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PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca la discussione del disegno di legge, già approvato dal Senato: Conversione in legge, con modificazioni, del decreto-legge 4 giugno 2004, n. 144, recante differimento della disciplina sulla qualità delle acque di balneazione.
PRESIDENTE. Dichiaro aperta la discussione sulle linee generali.
Avverto che il presidente del gruppo parlamentare dei Democratici di sinistra-L'Ulivo ne ha chiesto l'ampliamento senza limitazioni nelle iscrizioni a parlare, ai sensi dell'articolo 83, comma 2, del regolamento.
Avverto altresì che le Commissioni VIII (Ambiente) e XII (Affari sociali) si intendono autorizzate a riferire oralmente.
Il relatore per la VIII Commissione, onorevole Mereu, ha facoltà di svolgere la relazione.
ANTONIO MEREU, Relatore per la VIII Commissione. Signor Presidente, signor sottosegretario, onorevoli colleghi, le Commissioni VIII e XII, al termine dell'esame in sede referente, propongono all'Assemblea l'approvazione del provvedimento in titolo, il quale, anche a seguito di alcune integrazioni apportate nel corso dell'esame al Senato, reca disposizioni in materia di disciplina della qualità delle acque di balneazione, di misure per l'adeguamento dei sistemi di depurazione delle acque reflue e di scarichi al suolo.
Come già detto in sede di Commissioni riunite, l'originario testo del decreto-legge n. 144 del 2004, al comma 1 dell'articolo 1 reca la consueta proroga della disposizione di cui al decreto-legge 13 aprile 1993, n. 109, convertito, con modificazioni, dalla legge 12 giugno 1993, n. 185, che attribuiva alle regioni la facoltà di adottare, ai fini del giudizio di idoneità delle acque di balneazione, limiti più permissivi per il parametro ossigeno disciolto rispetto a quelli indicati nel decreto del Presidente della Repubblica 8 giugno 1982, n. 470, a condizione che il superamento dei valori limite fissati per il predetto parametro dipendesse esclusivamente dal fenomeno dell'eutrofizzazione e subordinatamente all'adozione di un programma di sorveglianza per la rilevazione di alghe aventi possibili implicazioni igienico-sanitarie.
Con il presente decreto-legge dunque, stante il persistere del fenomeno eutrofico in diverse zone costiere del paese, il Governo intende mantenere operante la validità della disciplina derogatoria, prevista dal citato decreto-legge n. 109 del 1993, da ultimo prorogata con il decreto-legge 10 maggio 2002, n.92, convertito con modificazioni dalla legge 11 luglio 2002, n.140, che ha differito il termine al 31 dicembre 2003.
Considerato, infatti, che alcuni tratti di costa italiana risultano tuttora interessati dal fenomeno della eutrofizzazione, si è ritenuto opportuno prorogare fino al 31 dicembre 2006 la deroga ai limiti del parametro ossigeno disciolto, anche al fine di evitare ovvie conseguenze negative sull'economia turistica del nostro paese. Al riguardo, occorre preliminarmente osservare che tale disciplina, sia pur basata su continue proroghe, susseguitesi negli anni, non è mai stata contestata dalla Commissione europea, in quanto le norme comunitarie non prescrivono valori limiti di ossigeno disciolto nelle acque di balneazione.
Si rileva inoltre che, come segnalato anche nella relazione di accompagnamento presentata dal Governo al disegno di legge al Senato, è in fase di redazione in sede europea una nuova proposta di direttiva sulle acque di balneazione, che non prevede l'ossigeno come parametro utile ai fini della balneabilità.
Sempre restando nell'ambito delle disposizioni contenute nel testo originario, si rileva inoltre che, con il comma 2 dell'articolo 1 e con il successivo comma 3, viene introdotta una disciplina che sembrerebbe avere un nesso solo indiretto con la materia delle acque di balneazione, nonostante la formulazione letteraria proponga invece una connessione con il comma 1.
Infatti, viene disposto un obbligo di integrazione degli atti di approvazione o adeguamento dei piani di ambito con misure di adeguamento dei sistemi di collettamento e depurazione, volti a rendere le acque reflue idonee al riutilizzo e conformi agli obiettivi di qualità, di cui al decreto legislativo 11 maggio 1999, n.152, ed al rispetto delle prescrizioni comunitarie in materia.
Il comma 3 dell'articolo 1 prevede poi che, al fine di verificare le misure previste dal comma 2, tutti i piani siano trasmessi al Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio entro sessanta giorni dalla data di entrata in vigore del decreto-legge in esame. Le stesse misure devono essere contenute nei piani di tutela che le regioni approvano e trasmettono entro il 31 dicembre 2004 al medesimo ministero.
Si tratta di disposizioni di particolare interesse per quanto riguarda le competenze della VIII Commissione, poiché, al di là delle connessioni con la normativa in materia di acque di balneazione, sembrano in realtà finalizzate a far fronte alle
procedure di infrazione comunitaria a carico dell'Italia in tema di adeguamento di scarichi. Per tali motivi, le disposizioni di cui ai commi 2 e 3 dell'articolo 1, caratterizzate da particolare urgenza, hanno una rilevanza che travalica la contingenza della stagione balneare e che dovrebbe trovare un accoglimento di favore da parte del Parlamento, anche in considerazione degli sforzi già fatti per adeguare la rete di depurazione italiana, come ad esempio nel caso del depuratore di Milano.
Si osserva poi che durante l'esame al Senato sono stati inseriti nel testo del decreto-legge in primo luogo quattro commi aggiuntivi, dal 3-bis al 3-quinquies, che contengono una disciplina speciale e derogatoria sugli scarichi di acque meteoriche di dilavamento recapitanti nella laguna di Venezia.
La finalità della norma è ricavabile dal comma 3-bis e sembra essere sostanzialmente quella di sottrarre alcuni scarichi, che non contengono sostanze pericolose, dall'obbligo di autorizzazione, alla quale sono oggi sottoposti sulla base del decreto legislativo n. 152 del 1999 e della disciplina speciale sugli scarichi nella laguna di Venezia, trattandosi nello specifico di distinguere le cosiddette acque meteoriche di dilavamento su superfici impermeabili, che non contengono alcun tipo di sostanza pericolosa, dalle restanti acque derivanti da attività produttive.
Infine, il Senato ha anche aggiunto un periodo, al comma 2 dell'articolo 1, con cui si dispone un'ulteriore proroga dei termini di adeguamento degli scarichi esistenti, ancorché non autorizzati, alle disposizioni di cui al decreto legislativo n. 152 del 1999, la cosiddetta direttiva delle acque.
Anche in questo caso, si tratta di un termine già prorogato in più occasioni, in ordine al quale molti operatori del settore hanno prospettato l'esigenza di un ulteriore differimento, stante la necessità di disporre di congrui tempi tecnici per adeguare gli scarichi esistenti alla nuova normativa.
Con riferimento ai lavori svoltisi presso le Commissioni riunite, desidero sottolineare, in primo luogo, un atteggiamento particolarmente collaborativo delle opposizioni, le quali, anche di fronte all'esigenza di accorciare i tempi di esame, hanno comunque mantenuto una posizione leale e corretta, riservandosi di affrontare eventualmente in Assemblea ulteriori questioni non approfondite dalle Commissioni stesse.
Rilevo, inoltre, che le Commissioni riunite hanno deciso di respingere tecnicamente, per l'Assemblea, tutti gli emendamenti presentati, anche ai fini di un maggiore approfondimento da parte dei relatori di alcune questioni (sollevate, in particolare, dai colleghi Realacci e Vianello) dirette a verificare la possibilità di modificare il testo ovvero, in caso di impossibilità di un nuovo passaggio al Senato, di impegnare il Governo ad individuare soluzioni di tipo amministrativo.
Infine, desidero osservare che il parere del Comitato per la legislazione contiene alcune osservazioni che potremmo definire di carattere puramente tecnico-formale. Non sembrerebbe, pertanto, che l'eventuale mancato accoglimento di tali osservazioni possa comportare problemi di applicazione del decreto-legge, trattandosi di questioni che certamente non incidono sugli aspetti sostanziali.
Rilevo, inoltre, che la Commissione politiche dell'Unione europea ha espresso un parere favorevole, con ciò confermando che non sussistono problemi di compatibilità con la normativa comunitaria. La I Commissione permanente, invece, ha formulato un parere favorevole con osservazioni, in ordine al quale, anche alla luce della normativa vigente, appare possibile affermare che nel provvedimento in esame non sussistono profili di possibile sovrapposizione con le competenze regionali.
In conclusione, nell'auspicare un dibattito sereno e costruttivo sul provvedimento, se ne raccomanda l'approvazione da parte dell'Assemblea.
PRESIDENTE. Il relatore per la XII Commissione, onorevole Baiamonte, ha facoltà di svolgere la relazione.
GIACOMO BAIAMONTE, Relatore per la XII Commissione. Grazie, signor Presidente. Le disposizioni che attengono ai profili di più diretta competenza della Commissione affari sociali sono recate dal comma 1 dell'articolo 1 del decreto-legge in esame.
Il collega Mereu è stato già abbastanza esauriente per quanto riguarda la concentrazione di ossigeno disciolto nell'acqua, per cui è inutile che io ora mi ripeta su questo specifico punto.
Il provvedimento regionale di deroga ai valori limite fissati dal decreto del Presidente della Repubblica n. 470 del 1982 è comunque subordinato all'accertamento che il loro superamento dipenda esclusivamente da fenomeni di eutrofizzazione, vale a dire da fenomeni che non comportano danni per la salute umana. Inoltre, resta confermato l'obbligo, per le regioni, di adottare, contemporaneamente al provvedimento di deroga, un programma di sorveglianza per la rilevazione di alghe aventi possibili implicazioni igienico-sanitarie. Il programma è adottato nell'ambito delle competenze della regione, a valere sulle sue ordinarie disponibilità di bilancio e sulla base dei criteri indicati da apposito decreto del ministro della salute adottato di concerto con il ministro dell'ambiente.
Sempre a norma dell'articolo 1, i risultati dei programmi di sorveglianza sono parte della relazione sullo stato delle acque di balneazione che il ministro della salute presenta al Parlamento entro il 31 marzo di ciascun anno.
In particolare, al termine della stagione balneare e, comunque, non oltre il 31 gennaio dell'anno successivo, la regione deve comunicare il provvedimento di deroga ai Ministeri della salute e dell'ambiente, indicando puntualmente i tratti di costa nei quali vengono applicati i valori limite, la durata di applicazione dei limiti stessi e le strutture coinvolte nel programma di sorveglianza adottato dalla regione stessa per la rilevazione di alghe aventi possibili implicazioni igienico-sanitarie.
La norma precisa inoltre che i valori limite indicati nell'articolo 1 si applicano a decorrere dal periodo di campionamento successivo, ferma restando la possibilità per la regione di avvalersi dei valori limite nel corso della stagione balneare per tratti di coste precedentemente non interessati da fenomeni di eutrofizzazione, a condizione che vengano immediatamente attuati i programmi di sorveglianza di cui sopra e che ne sia data comunicazione al Ministero della salute ed al Ministero dell'ambiente.
Infine, le regioni che esercitano la facoltà di deroga di cui all'articolo 1, debbono trasmettere entro il 31 dicembre di ogni anno, ai suddetti ministeri, un rapporto dettagliato che evidenzi i risultati del programma di sorveglianza posto in essere e gli eventuali interventi realizzati nella lotta contro i fenomeni di eutrofizzazione.
La normativa sulle acque di balneazione (come ricordava il collega in precedenza) è stata recentemente modificata anche dal decreto-legge 31 marzo 2003, n. 51. Con le modifiche alla normativa vigente introdotte da tale decreto-legge è stato consentito che zone inquinate e soggette a divieto di balneazione possano essere dichiarate nuovamente idonee alla balneazione stessa in presenza di due analisi con esito favorevole, da eseguirsi nel mese precedente l'apertura della nuova stagione balneare.
Di fronte a questa problematica, come accennava il collega che mi ha preceduto, la Comunità europea ha dettato norme fondamentali per la balneazione che, però, il nostro ordinamento ha già in parte recepito. Affermo ciò perché in materia di inquinamento la Comunità europea disciplina la presenza di contaminazione microbiologica, di altri organismi o di rifiuti che pregiudicano la qualità delle acque di balneazione e comportano un rischio per la salute dei bagnanti. In questi casi, ovviamente, le misure da adottare debbono essere precise; occorre individuare un calendario per il monitoraggio e quindi provvedere al monitoraggio delle acque, alla loro valutazione e classificazione, nonché all'identificazione e valutazione delle cause di inquinamento, in maniera
da poter prevenire tali situazioni. Ovviamente a ciò si aggiunge l'informazione ai cittadini interessati.
Nel caso in cui, però, l'inquinamento sia di breve durata e si prevede che la contaminazione microbiologica (le cui cause sono chiaramente identificabili) non possa influire sulle acque di balneazione per più di 72 ore circa, l'autorità competente ha stabilito procedure per prevedere e affrontare tali eventi, definiti in alcune tabelle. Mi riferisco alle cariche batteriche, con particolare riferimento ai ciano-batteri, all'escherichia coli (si tratta di germi specifici delle zone in cui sono presenti degli scarichi fognari) e ad alcuni tipi di batteri particolari che spesso possono causare congiuntiviti, blefariti, sinusiti, faringiti, altre infezioni particolari o addirittura fenomeni allergici che possono protrarsi per lungo periodo, specialmente nei soggetti giovani predisposti a tali particolari affezioni.
La stessa Comunità europea ha predisposto inoltre una classificazione delle acque di balneazione, definendole: scadenti, sufficienti, accettabili, buone, ad elevato potere di balneazione.
Tutto questo è importante, perché, ovviamente, ci mette nelle condizioni di stabilire quali devono essere i parametri precisi, su cui bisogna ovviamente puntare la nostra attenzione. Come dicevo in precedenza, nel nostro paese, queste misure in parte già esistono, perché la nostra Costituzione e la nostra legislazione le prevedono e non solo gli aspetti igienico-sanitari.
Vorrei richiamare un episodio avvenuto proprio la settimana scorsa nel mare di Cefalù, dove ogni anno mi reco per le vacanze. Proprio sabato 17 è stato pubblicato un articolo, in cui si affermava: il mare di Cefalù è di nuovo limpido; ritorna balneabile un tratto di costa. Così riportava esattamente il titolo del giornale e così dichiarava l'assessore addetto all'ambiente: a far scattare il divieto nel mese di giugno ultimo scorso era stato un canalone, che aveva portato sulla spiaggia acqua inquinante (che significava nel caso specifico, come dicevo in precedenza, un'alta carica batterica che poteva dare dei fastidi ai bagnanti). Poiché proprio nel rigagnolo che finisce sulla spiaggia i bambini non esitavano a bagnarsi e a divertirsi (così diceva l'assessore) è stato realizzato un intervento a monte, posizionando nel canalone una diga che consente di evitare che l'acqua arrivi sino al mare e di trasportarla con una pompa nella fogna; ovviamente, ad ottobre, si farà un intervento risolutivo e permanente.
Perché cito questo articolo? Perché, in realtà, come dicevo prima, la nostra legislazione queste misure le prevede e dunque non devono essere particolari quelle che noi dobbiamo aggiungere (faccio riferimento ad alcuni emendamenti che sono stati presentati in Commissione che, con il collega della Commissione ambiente, abbiamo respinto). La nostra legislazione già prevede quanto indicato in questi emendamenti. Fondamentale è che le nostre autorità regionali, comunali, gli assessori dei comuni rivieraschi prendano, con una certa cautela e responsabilità, le precauzioni necessarie. Il legislatore può fare tutte le leggi che vuole, tutti i provvedimenti che appaiono indispensabili, ma se i comuni, gli assessori addetti all'ambiente non si occupano di questo, ovviamente le conseguenze sono quelle che già si sono verificate.
PRESIDENTE. Ha facoltà di parlare il rappresentante del Governo.
ROBERTO TORTOLI, Sottosegretario di Stato per l'ambiente e la tutela del territorio. Signor Presidente, mi riservo di intervenire nel prosieguo del dibattito.
PRESIDENTE. È iscritta a parlare l'onorevole Rocchi.
CARLA ROCCHI. Signor Presidente, questo provvedimento ha la singolare caratteristica di essere una sorta di telescopio: andando all'indietro, di rimando in rimando, si risale. Io mi sono fermata, per estenuazione, alla direttiva europea 76/160/CE. È un termine così lontano che in giustizia penale si chiamerebbe prescrizione.
Cominciando da lì e venendo in avanti, di recepimento in modifica, di modifica in modifica successiva, noi siamo arrivati oggi ad un testo che per essere ricostruito necessita di una capacità di indagine francamente superiore alla media. Già questo è un segnale. Infatti, noi lamentiamo che il nostro corpo legislativo sia ridondante, spesso complesso, un corpo legislativo che, di rimando in rimando, certamente non ha tra le sue qualità quella della chiarezza; ebbene, questo provvedimento ne è un esempio chiarissimo.
Parlando di chiarezza delle acque, infatti, si tratta di uno dei provvedimenti più ingarbugliati e più oscuri che si possano trovare! Occorre dire, quindi, che quando l'intenzione è buona, spesso l'esito, almeno nella forma, non procede di pari passo con l'intendimento!
Nella sostanza, vorrei osservare che è vero che, in sede di esame presso le Commissioni riunite, l'opposizione non ha fatto barricate nei confronti del provvedimento, anche perché il decreto-legge che ci accingiamo a convertire differisce dei termini. Il differimento dei termini è una misura cui siamo, purtroppo, preoccupantemente abituati, e quindi si tratta di una scelta che, spesso, ci vede rassegnati in ordine ad un tema di questo genere.
Con riferimento a quali aspetti esprimo allora una preoccupazione non solo mia, ma anche di quei colleghi che, per formazione e per militanza, hanno maggiormente a cuore i temi e i problemi della politica ambientale? Si tratta di un duplice ordine di fattori. Per iniziare, vorrei osservare che il doppio livello di responsabilità nei riguardi degli adempimenti previsti (quello nazionale e quello locale, in particolare regionale, come è stato ricordato dagli interventi testé svolti dai relatori) è pericoloso, poiché, in presenza di inquinamento, si procede ad un primo prelievo, dopo di che se ne compie un secondo e, se le acque non presentano condizioni particolarmente negative, allora si riaprono le operazioni. Riusciamo a immaginare come una pratica del genere, nel lungo periodo e nell'accumularsi delle sostanze nocive, possa incidere in maniera netta sulla qualità delle nostre acque?
Vorrei spiegarmi portando un esempio. Se in un luogo esiste un fattore inquinante, che opera per l'intero periodo non riservato alla balneazione (l'inverno), ed è sufficiente sospenderlo, come nel caso richiamato, costruendo una diga a giugno ed avendo la buona intenzione - che ritengo certamente seria - di provvedere in maniera strutturale, è vero che si riesce a salvare quella parte di litorale per il periodo di balneazione (si tratta, come è evidente, della preoccupazione prevalente delle autorità locali); tuttavia, si sono riversate in maniera continuativa ed accumulate nel bacino del Mediterraneo - il quale, oltretutto, è formalmente salvaguardato dalla normativa per la sua parte settentrionale, che non è la stessa che tutela la sua parte meridionale - sostanze inquinanti; e soltanto i dati periodicamente elevati ci indicano quanto sia imponente il fenomeno.
Il Mediterraneo, infatti, è un mare chiuso e non si autodepura; esso costituisce un patrimonio, all'interno del quale noi viviamo, in cui tuttavia, a causa di questi meccanismi (si inquina per otto mesi, si effettuano due analisi, successivamente si rimette, in qualche maniera, tutto a norma, e poi si è liberi di inquinare ulteriormente per i successivi otto mesi), si produce un «effetto jo-jo» che, nel lungo periodo, non fa certamente bene né alle acque, né alla nostra salute. Infatti, nonostante le migliori intenzioni di molti - non di tutti -, quando si riapre la stagione balneare, vediamo che sono segnalati tratti di litorale ufficialmente balneabili, ma che di fatto tali non sono; si registrano, inoltre, casi di danni alla salute, come allergie e lievi avvelenamenti: in altre parole, si verifica di tutto e di più!
Vorrei dire, pertanto, che un provvedimento che prende le mosse da una data così antica e che, in fondo, si è venuto dipanando nel tempo avendo sostanzialmente di fronte la necessità più del rinvio che non quella del rigore nell'applicazione delle norme, può sì coesistere con le numerose inadeguatezze che si registrano
nel nostro paese, tuttavia non si distingue, e soprattutto non fa bene ai soggetti che desiderano sempre allargare le maglie. Tale provvedimento, infatti, non giova agli operatori turistici e a chi opera nel settore dell'economia costiera. È vero che oggi, in un luogo di villeggiatura, è possibile esporre la «bandierina» della balneabilità, ma vorrei rilevare che noi italiani siamo maggiormente abituati ad un tale andamento.
Non è un caso, infatti, che negli ultimi tempi sia ancora forte il turismo interno, costituito da coloro che rimangono in Italia per le vacanze (perché, forse, è effettivamente molto più semplice); vorrei osservare, tuttavia, che abbiamo patito notevoli flessioni del turismo estero, il quale, potendo scegliere, non ritiene che l'Italia abbia, rispetto ad altri paesi, un appeal particolare sotto il profilo della coerenza e della congruità della qualità ambientale. L'Italia, però, mantiene alti i prezzi, mentre altri paesi, che magari hanno acque della stessa qualità delle nostre, compensano tale condizione offrendo costi inferiori.
Per concludere, entrando nel dettaglio di una delle disposizioni introdotte al Senato, in sede di conversione del decreto-legge, vorrei affrontare la questione concernente le acque di dilavamento, vale a dire le acque che, non provenendo da fasi di lavorazione, non dovrebbero necessariamente portare con sé fattori inquinanti. A parte che, quando sento parlare della laguna di Venezia, penso che l'ammalato sia talmente a rischio che bisognerebbe dargli non acqua di rubinetto, ma acqua molto depurata...!
Uno tra i criteri di questa normativa, variamente modificata, prendeva in considerazione non solo la qualità di ciò che si immette nelle acque, ma anche il monitoraggio del tratto di costa che si intende tutelare. Mi domando se sia sufficiente stabilire che il parametro discriminante sia la qualità delle acque considerate di deflusso, di lavaggio, non inquinate da procedimenti, oppure se non sia opportuno prevedere che, assieme a ciò, si debba comunque mantenere un formidabile punto di osservazione per tutta la costa dell'area considerata, che attiene ad un sistema ecologico molto minacciato ed a rischio.
Il richiamo fatto precedentemente mi trova d'accordo. La norma può avere anche una sua giustezza ed una sua congruità, ma se poi se ne demanda l'applicazione alle autorità locali, che dovrebbero rispettare date - e non sempre lo fanno - e che dovrebbero rispettare procedure - e non sempre lo fanno -, allora al legislatore compete una stretta in più, piuttosto che una delega in più. Se non siamo certi che ciò avvenga, il legislatore ha l'obbligo di tenere stretta la briglia piuttosto che confidare - senza un fondamento preciso - nel fatto che agli obblighi ed agli adempimenti faccia fronte una realtà locale che spesso non ha le possibilità di operare e, talvolta, neanche la cultura sufficiente per farlo.
PRESIDENTE. Non vi sono altri iscritti a parlare e pertanto dichiaro chiusa la discussione sulle linee generali.
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