Resoconto stenografico dell'Assemblea
Seduta n. 520 del 4/10/2004
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(Discussione - Doc. LVII, n. 4-bis)

PRESIDENTE. Dichiaro aperta la discussione.
Ha facoltà di parlare il relatore, onorevole Peretti.

ETTORE PERETTI, Relatore. Signor Presidente, siamo chiamati ad esaminare la nota di aggiornamento al Documento di programmazione economico-finanziaria, approvato a luglio.
Come ha avuto modo di rilevare anche il ministro, la nota è stata, più che altro, uno scrupolo, perché conferma l'impostazione di politica economica e di bilancio del Documento già approvato. In particolare, si conferma il quadro macroeconomico e, quindi, la previsione di crescita del PIL, che è +21,1 per cento, l'inflazione programmata, +1,6 per cento, nonché il tasso di disoccupazione e il tasso di occupazione.
Per quanto riguarda, invece, le previsioni riguardanti la finanza pubblica per il 2005, si conferma l'obiettivo dell'indebitamento netto al 2,7 per cento; si effettuano, invece, una leggera rettifica riguardo all'avanzo


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primario - che passa dal 2,6 al 2,4 per cento - e, altresì, una leggera rettifica circa la spesa per interessi. A tale ultimo proposito, è stato opportunamente sottolineato come nel Documento risultasse un errore materiale, in quanto la spesa programmata per interessi risultava più alta della spesa tendenziale. Comunque, la correzione porta la spesa per interessi al 5,1 per cento del PIL.
La nota introduce anche un nuovo criterio per determinare l'evoluzione della spesa della pubblica amministrazione - se ne è parlato lungamente -; si tratta del tetto del 2 per cento, con le esclusioni indicate anche nella relazione del ministro.
Infine, la nota di aggiornamento prevede che la legge finanziaria venga affiancata da un provvedimento riguardante la competitività, lo sviluppo ed il potere di acquisto; a mio avviso, più che un collegato in senso tecnico, tale provvedimento deve considerarsi un collegato in senso politico. Al riguardo, a mio avviso, le forme tecniche con le quali il collegato, alla fine, verrà presentato sono del tutto irrilevanti; il collegato prevederà anche i dettagli della riforma fiscale.
Per quanto riguarda le previsioni circa gli anni successivi al 2005, invece, vengono confermate tutte le indicazioni; per quanto concerne il quadro macroeconomico, invece, la finanza pubblica è prevista in leggero miglioramento.

PRESIDENTE. Ha facoltà di parlare il rappresentante del Governo.

DOMENICO SINISCALCO, Ministro dell'economia e delle finanze. La ringrazio molto, signor Presidente.
Circa le osservazioni svolte dall'onorevole Boccia, non posso che ribadire la nostra disponibilità a fornire, quanto prima, tutti gli elementi informativi richiesti, dagli allegati menzionati a tutto il materiale integrativo ed informativo, compresa la nota di variazione e quant'altro.
Per quanto riguarda l'intervento del relatore, onorevole Peretti, non posso che ribadire quanto egli stesso osservava; l'allegato al Documento di programmazione economico-finanziaria sostanzialmente e formalmente conferma le indicazioni che erano recate da quest'ultimo. Era necessario adottare la nota per correggere la serie degli interessi che era stata viziata dall'errore menzionato.

PRESIDENZA DEL VICEPRESIDENTE ALFREDO BIONDI (ore 14,45)

DOMENICO SINISCALCO, Ministro dell'economia e delle finanze. Per quanto riguarda, infine, la questione sollevata da entrambi gli onorevoli intervenuti circa la forma che prenderà l'integrazione, ciò in parte dipende, effettivamente, dal suo contenuto. Non escluderei che alcune delle questioni vengano risolte attraverso la forma dell'emendamento ed altre attraverso la forma, propriamente, del collegato. Siccome si tratta di decisioni non ancora assunte, che costituiscono oggetto di discussione all'interno del Governo, della maggioranza e con le stesse parti sociali, esse dipenderanno, evidentemente, dallo sviluppo delle situazioni.

PRESIDENTE. È iscritta a parlare l'onorevole Zanella. Ne ha facoltà.

LUANA ZANELLA. Signor Presidente, con l'esame della nota di aggiornamento al Documento di programmazione economico-finanziaria, entriamo, di fatto, nella sessione di bilancio. Avremo, ovviamente, modo di discutere in maniera approfondita, nelle prossime settimane, circa la manovra; non è però, certo, di buon auspicio il fatto che il Presidente della Camera in persona abbia ritenuto di pronunciarsi sollecitando chiarimenti in merito al tetto del 2 per cento previsto per la crescita della spesa pubblica. Ricordo che attorno a tale vincolo ruota l'intera manovra; ad esso si riferisce, altresì, ovviamente, anche la nota di aggiornamento.
Si prospetta, quindi, una legge finanziaria di emergenza; una legge finanziaria che si tradurrà nell'aumento delle tasse, con buona pace delle demagogiche promesse


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del nostro Presidente del Consiglio ma, altresì, delle considerazioni che molto garbatamente ha porto il ministro dell'economia e delle finanze.
Non ci si può rivolgere ancora alle famiglie promettendo la riduzione delle tasse e perseverando, ad un tempo - con un decreto «taglia spese» -, nel taglio dei fondi e dei trasferimenti agli enti locali, regioni, province e comuni; si scarica, di fatto, su tali istituzioni l'ingrato compito di dover aumentare le tasse che rifiutate di accrescere a livello centrale, per mera propaganda e per la tenuta stessa della politica economico-finanziaria.
Oggi, stiamo esaminando la vostra quarta nota di aggiornamento al DPEF. Voglio ricordare - poiché va di moda, in quest'aula, operare confronti - che nei cinque anni di Governo del centrosinistra furono presentate solo tre note di aggiornamento, due delle quali furono predisposte per prendere atto dei decisi miglioramenti dell'andamento delle entrate tributarie.
Nell'ultima nota di aggiornamento al DPEF della scorsa legislatura, per il 2001-2004, si dovette prendere atto del significativo miglioramento del quadro tendenziale e di un nuovo aumento dell'avanzo primario, oltre che di un gettito nettamente superiore a quanto fosse prevedibile dell'IRPEF, dell'IRPEG e dell'IVA. Si trattava di scostamenti attribuibili, in massima parte, all'emersione di imponibili. Tutto ciò fu reso possibile grazie ad una gestione rigorosa e seria delle politiche di bilancio, che aveva permesso un risanamento della finanza pubblica degno di tale nome.
Le novità contenute nella nota che stiamo discutendo - questa volta in controtendenza, va riconosciuto, rispetto a quelle contenute nelle vostre precedenti note, tutte destinate a rivedere in peggio le incaute precedenti stime - indicano un lieve miglioramento della spesa per gli interessi per il 2005, una conferma del livello di indebitamento netto per il prossimo anno, con una sua evoluzione più favorevole per il 2006 e per gli anni seguenti rispetto agli obiettivi fissati nell'ultimo DPEF.
Va sottolineato che la conferma dell'obiettivo di indebitamento del 2,7 per cento per il 2005, contestualmente ad una riduzione della spesa per interessi, fa supporre - ma questa nota non lo dice espressamente - che l'avanzo primario si prevede in ulteriore diminuzione, il che non sarebbe certamente - se confermato - un buon dato. I molto lievi miglioramenti rispetto al DPEF di luglio sono dovuti - lo scrivete voi - soprattutto all'applicazione del tetto di spesa del 2 per cento sulle spese correnti e ad una diversa calendarizzazione delle privatizzazioni, aspetto su cui bisognerà ritornare.
Da più parti, è stato giustamente rilevato - ed oggi il ministro ne ha anche illustrato alcuni aspetti - che il tetto del 2 per cento all'incremento di spesa, se non si fonda su norme che modifichino anche le leggi vigenti e riducano effettivamente le spese che queste ultime dispongono, può essere una misura che non riesce, in realtà, a controllare le uscite.
Inserire nella legge finanziaria una norma per conseguire il tetto del 2 per cento significa, di fatto, azzerare gli effetti di molte delle singole leggi in vigore. Va altresì notato che non si fa riferimento - o meglio, si fa riferimento, ma non per spiegare bene i problemi - all'aumento tendenziale delle spese, che calcoliamo mediamente attorno al 4 per cento, come si dovrebbe fare in base al bilancio a legislazione vigente, operando conseguentemente alcuni tagli per ridurre il deficit. Si parte dal livello di spesa del bilancio preconsuntivo del 2004, per imporre un tetto di crescita alle spese del 2 per cento.
Che significa ciò, in poche parole? Un taglio molto drastico delle spese, che potranno aumentare solo del 2 per cento, invece di dichiarare, come si dovrebbe fare per un'operazione trasparente cui il ministro sembra tenere molto, che si tratta di tagli del 2 per cento, con riferimento al 4 per cento come trend, come tagli reali che...


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PRESIDENTE. Onorevole Zanella, bisogna che si avvii alla conclusione. Con la morte nel cuore, la informo che è trascorso il tempo a sua disposizione!

LUANA ZANELLA. Con il cosiddetto decreto tagliaspese, naturalmente, si produrranno maggiori spese e sacrifici da parte delle famiglie.
Chiedo alla Presidenza di autorizzare la pubblicazione in calce al resoconto della seduta odierna di considerazioni integrative del mio intervento.

PRESIDENTE. La Presidenza lo consente, sulla base dei consueti criteri.
Onorevole Zanella, mi dispiace averla interrotta, ma il tempo non è galantuomo...
È iscritto a parlare l'onorevole Villetti. Ne ha facoltà.

ROBERTO VILLETTI. Signor Presidente, signor ministro, innanzitutto, vorrei svolgere qualche considerazione sulla nota di aggiornamento. Si tratta di una nota che non aggiorna e, da questo punto di vista, potremmo semplicemente ripetere e, forse, rafforzare le considerazioni critiche che abbiamo espresso nel corso del dibattito sul documento di programmazione economico-finanziaria.
Vorrei dire in modo succinto che sicuramente alcune previsioni si sono avvicinate alla realtà più di quanto non fosse accaduto negli anni passati. Tuttavia, sebbene il campo delle previsioni sia opinabile, riteniamo che l'indebitamento netto delle pubbliche amministrazioni debba essere calcolato non intorno al 4,4 per cento, bensì al 5 per cento. Naturalmente, modificando le previsioni, cambia tutta la mole della manovra finanziaria.
Nutro anche perplessità per quanto riguarda l'indicazione della crescita, tanto più perché questa manovra finanziaria presenta caratteristiche evidentemente restrittive; ma riprenderò questo tema successivamente. Si può, quindi, pensare che la previsione del 2,1 per cento sia ottimistica. Se si modificano queste due grandezze (ma non mi riferisco solo ad esse), tale mutamento ha un evidente riflesso sull'impostazione della manovra finanziaria: un conto è affrontare un indebitamento netto fissato in una determinata percentuale, altro conto è fissarlo al di sopra di essa. Da ciò si potrà dedurre che la manovra non dovrebbe essere di 24 mila miliardi, bensì probabilmente di 29 mila miliardi. Se poi si calcolano gli sgravi fiscali che devono essere operati, si arriva alla cifra di 35 mila miliardi, più o meno. Quindi, per quanto riguarda i nostri conti pubblici, siamo di fronte ad una situazione di gravità.
La manovra finanziaria dovrebbe essere la terapia con la quale si affronta questa situazione, che definire difficile è un eufemismo. È un'eredità di questi anni di Governo. Ebbene, ritengo che, rispetto alla manovra finanziaria, bisogna partire sicuramente da un giudizio complessivo.
Vorrei riprendere le parole usate oggi su La Stampa da un autorevole commentatore, che è stato direttore del Corriere della Sera. Ferruccio De Bortoli afferma: «Un piccolo record la finanziaria di Siniscalco lo ha già ottenuto: mai vi sono state reazioni così dure per una manovra correttiva di così dubbia efficacia». È un giudizio espresso da un insieme di categorie, perché questa volta vi è stata veramente l'unanimità contro la finanziaria presentata: dalle imprese ai sindacati, dai commercianti ai dipendenti pubblici non vi è categoria che si sia dichiarata soddisfatta.
In questa finanziaria, infatti, ci sono dei grossi interrogativi. Il primo riguarda il meccanismo del provvedimento cosiddetto tagliaspese. Non voglio entrare nella discussione che svolgeremo in Commissione bilancio. Dico soltanto che, per quanto riguarda il dilemma che ha proposto il ministro, è meglio l'emendamento, signor ministro. Questo è un interrogativo, perché la cifra che viene riportata di 9,5 miliardi è di grande entità.
Dubbi e incertezze sull'efficacia di quest'azione sono più che legittimi. Vi è l'aspetto che riguarda la «manutenzione». Si discute sempre tra manutenzione e lavori straordinari e non si riesce mai a


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capire quando si tratti di manutenzione e quando di lavori straordinari, quanto è la risistemazione e quanto le nuove tasse.
Mi riferisco alla «manutenzione» così come è stata richiamata da Ferruccio De Bortoli, che mi sembra esprima le sensazioni di un ampio settore di opinione pubblica del paese: «Un cambio di stagione o il disperato tentativo di aumentare le entrate dopo la messe di perdoni che ha ridotto, fino a deriderla, la già scarsa propensione a pagare le tasse nei tempi dovuti?». Molto spesso si è criticata l'impostazione del ministro Visco, che io a suo tempo ho condiviso, che, nei confronti dei contribuenti, aveva un atteggiamento molto rigido. Lei si vuol mettere la maschera di Visco oppure vuole introdurre surrettiziamente nuove forme di imposizione fiscale? Inoltre, esse avranno efficacia? Anche su questo aspetto, infatti, vi è il problema dell'efficacia.
Poi arriviamo alle dismissioni. Si tratta sicuramente di un'una tantum. Ciò è assolutamente evidente.
Alla fine abbiamo l'impressione che non si punti a ciò che sarebbe necessario per agganciare una ripresa, che da tempo aspettiamo, soprattutto per i settori dell'innovazione, della ricerca, della formazione e del sud, ma si punti, invece, esattamente al contrario, ossia a penalizzare questi settori e il sud in particolare.
Si tratta di una manovra, signor ministro, a tutto tondo restrittiva, che non può dare per sua natura un impulso alla crescita. Quindi, mi sia consentito riconfermare tutto il nostro giudizio negativo nei confronti del DPEF, mentre quello sulla finanziaria lo svilupperemo nel corso della sessione di bilancio.
Le nostre idee, le nostre suggestioni e i nostri spunti saranno sempre ispirati a cercare di apportare delle modifiche che siano in qualche modo rispondenti alle esigenze del paese. Però, voi avete certamente promesso riduzioni di tasse e non riuscite a farlo. Avete promesso crescita e avete dovuto affrontare una situazione di ristagno. C'è un carovita che ha tolto soldi dalle tasche degli italiani e c'è una delusione crescente. Penso che il messaggio che oggi inviate non restituisca fiducia al paese e che toccherà a noi farlo (Applausi dei deputati del gruppo Misto-Socialisti democratici italiani e Misto-Verdi-L'Ulivo).

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Cusumano. Ne ha facoltà.

STEFANO CUSUMANO. Signor Presidente, signor ministro, onorevoli colleghi, con la nota di aggiornamento al Documento di programmazione economico-finanziaria si conferma la precarietà dell'impianto economico-finanziario presentato dal Governo al Parlamento ed al paese. Ciò si intreccia con una manovra finanziaria che ha registrato in queste ore commenti negativi dai mondi vitali della nostra realtà economica e sociale. Tali commenti confermano una preoccupante condizione di stagnazione e di blocco della nostra economia e confermano, soprattutto, quel livello di robusta apprensione che segna pesantemente la volontà di intrapresa dei mondi produttivi del nostro paese ed un'ulteriore difficoltà delle aree deboli del paese a rimettersi in cammino.
Apprezziamo lo sforzo del ministro di fare chiarezza sui numeri, sulle cifre, sulle percentuali in un labirinto che appare a volte inestricabile e complesso non soltanto agli economisti, ma anche ai parlamentari. Tutto questo, però, non cancella le ombre di una manovra finanziaria che riporta indietro le lancette dello sviluppo del Mezzogiorno.
Il Governo ha iniziato la sua attività annunciando il taglio delle tasse. Invece, ha aumentato le imposte a livello sia nazionale, sia locale. La manovra si presenta molto riduttiva: mancano gli incentivi alle imprese che, presumibilmente, non riprenderanno ad investire né tanto meno ad occupare lavoratori; mancano fondi per gli ammortizzatori sociali e per l'adeguamento delle grandi infrastrutture; mancano soldi per la ricerca e l'innovazione, elementi essenziali per la cosiddetta competitività.
Per il Mezzogiorno vi sono soltanto promesse. In tale scenario il Mezzogiorno rappresenta, sia per la dotazione infrastrutturale


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sia per la dotazione di moderne tecnologie, un punto di particolare tensione economico-sociale. La riduzione delle risorse destinate al Mezzogiorno riflette una situazione inquietante in cui si dà un taglio mortale all'economia ed all'occupazione del sud, che rischia di bloccare molti progetti ed azzerare la possibilità di agganciare qualsivoglia segnale di ripresa.
Si mette un tetto di spesa alle risorse per il sud nel 2005 per cui il fondo per le aree sottosviluppate viene praticamente dimezzato e non potrà assegnare più di 6.550 milioni, contro una disponibilità finora indicata in 11.998 milioni per il 2005. Oserei dire che la situazione del Mezzogiorno del paese è ormai arrivata al punto massimo di crisi e di devastazione.
L'economia non riparte, il potere d'acquisto è crollato, il risparmio sta cedendo, il deficit pubblico è enorme, come ha confermato il ministro con i suoi dati. I dati dimostrano, purtroppo, che siamo in presenza di una non indifferente crisi dei consumi.
La situazione delicata che sta attraversando da tre anni il nostro paese imporrebbe una riflessione seria sulle grandi e vere emergenze che riguardano, appunto, l'economia e l'impoverimento delle famiglie. Se consideriamo che su 23 milioni di lavoratori 10 milioni non superano il reddito mensile di 1.000 euro e 7 milioni non superano i 1.300 euro, abbiamo il quadro di una situazione che colpisce al cuore le famiglie italiane ed impoverisce ancora di più la situazione economica e sociale del nostro paese.
Il rischio reale è un blocco dello sviluppo che parte dalle città ed interessa soprattutto quei centri del Mezzogiorno che stanno facendo uno sforzo maggiore per recuperare il gap di competitività rispetto alle altre regioni del paese.
La politica economica e finanziaria adottata dal Governo appare assolutamente disastrosa nelle sue ricadute economiche e sociali, deprime la domanda interna impedendo lo sviluppo economico e, di fatto, redistribuisce il reddito dai meno abbienti ai più protetti. Denota, altresì, la fallimentare politica perseguita nei confronti del Mezzogiorno. L'Italia, signor ministro, ha bisogno di un intervento forte, mirato ed incisivo che possa favorire il rilancio vero del sistema paese.

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Russo Spena. Ne ha facoltà.

GIOVANNI RUSSO SPENA. Penso sia veramente un azzardo dire - com'è scritto nella nota di variazione - che l'analisi del quadro macroeconomico contenuto nel DPEF sia corretta, quando invece questo dato è diventato, negli ultimi anni, così transitorio e flessibile. Certamente, vi è una maggiore adesione alla realtà, peraltro dura e difficile, dopo il diluvio della finanza creativa «tremontiana».
Con riferimento, inoltre, al secondo punto della nota di aggiornamento, relativamente alla finanza pubblica, il criterio per l'evoluzione della spesa della pubblica amministrazione, limitata al 2 per cento rispetto all'anno precedente, come abbiamo testé sentito dalla relazione del ministro, in effetti nega, come già il Presidente Casini sembra adombrare - ne discuteremo in Commissione bilancio -, la reale possibilità di un percorso decisionale parlamentare sulla finanza pubblica ed è quindi di per sé incostituzionale, perché costituisce una specie di delega in bianco al Governo, facendo venire meno la stessa previsione della sessione di bilancio, rigidamente regolamentata.
Vi è da dire poi che stiamo discutendo in effetti di una scatola vuota, come lo stesso Governo confessa oggi. Stiamo discutendo perlomeno di misure parziali per la competitività, lo sviluppo ed il potere di acquisto; al riguardo, il Governo stesso afferma che tali misure saranno contenute in un altro provvedimento (che però non si capisce con quali forme e con quali tempi affiancherà la legge finanziaria e che riporterà, fra l'altro, i fantomatici dettagli di questa fantomatica riforma fiscale).
Siamo quindi giunti, con la discussione di oggi, alla filosofia della legge finanziaria. Il nostro giudizio - lo ribadiremo


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punto per punto nella discussione che si aprirà domani in Commissione bilancio, per poi proseguire mercoledì con l'audizione del ministro e successivamente delle parti sociali, entro la prima settimana - è che sia stata partorita una finanziaria antisociale e recessiva, che, tra l'altro, attacca frontalmente i concetti costituzionali di equità e di progressività fiscale.
Tagli e stangate: anche se ciò non piace al Presidente Berlusconi, di questo però si tratta, anche se questi tagli e queste stangate sono mascherati da un presunto criterio oggettivo, che allude in realtà ad una riduzione della spesa pubblica netta e senza criteri, quindi offensiva soprattutto per i ceti medio-bassi della popolazione.
È una mannaia pesante anche sul piano numerico, delle cifre. Dal punto di vista numerico (delle quantità), è una mannaia più grave di quella dei tempi della finanziaria di Amato, peraltro qualitativamente priva del disegno - giusto o meno che fosse - che quella finanziaria comunque conteneva. Per discutere in maniera completa, gradiremmo comprendere come si materializzerà l'ossessione berlusconiana della riduzione delle tasse, e lo chiederemo in Commissione bilancio già a partire da domani. Vorremmo capire quali forme essa assumerà, perché altrimenti non si può discutere di una manovra di bilancio. Vorremmo capire quali contenuti essa avrà e quali procedimenti decisionali comporterà, ed inoltre quale sarà il merito, visto che l'unica affermazione (di tipo giornalistico) che sembra ritornare, è quella, direi unilateralmente reaganiana e tatcheriana - quando ci trovavamo in un'altra fase di politica economica globale (ma allora questo discorso veniva fatto anche con minore unilateralità) -, che comunque la riduzione delle tasse porta ad una politica di sviluppo, come sembra che il cavalier Berlusconi sappia solamente dirci (parlo del suo recente articolo apparso sul Corriere della Sera).
Questa è l'unica idea di politica economica ultraliberista, anche un po' arretrata e datata, che è contenuta in quell'affermazione. Dall'altra parte, aumenteranno, lo riconosceva oggi il suo stesso ministro, anche se in maniera un po' mistificata, tutte le tasse locali: dall'addizionale IRPEF alla tassa sulla spazzatura. Della necessaria e vera patrimoniale sulle grandi sostanze non si parla, mentre vi è, invece, una patrimoniale mascherata a danno dei medi e piccoli proprietari di abitazioni, con il rincaro automatico della tassazione sulla casa. Ritornerà il concordato preventivo che sfibra, è stato detto anche con riferimento alle precedenti leggi finanziarie, lo stesso spirito civile, oltre che la Costituzione, perché significa condannare nell'immediato come lasciapassare per l'evasione del futuro. Peraltro, con riferimento alla cosiddetta manutenzione della base imponibile, di cui oggi si è parlato nella stessa relazione del ministro, in effetti, di fronte all'entrata nelle casse dello Stato di 7 miliardi, vi è anche la strada per la procedura di un condono perenne, e ciò ci preoccupa molto.
L'assetto di cassa pari al 2 per cento è una cieca mannaia; penalizzerà soprattutto il sud e tutte le regioni, che dovranno cercare, in maniera affannosa, risorse per compensare i tagli al Fondo sanitario nazionale, oggi riconfermati dal ministro. Tutti gli enti locali, inoltre, subiranno una vera e propria sforbiciata cieca dei propri progetti sociali, come del resto le stesse associazioni degli enti autarchici territoriali all'unanimità, con componenti sia di centrodestra sia di centrosinistra, stanno confermando in questi giorni.
Siamo anche al grottesco, mi si permetta, alla beffa del conflitto di interesse, anche un po' più spudorato (uso un aggettivo un po' forte). In un disegno di legge finanziaria così pesante, dal punto di vista quantitativo e così antisociale dal punto di vista qualitativo, si riesce ad elargire una certa quantità di risorse alle assicurazioni, prevedendo la polizza per le case contro terremoti e calamità.
Tutti sappiamo che il padron Berlusconi è il primo assicuratore d'Italia. Vogliamo, forse, parlare - non lo faccio per carità di patria in questa sede, ma in


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Commissione - delle imprese beneficiarie di incentivi per il digitale terrestre e per la banda larga?
La verità è che il berlusconismo è in crisi, anche sotto il profilo di blocco sociale, per usare un termine classico; si è, ormai, ridotto in qualche modo, per tenere insieme alcuni segmenti di interessi disarticolati, alle mance. Quindi, siamo passati da un tentativo di blocco sociale alla corte dei miracoli. Credo che questo sia uno dei due punti fondamentali della finanziaria che discuteremo.
L'altra chiave di lettura riguarda l'intervento pubblico, che per noi costituisce una discriminante, una griglia di ricostruzione di segmenti di una politica economica. In questo caso, vi è la prosecuzione e, anzi, in qualche modo, l'aggravarsi della politica di privatizzazione e di liberalizzazione, quando invece occorrerebbe un intervento pubblico rilanciato, qualificato e socializzato. Sto pensando alla difesa dei commons, dei beni comuni, dall'acqua alla sanità, allo Stato sociale, ai diritti universali.
Non può sfuggire (peraltro, in questi giorni è in discussione la controriforma costituzionale in Parlamento) il forte collegamento, la forte connessione tra questa finanziaria e la controriforma costituzionale, che ha come assi fondamentali, da una parte, il premierato assoluto e, dall'altro, la devoluzione; il che significa proprio, a nostro avviso (lo abbiamo detto intervenendo in questi giorni), la negazione dei diritti universali dello Stato sociale e la riduzione di esso a Stato sociale minimo residuale, in una concezione del capitalismo compassionevole di stampo bushiano.
In terzo luogo, penso che l'altra chiave di lettura molto grave sia lo strangolamento degli enti locali, obbligati da politiche centralistiche ed autoritarie ad imporre tasse, a ridurre e privatizzare servizi pubblici locali, a diventare quindi la controparte dei bisogni civici.
Nel Governo, infatti, sembrano agire due pulsioni politiche totalizzanti: da un lato, la mercificazione dei beni comuni come nuovo campo d'acquisto dei profitti, addirittura con la vendita, o comunque l'iscrizione al bilancio (pensate alle varie SCIP fino ad arrivare alla SCIP 4, o alle cartolarizzazioni), del patrimonio pubblico, cioè del patrimonio collettivo. E poi non si sa come verranno riempiti questi vuoti, anche sul piano delle risorse finanziarie; se veramente vi sarà un utile o non piuttosto un deficit, come noi crediamo e come tenteremo di dimostrare durante la discussione in Commissione bilancio.
Dall'altro lato, vi è il tentativo di abbattere sul nascere - e qui vi è un dato quasi di vendetta nei confronti delle esperienze politicamente ricchissime dei bilanci partecipativi del nuovo municipalismo democratico - una capacità di nuova idea di democrazia e di autoorganizzazione proprio all'interno degli enti locali (esperienze molto importanti secondo noi sul piano democratico).
In quarto luogo, riappare fortememte (veniva già citato da alcuni colleghi prima di me, dal collega Cusumano poco fa e dal collega Villetti) il tema di un abbandono assoluto dopo la bancarotta del modello presente nelle ultime leggi finanziarie del Mezzogiorno: in questa esposizione viene rimosso, cancellato!
Ne abbiamo già discusso nella scorsa legge finanziaria e sappiamo come, difatti, soltanto agli interessi bancari era affidata la progettualità nel Mezzogiorno; ne abbiamo discusso parlando, a luglio, del documento di programmazione economico-finanziaria in questa sede. Con le previsioni contenute nella legge finanziaria è chiarissimo che il Sud viene abbandonato a se stesso: vince una propensione ideologica leghista! L'abbandono del Mezzogiorno ha il significato di una sua trasformazione in zona franca; vi è un ruolo in qualche modo neocoloniale (certo, dentro uno sviluppo duale), un terreno di precarizzazione del mercato del lavoro e dell'erogazione stessa della forza lavoro, di proliferazione e di raddoppio di basi militari (un destino militarizzato per la sua posizione strategica nel Mediterraneo dentro la guerra preventiva), una megadiscarica e un megaincenerimento di rifiuti molto spesso tossici e nocivi, con il conseguente


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aumento per forza di cose - come ci dicono tutti i rapporti della Guardia di finanza in questi giorni - della connessione e dell'intreccio tra economia legale ed illegale, che sta raggiungendo un livello spaventoso tale da consolidare (parlano i numeri che citeremo anche nella discussione delle prossime settimane) un vero e proprio processo di accumulazione di una nuova borghesia mafiosa.
Per quanto riguarda i contratti del pubblico impiego - e siamo al quinto punto -, come si rinnoveranno con queste cifre?
Il Governo poi vanta una discesa dell'inflazione, ma tutti i dati statistici e scientifici dicono che l'inflazione cala in un contesto in cui è forte la caduta della domanda, il che indica che siamo entrati in un tunnel, in una fase recessiva e anche depressiva nella psicologia di massa (questo, ovviamente, incide sui parametri economici).
D'altra parte, il Governo vanta anche una diminuzione della disoccupazione, ma in intere aree del paese la caduta della speranza di occupazione spinge - come sappiamo, perlomeno in quattro regioni - a non iscriversi neppure più alle liste di collocamento, per cui si esce persino dalla statistica. Così come in quelle stesse regioni, e anche in altre parti del paese complessivamente (anche dove vi è una quasi piena occupazione), il computo avviene considerando l'erogazione di forza lavoro fortemente precarizzata, addirittura nomade, addirittura di pochi giorni l'anno, quindi una occupazione all'apice della precarietà.
Credo quindi che ci troviamo di fronte ad una legge finanziaria molto negativa sul piano sociale, recessiva sul piano macroeconomico e che rappresenta anche una occasione perduta.
Avremmo dovuto discutere delle politiche europee in questa legge finanziaria: noi lo faremo, ma il Governo si limita invece ad una operazione puramente contabile di tagli e stangate, come dicevamo prima.
Avremmo voluto discutere del patto di stabilità e vi era stato qualche accenno nella stessa discussione tra alcuni ministri all'interno del Governo, poi lasciata cadere. Avremmo voluto discutere, per esempio, delle politiche che la Francia e la Germania stanno portando avanti, ma lo faremo, temo, senza risposta da parte del Governo e senza interlocuzione. Quindi, credo che il tempo del programma delle opposizioni stringa. Anche su questo tenteremo un collegamento tra tutte le opposizioni per presentare insieme alcuni elementi di programma comune che oggi siano la base di un'opposizione dentro il conflitto sociale e domani di un Governo di alternativa dopo la sconfitta di Berlusconi e del «berlusconismo».
Quindi, in questa finanziaria tenteremo una seria elaborazione programmatica il più possibile comune di tutte le opposizioni, comunque dentro il conflitto sindacale e sociale (Applausi dei deputati del gruppo di Rifondazione comunista).

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Duilio. Ne ha facoltà.

LINO DUILIO. Signor Presidente, signor viceministro, avrei voluto dire anche signor ministro, ma come esordio non c'è male...

PRESIDENTE. Il ministro mi ha chiesto di potersi allontanare a causa di concomitanti, urgenti problemi di sua competenza. Con rispetto del Parlamento, lei sa che il viceministro lo rappresenta a pieno titolo e chiunque altro membro del Governo può essere presente. Non è uno sgarbo del ministro, che è torinese e non è mai sgarbato...

LUIGI OLIVIERI. Perché è torinese...

LINO DUILIO. Signor Presidente, ne prendo atto con piacere. Ovviamente, questa mia sottolineatura non era un atto di sottovalutazione della presenza dell'autorevole signor viceministro ma, trattandosi dell'esordio in Parlamento dell'esame della nota di aggiornamento e della manovra finanziaria che è stata presentata, forse i parlamentari, pur tenendo conto degli importanti


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impegni del ministro, avrebbero gradito anche la sua presenza. Comunque, avremo modo di confrontarci in aula con il ministro in altre occasioni. Vorrei brevemente soffermarmi sulla nota di aggiornamento, che, è stato detto, non presenta novità rispetto al DPEF per come ci è stato presentato nel frettoloso iter che abbiamo seguito alla fine di luglio, prima della chiusura estiva.
Non presentando molte novità - anzi, è stato detto nessuna -, potremmo ripetere pedissequamente quanto abbiamo detto per quanto riguarda il DPEF e il suo contenuto, in particolare per quel cambio che è stato definito operazione verità, che rappresenta, sia pure in via surrettizia, la conferma della bontà delle critiche che in questi anni l'opposizione ha rivolto alle manovre finanziarie che sono state presentate dal precedente ministro in questa sede. Del resto, lo stesso ministro poco fa, illustrando la manovra finanziaria, ha affermato che l'attendibilità delle previsioni che vengono fatte - ha detto testualmente «fare delle stime corrette» - è fondamentale per il governo del processo di finanza pubblica. Quando sostenevamo in questa sede che le stime che venivano fatte erano un po' creative, forse, avevamo una qualche ragione e, forse, anche per questo ci troviamo in questa situazione. Vorrei venire al merito della nota, soffermandomi innanzitutto sull'innovazione che, in termini molto enfatici, è stata presentata per quanto attiene al metodo e che ha determinato anche appassionate disquisizioni di ordine intellettuale sul fatto che sia un cambio vero rispetto al passato.
Non si agisce sul tendenziale ma in una logica incrementale - o, comunque, di variazione rispetto alla spesa storica -, come fanno gli inglesi e il cancelliere dello scacchiere. Potremmo accantonare questa esterofilia perché, come è stato autorevolmente suggerito in articolo sul Corriere della Sera del 21 agosto scorso dal professor Giarda, che è stato autorevole sottosegretario al tesoro, oltre che guardare all'estero forse qualche volta è bene guardare anche al passato.
Guardando al passato del nostro paese e, magari spulciando negli atti della Commissione tecnica per la spesa pubblica, che è stata proditoriamente smantellata, forse si potrebbe verificare che, già nel 1988, sulla base di un'idea - afferma il professor Giarda in quell'articolo - che fu sottoposta all'allora Governo De Mita, si tentò di fare esattamente la stessa cosa. Peraltro, con una celia intellettuale, il professor Giarda dice che l'idea gli era venuta da reminiscenze culturali, in quanto risaliva ad una prassi dell'Italia napoleonica, nella quale l'allora ministro Giuseppe Prina fu invitato probabilmente da Parigi a comportarsi - come adesso si dice - secondo quanto succede in Inghilterra.
Dico questo non tanto per fare disquisizioni intellettuali, ma per evidenziare che quell'esperienza che abbiamo cercato di realizzare nel nostro paese può essere molto utile sulla praticabilità ed efficacia dell'idea, ma poi ci costringerà tra un po' di tempo a prendere atto che non è poi così facile realizzare queste innovazioni.
Ovviamente, stiamo parlando di una innovazione interessante e con un intento lodevole, che sposta l'onere della prova delle spese sui singoli ministri. Peraltro, faccio presente che questa indicazione generale del tetto del 2 per cento è intrinsecamente ingiusta; infatti, ad esempio in Inghilterra non stabiliscono un tetto di spesa valido per tutti in quanto, una volta eliminate le eccezioni qui presentate, non mi sembra che si esamini caso per caso.
Dunque, ci troviamo di fronte al paradosso che, basandosi sulla spesa storica dell'anno precedente e aumentandola del 2 per cento, si premia chi è stato di manica larga e si punisce chi invece si è comportato virtuosamente nell'anno precedente (come si dice a Napoli: cornuti e mazziati!).
Chiaramente, riferirsi a un dato di spesa certo presenta anche l'ulteriore vantaggio di non affidarsi alla cabala previsiva di burocrati dei Ministeri e consente inoltre eccezioni rispetto alla regola da praticare caso per caso, assumendosene la responsabilità politica.


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Tuttavia, la realtà è che vi saranno moltissime difficoltà derivanti dalla vischiosità di alcune spese - come l'autorevole viceministro sa - in quanto, nello stesso Ministero dell'economia esistono spese che attengono a competenze di altri Ministeri e dunque occorrerà tagliare anche in quella sede. Infatti, negli ultimi anni, l'andamento della spesa corrente ha viaggiato attorno a percentuali medie del 5 per cento, il flusso dei trasferimento rispetto alle regioni e agli enti locali segue procedure che occorrerebbe rivisitare per ricondurle ad una trasparenza che consenta poi di agire con certezza di previsione e le stesse spese dello Stato si prestano con difficoltà a questa buona pratica.
Tra l'altro, ho letto nella tabella relativa alla nota di aggiornamento sul bilancio programmatico che la spesa corrente è prevista da 310 miliardi a 323 miliardi di euro, circa il 4,4 per cento in più. Quindi, vorrei che tale trend venisse spiegato meglio, anche per non ritrovarci nella situazione di ricorrere ad un nuovo decreto «tagliaspese». Tale decreto, peraltro, non è così utile, perché nella tabella di coperture previste per la legge finanziaria esiste una cifra non indifferente relativa alle «eccedenze di spese», che immagino essere voci tagliate con il decreto «tagliaspese» e che poi non si è riusciti ad evitare. Tali spese vanno allora coperte sotto questa specifica voce. Insomma, si tratta di giochini contabili.
Ho parlato di intento lodevole, però difficilmente praticabile a causa di numerose osservazioni, puntualmente sollevate dall'ex ministro Visco, in occasione di una lettera scritta ad un quotidiano nazionale lo scorso 15 settembre e ribadite in questi giorni. Lo stesso Presidente della Camera si è dimostrato sensibile a tali osservazione critiche, visto che sui giornali di oggi si osserva che in Italia, stante la legislazione vigente, le deroghe non possono essere concesse molto facilmente e, in ogni caso, ciò richiederebbe la formulazione di un bilancio per progetti, piuttosto che per stanziamenti. Inoltre, bisognerebbe eliminare le spese relative alle leggi già approvate e così via. Non intendo però dilungarmi ulteriormente su questo aspetto, anche perché il tempo a mia disposizione sta terminando.
Vorrei però aggiungere che questa innovazione, così enfaticamente presentata, pur essendo lodevole nelle intenzioni, rischia di restare, appunto, una buona intenzione e basta. La stessa buona intenzione riguarda il capitolo delle entrate; il ministro ha indicato il dato del 3,5 per cento - dato auspicabile, ma temo aleatorio - spiegando che la pressione fiscale rimarrà stabile, grazie all'incremento del PIL. Se però si analizza la tabella di copertura della legge finanziaria, vi troviamo l'assenza quasi totale di investimenti - come da tabelle B e tabella D -, l'aumento di entrate basate su questa previsione aleatoria e quasi 18 mila miliardi di vecchie lire relative a spese correnti (9.509 miliardi, oltre a 7.610 di nuove o maggiori spese correnti). Se volessimo fare retorica, diremmo che non ci sono nuovi investimenti, bensì tasse per finanziare spese correnti. Non voglio però cadere nella demagogia e allora voglio semplicemente affermare che l'aumento del 3,5 per cento risulta poco credibile. Non capisco, infatti, come si possa presentare una legge finanziaria che per magna pars contempla entrate relative a flussi assicurati da pratiche rispolverate senza grande originalità, quali il concordato triennale relativo agli anni Sessanta o l'introduzione di misure neppure simpatiche e già eliminate. Insomma, esiste un elevato grado di indeterminatezza che, a mio avviso, farà crescere la pressione fiscale.
In presenza di una situazione così precaria sul versante delle spese e su quello delle entrate, vorrei chiedere formalmente all'autorevole viceministro Baldassarri se norme così rilevanti in materia di sviluppo e di tasse saranno o meno introdotte con un provvedimento collegato alla legge finanziaria. A tale domanda il ministro si è limitato a rispondere evasivamente, rimandando alla presentazione di emendamenti. Il Parlamento ha, invece, diritto ad avere una risposta formale perché le procedure


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da seguire e le valutazioni da fare, in un caso o nell'altro, non sono esattamente le stesse.
È certo che sul piano sostanziale forse si sarebbe fatto meglio a procedere in maniera esattamente inversa; invece di iniziare dalle spese da tagliare con una procedura cosiddetta innovativa, forse sarebbe stato meglio partire dalla manovra per il progetto di sviluppo, individuando le risorse, immaginate per costruire il sentiero di crescita. L'Italia, infatti, come dicono le graduatorie, continua a regredire.
Sarebbe stato opportuno che ci fosse stato detto anche in cosa consiste questo ennesimo «miracolo italiano», che a nostro avviso continua ad essere il frutto di capacità di maghi e prestigiatori: infatti, in una situazione di bilancio come quella attuale e in assenza di sviluppo, si promette la riduzione delle tasse. Tuttavia, dal momento che, forse, la magia esiste, sarebbe il caso che si chiarisse come si intende fare ciò. Sarebbe, dunque, stato preferibile illustrare l'itinerario, peraltro non di breve periodo, che si intende seguire per far crescere il nostro paese. Ricordo lo slogan della campagna elettorale: l'Italia sta vivendo una situazione di declino, noi vi faremo passare dal declino allo sviluppo. Finora non abbiamo visto tale sviluppo, anzi siamo arretrati rispetto a tutti i parametri fondamentali. Comunque, al di là di tali aspetti, a mio avviso sarebbe stato di gran lunga preferibile che si fosse invertito il processo, parlando prima di sviluppo e di tasse e poi di tagli alle spese; ma così non è stato.
Dal momento che i problemi relativi allo sviluppo e alla finanza pubblica sono di tutti, e dovranno essere affrontati da chiunque vincerà le prossime elezioni, vi chiediamo di dare maggiore ascolto all'opposizione, ad esempio leggendo la relazione di minoranza al DPEF. Se proprio si vuole guardare all'estero, in Francia - si può fare riferimento anche a tale paese, non soltanto alla Gran Bretagna - sono stati adottati alcuni provvedimenti analoghi a quelli da noi indicati nelle osservazioni sul DPEF: il risultato è che oggi la Francia registra un incremento del PIL pari al 3 per cento, mentre l'Italia arranca intorno all'1 per cento. Non si possono ipotizzare comparazioni in presenza di situazioni diverse - si tratta di una regola di base, nota a tutti - ma ritengo che se si fosse tenuto conto delle nostre osservazioni fin dall'inizio della legislatura, quando venivano presentate in questa sede ed irrise, il problema si sarebbe avviato a soluzione.
La nota di aggiornamento conferma tutte le nostre perplessità ed auspichiamo che in sede di esame della legge finanziaria possano essere adottati provvedimenti utili per il nostro paese (Applausi dei deputati dei gruppi della Margherita, DL-L'Ulivo e dei Democratici di sinistra-L'Ulivo).

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Michele Ventura. Ne ha facoltà.

MICHELE VENTURA. Signor Presidente, abbiamo ascoltato con attenzione sia la replica del viceministro Baldassarri in sede di Commissione bilancio sia l'esposizione odierna della legge finanziaria e del DPEF da parte del ministro Siniscalco. Il ministro ha confermato oggi il modo gentile e garbato con cui illustra le sue opinioni, fornendo, nell'ambito di un ragionamento sorretto da tendenze e indicazioni internazionali, una verità che, a suo avviso, è quella e non può essere altro che quella.
Altrettanto garbatamente, opponiamo a tali considerazioni un altro tipo di ragionamento. Intendo partire dalle affermazioni iniziali del ministro Siniscalco, che hanno una relazione specifica e precisa con la nota di aggiornamento al documento di programmazione economico-finanziaria. In sede internazionale, si chiedono riforme. Il ministro Siniscalco ha affermato che l'Italia ha già adottato la riforma sulle pensioni, che, integrandosi con i provvedimenti assunti nel 1996, pone il nostro paese, da questo punto di vista, in una posizione di tranquillità. Egli, inoltre, ha insistito su quanto è stato fatto sul mercato del lavoro, affermando che anche


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in tale settore gran parte del programma è stato realizzato.
Vorrei pacatamente richiamare l'attenzione dei colleghi sull'esistenza di due problemi, riconosciuti come fondamentali anche dalla maggioranza e dal Governo: la ripresa del mercato interno e la competitività.
A mio avviso, dovremmo riflettere tutti insieme su alcuni aspetti. Ad esempio, in materia di mercato del lavoro (sulla quale era già intervenuto il Governo di centrosinistra) abbiamo avuto modo di contestare quanto da voi realizzato negli ultimi anni. Sicuramente alcuni milioni di giovani vivono il lavoro in condizioni di precarietà. Ebbene, la stabilizzazione di tale precarizzazione contrasta con la sicurezza della ripresa della domanda dei consumi interni: è del tutto evidente, infatti, che la precarizzazione, in quanto tale, determina una situazione di difficoltà e di incertezza.
Inoltre, sui temi riguardanti il mercato del lavoro, sicuramente non può decidere esclusivamente il Parlamento. Credo, però, che su questo tema sia necessaria un'ulteriore discussione. Alcuni colleghi spesso ci segnalano che fra i grandi paesi l'Italia è quello con i salari professionalizzati fra i più bassi in Europa. Abbiamo quindi precarizzazione e salari bassi.
Leggendo la corrispondenza di Rampini dalla Cina sembrerebbe che l'Italia non esista! Il nostro paese si trova al ventitreesimo posto in un mercato che apre non solo ai rischi ma anche a prospettive straordinarie. Quando si legge che nei prossimi dieci anni in quel paese è stato programmato un aumento di dieci milioni di autovetture all'anno, ci si rende conto della dimensione delle dinamiche di quel mercato. Signor viceministro, come pensiamo di poter restare in quel mercato se non incrementando la nostra competitività? Non si può giocare solo al ribasso su margini ormai consumati, cui non si può ovviare esclusivamente con la flessibilità e il mantenimento di salari bassi. Dobbiamo rispondere a tali sfide su un piano sicuramente più avanzato e alto, come avviene per altri paesi.
Credo, pertanto, che all'orizzonte dovremmo porci queste tematiche, ragionando meno propagandisticamente. So benissimo che non è semplice sciogliere questi nodi, dovremo, però, averli come punto di riferimento per le nostre iniziative.
Vorrei ora affrontare la manovra, riferendomi ai tre documenti presentati: DPEF, relazione previsionale e programmatica e legge finanziaria. Avete presentato il complesso di questi provvedimenti sostenendo, sostanzialmente, che non si introdurranno tagli né nuove tasse e che vi sono garanzie, addirittura, sull'abbattimento della pressione fiscale e su una nuova politica degli investimenti. Un miracolo!
Vorrei ricordare che il ministro Siniscalco, nel luglio scorso, in occasione dell'approvazione della «manovrina» da 7, 5 miliardi di euro, affermò che una misura di quel tipo avrebbe comportato la perdita di almeno due decimi di punto percentuale di crescita del PIL: dall'1,4 all'1,2 per cento. Dovrete allora spiegarci come pensate sia possibile che un manovra quale quella ora in esame, che ammonta a circa 24 miliardi di euro (probabilmente non addirittura sufficienti e saranno necessarie misure più consistenti) non abbia effetti recessivi.
Questa è la questione dalla quale non si sfugge; infatti, è vero - signor viceministro - che facciamo una discussione in assenza di un documento al quale attribuite molta importanza, cioè quello sullo sviluppo, ma non si intravedono le risorse.
La finanziaria ha un taglio estremamente restrittivo, un taglio di rientro, ovviamente, per quello che è accaduto nei conti pubblici, che sono andati fuori controllo e sui quali siete stati obbligati ad intervenire, prima con quell'intervento a luglio ed oggi impostando la finanziaria 2005 falcidiando gli investimenti già previsti nella finanziaria 2004 e con una operazione che sembra la « bacchetta magica» di questo 2 per cento, tirando in ballo mister Gordon Brown, ma annacquandolo in una salsa tipicamente italiana.


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Gli inglesi, però, sono noti nel mondo per il rigore delle loro impostazioni, mentre noi siamo di fronte ad una manovra basata su un 2 per cento su tutti i capitoli di spesa, tolte le pensioni, la spesa sociali - questioni sulle quali, ho visto, torna oggi in una dichiarazione anche il viceministro Baldassarri. Ripeto, quel 2 per cento riguarda - ci ricorda sempre il viceministro - 8 mila capitoli di spesa, quindi quasi tutte le unità previsionali di base, stando ad una dichiarazione ripresa da una agenzia di stampa.
È possibile, quindi - la questione che abbiamo sollevato non è una questione da niente - che non si sappia esattamente se sia stato seguito un criterio? Per esempio, il ministro Moratti afferma che per la scuola ciò non è vero. Abbiamo quindi chiesto di avere una precisa indicazione circa i limiti norma per norma e trasferimento per trasferimento, che è la condizione per avere un quadro di riferimento certo di quello che accadrà nella legge finanziaria.
Diversamente questo 2 per cento si presenta effettivamente come «illusionismo contabile»: infatti, a fronte di una manovra di 24 mila miliardi, viene fuori che non si fa alcun taglio alla spesa e che non si prevedono entrate che, in qualche maniera, siano chiaramente indicate come aumento della pressione fiscale.
Su questo - signor viceministro - continueremo a chiedere chiarezza perché anche la nota di aggiornamento che fa riferimento a quel 2 per cento non chiarisce assolutamente niente.
Sono d'accordo con quanto detto poco fa dall'onorevole Duilio; infatti, è ben strano che si faccia un intervento - tolti i settori indicati che, quindi, hanno una percentuale superiore - senza indicare alcun elemento prioritario. In una situazione dove ci sarebbe bisogno di scelte coraggiose per alimentare competitività e ripresa dei consumi interni, non c'è nessuna indicazione di una qualche priorità: è questo che noi vi continuiamo a chiedere.
C'è un altro punto sul quale credo che il Parlamento debba fare chiarezza; infatti, non è vero che non aumenta la pressione fiscale, come si può evincere da vari campi di intervento che riguardano nuove tasse o aumenti, tra cui la Tarsu e l'addizionale IRPEF regionale e comunale.
In questo caso, dovrebbe essere chiarito se vi è l'intenzione di rivedere il patto di stabilità interno, basato sulla spesa; infatti, se non cambia tale patto, la spesa diventa una facoltà inapplicabile soprattutto per i comuni. Inoltre, si prevedono addizionali superiori IRPEF regionale e comunale, l'aumento dal 3 al 10 per cento delle ritenute sulle vincite al gioco del Lotto, le accise sui tabacchi, il bollo per atti giudiziari, l'aumento dell'ICI tramite rivalutazione estimi catastali, la minimum tax per gli autonomi, derivante dal combinato disposto della pianificazione fiscale concordata triennale per imprenditori, artigiani e professionisti e divisione degli studi di settore sulla base di dati ISTAT (una nota che ho letto poco quantifica per il 2005 in 3 miliardi e 800 milioni l'incremento maggiore per tali categorie; si aggiunge, dunque, tale pressione). Cito, infine, la polizza obbligatoria sulla casa contro le calamità (ha le caratteristiche di una tassa di scopo, ma è un'imposta) ed i nuovi pedaggi autostradali; tale iniziativa riguarderà l'autostrada in direzione dell'aeroporto di Fiumicino, le tratte Palermo-Catania e Palermo-Mazara del Vallo; anche in questo caso si prevede un aumento consistente delle entrate.
Signor Presidente, a fronte di tutto questo, vi è un'assoluta assenza di interventi per il Mezzogiorno, vale a dire la zona del paese più colpita; non vi è un'indicazione sugli interventi nell'ambito della ricerca e dell'innovazione e si registra una situazione drammatica per gli enti locali. Questi settori fondamentali, dunque, sono messi in uno stato di grandissima sofferenza.
Signor viceministro, sono rimasto colpito (e non sembri una cosa di poco conto) da una frase contenuta nel disegno di legge finanziaria e, in particolare, in un piccolo comma (non so perché sia finito tre le pieghe della legge finanziaria) che provoca sconforto e sgomento mentre parliamo


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di formazione ed innovazione, non solo per la ricaduta che avrà sull'istruzione dei giovani, ma anche perché da un'idea del conto in cui tenete ciò che rappresenta il futuro del nostro paese e dei nostri giovani. Il comma stabilisce che i libri di testo devono sviluppare esclusivamente i contenuti essenziali del piano di studio. Siamo all'istituzionalizzazione del vecchio Bignami...

PRESIDENTE. Era un'istituzione...!

MICHELE VENTURA. Sì, come quando, nelle facoltà di economia, di fronte ad un libro di storia economica di Fanfani, vi era il «Fanfanino» e tutti, ovviamente, leggevano quest'ultimo. Dobbiamo assecondare la crescita, la curiosità dei giovani, la loro formazione e se c'è una cosa che manca in questa legge finanziaria e nel dibattito è il coraggio di intervenire in modo più deciso per le aspettative dei giovani. Mi riferisco anche all'ingessamento dello Stato sociale. Dovremmo scommettere di più sul futuro. Questa è la sfida che cercheremo di lanciarvi durante l'esame del disegno di legge finanziaria (Applausi dei deputati dei gruppi dei Democratici di sinistra-L'Ulivo e della Margherita, DL-L'Ulivo).

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