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VINCENZO CANELLI. Signor Presidente, onorevoli colleghi, il presente provvedimento, recante interventi urgenti per il contenimento della spesa pubblica, dà attuazione agli impegni assunti in sede Ecofin dal Presidente del Consiglio dei ministri.
Il totale delle misure approvate corrisponde, in termini di minore indebitamento netto delle pubbliche amministrazioni, all'importo di 5,5 miliardi di euro.
Il provvedimento dà anche esecuzione alla sentenza della Corte costituzionale in materia di definizione agevolata di illeciti edilizi.
Il testo consta di sei articoli. L'articolo 1, commi 1, 2 e 3, interviene in materia di incentivi alle imprese e di utilizzo dei fondi nazionali e regionali.
Si riducono, per l'anno 2004, le risorse stanziate per la concessione di un ulteriore credito di imposta per le assunzioni effettuate nel Mezzogiorno (per un ammontare di 150 milioni di euro); mentre le risorse destinate alle politiche regionali (100 milioni di euro) al finanziamento della legge n. 488 del 1992 (750 milioni di euro) ed altri provvedimenti (250 milioni di euro) vengono ridotte per complessivi 1.100 milioni di euro. Si arriva quindi ad un totale di 1.250 milioni di riduzione degli incentivi agli investimenti e allo sviluppo dell'occupazione.
Queste misure colpiscono pesantemente le imprese che operano nel sud d'Italia.
La relazione di accompagnamento al decreto afferma che la «decurtazione delle risorse non pregiudicherebbe la operatività dei programmi in essere» in quanto si sarebbe registrato un più ridotto interesse, da parte degli imprenditori, nei confronti delle misure di sostegno di cui discutiamo (credito di imposta per le assunzioni nel Mezzogiorno e legge n. 488 del 1992).
Il rappresentante della Confindustria, nel corso dell'audizione tenuta presso la Commissione bilancio, ha invece affermato: «È da escludere che l'esistenza di revoche dipenda da un ridotto interesse da parte degli imprenditori. Basti pensare che in relazione all'ultimo bando della legge n. 488 del 1992 sono state presentate oltre novemila domande, con richieste di agevolazioni per circa 9 milioni di euro, a fronte di disponibilità per circa 1,3».
È evidente che occorre verificare se vi è effettivamente un ridotto interesse per tali strumenti e, in caso affermativo, se tale ridotto interesse sia attribuibile alla fase ciclica della nostra economia ovvero se non discenda dalla parziale obsolescenza degli strumenti; oppure se si deve procedere solo ad un riordino degli incentivi per renderli più efficienti, più efficaci, più mirati.
Sia nell'una che nell'altra ipotesi, bisognerà prendere delle decisioni nell'ambito della manovra economico-finanziaria.
I commi 4, 5, 6, 8, 9 e 10 dell'articolo recano una serie di interventi di riduzione di autorizzazione di spesa, i cui importi sono dettagliatamente indicati nella tabella 1 allegata al testo del provvedimento.
Analoghe misure di contenimento della spesa relativa all'acquisto di beni e servizi sono previste con riferimento alle regioni a statuto ordinario, alle province ed ai comuni.
I numerosi rappresentanti di regioni, province e comuni hanno evidenziato che le misure di contenimento della spesa previste dal provvedimento possono pregiudicare l'ordinato svolgimento delle funzioni di rispettiva competenza. La Commissione bilancio si è fatta carico dei rilievi emersi apportando al testo alcune modifiche volte a tutelare i comuni più piccoli, quelli montani e quelli virtuosi che hanno rispettato il patto di stabilità interno nel 2003 e fino al 30 giugno 2004.
L'articolo 2 reca una serie di disposizioni di carattere fiscale finalizzate essenzialmente all'acquisizione di maggiori entrate. L'effetto atteso in termini di cassa è di 1.300 milioni di euro. I commi 2 e 3 prevedono un aggravio della tassazione a titolo di IRAP per le banche e gli altri enti o società finanziari pari a 370 milioni di euro. Tale maggior onere potrebbe essere trasferito alla clientela.
La riduzione della misura della agevolazione fiscale attribuita a titolo di imposte dirette, incide, in particolare, sulla tassazione delle fondazioni bancarie.
L'ingente disponibilità risultante a bilancio delle fondazioni e l'ingente consistenza dei relativi patrimoni garantiscono la piena sostenibilità delle misure previste senza pregiudizio, da parte delle medesime fondazioni, per le finalità istituzionali.
Durante gli incontri avuti in Commissione bilancio qualcuno ha fatto riferimento alla manovra da 45 milioni di euro (90 mila miliardi delle vecchie lire) realizzata nel 1992. L'accostamento è improprio sia per il quantum della manovra che per le cause che la determinano. La più grave fu allora, con l'improvvisa decisione del Presidente del Consiglio pro tempore Amato, di difendere ad ogni costo una parità del cambio della lira, che era insostenibile.
In soli tre giorni furono bruciati oltre 20 milioni di euro (40 mila miliardi di vecchie lire).
La manovra che oggi approviamo, pari allo 0,50 per cento del PIL, mira a mantenere il rapporto deficit/PIL al di sotto della soglia del 3 per cento.
Le cause che hanno reso necessaria la manovra sono note a tutti noi e sono comuni ai paesi vecchi e nuovi dell'Unione europea.
Il gruppo di Alleanza nazionale, nell'esprimere il voto a favore sul provvedimento, si augura un maggior dialogo con le parti sociali al fine di poter organizzare i necessari interventi sulla finanza pubblica in una prospettiva pluriennale.
ANTONIO GIUSEPPE MARIA VERRO. Il decreto-legge al nostro esame reca interventi che complessivamente migliorano il saldo delle amministrazioni pubbliche di 5,5 miliardi di euro e che permettono di mantenere, con riferimento al 2004, il disavanzo al di sotto della soglia del 3 per cento del PIL.
Con questo intervento si dà attuazione agli impegni assunti dal Presidente del Consiglio di fronte all'Ecofin e si garantisce il pieno rispetto da parte del nostro Paese delle regole del Patto di stabilità. Un Patto, che, comunque, come ormai è convinzione generale, deve essere ripensato. Il Presidente Prodi, tempo fa, lo aveva definito stupido. La Commissione da lui presieduta, tuttavia, non ha fatto niente per rivederlo, anzi ha continuato a richiederne un'applicazione puntigliosa.
Ma la crisi del Patto di stabilità è nei fatti. Di fronte a una fase prolungata di rallentamento dell'economia, i due principali paesi dell'area dell'euro, Germania e Francia, già nel 2002 presentavano un deficit notevolmente superiore al livello del 3 per cento del PIL e senza dubbio lo manterranno al di sopra di questo valore anche per il 2004. Alla fine del 2003, ben cinque paesi dell'Europa dei quindici e ben undici paesi dell'Europa dei venticinque hanno registrato un disavanzo superiore al 3 per cento.
Ci auguriamo che la nuova Commissione europea, che si insedierà a novembre, sappia farsi interprete della posizione condivisa dalla generalità degli Stati membri e sappia proporre miglioramenti delle regole del Patto, che finalmente ne facciano uno strumento intelligente: intendo dire una guida per la politica di bilancio degli Stati membri, che, nelle situazioni di congiuntura sfavorevole, aiuti gli interventi a sostegno dello sviluppo, anziché ostacolarne l'attuazione.
Non è possibile limitarsi a considerare il semplice dato numerico del disavanzo. Occorre valutare i contenuti delle politiche economiche perseguite dai singoli Governi e premiare quegli interventi, anche di spesa, o di riduzione del carico fiscale, che permettano di rafforzare le potenzialità di crescita dell'economia del paese.
Comunque, anche in un'ottica (seppur limitata e non condivisibile) che considera solo il dato del disavanzo, il confronto con la situazione dei paesi che ho sopra richiamato, attesta la sostanziale tenuta dei conti pubblici italiani.
Lo ha riconosciuto il Consiglio Ecofin, che all'unanimità ha deciso di non adottare l'allarme preventivo nei confronti dell'Italia, proposto dalla Commissione.
Per questo si rivelano del tutto eccessivi e pretestuosi i toni allarmistici che si sono ascoltati in diversi interventi dei colleghi dell'opposizione, che hanno parlato di conti fuori controllo. È vero esattamente il contrario: il Governo ha saputo, in un contesto economico internazionale difficile, mantenere sostanzialmente in equilibrio i conti pubblici.
Di fronte ad un aumento delle voci di spesa corrente al netto degli interessi, che ha riguardato non soltanto lo Stato, ma tutte le amministrazioni pubbliche, e del quale i documenti presentati dal Governo - da ultimo la relazione trimestrale di cassa - hanno dato puntualmente conto, il decreto-legge opera un deciso intervento di contenimento, intervenendo, in particolare, sulla spesa per consumi intermedi che nel 2003, a livello generale di amministrazioni pubbliche, ha registrato un aumento del 6 per cento, nettamente superiore al tasso di inflazione.
È palesemente contraddittorio, come sembra fare l'opposizione, lamentare continuamente l'incremento delle spese correnti o il deterioramento del saldo corrente e del saldo primario e, per altro verso, respingere un intervento che riduce in misura incisiva gli stanziamenti relativi alle spese suddette.
Al contrario, non soltanto le finalità del provvedimento al nostro esame mi sembrano condivisibili, ma, da un'analisi imparziale, emerge anche un generale equilibrio in relazione alle modalità con cui queste finalità sono perseguite.
Non è facile individuare misure che permettano risparmi di spesa o maggiori entrate, poiché in ogni caso si solleverà il dissenso dei soggetti e delle categorie che quelle misure vanno a colpire.
Gli interventi contenuti nel decreto-legge si traducono, in ampia misura, in riduzioni di spese e, in misura più ridotta, in maggiori entrate tributarie.
Riguardo alla spesa corrente, ho già indicato il punto essenziale. Dal momento
che la spesa per il personale risulta, nel breve termine, sostanzialmente incomprimibile, gli acquisti di beni e servizi da parte delle amministrazioni pubbliche e i trasferimenti sono le sole categorie rilevanti sulle quali si possa agire. Per quanto riguarda in particolare i beni e servizi, l'intervento risulta giustificato in considerazione dei significativi tassi di aumento che, come attestano i dati sopra richiamati, tali spese hanno di recente registrato.
Per quanto concerne le spese per investimento, occorre tenere presente che le risorse ad esse destinate risultano considerevolmente superiori agli interventi che possono essere attuati nel corso dell'esercizio. Alla fine dell'esercizio, vengono conservate in bilancio, sotto forma di residui di stanziamento, notevolissimi importi non ancora impegnati. Le riduzioni effettuate con il decreto al nostro esame, pertanto, solo in parte limitata si traducono in effettivi minori investimenti, mentre in generale comportano una diversa distribuzione nel tempo delle opere da realizzare, che in ogni caso si sarebbe verificata.
Considerazioni fondamentalmente analoghe valgono anche per la riduzione degli incentivi alle imprese. I rapporti più recenti e, da ultimo, in Commissione bilancio, l'audizione molto interessante del capo del Dipartimento per le politiche di sviluppo, dottor Barca, hanno mostrato che le somme effettivamente utilizzate dalle imprese, anche a causa di una prolungata congiuntura sfavorevole, sono solo una frazione degli stanziamenti destinati agli incentivi nelle aree sottoutilizzate.
In relazione alle entrate, le misure contenute nel decreto-legge non vanno a colpire la generalità dei contribuenti, ma si indirizzano su settori circoscritti, che in un contesto segnato da molti elementi problematici, presentano una situazione di minore difficoltà. Anche gli ulteriori interventi in materia di tassazione degli immobili recati nell'emendamento su cui il Governo ha posto la fiducia, comunque non riguardano la casa di prima abitazione.
Insieme a interventi rivolti ad esplicare effetti diretti al miglioramento del saldo, il decreto-legge contiene alcune disposizioni con le quali si favorisce il conseguimento dei risparmi di spesa previsti per le amministrazioni dello Stato e per le altre amministrazioni pubbliche. Tra queste disposizioni assume un certo rilievo il parziale ripristino del sistema di acquisti di beni e servizi attraverso le convenzioni stipulate dalla Consip.
Altre previsioni del decreto-legge, contenute nell'articolo 3, disciplinano alcuni specifici aspetti della finanza regionale. Si tratta di questioni neutrali ai fini della determinazione dei saldi, ma senza dubbio rilevanti, quali la facoltà per le regioni di finanziare contributi agli investimenti a favore di soggetti privati attraverso l'indebitamento e la ridefinizione dei tempi con i quali saranno determinate le aliquote e le compartecipazione delle imposte che, in base al decreto legislativo n. 56, sostituiranno i trasferimenti erariali. Al tempo stesso viene prorogata al 2004 la disciplina del fondo di garanzia destinato a compensare le minori entrate derivanti dalle compartecipazioni ai tributi erariali. Merita osservare che l'articolo 3 del decreto-legge raccoglie testualmente proposte avanzate dalla Conferenza dei presidenti delle regioni e delle province autonome.
Gli ulteriori contenuti del decreto-legge riguardano due specifici aspetti, che già costituivano parti significative della manovra per il 2004.
In primo luogo, viene rivista in alcune parti la disciplina concernente la costituzione di fondi di investimento immobiliare con apporto di beni pubblici, in modo da rendere operativo uno strumento che può effettivamente facilitare le dismissioni di immobili, permettendone la realizzazione già nel corso dell'esercizio 2004.
In secondo luogo, viene data attuazione alla sentenza della Corte costituzionale relativa alla disciplina del condono edilizio, assicurando in particolare termini adeguati per la definizione della normativa regionale.
Nel corso dell'esame presso la Commissione bilancio sono state apportate al
decreto-legge alcune modifiche che ne hanno migliorato il contenuto, anche in accoglimento di osservazioni che erano state sollevate in fase istruttoria e più ampiamente nel dibattito pubblico.
Le modifiche introdotte dalla Commissione hanno interessato in particolare le disposizioni che interessano gli enti locali, che hanno rappresentato una delle parti del provvedimento oggetto di più vivace polemica. La questione è già stata illustrata con molta efficacia dal relatore, presidente Giorgetti, che ha mostrato come, a seguito delle modifiche della Commissione, i vincoli sulle spese per acquisto di beni e servizi assumono una finalità premiale o sanzionatoria, che contribuisce all'effettivo rispetto delle regole del patto. Attenzione particolare è stata altresì rivolta ai comuni di piccole dimensioni e ai comuni montani.
Altre modifiche introdotte dalla Commissione hanno escluso o limitato dalla decurtazione degli stanziamenti una serie di leggi di spesa relative ad interventi di carattere locale. Infine, intervenendo ancora in materia di condono edilizio, è stato assicurato un regime di certezza, in nome del principio di affidamento, per le domande di adesione presentate prima della sentenza della Corte costituzionale.
L'emendamento sostitutivo, su cui il Governo ha posto la fiducia, recepisce in modo pressoché integrale le modifiche approvate dalla Commissione.
Sono, inoltre, garantiti stanziamenti adeguati a far fronte alle esigenze di funzionamento dei servizi della difesa e alle esigenze infrastrutturali e di investimento delle Forze armate.
Uno stanziamento di 110 milioni di euro è destinato ai comuni per permettere l'erogazione a famiglie in condizioni disagiate di contributi per il pagamento dei canoni di affitto.
In conclusione, effettuare una manovra per migliorare i saldi di finanza pubblica non è agevole e senza dubbio non è popolare. Si è costretti inevitabilmente a ridurre risorse che già erano state destinate a specifici interventi o ad intensificare forme di prelievo.
Nel caso del provvedimento al nostro esame, tuttavia, occorre riconoscere che le misure individuate non penalizzano la generalità dei cittadini e dei contribuenti e che sono ispirate da un fondamentale principio di equità, in modo da ridurre al minimo i costi sociali della manovra.
Al tempo stesso, con gli interventi contenuti in questo decreto- legge viene assicurata una condizione di buon ordine e di controllo delle finanze pubbliche che, rimuovendo i rischi di sforamento delle spese, permetterà in breve tempo, già nella manovra di autunno, di adottare misure di ampia portata e di effetto generale a sostegno del rilancio dell'economia del nostro paese, in particolare attraverso una riduzione del livello di imposizione.
Il decreto-legge è soltanto il primo, necessario atto per preparare le condizioni per un incisivo intervento di impulso alla crescita che il Governo, con la partecipazione di tutte le forze politiche che compongono la maggioranza e attraverso il confronto con le parti sociali, si appresta a definire.
Rispetto agli interventi di sviluppo e di rilancio, in cui troverà espressione la politica economica e finanziaria del Governo e della maggioranza, il provvedimento al nostro esame ha una funzione strumentale.
Per questo, nonostante i profili problematici che sono emersi in relazione ad alcune delle misure adottate, esprimo, a nome di Forza Italia, il nostro convinto assenso al provvedimento.
SERGIO ROSSI. Signor Presidente, signori rappresentanti del Governo, onorevoli colleghi, la Lega Nord Federazione Padana non è soddisfatta dei contenuti di questo provvedimento perché in parte non rispecchiano le linee politiche in materia economica che la Casa delle libertà si era prefissata.
Innanzitutto, rammentiamo che l'adozione del decreto fu motivo di acceso scontro fra il «dimissionato» ministro Tremonti ed il Vicepremier onorevole Fini.
Era una questione di metodo quella sollevata dal Vicepremier, che evidentemente
sottintendeva anche una questione di contenuti.
In nome di una mancata collegialità nella predisposizione di questa manovra-bis, necessaria per contenere il deficit nel limite del 3 per cento imposto dai parametri di Maastricht, era stata minacciata una crisi di Governo.
Ieri il Governo, su spinta del partito della spesa, senza una adeguata consultazione degli altri partiti della maggioranza, ha fatto presentare un maxi-emendamento, che modifica profondamente nella sostanza il decreto-legge in conversione.
Da paladino della collegialità il Vicepremier si è trasformato in affossatore della collegialità facendo emergere il peggior lato del partito della spesa.
Da una attenta politica dei tagli alle spese del ministro Tremonti, siamo tornati alla spesa allegra: la situazione è dunque peggiorata.
Ed ora veniamo ai contenuti: mentre nei giorni passati si è parlato moltissimo del progetto di riduzione delle tasse promesso dalla Casa delle libertà agli elettori nel 2001, ora ci viene proposto l'aumento delle imposte sulla compravendita delle seconde case e sull'accensione dei mutui nonché l'aumento dei bolli, per un maggior gettito complessivo di 553,5 milioni di euro.
La Lega Nord Federazione Padana si dissocia da questa operazione in quanto è volta a finanziare maggiori spese che non erano state concordate.
Se si vuole veramente procedere sulla strada della diminuzione delle imposte è necessario tagliare le spese.
Anche laddove risultasse necessario incrementare le risorse, come nel caso del Fondo di solidarietà nazionale per il sostegno all'accesso alle abitazioni in locazione, la strada da seguire non è quella dell'incremento delle entrare ma del taglio di altre spese ritenute meno importanti.
Di spese assistenzialistiche da tagliare ce ne sono tantissime ed occorre avere il coraggio di iniziare da lì.
Mesi fa Alleanza nazionale ha voluto svendere ai romani il patrimonio immobiliare pubblico creando un buco di 2 mila miliardi di vecchie lire. Oggi, per coprire anche quel buco, Alleanza nazionale ci prospetta l'aumento delle tasse.
Avevamo criticato i governi di centrosinistra perché davano assistenzialismo con la mano sinistra e prendevano risorse dalle tasche dei cittadini con la mano destra, ed ora noi facciamo esattamente la stessa operazione.
Non siamo soddisfatti neppure per quanto riguarda l'obbligo per gli enti locali di ricorrere alla Consip per gli acquisti di beni e servizi.
Questa procedura ha dimostrato non solo di danneggiare fortemente le economie delle piccole comunità (da qui la nostra richiesta, poi accolta, di escludere i piccoli comuni), ma anche di non conseguire affatto i risparmi auspicati.
Molte volte la qualità dei prodotti e servizi offerti dalla Consip è scadente; le procedure di appalto della stessa società Consip, a volte al limite della legalità, hanno già offerto molti spunti di critica.
È opportuno che la Consip torni a svolgere esclusivamente il ruolo di osservatorio dei prezzi e di consulenza agli enti pubblici sui parametri prezzi-qualità dei prodotti.
In conclusione, questo provvedimento sarà approvato solo perché vi è la necessità del urgenza di questa manovra-bis, augurandoci da domani una decisiva svolta nei metodi e nei contenuti dei provvedimenti d'iniziativa governativa, coerenti con il programma elettorale della Casa delle libertà.
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