Resoconto stenografico dell'Assemblea
Seduta n. 493 del 19/7/2004
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Discussione del disegno di legge: Norme in materia pensionistica e deleghe al Governo nel settore della previdenza pubblica, per il sostegno alla previdenza complementare e all'occupazione stabile e per il riordino degli enti di previdenza e assistenza obbligatoria (Approvato dalla Camera e modificato dal Senato) (2145-B) (ore 11,05).

PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca la discussione del disegno di legge, già approvato dalla Camera e modificato dal Senato: Norme in materia pensionistica e deleghe al Governo nel settore della previdenza pubblica, per il sostegno alla previdenza complementare e all'occupazione stabile e per il riordino degli enti di previdenza e assistenza obbligatoria.
Avverto che lo schema recante la ripartizione dei tempi è pubblicato in calce al vigente calendario dei lavori.

(Discussione sulle linee generali - A.C. 2145-B)

PRESIDENTE. Dichiaro aperta la discussione sulle linee generali.
Avverto che i presidenti dei gruppi parlamentari dei Democratici di sinistra-L'Ulivo e della Margherita, DL-L'Ulivo ne hanno chiesto l'ampliamento senza limitazioni nelle iscrizioni a parlare, ai sensi dell'articolo 83, comma 2, del regolamento.
Avverto altresì che la XI Commissione (Lavoro) si intende autorizzata a riferire oralmente.
Il relatore, onorevole Maninetti, ha facoltà di svolgere la relazione.

LUIGI MANINETTI, Relatore. Signor Presidente, signor sottosegretario, onorevoli colleghi, riprendiamo oggi l'esame del disegno di legge contenente la delega al Governo in materia previdenziale nel testo


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modificato dal Senato. Come è noto, l'iter di questo provvedimento, iniziato nel 2001, è stato lungo ed impegnativo, trattandosi di una riforma strutturale di notevole importanza, di forte impatto socioeconomico e che coinvolge aspetti ed esigenze diversi, a volte anche confliggenti fra di loro.
Infatti, da una parte si pone la necessità di pervenire ad equilibri finanziari che nel lungo periodo portino alla diminuzione dell'incidenza della spesa previdenziale sul prodotto interno lordo - obiettivo da perseguire anche alla luce delle sollecitazioni provenienti dall'Unione europea -, dall'altra non si possono certo trascurare le ragioni di equità sociale, di solidarietà tra le generazioni e di gradualità degli interventi nel trasformare un sistema retributivo in uno completamente contributivo, con la necessaria transizione di un regime misto.
L'obiettivo primario da perseguire è quello di realizzare una riforma sì necessaria, ma che deve essere anche ampiamente condivisa, incidendo sulla vita di ogni individuo e soprattutto su quella delle generazioni future. Ben venga, quindi, l'ampio e a volte acceso dibattito svoltosi in questi tre anni sia dentro che fuori il Parlamento, che ha permesso il confronto delle varie posizioni e che ha contribuito al miglioramento del provvedimento.
Infatti, molte delle istanze rappresentate dalle parti sociali - soprattutto da parte sindacale - sono state accolte e trasformate in contenuti della delega nel corso dell'esame svoltosi al Senato, le più importanti delle quali sono certamente l'eliminazione della previsione relativa alla decontribuzione per i nuovi assunti con contratto a tempo indeterminato e la sostituzione dell'obbligatorietà del conferimento del trattamento di fine rapporto con il meccanismo del silenzio-assenso, introducendo contemporaneamente una maggiore attenzione all'informazione e alla garanzia dei lavoratori. Ad esse si aggiungono la possibilità di continuare a lavorare privilegiando il part-time, soprattutto per le famiglie con disabili o con situazioni di particolare disagio, l'introduzione di previsioni specifiche relative alle lavoratrici madri, a chi svolge lavori usuranti e ai lavoratori in mobilità.
Anche l'utile confronto svoltosi in Commissione durante queste settimane ha contribuito a chiarire alcuni aspetti che potranno trovare soluzione sia attraverso le proposte emendative che l'Assemblea riterrà di approvare sia attraverso gli ordini del giorno che potranno fornire indicazioni puntuali al Governo nella fase attuativa della delega. Intendo riferirmi, in particolare, a tre punti nodali: la preferenza da accordare nel conferimento del trattamento di fine rapporto alle forme contrattuali collettive, nel caso in cui operi il meccanismo del silenzio-assenso; una maggiore gradualità dell'intervento volto ad innalzare i requisiti di età per accedere al trattamento pensionistico di anzianità; la limitazione numerica predefinita per i lavoratori in mobilità. Si tratta di punti nodali degni di attenzione segnalati in sede consultiva anche dalle altre Commissioni.
Procedendo ad un'analisi più approfondita, vorrei brevemente mettere in evidenza quali sono le modifiche apportate in sede di esame al Senato, anche a seguito degli emendamenti presentati dallo stesso Governo.
In via preliminare si rileva un cambiamento della struttura stessa del provvedimento, poiché esso ora è costituito da un unico articolo con 55 commi e contiene alcune disposizioni che, nel testo approvato dalla Camera, erano oggetto di delega mentre ora sono norme direttamente applicabili. Esse sono precisamente quelle relative sia all'innalzamento dell'età per l'accesso alla pensione di anzianità o a quella di vecchiaia, liquidata con il sistema contributivo, sia agli incentivi per il posticipo del pensionamento.
Il comma 1 contiene una ampia delega al Governo in materia di previdenza complementare obbligatoria. Rispetto a quelli già contenuti nel disegno originario le modifiche riguardano innanzitutto: il riferimento alla correttezza dei dati previdenziali dei dipendenti pubblici al fine di rendere effettivi i diritti del personale dipendente delle pubbliche amministrazioni


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in relazione alla correttezza dei dati contributivi e previdenziali. L'obiettivo di liberalizzare l'età pensionabile viene mantenuto fermo: si prevede infatti che gli incentivi al posticipo del pensionamento si applichino al lavoratore che, avendo conseguito i requisiti per la pensione di vecchiaia, decida di proseguire l'attività lavorativa previo accordo con il datore di lavoro.
In relazione al riassetto del sistema della previdenza complementare, l'obiettivo è quello di far decollare il secondo pilastro, quale necessaria integrazione del trattamento pensionistico erogato dal sistema pubblico, sempre più ridotto. A differenza del testo approvato dalla Camera si introduce, come prima ricordato, il silenzio assenso per il conferimento del trattamento di fine rapporto ai fondi pensione, un silenzio assenso al posto della obbligatorietà, con facoltà per il lavoratore di scegliere nello stesso termine di sei mesi la forma pensionistica complementare cui destinare appunto il TFR. È prevista inoltre una adeguata informazione ai lavoratori in merito alla facoltà di scegliere tra le forme pensionistiche cui poter dirottare il TFR, previo intervento diretto ad omogeneizzare le condizioni di trasparenza e di tutela apprestata dalle forme pensionistiche complementari.
Altre modifiche riguardano: il riconoscimento del principio della libera circolazione dei lavoratori all'interno del sistema della previdenza complementare, con la definizione di regole comuni in relazione alla comparabilità dei costi, alla trasparenza e alla portabilità; la prosecuzione della contribuzione volontaria alle forme pensionistiche oltre i limiti di tempo attualmente previsti; l'attribuzione ai fondi pensione della contitolarità con i propri iscritti del diritto alla contribuzione, per cui i fondi sono legittimati alla riscossione dei contributi ed alla rappresentanza dei propri iscritti nelle controversie aventi ad oggetto i contributi omessi e gli eventuali danni connessi; la previsione di linee di investimento dei fondi pensione in grado di garantire rendimenti comparabili con la rivalutazione del trattamento di fine rapporto.
Si dispone, inoltre, l'assoggettamento della prestazione della previdenza complementare ai vincoli di cedibilità, pignorabilità e sequestrabilità, nonché l'obbligo per tutte le forme pensionistiche complementari di evidenziare nel rendiconto se ed in quale misura siano stati presi in considerazione nella gestione finanziaria aspetti sociali, etici e ambientali. In relazione all'obiettivo di ampliare la deducibilità fiscale della contribuzione alle forme pensionistiche complementari, sia individuali che collettive, si precisa che si dovrà in ogni caso fare riferimento tra gli altri soggetti ai lavoratori dipendenti ed ai titolari di piccole e medie imprese e che il soggetto tenuto ad applicare la ritenuta sulle prestazioni pensionistiche corrisposte in forma di rendita è quello che eroga le prestazioni stesse. Per quanto concerne la previsione dell'obbligo del calcolo definitivo del trattamento pensionistico entro un anno dall'inizio dell'erogazione, in relazione al completamento del processo di separazione tra previdenza e assistenza il Governo dovrà prevedere che tutti gli enti previdenziali predispongano nei loro bilanci poste contabili riferite separatamente all'attività assistenziale e a quella previdenziale, allo scopo di rendere evidenti eventuali squilibri finanziari degli enti stessi e di consentire la quantificazione e la corretta imputazione degli interventi di riequilibrio a carico della finanza pubblica. Altre modifiche riguardano l'eliminazione delle sperequazioni tra le diverse gestioni nel calcolo delle prestazioni pensionistiche; l'introduzione della contribuzione figurativa per la trasformazione del rapporto di lavoro a tempo pieno in rapporto a tempo parziale per i disabili gravi e per chi presta loro assistenza; l'agevolazione per i contratti a tempo parziale per i lavoratori che possono accedere al pensionamento di anzianità; l'autorizzazione alla prosecuzione volontaria della contribuzione presso altre forme di previdenza obbligatoria per i cosiddetti lavoratori parasubordinati, iscritti alla gestione


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separata INPS; la previsione di un contributo di solidarietà pari al 4 per cento per il periodo dal 2007 al 2015 sulle pensioni di importo elevato.
I commi da 3 a 5, pure introdotti dal Senato, sono diretti a garantire a coloro che maturano i requisiti per la pensione entro il 31 dicembre 2007 il diritto alla prestazione pensionistica secondo la normativa vigente anteriormente alla data di entrata in vigore della presente legge. Una deroga a tale previsione è contenuta nel comma 55, che innalza, con decorrenza immediata, l'età di accesso alla pensione di vecchiaia per il personale artistico dipendente da enti lirici.
I commi 6 e 7 introducono alcune novità in materia di accesso alla pensione, con l'obiettivo primario di stabilizzare il rapporto tra spesa previdenziale e prodotto interno lordo. Infatti, vengono elevati, a decorrere dal 2008, i requisiti di età per accedere al trattamento pensionistico di anzianità ed a quello di vecchiaia liquidato esclusivamente con il sistema contributivo e le modifiche alla decorrenza del pensionamento (cosiddette finestre). Eccezioni sono previste per il personale militare delle forze di polizia e, a determinate condizioni, per i lavoratori autorizzati alla prosecuzione volontaria della contribuzione, a quelli collocati in mobilità o destinati ai fondi di settore e per le lavoratrici fino al 2015.
Rispetto al sistema attuale, la nuova disciplina mantiene la possibilità di conseguire il diritto alla pensione in presenza di una anzianità contributiva non inferiore a quarant'anni, indipendentemente dall'età anagrafica, mentre viene innalzato il requisito dell'età necessaria al pensionamento in presenza di trentacinque anni di anzianità contributiva, con la previsione di diversi scaglioni: per gli anni dal 2008 al 2009, l'età anagrafica è innalzata a 60 anni per i lavoratori dipendenti pubblici e privati ed a 61 per i lavoratori autonomi iscritti all'INPS; per gli anni dal 2010 al 2013, l'età è innalzata a 61 anni per i lavoratori dipendenti pubblici e privati ed a 62 per quelli autonomi iscritti all'INPS; a decorrere, poi, dal 2014, l'età è ulteriormente innalzata, rispettivamente, a 62 ed a 63 anni, anche se il Ministero del lavoro e delle politiche sociali, di concerto con quello dell'economia e delle finanze, può differire tale innalzamento qualora, a seguito di una verifica da effettuarsi entro il 2013, risultino conseguiti risparmi di spesa superiori alle previsioni e di entità tale da garantire effetti finanziari equivalenti.
Anche in relazione alle pensioni di vecchiaia liquidate esclusivamente con il sistema contributivo il provvedimento in esame innalza il requisito dell'età anagrafica, sempre con decorrenza dal 2008, a 65 anni per gli uomini ed a sessant'anni per le donne.
Il comma 10 contempla una delega al Governo per estendere l'obiettivo dell'elevazione dell'età di accesso alla pensione ai regimi pensionistici armonizzati o per i quali siano comunque previsti requisiti diversi da quelli dell'assicurazione generale obbligatoria. È da sottolineare che il successivo comma 11 contiene un'ulteriore delega, che il Governo potrà esercitare per introdurre soluzioni alternative sempre in materia di accesso alla pensione.
I commi dal 12 al 17 introducono misure dirette ad incentivare il posticipo del pensionamento per i lavoratori del settore privato. Nell'arco del periodo dal 2004 al 2007, a coloro che abbiano maturato i requisiti minimi per ottenere la pensione di anzianità è attribuita la facoltà di rinunciare agli accrediti contributivi e di percepire direttamente ed integralmente la somma corrispondente a detti accrediti.
I commi 21 e 22 modificano la composizione ed alcuni aspetti relativi all'organizzazione ed al funzionamento del Nucleo di valutazione della spesa previdenziale.
I commi dal 23 al 30 disciplinano l'istituzione, presso l'INPS, di un Casellario centrale delle posizioni previdenziali attive che costituirà un'anagrafe generale condivisa da tutte le amministrazioni dello Stato e dagli organismi gestori di forme di assistenza obbligatoria e che sarà la base


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per le previsioni e la valutazione preliminare sulle iniziative legislative e regolamentari in materia previdenziale.
I commi dal 31 al 33, non modificati dal Senato, delegano il Governo al riordino degli enti pubblici di previdenza ed assistenza obbligatoria perseguendo l'obiettivo di una maggiore funzionalità ed efficacia dell'attività e di una riduzione dei costi gestionali.
I commi dal 34 al 38 sono relativi agli enti previdenziali di diritto privato e dei professionisti. In particolare, si consente agli enti privatizzati di istituire forme pensionistiche complementari con l'obbligo di gestione separata, sia direttamente sia mediante contratti ed accordi collettivi anche aziendali o, in mancanza, tra lavoratori promossi da sindacati firmatari di contratti collettivi nazionali di lavoro oppure accordi tra lavoratori autonomi o fra liberi professionisti promossi da loro sindacati o associazioni di rilievo almeno regionale (cosiddetti fondi chiusi).
I commi 39 e 40 introducono previsioni particolari relative all'ENPAM, in favore del quale si prevede il versamento di un contributo sulle prestazioni specialistiche rese nei confronti del Servizio sanitario nazionale da parte delle società professionali mediche ed odontoiatriche e delle società di capitali.
I commi dal 41 al 43 fanno riferimento alla copertura finanziaria derivante dai commi 1, 2, 10 e 11 relativi sia alle modifiche al sistema della previdenza obbligatoria e complementare sia all'innalzamento dei requisiti per l'accesso al pensionamento, rimandando alla legge finanziaria mediante finanziamenti iscritti annualmente e sempre in coerenza con quanto previsto dal documento di programmazione economico-finanziaria.
I commi dal 44 al 49 disciplinano il procedimento per l'emanazione dei decreti legislativi e dei relativi decreti correttivi.
I commi dal 50 al 53 contengono un'ulteriore delega al Governo per l'emanazione di un testo unico in materia previdenziale che renda più razionale il sistema, garantisca maggiore speditezza e semplificazione delle procedure amministrative, armonizzi le aliquote contributive, semplifichi le disposizioni nel settore agricolo con la possibilità di intervenire sulla normativa esistente, modificandola o abrogandola.
Il comma 55, infine, reca una norma di interpretazione autentica sulla perequazione automatica delle pensioni del personale degli ex enti pubblici creditizi.
A conclusione di questa disamina, risulta evidente che il contenuto della delega è stato migliorato in molti dei suoi aspetti e si è arricchito di nuovi contenuti anche alla luce delle osservazioni e delle richieste avanzate da tutti i soggetti coinvolti.
Su molti punti prima messi in evidenza sono state adottate soluzioni condivise a seguito di un confronto prolungato e serrato. Su altri è opportuna una attenta riflessione da parte del Governo, quanto meno nella fase di emanazione dei decreti delegati, che potranno recepire il più possibile i suggerimenti emersi dalla discussione e formulati dall'Assemblea.
In ogni caso, sia dalle sollecitazioni provenienti dalle autorità comunitarie sia dalle parole pronunciate in quest'aula la scorsa settimana dal Presidente del Consiglio, risulta evidente la necessità dell'approvazione in tempi rapidi della riforma previdenziale, e ritengo che ciò debba avvenire senza alcun condizionamento o subordinazione ad altri provvedimenti altrettanto importanti, ma che hanno percorsi, natura e tempi diversi.
Dopo la legge Biagi sul mercato del lavoro, la delega odierna sul riordino del sistema pensionistico e quella degli ammortizzatori sociali già in itinere, possiamo affermare che abbiamo adottato o che stiamo adottando misure che garantiscono lo Stato sociale, adeguato però ai più aggiornati e moderni modelli europei.
In tale contesto, quindi, auspico che tutte le forze politiche possano trovare un accordo che conduca ad un'approvazione del provvedimento seguendo il normale e fisiologico iter parlamentare.
Sono fermamente convinto, infatti, che la riforma che ci accingiamo ad approvare e di cui nessuno nega l'importanza e l'urgenza concili sostenibilità finanziaria


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ed economica con equità sociale, cosa particolarmente necessaria nella delicata congiuntura economica che il paese sta attraversando (Applausi dei deputati del gruppo di Forza Italia).

PRESIDENTE. Ha facoltà di parlare il rappresentante del Governo.

ALBERTO BRAMBILLA, Sottosegretario di Stato per il lavoro e le politiche sociali. Signor Presidente, avendo già espresso la posizione del Governo nelle Commissioni competenti, mi riservo di intervenire in sede di replica.

PRESIDENTE. Sta bene.
È iscritto a parlare l'onorevole Lusetti. Ne ha facoltà.

RENZO LUSETTI. Signor Presidente, onorevoli colleghi, signor sottosegretario, la discussione sul riordino del sistema pensionistico del nostro paese si svolge in un momento delicatissimo per la sopravvivenza di questa maggioranza e per la prosecuzione dell'attività di Governo. Devo dire che è un po' avvilente - si tratta di una considerazione politica iniziale, che svolgo prima di entrare nel merito del problema - arrivare ad una sorta di scambio (se ho letto bene i giornali questa mattina) sulle riforme: qualcuno dice che non voterà la riforma delle pensioni se non sarà approvata la riforma federale.
Credo, signor Presidente, onorevoli colleghi, che le riforme nel nostro paese vadano proposte, discusse e approvate in Parlamento nel migliore dei modi; non possiamo cedere a ricatti perché all'interno della maggioranza gli scontri sono ormai diventati epici, nell'ambito di una verifica politica veramente infinita, di cui non riusciamo a vedere la fine. Allora, direi che qualsiasi forma di scambio tra le proposte di riforma che sono oggi presenti nell'agenda parlamentare, non può essere accettata.
Discutiamo questa mattina in aula della riforma delle pensioni e nel pomeriggio si discuterà in Commissione affari costituzionali della cosiddetta riforma sul federalismo; credo che il Parlamento debba legiferare per il bene del paese, per il bene degli italiani e non per il bene di chi governa, magari al fine di risolvere qualche problema interno alla maggioranza.
Onorevoli colleghi, fatta questa premessa di carattere politico, volta ad evidenziare anche il disagio degli italiani di fronte allo spettacolo indecoroso che la maggioranza ci offre, vorrei fare alcune considerazioni sul tema che noi stiamo affrontando. Si tratta di verificare e adeguare il sistema pensionistico, che è stato riformato, piaccia o meno, dalla cosiddetta legge Dini del 1995. È evidente che oggi si pone il problema di procedere ad una riforma sulla base delle nuove condizioni demografiche e dell'allungamento dell'età, così come viene ormai percepito nel nostro paese. Noi siamo pronti ad affrontare questo tema, non lo abbiamo mai nascosto in tutti i vari passaggi parlamentari che vi sono svolti sull'argomento, però avremmo voluto farlo a tempo debito, cioè nel 2005, come già previsto dalla cosiddetta legge Dini e nella linea indicata da questo provvedimento, che prevede strumenti di adeguamento dei meccanismi di calcolo pensionistico alle aspettative di vita.
Il gruppo della Margherita ritiene che un problema così serio, che riguarda milioni di persone, debba essere affrontato ricercando il più ampio consenso sociale, come già il Governo Dini fece nel 1995.
Ora, non mi sembra che ci sia stata una grande concertazione con le organizzazioni sindacali, non solo con CGIL, CISL e UIL, ma anche con i sindacati autonomi (cito anche sindacati come l'UGL, che sicuramente non sono tacciabili di grande veemenza nell'opposizione al Governo). Quindi, le stesse organizzazioni sindacali cosiddette autonome hanno posto una serie di problemi anche molto forti rispetto alla legge delega.
Credo, onorevoli colleghi, che si possa tranquillamente affermare che le proposte del Governo siano inaccettabili per motivi sia di metodo, sia di merito.
Non le consideriamo positive nel metodo perché, sul piano del rapporto con i sindacati, è stata «saltata» ogni concertazione;


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mi riferisco anche ad una sorta di iniziale disponibilità di CISL e UIL, le quali hanno manifestato la volontà di accettare un confronto responsabile. Non a caso, infatti, tali sindacati sono stati prima «corteggiati», con il Patto per l'Italia, quando si sono distinti dalla CGIL, ma sono stati ignorati ora, nel momento in cui sono uniti nel rifiutare le proposte avanzate dal Governo. Pertanto, l'esecutivo ha posto CGIL, CISL e UIL di fronte al fatto compiuto, senza poter giungere alla condivisione di alcune scelte; condivisione che, a nostro avviso, deve essere sostanziale e fondamentale per avviare ogni processo riformatore e democratico, quale dovrebbe essere quello oggi in discussione.
Il Governo si contraddice, a mio avviso, quando prima predica l'urgenza della riforma, ma poi rinvia al 2008 gli effetti degli interventi previsti sull'età pensionabile. Non vi è urgenza, poiché l'andamento dei conti pubblici non è immediatamente critico, come sosteneva qualcuno qualche mese fa (mi riferisco a lei, sottosegretario Brambilla). Dunque, a mio avviso, vi era tempo sia per poter attendere la verifica del 2005, sia per discutere le modalità e gli esiti di tale verifica con i sindacati. In seguito, vi è stata un'improvvisa accelerazione, prima ancora che l'Ecofin desse «gli otto giorni» - o l'early warning, come viene tecnicamente definito - al Governo italiano.
Credo, tuttavia, che forse una più celere concertazione con le organizzazioni sindacali, e con le parti sociali in genere, sarebbe stata utile all'attuale esecutivo se avesse voluto condurre in porto non solo la riforma del sistema pensionistico del paese, ma anche una manovra economica correttiva, che riteniamo iniqua, così come abbiamo dichiarato in altre sedi istituzionali e politiche.
L'annuncio dell'intervento differito sull'età pensionabile è controproducente anche dal punto di vista finanziario, poiché ha indotto ed indurrà sicuramente la «fuga da lavoro» di migliaia di persone, compresi coloro che, invece, sarebbero rimasti a lavorare. Ciò, a mio avviso, comporterà un aggravio aggiuntivo per il bilancio dello Stato. I conti pubblici, come è noto, non godono di buona salute. Non è questa la sede per una discussione sul bilancio dello Stato, ma vorrei ricordare che, tra poco, verrà discusso in Assemblea il documento di programmazione economico-finanziaria; pertanto, in quella sede comprenderemo quali siano gli orientamenti del Governo su tale tema, e forse scopriremo che le riforme di cui si parla, soprattutto quella in materia pensionistica, non possono essere separate dal documento di programmazione economico-finanziaria, nonché dallo stesso andamento dei conti pubblici. Per tale motivo, questo ulteriore aggravio comporta sicuramente qualche difficoltà nel riassestare i conti pubblici del nostro paese.
Nel merito, riteniamo la proposta in esame anche iniqua, poiché produce effetti diseguali su vari gruppi di persone. Vi è, infatti, un primo gruppo di persone, costituito da coloro cui mancano 4 o 5 anni alla pensione, che probabilmente potrebbe non ricevere alcun danno; anzi, qualcuno potrebbe, alla fine, risultarne anche beneficiato. Vi è poi un secondo gruppo di persone che subisce in pieno gli effetti di questo brusco e squilibrato innalzamento dei requisiti pensionistici, e tale salto è contrario alla logica di una riforma che, a nostro avviso, deve essere invece progressiva. Mi sembra di capire, anche sulla base delle audizioni informali svolte in sede di Commissione, che tutto ciò non si riscontra in nessun paese europeo. Vi è, infine, un terzo gruppo di persone, costituito dai più giovani, che vede aumentare la loro difficoltà ad ottenere, in futuro, una pensione minima adeguata.
Signor sottosegretario, con questa riforma rischiamo di non dare soddisfazione piena a coloro che sono in età quasi prossima alla pensione, rischiamo di non disporre delle risorse finanziarie per pagare le pensioni ai pensionati e, nello stesso tempo, di non offrire un futuro certo e credibile ed un orizzonte vero a molti giovani, che rischiano di essere disoccupati o precari oggi e senza copertura previdenziale domani.


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Una scelta di tale tipo rischia di danneggiare non solo coloro che hanno già acquisito e maturato alcuni diritti, ma anche i giovani che oggi non trovano lavoro e che domani potrebbero non avere alcuna pensione, rimanendo in una sorta di precarietà permanente lungo tutto l'arco della propria vita. Ciò non è giusto. Una classe politica forte ed autorevole, quale dovrebbe essere la nostra, deve occuparsi anche di garantire un futuro ed un orizzonte certo alle giovani generazioni. Mi pare che questo provvedimento non lo consenta.
Credo, soprattutto, che questa proposta, priva del consenso sociale, porti a conseguenze molto rischiose. Noi condividiamo le preoccupazioni di tutti i sindacati ed anche la protesta - pur sempre legittima - contro le iniziative del Governo. Ci preoccupiamo, inoltre, da opposizione critica, ma sempre molto responsabile nei confronti di questa maggioranza e di questo Governo, perché tali iniziative stanno accrescendo le gravi tensioni sociali già in atto nel nostro paese per altre cause. Tali cause sono il carovita, i tagli alla finanziaria per gli enti locali - quest'ultimo è un dato assolutamente drammatico: non vi è più il problema di dover garantire i servizi sociali negli enti locali; dopo l'ultima manovra economica annunciata, alcuni comuni rischiano di chiudere -, l'incertezza dell'economia, i tagli ai fondi per il Mezzogiorno (non so quali sono gli intenti del nuovo ministro dell'economia). Sono elementi drammatici che, se sommati ad una proposta del Governo come questa, che noi consideriamo iniqua, rischiano - come detto - di accrescere tensioni di cui il nostro paese non ha assolutamente bisogno. Noi interveniamo su tali temi con proposte concrete, con emendamenti (che non sono neanche molti, a differenza di come ha detto qualcuno).
Non ho ancora capito se il Governo ha intenzione, come ha affermato il Presidente del Consiglio, di porre o meno la questione di fiducia, ma se non ci sarà nemmeno consentito di discutere sugli emendamenti migliorativi che vorremmo proporre al Parlamento, a quest'aula ed a tutte le forze politiche presenti in questo consesso, credo che allora ciò dimostrerebbe la mancanza di volontà di dialogo nei confronti sia dell'opposizione sia della stessa maggioranza (infatti, alcuni emendamenti provengono da settori della maggioranza). Gli emendamenti proposti non hanno l'obiettivo di sconvolgere il quadro politico. Se rimane l'assunto che questa riforma deve essere finalizzata alla serietà ed alla soddisfazione di alcune esigenze provenienti dal tessuto sociale del nostro paese, credo sia doveroso ed auspicabile che non sia posta alcuna questione di fiducia da parte del Governo e che vi sia una serena e franca discussione sugli emendamenti che i parlamentari di maggioranza e di opposizione hanno proposto e proporranno per migliorare, per quanto possibile, un testo che noi consideriamo molto precario e che comporta una serie di problemi. In Europa vi è un pilastro su cui non si discute, ossia la netta distinzione tra la previdenza complementare e quella collettiva, che costituisce un fatto istituzionale. Da un lato, vi sono fondi che agiscono sul mercato finanziario con orientamento sociale e, dall'altro, vi è la semplice previdenza individuale: mi riferisco alle polizze e a quant'altro. Su questo punto sembrava si fosse trovato un qualche accordo anche con le parti sociali; però, le ultime variazioni apportate al testo al Senato, che la Camera sostanzialmente non ha modificato in sede di Commissione, sconvolgono il quadro complessivo e fanno venir meno anche quel poco consenso che si era registrato, mortificando e quasi annullando l'impianto della previdenza complementare collettiva come finora è stato costruito e sostenuto in Europa. Per questo motivo, siamo in grande imbarazzo a dover anche solo discutere di un problema di questo tipo.
Vi sono, poi, continue voci (non so fino a che punto esse si possano concretizzare) sull'intenzione di manomettere il TFR per rimpinguare le casse dell'INPS (ciò è legato al discorso che ho svolto in precedenza). Mi auguro che tutto ciò non si concretizzi in un atto legislativo.


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In secondo luogo, ci preoccupa la cosiddetta delega «oceanica» che viene conferita al Governo. Dico «oceanica» perché il problema delle posizioni previdenziali di cui stiamo parlando è talmente delicato che nelle varie deleghe disposte da questo provvedimento basta forse modificare qualche parola o qualche virgola per spostare miliardi (magari, non si sa nemmeno dove rispetto ai capitoli del nostro bilancio dello Stato). Si tratta di deleghe oceaniche che non ci rassicurano. Si dà troppo spazio al Governo, chiunque esso sia: prima o poi, infatti, si terranno le elezioni politiche e, quindi, potrebbe accadere che non saranno più questa maggioranza o questo Governo ad avere in mano le carte da distribuire. Quindi, è evidente che una proposta di questo tipo va concertata non solo con le organizzazioni sindacali e con le parti sociali in genere, ma anche con l'opposizione, che domani potrebbe essere forza di Governo.
È un discorso che, francamente, ci lascia molto perplessi e dubbiosi anche sul piano del metodo. La delega sulla lotta al sommerso non ci convince, perché si parlava di un intervento specifico a fronte di un fenomeno così grave anche per i pensionati: purtroppo, questa delega lascia troppo spazio al Governo.
Vi sono, poi, altre deleghe addirittura grottesche per certi versi. Mi riferisco alla previsione secondo cui anche coloro che hanno 40 anni di contributi versati (e che, ormai, secondo questo sistema, sono diventati degli eroi) devono usufruire delle cosiddette finestre e, quindi, non possono andare subito in pensione, ma sono costretti ad aspettare.
Inoltre, onorevoli colleghi, vi è un rapporto veramente iniquo tra delega al Governo e l'eventuale questione di fiducia. Dico «eventuale» perché non so cosa deciderà al riguardo il Governo (e, forse, non lo sa nemmeno quest'ultimo): dipende da cosa accadrà nelle prossime ore o, forse, anche nei prossimi minuti. Però, sicuramente quello tra fiducia e delega è un rapporto - per quanto riguarda la Margherita, ma anche l'intera opposizione - assolutamente inaccettabile, perché significa che il Governo si dà la delega e se la gestisce. Per dirla in parole povere, il Governo, sulle pensioni, se la canta e se la ride: se vogliamo definire il rapporto tra fiducia e delega, la sostanza è questa.
Per questa ragione, mi auguro che non si registri da parte del Governo una forte determinazione nei confronti dell'eventuale posizione della questione di fiducia, non tanto argomentando sulla base di ragioni politiche di carattere generale, quanto alla luce delle motivazioni di merito, che ho in questo mio intervento esposto.
Si è «rotta» la continuità con la riforma Dini, aspetto che noi riteniamo essere un pilastro forte del nostro sistema; riforma, quella Dini, che per la sua solidità è stata ripresa da paesi, come la Svezia, che rappresentano le realtà più avanzate nell'Europa nella quale viviamo. Si è «rotto» il principio della gradualità, che per noi è un criterio elementare per ottenere consensi in questa materia; si è «rotta» l'equità tra il lavoro autonomo ed il lavoro subordinato (anche in quest'ultimo caso vi sono state audizioni in Commissione molto significative, che non hanno ricevuto ascolto nell'ambito del Governo ai fini della formulazione della sua proposta) ed infine si è previsto questo rinvio al 2008 che dimostra un opportunismo politico assolutamente incredibile. Un opportunismo che imputo non ai diversi ministri o sottosegretari del Governo, bensì all'opportunismo politico del Presidente del Consiglio dei ministri, del quale vi è la dimostrazione ogni giorno ed in ognuno dei suoi atti politici e che danneggia sicuramente molti partner della maggioranza che egli guida.
Vi sono poi una serie di vizi procedurali, sul piano del metodo istituzionale, nonché su quello dei contenuti, che sono realmente assai gravi e che non consentono di condividere questa proposta, dal momento che i sistemi del welfare di tutti i paesi europei vanno in una direzione diversa, ovvero sono definiti in un'ottica di sostenibilità finanziaria, sociale ed economica, che non è tuttavia presente nel quadro del quale stiamo discutendo; la


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sostenibilità non è presente sicuramente né dal punto di vista sociale e nemmeno da quello economico, perché non scorgo alcun possibile sviluppo nel nostro paese ed infine registro una carenza sotto il profilo della sostenibilità finanziaria.
Per queste ragioni, sono francamente preoccupato per quanto sta accadendo in questa discussione e quindi mi auguro che nel dibattito di oggi e nell'esame degli emendamenti nel corso delle prossime giornate si registri una sorta di ripensamento da parte del Governo, magari con l'espressione di un qualche apprezzamento rispetto ad eventuali proposte migliorative formulate dal relatore e dall'opposizione; nel caso di quest'ultima, si tratta di emendamenti «mirati», proposti esclusivamente per fornire un miglioramento significativo sul piano politico a questo provvedimento.
Per quanto riguarda le pensioni di anzianità, in materia di previdenza obbligatoria, la norma illustrata dal relatore, che le prevede, privilegia sicuramente una soluzione sbagliata, dal momento che le inquadra come obbligatorie e si pone quindi in contrasto con i principi di liberalizzazione dell'età pensionabile.
Mi stupisco di questo Governo e di questa maggioranza, che in campagna elettorale ha sempre parlato di liberalizzazione su ogni aspetto, mentre ora non se ne vede nemmeno l'ombra; anzi, vi è una forte propensione allo statalismo da parte di questo Governo (si guardino in tal senso le ultime leggi finanziarie); sempre sulle pensioni d'anzianità, credo sia anche eccessivo il numero di anni complessivo, nonché l'entità dell'impatto secco, il cosiddetto «scalone», di almeno tre anni a partire dal 1o gennaio 2008; infine, se ho ben compreso, come dicono anche i sindacati, si «cancellano» di fatto le pensioni di anzianità per le donne lavoratrici.
Vi è poi il problema della pensione unica di vecchiaia con il metodo contributivo: viene stravolto, a nostro avviso, il metodo contributivo, attraverso l'introduzione dell'età pensionabile minima di 65 anni per gli uomini e di 60 anni per le donne.
È una decisione sbagliata perché abolisce il principio di liberalizzazione dell'età pensionabile sul quale si basa il sistema contributivo, rendendolo rigido e penalizzante: cito le parole testuali usate da CGIL, CISL e UIL nella loro audizione. Tale metodo rigido e penalizzante ci rende un po' perplessi perché il Governo ha chiesto sempre maggiore flessibilità e ci propone una grande rigidità nel riordino del sistema pensionistico del nostro paese.
Vi sono alcune considerazioni da svolgere sulla decorrenza delle pensioni e sulle cosiddette finestre, ormai ridotte a due, introdotte per il contributivo. Si tratta di norme che possono apparire come un'opportunità nel contesto del danno derivante dall'innalzamento obbligatorio dell'età. Credo, come hanno detto anche i sindacati, si tratti di un danno molto forte perché, ricalcolando con il metodo contributivo tutta la carriera di una persona, si rischia di ridurre in maniera consistente l'importo della pensione.
Vi sono molti problemi anche per quanto riguarda la previdenza complementare. Il disegno di legge di delega, approvato con il voto di fiducia al Senato, non tiene conto dell'esito del confronto tra Governo e sindacati. Per tale motivo, signor Presidente, onorevoli colleghi, onorevole sottosegretario, siamo fermamente contrari al provvedimento in esame, come abbiamo già detto in Commissione e come è stato affermato anche dalle tante forze audite in quella sede. Siamo sicuramente preoccupati per il tipo di impostazione che il Governo ha voluto dare perché in tal modo non si riforma un bel niente.
Apprendo adesso che l'onorevole Bossi, ministro per le riforme, si è dimesso da ministro e da deputato. Non so cosa ciò voglia dire sul piano politico per la maggioranza: lo vedremo nelle prossime ore. Ovviamente, quelle personali sono scelte che vanno rispettate fino in fondo, ma si tratta di dimissioni inquietanti dal punto di vista politico perché avvengono nel quadro assolutamente precario in cui sta vivendo la maggioranza. Il paese stesso


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non solo trae nocumento da tale situazione, ma si trova in grossa difficoltà a capire i processi politici.

PRESIDENTE. Onorevole Lusetti...

RENZO LUSETTI. Concludo, signor Presidente.
Mi auguro che, comunque, si possa proseguire in una discussione molto franca e decisa. Abbiamo presentato una serie di emendamenti mirati che hanno l'obiettivo preciso e specifico di migliorare tale disegno di legge di delega in materia pensionistica. Anche se le deleghe sono tante, vogliamo blindare il Governo in ordine ai decreti attuativi.
Se da parte del Governo vi sarà disponibilità, saremo a nostra volta disponibili a confrontarci in maniera serena e critica. Se vi sarà - come sembra - una sorta di chiusura forte, decisa e categorica, faremo tutto quanto in nostro potere per portare avanti un'opposizione seria, dura, decisa e credibile a questo Governo che, ormai, non è più credibile (Applausi dei deputati dei gruppi della Margherita, DL-L'Ulivo e dei Democratici di sinistra-L'Ulivo).

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Dario Galli. Ne ha facoltà.

DARIO GALLI. Signor Presidente, vorrei lasciare ai colleghi del centrosinistra le loro considerazioni, prendendo atto che ogni tanto si cambia anche qualche ministro, ma da tre anni a questa parte il Governo è sempre lo stesso e così il primo ministro (nello stesso periodo, in passato, ne erano stati già cambiati quattro e tre, rispettivamente).
Per quanto riguarda la questione delle pensioni, mi ha colpito un aspetto delle recenti elezioni europee e non tanto il dato elettorale, perché, come sempre in Italia, tutti hanno vinto, anche chi ha perso o ha visto erose le proprie posizioni (alla fine il centrosinistra è rimasto esattamente nelle stesse posizioni di prima, anche se sembra abbia raggiunto chissà cosa, ed anche qualche partito del centrodestra, numeri alla mano, mi sembra non abbia vinto, anche se viene detto il contrario in televisione). A parte queste considerazioni puramente elettorali che lasciano il tempo che trovano, il dato veramente sconvolgente, lo dico da cittadino e, soprattutto, da parlamentare, è che, a giugno, si sono recate a votare circa 50 milioni di persone (quelle che avevano perlomeno la possibilità di farlo, trattandosi di elettori maggiorenni). Il dato drammatico, a fronte di 57 milioni di persone che compongono il nostro paese, è che, se risultano 50 milioni di elettori, solo sette milioni di persone (ragazzi e ragazze) avrebbero un'età compresa tra 0 e 18 anni. Questo vuol dire che il nostro non sarà più un paese di 28-30 milioni di persone attive nel giro di pochissimo tempo (qualche decennio, un paio di generazioni al massimo).
Questo dato dovrebbe far riflettere e far capire l'assoluta necessità di varare riforme di grande respiro sociale, come quella sul sistema pensionistico in discussione. Al di là delle questioni politiche, soprattutto di quelle di giustizia sociale, di cui occorre tener conto (ne parleremo dopo), bisogna riflettere su un dato: il nostro è un paese che invecchia in maniera assolutamente incontrollata e che si troverà tra poco, se non vi si porrà rimedio, a dover gestire una situazione probabilmente non più gestibile. Questo è il risultato riscontrato nel nostro paese di decenni di politica famigliare fallimentare, imputabile soprattutto al centrosinistra, con le sue idee di globalizzazione, nonché di distruzione di tutto ciò che possa assomigliare ai modelli occidentali. Soprattutto, la politica attuata nel quinquennio dal suo Governo sull'immigrazione clandestina indica chiaramente la sua visione del mondo e della società italiana. Parallelamente, vi è un'assoluta assenza di ogni politica di tipo famigliare che solo il gruppo della Lega, da quando è al Governo, pur con difficoltà, considerata l'attuale situazione economica che si sta vivendo, sta cercando di portare avanti. Questa dovrebbe essere la prima preoccupazione del legislatore del nostro paese.


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Detto ciò, tornando all'argomento in discussione, vi sono altre considerazioni da svolgere, oltre quella puramente demografica che, peraltro, era prevalente sulla questione delle pensioni. Si avverte un problema di credibilità internazionale, perché il monito che l'Europa ci ha rivolto per quanto riguarda la nostra struttura del debito pubblico in generale, ed in particolare con riferimento al debito pensionistico, non si può trascurare. Al di là del fatto che possa interessare o meno, vi è il problema, ben più serio, dell'eventuale diminuzione dei rating internazionali, con l'immediato aumento del tasso sul debito pubblico, che sarebbe sconvolgente anche dal punto di vista finanziario.
Peraltro, la riforma Dini non dà i risultati che il consesso internazionale si aspetta dal nostro paese. Tale riforma è stata un vero e proprio colpo di mano portato avanti dal centrosinistra, che oggi si scandalizza se si dovesse porre la questione di fiducia su tale provvedimento, cosa peraltro assolutamente non scontata (potrebbe non essere posta), e glissa abilmente sul fatto che la stessa riforma Dini nel 1995 fu approvata dopo tre richieste di fiducia. Erano quindi tutti d'accordo, ma se non fosse stata posta la questione di fiducia, il provvedimento non sarebbe stato approvato!
La riforma Dini, varata dal centrosinistra, andò a sconvolgere ciò che, pochi decenni prima, la sinistra ed i sindacati avevano di fatto promesso agli elettori ed ai lavoratori italiani: la scomparsa anticipata delle pensioni di anzianità. Ricordo, infatti, che il problema dei 35 anni non viene affrontato da questa riforma (di fatto fu assolutamente sconvolto e, nella sostanza, eliminato proprio con la riforma Dini).
Del resto, l'atteggiamento generale della sinistra rispetto a questa riforma è abbastanza evidente: hanno cominciato a fare scioperi generali già due anni fa, quando ancora non si sapeva effettivamente quali fossero i contenuti di tale riforma, solo al fine di far capire che qualunque cosa avesse proposto il Governo di centrodestra comunque a loro non sarebbe andata bene.
Detto ciò, mi rifaccio a quanto illustrato dal relatore nella sua relazione, mettendo in evidenza tutti gli aspetti risolti dalla riforma in esame. Evidentemente, ve ne sono degli altri che non condividiamo completamente dal punto di vista del principio, soprattutto con riferimento ad un eventuale passaggio con poca gradualità dall'anzianità ai quarant'anni di contribuzione, anche se il nostro è un rilievo soprattutto di giustizia sociale, in questo caso, fiscale e contributiva. Infatti, nella sostanza - ed è ciò che riduce un po' la portata della nostra osservazione -, già l'attuale realtà avvicina molto alla riforma l'effettivo pensionamento dei lavoratori; tant'è che, a fronte dei 35 anni e dei 57 anni teorici, la maggior parte dei lavoratori che va in pensione con il regime dell'anzianità lo fa ad un'età che oscilla tra i 58 e i 59 anni e ad una anzianità reale che è tra i 38 e 39 anni. Quindi, rispetto al teorico, il passaggio di cui parliamo si riduce notevolmente.
Ugualmente - e ciò fa parte di una serie di aspetti che vorremmo che il Governo riconsiderasse una volta approvata questa riforma - vi è il problema delle cosiddette «donne silenti», vale a dire di quelle persone che hanno lavorato per un certo numero di anni e che poi, avendo messo al mondo dei figli, hanno deciso di abbandonare il lavoro e di dedicarsi alla famiglia. Ecco, tali persone, anche attraverso questa riforma, non recuperano completamente quanto pagato durante lo svolgimento della propria attività lavorativa. Ciò rappresenta evidentemente un aspetto sul quale riflettere e al quale, eventualmente, porre rimedio. Tuttavia, occorre sottolineare che in questo caso il problema viene preso almeno in considerazione; invece il centrosinistra aveva stabilito che se una donna di Varese o di Catania aveva lavorato alcuni anni, pagando magari 10-15 milioni l'anno, era bene che li perdesse tutti, mentre un extracomunitario proveniente dall'Africa o dall'Asia, se dopo quattro o cinque anni di


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lavoro decideva di tornare al proprio paese, gli venivano restituiti i contributi comprensivi degli interessi legali. È stata necessaria la presenza della Lega al Governo per eliminare questa palese ingiustizia!
Ci sono inoltre altri aspetti che in questa riforma vengono confermati e che, fino a qualche anno fa, sembravano dei veri e propri tabù come, ad esempio, il fatto che una persona in pensione non potesse più lavorare, perlomeno in maniera regolare. Anche in questo caso, sono state necessarie quattro o cinque finanziarie con emendamenti proposti dalla Lega per consentire comunque la possibilità di cumulare reddito da pensione e reddito da lavoro dopo l'età pensionistica, quasi che la pensione fosse un regalo del Signore e non un qualcosa che spetta per i contributi pagati in anticipo.
In questa riforma sono contenuti altri punti, che poi dovranno essere effettivamente posti in essere, legati soprattutto alle irregolarità. Mi riferisco alle invalidità false - di cui la sinistra continua a dimenticarsi, forse perché in qualche collegio ciò le fa comodo -, che sostanzialmente assorbono un quarto delle risorse che i cittadini onesti, in regola con legge, pagano. Vi è una quantità di prestazioni di invalidità, soprattutto civile, che è assolutamente al di fuori di ogni ragionevole statistica. Se non si pone rimedio a tali problematiche, è inutile chiedere sacrifici ai cittadini che già pagano le tasse!
In ordine al problema complessivo relativo al lavoro nero, è evidente che chi lavora in nero, oltre a porre in essere un comportamento irregolare per definizione, non contribuisce al mantenimento della collettività; non pagando le tasse sul reddito e, peggio ancora, non pagando i contributi per la propria pensione, graverà in futuro sulla collettività per il pagamento della propria pensione che, anche se in quantità minima, comunque percepirà.
Nonostante tali appunti, su cui comunque torneremo una volta approvata la riforma, sistemato il bilancio nonché la presentabilità dei conti pubblici italiani al cospetto del consesso internazionale, vi sono alcuni segnali da prendere in considerazione.
È stata appena ricordata l'ipotesi di un voto di scambio tra riforma delle pensioni e riforma in senso federale dello Stato. Facciamo un po' di chiarezza anche su questo aspetto. È evidente che ogni riforma è importante e che, quindi, il legislatore deve comunque tenere presente, nel proprio lavoro, l'interesse complessivo del paese, ma alcune cose devono essere valutate nel loro complesso. Per il gruppo della Lega Nord Federazione Padana è importante portare a termine un pacchetto complessivo di riforme, perché chiedere sacrifici e contributi soltanto ad una parte della popolazione, e non a tutta, è sbagliato di per sé.
Non si tratta quindi di un problema di scambio elettorale, ma di puro buon senso amministrativo e legislativo. La maggioranza ha il dovere di portare avanti un pacchetto completo di riforme, nell'ambito del quale la riforma pensionistica rappresenta sicuramente un passaggio importante, che però al nostro partito chiede un minimo di sacrificio - neanche tanto minimo - a livello politico. È, infatti, evidente che qualunque riforma pensionistica si approvi, i sacrifici verranno in primo luogo chiesti a chi già ne sostiene il maggiore onere. Questo aspetto è indiscutibile, in quanto ciò viene affermato dall'ISTAT, e non certo dall'ufficio stampa della Lega Nord: sono soprattutto i lavoratori del nord, i padani, quelli che storicamente hanno pagato, pagano e continueranno a pagare i maggiori contributi.
Si tratta, quindi, di una riforma che chiede sacrifici a queste persone e che non può essere disgiunta da un'altra che, complessivamente, rende più efficiente il paese. Non possiamo chiedere sacrifici solo ai lavoratori e ai contribuenti del nord, senza però impegnarci sul problema delle false invalidità e su altri aspetti generali, come ad esempio il numero degli statali. Vorrei ricordare che un paese come il nostro non può avere 57 milioni di abitanti e 21 milioni di lavoratori, di cui 5 milioni alle dipendenze dello Stato. Al di


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là di ogni considerazione politica o credo ideologico, tale percentuale è fuori da ogni misura, non solo di qualche decimale, ma di ordini di grandezza ben superiori, rispetto a qualunque altro paese occidentale, industrializzato e in qualche modo equiparabile al nostro. Non possiamo - non certo per le ragioni che ha ricordato il collega della sinistra intervenuto prima - proseguire con i comuni costretti ad arrangiarsi con il 2 per cento di tasse rispetto al gettito complessivo.
Su tale aspetto i colleghi della sinistra non possono certo dire nulla, in quanto la politica delle addizionali aggiunte, dall'ISI in avanti, è stata proprio una loro invenzione, così come quella di procedere ad una riforma istituzionale senza il minimo cenno al federalismo fiscale. Quest'ultimo è un aspetto sicuramente da rivedere: si tratta di togliere pesantemente, dove è possibile, ai settori centrali inefficienti, per trasferire alle periferie, dove i meccanismi sono ben più efficienti.
Non possiamo inoltre proseguire con i prestiti dell'ordine di mille miliardi a «carrozzoni» di Stato come l'Alitalia, un'azienda con il triplo del personale necessario, senza più aeroplani ma, in compenso, con molti dipendenti a terra, che perde gli slot a Malpensa per mantenere il personale a Fiumicino; vanno altresì considerate molte altre anomalie di cui discuteremo la prossima settimana, quando il decreto in materia arriverà in quest'aula. Tale impostazione è propria di un'ottica di organizzazione statale che non appartiene alla tradizione ideologica e politica della Lega Nord Federazione Padana.
Non poniamo problemi per questioni elettorali o di poltrone, come peraltro abbiamo dimostrato: per noi stare o meno al Governo non cambia nulla. È importante, invece, fare le cose che davvero servono al paese - e sottolineo al paese -, di cui noi rappresentiamo una parte importante dal punto di vista ideologico. Vorremmo che tale parte diventasse un esempio per il resto, e non viceversa: siamo convinti, infatti, che l'interesse generale sia fare diventare l'Italia un po' più padana, piuttosto che la Padania un po' più italiana.
Fatte queste considerazioni, vorrei concludere riprendendo alcuni passaggi evidenziati dai colleghi della sinistra in sede di Commissione, i quali devono cominciare a capire davvero quello che vogliono fare, perché non si può volere tutto e il contrario di tutto.
La sinistra vorrebbe che le pensioni venissero percepite in età giovanissima, come accade ogni volta che vi è una battaglia sindacale per prepensionamenti di ferrovieri, postelegrafonici, e via dicendo; vorrebbe che durante l'età lavorativa la gente lavorasse il meno possibile, come se il lavoro fosse di per sé una condanna, e ha proposto in Parlamento nella scorsa legislatura le 35 ore, anche se tale proposta non è stata portata avanti, come invece è accaduto in altri paesi europei a guida socialista o comunista o socialcomunista, salvo poi rimediare velocemente all'errore compiuto e tornare indietro, come stanno facendo la Francia e la Germania.
Vorreste portare il vostro esempio economico dappertutto. Peccato che non vi sia al mondo un solo paese comunista ricco, in cui la gente possa dire di stare bene: ve ne fosse uno solo al mondo! Peraltro, ne avete avuto di tempo e non vi sono mancate le occasioni. Un esempio su tutti, di cui si è occupato un reportage pubblicato dalla stampa alcuni giorni fa, è relativo a uno dei paradisi comunisti, vale a dire Cuba. In tale paese le persone anziane, che vengono accuratamente tenute nascoste agli occhi dei turisti, percepiscono una pensione media - salvo, naturalmente, che siano parenti di Fidel o grand commis di Stato - di 100 pesos al mese, pari a circa 3,5 euro.
Questi sono i paradisi comunisti, ma soprattutto - dal momento che non intendo condurre una sterile polemica - questi sono i risultati del vostro modo di intendere l'economia! Dunque, non venite a fare lezioni e ad insegnarci come si debbono fare le cose durante la fase di produzione della ricchezza, vale a dire nel


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corso della vita lavorativa, e della fase di riposo dall'attività lavorativa, vale a dire durante il pensionamento!
Vi sono altri aspetti su cui dovreste soffermarvi. In primo luogo, non dovreste rivolgervi in modo demagogico ai giovani. I problemi attuali di questi ultimi - la precarietà del lavoro, l'aleatorietà dei contratti, e via dicendo - derivano dalla vostra politica: infatti, il «pacchetto Treu», che prevede ad esempio i co.co.co. e il lavoro interinale, è un'invenzione vostra, non nostra!
Ma, soprattutto, dovreste considerare i risultati conseguiti da questo Governo: in tre anni la disoccupazione è stata portata all'8,4 per cento, che costituisce il livello più basso del dopoguerra. In questo momento, sulla base dei dati dell'Istat (in cui lavorano i vostri funzionari, non i nostri), la disoccupazione è più bassa rispetto quella della Francia e della Germania, per la prima volta nel dopoguerra. Vi è certamente un problema di qualità del lavoro: i giovani, infatti, trovano lavoro, ma si tratta spesso di un lavoro non adeguato alla loro preparazione scolastica. Tuttavia, anche in tal caso, avete alcune responsabilità: infatti, senza un'industria di punta e senza il mantenimento di un'eccellenza produttiva, nel nostro paese non si possono creare posti di lavoro di alto livello, e la deindustrializzazione è stata incentivata proprio dalla vostra politica della globalizzazione.
Ad esempio, il nuovo presidente della FIAT, Luca Cordero di Montezemolo, che è anche presidente di Confindustria, ha subito riportato in auge la concertazione, che in trent'anni ha consentito alla FIAT di ricevere, a fondo perduto, 220 mila milardi dai contribuenti italiani (mi permetto di dirlo, soprattutto padani).

PRESIDENZA DEL PRESIDENTE PIER FERDINANDO CASINI (ore 12,12)

DARIO GALLI. In questi trent'anni, la FIAT è passata da 220 mila a 30 mila dipendenti sul territorio italiano: come pensiamo di poter avere posti di lavoro intelligenti, ricchi di contenuto tecnologico per i nostri giovani, spesso laureati o plurilaureati, se le industrie in Italia non ci sono più? Con questi soldi, comunque, il vostro Luca Cordero di Montezemolo, che ora pontifica, ha costruito nuove fabbriche in Ungheria e in Polonia.
Dunque, prima di straparlare di governi, di primi ministri, di ministri che si dimettono o non si dimettono e di maggioranze che resistono o non resistono, cercate di pensare agli errori che avete compiuto nel passato e al disastro cui avete portato il paese.
Questa maggioranza, che durerà fino al 2006, con il provvedimento in esame compie un passo decisivo verso la ricostruzione economica e, soprattutto, morale e ideologica di questo paese. Non si tratterà di un passaggio facile, ed esso dovrà essere necessariamente seguito da ulteriori passaggi, ma esso sarà compiuto, molto probabilmente, senza ricorrere alla questione di fiducia, che voi avete utilizzato tre volte sulla riforma Dini (Applausi dei deputati dei gruppi della Lega Nord Federazione Padana e di Forza Italia).

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