno in pensione. Non è affrontato in modo serio ed adeguato il problema della formazione, dell'innovazione, dell'efficienza e dell'efficacia. Non troviamo alcunché. Non è prevista la responsabilizzazione del personale della pubblica amministrazione per realizzare economie interne. Non vengono fissate regole certe per i pagamenti alle piccole e medie imprese. Se si fissassero tali regole, probabilmente il tessuto delle piccole e medie imprese potrebbe fare a meno di ricorrere al settore creditizio, che non si caratterizza per performance particolarmente virtuose nei riguardi delle piccole e medie imprese.
PRESIDENTE. Onorevole Duilio...
LINO DUILIO. Mi fermo qui perché che il mio tempo è finito. Vorrei accennare solamente al fatto che questo settore delle piccole e medie imprese, che rappresenta tuttora comunque il cuore del nostro sistema economico, non può essere affidato ai wishful thinking, ossia semplicemente a delle velleità. Ci sono questioni che ineriscono alla finanza di sviluppo, al trasferimento tecnologico (che non è semplicemente una fattispecie astratta riguardante la ricerca applicata e di base), al sommerso e alla strategia di internazionalizzazione delle imprese.
Avendo perso un'altra occasione, spero che il prossimo DPEF e la prossima legge finanziaria finalmente rappresentino la volta buona in cui il Parlamento sarà investito di una questione che oramai è diventata fondamentale per il futuro del nostro paese.
Per adesso non ne vediamo neanche le tracce e per questa ragione il nostro voto sarà convintamente contrario (Applausi dei deputati dei gruppi della Margherita, DL-L'Ulivo e dei Democratici di sinistra-L'Ulivo).
PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto l'onorevole Oricchio. Ne ha facoltà.
ANTONIO ORICCHIO. Signor Presidente, onorevoli colleghi, il provvedimento oggi al nostro esame rappresenta sostanzialmente una soluzione insufficiente e pasticciata, affrontando argomenti e problematiche eterogenei ed anche pressoché marginali, che non sono in grado di fornire alcun contributo, neanche piccolo, per uscire dalla crisi economica.
La situazione del paese è grave, difficile e seria, e non solo perché l'Italia ha un debito pubblico enorme. La percentuale di competitività complessiva della nostra economia si è riflessa nell'ulteriore caduta della nostra quota di esportazioni sul mercato mondiale in relazione non solo ai paesi emergenti, ma anche ai paesi più industrializzati dell'Unione europea e dell'area dell'euro.
La performance negativa dell'economia italiana si colloca come la peggiore all'interno di quella europea, nell'ambito di una più complessiva perdita di ruolo dei paesi europei che non solo oggi appaiono incapaci di determinare autonomamente a livello mondiale la ripresa, ma non sono neanche in grado di cogliere quelle opportunità, che si intravedono per una rinnovata fase espansiva dell'economia, ed i segni sempre più chiari di inversione che in altre zone del mondo, dopo un lungo periodo di recessione e stagnazione, danno vita a tendenze di ripresa da cui il nostro paese viene sostanzialmente escluso.
Gravi ritardi permangono nel complesso delle politiche di investimento, pubbliche e private, con la conseguenza di una non utilizzazione adeguata e di una non valorizzazione di tecnologie dell'informazione, della comunicazione, di investimenti, di aiuti effettivi alle imprese, specie nel Mezzogiorno e nelle aree più a rischio socio-economico del nostro paese.
Insieme al rallentamento degli investimenti delle imprese si registra anche un rallentamento complessivo degli investimenti pubblici. In particolare, come risulta da un recente documento della Commissione europea, l'Italia fa registrare rilevanti ritardi in materia di dotazioni
infrastrutturali, di politiche per la ricerca, per la formazione, per la promozione dell'occupazione.
Il provvedimento oggi in votazione non fa altro che confermare un atteggiamento di pressappochismo, di insufficienza, di disordine che alimenta un allarmante stato di insicurezza e, se si vuole, di paura e di sfiducia rispetto al Governo. Il paese guarda a questo Governo come ad un esecutivo che stenta a trovare la bussola per orientare le sue scelte nel quadro più complessivo della crisi europea ed internazionale.
Oggi il paese si trova di fronte ad una realtà nuda e cruda che non è quella dei telegiornali e del mondo mediato di certa comunicazione. La crescita economica è vicina allo zero, il potere di acquisto delle famiglie è crollato, le aree di povertà si estendono sempre più. Sono molte le famiglie in difficoltà che non arrivano a fine mese. Le nostre imprese perdono in misura rilevante la loro capacità competitiva e quote di mercato. In sintesi, il paese è messo a dura prova a tutti i livelli, giorno dopo giorno, e non trova da parte del Governo provvedimenti adeguati, ma solo soluzioni insufficienti e pasticciate come quella del provvedimento in esame.
Per tali motivi annuncio il voto contrario dei Popolari-UDEUR.
PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto l'onorevole Pagliarini. Ne ha facoltà.
GIANCARLO PAGLIARINI. Signor Presidente, all'assemblea del 31 maggio il Governatore della Banca d'Italia ha dimostrato, con la forza dei numeri, che la competitività nei confronti dell'estero è il punto di maggiore debolezza della nostra economia. Queste sono alcune considerazioni che dovremmo sempre tenere presenti nella nostra attività di legislatori. Tra il 2000 e il 2004 l'aumento della domanda mondiale di beni è stato, in termini reali, del 20 per cento. Ciò malgrado le nostre vendite all'estero nel 2004 siano state inferiori a quelle del 2000. La nostra quota sul mercato mondiale era del 4,6 per cento nel 1995, è scesa al 3,5 per cento nel 2000 e al 2,9 nel 2004. Da tale calcolo, effettuato dalla Banca d'Italia a prezzi costanti, risulta che dal 1995 ad oggi abbiamo perso il 37 per cento della nostra quota di mercato mondiale, di cui il 24 per cento prima del 2000: scusate, colleghi, non sarà mica colpa di Berlusconi? Lo dico perché ho sentito alcune critiche non meritate, troppo di parte e non oggettive.
Tra il 2000 e il 2004 la produzione industriale è aumentata in Francia dell'1,2 per cento, in Germania del 2,6 per cento mentre in Italia è diminuita del 3,8 per cento. La cosa importante è che in Italia il numero di occupati è massimo nei settori a basso contenuto tecnologico.
La quota degli addetti nei comparti tessile, cuoio e calzature nel 2001 era del 18,6 per cento, mentre in Francia e Germania era, rispettivamente, del 6,5 e del 3,1 per cento. Questo, colleghi, significa che, per ogni 100 lavoratori impiegati in Italia in settori a basso contenuto tecnologico, ve ne sono 35 in Francia e 17 Germania. Per questo motivo, la pressione competitiva esercitata dalle economie emergenti è per l'Italia più rilevante di quanto non sia per altri paesi dell'Unione europea.
L'euro ha peggiorato una situazione che era già molto grave, generando un'irrazionale redistribuzione della ricchezza. Tuttavia, se siamo costantemente agli ultimi posti nella classifica dell'incremento del PIL, se siamo rotolati al ventiquattresimo posto al mondo per quanto riguarda il PIL pro capite e al quarantasettesimo posto nella classifica di competitività del World Economic Forum, la colpa non è certamente delle Torri gemelle o della crisi Argentina, ma è solo nostra. Come dimostra il check up di competitività, pubblicato di recente dal Centro studi Confindustria, il paese sta perdendo competitività ormai da più di 25 anni. Dunque, il male è dentro di noi: siamo noi, con la nostra cultura, con il nostro buonismo e con la convinzione, che molti hanno, di essere nati con incorporato il diritto al benessere,
per esempio non accettando i lavori che non piacciono o che non sono abbastanza vicini a casa.
India e Cina rappresentano poco meno del 40 per cento dell'umanità e detengono il 7 per cento della ricchezza del mondo. Quindi il travaso di ricchezza e benessere a loro favore non potrà essere arrestato in nessun modo. Se non faremo niente per creare più ricchezza, condanneremo i nostri concittadini ad una nuova stagione di povertà. Questa premessa è necessaria per supportare la conclusione della Lega Nord su questa normativa. È la benvenuta, è meglio di niente, ma deve essere ben chiaro che noi pensiamo che, per innescare un significativo sviluppo economico e sociale, ci vuole ben altro.
Lasciatemi spiegare perché questa normativa è giusta ed è la benvenuta, ma anche perché ci vuole ben altro. Le tante disposizioni giuste - ma insufficienti - includono il miglioramento dei bilanci dell'amministrazione pubblica, molte semplificazioni, utili novità per quanto riguarda il servizio idrico integrato, le fonti rinnovabili, il fondo speciale per l'innovazione tecnologica, la tutela dei brevetti, l'internazionalizzazione delle imprese, la delega al Governo perché individui e valorizzi ambiti territoriali ed urbani di preminente interesse nazionale, la deducibilità delle erogazioni liberali in materia di beni culturali, e tante altre cose ancora. Certo, come in tutte le cose, vi sono dettagli migliorabili ed altri decisamente sbagliati. Per esempio, l'Assemblea ha eliminato, dall'articolo 16, il riferimento ai comuni colpiti dai terremoti del novembre 1980 e del febbraio 1981 nelle aree della Campania, Basilicata, Calabria e Puglia; spero vi rendiate tutti conto che, dopo 25 anni, non era proprio il caso.
Noi voteremo a favore di questo disegno di legge, ma vogliamo essere sinceri nel dichiarare che tutto ciò è utile e necessario, ma non è, a nostro giudizio, assolutamente sufficiente. Premesso che le imprese a basso contenuto tecnologico oggi sono quelle più deboli, più a rischio e più esposte alla concorrenza dei paesi emergenti, domandiamoci perché, ogni 100 lavoratori impiegati in Italia nei settori a basso contenuto tecnologico, ve ne sono 35 in Francia e 17 in Germania. I motivi che dobbiamo tenere ben presenti sono, a mio giudizio, due. Il primo motivo è che, negli ultimi cinquant'anni, abbiamo continuato a subire - quasi fossero una benedizione del cielo! - delle tremende svalutazioni della lira. Queste, colleghi, sono una tassa che colpisce i lavoratori e i ceti più deboli; spero che questo sia chiaro a tutti. Se ho uno stipendio di 100 e il Governo mi fa pagare una tassa (ad esempio, di 30), dopo aver pagato lo Stato perdo il 30 per cento del mio potere di acquisto. Se ho uno stipendio di 100 e non c'è nessuna tassa, ma la mia moneta si svaluta del 30 per cento, io intasco 100 nominali, ma anche in questo caso perdo il 30 per cento del mio potere di acquisto: è come se avessi pagato una tassa del 30 per cento. L'unica differenza è che nel primo caso ci guadagna lo Stato e basta, mentre nel secondo caso, oltre a guadagnarci lo Stato, che rimborsa il debito pubblico con moneta svalutata, ci guadagnano le imprese; molte di esse, infatti, magari decotte, sono però riuscite a «salvarsi» solo grazie alle continue svalutazioni competitive della nostra valuta.
Il secondo motivo è che, rispetto agli altri paesi membri dell'Unione europea, abbiamo investito poco in ricerca e sviluppo di nuovi prodotti e nuove tecnologie. La ragione, secondo me, è che il paese è ammalato di eccesso di assistenzialismo e mi spiego con un esempio. La fonte è il documento del CNEL n. 32, intitolato: La regionalizzazione del bilancio previdenziale italiano (IV rapporto), pubblicato nel gennaio 2004. L'autore è il sottosegretario Alberto Brambilla. In quel documento, sono messe a confronto in ogni regione le pensioni incassate con i contributi sociali versati (l'ultimo anno disponibile è il 2001).
In Lombardia la differenza era positiva ed i contributi sociali versati avevano superato le pensioni incassate per 210 milioni di euro, mentre in Sicilia la differenza era negativa per 5,9 miliardi di euro. In Campania era negativa per 5,3 miliardi,
mentre in Puglia era negativa per 4,8. In totale, solo per queste tre regioni, la cifra è di 16 miliardi di euro (poco più di 31 mila miliardi delle vecchie lire).
Pensate a quante infrastrutture si sarebbero potute fare con i soldi che lo Stato ha incassato dalle tasse ed autorizzato per attuare forme di assistenzialismo! Con i soldi spesi per questo tipo di assistenzialismo, in un solo anno avremmo potuto costruire, ad esempio, 15 tangenziali di Mestre oppure 41 autostrade Brebemi, che collegano Brescia con Milano!
Con una frazione di quei soldi avremmo potuto interrare le ferrovie a nord di Milano che, con i loro passaggi a livello, bloccano e tagliano in due intere città. Pensate a quanti investimenti avremmo potuto fare in ricerca, sviluppo, nuove tecnologie e nuovi prodotti, in modo da ridurre il numero delle aziende e dei lavoratori che operano in settori a basso contenuto tecnologico!
Se, poi, voi moltiplicate questa differenza, che è puro assistenzialismo e che si riferisce ad un solo anno, per 20 o 30 anni, potete immaginarvi un paese completamente diverso, competitivo, responsabile e che è ancora alla nostra portata, ma solo se faremo riforme coraggiose, significative e di ampio respiro. Si tratta di riforme - lo vorrei ricordare - che la Lega ha proposto fin dal 1992 (per esempio, mi riferisco alla proposta di ridurre gradualmente il buco dell'INPS in dieci anni).
Adesso i nodi stanno venendo al pettine e, in assenza di riforme molto coraggiose e incisive, temo proprio che il futuro riserverà a noi ed ai nostri concittadini tempi veramente difficili.
Dunque, approviamo questo provvedimento, ma consideriamolo un punto di partenza, non certo un punto di arrivo (Applausi dei deputati del gruppo della Lega Nord Federazione Padana e di deputati della Margherita, DL-L'Ulivo)!
PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto l'onorevole Peretti. Ne ha facoltà.
ETTORE PERETTI. Signor Presidente, preannunzio il voto favorevole dei deputati del gruppo dell'UDC sul provvedimento in esame, che rappresenta un altro tassello, insieme al decreto-legge in passato esaminato, in direzione del recupero della competitività del nostro sistema produttivo.
Sappiamo che la crisi del nostro paese è molto complessa: non si tratta di una crisi di carattere esclusivamente economico (infatti, viene da lontano) o congiunturale. È una crisi di carattere sociale, che ha a che fare con l'invecchiamento della popolazione, con la difficoltà di trovare un equilibrio anche all'interno della dinamica socio-demografica del nostro paese, e di carattere morale, poiché, per molto tempo, sono stati mortificati valori importanti come il merito, la competizione ed il rischio.
Tale crisi è stata acuita da alcuni fattori di debolezza del nostro paese, come ampiamente ricordato (mi riferisco al nanismo delle imprese, all'invecchiamento della popolazione, all'alto debito pubblico, alla difficoltà di considerare la pubblica amministrazione come fattore di sviluppo). In tale contesto, si evidenzia una crisi più ampia della politica che non riesce a trovare le soluzioni giuste, e le soluzioni giuste sono rappresentate da prospettive di riforma che richiedono, oggi, sacrifici per avere benefici domani.
Sappiamo che la strada è molto difficile, perché l'asticella è stata posta ad un'altezza molto elevata.
Oggi il nostro competitore più prossimo è la Cina, la quale non può essere rincorsa sulla strada della riduzione del costo del lavoro. Vi è bisogno di tante riforme. E le riforme devono riguardare la scuola, la formazione, il lavoro, la ricerca e l'innovazione, nonché la capacità di trasformare la pubblica amministrazione da ammortizzatore sociale a fattore di sviluppo.
Sappiamo che abbiamo bisogno di risorse, sappiamo che occorre spostare risorse dalla spesa corrente alla spesa per investimenti e ciò costituisce la grande questione rispetto alla quale nel nostro paese non vi sono oggi maggioranze autosufficienti in grado di esprimere una politica forte.
Ritengo che questo sia un argomento da riesaminare, trattandosi di un aspetto che ha a che fare con la nostra capacità di fornire risposte in una fase così difficile per il nostro paese.
Per il momento, ci accontentiamo di esprimere un voto favorevole su un provvedimento che, a nostro avviso, costituisce un punto importante al fine di recuperare la competitività del nostro sistema paese (Applausi dei deputati dei gruppi dell'Unione dei democratici cristiani e dei democratici di centro e di Alleanza Nazionale).
PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto l'onorevole Michele Ventura. Ne ha facoltà.
MICHELE VENTURA. Signor Presidente, onorevoli colleghi, l'onorevole Pagliarini, pochi minuti fa, ha svolto un discorso da esemplare oppositore di questo Governo e di questa maggioranza e mi ha indotto a riflettere soprattutto su una questione, quella emersa nel momento in cui ha affermato che non vi possono essere nostalgie rispetto al periodo in cui la nostra competitività era legata a manovre svalutative della lira, in quanto ciò ha portato sicuramente a disporre di quel minor valore aggiunto al quale l'onorevole Pagliarini faceva riferimento. Infatti, è del tutto evidente che quella è stata una droga che ci ha impedito di fare i conti con paesi che disponevano di una struttura economica assai più robusta.
Pertanto - non al fine di riaprire un dibattito su quanto detto questa mattina e all'inizio della parte pomeridiana della seduta -, mi chiedo: se questa è anche l'opinione dell'onorevole Pagliarini, che senso ha la sceneggiata che si è svolta oggi nell'Europarlamento e che ha visto una contestazione nei confronti del Presidente della Repubblica proprio sul punto decisivo e discriminante di ciò che l'onorevole Pagliarini ha affermato? Mi riferisco al passaggio ad una moneta e ad un sistema che non consentirà più quel tipo di manovre.
Altri hanno evocato la sobrietà, lo stile, l'eleganza, la sensibilità istituzionale con cui dovremmo essere presenti nelle istituzioni. Tuttavia - colleghi della maggioranza - vi pongo un'altra domanda. Il Presidente della Repubblica rappresenta parte della nostra residua credibilità internazionale, il nostro Capo dello Stato è in Europa un uomo apprezzato: non vi sembra che fatti come quelli di questa mattina indeboliscano ulteriormente la nostra credibilità sul piano internazionale? E ciò, tra l'altro, mentre l'Italia - come è stato confermato dal Governo - si trova in una situazione in cui il rapporto deficit-PIL sfiora il 4,5 per cento, dunque in un momento in cui è indispensabile la credibilità internazionale.
È davvero necessario porsi una domanda: dove volete arrivare, colleghi della maggioranza? L'altro giorno vi è stata una cena tra Berlusconi e Bossi, nella quale quest'ultimo aveva affermato l'opportunità di risistemare la rotta; di quale rotta stiamo parlando, se i risultati sono poi quelli che abbiamo visto verificarsi stamani nell'Europarlamento?
Infine, vorrei sottolineare un altro aspetto su un problema di ordine generale. Durante la discussione in Commissione sono rimasto colpito dal fatto che l'onorevole Crosetto, relatore di maggioranza, al momento di discutere la vicenda della FIAT e le misure che riguardano questa grande azienda, abbia dovuto ammettere più volte, in merito alla copertura degli emendamenti ad essa riferiti, che si occupava della FIAT perché, pur essendo piemontese, abitava nella zona di Cuneo, non interessata direttamente dal problema. Quindi, poteva permettersi di porre questioni di copertura riguardanti anche altre aree del paese perché, appunto, era di Cuneo. Allora, ci si chiede il senso di queste affermazioni. Abbiamo bisogno di grandi forze politiche nazionali in grado di interpretare i bisogni complessivi del paese, non di un'assurda discussione tra nord e sud svolta tra parlamentari che si occupano soltanto delle proprie aree territoriali, perché proprio in momenti di crisi economica vi è bisogno di meccanismi di solidarietà e di forze politiche in grado di effettuare una sintesi.
Temo fortemente che il lungo periodo che ci separa ancora dalle elezioni possa trasformarsi in un fatto estremamente negativo per il nostro paese. Pertanto, vi è bisogno di senso di responsabilità per affrontare le questioni più rilevanti di fronte alle quali ci troviamo.
Onorevoli colleghi, abbiamo discusso un provvedimento che è migliorato durante il confronto parlamentare e il dibattito in aula e, rispetto al testo base, sono state risolte alcune questioni. Infatti, non si parla più per le spiagge di concessioni a novanta anni; l'emendamento Cialente ha risolto la questione dei brevetti, riequilibrando il settore rispetto alla legge Tremonti. Inoltre, è scomparso l'articolo 26 e gli emendamenti approvati oggi, relativi all'indotto FIAT, al metano GPL e alle Olimpiadi di Torino hanno migliorato sicuramente il testo. Tuttavia, esso rimane largamente insoddisfacente proprio perché, come hanno detto molti colleghi dell'opposizione, non sono stati affrontati i nodi di fondo che riguardano la competitività del nostro paese. È rimasta irrisolta la questione della ricerca, della formazione, dei servizi primari e dello sviluppo del sud. Permane una situazione di inadeguatezza totale di cui sono convinti anche i colleghi della maggioranza.
MICHELE VENTURA. Da ultimo, vorrei ricordare che in quest'aula è stato discusso lo sblocco dei finanziamenti per le aree portuali. Signor viceministro, in proposito lei aveva dato assicurazione che questo sarebbe avvenuto con il decreto-legge di fine giugno. Ebbene, questo decreto-legge, su 1.760 miliardi di vecchie lire bloccati, ne libera appena sessanta in un settore dove la competitività è importantissima e dove il paese avrebbe bisogno di interventi rapidi per mettersi al passo con le altre realtà delle Mediterraneo.
Onorevoli colleghi, da questo quadro di inadeguatezza complessiva scaturisce il nostro giudizio negativo che porta ad annunciare il voto contrario, unitamente però all'impegno a proseguire il confronto e il dibattito durante l'esame del DPEF, convinti che questo paese abbia la necessità di adottare misure urgenti e realmente incisive per recuperare credibilità e competitività (Applausi dei deputati dei gruppi dei Democratici di sinistra-L'Ulivo e della Margherita, DL-L'Ulivo).
PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto l'onorevole Blasi. Ne ha facoltà.
GIANFRANCO BLASI. Signor Presidente, non me ne vogliano i colleghi dell'opposizione e i colleghi della sinistra, ma è emersa in maniera oggettiva, direi cristallina, una forte dicotomia fra i contenuti del provvedimento in esame e l'analisi e la critica sviluppate dai vostri banchi. Si è trattato di una critica feroce, che ha riguardato in maniera più ampia, come è politicamente giusto che sia, le questioni relative all'economia del nostro paese e alla crisi che esso attraversa.
Vi è stato inoltre un richiamo, da ultimo da parte dell'onorevole Michele Ventura, al senso di responsabilità. Intendiamo accettare tale richiamo, ma riteniamo che esso debba essere rivolto anche ai colleghi dell'opposizione. Non si può, infatti, sviluppare una critica sulla situazione economica del nostro paese senza tenere conto dello scenario macroeconomico internazionale e senza partire da un'analisi, che non può non essere condivisa, sulle difficoltà di competitività del nostro sistema economico e del nostro sistema paese rispetto, ad esempio, alle economie emergenti che in questo momento stanno viaggiando con PIL sostenuti (mi riferisco, ad esempio, all'economia cinese, all'economia indiana e all'economia orientale nel suo complesso). Occorre riconoscere tale aspetto e compiere un'analisi di scenario, partendo dai problemi strutturali introdotti dall'euro non solo ad intra, rispetto ai consumi e al potere d'acquisto delle famiglie, ma anche ad extra, per quanto riguarda il rapporto con il dollaro e la capacità di quest'ultimo di
svalutarsi nei confronti della moneta europea, rendendo più competitive le esportazioni degli Stati Uniti rispetto a quelle del vecchio continente.
Se non si parte da un'analisi condivisa su tali problemi, non si possono poi valutare le «medicine» da introdurre e il lavoro che deve essere condotto in questa fase, dapprima con il DPEF e successivamente, nel confronto fra il Governo, l'opposizione e le forze sociali, con la legge finanziaria. Dunque, raccogliamo la sfida lanciata dall'onorevole Michele Ventura, invitando tuttavia la sinistra e le opposizioni a verificare con maggiore senso di responsabilità le cause che hanno originato la crisi che stiamo vivendo e a valutarle nel modo più oggettivo possibile.
Quanto al merito del provvedimento in esame, esso non aveva, fin dall'origine, la pretesa di risolvere tutti i problemi che affliggono l'economia del nostro paese. Si tratta di un provvedimento parziale, e di ciò siamo consapevoli, ma importante e significativo, volto a razionalizzare le procedure, ad ottimizzare alcune norme, a velocizzare alcuni processi di innovazione della pubblica amministrazione, a rendere più competitivi alcuni settori del nostro commercio estero. Esso, dunque, interviene per quanto concerne la razionalizzazione e l'ottimizzazione, non certo per risolvere d'emblée i problemi economici del paese.
Mi soffermo su alcuni fra i punti qualificanti del provvedimento, che ritengo particolarmente significativi: si semplificano alcuni casi di assistenza e rappresentanza dei contribuenti nei confronti dell'amministrazione finanziaria; si abilitano senza limitazioni i consulenti del lavoro innanzi alle commissioni tributarie; si consente alle strutture tecnico-organizzative dei consorzi di sviluppo industriale di svolgere funzioni di assistenza tecnica presso gli sportelli unici per le attività produttive; si correggono le sanzioni relative alle certificazioni tributarie infedeli per errori non voluti dei responsabili dell'assistenza fiscale.
Si novella inoltre il riordino del settore energetico in materia di sicurezza degli impianti.
Con il provvedimento in esame si prevede un'autorizzazione unica per la costruzione e l'esercizio dei gasdotti; si rendono premianti quegli ATO (gli ambiti territoriali ottimali) che risultino avere affidato il servizio idrico integrato ad un soggetto gestore. Si premia cioè, colleghi, chi ha applicato in maniera virtuosa la cosiddetta legge Galli. Ricordo al collega del gruppo dei Verdi intervenuto poc'anzi, che l'articolo specifico su tale materia è finanziato con un importo pari a 300 milioni di euro.
Il provvedimento si occupa poi di ottimizzare gli interventi in materia di reti energetiche; dispone in ordine al finanziamento dell'osservatorio nazionale sulle fonti rinnovabili; reca disposizioni in materia di bonifica di siti inquinati; contiene disposizioni relative all'utilizzo del fondo speciale sull'innovazione tecnologica; prevede un'autorizzazione di spesa da destinare all'evoluzione del sistema di tutela dei brevetti e della proprietà industriale; interviene a sostegno delle imprese artigiane, attraverso una ristrutturazione degli enti creditizi; reca disposizioni in materia di internazionalizzazione delle imprese; promuove la politica dell'innovazione digitale, con l'obiettivo di semplificare e velocizzare le comunicazioni fra soggetti pubblici e fra il pubblico ed il privato; estende l'utilizzazione delle procedure telematiche; volge uno sguardo attento ai nuovi bisogni delle piccole e medie imprese; prevede e disciplina la deducibilità delle erogazioni liberali per lo svolgimento e la promozione delle attività culturali.
Si interviene quindi per la bonifica e la promozione di aree del territorio di particolare rilievo turistico, introducendo una norma importante - con la quale nulla hanno a che vedere i casinò né il demanio -, ai fini della promozione turistica sul territorio. Infine, questo provvedimento sostiene le aree di crisi industriale dell'auto e del suo indotto.
Colleghi della sinistra: scusate se tutto questo è poco!
Noi pensiamo che non si sia fatto poco, riteniamo che quanto ci accingiamo ad approvare sia significativo. Si tratta di un atto importante, che richiede, ovviamente, un'analisi dello scenario macroeconomico più significativa, che compiremo in occasione dell'esame del DPEF e successivamente della prossima legge finanziaria. Ciò al fine di lavorare in funzione degli obiettivi che, con questo Governo, abbiamo indicato: recuperare competitività del sistema industriale e del paese; sostenere le imprese anche attraverso la riduzione dell'IRAP; prestare attenzione ed un occhio di riguardo al Mezzogiorno e al potere d'acquisto delle famiglie.
Su questo - collega Michele Ventura, colleghi della sinistra -, accettiamo la sfida di un confronto aperto in Parlamento (Applausi dei deputati del gruppo di Forza Italia).
PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto l'onorevole Strano. Ne ha facoltà.
NINO STRANO. Signor Presidente, per il mio gruppo è già intervenuto il «sociale» Alberto Giorgetti; sarò quindi breve.
Mi rivolgo al viceministro Vegas, per ribadire la necessità che il tema del turismo diventi una materia effettivamente all'ordine del giorno del Governo.
Inoltre, alla luce di un fatto di cronaca di oggi, e proprio per dare maggiore visibilità ad un disegno di legge che non considero raffazzonato, ma organico, chiedo al rappresentante del Governo se sia possibile acquistare quattro pagine sul Corriere della sera (sono a poco prezzo...) per pubblicare questo provvedimento. Potremmo così chiedere al giudice Paparella di indicarci come risparmiare 180 mila euro, i quali, anziché essere spesi per fare pubblicità soltanto al Presidente Berlusconi, potrebbero essere utilizzati anche per questo provvedimento.
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