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propensione all'incremento di durata e laboriosità delle liti (si pensi al possibile indotto per consulenze tecniche di parte in campo medico-legale), nell'ovvio fine dell'incremento dei relativi compensi professionali;
filoni e sui possibili rimedi in termini di sollecito adeguamento dell'azione amministrativa;
familiare disabile; tale spirito è peraltro riconfermato da quanto disposto dalla successiva legge n. 53 del 2000 -:
nonché la cattiva amministrazione in genere da parte degli organi comunali -:
nel tempo la linea diagrammatica che segna l'andamento dei trattamenti pensionistici» dell'INPDAI;
l'ipotesi di esternalizzazione dell'attività legale dell'Istituto a studi convenzionati esterni, profilata dalla Direzione Generale Inps, solleva, a parere degli interroganti, molteplici e gravi rilievi;
il presupposto sul quale essa risulta costruita consiste nell'accertata situazione di intollerabile criticità del contenzioso previdenziale in talune realtà del centro-sud del Paese, criticità che, semplificando, si palesa nella constatazione dell'enorme numero:
1) delle cause pendenti;
2) delle nuove cause incardinate ogni anno;
3) delle esecuzioni passive subite dall'Ente;
tale situazione genera una quantità di costi e disservizi, contro cui è dichiarato improcrastinabile un intervento, se non risolutore, quantomeno tendenzialmente deflativo e razionalizzatore. Intervento che la Direzione generale Inps ravvisa sostanzialmente nell'ipotizzata esternalizzazione, pur in aggiunta ad altre condivisibili misure;
a parere degli interroganti l'ipotesi risolutiva formulata dall'Inps sarebbe unicamente induttiva di nuovi oneri economici e gestionali. Ed infatti:
la specificità ed il tecnicismo della materia previdenziale la rendono non agevolmente esportabile all'esterno dell'Avvocatura istituzionale;
la gestione libero-professionale del contenzioso previdenziale si rifletterebbe, inevitabilmente e realisticamente, in una
l'impreparazione dei legali del libero foro sui meccanismi di raccordo con la tecnostruttura, sia in fase di istruttoria propedeutica alla costituzione in giudizio che di esecuzione della sentenza, aggraverebbe le difficoltà che, in proposito, già attualmente si scontano, obbligando l'Ente a dotarsi di ulteriori sistemi di interfaccia, a danno di qualsiasi obbiettivo di semplificazione ed economizzazione;
l'inattitudine, oltre che la carenza di potestà al riguardo, sui modi dell'autotutela amministrativa sarebbe preclusiva di soluzioni nell'ottica dell'economia processuale (esempio sgravi contributivi o adempimenti in limine litis, con conseguente cessazione della materia del contendere) già praticate d'abitudine, e con risultati economicamente apprezzabili, in taluni Uffici Giudiziari del territorio nazionale ed implementabili;
non sarebbe ipotizzabile, attesa la tipologia del contenzioso in esame che vede l'Ente per lo più soccombente, un significativo sovvertimento dell'esito di tali tipologie di liti, che non dipende (come forse malevolmente si ritiene) dal grado della capacità o della dedizione professionale del patrono, bensì dalle pressoché sempre compromesse posizioni sostanziali sottostanti, ovviabili solo con un'efficace e tempestiva conduzione amministrativa preventiva;
si vanificherebbe il ruolo di prevenzione delle liti e di orientamento dell'azione amministrativa che l'Avvocatura interna svolge quotidianamente;
si esporrebbe l'Istituto ad un'ulteriore lievitazione e, in definitiva, ad almeno il raddoppio dei costi del contenzioso che, in caso di soccombenza, vedrebbero sommarsi alle spese del legale di controparte altresì quelle del legale fiduciario (si pensi, esemplificativamente, al solo costo di un'udienza tipo di trattazione di controversie previdenziali seriali, che vede spesso chiamati lo stesso giorno 150/200 processi avanti il medesimo Giudice, udienza che, per diritti procuratori ed onorari, comporterebbe per l'Ente esborsi minimi nell'importo medio di euro 11.500,00/14.000,00, senza pensare al costo almeno quintuplicato di un'udienza di discussione) e che, in caso di esito favorevole della lite, si graverebbero comunque dei compensi del legale nominato, solo raramente per intero a carico di controparte;
nell'ipotesi di convenzionamento di legali esterni «a tariffa agevolata», a parere degli interroganti, l'istituto resterebbe esposto, come insegna la passata esperienza (negli anni '70 l'Inps venne convenuto in giudizio dai legali fiduciari che reclamavano ingenti differenze per compensi professionali, sull'assunto - ormai pacifico sul piano giurisprudenziale - dell'inderogabilità dei minimi tariffari, e fu costretto a transigere con operosissimi costi ed «immettendo in ruolo» taluni dei legali stessi) all'alea di un contenzioso molto rischioso per la stessa personale responsabilità degli amministratori dell'ente;
si insinuerebbero rischi di scarsa trasparenza nel reclutamento dei legali esterni, reclutamento che potrebbe addirittura e fondatamente ritenersi necessitare di preventiva pubblica selezione;
si assisterebbe ad una difesa estemporanea, deprofessionalizzata e precarizzata, disinteressata ad una pronta soluzione delle liti ed insensibile all'obbiettivo di eticità e rigore che contraddistingue l'essenza stessa dell'Avvocatura Pubblica;
a parere degli interroganti, dovrebbero essere assunte iniziative dirette a:
1) di attribuire ai legali coordinatori il compito del vaglio e della selezione preventiva per tipologie di tutti i ricorsi giudiziari in entrata, appena pervenuti e prima ancora dell'apertura delle relative posizioni in procedure SISCO;
2) individuare posizioni che rendano antieconomica una resistenza in giudizio e indichino l'opportunità di un immediato adempimento;
3) costituire un nucleo amministrativo specializzato nell'ufficio legale che, in raccordo costante con personale degli uffici amministrativi interessati (a tale compito prioritariamente assegnato) e con sistematica comunicazione anche via e.mail (che induce certezza di ricezione), operi per l'immediata soluzione delle controversie che necessitino di indilato adempimento (ritardi nelle liquidazioni di prestazioni, richiesta di accessori del credito, eccetera), nell'obbiettivo di evitare di coltivare inutilmente liti che possano definirsi subito e con notevole attenuazione degli oneri processuali;
4) la costituzione con mera procura alle liti nei giudizi di cui al punto che precede, nei quali si sia in grado di pervenire alla prima udienza con un provvedimento già assunto al fine di ottenere pronunzia di cessazione della materia del contendere a spese quantomeno parzialmente compensate;
5) incrementare la tassatività della costituzione in giudizio, quantomeno con memoria tipo, in tutti i giudizi promossi, in cui sia necessaria, per oggettiva infondatezza delle avverse pretese, per irrinunciabilità di un accertamento giudiziale o impossibilità di pervenire con immediatezza all'adempimento, la resistenza processuale;
6) agevolare la formulazione di richiesta di riunione di tutti i giudizi chiamati alla stessa udienza, patrocinati dal medesimo legale avversario ed aventi medesimo oggetto, allo scopo di evitare il moltiplicarsi dei titoli giudiziali e degli oneri processuali in caso di soccombenza;
7) incentivare la valorizzazione del ruolo complementare di supporto ed organizzazione degli ottimizzatori degli uffici legali; attribuzione personalizzata, secondo progressione numerica, della competenza specifica e della responsabilità sugli adempimenti ante e post sentenza ai singoli operatori degli uffici;
8) prevedere l'obbligo di chiusura in procedura SISCO, entro un termine tassativo, di tutte le posizioni definite, al fine dello sfoltimento degli archivi e delle giacenze;
9) ricorrere al potenziamento numerico e formazione specifica, a mezzo corsi a cura degli avvocati dell'Istituto, del personale amministrativo degli uffici legali addetti al contenzioso, personale che dovrà essere orientato ed istruito (lo consentono ed anzi pretendono le elevate qualifiche ormai conseguite dalla più parte dei dipendenti), all'assemblaggio in autonomia del materiale istruttorio di massima, al tempestivo raccordo con le altre amministrazioni eventualmente coinvolte nella lite ed alla consultazione diretta degli archivi dell'Istituto, al fine del controllo, ove occorra, di situazioni reddituali, anagrafiche, di titolarità pensionistica, eccetera;
10) invitare alla predisposizione a cura delle Avvocature Centrali o delle Avvocature Regionali, in sinergia con l'Avvocatura periferica, spesso attrice di risultati giurisprudenziali decisivi, di indirizzi omogenei di difesa nelle cause seriali o nelle invalidità civili, con adozione, pur nell'ovvia autonomia professionale, di memorie tipo da adottarsi in giudizi standard, uniformando territorialmente, per coerenza amministrativa e processuale, l'atteggiamento difensivo, ottimizzando le risorse ed evitando irrigidimenti pervicaci in eccezioni di mera forma (esempio questione legittimazione passiva nelle invalidità civili) produttivi di mero incremento di durata, laboriosità e costo dei giudizi;
11) diffondere telematicamente novità giurisprudenziali di rilievo generale;
12) costituire una commissione nazionale, composta da legali e dirigenti amministrativi, che vigili sull'andamento del contenzioso, sull'insorgere di nuovi
13) incentivare l'aggiornamento e confronto periodico dei legali dell'Istituto sulle tematiche di contenzioso emergente in raccordo con le Direzioni Centrali, al fine del tempestivo adeguamento delle strategie di difesa e onde concordare modelli di efficace resistenza ovvero di celere acquiescenza ad indirizzi giurisprudenziali ormai insormontabili;
14) sensibilizzarela Magistratura, a mezzo l'attivazione di un monitoraggio comune delle situazioni di maggiore criticità, all'osservanza dei tempi rituali dei relativi processi, senza alcun avallo a tecniche dilatorie;
15) agevolare la trasmissione immediata dei dispositivi e delle sentenze di condanna agli uffici amministrativi per l'immediato adempimento con invio della relativa comunicazione ai legali avversari ed invito ad astenersi da ogni ulteriore iniziativa, essendo in corso di liquidazione la prestazione -:
quali siano le valutazioni del Ministro interrogato e se intenda adottare provvedimenti nel senso proposto dagli interroganti.
(5-04207)
la legge n. 104 del 1992, Legge-quadro per l'assistenza, l'integrazione sociale e i diritti delle persone handicappate, all'articolo 33, comma 5, stabilisce che «Il genitore o il familiare lavoratore, con rapporto di lavoro pubblico o privato, che assista con continuità un parente o un affine entro il terzo grado handicappato ha diritto a scegliere, ove possibile, la sede di lavoro più vicina al proprio domicilio e non può essere trasferito senza il suo consenso ad altra sede»;
come però segnalato da numerosi cittadini che vi hanno fatto ricorso, molto spesso le aziende non riconoscono tale diritto ai lavoratori se non per la prima sede di lavoro;
tale atteggiamento causa ogni anno molti casi di contenzioso, che approdano in Tribunale con ingenti costi e attese per il dipendente che necessita del trasferimento;
in caso di ricorso alla giustizia, i giudici, sia ordinari che della Corte di Cassazione, danno di tale legge almeno due diverse interpretazioni, una più estensiva e una più restrittiva: quella più estensiva interpreta il «diritto a scegliere la sede di lavoro più vicina al proprio domicilio» nel senso del riconoscimento del beneficio di avvicinamento per chiunque assista un parente con handicap, e definisce immotivata la negazione a tale trasferimento da parte del datore di lavoro; al contrario, quella più restrittiva, che riguarda una minoranza di casi, vede nel dispositivo di cui al comma 5 la possibilità di scegliere la sede più vicina al proprio domicilio solo al momento della prima assunzione in servizio, negando di fatto il diritto al trasferimento;
l'interpretazione più estensiva trova peraltro riscontro nella Circolare n. 14 della Presidenza del Consiglio dei ministri, Dipartimento Funzione Pubblica, del 16 novembre 2000, che, al punto 9.5, scioglie ogni dubbio in merito, parlando direttamente di «trasferimento»;
inoltre, tenendo conto del fatto che un problema di disabilità può intervenire successivamente alla prima assunzione, è chiaro come il «trasferimento» rappresenti l'unico strumento atto a garantire universalmente un diritto sancito per legge;
è altresì evidente che lo spirito che ha portato alla stesura e all'approvazione della legge n. 104 del 1992 era quello di fornire uno strumento d'aiuto al lavoratore che assiste nella propria casa un
come vada interpretato quanto disposto dall'articolo 33, comma 5, della legge n. 104 del 1992;
cosa intenda fare per porre fine a contenziosi che portano via solo tempo e denaro a quanti effettivamente necessitano di trovare una sede di lavoro che consenta loro di conciliare la propria vita lavorativa e l'assistenza ad un congiunto non autosufficiente.
(4-13725)
l'interrogante è venuto a conoscenza di una grave situazione di mobbing subita dal dottor Marco Pasetto - vicecomandante della Polizia municipale e comandante responsabile del servizio della Polizia amministrativa del Comune di San Donà del Piave - ad opera di esponenti dell'Amministrazione comunale in carica;
il sindaco in persona, per quanto risulta all'interrogante, ha dichiarato pubblicamente di volersi rivalere su di lui per la notizia datane da egli alla stampa locale per la causa di mobbing intentata dallo stesso nei confronti dell'amministrazione;
peraltro da una testimonianza resa in pubblica udienza risulterebbe la predeterminazione del sindaco di addivenire al licenziamento del dipendente in questione;
in particolare, nel corso degli ultimi mesi dell'anno 2004 e ancora nel 2005, il dottor Pasetto ha subito un tal numero di procedimenti disciplinari - che ad un superficiale esame appaiono sia infondati nel merito che gravemente viziati in via procedurale - da rendere impossibile l'esercizio del diritto alla difesa costituzionalmente garantito: infatti, la quantità di essi (circa 35 dal settembre 2004) rende impraticabile, di fatto, la via della tutela giudiziaria per i costi che questa comporta;
le contestazioni dei presunti addebiti non hanno trovato pausa neppure quando il dottor Pasetto si trovava assente dal lavoro per malattia, giungendo a comminargli il licenziamento disciplinare, secondo l'interrogante, al solo fine di coprire altrui presunti addebiti (di ciò è disponibile ampia documentazione); il provvedimento, fortunatamente, è allo stato sospeso per pendenza del giudizio arbitrale;
inoltre è evidente, stanti così le cose, che ciò ha provocato al dottor Pasetto ed alla sua famiglia, composta anche di due bimbe di sette ed un anno e mezzo, un grave danno psicologico ed economico, se solo si consideri che le sanzioni vennero applicate nonostante fossero state tutte formalmente impugnate - pur con le già notate oggettive difficoltà - decurtandogli così con frequenza quasi mensile lo stipendio di più del 50 per cento;
la pressione psicologica cui è sottoposta la famiglia risulta ben più grave per il fatto che la moglie, Barbara Maggioli, condivide con il marito il posto di lavoro, ed è così soggetta, seppur indirettamente, ai medesimi attacchi subiti da questi;
se tutto ciò non bastasse, le mansioni di vicecomandante della Polizia municipale e di capo servizio della Polizia amministrativa, per le quali il dottor Pasetto era stato assunto e che gli erano state conferite ad personam ed in via contrattuale dal precedente sindaco, sono state revocate dal nuovo sindaco con un provvedimento che appare icto oculi viziato di nullità ex articolo 2103, u.c., c.c.;
a giudizio dell'interrogante, dall'esame sia del merito che della forma stessa dei provvedimenti in questione sembra emergere che gli stessi abbiano lo scopo di impedire al dottor Pasetto l'esercizio di ogni attività sindacale nonché di impedirgli di compiere le funzioni che gli sono state assegnate, considerato che i procedimenti stessi sono stati avviati non appena sulla stampa locale sono apparse notizie concernenti sperperi di denaro pubblico, della disorganizzazione in cui versa il locale Corpo di Polizia municipale,
se non ritenga di dover attivare i suoi poteri ispettivi per verificare la situazione descritta in premessa;
nel caso in cui la stessa trovi riscontro, quali iniziative intenda adottare a tutela del lavoratore in questione.
(4-13749)
nella serata di martedì 12 aprile 2005, a Piombino (Livorno) un incendio di vaste proporzioni ha seriamente danneggiato alcuni impianti dello stabilimento «La Magona d'Italia - Gruppo Arcelor», specializzato in prodotti laminati d'acciaio sottili zincati e preverniciati;
fortunatamente l'evento non ha provocato vittime, anche grazie al pronto intervento dei vigili del fuoco e delle forze dell'ordine;
le conseguenze di questo evento rischiano di avere pesanti ripercussioni sul tessuto economico e sociale della città di Piombino;
le organizzazioni sindacali, le istituzioni locali - comune, provincia di Livorno e regione Toscana - hanno già espresso le loro preoccupazioni per la salvaguardia dei posti di lavoro e l'auspicio che si arrivi al più presto alla riapertura dello stabilimento;
venerdì 15 aprile prossimo, il direttore generale del Gruppo Arcelor Guy Dollè sarà a Piombino per un incontro con gli enti locali;
quali impegni urgenti intenda assumere il Governo per garantire la salvaguardia dei posti di lavoro dello stabilimento interessato dall'incendio -:
se non ritengano necessario, i ministri interrogati, di attivarsi prima dell'incontro di venerdì 15 aprile affinché siano compiuti tutti i passi affinché da parte del Gruppo Arcelor vengano assunti impegni precisi per la riapertura dello stabilimento, con adeguati investimenti tesi sia a ripristinare i settori dello stabilimento distrutti dal rogo sia a garantire un rilancio delle attività dello stabilimento toscano.
(4-13751)
perdura da moltissimi anni una situazione di iniquità, sia sul piano sociale che sul piano giuridico, riguardante trattamento pensionistico di un notevole gruppo di lavoratori del settore industriale, con qualifica dirigenziale, andati in quiescenza in epoca anteriore al 1o gennaio 1988;
detta situazione trova la sua origine più lontana in una serie di provvedimenti legislativi succedutisi negli anni '70 e '80 (che qui sarebbe troppo laborioso ricordare) per poi esplodere in maniera clamorosa a causa delle disposizioni contenute nella legge n. 160 del 20 maggio 1988: essa infatti, fra l'altro, fissò nuovi e più equi criteri; di calcolo per le pensioni spettanti ai dirigenti industriali, escludendo però dai benefici tutti coloro che si erano ritirati anteriormente al 1o gennaio di quell'anno. Le disparità di trattamento che di conseguenza si crearono (ovviamente a parità di contributi versati) furono rilevantissime: ben 16 milioni annui di lire, attribuibili unicamente alla, data del pensionamento;
come era inevitabile prevedere, ciò diede origine ad una serie di contenziosi, che culminarono in alcune sentenze della Corte Costituzionale: in una di esse (la n. 57 dell'8 febbraio 1993) è contenuto un preciso invito al legislatore ad intervenire per la razionalizzazione del sistema e per «ripristinare la legittimità costituzionale del tessuto normativo» del sistema pensionistico INPDAI e quindi a provvedere «ad armonizzare e non già a segmentare
fino ad oggi questo obiettivo non è stato perseguito, nè tanto meno realizzato, per cui un certo numero di dirigenti pensionati (pesantemente penalizzati da tale situazione) sono stati costretti ad avviare nuovi procedimenti giudiziari nei confronti dell'INPS, a Torino, Roma e Catania: l'Istituto di previdenza; però, non ha saputo far altro che dichiararsi impotente ad assumere alcuna decisione al riguardo asserendo che la questione non potrà che essere risolta in sede politica -:
quali passi concreti intenda compiere il Ministro interrogato al fine di dare un concreto e doveroso seguito alla suddetta sentenza della Corte Costituzionale, nonché risposte adeguate alle istanze di rispetto degli articoli 3, 36 e 38 della Costituzione chiaramente poste dalla Corte medesima.
(4-13754)