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lo scorso sabato 7 maggio, sono attualmente detenuti Angelo Izzo, accusato dell'omicidio della moglie e della figlia di Giovanni Maiorano, ex boss appartenente alla Sacra Corona Unita e anch'egli recluso nello stesso carcere, e gli altri 2 indagati come complici di Izzo, Guido Palladino e Luca Palaia;
che, di fatto, sarebbero costretti a sospendere, fino ad arrivare alla carenza del servizio sanitario e alla quasi totale assenza di attività culturali;
nell'istituto penitenziario di Campobasso, dall'interrogante personalmente visitato
avendo avuto l'opportunità di intrattenersi per un breve colloquio con ciascuno di essi l'interrogante ha potuto constatare la situazione di disagio vissuta in particolar modo dal giovane Palladino, che avrebbe manifestato segni comportamentali di sbandamento - dovuti anche al grande clamore suscitato dalla vicenda a fronte della sua «prima volta» in un penitenziario - e caratteristiche psicologiche tali da farlo ritenere ad «alto rischio» nella prospettiva di una lunga permanenza in carcere, oltre allo stato evidente di disperazione in cui si troverebbe Giovanni Maiorano, a seguito del brutale omicidio che ha sterminato la sua famiglia;
come segnalato all'interrogante dalla direttrice dell'istituto - malgrado il fatto che nella struttura carceraria di Campobasso sia presente un consistente numero di pentiti - allo stato attuale nessuno degli indagati né lo stesso Maiorano avrebbero potuto avvalersi dell'apporto di uno psichiatra, come previsto dalla legge;
in base a quanto riferito dalla stessa, il «gruppo di osservazione e trattamento» del carcere di Campobasso - composto dalla direzione e dal personale ordinario dell'istituto - si avvarrebbe di una consulenza psicologica e/o criminologica e/o sociologica limitata ad un numero di ore mensili pari a 10, in base a quanto disposto da specifici provvedimenti ministeriali;
nella attuale situazione del carcere di Campobasso, - che conta, 120 detenuti di cui 4 posti in regime di isolamento - alla già endemica carenza di personale d'assistenza psicologica, di fatto esclusivamente appaltata all'impegno della direzione e del personale ordinario dell'istituto, si aggiungerebbe anche uno stato di emergenza dovuto alla presenza di detenuti «ad alto rischio» di sopravvivenza carceraria come quelli sopra citati;
parrebbe all'interrogante necessario un immediato intervento almeno per tamponare una situazione non più gestibile unicamente grazie all'impegno e alla buona volontà della Direzione del personale ordinario della suddetta struttura -:
se non ritenga necessario per far fronte all'attuale situazione di chiara emergenza nel suddetto carcere, adottare provvedimenti affinché venga disposto un aumento delle ore di consulenza psicologica previste ed assegnate all'istituto stesso, assicurando così nell'immediato una adeguata assistenza psicologica ai detenuti ed alleggerendo, di conseguenza, la direzione e lo stesso personale carcerario da compiti di non specifica competenza;
se, inoltre, non ritenga opportuno intervenire affinché, in ottemperanza a quanto disposto dalla normativa vigente, l'istituto penitenziario venga dotato in via ordinaria di una presenza fissa e continuativa di uno specialista psichiatrico in grado di garantire assistenza e supporto basilari nella prospettiva del recupero psicologico di alcune tipologie di detenuti.
(4-14328)
in base a quanto riportato da agenzie di stampa del 28 aprile 2005 il garante dei detenuti della Regione Lazio Angiolo Marroni avrebbe denunciato le ormai insostenibili condizioni di estrema gravità in cui versa il carcere romano di Rebibbia;
la situazione parrebbe carente sotto numerosi punti di vista, a partire dalla intermittente sostituzione del magistrato di sorveglianza, mancante da dicembre, preposto al controllo dei detenuti i cui cognomi vanno dalla lettera A alla M, dalla frequenza di trasferimenti di detenuti impegnati in progetti di formazione
a tutto ciò si aggiungerebbe l'obsolescenza di un codice normativo datato 1938 e mai aggiornato, la lentezza burocratica nell'attribuzione degli assegni famigliari, la mancata retribuzione dell'attività lavorativa e da ultimo, in base ad una disposizione emanata dalla direzione del carcere, la spedizione di oggetti personali dei detenuti, in eccesso rispetto a limite consentito, rimandati ai famigliari a spese del detenuto;
una simile misura, in un contesto già di per sé preoccupante e drammatico come quello sopra descritto, sembrerebbe incongruente rispetto alle reali esigenze dei detenuti, spesso privati anche di diritti umani fondamentali come quello alla salute o allo studio, basilari nella prospettiva di un futuro di vita diverso -:
se non ritenga opportuno verificare quanto denunciato dal Garante dei detenuti e - nel caso in cui l'allarme lanciato trovasse effettivo riscontro nei fatti - quali urgenti ed immediate iniziative intenda adottare per risolvere una situazione tanto critica, garantendo ai detenuti diritti essenziali e condizioni di vita civili.
(4-14361)