Resoconto stenografico dell'Assemblea
Seduta n. 611 del 13/4/2005
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TESTO INTEGRALE DELLA RELAZIONE SCRITTA SUL DOC. IV-TER, N. 11-A-R

Onorevoli colleghi, la Giunta riferisce su una richiesta di deliberazione in materia d'insindacabilità relativa a un procedimento penale concernente il deputato Vittorio Sgarbi. Questi è stato infatti querelato da Francesco Rutelli, attualmente deputato e al tempo dei fatti da poco dimissionario dalla carica di sindaco di Roma, e candidato alla carica di Presidente del Consiglio per lo schieramento del centro-sinistra.


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I fatti per cui pende il procedimento (il n. 5100/01 RGNR, Gip di Monza), sono costituiti da affermazioni rese dallo Sgarbi in un articolo pubblicato in data 2 marzo 2001, sul quotidiano Il Giornale, intitolato L'osteria del 700 distrutta dai talebani di Roma. In tale articolo si leggeva testualmente quanto segue: «la rabbia e l'indignazione per la retorica e l'impotenza dello Stato e del comune di Roma sono in me incontenibili. Ancora una volta nulla di personale, ma richiedo con quale faccia Rutelli e la Melandri possano parlare del loro impegno per l'Italia dopo non aver fatto nulla per impedire la demolizione di una straordinaria architettura settecentesca come l'Osteria del pino, sulla via Tuscolana. Ho denunciato Rutelli, che poteva anche non esserne a conoscenza, ma lo straordinario edificio era nella "Carta delle certezze" ed era quindi vincolato. Il Ministero per i beni culturali non ha fatto niente. La magistratura non è stata in grado di individuare i responsabili di un crimine cos grave e neppure di impedire l'incredibile seguito. È per questo che ritorno sull'argomento. L'euforia per l'abbattimento del Fuenti non vale la sconfitta per la cancellazione dell'Osteria del pino. Si fosse tentato almeno un rimedio. Ma, io dico con tutta la rabbia e l'ira di cui sono capace, oggi nella voragine di quel monumento distrutto è stato costruito un ripugnante albergo a quattro stelle che al danno unisce la beffa. Rutelli e la Melandri cerchino una giustificazione e si vergognino».
Nel corso del procedimento penale la difesa del deputato Sgarbi ha eccepito l'insindacabilità, ma il Gip non ha ritenuto di accogliere tale eccezione. Egli ha pertanto trasmesso gli atti alla Camera, ai sensi dell'articolo 3, comma 4, della legge n. 140 del 2003, affinché questa deliberi in merito.
La Giunta ha dapprima esaminato la vicenda nell'arco di tre sedute (7 e 27 ottobre e 17 novembre 2004). A tutte le sedute il deputato Sgarbi è stato invitato a intervenire, ma non si è avvalso di tale facoltà. La relazione introduttiva del relatore, onorevole Cola, si è avuta nella seduta del 7 ottobre; nella seduta del 27 ottobre la Giunta ha concordato di sollecitare negli interessati una composizione bonaria della lite, sicchè il Presidente della Giunta, in data 28 ottobre ha indirizzato loro una lettera per invitarli a verificare la possibilità di un simile percorso. Non essendo pervenuto dai deputati in questione alcun riscontro, la Giunta ha proseguito e concluso l'esame nella seduta del 17 novembre 2004.
Nel corso dell'esame è emerso che le affermazioni dell'onorevole Sgarbi sono di analogo contenuto a quelle che egli aveva già reso durante la trasmissione televisiva Sgarbi quotidiani andata in onda su Canale 5 il 10 maggio 1999. Già in quell'occasione, con toni apocalittici, il deputato Sgarbi aveva asperrimamente criticato l'allora sindaco di Roma per aver demolito L'osteria del pino, sita sulla via consolare Tuscolana a Roma.
È ben noto che nella costante giurisprudenza della Corte di cassazione il diritto alla critica è riconosciuto in base all'articolo 21 della Costituzione e che, specie nell'ambito della polemica politica, a esso è consentita una latitudine considerevole, in ragione del pubblico interesse a fruire di un dibattito il più franco e aperto possibile finalizzato a scelte inerenti alla cosa pubblica le più libere e consapevoli. Tuttavia, la Corte di cassazione ha anche sempre stabilito che quando la critica si appunta su un fatto determinato, quel fatto deve essere vero, giacchè non si potrebbe pretestuosamente inventare una circostanza di fatto ovvero distorcerla o alterarne i veri termini onde poter lanciare gratuite invettive contro il suo autore.
Poiché l'accusa di aver distrutto o aver consentito la distruzione dell'Osteria del pino era ed è del tutto falsa, Francesco Rutelli querelò già nel 1999 Vittorio Sgarbi, unitamente a Maurizio Costanzo, direttore della rete e dunque responsabile ai sensi della legge n. 223 del 1990. Successivamente, tuttavia, intervenne una bonaria composizione tra Rutelli e Costanzo, ciò che portò alla remissione della querela, di cui - ai sensi dell'articolo 155, comma 3, del codice penale - si giovò anche Sgarbi.


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Vale la pena, peraltro, aggiungere che nella querela sporta nel 1999, l'onorevole Rutelli offrì esaustivi elementi di prova della falsità dell'addebito mossogli dallo Sgarbi: la Giunta da lui presieduta infatti in data 30 settembre 1998, disponeva la sospensione temporanea dei lavori edili per cui in precedenza era stata rilasciata concessione nella zona in questione. In data 24 novembre 1998, poi, la concessione edilizia - che rischiava di compromettere l'integrità dell'edificio - veniva annullata, con contestuale immediata sospensione dei lavori iniziati. Da sindaco Francesco Rutelli si era quindi adoperato con insistenza per la conservazione dell'Osteria del pino.
Senonchè su ricorso dell'impresa interessata, il TAR Lazio annullò il provvedimento del comune del novembre 1998, ristabilendo così le possibilità edificatorie. Tutte queste circostanze, dunque, erano note al deputato Sgarbi dal 1999.
Ciò nonostante egli due anni dopo è tornato sull'argomento con le espressioni che si sono prima ricordate, con ciò reiterando una condotta diffamatoria che in nessun caso la giurisprudenza potrebbe ritenere scriminata dal combinato disposto degli articoli 21 Cost. e 51 c.p.
La Giunta ha preso atto nella seduta del 7 ottobre dell'opinione dell'onorevole Cola secondo il quale il deputato Sgarbi dovrebbe ritenersi insindacabile se non altro perché ha svolto le sue considerazioni censorie nei confronti di Francesco Rutelli proprio sul terreno dei beni artistici e culturali che gli è così congeniale per esserne lui un esperto.
La contraddittorietà di questo ragionamento è apparsa evidente alla maggioranza dei componenti espressisi sul punto. Infatti delle due l'una: o l'onorevole Sgarbi si è espresso come critico d'arte, e allora deve difendere le sue ragioni dinnanzi all'autorità giudiziaria ordinaria come tutti i cittadini; oppure egli pretende di essersi espresso come deputato, ma allora deve dimostrare la sussistenza del nesso funzionale tra le dichiarazioni di cui è chiamato a rispondere e l'esercizio del suo mandato, come richiedono sia la costante giurisprudenza della Corte costituzionale sia l'articolo 3, comma 1, della legge n. 140 del 2003.
A tale riguardo, in vero, il deputato Sgarbi non ha offerto alcun supporto. Egli non ha offerto alla Giunta alcun documento di tipo legislativo o ispettivo o ancora alcun intervento in Assemblea sul destino dell'Osteria del pino. Non risulta che sia intervenuto nella Commissione cultura né che lo abbia fatto in sedi parlamentari atipiche, quali quelle riconosciute nelle sentenze della Corte costituzionale nn. 219 e 379 del 2003 e 298 del 2004.
Per mera completezza si ricorda che questa giurisprudenza della Corte costituzionale è stata resa in sede di conflitto d'attribuzioni, ai sensi degli articoli 134 della Costituzione e 37 della legge n. 87 del 1953. In tale sede, pur con tutte le strettoie procedurali che la stessa Corte ha voluto individuare con numerose pronunce (per esempio la n. 116 del 2003 con cui è stato dichiarato il divieto di reiterare il conflitto d'attribuzioni dopo che questo sia stato dichiarato inammissibile o improcedibile per mancata osservanza dei termini processuali), essa ha chiaramente stabilito che l'insindacabilità non può tradursi in un privilegio personale. Requisiti e limiti di tale prerogativa non possono essere disinvoltamente travalicati.
Ma non sono solo le sedi nazionali a censurare la leggerezza con cui spesso la Camera ha concesso l'insindacabilità ai propri membri: è noto che dinnazi alla Corte Europea dei diritti dell'uomo per ben tre volte l'Italia è stata condannata per la violazione dell'articolo 6 della Convenzione che prevede un diritto a un processo equo, da un giudice imparziale e in tempi ragionevoli. Era accaduto in queste circostanze (casi Cordova 1 e 2 e De Jorio) che avendo deliberato un ramo del Parlamento l'insidacabilità si era determinata l'impossibilità per il giudice di offrire giustizia alla parte attrice e quindi era stato leso il suo diritto a una piena tutela giurisdizionale.
In conclusione, le frasi dell'onorevole Sgarbi sono del tutto false e quindi offensive;


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non sono sorrette da alcun nesso con la funzione parlamentare; se fossero dichiarate insindacabili, con ogni probabilità il Gip eleverebbe conflitto d'attribuzioni e, comunque, una simile pronuncia contrasterebbe anche con la giurisprudenza della Corte Europea dei diritti dell'uomo. Per questi motivi la Giunta a maggioranza, nella seduta del 17 novembre 2004 aveva deciso di proporre all'Assemblea di deliberare nel senso che i fatti oggetto del procedimento non concernono opinioni espresse nell'esercizio delle funzioni parlamentari.
Nella seduta dell'Assemblea del 9 febbraio 2005, sono intervenuti in dichiarazioni di voto sia l'onorevole Vittorio Sgarbi che l'onorevole Francesco Rutelli.
Dal primo è stato sottolineato che egli non aveva inteso le sue affermazioni come rivolte direttamente al sindaco di Roma in quanto tale ma solo nel quadro di una battaglia contro l'inadeguatezza degli apparati amministrativi dello Stato e degli enti locali rispetto a un'efficace tutela dei beni culturali.
Dal canto suo, l'offeso onorevole Rutelli ha sottolineato che - sebbene niente affatto credibile nella sua linea difensiva - l'onorevole Sgarbi avrebbe potuto porgergli piene e pubbliche scuse e ciò lo avrebbe indotto a ritirare la querela.
Sicchè il Presidente della Giunta per le autorizzazioni, onorevole Siniscalchi, ha proposto all'Aula il rinvio in Giunta della questione, al fine di dare tempo agli interessati e ai rispettivi difensori di cercare gli spazi e i termini di una conciliazione della lite.
Dopo un intervento contro dell'onorevole Buontempo e uno a favore dell'onorevole Filippo Mancuso, l'Assemblea ha approvato il rinvio in Giunta.
Quest'ultima è tornata a riunirsi sulla questione il 16 febbraio 2005, deliberando di inviare nuovamente agli interessati e ai loro avvocati una sollecitazione a conciliare la lite.
Tuttavia nella seduta del 16 marzo 2005, la Giunta ha dovuto constatare che nessun accordo è al momento maturato.
Sicchè, all'unanimità ha deliberato di tornare a proporre all'Assemblea una deliberazione di sindacabilità, ferma restando la possibilità di una conciliazione che potrà intervenire nelle more della decisione definitiva dell'Assemblea stessa.
Pierluigi Mantini, relatore

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