Resoconto stenografico dell'Assemblea
Seduta n. 493 del 19/7/2004
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(Repliche del relatore e del Governo - A.C. 2145-B)

LUIGI MANINETTI, Relatore. Signor Presidente, l'intervento del presidente Benedetti Valentini mi esime dal dover svolgere una serie di considerazioni già rese; dunque cercherò di evidenziare il mio pensiero su ulteriori aspetti, emersi negli interessanti interventi svolti in questa sede, che tuttavia non condivido.
In particolare, ho sentito parlare di mancata consultazione delle organizzazioni sindacali e delle parti sociali. Ritengo che tale critica debba essere rispedita al mittente in quanto, durante l'iter del provvedimento alla Camera, dal novembre 2001 al febbraio 2003, abbiamo svolto diverse consultazioni con le parti sociali, con le parti che gestiscono gli enti previdenziali, prendendo in considerazione le loro proposte. Tant'è vero che la delega è stata presentata dal Governo alla Camera con la previsione di incentivi e disincentivi e ne è uscita solo con incentivi, è stata presentata con l'obbligatorietà della destinazione del TFR ed è uscita dal Senato con la previsione del silenzio-assenso. Quindi, diverse osservazioni provenienti dalle organizzazioni sindacali sono state recepite durante l'esame del provvedimento sia alla Camera sia al Senato.
Ho sentito dire che si tratterebbe di una controriforma. Continuo ad insistere - probabilmente perché ho una visione diversa da quella del collega Alfonso Gianni - sul fatto che siamo di fronte ad un completamento della riforma Dini e non ad una controriforma.

PRESIDENTE. Onorevole Maninetti, le segnalo che ha esaurito il tempo a sua disposizione. Infatti, come lei sa, il relatore ha un tempo complessivo che può utilizzare per la relazione e per la replica.

LUIGI MANINETTI, Relatore. Signor Presidente, le chiedo altri 60 secondi.

PRESIDENTE. Sta bene. Prego, onorevole Maninetti.

LUIGI MANINETTI, Relatore. Vorrei comunque sottolineare tre questioni. Onorevole Guerzoni, non credo che la decontribuzione comporti un innalzamento dell'età pensionistica e, con riferimento al secondo pilastro, vorrei precisare che gli anni persi non sono tre ma otto, dunque gli altri cinque anni saranno stati persi da qualcun altro.
Inoltre, in ordine alla preoccupazione relativa alla redditività dei fondi, intendo evidenziare che, proprio questa mattina, un quotidiano nazionale faceva rilevare che, nei primi sei mesi di quest'anno, il 54 per cento dei fondi pensionistici, individuali o assicurativi, hanno superato di gran lunga il rendimento previsto per l'accantonamento del TFR.
Sono dati che consentono comunque di affermare che si tratta di un provvedimento che deve essere approvato con urgenza e che a ciò non si devono frapporre finzioni o paure che creerebbero all'esterno situazioni di incomprensione e, probabilmente, anche valutazioni difformi.

PRESIDENTE. Ha facoltà di replicare il rappresentante del Governo.

ALBERTO BRAMBILLA, Sottosegretario di Stato per il lavoro e le politiche sociali. Signor Presidente, innanzitutto vorrei soffermarmi sul più volte richiamato risultato della commissione che, nel 2001, ho avuto l'onore di presiedere e che doveva valutare gli effetti delle riforme previdenziali, la legge Dini in particolare, ma anche la legge Amato del 1992-1993.
In realtà, la prima domanda era volta a conoscere se queste riforme avessero generato i risparmi preventivati e la seconda domanda era diretta a sapere se, anche a fronte di questi risparmi, il sistema potesse rimanere in equilibrio.


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Chi mi ha citato si è soffermato sulla prima risposta, in quanto da questo tipo di contabilità ho rilevato che i risparmi previsti dalla norma sono stati effettivamente realizzati. Passando alla seconda domanda, garantire l'equilibrio del sistema significa che i giovani, che oggi pagano i contributi, devono sapere fin da ora che anche per loro ci sarà la pensione, quando sarà il loro turno, tra 35-37 anni, di uscire dal mondo del lavoro. È compito, quindi, di tutti i Governi, sia di quelli precedenti, sia del nostro, sia di quelli futuri, mantenere il sistema in equilibrio, in modo tale che anche ai giovani spetterà una pensione.
Il nostro è, infatti, un sistema a ripartizione e paga oggi le prestazioni in base ai contributi versati dai giovani. I padri, quindi, beneficiano dei contributi dei giovani come a loro volta hanno contribuito nei confronti di chi li aveva preceduti. Il nostro compito è allora quello di mantenere il sistema in equilibrio; in proposito la commissione ha affermato che non vi sarebbe bisogno di procedere ad una manovra urgente, (non occorre cioè intervenire entro 6-8 mesi), ma è comunque bene impostare correttivi nell'arco dei prossimi 2-3 anni, perché prima si procede, meno penalizzanti risultano tali correttivi sulla popolazione contributiva colpita. Ho sottolineato ciò per dare alcune informazioni sul lavoro della commissione.
Per quanto riguarda il secondo punto, ritengo che sia corretto da parte dell'opposizione enfatizzare e anche drammatizzare gli aspetti su cui non è d'accordo, ma occorre comunque evitare l'invio di messaggi pericolosi, soprattutto ai giovani. Dai numeri ascoltati in quest'aula, infatti, sembra quasi che stiamo condannando i giovani stessi ad un futuro estremamente gramo: in realtà non è così.
Vorrei allora rispondere ad alcune delle obiezioni sollevate dagli esponenti dell'opposizione. Non è vero, intanto, che non abbiamo tenuto conto delle parti sociali. Su questo punto si sono già espressi alcuni colleghi, il relatore e il presidente dell'XI Commissione (Lavoro): tale affermazione non è vera, in quanto abbiamo praticamente accolto quasi interamente il pacchetto propostoci dalle parti sociali.
Non mi pare vero, inoltre, che si sia discusso poco: ricordo che sono stati presentati oltre mille emendamenti alla Camera, alcuni dei quali sono anche stati recepiti. Anche al Senato ne sono stati presentati solo in Commissione un numero analogo, oltre ad altri 700 presentati in aula. Francamente non vi erano i tempi tecnici per poterli discutere tutti, ma penso che quando si presentano circa duemila emendamenti e si modifica il testo in maniera profonda, così come avvenuto al Senato, direi che c'è stato il tempo per tener conto delle obiezioni sollevate da tutti i gruppi, sia di maggioranza che di opposizione.
Per quanto riguarda i dati poc'anzi prospettati e che proverebbero come tale riforma pregiudichi il futuro dei giovani, mi limito soltanto a riflettere su due aspetti. Innanzitutto, la riforma Dini ebbe come punto di riferimento - qualcuno ora presente lo era anche allora - l'equivalenza. Si disse che la riforma Dini a regime dovesse essere pari alla riforma Amato a regime e, quindi, un soggetto con 62 anni di età avrebbe avuto lo stesso tasso di sostituzione della riforma Amato a regime: 61,4 per cento al netto degli oneri fiscali, che diventa il 68 per cento, in quanto ovviamente sulle pensioni non si pagano gli oneri fiscali.
Non si sono, quindi, spostati i termini. L'affermazione che oggi una persona a sessant'anni andrà in pensione con il 48 per cento, può essere certamente essere vera, ma riguarda soltanto chi avrà avuto una carriera molto rapida e che, quindi, soprattutto negli ultimi tempi, avrà subìto un'accelerazione molto forte, per la quale il tasso di sostituzione pubblico sarà inferiore. Per la quasi totalità dei lavoratori con una retribuzione crescente in modo flat, in maniera dinamica tra l'1,5 e il 2 per cento, come previsto dalle precedenti riforme, i tassi di sostituzione, al contrario, sono esattamente quelli.
Andare a dire ai ragazzi che, qualunque somma paghino, avranno così poco,


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significa ingenerare sospetti che non è opportuno siano ingenerati da parte di un politico.
Quanto alla totalizzazione, mi limito a rilevare che il provvedimento in materia è in vigore dal 1995 e che i tre Governi che si sono succeduti si sono limitati a prevedere che se un soggetto raggiunge il minimo dei contributi in una sola cassa di previdenza - ed è sufficiente essere per cinque anni parasubordinato, co.co.co., lavoratore a progetto - non ha diritto alla totalizzazione. Conseguentemente, circa il 3 per cento dei soggetti coinvolti può totalizzare, in quanto non raggiunge il minimo in alcuna cassa di previdenza, mentre il restante 97 per cento non totalizza.
Al contrario, la norma che proponiamo prevede che tutti possano totalizzare, così come accade negli altri paesi europei. Si introduce un solo limite, escludendo la totalizzazione nel caso di periodi inferiori a cinque anni, al fine di non costringere una cassa di previdenza ad erogare mensilmente assegni estremamente contenuti, il cui costo rischia di essere superiore all'importo. Resta ferma la possibilità di ricongiungimento di tali periodi a titolo oneroso, qualora essi siano effettivamente utili ai fini del completamento del percorso del nastro contributivo. Si è previsto di fare riferimento ad un periodo di cinque anni ed è stato proposto di abbreviare tale periodo a quattro o a tre anni: si può trovare una soluzione, ma il periodo non può essere certamente di sei mesi, perché in tal modo si corre il rischio - se ad esempio tale periodo risale a vent'anni fa - che qualche cassa debba pagare 6 euro con un'operazione che costa 50 euro, finendo così su tutti i giornali!
Ho sentito parlare di dramma per i giovani, in riferimento all'età. Dobbiamo porre mente al fatto che oggi la media della contribuzione sulle pensioni di anzianità è pari a 37 anni e mezzo; in Europa si lavora mediamente per 40 anni; nei paesi industrializzati 41 anni di contributi costituiscono un dato assodato; nel 60 per cento dei paesi l'età pensionabile è pari a 65 anni per uomini e donne, mentre nel restante 40 per cento sussiste ancora la differenziazione fra 65 e 60 anni. Se inoltre poniamo mente al fatto che la maggior parte delle coorti nate nel secondo dopoguerra sono andate a lavorare a 14 anni, ci rendiamo conto che l'età pensionabile si colloca intorno ai 55 anni, o poco più, mentre oggi l'età media di avviamento al lavoro è superiore a 20 anni. Dobbiamo ipotizzare che in un paese come il nostro, che non può certamente fare concorrenza alla Cina producendo tomaie o tessuti ma che deve possedere un livello tecnologico più elevato, si farà ingresso nel mondo dal lavoro da laureati, o comunque con una laurea breve, intorno ai 24 o 25 anni, con un'età pensionabile pari a 65 anni: nessuno, dunque, costringe a lavorare per più di 40 anni. È stato posto il limite di 40 anni, proprio per fare in modo che chi abbia comunque iniziato a lavorare a 15 anni, possa andare in pensione a 55 anni. Tale limite, dunque, non risponde allo scopo di aumentare il numero di anni lavorativi, ma costituisce un paracadute per coloro che - fortunatamente sono sempre meno - iniziano a lavorare ad un'età piuttosto bassa.
È stato inoltre affermato che si tratta di una delega eccessiva. La «legge Dini» prevedeva 18 deleghe su tutto lo scibile ed immaginabile; oggi si prevede una delega limitata al trattamento di fine rapporto e ad alcuni altri aspetti, fra cui gli incentivi. Accoglieremo comunque gli ordini del giorno volti ad indirizzare il nostro lavoro.
È stato altresì detto che l'equiparazione tra fondi è pericolosa. Non è mai elegante formulare osservazioni poco simpatiche nei confronti degli assenti, ma la «legge Visco» sotto questo profilo è stata un disastro. Essa, infatti, ha posto 560 mila persone nelle condizioni di aderire a prodotti assicurativi senza che vi fosse un'autorità, quale l'ISVAP, in grado di indicare il costo di tali prodotti.

RENZO INNOCENTI. Ma è un'altra cosa!

ALBERTO BRAMBILLA, Sottosegretario di Stato per il lavoro e le politiche


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sociali. Noi stiamo cercando semplicemente - se ci verrà consentito - di prevedere qualcosa di diverso, perché voi avete sempre a mente i lavoratori dipendenti: in Italia i lavoratori sono 22 milioni, i lavoratori dipendenti privati sono 11 milioni e i dipendenti pubblici sono 3 milioni e mezzo. Capisco che tutti gli altri che vengono «accalappiati» da questo meccanismo non possano essere assistiti da una parte di coloro che siedono in quest'aula, però un Governo serio deve pensare anche a loro! Gli artigiani, i commercianti, gli imprenditori agricoli devono essere tutelati!
Non possiamo pensare che una riforma come la riforma Visco distrugga il sistema, come ha distrutto - apro e chiudo subito la parentesi - gran parte del sistema del risparmio gestito in Italia, perché ha posto quell'aliquota del 12,5 per cento sulle plusvalenze realizzate, di talché le persone ogni anno hanno pagato il 12,5 per cento ed erano entrate a 100 lire, l'hanno pagato quando il fondo andava a 110, poi nel 2001 le borse sono crollate, il fondo è andato a 80 e i cittadini hanno pagato le imposte senza oggi avere alcun beneficio, perché non hanno realizzato alcuna plusvalenza!
L'unico risultato positivo è che una gran massa di risparmiatori ha perso dei soldi, mentre l'azienda del risparmio italiana è andata a Dublino o in altri paesi dove vige ancora la normativa europea secondo la quale le imposte si pagano sulle plusvalenze effettivamente realizzate e non a forfait come pensava l'ex ministro delle finanze che in quel periodo incassava circa 13 mila miliardi di imposte ogni anno e ha lasciato a noi un credito di imposta negativo che dovremo risarcire!
Tutto è perfettibile, ma crediamo di aver fatto un buon lavoro. Ricordo che nel 1993 con Amato e nel 1995 con Dini si era parlato di voler «uccidere» il sistema previdenziale, il sistema del welfare. Non è stato così: nel 1992 il sistema del welfare stava fallendo, con queste riforme lo abbiamo mantenuto in vita e in buona salute. Noi stiamo facendo una «manutenzione» a questo sistema e ci auguriamo che anche chi verrà dopo di noi continui a fare tale manutenzione per garantire alle giovani generazioni che, quando toccherà anche a loro percepire la pensione, eticamente lo Stato gliela darà (Applausi dei deputati dei gruppi di Forza Italia e di Alleanza Nazionale).

PRESIDENTE. Avverto che è stata presentata la questione pregiudiziale di costituzionalità Violante ed altri n. 1, che sarà discussa e votata in altra seduta.
Il seguito del dibattito è rinviato ad altra seduta.

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