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PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca il seguito della discussione del disegno di legge: Conversione in legge del decreto-legge 29 novembre 2004, n. 281, recante modifiche alla disciplina della ristrutturazione delle grandi imprese in stato di insolvenza.
Ricordo che nella seduta del 14 dicembre 2004 si è conclusa la discussione sulle linee generali.
PRESIDENTE. Passiamo all'esame dell'articolo unico del disegno di legge di conversione (vedi l'allegato A - A.C. 5464 sezione 4).
Ricordo che le proposte emendative presentate sono riferite agli articoli del decreto-legge (vedi l'allegato A - A.C. 5464 sezione 5).
Avverto che non sono state presentate proposte emendative ammissibili riferite all'articolo unico del disegno di legge di conversione.
Ricordo che le Commissioni I (Affari costituzionali) e V (Bilancio) hanno espresso i prescritti pareri (vedi l'allegato A - A.C. 5464 sezioni 2 e 3).
Avverto altresì che, ai sensi dell'articolo 96-bis, comma 7, del regolamento, la Presidenza non ritiene ammissibili, anche in conformità con le valutazioni già espresse dalla Presidenza della X Commissione, i seguenti articoli aggiuntivi, già presentati in Commissione, in quanto non strettamente attinenti alla materia del decreto-legge: Gambini 1.02, che istituisce sezioni specializzate dei tribunali per la trattazione di procedimenti previsti dalla disciplina dell'amministrazione straordinaria delle grandi imprese in stato di insolvenza; gli identici Gambini 1.03 e Stradiotto 1.05, recanti agevolazioni all'indotto dell'industria in crisi.
La Presidenza, inoltre, non ritiene ammissibili in quanto non strettamente attinenti alla materia del decreto-legge, volto a modificare la disciplina di carattere generale relativa alla ristrutturazione delle grandi imprese in stato di insolvenza, gli articoli aggiuntivi Martella Dis. 1.01 e Stradiotto Dis. 1.02, volti - invece - a stabilire norme in materia di tutela del personale dei servizi di handling colpiti dalla crisi del settore del trasporto aereo (vedi l'allegato A - A.C. 5464 sezione 1).
Ha chiesto di parlare l'onorevole Tedeschi. Ne ha facoltà.
MASSIMO TEDESCHI. Signor Presidente, sin dall'inizio i rappresentanti del gruppo dei Democratici di sinistra hanno dichiarato, nelle varie fasi dell'esame parlamentare, che il disegno di legge di conversione in esame, concernente modifiche alla disciplina della ristrutturazione delle grandi imprese in stato di insolvenza, non ci vede pregiudizialmente contrari, ma poteva, può e deve costituire un'occasione importante e da non sprecare per migliorare e rendere più moderna ed europea - abbiamo appena approvato il disegno di legge di ratifica del Trattato - la disciplina oggetto del provvedimento.
Non poteva e non doveva essere un provvedimento-fotocopia, un provvedimento-fotografia, come è stato affermato da qualcuno, bensì un'occasione importante e da non sprecare per un intervento legislativo più duraturo, più adeguato e più profondo. Mi associo al riguardo ai colleghi che, nel corso della discussione sulle linee generali dello scorso 14 dicembre, hanno sollecitato il Governo a presentare un disegno di legge di riforma del diritto fallimentare - posto che abbiamo il Governo delle riforme! - e di riforma delle procedure di ristrutturazione delle grandi imprese e delle imprese in stato di insolvenza, senza aspettare il prossimo crack aziendale.
MASSIMO TEDESCHI. Il nostro paese ha diritto di poter contare, anche in questa materia, su procedure normative assai più moderne ed efficaci di quelle di cui oggi, ultimo in Europa, dispone.
Alcuni elementi positivi sono stati introdotti nella normativa vigente, non abbiamo alcuna difficoltà a riconoscerlo, ed abbiamo collaborato affinché ciò avvenisse. Essi riguardano l'indirizzo volto a privilegiare la ristrutturazione, la salvaguardia, la valorizzazione del patrimonio produttivo delle aziende in crisi, anziché la dismissione, ipotesi pure prevista dalla cosiddetta legge Prodi-bis. È inoltre positiva la facoltà data all'amministrazione straordinaria di attivare direttamente le procedure revocatorie: la forza e il valore di queste azioni sono sotto gli occhi di tutti. È altresì positivo un ulteriore aspetto: la possibilità di trasformare i crediti in azioni. Ciò si traduce nella possibilità che i protagonisti delle diverse filiere produttive partecipino al rilancio di un'azienda in crisi.
Vi è tuttavia un aspetto da rilevare, al riguardo. Dall'esperienza relativa alla Parmalat, che ha sede nella mia provincia, si evince la novità, che pure dovremmo affrontare anche, a mio avviso, in questa sede, dei limiti che vanno posti ai creditori ammessi alla trasformazione dei crediti. Si
tratta di limiti che nascono dalla constatazione che tali creditori non abbiano concorso a causare la situazione di crisi, e quindi non siano implicati in procedimenti, anche penali, volti ad accertare tali fatti. Si tratta di una questione importante, che dovrà essere esaminata.
Proprio partendo dagli elementi condivisibili, il gruppo dei Democratici di sinistra ha formulato proposte volte a fornire, con coraggio e lungimiranza, ulteriori e positive risposte.
Abbiamo proposto l'abbassamento a 50 dipendenti, quale limite riconosciuto a livello europeo come soglia fra la piccola e la media impresa, e a 50 milioni di euro per il fatturato del gruppo, limiti sopra i quali andrebbero applicate le norme di cui stiamo discutendo, proprio per generalizzare e consolidare una risposta da parte dello Stato che sia davvero efficace nelle situazioni di crisi produttive e finanziarie.
Vogliamo, in particolare, ribadire la validità dell'emendamento relativo all'ammissione immediata all'amministrazione straordinaria. Proponiamo ventitré giorni in totale: dieci giorni al ministero, dalla presentazione dell'istanza, per esprimere il parere sull'avvio della procedura di amministrazione straordinaria; dieci giorni al tribunale per l'apertura della procedura di amministrazione straordinaria (particolarmente rilevante l'obbligo della comunicazione alla regione e al comune, quindi il coinvolgimento, in termini di informazione e non solo, delle autonomie locali); tre giorni, infine, al tribunale per la nomina del commissario straordinario o dei commissari straordinari.
È grave, invece, la scelta di confermare il trasferimento della potestà di attivazione della procedura di amministrazione straordinaria dalla magistratura al ministero, creando un'ampia area di discrezionalità di tipo clientelare, e quindi di inefficienza, ed eliminando, nel contempo, un decisivo elemento di terzietà che, solo, può evitare un giudizio negativo da parte degli organismi europei deputati, con un serio rischio di impugnazione dei relativi provvedimenti.
La nomina dell'amministratore straordinario della compagnia Volare ci preoccupa, perché inopportuna e non conforme a questo indirizzo, e pone, quindi, a grave rischio il risultato positivo che tutti auspichiamo. Quali garanzie, infatti, può dare questa scelta rispetto al lavoro che occorre fare per salvare tale azienda e le 1.400 persone in essa occupate?
Concludo, ricordando tre proposte emendative che danno l'idea dell'ampiezza con la quale vogliamo caratterizzare la nostra politica in materia di aziende in stato di insolvenza. La prima è volta a prevedere che la procedura di crisi possa essere avviata direttamente su richiesta dell'imprenditore che si trovi in situazione di difficoltà, scelta che implicherebbe di considerare «normale» che nella vita di una azienda vi possano essere momenti di difficoltà, anche seri, soprattutto in periodi come questo, che vanno affrontati però tempestivamente.
Occorre altresì istituire sezioni specializzate presso i tribunali per avere organismi penali che siano in grado, per esperienza e competenza, di comprendere le situazioni aziendali di difficoltà e quindi di affrontarle al meglio (errori in queste situazioni non sono ammessi).
Vi è inoltre una proposta pratica ed efficace. Fra le conseguenze più negative di situazioni di crisi come quelle della compagnia Volare, di Parmalat o altre ancora, vi sono le ripercussioni sulle piccole e medie aziende fornitrici di beni e di servizi: nel caso di Parmalat, si tratta delle centinaia di aziende lattiere o di artigiani fornitori di latte, di elementi meccanici o di servizi; nel caso di Volare, si tratta delle piccole e medie aziende turistiche, che, in un settore già fortemente penalizzato dall'assenza di una strategia e di una politica nazionale del turismo, vengono a pagare prezzi particolarmente elevati. Al riguardo, prevediamo una norma di carattere fiscale che configuri la compensazione automatica e generalizzata dell'IVA senza alcun tetto (oggi fissato nella misura di un miliardo di vecchie lire), limitatamente alle dichiarate situazioni di crisi. Ciò consentirebbe quella liquidità che in momenti
difficili contribuirebbe a ridare fiato all'azienda, consentendole una risolutiva ripresa.
Sono queste le ragioni che ci hanno indotto a presentare i nostri emendamenti, che sottoponiamo alla vostra attenzione (Applausi dei deputati del gruppo dei Democratici di sinistra-L'Ulivo).
PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare l'onorevole Rosato. Ne ha facoltà.
ETTORE ROSATO. Signor Presidente, intervengo, nel merito, su un provvedimento che dovrebbe incidere in un ambito che desta grande preoccupazione non soltanto all'interno delle forze politiche, ma anche tra le forze sociali di questo paese.
La preoccupazione è generata dalla crisi di un settore importante dell'economia italiana, il comparto industriale. Da questo punto di vista, è emblematico il fatto che siamo chiamati a discutere sempre più spesso di norme dirette ad affrontare le situazioni di crisi, anziché a proporre motivi ed occasioni di rilancio della nostra economia.
Come hanno dimostrato ampiamente con i loro atteggiamenti e con le loro proposte (anche in questo caso), i gruppi del centrosinistra stanno cercando di dare un contributo, come forze di opposizione, alle scelte del Governo, affinché vengano affrontate in maniera adeguata le situazioni che sempre più spesso si producono in Italia: pensiamo alla crisi della Parmalat, a quella del settore della siderurgia e, da ultimo, alla crisi della compagnia Volare, che ha costituito una delle «spinte» all'adozione del decreto-legge in esame.
Al di là del contenuto del provvedimento in discussione (su cui interverranno anche i miei colleghi), siamo di fronte ad un Governo che non fornisce un quadro complessivo di risposte adeguate, che tengano conto delle attuali necessità delle imprese. Queste ultime non hanno bisogno di interventi a pioggia, ma di interventi strutturali, di strumenti che consentano di migliorare la loro competitività.
È di stamani un importante incontro bilaterale tra il Governo italiano e quello francese, avente ad oggetto i temi che attengono alla partnership tra i due paesi: speriamo che il nostro Governo abbia colto l'occasione per trarre qualche spunto interessante. Tale è sicuramente l'intenzione del Governo francese di portare avanti un grande piano di investimenti nei settori connessi alla ricerca scientifica. Si pensi che, solo con l'ultima manovra finanziaria, la Francia ha stanziato altri 6 miliardi di euro per potenziare la ricerca e per dare la possibilità alle imprese francesi di essere competitive sul mercato globale mondiale, nel quale ci si misura sempre più a livelli di eccellenza.
Nel nostro continente, non possiamo pensare di competere con i paesi del sud-est asiatico sul piano dei costi di produzione, o con le economie di paesi che prima consideravamo in via di sviluppo, come l'India ed il Brasile: si tratta di economie in cui forti elementi competitivi (costi di produzione) sono congiunti ad una grande capacità di innovazione.
Abbiamo bisogno di strumenti diversi, ma questo Governo ha deciso di non prevederne nella legge finanziaria, nella quale la ricerca scientifica e, in generale, gli incentivi alle imprese sono stati oggetto di una nuova, pesante decurtazione, che penalizza ancora di più il nostro sistema imprenditoriale.
Servono interventi strutturali che garantiscano alle nostre imprese una forza competitiva nei confronti delle politiche di esportazione. La difesa del made in Italy non si può fare con i dazi o con la chiusura dei nostri confini - vuoi perché queste misure non funzionano, vuoi perché gli accordi internazionali non le consentono -, ma soltanto con la qualità dei prodotti e mediante accordi con i partner che consentano la costruzione di «ponti» reali e permanenti tra i diversi paesi, tenendo conto del fatto che la delocalizzazione delle imprese, mentre provoca un impoverimento del nostro tessuto imprenditoriale, porta alla realizzazione di strutture che non lasciano nulla di solido sul terreno.
Servono, quindi, interventi di caratura ben diversa da quella che caratterizza i provvedimenti presentati in quest'aula nel corso di questi anni.
La nostra preoccupazione riguarda non soltanto le grandi imprese. Spesso, l'attenzione dei mass media e del Governo si focalizza solo sulla crisi della grande impresa, ma tale crisi determina una crisi assai più diffusa che impoverisce i territori: è quella dell'indotto delle grandi realtà industriali.
Abbiamo affrontato tale questione nelle nostre proposte emendative, soffermandoci, in particolare, sulla crisi della compagnia Volare e del suo indotto; mi riferisco a compagnie, agenzie ed imprese che operano nei settori connessi alle attività di volo: per esempio, nei grandi aeroscali, l'attività della handling aeroportuale impegna moltissimi lavoratori che possiedono una professionalità.
Auspichiamo che il relatore ed il Governo prestino attenzione alle nostre proposte emendative e, in generale, a questi temi.
Alcune società aeroportuali sono state colpite in maniera particolarmente grave dalla crisi della compagnia Volare. Peraltro, sono state colpite non solo le imprese, ma anche l'utenza. Ancora oggi alcune rotte importanti non sono assegnate (richiamo l'esempio del collegamento tra la Sicilia ed una parte del paese e dell'aeroporto di Venezia, particolarmente penalizzato da questa crisi).
Per quanto riguarda le nomine del Governo (non amo commentare fatti personali), la legge richiedeva particolari professionalità da mettere in campo in questi casi. Non mi sembra che il criterio seguito sia stato questo.
Auspico che il relatore non solo ascolti ciò che io ed i miei colleghi andiamo sostenendo, ma esprima anche parere favorevole sulle nostre proposte emendative che, naturalmente, siamo disponibili a formulare in maniera diversa. Tali proposte evidenziano l'importanza delle forniture e delle subforniture di beni e servizi, anche se esternalizzate, nell'ambito della filiera produttiva che, quando entra in crisi nel suo complesso, necessita di interventi urgenti dal punto di vista legislativo.
Vorrei sottolineare anche altri problemi ormai lontani dalla politica governativa. Il Governo è sempre più spesso assente rispetto a tali questioni. Ne cito una in particolare per la quale vi è stata la necessità di istituire un commissario straordinario ai sensi della «legge Prodi». Mi riferisco alla situazione prodotta dal gruppo Lucchini, sulla quale abbiamo cercato, ma senza successo, di sensibilizzare il Governo ed indurlo ad affrontare la questione in maniera più adeguata. In base alle notizie di stampa, peraltro mai smentite (si tratta peraltro, non solo di notizie di stampa, ma anche di fatti concreti), il 60 per cento della Lucchini è stata ceduta nelle mani di un importante gruppo russo della siderurgia mondiale. Al di là di queste manovre di natura finanziaria di cui il gruppo Lucchini aveva bisogno per ridurre il suo indebitamento e far fronte agli obblighi assunti con le banche, vi è la preoccupazione per un settore importante, come quello della siderurgia, vitale per l'economia del paese, perché garantisce materie prime alle imprese del paese stesso. Di fronte a ciò, notiamo, con preoccupazione, l'assenza complessiva da parte del Governo di una politica nazionale.
Oggi la siderurgia viene vissuta nelle nostre città (nelle quali la qualità della vita rappresenta sempre più giustamente un bisogno, anche relativamente alla pulizia dell'aria e dell'ambiente che ci circonda) come un elemento spesso inserito in maniera violenta. C'è bisogno quindi che a livello nazionale si individuino percorsi che obblighino gli investitori, in questo settore importante, assolutamente centrale nel comparto industriale, a conciliare la difesa dei posti di lavoro, la difesa delle scelte strategiche, con il rispetto delle norme ambientali. Accanto a questo e accanto all'esigenza che in materie di questo tipo il Governo non si chiami completamente fuori, delegando semplicemente al mercato anche la concertazione tra enti locali e imprese stesse,
vi è la necessità che ci sia un confronto più forte. Anche su questo argomento abbiamo presentato delle sollecitazioni al Governo.
Per concludere, occorre dire che questo decreto tende a rispondere ad un problema che noi condividiamo; però, rispetto a problemi condivisi, le norme devono essere attente a centrare quelli che sono i reali punti deboli. Ritorno sul tema che noi abbiamo voluto sollecitare; il fatto di occuparsi solo dell'impresa, senza pensare al suo indotto, ai lavoratori che sono coinvolti, alle economie locali che vengono pesantemente toccate da queste crisi, rappresenta una omissione che indebolisce di molto l'importanza del provvedimento che stiamo esaminando.
Quindi, chiederei veramente con forza, anche a nome dei colleghi che più hanno seguito con attenzione (il collega Stradiotto poi interverrà nel merito dell'emendamento che riguarda in particolare questioni relative all'aeroporto di Venezia), al relatore e al Governo il recepimento delle sollecitazioni che abbiamo rivolto attraverso i nostri emendamenti (Applausi dei deputati del gruppo della Margherita, DL-L'Ulivo).
PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare l'onorevole Lettieri. Ne ha facoltà
MARIO LETTIERI. Signor Presidente, il decreto al nostro esame, come diceva poc'anzi il collega Rosato, è frutto di una oggettiva urgenza, però, allo stesso tempo, è la prova più evidente della mancanza di una politica industriale nel nostro paese.
In questi anni, infatti, vi è stata una caduta verticale del sistema industriale; non solo la FIAT, l'Alitalia, la società Volare e la Parmalat, ma anche il cosiddetto made in Italy e il comparto della siderurgia. Purtroppo, le situazioni di crisi sono tante e diffuse sull'intero territorio nazionale, con grave pregiudizio per i lavoratori e le loro famiglie e, più in generale, con grave pregiudizio per l'economia del nostro paese.
Certo, vi sono gli effetti pesanti di una globalizzazione a volte selvaggia, che mette in crisi le aziende italiane o le spinge a delocalizzare le produzioni negli ex paesi dell'est europeo e ora anche in Cina (così come, per esempio, recentemente ha deciso la Delonghi, che è un'industria moderna validissima del nostro paese); ma se tutti delocalizzano che succederà dell'economia italiana? Se tutti vanno a lavorare all'estero e i nostri lavoratori non guadagnano, come fanno a spendere? Le famiglie come fanno a vivere? Ecco perché il Governo avrebbe dovuto avere una seria bussola di politica economica (che non ha avuto); anzi, che cosa fatto il Governo?
All'inizio ha tentato, anziché sostenere la ricerca e le innovazioni di prodotti e di processo, anziché attuare una seria riduzione - badate bene: questa è una proposta specifica del gruppo della Margherita - del cuneo contributivo per ridurre i costi delle aziende, senza danneggiare ovviamente i lavoratori, ha tentato - dicevo - di dividere il mondo del lavoro, facendo propaganda in maniera demagogica (la battaglia sull'articolo 18 prima e poi sulla cosiddetta flessibilità). Oggi la flessibilità nel nostro paese è diventata grande precarietà per i giovani che cercano disperatamente una occupazione stabile e spesso quindi la flessibilità si è tramutata in vera e propria disoccupazione.
Di ciò, il centrodestra porta tutta intera la responsabilità; comprendiamo le difficoltà che si pongono a livello europeo e mondiale ma è mancata una guida del settore industriale. Devo dire la verità; non me ne voglia il ministro delle attività produttive, ma proprio ritengo che egli non abbia idea di cosa sia una seria politica industriale in questo momento di grande difficoltà. E a nulla valgono i patti e le sollecitazioni che pure vengono dal mondo sindacale e da quello confindustriale. Provvedimenti quali quello destinato allo sviluppo, che doveva essere presentato con un collegato al disegno di legge finanziaria, ancora non sono visibili; apprendiamo di alcune enunciazioni del ministro Marzano ma non vi è alcunché di concreto, mentre vi è assoluta
necessità di interventi urgenti e puntuali a sostegno dell'economia per tentare di rilanciare le produzioni industriali nel nostro paese.
Vi era e vi è tuttora la necessità di orientare e sostenere le delocalizzazioni verso il Mezzogiorno; non possiamo tollerare che ogni giorno industrie piccole, medie e grandi delocalizzino le loro produzioni in altri paesi. Fra poco, per così dire, scoppierà anche il cosiddetto nordest in quanto anche da quell'area le imprese delocalizzano in Slovenia, in Romania ed in Polonia, dove trovano condizioni più favorevoli e dove vi è uno sfruttamento vero della manodopera. Dobbiamo fare in modo che le aziende le quali intendano delocalizzare non siano lasciate alla loro esclusiva, libera scelta perché in tal caso il laissez faire sarebbe esiziale per l'economia del nostro paese.
Occorre perciò sostenere le imprese orientandole ad investire verso il Mezzogiorno, dove vi è necessità di incrementare e sviluppare le attività industriali, ovviamente in maniera sostenibile e compatibile con la realtà meridionale fatta anche di tante altre risorse quali il turismo, l'agricoltura, e via dicendo.
Certo, l'adozione di questo provvedimento si rende necessaria, come chiarivo all'inizio del mio intervento; si tratta di una oggettiva necessità. Avvertiamo tutta la preoccupazione per il processo in atto e per il rischio di ulteriore deindustrializzazione; è perciò doveroso tentare di fronteggiare le situazioni di crisi in atto, come quella della società Volare Web. Abbiamo presentato emendamenti volti ad ampliare i requisiti di accesso alle procedure di ristrutturazione aziendale e finanziaria di alcune grandi imprese. Non solo, quindi, la società Volare, la Parmalat, e via dicendo; abbiamo piuttosto tentato di guardare al complesso delle situazioni, e non ad una singola azienda. Le nostre proposte emendative, pertanto, estendono, aldilà degli interventi per la singola impresa, all'intero gruppo (e quindi alle aziende dell'indotto) i provvedimenti previsti da questo decreto.
Mi auguro che i colleghi valutino positivamente le nostre proposte; anzi, lo dovrebbe fare lo stesso Governo in quanto, quando si verifica la crisi di un'azienda, i primi effetti negativi si riverberano sulle aziende collaterali, su quelle dell'indotto. Nell'area industriale di Melfi, ad esempio, dinanzi alla situazioni critica della FIAT, le prime a chiudere i battenti sono state alcune aziende dell'indotto di II e III livello.
Questa è la ratio che sta alla base delle nostre proposte emendative che mi auguro trovino il consenso anche da parte dei colleghi della maggioranza e dello stesso Governo.
In definitiva, ritengo che il Governo debba avere maggiore consapevolezza e rivedere la propria politica economica ed industriale per dare all'Italia la possibilità di diventare davvero il cardine di un nuovo sviluppo europeo in grado di competere con i giganti dell'economia mondiale quali sono gli Stati Uniti d'America e la Cina, secondo gli sviluppi che stiamo registrando in quest'ultimo periodo (Applausi dei deputati del gruppo della Margherita, DL-L'Ulivo).
PRESIDENTE. Nessun altro chiedendo di parlare, invito il relatore ad esprimere il parere della Commissione.
LUIGI GASTALDI, Relatore. Signor Presidente, la Commissione formula un invito al ritiro degli emendamenti Provera 1.1, Gambini 1.2, Stradiotto 1.3 (Nuova formulazione). La Commissione formula, altresì, un invito al ritiro dell'articolo aggiuntivo Gambini 1.01. Fa, altresì, presente che su tutte le dette proposte emendative la V Commissione (Bilancio) ha espresso parere contrario.
PRESIDENTE. Il Governo?
MARIO VALDUCCI, Sottosegretario di Stato per le attività produttive. Signor Presidente, il parere del Governo è conforme a quello espresso dal relatore.
PRESIDENTE. Sta bene.
A seguito delle intese intercorse tra i gruppi, il seguito del dibattito è rinviato ad altra seduta.
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