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PRESIDENTE. Ricordo che nella parte antimeridiana della seduta si sono svolti gli interventi sul complesso degli emendamenti e che il relatore ed il Governo hanno espresso il parere sulle proposte emendative presentate.
NUCCIO CARRARA, Relatore. Chiedo di parlare.
PRESIDENTE. Ne ha facoltà.
NUCCIO CARRARA, Relatore. Signor Presidente, onorevoli colleghi, vorrei intervenire per svolgere alcune brevi considerazioni.
È fin troppo ovvio, per rispondere alle osservazioni avanzate dai colleghi, che il provvedimento al nostro esame avrebbe potuto essere anche migliorato da questo ramo del Parlamento; è altrettanto ovvio, tuttavia, che i termini per la conversione in legge del provvedimento, fissati per il 28 di questo mese, non lo consentono.
Difatti, alcune osservazioni avrebbero potuto essere accolte, nell'ambito di un provvedimento che tenta di aiutare gli enti locali - soprattutto quelli che versano in grandi difficoltà finanziarie - , in particolare gli enti di piccole dimensioni.
Talune osservazioni mi sono invece sembrate del tutto pretestuose ed ingenerose. Comprendo che l'opposizione faccia il proprio dovere, ma comprendo anche che è compito di ognuno assumersi le relative responsabilità.
Nel provvedimento sono previsti finanziamenti a favore dei piccoli comuni e di quelli che versano in particolari difficoltà. Naturalmente, se le condizioni finanziarie dello Stato fossero state altre e se non ci si fosse trovati in un periodo così difficile, il Governo si sarebbe fatto carico, ed anche questa Camera, di incrementare i fondi a disposizione dei piccoli comuni.
Tuttavia, il provvedimento interviene per evitare una serie di scioglimenti anticipati dei comuni: mi riferisco non tanto ai comuni inadempienti per loro responsabilità, ma a tantissimi comuni che non hanno potuto far quadrare i conti ed approvare i propri bilanci.
Pertanto, si è imposto uno slittamento del termine di approvazione dei bilanci e per questa ragione il Governo ha provveduto ad utilizzare anche alcuni escamotage, se vogliamo, quali l'avanzo di amministrazione dell'anno precedente, ancorché non accertato, per l'approvazione del bilancio di previsione dell'anno in corso.
È un piccolo strumento, ma darà sicuramente una boccata di ossigeno ai piccoli comuni. Questi ultimi, va ricordato, non possono più contare sull'aiuto diretto dello
Stato che non può essere più garante nell'assunzione dei mutui. Lo stesso nuovo Titolo V della Costituzione vieta, ad esempio, allo Stato di farsi garante dei debiti contratti dai comuni. Comunque, sono possibili solo interventi per investimenti e non di spesa corrente.
Dunque, il provvedimento è sicuramente urgente ed importante e ci auguriamo che grazie ad esso centinaia di comuni possano uscire dalle difficoltà in cui si trovano.
Mi riservo di intervenire, qualora ve ne fosse bisogno, durante il prosieguo del dibattito. Per quanto riguarda l'emendamento che ci accingiamo ad esaminare, invito i colleghi della maggioranza a votare contro.
ANTONIO LEONE. Chiedo di parlare sull'ordine dei lavori.
PRESIDENTE. Ne ha facoltà.
ANTONIO LEONE. Signor Presidente, vorrei chiederle di far accertare agli uffici se alcune Commissioni stiano ancora lavorando. Mi giunge voce, ad esempio, che la Commissione finanze fino a 30 secondi fa stesse ancora lavorando.
PRESIDENTE. Onorevole Leone, le Commissioni sono tutte sconvocate.
Avverto che è stata chiesta la votazione nominale mediante procedimento elettronico.
Passiamo ai voti.
Indìco la votazione nominale, mediante procedimento elettronico, sull'emendamento Leoni 2.1, non accettato dalla Commissione né dal Governo.
(Segue la votazione).
Dichiaro chiusa la votazione.
Comunico il risultato della votazione: la Camera respinge (Vedi votazioni).
(Presenti e Votanti 317
Maggioranza 159
Hanno votato sì 139
Hanno votato no 178).
Prendo atto che l'onorevole Nicotra non è riuscito ad esprimere il proprio voto.
Passiamo alla votazione dell'emendamento Mascia 4.1.
Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto l'onorevole Maran. Ne ha facoltà.
ALESSANDRO MARAN. Signor Presidente, onorevoli colleghi, intervengo per ricordare che il differimento del termine per la presentazione dei bilanci di previsione previsto dall'articolo 1, comma 1, è la manifestazione più evidente di una crisi. Tale differimento, che avrebbe potuto essere adottato attraverso un decreto ministeriale al fine di evitare la decretazione d'urgenza, si è reso necessario per consentire agli enti locali una più approfondita valutazione delle risorse disponibili. La suddetta crisi è riconosciuta proprio dall'articolo 4 in esame, oltre che dall'accoglimento al Senato dell'ordine del giorno presentato dal senatore Vitali nella parte che impegna il Governo a rendersi disponibile al fine di modificare, con le competenti Commissioni parlamentari e con le associazioni rappresentative degli enti locali, la normativa in materia di patto di stabilità per l'anno 2005.
È in questo stato di particolare sofferenza della finanza comunale e provinciale che avviene oggi tale rinvio. Proprio in questi giorni - come ho ricordato anche durante la discussione sulle linee generali - il presidente dell'UPI, Lorenzo Ria, ha inviato una lettera ai capigruppo ed ai componenti della Commissione bilancio della Camera dei deputati con la quale ci ha sottoposto alcuni emendamenti. Il presidente dell'ANCI, Leonardo Domenici, si era rivolto a tutti i senatori alla vigilia della discussione del decreto-legge al Senato. L'ANCI e l'UPI ci hanno proposto una serie di modifiche tese ad emendare le norme contenute nelle leggi finanziarie del 2003 e del 2004 dirette a garantire la funzionalità degli enti locali che, altrimenti, a causa dell'indisponibilità di risorse finanziarie e di strumenti concreti, vedrebbero seriamente compromessa la propria capacità di erogare servizi e funzioni nei rispettivi territori.
È verosimile che tali proposte di modifica, che abbiamo formulato insieme alle nostre, non verranno accolte. Vista l'imminente scadenza del decreto-legge, infatti, non vi sono molti margini per la correzione del testo, come ci ha ricordato lo stesso relatore.
Resta il fatto - ed è venuto il momento che tale consapevolezza si faccia strada anche nella maggioranza - che la gabbia messa sulla finanza locale non può più reggere.
Oltretutto, un intervento così incisivo, deciso in maniera del tutto unilaterale, dall'alto, rappresenta una violazione dello spirito e della sostanza della nuova Costituzione decentrata, perché contraddice l'articolo 119 della Costituzione, che attribuisce a comuni, province, città metropolitane e regioni autonomia finanziaria, di entrata e di spesa. Il Governo ha tutto il diritto di ridurre le spese (così come i tributi) di propria competenza, ma non può interferire negli ambiti di autonomia degli enti locali. In un sistema decentrato, infatti, è l'ente locale che decide autonomamente della propria fiscalità e non il Governo centrale. In un sistema decentrato, sono i cittadini che decidono di premiare o di punire quel governo locale (se questi ha utilizzato male le proprie imposte), e non il Governo centrale. Il Governo centrale ha tutto il diritto di chiedere che gli enti locali rispettino i saldi, ed anche di punire chi «sgarra», ma un saldo di bilancio si può rispettare sia riducendo la spesa, sia aumentando le imposte e le altre entrate; sta poi ai cittadini, in un sistema decentrato, decidere se quel governo locale ha scelto la combinazione giusta.
So bene che voi pensate che basti un uomo solo al comando, il premier, ma lo slogan, che ricorda quello di qualche tempo fa - un re per una terra -, poteva andare bene all'epoca di Excalibur o dei Cavalieri della tavola rotonda oppure nella fase di costruzione degli Stati nazionali. Oggi è troppo semplicistico, perché le politiche di sviluppo non sono più alla portata di un unico decisore e quindi qualsiasi pretesa di imporre comportamenti virtuosi, in una logica dall'alto al basso, e un modello gerarchico in cui si incastrano «a matrioska» le istituzioni, dal locale al globale, non corrisponde più alla realtà. Una volta queste cose le ricordava la Lega. Oggi ha smesso di farlo, ma è il caso ancora di sottolinearlo.
PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto l'onorevole Bressa. Ne ha facoltà.
GIANCLAUDIO BRESSA. Signor Presidente, colgo l'occasione della votazione di questo emendamento presentato dai colleghi Mascia e Russo Spena per svolgere una valutazione, credo sensata. Il collega Carrara, qualche istante fa, ci ricordava lo stato in cui versano i comuni, soprattutto i piccoli comuni (uno stato di profondo disagio), e chiosava questa sua affermazione, peraltro verissima, dicendo che, se non fossimo in un momento così difficile, questo Governo avrebbe sicuramente aumentato i trasferimenti ai piccoli comuni. Ebbene, se ci troviamo in un momento così difficile, è perché c'è questo Governo. È perché ci sono state le scelte sbagliate di politica economica e finanziaria, che questo Governo ha fatto. Se siamo in questa situazione, è perché la finanziaria di questo Governo, approvata lo scorso dicembre, ha messo in ginocchio le amministrazioni locali e le regioni.
In un sondaggio pubblicato quest'oggi in un quotidiano, si legge che l'85 per cento dei sindaci giudica in maniera molto negativa la finanziaria dello scorso anno. Il 74 per cento dei sindaci dei comuni governati dal centrodestra ha dato parere negativo sulla finanziaria. Questo perché voi, per mantenere fede ad una promessa elettorale - che era impossibile da mantenere - e per far finta di abbassare le tasse a livello nazionale, avete scaricato sul sistema delle amministrazioni regionali e degli enti locali il costo di questa operazione. Adesso voi pensate di risolvere i problemi con una norma, come quella dell'articolo 4 (recante la rubrica «Modalità di applicazione dell'avanzo di amministrazione presunto») - che fa riferimento
ai comuni con popolazione fino a 3 mila abitanti che abbiano avuto tagli superiori al 10 per cento della parte corrente (laddove nei piccoli comuni ciò rappresenta la quasi generalità della situazione, perché la quasi totalità dei comuni ha subito tagli superiori al 10 per cento) -, che in realtà è un'autentica presa in giro dei comuni piccoli, onorevole Carrara. Dato che non ci sono risorse aggiuntive, vi inventate l'idea di fare ricorso all'avanzo di amministrazione presunto. Peccato però che nell'ultimo periodo dell'articolo 4 del provvedimento in esame si dica che «per tali fondi si applicano le disposizioni di cui al comma 3, secondo periodo, del citato articolo 187 del testo unico». È impensabile che i colleghi possano conoscere a memoria il testo della disposizione, ma posso aiutarli a rinfrescarsi la memoria. I fondi di un presunto avanzo di amministrazione non potranno essere utilizzati se non dopo l'approvazione del conto consuntivo relativo all'esercizio finanziario 2003 che accerti l'effettivo avanzo di amministrazione derivante dall'esercizio finanziario.
Voi sbandierate sotto gli occhi di questi comuni l'allodola di un possibile utilizzo di avanzo di amministrazione (che sarà, peraltro, molto complicato che questi comuni possano registrare), ma i suddetti non potranno farlo fino a quando non avranno approvato il conto consuntivo del 2003. Questo è il vostro modo di fare! Avete strangolato lentamente, anno dopo anno, i comuni per far pagare agli stessi ed alle amministrazioni regionali le fantasie del ministro Tremonti e del Presidente del Consiglio sulla riduzione delle tasse in questo paese!
I comuni sono in ginocchio, ma non sono i sindaci a trovarsi in difficoltà. Vorrei ricordare che oltre il 70 per cento delle politiche di welfare in questo paese sono gestite da regioni, comuni e province e quindi voi, con questa operazione, mettete in ginocchio non i sindaci, ma i cittadini che sono amministrati da quei sindaci.
Con questa operazione voi cercate, pallidamente e, come di consueto, in maniera del tutto inefficace, di porre rimedio ai tragici errori politici, economici e finanziari che questo Governo, finanziaria dopo finanziaria, sta consumando, ai danni degli enti locali, delle regioni e, quindi, dei cittadini italiani.
Non immaginate con questi palliativi di riuscire a convincere nemmeno i vostri sindaci: vorrei ricordare, ancora una volta, che il 74 per cento dei sindaci di centrodestra (non sono, quindi, sicuramente tacciabili di faziosità, come ha fatto poc'anzi il collega Carrara, riferendosi agli interventi di qualche nostro collega) hanno bocciato la finanziaria, perché li sta strangolando. Immaginate voi se un pannicello caldo, come questo decreto-legge, possa risollevare da questa tristissima situazione le sorti dei comuni, delle provincie e delle regioni, quindi dei cittadini italiani!
PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto l'onorevole Russo Spena. Ne ha facoltà.
GIOVANNI RUSSO SPENA. Signor Presidente, il collega Bressa ha già illustrato le finalità dell'emendamento in esame.
Anch'io credo valga la pena leggere il testo dell'articolo 4 del provvedimento in esame per far comprendere ai colleghi di che cosa si sta discutendo. Tale articolo fa riferimento «ai comuni con popolazione fino a tremila abitanti che abbiano avuto una riduzione dei trasferimenti erariali di parte corrente superiore al 10 per cento di quelli assegnati nell'anno 2003», concludendo con la previsione che «per tali fondi si applicano le disposizioni di cui al comma 3, secondo periodo, del citato articolo 187 del testo unico», come ricordato dal collega Bressa.
Il nostro emendamento, che, peraltro, corrisponde ad emendamenti presentati anche da altri gruppi di opposizione (le motivazioni e le finalità sono identiche) e che prevede la soppressione delle parole: «di parte corrente» nel primo periodo, comma 1, dell'articolo succitato, è collegato ad un tema di fondo: i tagli maggiori previsti dalla legge finanziaria per il 2004 per i piccoli comuni hanno riguardato i
trasferimenti in conto capitale. Escludendoli, nessun comune potrebbe beneficiare dell'agevolazione concessa. È evidente allora la portata politica di questo articolo, di cui l'emendamento propone la soppressione delle parole più gravi, per i servizi sociali ovvero per lo Stato sociale, come ricordato precedentemente.
Anche il presidente dell'ANCI, recentemente, ha sottolineato come la continua erosione delle risorse destinate agli enti locali sia tale da compromettere la redazione dei bilanci di molti comuni, soprattutto di quelli piccoli e piccolissimi. Tra l'altro, questa manovra finanziaria avrà una conseguenza gravissima sull'erogazione dei servizi, quindi sulla cittadinanza dei comuni.
In effetti, qual è la trappola politica che, in maniera neanche troppo sofisticata, il Governo porta avanti? In realtà, non si riducono le tasse ad alcune parti privilegiate della popolazione - ricordo l'annuncio tipicamente propagandistico e preelettorale: votatemi, poi vi ridurrò le tasse! - e, nel frattempo, l'operazione reale che viene posta in essere è quella di uno strangolamento degli enti locali, che hanno nei loro bilanci la corresponsione del 70 per cento dei servizi sociali del nostro paese. Quindi, questo strangolamento finanziario - che comporta la necessità di aumenti dell'ICI, di tasse locali e così via -, da un lato, limita l'erogazione dei servizi sociali alla cittadinanza - già quest'anno abbiamo visto che gli enti locali hanno ridotto di molto i servizi riguardanti gli anziani, l'assistenza ai portatori di handicap eccetera -, dall'altro, gli enti locali diventano la controparte diretta dei cittadini. Dunque, il malessere per la mancata erogazione dei servizi si ripercuote, in una «vertenzialità drogata» a livello locale, sui sindaci e sui comuni invece che sulla manovra finanziaria di Tremonti e del Governo centrale.
L'operazione è fin troppo semplice, ma chiarissima; va demistificata e va portata a conoscenza della popolazione affinché diventi coscienza di un intervento di strangolamento dello Stato sociale, attraverso la riduzione dei finanziamenti agli enti locali, che il Governo, in maniera lucida e determinata, sta portando avanti.
PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto, a titolo personale, l'onorevole Marone. Ne ha facoltà.
RICCARDO MARONE. Signor Presidente, ritengo che il dato rilevante di questo articolo 4 sia il fatto che si testimonia per tabulas l'abilità del Governo, in quanto tutto è stato fatto per diminuire le tasse. L'esecutivo, con un'impresa davvero difficile, è riuscito, da una parte, a non diminuire le tasse, anzi ad aumentarle e, dall'altra, a diminuire i trasferimenti agli enti locali, come emerge chiaramente dal testo del presente articolo.
Stiamo parlando di una diminuzione del 10 per cento dei trasferimenti erariali per comuni con popolazione inferiore ai 3 mila abitanti, vale a dire comuni i cui bilanci sono già all'osso. Tra l'altro, il beneficio che si intende riconoscere a tali comuni è quello di applicare anticipatamente l'avanzo che, a mio avviso, in questi enti - vista la dimensione dei bilanci (se un comune funziona bene non dovrebbe registrare avanzi) -, è praticamente inesistente. Se si fa ciò è solo al fine di far credere a questi comuni che il Governo li vuole aiutare a fronte, invece, di una politica di erosione dei trasferimenti in loro favore.
PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto, a titolo personale, l'onorevole Lettieri. Ne ha facoltà.
MARIO LETTIERI. Signor Presidente, la lettura di questo articolo 4 è davvero istruttiva. Si parla di comuni fino a 3 mila abitanti, vale a dire di circa 5 mila comuni italiani. Si tratta dei piccoli comuni di cui ognuno di noi - indipendentemente dall'appartenenza politica -, in quest'aula, ha sempre parlato dimostrando grande attenzione. Tuttavia, quando si deve procedere all'approvazione di provvedimenti concreti, le iniziative assunte vanno in tutt'altra direzione.
Si parla di avanzo di amministrazione. Ma di quale avanzo di amministrazione si tratta se i piccoli comuni hanno appena i fondi per assicurare il pagamento degli stipendi al personale? Gli amministratori non ce la fanno più, sono veramente al limite della disperazione e, di conseguenza, anche i cittadini, che non riescono a ottenere neppure i servizi indispensabili.
Voglio ricordare - l'ho già detto questa mattina intervenendo in sede di dibattito sul complesso degli emendamenti - che, spesso, si tratta proprio di assicurare i servizi minimi. Dunque, ritengo che questo articolo non possa essere approvato e che, al contrario, dovrebbe essere accolto l'emendamento in esame, che chiedo di sottoscrivere (Applausi dei deputati del gruppo della Margherita, DL-L'Ulivo).
PRESIDENTE. Passiamo ai voti.
Indìco la votazione nominale, mediante procedimento elettronico, sull'emendamento Mascia 4.1, non accettato dalla Commissione né dal Governo e sul quale la V Commissione Bilancio ha espresso parere contrario.
(Segue la votazione).
Dichiaro chiusa la votazione.
Comunico il risultato della votazione: la Camera respinge (Vedi votazioni).
(Presenti e Votanti 364
Maggioranza 183
Hanno votato sì 168
Hanno votato no 196).
Passiamo alla votazione dell'emendamento Mascia 5.1. Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto l'onorevole Bressa. Ne ha facoltà.
GIANCLAUDIO BRESSA. Signor Presidente, si tratta ancora una volta di un'operazione di maquillage effettuata dalla maggioranza. Stiamo parlando dell'articolo 5: «Disposizioni per agevolare le procedure di risanamento degli enti locali in stato di dissesto finanziario». Quindi, ci si aspetterebbe che il contenuto di tali norme si occupi effettivamente di tale materia.
Per quanto riguarda il dispositivo dal comma 1 in poi, in qualche modo, è così. Ma il comma 01, ovvero quello che i colleghi Mascia e Russo Spena in maniera molto saggia propongono di sopprimere, si occupa invece dei soggetti che partecipano al capitale della società di gestione della casa da gioco di Campione d'Italia, proponendo di introdurvi nuovi soci quali la camera di commercio di Como e quella di Lecco. Qualcuno si può legittimamente domandare cosa c'entri tutto questo con la rubrica dell'articolo 5 che, ricordo nuovamente, reca: «Disposizioni per agevolare le procedure di risanamento degli enti locali in stato di dissesto finanziario».
Esiste un sottilissimo filo che unisce i due concetti, in quanto i fondi che provengono dai proventi della casa da gioco sono ripartiti secondo un meccanismo oramai collaudato: il 16 per cento va alla provincia di Lecco, il 20 per cento alla provincia di Varese, il 40 per cento alla provincia di Como e il restante 24 per cento è assegnato al Ministero dell'interno per il finanziamento del Fondo nazionale speciale per gli investimenti. Ecco quindi che questo sottilissimo filo riesce a riportarci alla questione di cui alla rubrica.
Occorre però ancora una volta sottolineare come si utilizzi una materia assolutamente impropria quale quella degli interventi per agevolare le procedure di risanamento degli enti locali in stato di dissesto finanziario, si approvi un decreto-legge - e qualcuno dovrebbe spiegarmi il senso e il significato della necessità e dell'urgenza di inserire la camera di commercio di Lecco e quella di Como tra i soggetti che partecipano al capitale della società di gestione della casa di gioco di Campione d'Italia - e si approfitti del primo provvedimento a disposizione per sistemare faccende interne alla maggioranza. Ancora una volta ci troviamo di fronte ad un testo a cui si cerca di attaccare tutto quanto è possibile e immaginabile. Sono procedure che non fanno bene al modo di legiferare, non fanno bene alla serietà dei legislatori di
questa maggioranza, non fanno insomma bene a nessuno se non, forse, alle camere di commercio di Como e di Lecco.
Mi sembra, però, quanto meno poco elegante «scomodare» un decreto-legge, presupponendo motivi di necessità ed urgenza, per sistemare vicende interne alla maggioranza. E di ineleganza in ineleganza, questa maggioranza si sta scavando la fossa (Commenti dei deputati dei gruppi di Forza Italia e della Lega Nord Federazione Padana)!
PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto l'onorevole Butti. Ne ha facoltà.
ALESSIO BUTTI. Signor Presidente, almeno per una piccolissima e ridottissima parte, quanto affermato poco fa dal collega è vero. Occorre però chiarire che le camere e di commercio di Como e Lecco, onorevole Bressa, non sono comparse improvvisamente all'interno della società che gestisce la casa da gioco di Campione d'Italia.
GIANCLAUDIO BRESSA. Lo sono!
ALESSIO BUTTI. Ricordo che sono state inserite dalla legge finanziaria n. 448 del 1998, e proprio su specifica volontà di alcuni colleghi residenti, operanti ed eletti nel comprensorio delle province di Varese, Como e Lecco allora sui banchi del centrosinistra.
Ritenevamo quindi che fossero pienamente legittime le partecipazioni delle camere di commercio di Lecco e di Sondrio.
Un'ulteriore questione riguarda la provincia di Varese: recentemente, infatti, alla locomotiva di Campione si sta aggregando una serie di vagoni. A questo punto, potremmo chiederci perché siano escluse Sondrio, Lodi, Milano, e via dicendo. Rilevo che la provincia di Varese non ha alcun nesso geografico, politico, sociale ed economico con la realtà dell'enclave di Campione. Con l'emendamento approvato dal Senato si è evidentemente ritenuto di riportare le camere di commercio di Lecco e di Como all'interno della gestione della casa da gioco, da cui erano state escluse in virtù della legge finanziaria 2004, e si fa altresì riferimento alla provincia di Varese.
Il collega che mi ha preceduto ha correttamente citato le quote relative alla ripartizione dei proventi: la provincia di Varese già percepisce il 20 per cento di tali proventi, al netto delle spese per la gestione della casa da gioco e per il comune di Campione. Essa non fa attualmente parte della società, e mi chiedo, quando vi entrerà, chi le cederà le azioni: è questo il nocciolo della questione, atteso che né il comune di Campione d'Italia, né le province e le camere di commercio di Como e di Lecco sono disposte a fare questo regalo.
GIANCLAUDIO BRESSA. Sarà il Ministero dell'interno.
ALESSIO BUTTI. Dal momento che va altresì esclusa la possibilità dell'aumento di capitale, ritengo che si determinerà un serio problema.
Semmai, la questione è costituita dal fatto - concordo al riguardo con l'onorevole Bressa - che il casinò di Campione è l'unica casa da gioco che regala il 24 per cento dei proventi al fondo di Campione. Alleanza nazionale ha presentato una serie di atti di sindacato ispettivo al riguardo, senza riuscire a comprendere cosa sia esattamente il fondo di Campione. Chiediamo chiarezza, e sarebbe opportuno che il Ministero dell'interno uscisse dalla gestione della casa da gioco (Applausi dei deputati del gruppo di Alleanza nazionale).
PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto l'onorevole Parolo. Ne ha facoltà.
UGO PAROLO. Signor Presidente, intendo aggiungere alcune riflessioni a quelle svolte dall'onorevole Butti, che peraltro in buona parte condivido. La questione del casinò di Campione è dibattuta da molti anni e torna ad essere ridiscussa e riaggiornata ad ogni legge finanziaria: le enormi risorse che tale casa
da gioco muove fanno legittimamente gola a numerose amministrazioni e a numerosi territori.
Ritengo tuttavia che alla proposta condivisibile di mettere in discussione il ruolo del Ministero dell'interno, che non ha più alcun motivo di partecipare alla gestione della casa da gioco, vada aggiunta l'esigenza di rivedere le quote assegnate al comune di Campione d'Italia. Sussiste certamente un'iniquità nel rapporto tra le risorse a disposizione delle province interessate (Varese, Como e Lecco), che comprendono oltre un milione di abitanti, e le risorse a disposizione di un comune di 3.000 abitanti, quale Campione d'Italia, che può disporre, per le proprie spese di gestione ordinaria, di oltre 35 milioni di euro annui, pari ad oltre 70 miliardi di vecchie lire. Ebbene, se intendiamo affrontare - e lo dobbiamo fare - la questione del casinò di Campione, ritengo dovremmo iniziare da tale iniquità, che è palese e sotto gli occhi di tutti.
Non è possibile che un territorio di oltre un milione di abitanti disponga di meno risorse di quante ne dispone un comune di tremila abitanti; e le risorse di cui dispongono queste tre province sono di gran lunga minori rispetto a quelle di cui dispone il comune di Campione, che ha solo tremila abitanti!
Ma dirò di più. Quando vi sono tanti soldi a disposizione e questi soldi si devono spendere per forza - perché è noto che i soldi a disposizione di un comune per le spese di gestione non possono essere accantonati - è evidente che, pur di spenderli, si spendono anche male. Ed è ora di finirla con la storiella che Campione d'Italia è un comune che ha costi simili ai comuni svizzeri! È vero, sostiene costi superiori ai costi normali che sostengono altri comuni, ma ci sono tanti comuni di confine, in prossimità della Svizzera, che hanno costi simili a quelli di Campione d'Italia! È indubbio che a questo comune debba essere riconosciuta una spesa maggiore, ma non è accettabile che gli venga riconosciuta una disponibilità finanziaria che è cento volte superiore a quella di cui godono gli altri comuni italiani, anche quelli al confine con la Svizzera. Questo enorme flusso di soldi conduce spesso ad esercitare una malagestione, a commettere sprechi, a far nascere privilegi, perché vi è la possibilità di godere di risorse che altri non hanno, e questo è estremamente ingiusto!
A puro titolo di esempio, voglio ricordare che il comune di Campione d'Italia - ribadisco, comune di tremila abitanti - può erogare alla propria pro loco qualcosa come 5 o 6 miliardi di vecchie lire all'anno per l'organizzazione delle manifestazioni. Non c'è nessun comune in Italia che può permettersi di fare questo! Credo dunque che le risorse che quella casa di gioco produce debbano essere distribuite in maniera equa sul territorio, perché soltanto in questo modo si ha la certezza di non sprecare quei soldi e di fare investimenti nell'interesse della gente.
PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto l'onorevole Marone. Ne ha facoltà.
RICCARDO MARONE. Signor Presidente, dagli interventi dei colleghi di Alleanza nazionale e della Lega emerge una situazione un po' paradossale, perché è vero, come dice il collega di Alleanza nazionale, che le camere di commercio di Lecco e di Como erano sparite improvvisamente dal capitale sociale, ma questo è stato fatto non più di quattro mesi fa da questa maggioranza! Questa maggioranza, in sede di legge finanziaria, ha eliminato le camere di commercio di Como e di Lecco e le ha sostituite con la provincia di Varese. Poi, quali motivi non economici, ma che riguardano i rapporti politici all'interno della maggioranza, vi siano dietro questa norma, francamente non è comprensibile (ma sappiamo che Varese interessa particolarmente a qualcuno della Lega e quindi immaginiamo che vi siano ragioni di questo tipo).
Con questa norma si raggiunge un risultato un po' paradossale, perché si reintroduce la provincia di Varese senza eliminare le camere di commercio e si dice che partecipano al capitale sociale anche
le province di Lecco e di Como. Io mi chiedo: come parteciperanno le province di Lecco e di Como a questo capitale sociale? Non si può partecipare per legge ad un capitale sociale: qualcuno deve cedere una quota di capitale a queste province! Quindi noi obbligheremo per legge qualche socio di questa società a cedere quote. Le dovrà cedere la provincia di Varese? Le dovrà cedere qualcun altro? Non si capisce! Quello che è indubbio è che la cessione obbligatoria per legge di quote sociali, a mio avviso, è in evidente violazione dell'articolo 41 della Costituzione, perché non credo che qualcuno possa imporre a qualcun altro un obbligo del genere!
Oppure dovremo arrivare ad un principio matematico secondo il quale la somma dovrà risultare più di cento, perché ovviamente, se con questa legge aggiungiamo due soci, quello che in totale era cento oggi dovrà diventare qualcosa di più. Anche qui, come si usa dire, la matematica non è un'opinione! Vorrei parlare con il senatore che ha elaborato questa norma - e con il Senato che l'ha approvata - perché ci spieghi come potrà avvenire questo miracolo della scienza, cioè che nella società di gestione della casa di gioco di Campione d'Italia si aggiungano due soci senza toglierne altri, nonché quale capitale sociale si darà a questi soci e chi glielo darà.
La legge non lo dice. Non credo che qualcuno sarà disposto volontariamente a cederla; dunque, o la norma è impossibile, e quindi inutile, oppure si tratta di una norma palesemente incostituzionale.
PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto, a titolo personale, l'onorevole Rusconi, al quale ricordo che ha un minuto di tempo a disposizione. Ne ha facoltà.
ANTONIO RUSCONI. Signor Presidente, intervengo brevemente perché, come deputato eletto a Lecco, condivido pienamente alcune delle osservazioni svolte dal collega Parolo. A questo proposito avevo anche presentato una interrogazione per la riammissione delle camere di commercio di Lecco e di Como, visto che la loro eliminazione è stata indubbiamente un errore!
Voglio dire altresì che bisognerà rivedere la quota del Ministero dell'interno, e richiamandomi alle osservazioni svolte prima dall'onorevole Parolo, che i fondi destinati al comune di Campione d'Italia sono indubbiamente esagerati, eccessivi e inducono probabilmente a pensare ad una gestione non sempre trasparente dell'amministrazione. Intendo sottolineare questo aspetto perché si tratta di un fatto verificatosi più volte negli ultimi anni (Applausi dei deputati del gruppo della Margherita, DL-L'Ulivo).
PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto, a titolo personale, l'onorevole Rizzi. Ne ha facoltà.
CESARE RIZZI. Signor Presidente, occorre dire come stanno le cose. Nell'ultima legge finanziaria era stato presentato un emendamento, a mia firma, per la riduzione dagli 80 miliardi previsti a 20 miliardi di vecchie lire che il casinò assegnava al comune di Campione. A questo punto, sfido qualsivoglia comune, non d'Italia ma d'Europa, ad affermare che introiterà una cifra del genere: è roba da matti!
Morale della favola: il mio emendamento è «scomparso»! Vorrei sapere a questo punto chi - tra tutti i deputati intervenuti a proposito di Campione d'Italia - abbia concordato, prima di entrare in aula, con il Vicepresidente del Consiglio e gli altri ministri, di lasciare immutata la previsione degli 80 miliardi e di inserire anche la provincia di Varese in tutta questa confusione. Ecco il punto, signor Presidente!
È inutile raccontare barzellette: han tolto, han dato, han fatto! Diciamo le cose come stanno: che si dica chi sono coloro che hanno concordato! E ad essi dico che non si lamentino, perché questa è una cosa assurda!
FRANCESCO GIORDANO. Vorrei saperlo!
RENZO INNOCENTI. Vorrei saperlo anch'io!
PRESIDENTE. Non sono in grado di soddisfare la sua curiosità, onorevole Rizzi!
Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto, a titolo personale, l'onorevole Mantini, al quale ricordo che ha un minuto di tempo a disposizione. Ne ha facoltà.
PIERLUIGI MANTINI. Signor Presidente, dal territorio lombardo sono testimone di una vicenda complessa, e anche molto conosciuta, di un uso dissennato delle risorse in funzione clientelare, per non dire di più, della società di gestione legata al casinò, nei diversi aspetti e fasi che hanno attraversato la storia recente: vi sono indagini, cause e processi in corso.
Debbo dire che i dubbi che sono stati sollevati - e non solo in ordine alla ripartizione ai nuovi soci ex lege, la qual cosa lascia intendere che il provvedimento legislativo non abbia i requisiti costituzionali - meriterebbero un chiarimento da parte del Governo. Mi permetto, dunque, di sollecitare una risposta da parte del sottosegretario presente.
PRESIDENTE. Passiamo ai voti.
Indìco la votazione nominale, mediante procedimento elettronico, sull'emendamento Mascia 5.1, non accettato dalla Commissione né dal Governo.
(Segue la votazione).
Dichiaro chiusa la votazione.
Comunico il risultato della votazione: la Camera respinge (Vedi votazioni).
(Presenti 377
Votanti 373
Astenuti 4
Maggioranza 187
Hanno votato sì 161
Hanno votato no 212).
Passiamo alla votazione dell'emendamento Maran 5.2.
Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto l'onorevole Bressa. Ne ha facoltà.
GIANCLAUDIO BRESSA. Signor Presidente, a questo punto entriamo nel merito di quelle che potrebbero essere le disposizioni per agevolare le procedure di risanamento degli enti locali in stato di dissesto finanziario.
L'emendamento 5.2, a prima firma del collega Maran, contiene, in sostanza, una clausola di stile e di serietà politica quando propone di sopprimere le parole: «In attesa che venga data attuazione al titolo V della parte seconda della Costituzione e che venga formulata la proposta al Governo dall'Alta Commissione di cui all'articolo 3, comma 1, lettera b), della presente legge, in ordine ai principi generali del coordinamento della finanza pubblica e del sistema tributario».
Com'è evidente, stiamo parlando dell'Alta commissione di studio per indicare al Governo, sulla base dell'accordo di cui all'articolo 3, comma 1, lettera a), della legge n. 289 del 2002, i principi generali del coordinamento della finanza pubblica e del sistema tributario e, dunque, di quella straordinaria commissione che dovrebbe dirci come applicare l'articolo 119 del riformato Titolo V della parte seconda della Costituzione. Ebbene, l'articolo 3, comma 1, lettera b), della citata legge n. 289 del 2002 stabilisce che tale commissione, che doveva completare i propri lavori entro la fine di aprile del 2003, presenti la sua relazione al Governo entro il 30 settembre 2004. Non è dato sapere quale sia lo stato dei lavori dell'Alta commissione, ma, avendo parlato con qualche componente, sembra emergere l'idea di una sua clamorosa inanità!
Il problema non è quello dei continui rinvii, mese dopo mese, anno dopo anno: giova ricordare che ne risulta paralizzata una delle norme decisive della nostra Costituzione, l'articolo 119, che dovrebbe dare attuazione piena al federalismo fiscale e che, per così dire, dovrebbe fornire alle regioni ed agli enti locali la benzina per attuare davvero il federalismo nella nostra Repubblica. In attesa che questa
sorta di araba fenice fornisca lumi agli amministratori ed ai cittadini italiani intorno all'applicazione dell'articolo 119 della Costituzione, è sospesa la possibilità, per regioni ed enti locali, di aumentare le addizionali IRPEF e di maggiorare l'aliquota dell'IRAP. Cosa vuol dire tutto ciò? Che stiamo paralizzando le autonomie italiane; che stiamo espropriando regioni ed enti locali della loro autonoma capacità impositiva e, quindi, della possibilità di definire autonomamente una politica delle entrate.
Si tratta dell'ennesimo attentato che questo Governo e questa maggioranza stanno portando al sistema delle autonomie locali! Ecco perché ritengo che espungere la menzionata premessa dall'articolo 5, comma 1, capoverso 15, primo periodo, del provvedimento al nostro esame rappresenti una questione di stile e di serietà politica
PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto l'onorevole Marone. Ne ha facoltà.
RICCARDO MARONE. Signor Presidente, quando abbiamo discusso, alla presenza del ministro La Loggia, la legge per dare attuazione al Titolo V della seconda parte della Costituzione e, in particolare, quando, ormai un anno e mezzo fa, abbiamo discusso la legge per dare attuazione all'articolo 119 della Costituzione medesima, affermai che, se non si vuole realizzare qualcosa, per prima cosa si istituisce una commissione! È questo, infatti, il modo tipico, classico, per rinviare i problemi e per non attuare le norme.
Fui facile profeta: l'Alta commissione di cui all'articolo 3, comma 1, lettera b), della legge n. 289 del 2002 avrebbe dovuto portare a termine i suoi lavori entro il mese di aprile del 2003, ma, a maggio del 2004, siamo ancora in attesa che ciò avvenga, mentre il termine per la presentazione della relazione al Governo è stato prorogato al 30 settembre 2004!
Ciò significa che, a distanza di tre anni dall'approvazione del Titolo V della parte seconda della Costituzione, questa maggioranza - che si ritiene federalista e che ci ha accusati di esserlo stati poco quando abbiamo riformato il titolo V della Costituzione - ancora non ha attuato alcunché di quella riforma voluta dal centrosinistra.
Ci chiediamo per quale motivo il gruppo della Lega Nord Federazione Padana, che parla tanto di devolution (ricordo che è presente in aula il sottosegretario Brancher, ossia uno degli artefici delle grandi riforme costituzionali), non si occupi di dare attuazione al titolo V della Costituzione. Cominciasse da lì, prima di discutere di tutto il resto!
Con questo provvedimento si prorogano di un anno i termini della delega legislativa. Quindi, a distanza di due anni, ancora non si conoscono i principi fondamentali in base ai quali le regioni possono legiferare in questo paese. A distanza di tre anni, non sono ancora disponibili i risultati dei lavori della Commissione sulla base dei quali lavorare per elaborare una proposta legislativa. Significa che, in questa legislatura, ovviamente non ci si occuperà della questione, anche se si vuole far credere che vi è l'intenzione di attuare il federalismo o addirittura la devolution, come sostiene il sottosegretario Brancher quando è in Commissione.
Il dato vero è che, non solo in tre anni la maggioranza non ha attuato alcunché nell'ambito del federalismo (non avete dato attuazione alla «legge La Loggia» e non avete presentato il provvedimento per dare attuazione all'articolo 119 della Costituzione), ma ora, attraverso il provvedimento in esame, si blocca qualsiasi autonomia finanziaria delle regioni e degli enti locali. Questa è la vostra concezione del federalismo! Nulla di più. E poi vi occupate della polizia locale. Quando ci fornirete spiegazioni in merito alla norma riguardante la polizia locale, allora ci renderete felici.
Ciò che è vero è che, con riferimento al nucleo del federalismo, ossia il federalismo fiscale e il trasferimento delle competenze alle regioni, si è fermi, nonostante siano passati tre anni dall'approvazione della norma contenuta nell'articolo 119 che voi, in sede di riforma della Costituzione, non
avete minimamente toccato; evidentemente, ritenete che sia una norma estremamente «spinta» nella direzione del federalismo. Se, da parte vostra, vi fosse stata l'intenzione di modificare tale norma, perché non sufficientemente federalista, avreste potuto farlo. Andatevi a leggere la vostra riforma della parte seconda: di quello non se ne parla, perché sostanzialmente è difficile che chi governa a Roma (come amate ripetere) approvi norme per cedere i poteri finanziari.
PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto, a titolo personale, l'onorevole Maran. Ne ha facoltà.
ALESSANDRO MARAN. Signor Presidente, l'emendamento in esame vuole porre l'accento su questa lunga e vana attesa. Mentre l'Alta commissione, istituita dalla legge finanziaria per il 2003 con l'obiettivo di fornire una risposta entro il mese di aprile di quell'anno, naviga ancora in alto mare, le leggi finanziarie annuali riflettono ancora modelli centralistici e tendono a scaricare sulle regioni e sugli enti locali gli squilibri della finanza pubblica, obbligandoli ad una drastica riduzione dei servizi ai cittadini.
Come e più di altre disposizioni del nuovo Titolo V, l'articolo 119 della Costituzione, che prevede e disciplina il federalismo fiscale, è rimasto sulla carta al punto che un giorno sì e l'altro pure il Governo progetta riforme fiscali ignorando completamente i vincoli costituzionali e la necessità di coordinare la finanza statale con quella regionale e locale.
In questo modo, a due anni dalla sua entrata in vigore e in attesa che l'Alta Commissione produca la relazione, la riforma del Titolo V rischia di implodere per una progressiva paralisi e per asfissia finanziaria che colpisce i principali protagonisti della riforma, ossia le istituzioni regionali e locali.
Senza dubbio, la trasformazione federale ha compiuto passi in avanti, ma fino a che questi problemi non saranno chiariti, nessuno allontanerà da noi il sospetto che si continui soltanto a parlare di federalismo senza realmente attuarlo.
PRESIDENTE. Passiamo ai voti.
Indìco la votazione nominale, mediante procedimento elettronico, sull'emendamento Maran 5.2, non accettato dalla Commissione né dal Governo.
(Segue la votazione).
Dichiaro chiusa la votazione.
Comunico il risultato della votazione: la Camera respinge (Vedi votazioni).
(Presenti e Votanti 372
Maggioranza 187
Hanno votato sì 167
Hanno votato no 205).
Passiamo alla votazione dell'emendamento Maran 5.13.
Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto l'onorevole Maran. Ne ha facoltà.
ALESSANDRO MARAN. Signor Presidente, l'emendamento in esame mira a sanare situazioni specifiche di enti locali che, pur avendo graduatorie valide, si avvalgono in percentuali assai elevate di personale a tempo determinato che deve essere periodicamente assunto, con evidenti conseguenze sulla pianificazione dell'attività degli enti nonché sul bilancio degli stessi.
Questa deroga non comporterebbe maggiori oneri per l'ente, ma consentirebbe il risparmio di risorse correnti dovute alla gestione continua del personale a tempo determinato.
Infatti, abbiamo proposto di prevedere una deroga per i comuni con più di cinquemila abitanti e per le province che abbiano rispettato le regole del patto di stabilità interno per il 2003, previsto dall'articolo 29 della legge 27 dicembre 2002, n. 289, consentendo a quegli enti di assumere personale a tempo indeterminato oltre il limite imposto dall'articolo 3, comma 60, della legge 24 dicembre 2003 n. 350, purché sussistano una serie di condizioni: che le nuove assunzioni risultino contenute nel 90 per cento dei posti vacanti risultanti dalla dotazione organica dell'ente, approvata per l'esercizio 2003; che vengano utilizzate graduatorie di concorsi
pubblici, previa definizione di un programma straordinario di assunzione di personale appartenente alle figure professionali strettamente necessarie ad assicurare la funzionalità delle amministrazioni interessate; che, oltre ai vincoli previsti dall'articolo 3, comma 60, della legge del 24 dicembre, n. 350, le singole assunzioni non comportino un aumento della spesa per il personale; che il rapporto tra spese correnti e costo del personale non sia superiore al 20 per cento; infine, che le amministrazioni, per ogni assunzione, rilascino un'autocertificazione che attesti la coerenza ed il contenimento della spesa nel senso previsto dall'articolo 29 della legge 27 dicembre 2002, n. 289.
Si tratta di previsioni che vanno nella direzione dell'accordo, raggiunto finalmente giovedì scorso nella Conferenza unificata tra Governo, regioni ed enti locali, per la fissazione dei criteri e dei limiti per l'assunzione di personale a tempo indeterminato, che sarà tradotto nel consueto decreto del Presidente del Consiglio dei ministri attuativo della legge finanziaria.
Naturalmente, in quel decreto saranno contenute tutte le indicazioni per gli enti locali e, soprattutto, per le province, che, tra l'altro, hanno molto insistito perché si affrontasse la questione. Già dalle prime indicazioni, proprio in quella sede, i rigori della finanziaria 2004 sono stati leggermente attenuati, e questo dovrebbe valere per tutti gli enti.
Quindi, l'emendamento che presentiamo mira, non solo a soddisfare una richiesta e a far cessare la situazione di crisi in cui versano gli enti locali, ma anche ad accogliere in anticipo le misure che sono state definite nell'accordo.
PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto l'onorevole Bressa. Ne ha facoltà.
GIANCLAUDIO BRESSA. Signor Presidente, nella relazione che accompagna questo provvedimento e anche nelle parole del relatore ci si è più volte riferiti al fatto che questo decreto intende affrontare il problema della funzionalità degli enti locali nelle sue diverse fattispecie; di qui anche la necessità del ricorso alla decretazione d'urgenza.
Ora, il collega Maran, pochi istanti fa, ha ricordato come questo emendamento potrebbe essere una utilissima anticipazione di un accordo, che è stato raggiunto la scorsa settimana in sede di Conferenza unificata, relativamente alla possibilità di accrescere la funzionalità degli enti locali. Qui si tratta di rendere la vita più facile alle amministrazioni comunali e provinciali, senza alcun onere aggiuntivo di spesa. Infatti, come ha ricordato puntualmente il collega Maran, il nostro emendamento ha una serie di clausole di salvaguardia, che consentono di procedere in maniera più funzionale, senza aumentare la spesa per gli enti locali interessati (comuni sopra i 5 mila abitanti e province).
Se davvero la vostra volontà è quella di affrontare il problema della funzionalità degli enti locali nelle diverse fattispecie, visto che avete la possibilità di farlo immediatamente, con il voto odierno, dando pratica attuazione alle aspettative di numerosissimi comuni (che non ne possono più di continuare in questa girandola di assunzioni a tempo determinato), garantendo anche una maggiore funzionalità dei servizi che gli enti locali, comuni e province, forniscono ai cittadini, allora, chiedo al relatore e al Governo: qual è il motivo che vi spinge a votare contro questo emendamento? Probabilmente, la questione della funzionalità degli enti locali nelle sue diverse fattispecie è solo un alibi, un pretesto per poter fare, con un decreto, una serie di operazioni, che sicuramente interessano la maggioranza e il Governo, ma non gli enti locali, né i comuni, né le province, né tanto meno i cittadini italiani!
È l'ennesimo esempio di un modo scorretto, poco serio e scarsamente funzionale di varare provvedimenti in questo paese!
PRESIDENTE. Passiamo ai voti.
Indìco la votazione nominale, mediante procedimento elettronico, sull'emendamento
Maran 5.13, non accettato dalla Commissione né dal Governo e sul quale la V Commissione (Bilancio) ha espresso parere contrario.
(Segue la votazione).
Dichiaro chiusa la votazione.
Comunico il risultato della votazione: la Camera respinge (Vedi votazioni).
(Presenti 376
Votanti 374
Astenuti 2
Maggioranza 188
Hanno votato sì 169
Hanno votato no 205).
Passiamo alla votazione dell'emendamento Maran 5.11.
Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto l'onorevole Maran. Ne ha facoltà.
ALESSANDRO MARAN. Signor Presidente, la finalità del mio emendamento è quella di consolidare, nel monte dei trasferimenti erariali agli enti locali, le risorse derivanti dall'applicazione del tasso di inflazione programmato per il 2003. Ci sembra quanto mai singolare, infatti, non riconoscere anche per l'anno 2004, nonché per gli anni seguenti, una tipologia di risorsa che, proprio per sua stessa natura, è destinata ad adeguare i trasferimenti al costo reale dei beni e dei servizi.
Tale proposta, inoltre, è volta a superare una condizione di particolare arretratezza e disagio presente in determinati enti locali, che versano in situazioni strutturali di debolezza ed i quali, in caso contrario, vedrebbero inevitabilmente aumentare la loro instabilità. Pertanto, anche in questo caso, si tratta di concorrere a determinare una maggiore funzionalità degli enti locali, e la mia proposta è una misura che può essere adottata senza destare grandi preoccupazioni sotto il profilo finanziario.
PRESIDENTE. Passiamo ai voti.
Indìco la votazione nominale, mediante procedimento elettronico, sull'emendamento Maran 5.11, non accettato dalla Commissione né dal Governo e sul quale la V Commissione (Bilancio) ha espresso parere contrario.
(Segue la votazione).
Dichiaro chiusa la votazione.
Comunico il risultato della votazione: la Camera respinge (Vedi votazioni).
(Presenti 381
Votanti 380
Astenuti 1
Maggioranza 191
Hanno votato sì 171
Hanno votato no 209).
Indìco la votazione nominale, mediante procedimento elettronico, sull'emendamento Mascia 5.14, non accettato dalla Commissione né dal Governo e sul quale la V Commissione (Bilancio) ha espresso parere contrario.
(Segue la votazione).
Dichiaro chiusa la votazione.
Comunico il risultato della votazione: la Camera respinge (Vedi votazioni).
(Presenti 381
Votanti 380
Astenuti 1
Maggioranza 191
Hanno votato sì 173
Hanno votato no 207).
Passiamo alla votazione dell'emendamento Amici 5.12.
Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto l'onorevole Maran. Ne ha facoltà.
ALESSANDRO MARAN. Signor Presidente, abbiamo già avuto modo di evidenziare, in numerose altre occasioni, come sia necessario detrarre dal calcolo del disavanzo utile ai fini del rispetto del patto di stabilità interno per l'anno 2004 tutti i maggiori oneri per il personale determinati dal rinnovo del contratto dei dipendenti per il 2002-2003 (si tratta di una necessità più volte sottoposta all'attenzione del Governo), i cui costi derivano da un accordo tra il Governo ed i sindacati, ma
le cui conseguenze non possono ricadere interamente sui bilanci degli enti locali.
Il Governo ha nuovamente deciso a suo piacimento le misure per la finanza degli enti locali; tuttavia, ritengo che non possa essere accettata un'interpretazione restrittiva ed unilaterale dei maggiori oneri, né questi possono essere semplicemente desunti dalla relazione illustrativa di accompagnamento al disegno di legge finanziaria. Pertanto, anche nel caso di specie, si tratta di consentire modalità di funzionamento degli enti locali che tengano conto della loro condizione reale.
PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto l'onorevole Rosato. Ne ha facoltà.
ETTORE ROSATO. Signor Presidente, intervengo solamente per ribadire che il decreto-legge in esame, che avrebbe dovuto recare misure urgenti, ma che non ne contiene, poteva essere una buona occasione per lanciare un segnale di attenzione verso gli enti locali in merito al blocco delle assunzioni, reiterato dall'ultima legge finanziaria.
Ritengo che le proposte emendative presentate, ben illustrate poc'anzi dai colleghi Bressa e Maran, vadano in tale direzione, e vorrei sottolineare come numerosi comuni si trovino in difficoltà nell'offrire servizi ai cittadini, nel gestire la pianificazione urbanistica e nell'effettuare le attività di manutenzione. Tali enti non riescono neanche ad offrire adeguate garanzie a vincitori di un concorso pubblico, i quali si sono preparati, hanno superato le selezioni e si attendevano un'assunzione a tempo indeterminato, mentre oggi si trovano in una situazione di incertezza, a causa dell'indiscriminato blocco delle assunzioni disposto da questo Governo.
Credo che una riflessione su questo aspetto andrebbe compiuta, ed è ciò che abbiamo cercato di fare con i nostri emendamenti volti a distinguere tra amministrazioni virtuose, che hanno rispettato i parametri, che si sono adoperate per la corretta gestione delle risorse e quelle che, invece, tali vincoli non li hanno rispettati. Bloccare, invece, in maniera indiscriminata, le assunzioni e le politiche del personale non solo non ha alcun effetto benefico sulla spesa pubblica - perché, di fatto, molto spesso queste persone lavorano a termine o con contratti atipici -, ma crea danni alle stesse amministrazioni, poiché, non garantendo una continuità nel loro operato, le stesse si trovano a gestire in maniera meno coordinata le relative attività.
Ritengo che l'emendamento debba essere considerato in quest'ottica e, dunque, approvato (Applausi dei deputati del gruppo della Margherita, DL-L'Ulivo).
PRESIDENTE. Passiamo ai voti.
Indìco la votazione nominale, mediante procedimento elettronico, sull'emendamento Amici 5.12, non accettato dalla Commissione né dal Governo e sul quale la V Commissione (Bilancio) ha espresso parere contrario.
(Segue la votazione).
Dichiaro chiusa la votazione.
Comunico il risultato della votazione: la Camera respinge (Vedi votazioni).
(Presenti e Votanti 378
Maggioranza 190
Hanno votato sì 169
Hanno votato no 209).
Prendo atto che l'onorevole Lezza non è riuscito ad esprimere il proprio voto.
Passiamo alla votazione dell'articolo aggiuntivo Amici 5.05.
Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto l'onorevole Marone. Ne ha facoltà.
RICCARDO MARONE. Signor Presidente, il nostro emendamento potrebbe essere definito una norma ovvia e dunque non comprendiamo perché il Governo abbia espresso parere contrario. Si tratta dell'abrogazione di una normativa ormai antistorica, risalente ad oltre sessant'anni fa, che non ha alcuna ragione di continuare ad esistere. Essa potrebbe essere motivata solo dal fatto che, con l'attuale normativa, lo Stato paga più tardi, perché
non deve coprire immediatamente le spese per l'amministrazione della giustizia, ma solo a rimborso, dopo due o tre anni. Pertanto, è semplicemente un problema di cassa.
Per il resto, ci troviamo di fronte ad una vicenda davvero assurda. Gli enti locali hanno l'onere di mantenere tutti gli uffici giudiziari di questo paese. Sia chiaro: si tratta di una norma risalente al 1941, quando l'onere di mantenimento degli uffici giudiziari consisteva nelle spese relative ad alcune piccole preture, ma nulla di più. Oggi si tratta di strutture di rilevantissimi costi e dimensioni, ovviamente completamente diverse rispetto a quelle di cui si discuteva sessant'anni fa. Ormai si parla di «cittadelle giudiziarie», di strutture molto grandi, di oneri enormi.
Tutto ciò ricade sui bilanci comunali. La giustizia è materia di competenza esclusiva dello Stato, quindi davvero la norma non ha più alcuna logica. È un retaggio storico, come ripeto, dell'identificazione della pretura come luogo di definizione delle controversie, come istituzione più vicina al territorio e come soggetto che identifica l'identità culturale di una determinata area.
Tutto ciò, ovviamente, oggi non c'è più. Attualmente, la gestione della giustizia è tutt'altro. Oggi, lo ripeto ancora, gli uffici giudiziari sono di ben altre dimensioni, tanto è vero che, quando si è trattato - lo dico da napoletano - di gestire un grande complesso giudiziario, si varò una legge speciale che aveva una sua autonomia gestionale, perché si comprese che il comune di Napoli non poteva gestire l'enorme struttura degli uffici giudiziari. Per il resto d'Italia, perché quella che ho appena citato è un'anomalia (seppur in positivo) napoletana, i comuni devono gestire gli uffici finanziari, con enormi spese che gravano sui bilanci comunali. È vero, poi, che l'amministrazione della giustizia rimborsa, ma dopo molto tempo. Tali spese vanno pertanto ad incidere sul bilancio complessivo e sul patto di stabilità.
Perché tutto ciò? Non si comprende. Il comune non ha alcuna competenza ed alcun controllo, poiché tutto è affidato agli uffici giudiziari: per la manutenzione, ad esempio, non provvede il comune.
Francamente, oggi la norma appare decisamente antistorica e non comprendiamo il motivo per cui non si provvede ad eliminare questa ipotesi così arcaica di gestione della cosa pubblica. Si tratta di una delle poche funzioni che bisognerebbe centralizzare: invece - lo ripeto - viene lasciata agli enti locali una materia di competenza esclusiva dello Stato. Quando si tratta di trasferire risorse per le competenze delle regioni o dei comuni, lo Stato si guarda bene dal farlo, come abbiamo detto a proposito dell'attuazione dell'articolo 119 della Costituzione. In questo caso, in cui si tratta di gestire una materia di competenza dello Stato, quest'ultimo non vuole assumersi l'onere della relativa gestione.
PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto l'onorevole Bressa. Ne ha facoltà.
GIANCLAUDIO BRESSA. Signor Presidente, siamo veramente al paradosso; «alla frutta», come si dice, ci arriveremo più avanti, fra un paio di articoli. Lo ricordava qualche istante fa il collega Marone: se vi è una materia che anche i nostri colleghi della Lega da sempre considerano di indiscussa competenza dello Stato, essa è proprio la giustizia. Ne è una prova il fatto che essi hanno accettato di buon grado di assumersi la responsabilità politica della gestione del Ministero della giustizia attraverso il ministro Castelli.
Allora, qualcuno dovrebbe cercare di spiegare all'Assemblea perché una norma di buon senso, contenente un'iniziativa così meritoria, quale quella assunta in prima persona dalla collega Amici e sottoscritta da molti di noi, volta a restituire senso comune alle cose ed a far sì che i comuni non vengano appesantiti per la parte di spesa corrente da somme ingentissime per il pagamento delle spese dei tribunali e degli uffici giudiziari, non possa e non debba essere approvata dall'Assemblea.
Credo che molti di noi abbiamo maturato esperienze di vita amministrativa. Ricordo che, nel corso di una delle mie oramai lontane esperienze amministrative, quando ero assessore al bilancio del mio comune, non riuscivo a capire il motivo per cui un particolare ufficio dovesse affrontare una spesa per una bolletta telefonica così elevata. Di fronte alle mie insistenze, il ragioniere capo del mio comune mi confidò che non si trattava della bolletta telefonica di quel particolare ufficio del comune, ma del costo delle intercettazioni telefoniche effettuate dal tribunale, moltiplicate per un indeterminato numero di voci. Mi dovete spiegare perché - in un momento come questo, in cui per bocca dell'eccellente relatore, onorevole Carrara, si riconosce che i comuni si trovano in una situazione di grande difficoltà, alla quale voi non riuscite a porre alcun rimedio per le vostre incapacità strutturali di gestire la finanza pubblica - non vi consentite delle scorciatoie, delle semplificazioni.
Onorevole Carrara, lei questa sera potrebbe tornare a Pozzo di Gotto - o dovunque voglia andare - e dire: guardate, sindaci, vi posso consentire un risparmio sui vostri conti; lo facciamo perché siamo un Governo attento ai problemi delle amministrazioni.
È un favore che facciamo a lei e alla maggioranza: vi diamo almeno un argomento in campagna elettorale a favore dei comuni. Perché volete sprecare questa occasione? Vi è una certa protervia! Posso comprendere che vi sia già della rassegnazione rispetto all'esito del prossimo voto, ma almeno sfruttate le occasioni che vi forniamo. Abbiate la furbizia di accettare un consiglio sensato e restituite al bilancio dello Stato e al Ministero della giustizia il compito di pagarsi le bollette delle intercettazioni e tutte le altre voci che attualmente gravano così pesantemente sui conti dei comuni.
Fate questo: è un bell'argomento da campagna elettorale, onorevole Carrara, non lo getti via (Applausi dei deputati del gruppo della Margherita, DL-L'Ulivo)!
NUCCIO CARRARA, Relatore. Chiedo di parlare.
PRESIDENTE. Ne ha facoltà.
NUCCIO CARRARA, Relatore. Signor Presidente, onorevoli colleghi, vorrei encomiare gli sforzi del collega Bressa, ma si dà il caso che la Commissione bilancio non abbia approvato questa proposta emendativa...
GIANCLAUDIO BRESSA. L'Assemblea è sovrana!
NUCCIO CARRARA, Relatore. ...anche se nelle intenzioni è un'ottima proposta emendativa, perché priva di copertura finanziaria!
PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto, a titolo personale, l'onorevole Rosato. Ne ha facoltà.
ETTORE ROSATO. Signor Presidente, onorevoli colleghi, alle motivazioni di opportunità politica e tecnica a favore dell'approvazione dell'articolo aggiuntivo in esame ne aggiungerei un'altra, che tende a chiarire quali siano le difficoltà delle amministrazioni comunali e, dall'altra parte, dei tribunali nell'instaurare un rapporto che consenta di evidenziare in maniera costruttiva le priorità di intervento.
Oggi questo dialogo è difficile e i comuni hanno meno risorse a disposizione nel definire le priorità; è difficile, pertanto, definire quale priorità quella di «mettere a posto» i tribunali, quando vi sono esigenze legate alla scuola, alle case di riposo, all'edilizia abitativa. Il ministero, pertanto, assuma questa competenza, che è una competenza primaria dello Stato in quanto legata all'esercizio della giustizia, in maniera da consentire che le amministrazioni comunali destinino le proprie risorse alle finalità precipue che sono chiamate a perseguire.
PRESIDENTE. Passiamo ai voti.
Indìco la votazione nominale, mediante procedimento elettronico, sull'articolo aggiuntivo
Amici 5.05, non accettato dalla Commissione né dal Governo e sul quale la V Commissione (Bilancio) ha espresso parere contrario.
(Segue la votazione).
Dichiaro chiusa la votazione.
Comunico il risultato della votazione: la Camera respinge (Vedi votazioni).
(Presenti e Votanti 382
Maggioranza 192
Hanno votato sì 172
Hanno votato no 210).
Passiamo alla votazione dell'articolo aggiuntivo Mascia 5.04.
Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto l'onorevole Maran. Ne ha facoltà.
ALESSANDRO MARAN. Signor Presidente, onorevoli colleghi, vorrei tornare sull'argomento riproposto attraverso l'articolo aggiuntivo in esame, per sottolineare il seguente profilo.
La legge 24 aprile 1941, n. 392, pone a carico del comune ove ha sede l'ufficio giudiziario una serie di spese gravose riguardanti le cose più disparate: il reperimento dell'immobile, la sua locazione, la manutenzione, la pulizia e la custodia, le spese di gestione riguardanti l'illuminazione, il riscaldamento ed il servizio telefonico, come ricordato dall'onorevole Bressa.
Il procedimento di rimborso delle spese sostenute dal comune è stato modificato dal regolamento di semplificazione, sottoposto al parere della Conferenza Stato-città nel gennaio del 1998. In sintesi, il regolamento prevede la concessione di un contributo per le spese di gestione degli uffici giudiziari, che viene determinato con decreto del Ministero della giustizia, sulla base dei consuntivi di spesa sostenuti dai comuni nel corso di ciascun anno; la richiesta del contributo, unitamente al rendiconto, è poi sottoposta al parere della commissione di manutenzione, che non annovera, tra i componenti, alcun membro designato dal comune (essa ha sede peraltro in ogni circondario di tribunale).
Naturalmente, le ragioni che militano a favore del superamento dell'attuale disciplina sono molte, sempre che, come nel caso in esame, il provvedimento riguardi il funzionamento degli enti locali (di questo dovremmo discutere); infatti, siamo in presenza di una normativa datata, anacronistica e giustificabile in una geografia giudiziaria - lo ha ricordato il collega Marone - radicalmente diversa da quella attuale.
Oggi appare del tutto incomprensibile il motivo per cui il comune debba far fronte ad un'incombenza che esula del tutto dalle sue competenze istituzionali, con un aggravio enorme in termini economici e di risorse umane impiegate.
L'amministrazione comunale è costretta ad anticipare queste spese ricorrendo, nella quasi totalità dei casi, a prestiti bancari - e siamo davvero al paradosso - con un conseguente maggior onere finanziario, che deriva da interessi passivi. Alla fine non sarà possibile quantificare preventivamente il totale dei costi che il comune sarà chiamato a sostenere, non rientrando tali costi nella sua sfera di controllo.
Il punto che cerchiamo di porre all'attenzione dell'Assemblea è quindi semplice: il decreto-legge si propone realmente il miglior funzionamento degli enti locali (Applausi dei deputati del gruppo dei Democratici di sinistra-L'Ulivo)?
PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto l'onorevole Russo Spena. Ne ha facoltà.
GIOVANNI RUSSO SPENA. Signor Presidente, siamo al punto evocato dall'angosciante interrogativo finale del collega Maran: bisogna comprendere se il decreto-legge in esame possa venire incontro, anche se in maniera parziale, alle esigenze dei piccoli comuni o se, dietro la presunzione di organicità, vi siano un ulteriore taglio dei servizi ed ulteriori difficoltà a cui l'ente locale è quotidianamente sottoposto nella gestione della sua comunità.
Siamo ad un punto che sembra di poco conto, ma in effetti incide molto sui bilanci dei comuni. Ci riferiamo alla legge 24
aprile 1941, n. 392, che pone a carico del comune dove ha sede l'ufficio giudiziario una serie di spese assai gravose riguardanti il reperimento, la locazione dell'immobile, la manutenzione, la pulizia e la custodia, le spese di gestione riguardanti illuminazione, riscaldamento, servizio telefonico, e così via.
Il procedimento di rimborso delle spese sostenute dal comune è stato modificato da un cosiddetto regolamento di semplificazione, sottoposto al parere della Conferenza Stato-Città nel gennaio del 1998. Tale regolamento prevede la concessione di un contributo per le spese di gestione degli uffici giudiziari che viene determinato con decreto del Ministero della giustizia sulla base dei consuntivi di spesa sostenuti dai comuni nel corso di ciascun anno. La richiesta di contributo, unitamente al rendiconto, è sottoposta al parere della commissione di manutenzione - ove, peraltro, non è presente alcun membro designato dal comune - che ha sede in ogni circondario di tribunale.
L'attuale disciplina va superata perché siamo in presenza di una normativa datata ed anacronistica, giustificabile soltanto in una geografia giudiziaria radicalmente diversa da quella attuale. Appare oggi incomprensibile il motivo per cui il comune debba far fronte a tale incombenza che esula del tutto dalle sue competenze istituzionali con un aggravio enorme in termini economici e di risorse umane impiegate. Tra l'altro, l'amministrazione comunale è costretta ad anticipare tali spese ricorrendo nella quasi totalità dei casi - come ci dimostra l'esperienza - a prestiti bancari, con conseguente maggiore onere finanziario derivante da interessi passivi. Non può, peraltro, quantificare preventivamente il totale dei costi che sarà chiamata a sostenere non rientrando ciò nella sua sfera di controllo.
Ci pare sul serio che si tratti di un punto molto gravoso perché si «strangolano» i comuni, soprattutto quelli più piccoli, mettendoli in enorme difficoltà nella gestione ordinata del bilancio e dei servizi in rapporto con la popolazione e la comunità locale.
Per tali motivi, raccomandiamo all'Assemblea l'approvazione dell'articolo aggiuntivo in esame.
PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto, a titolo personale, l'onorevole Marone. Ne ha facoltà.
RICCARDO MARONE. Signor Presidente, vorrei segnalare un altro problema. Nel meccanismo assurdo previsto dal provvedimento in esame, quello che viene sostanzialmente meno è il controllo. Mi rivolgo, in particolare, al sottosegretario D'Alì, che sta seguendo con attenzione: chi controlla tali spese? Vi pare che un ente locale possa controllare quello che fa un ufficio giudiziario? Un sindaco può controllare la quantità di intercettazioni di un procuratore della Repubblica? Francamente, mi sembra improbabile, ed uso un termine eufemistico.
In tale meccanismo così assurdo ed antico previsto dalla legge del 1941 succede l'inevitabile: il controllo effettivo sulla spesa non c'è. Anzi, succede qualcosa di più grave: è il Ministero della giustizia che controlla il comune in sede di rendiconto. Dunque, il comune non solo ha l'onere di anticipare e non ha alcun controllo perché nessuno si permette di dire una parola nei confronti dell'ufficio giudiziario, ma deve anche sottoporsi all'indagine del Ministero della giustizia che dovrà rimborsare, dopo qualche anno, tali spese.
Questo meccanismo vede come unico soggetto debole di tutta la triangolazione il comune, e credo che ciò sia in aperta violazione dell'attuale articolo 114 della Costituzione.
PRESIDENTE. Passiamo ai voti.
Indìco la votazione nominale, mediante procedimento elettronico, sull'articolo aggiuntivo Mascia 5.04, non accettato dalla Commissione né dal Governo e sul quale la V Commissione (Bilancio) ha espresso parere contrario.
(Segue la votazione).
Dichiaro chiusa la votazione.
Comunico il risultato della votazione: la Camera respinge (Vedi votazioni).
(Presenti e Votanti 391
Maggioranza 196
Hanno votato sì 177
Hanno votato no 214).
Passiamo alla votazione dell'articolo aggiuntivo Mascia 5.03.
Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto l'onorevole Bressa. Ne ha facoltà.
GIANCLAUDIO BRESSA. I colleghi Mascia e Russo Spena sollevano, con questo articolo aggiuntivo, una questione estremamente seria, perché essi propongono di incrementare il fondo ordinario per gli investimenti. Se prestiamo attenzione all'andamento delle finanze degli enti locali, vediamo che i tagli intervenuti nel corso di questi anni hanno prodotto una situazione molto grave, relativamente agli investimenti delle città, delle province e delle autonomie locali in generale. Il 24 per cento dei tagli ha inciso sulle manutenzioni e sulla cura della città, il 7 per cento sulla viabilità e il 5 per cento sulla manutenzione delle scuole.
Quindi, complessivamente, nel corso di questi anni, i tagli hanno influito per un 36 per cento su spese di investimento decisive per la qualità della vita di una comunità e di una città. Il 24 per cento in meno sulla manutenzione e sulla cura della città significa il 24 per cento in meno di impianti di illuminazione, di opere fognarie, di acquedotti e di opere di arredo urbano, che non sempre svolgono solo una funzione di abbellimento, perché molto spesso sono elementi decisivi per la definizione della mobilità di una città. Il 7 per cento dei tagli sulla viabilità significa impedire alle comunità locali di svolgere una funzione fondamentale, quella di garantire la mobilità dei propri cittadini. Non esistono solo le spese per il trasporto pubblico, ma anche quelle volte a consentire che il trasporto pubblico possa svolgersi agevolmente. Il 5 per cento dei tagli sulla manutenzione delle scuole - rispetto ad un patrimonio che è già molto degradato ed inadeguato - pone una questione molto seria.
Credo che non ci si possa tristemente occupare di questi problemi solo all'indomani di vicende tragiche per il nostro paese. Sottrarre risorse agli investimenti e alla manutenzione delle scuole significa impedire che le scuole vengano messe in sicurezza, significa impedire che esse possano costituire un luogo almeno decente per i ragazzi che devono frequentarle. Si tratta, quindi, di porre rimedio a questo degrado continuo.
Anno dopo anno, le città si impoveriscono e, impoverendosi, degradano lentamente. L'attenzione che, da parte del Governo, viene posta con grande enfasi - per lo meno a parole - sulle questioni della sicurezza fa direttamente i conti con la capacità delle città di garantire la sicurezza, anche attraverso una rete di servizi ed infrastrutture urbane, che consentano davvero la vivibilità delle nostre città. Noi stiamo lentamente spegnendo questa capacità di intervento dei comuni.
I tagli, che hanno influito nel corso di questi anni per il 36 per cento sulle spese d'investimento, fanno sì che il nostro patrimonio urbano sia più povero di oltre un terzo rispetto alle risorse che, con tanta fatica, erano state messe a disposizione delle autonomie locali per rendere le città più vivibili e più umane. È un fatto estremamente grave.
Inoltre, il provvedimento in esame, che ha l'ambizione di affrontare, in maniera sistematica e funzionale, i problemi degli enti locali, dimostra ancora una volta di essere in grado di garantire solo il fallimento della politica del Governo e nulla di più.
PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto, a titolo personale, l'onorevole Rosato. Ne ha facoltà.
ETTORE ROSATO. Signor Presidente, credo che il sottofinanziamento degli enti locali sia l'unico problema urgente di cui il decreto-legge in esame avrebbe dovuto occuparsi; tutto il resto, probabilmente, avrebbe potuto essere affrontato con provvedimenti ordinari.
L'articolo aggiuntivo in esame, come quello successivo ed alcuni precedenti, solleva il problema della necessità di una presa di coscienza da parte del Governo e della maggioranza, per la parte di sua competenza, delle difficoltà con cui i sindaci oggi devono convivere per far quadrare i bilanci dei loro comuni. L'articolo aggiuntivo, in particolare, mi sembra importante rispetto alla politica portata avanti dal Governo, che ogni giorno fornisce spiegazioni sul numero di milioni di euro stanziati per gli investimenti, sostenendo di andare incontro alle denunce dei sindaci di tutti gli schieramenti politici, i quali si sono trovati a predisporre manovre di bilancio per il 2004 in cui le risorse per le spese di investimento non hanno seguito il trend degli anni successivi.
PRESIDENTE. Passiamo ai voti.
Indìco la votazione nominale, mediante procedimento elettronico, sull'articolo aggiuntivo Mascia 5.03, non accettato dalla Commissione né dal Governo e sul quale la V Commissione (Bilancio) ha espresso parere contrario.
(Segue la votazione).
Dichiaro chiusa la votazione.
Comunico il risultato della votazione: la Camera respinge (Vedi votazioni).
(Presenti 382
Votanti 380
Astenuti 2
Maggioranza 191
Hanno votato sì 175
Hanno votato no 205).
Passiamo alla votazione dell'articolo aggiuntivo Mascia 5.02.
Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto l'onorevole Bressa. Ne ha facoltà.
GIANCLAUDIO BRESSA. Anche in questo caso credo si debbano ringraziare i colleghi Mascia e Russo Spena, i quali hanno messo in evidenza in modo chiaro le lacune della politica del Governo.
L'articolo aggiuntivo in esame propone che l'incremento delle risorse previste dall'articolo 31, comma 1, secondo periodo, della legge 27 dicembre 2002, n. 289 (legge finanziaria per il 2003), pari a 151 milioni di euro, derivante dall'applicazione del tasso programmato di inflazione per il 2003, sia consolidato nei singoli trasferimenti attribuiti nel 2004.
Se con la proposta emendativa precedente si affrontava la delicatissima questione del fondo ordinario per gli investimenti, in questo caso stiamo parlando di trasferimenti per le spese di parte corrente. Volendo fare una valutazione analoga a quella precedente e capire su che cosa i tagli delle vostre leggi finanziarie hanno inciso, con riferimento alla politica finanziaria degli enti locali, il conto è presto fatto. I vostri tagli hanno inciso per il 13 per cento sui servizi all'infanzia, per l'11 per cento sui servizi alla famiglia, per il 6 per cento sui servizi agli anziani (e arriviamo al 30 per cento) e per l'8 per cento sui servizi culturali (e arriviamo al 38 per cento). Prima, con riferimento agli investimenti, si raggiungeva il 36 per cento, mentre adesso si giunge al 38 per cento.
Se partiamo dal dato che il sistema delle autonomie locali e delle regioni ha sulle proprie spalle il peso del 70 per cento del costo delle politiche di welfare del nostro paese, voi capite che la gravità di tagli così ingenti si traduce nella riduzione dei servizi per i cittadini. Ciò è terribilmente grave, ma è esattamente la misura del vostro insuccesso.
La discussione di questioni, per così dire, rarefatte (anche se mi hanno a lungo appassionato, come il conflitto di interessi, le rogatorie e la legge Gasparri) è di straordinaria importanza per le libertà ed i diritti civili di tutti noi, ma le medesime non hanno un'incidenza immediata sull'attenzione dei nostri concittadini. Quando, però, questi si accorgono che i tagli operati nei loro confronti, nella misura del 38 per cento, riguardano i servizi all'infanzia, alla famiglia, agli anziani ed i servizi culturali e che, per fruire dei medesimi, prima garantiti loro dai comuni, adesso devono pagare di tasca propria, immediatamente la loro attenzione aumenta.
Ciò rappresenta il campanello d'allarme che è scattato in tutti i cittadini quando hanno visto alcuni manifesti elettorali nei quali si dice che 28 milioni di cittadini italiani hanno pagato meno tasse. Siccome nessuno di quei 28 milioni si riconosce in questa affermazione, ciascuno è interessato a conoscere quali siano questi 28 milioni di cittadini. E tale meccanismo è scattato automaticamente proprio per effetto della dissennata politica di tagli generalizzati e «scientifici» posti in essere, anno dopo anno, nei confronti delle amministrazioni locali.
State «strangolando» i comuni, ma - ripeto - il problema non sono le lamentazioni dei sindaci, bensì i servizi in meno ai nostri cittadini. Attraverso questa politica dissennata, state mettendo in ginocchio il nostro paese; infatti, il 36 per cento in meno di risorse per la qualità della vita che si ottiene con gli investimenti nelle nostre città e il 38 per cento in meno di risorse per la qualità della vita che si trasformano in servizi all'infanzia, alle famiglie, agli anziani e in servizi culturali costituiscono il prezzo altissimo che fate pagare ai cittadini. Ma i cittadini, che non sono disattenti, tra qualche settimana faranno pagare a voi un prezzo in termini politici ancora più alto!
PRESIDENTE. Passiamo ai voti.
Indìco la votazione nominale, mediante procedimento elettronico, sull'articolo aggiuntivo Mascia 5.02, non accettato dalla Commissione né dal Governo e sul quale la V Commissione (Bilancio) ha espresso parere contrario.
(Segue la votazione).
Dichiaro chiusa la votazione.
Comunico il risultato della votazione: la Camera respinge (Vedi votazioni).
(Presenti 393
Votanti 391
Astenuti 2
Maggioranza 196
Hanno votato sì 182
Hanno votato no 209).
Passiamo alla votazione dell'emendamento Leoni 6.2.
Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto onorevole Marone. Ne ha facoltà.
RICCARDO MARONE. Signor Presidente, siamo di fronte ad una norma che, francamente, o è costruita su misura per qualche situazione particolare o non ha una sua logicità.
Innanzitutto, non si capisce perché si distingue, nell'ambito dei comuni sciolti per fenomeni di infiltrazione mafiosa o camorristica, quelli al di sotto o al di sopra dei 20 mila abitanti; infatti, se hanno questo problema, tutti i comuni sono uguali! Dunque, già questa suddivisione mi fa sospettare che vi sia un intervento mirato.
Ma, al di là di ciò, quello che non si comprende di questa norma è la previsione di un trattamento di favore rispetto all'amministrazione straordinaria e rispetto all'amministrazione ordinaria.
Ho sempre considerato la legislazione di questo tipo come una legislazione che dovesse avere quale suo obiettivo finale quello di riportare finalmente i comuni che abbiano problemi di questo genere in una gestione ordinaria, rimessa quindi alla libera determinazione degli abitanti di un determinato territorio. Dunque, la funzione dello Stato, attraverso le commissioni straordinarie, deve essere volta a favorire il più possibile il ritorno all'ordinario, ad una gestione del comune che sia nelle mani dei soggetti votati ed eletti dagli abitanti di quel territorio.
La disposizione in esame, invece, prevede una normativa premiale a favore della commissione straordinaria che si insedia nel comune che presenta tali problemi; e, fin qui, ciò sarebbe anche comprensibile. Tuttavia, non è comprensibile il fatto che si fa gravare questo intervento premiale riconosciuto all'amministrazione straordinaria sull'amministrazione ordinaria che subentrerà successivamente.
Il rappresentante del Governo, in Commissione, ci ha detto che l'onere è molto limitato. Ma, se si voleva favorire la cessazione dei condizionamenti e, finalmente,
una riappropriazione democratica dell'ente locale, certamente non si doveva prevedere una norma che fa gravare l'onere della gestione straordinaria sull'ente locale, che poi sarà quello eletto dai cittadini.
Questo ci sembra un profilo sbagliato anche perché queste norme vengono interpretate molte volte in maniera eccessivamente rigorosa, dando luogo a scioglimenti di amministrazioni poi annullati dal Consiglio di Stato in quanto privi dei presupposti. Siamo quindi all'interno di una materia delicatissima, che coinvolge il giusto equilibrio tra la rappresentatività popolare e la necessità di garantire interventi in materia di sicurezza, per evitare infiltrazioni di qualsiasi tipo.
Sono d'accordo che si tratta di un argomento complesso, ma quello che non comprendiamo in riferimento a questa norma è perché si applichi soltanto per i comuni fino a ventimila abitanti. Se, infatti, si vuole facilitare ai comuni la liberazione da infiltrazioni e da condizionamenti di tipo mafioso, tale tetto è irragionevole ed inspiegabile.
Un altro aspetto che non condividiamo è quello di far gravare l'intervento statale non sullo Stato stesso, fino a prova contraria titolare esclusivo dei compiti di sicurezza, bensì sull'amministrazione ordinaria che subentrerà successivamente.
PRESIDENTE. Passiamo ai voti.
Indìco la votazione nominale, mediante procedimento elettronico, sull'emendamento Leoni ed altri 6.2, non accettato dalla Commissione né dal Governo.
(Segue la votazione).
Dichiaro chiusa la votazione.
Comunico il risultato della votazione: la Camera respinge (Vedi votazioni).
(Presenti 402
Votanti 399
Astenuti 3
Maggioranza 200
Hanno votato sì 180
Hanno votato no 219).
Indìco la votazione nominale, mediante procedimento elettronico, sull'emendamento Mascia ed altri 6.1, non accettato dalla Commissione né dal Governo e su cui la V Commissione (Bilancio) ha espresso parere contrario.
(Segue la votazione).
Dichiaro chiusa la votazione.
Comunico il risultato della votazione: la Camera respinge (Vedi votazioni).
(Presenti e Votanti 395
Maggioranza 198
Hanno votato sì 181
Hanno votato no 214).
Avverto che l'emendamento Mascia ed altri 6.10, è stato ritirato dai presentatori.
Passiamo alla votazione dell'emendamento Mariotti 6.11.
Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto l'onorevole Mariotti. Ne ha facoltà.
ARNALDO MARIOTTI. Signor Presidente, vorrei intanto sollevare una questione riguardo alla correttezza e all'urgenza di questa norma. In un articolo che tratta le disposizioni finanziarie a favore dei comuni sciolti per infiltrazione mafiosa, il Senato ha inserito il comma 2-bis, riguardante la rettifica della linea di demarcazione del demanio marittimo, stabilendo che si fa affidamento alla linea del catasto piuttosto che a quella del demanio. Questa norma, inoltre, è stata dotata di effetti retroattivi.
Ritengo che l'urgenza della norma risieda proprio in questo, ovvero nella sua retroattività. Questa mattina, infatti, abbiamo trattato il decreto-legge che proroga i termini del condono edilizio; credo che questa sia la ragione per cui si è inserito in un provvedimento con caratteri di necessità ed urgenza una norma di rettifica del demanio marittimo che poteva essere altresì affrontata con legge ordinaria.
Il Governo ha sostenuto che tale norma, relativa a diversi milioni di metri cubi per edifici già realizzati, non comporta minori entrate per il bilancio dello Stato. Non ne sono affatto convinto, tanto
che avevo presentato un emendamento soppressivo del comma 2-bis, soppressione peraltro dettata dalla Commissione bilancio all'unanimità come prima condizione per esprimere parere favorevole a questo decreto. In sede di dibattito, il Ministero dell'economia non aveva saputo rispondere alla nostra domanda su quale fosse l'impatto economico di una norma che sposta la linea del demanio e trasforma grandi superfici fino a 20 mila abitanti in realtà territoriali non più di pertinenza del demanio, ma interne al piano regolatore generale. L'Agenzia del demanio non è stata in grado di quantificare questo impatto.
Ho ritirato l'emendamento soppressivo perché ho inteso sollevare il problema, coerentemente con quanto avevo già fatto in sede di Commissione bilancio. Se, però, per il Governo e per la maggioranza è possibile autorizzare il comune di Campomarino a compiere una tale operazione, chiedo alla Camera dei deputati perché tale norma non debba essere a carattere generale e valida in tutta Italia.
Tale questione è stata già affrontata, anche se non risolta, nel corso della XIII legislatura, a mio avviso, in modo più corretto. Infatti, si prevedeva la possibilità, per gli occupanti di immobili facenti parte del demanio marittimo che avessero perso le caratteristiche atte a qualificarli come beni demaniali, di acquistarne la proprietà, previo accertamento, da parte delle autorità amministrative competenti, della perdita dei requisiti, e dietro pagamento di un corrispettivo il cui importo sarebbe stato determinato con decreto dell'allora Ministero dei trasporti e della navigazione, di concerto con l'allora Ministero delle finanze. Si prevedeva altresì che le aree utilizzate per servizi pubblici fossero acquisite al patrimonio del comune interessato.
Ritengo si tratti di una norma di carattere generale, e dunque destinata a valere per tutti i comuni d'Italia, e non per uno soltanto. In tal senso, ho presentato l'emendamento 6.11 in esame, che è in linea con quanto previsto dal comma 2-bis. In assenza di oneri per il bilancio dello Stato, la rettifica della linea demaniale marittima nel comune di Campomarino, facendola coincidere con quella di demarcazione catastale, deve applicarsi anche ad altri comuni. In particolare, ho sollevato il problema del comune di San Salvo, in provincia di Chieti, che si trova nelle stesse condizioni: la rettifica è stata eseguita, il contenzioso esiste, occorre soltanto applicare la stessa norma. Ritengo che la maggioranza non abbia alcuna difficoltà ad approvare l'emendamento in esame, al fine di prevedere la parità di trattamento tra comuni diversi (Applausi dei deputati del gruppo dei Democratici di sinistra-L'Ulivo).
PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto l'onorevole Lettieri. Ne ha facoltà.
MARIO LETTIERI. Signor Presidente, l'intervento puntuale del collega Mariotti ha evidenziato il modo singolare di legiferare seguito dal Governo. Colgo l'occasione per ricordare che con la legge finanziaria 2004 è stata introdotta una norma in virtù della quale sono state aumentate le tasse di concessione dei beni demaniali del 300 per cento, suscitando la legittima protesta da parte di tutte le regioni, che ne rivendicano la titolarità, ai sensi del decreto del Presidente della Repubblica n. 616 del 1977. Si è aperto un contenzioso, nell'ambito del quale la regione Puglia ha proposto ricorso alla Corte costituzionale. Ritengo che il comma 2-bis dell'articolo 6 debba essere soppresso, al fine di attribuire la competenza in materia alle regioni. Nel caso specifico, anche la questione relativa alla demarcazione definitiva di alcune aree demaniali va affidata all'autorità regionale.
Ricordo infine che la posizione delle regioni è corretta anche in considerazione del fatto che esse sono tenute ad affrontare le spese per la difesa della costa, per il ripascimento delle spiagge e via dicendo, mentre vengono costrette a fare da gabellieri nei confronti dei titolari di concessione (Applausi dei deputati del gruppo della Margherita, DL-L'Ulivo).
PRESIDENTE. Passiamo ai voti.
Indìco la votazione nominale, mediante procedimento elettronico, sull'emendamento Mariotti 6.11, non accettato dalla Commissione né dal Governo.
(Segue la votazione).
Dichiaro chiusa la votazione.
Comunico il risultato della votazione: la Camera respinge (Vedi votazioni).
(Presenti e Votanti 389
Maggioranza 195
Hanno votato sì 182
Hanno votato no 207).
Passiamo alla votazione dell'emendamento Mariotti 6-bis.10.
Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto l'onorevole Mariotti. Ne ha facoltà.
ARNALDO MARIOTTI. Signor Presidente, intendo richiamare l'attenzione, in primo luogo della Presidenza della Camera, su un problema di carattere generale.
Ci troviamo di fronte a una strategia del Governo relativa alla conversione in legge dei decreti-leggi che consiste nella presentazione dei disegni di legge di conversione al Senato anziché alla Camera, al fine di stravolgerli dopo la firma del Capo dello Stato e di farli giungere in questo ramo del Parlamento in «zona Cesarini». Conseguentemente, la Camera è di fatto impedita a modificare i decreti, anche quando ciò è necessario per rimediare a «strafalcioni» sul piano costituzionale. Anche nel caso del decreto-legge in esame, ci troviamo in tale situazione.
La Commissione bilancio - di cui sono membro - ha sollevato una serie di problemi, in base all'articolo 81, comma 4, della Costituzione, rispetto alla copertura finanziaria e alla correttezza della relativa norma. La Commissione di merito ha respinto le condizioni a cui la Commissione bilancio aveva subordinato il suo parere favorevole, e mi pare di capire che la maggioranza si appresti a fare altrettanto in aula.
Io mi sono preso la briga di trasformare questo parere in emendamenti, ripeto, per una questione di corretta copertura della norma in questione, per il rispetto del comma 4 dell'articolo 81 della Costituzione. Guardate che, se andate avanti così, non accettando i nostri emendamenti, vi imbatterete prima o poi nella Presidenza della Repubblica, che non potrà firmare le leggi di conversione in mancanza della copertura finanziaria!
Oltre a ciò, vi imbatterete nella Corte costituzionale, il che oramai è diventato una prassi ordinaria per questo Governo e per questa maggioranza.
Per le ragioni esposte ho presentato gli emendamenti 6-bis.10, 6-bis.11 e 6-bis.12, che ripropongono le condizioni contenute nel parere della Commissione bilancio.
PRESIDENTE. Passiamo ai voti.
Indìco la votazione nominale, mediante procedimento elettronico, sull'emendamento Mariotti 6-bis.10, non accettato dalla Commissione né dal Governo.
(Segue la votazione).
Dichiaro chiusa la votazione.
Comunico il risultato della votazione: la Camera respinge (Vedi votazioni).
(Presenti e Votanti 390
Maggioranza 196
Hanno votato sì 182
Hanno votato no 208).
Indìco la votazione nominale, mediante procedimento elettronico, sull'emendamento Mariotti 6-bis.11, non accettato dalla Commissione né dal Governo.
(Segue la votazione).
Dichiaro chiusa la votazione.
Comunico il risultato della votazione: la Camera respinge (Vedi votazioni).
(Presenti e Votanti 385
Maggioranza 193
Hanno votato sì 185
Hanno votato no 200).
Indìco la votazione nominale, mediante procedimento elettronico, sull'emendamento Mariotti 6-bis.12, non accettato dalla Commissione né dal Governo.
(Segue la votazione).
Dichiaro chiusa la votazione.
Comunico il risultato della votazione: la Camera respinge (Vedi votazioni).
(Presenti e Votanti 383
Maggioranza 192
Hanno votato sì 184
Hanno votato no 199).
Passiamo alla votazione dell'emendamento Amici 7.2.
Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto l'onorevole Marone. Ne ha facoltà.
RICCARDO MARONE. Ci siamo: in un provvedimento di questo Governo non poteva mancare una norma ad personam. È oramai una prassi, ci siamo abituati: quando qualcuno incappa in qualche vicenda penale, il Parlamento e questa maggioranza subito intervengono per risolvere il problema. Abbiamo visto poco tempo fa una norma che consentiva a chi era stato sospeso dal servizio di rimanere in servizio fino alla consunzione naturale, senza limiti di età; oggi prevediamo una norma secondo la quale chi commette peculato d'uso può continuare tranquillamente a fare l'amministratore pubblico.
Un amministratore che commette peculato d'uso usa della cosa pubblica a fini personali, per interessi privati. Ci rendiamo conto che a questa maggioranza ciò non fa troppa impressione, considerato che da tre anni abbiamo un Presidente del Consiglio che persegue interessi personali e non riusciamo ad ottenere una legge corretta (non una legge che stabilisca che si possono fare gli interessi personali, come quella che è stata predisposta dal ministro Frattini). In questo caso però siamo quasi al paradosso, perché sostanzialmente si autorizzano gli amministratori pubblici a fare ciò che vogliono.
Vorrei fare un esempio di pura fantasia, molto improbabile, che però può capitare. Può esservi, ad esempio, un amministratore pubblico stanco, molto impegnato nell'amministrazione della cosa pubblica, quindi molto gravato dai fini pubblici della sua attività, che decida di andarsene un po' in vacanza (e questo è legittimo). Immaginiamo che decida di andarsene piuttosto lontano, per non rimanere sul suo territorio; magari per non essere afflitto da gente che lo conosce e che gli pone i problemi della sua amministrazione, giustamente, questo amministratore preferisce andarsene all'estero, il più lontano possibile, dove probabilmente avrà minori possibilità di incontrare gente che conosce. Può capitare che questo amministratore debba prendere una nave per andare in questo posto e che la nave parta da una località situata a 400 o 500 chilometri dal suo comune.
Può capitare che, per prendere la nave, utilizzi la macchina del comune, e con la moglie e la propria famiglia, appunto con la macchina, la benzina e l'autista del comune, se ne vada tranquillamente in vacanza, percorrendo 500 chilometri.
Con questa norma favoriamo tali ipotesi, che sono - ripeto - di pura fantasia perché credo che nessun amministratore pubblico possa essere così sfrontato o sfacciato da fare una cosa del genere. Si tratta, dunque, di un'ipotesi di scuola, ...
NICOLÒ CRISTALDI. Ma lei ha esperienza di quello che accade in Italia, in ogni parte...!
RICCARDO MARONE. ... che però con questa norma favoriamo, perché affermiamo che il sindaco che si comporti in quel modo potrà continuare a fare l'amministratore pubblico.
Non so se sia corretto, e soprattutto non so se sia costituzionale, ma questo è un problema che affronterà la Corte costituzionale. La Corte di Cassazione ha già affrontato il tema, essendosi posta giustamente il problema di quale sia l'urgenza di questa norma, perché sia tanto urgente disciplinare questa fattispecie giuridica rispetto alle tante che ci potrebbero essere, perché occorra un decreto-legge per risolvere
questo problema, perché non se ne possa discutere con un po' di calma, perché questa Camera non possa discutere, altrimenti decadrebbe il decreto-legge. Molti colleghi - mi auguro moltissimi - della maggioranza si vergogneranno di approvare questa norma in quanto costretti ad approvare un decreto-legge che altrimenti decadrebbe.
Questa è la verità! Quanti di voi dovranno approvare una norma, e tantissimi sono quelli che non la condividono, perché inserita in un decreto-legge di urgenza che decadrà, se oggi approveremo l'emendamento? Questo, cioè, è il trabocchetto in cui questa maggioranza deve cadere per favorire un sindaco reo di peculato d'uso, che cioè utilizzi beni pubblici per fini personali (Applausi dei deputati del gruppo dei Democratici di sinistra-L'Ulivo)!
PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto l'onorevole Mantini. Ne ha facoltà.
PIERLUIGI MANTINI. Signor Presidente, in effetti sono un po' stufo del tema delle leggi ad personam e anche persino dell'argomento! Il problema è che francamente non ci date occasioni diverse, dal momento che ci vuole davvero un po' di fantasia, sia pure in un provvedimento omnibus come quello in esame, per inserire nell'ambito della disciplina degli enti locali una norma - che è un pò una fotografia - che riguardi il caso di un sindaco che va a spasso, in viaggio di nozze o altro, con la macchina di servizio, e altre vicende difficili e anche mortificanti da raccontare in Parlamento e fuori dal Parlamento.
Tuttavia, si tratta di una norma sbagliata, anche sul piano tecnico. È difficile, ad esempio, sottrarre il peculato d'uso dalla disciplina delle sospensioni - si parla di sospensioni dalle cariche di amministratore dopo una condanna almeno di primo grado - e non farlo, ad esempio, per altri reati, come il peculato mediante profitto dell'errore altrui, che, ai sensi dell'articolo 316, è punito con la stessa pena. Si è voluto proprio espungere questo tipo di reato e questa norma, e francamente dovreste giustificare e spiegarne le ragioni al paese.
Lo dico in modo non retorico, lo dico al sottosegretario: auspicherei un suo intervento, francamente, lo auspicherei davvero! Anche se mi illudo, perché immagino che anche su questo tema il Governo non interverrà, nonostante le richieste del Parlamento.
Devo dire che il senso di sgomento è pari anche ad una certa vostra irresponsabilità; infatti, è difficile poi prendersela con la magistratura - come voi fate ad ogni occasione - in quanto brandirebbe la spada della lotta alla corruzione!
Qualche segnale di tipo etico - non voglio scomodare Salvemini ed i vizi del nostro paese - il Parlamento dovrebbe pure darlo!
Se ci interroghiamo su cosa abbiamo fatto dopo la stagione di tangentopoli, su cosa abbiamo fatto in questa legislatura, vediamo che abbiamo, anzi che avete, abrogato le norme sugli appalti pubblici e che andate avanti con misure che, come questa, permettono all'amministratore locale condannato per peculato d'uso di conservare la carica. Questa è la vostra politica in materia di corruzione! Qualcuno potrebbe obiettare che la corruzione non c'è: fareste un doppio errore, perché l'opacità dei mercati, ed anche l'opacità della democrazia, costituiscono un gravissimo danno per il paese e per la serietà delle sue istituzioni.
In questo modo, contribuite a delegittimare le istituzioni rappresentative e la politica. Voi contribuite, perché noi dell'Ulivo e del centrosinistra non lo facciamo e non lo faremo: su questo voto sfidiamo il vostro senso di irresponsabilità!
NUCCIO CARRARA, Relatore. Chiedo di parlare.
PRESIDENTE. Ne ha facoltà.
NUCCIO CARRARA, Relatore. Signor Presidente, con molta pacatezza, spero di chiarire gli equivoci e di apportare un minimo di buon senso ad una discussione
che rischia di trasformarsi in mera propaganda elettorale, dal momento che non sono stati definiti esattamente i contorni della vicenda.
Tengo a dire subito che noi del gruppo di Alleanza nazionale non abbiamo, in questo momento, alcun interesse a candidare qualcuno servendoci di questa norma: le candidature sono state già presentate e sono scaduti i termini per la presentazione delle liste; non ci siamo avvalsi della norma - ma credo che non l'abbiano fatto neanche i colleghi della Lega o di Forza Italia - per candidare qualche sindaco non candidabile. Non è questo il punto, ma un altro: occorre avere riguardo ad un fatto storico che ha prodotto effetti ultronei e non desiderati.
Nel 1990, il Governo ed il Parlamento si posero il problema dell'esclusione dalle cariche pubbliche di soggetti collusi con la mafia. Venne approvata, pertanto, la legge n. 55 del 1990 (cosiddetta legge antimafia), che allontanava dalla pubblica amministrazione coloro che avessero riportato condanne per specifiche ipotesi delittuose o nei cui confronti fosse stata applicata una misura di prevenzione per collusione con associazioni di tipo mafioso.
Tale normativa, evolutasi nel tempo, è stata in parte trasfusa, da ultimo, nel decreto legislativo n. 267 del 2000, nel quale sono confluite le modifiche del Governo dell'Ulivo e non del Governo della destra: il Governo dell'Ulivo ha esplicitamente escluso dalle cause di sospensione e di decadenza di diritto l'avere riportato condanna non definitiva per il delitto previsto e punito dall'articolo 314 secondo comma del codice penale! L'articolo 59 del decreto legislativo citato, sotto la rubrica «Sospensione e decadenza di diritto» dispone che «Sono sospesi di diritto dalle cariche indicate al comma 1 dell'articolo 58: a) coloro che hanno riportato una condanna non definitiva per uno dei delitti indicati all'articolo 58, comma 1, lettera a), o per uno dei delitti previsti dagli articoli 314, primo comma (...) del codice penale».
La legge era stata congegnata in maniera tale che, dopo la pronuncia di una sentenza definitiva, chi ricoprisse una delle cariche indicate al comma 1 dell'articolo 58 decadesse da essa di diritto dalla data del passaggio in giudicato della sentenza di condanna o dalla data in cui diveniva definitivo il provvedimento che applicava la misura di prevenzione: si era di fronte a delitti gravi per i quali erano previste pesanti pene edittali. Ecco perché era stata espunta la fattispecie di cui al secondo comma dell'articolo 314: nel caso del peculato d'uso, la pena edittale minima è di sei mesi di reclusione e, di conseguenza, tale delitto non è stato ritenuto - non da noi, ma dal Governo dell'Ulivo! - uno di quelli che determinano un rilevante allarme sociale.
NUCCIO CARRARA, Relatore. Sennonché, nel riprodurre, all'articolo 58 del decreto legislativo citato («Cause ostative alla candidatura»), tutte le ipotesi delittuose di cui all'articolo 59, si è fatto riferimento a «coloro che hanno riportato condanna definitiva per i delitti previsti dagli articoli 314 (peculato)», senza alcun riferimento specifico, com'era logico e giusto, al primo comma.
Adesso, con questo provvedimento si intende operare una correzione; si tratta quasi di un coordinamento formale del testo. Non sta né in cielo né in terra che chiunque di noi abbia utilizzato impropriamente una matita o un computer, senza subire per questo una condanna rilevante, possa essere escluso dai pubblici uffici, anche con pene inferiori ai sei mesi.
Grazie, colleghi, per l'attenzione (Applausi dei deputati dei gruppi di Alleanza nazionale e di Forza Italia).
PRESIDENTE. Passiamo ai voti.
Indìco la votazione nominale, mediante procedimento elettronico, sull'emendamento Amici 7.2, non accettato dalla Commissione né dal Governo.
(Segue la votazione).
Dichiaro chiusa la votazione.
Comunico il risultato della votazione: la Camera respinge (Vedi votazioni).
(Presenti 386
Votanti 383
Astenuti 3
Maggioranza 192
Hanno votato sì 177
Hanno votato no 206).
Indìco la votazione nominale, mediante procedimento elettronico, sull'emendamento Mascia 7.1, non accettato dalla Commissione né dal Governo.
(Segue la votazione).
Dichiaro chiusa la votazione.
Comunico il risultato della votazione: la Camera respinge (Vedi votazioni).
(Presenti e Votanti 379
Maggioranza 190
Hanno votato sì 177
Hanno votato no 202).
Passiamo alla votazione dell'emendamento Mascia 7.3.
Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto l'onorevole Bressa. Ne ha facoltà.
GIANCLAUDIO BRESSA. Signor Presidente, l'emendamento in esame affronta una questione che, apparentemente, potrebbe sembrare molto banale e del tutto marginale rispetto alle altre questioni affrontate nel decreto-legge ma che, invece, ha una sua particolare rilevanza. Infatti, quella che, nella normativa vigente, viene qualificata come causa di ineleggibilità si trasforma in causa di incompatibilità.
Si tratta dell'ipotesi relativa ai soggetti che abbiano ascendenti o discendenti ovvero parenti o affini fino al secondo grado che coprano nelle rispettive amministrazioni il posto di appaltatori di lavori o di servizi comunali o provinciali o in qualunque modo loro fideiussori.
Sono del tutto convinto che a questa Camera e al Parlamento in generale la questione del conflitto di interesse non stia particolarmente a cuore. Tuttavia, non capisco per quale motivo dobbiamo sempre approvare norme che tendono a peggiorare la situazione di garanzia per i nostri amministrati. In questo caso, è del tutto evidente che il principio dell'ineleggibilità di un soggetto che abbia ascendenti o discendenti ovvero parenti affini fino al secondo grado che coprono il posto di appaltatori di lavori o servizi comunali ottenuti dall'amministrazione provinciale, persegua un obiettivo del tutto pacifico, ossia impedire a questi soggetti di concorrere alla carica di sindaco o di presidente della provincia.
Qual è la ratio che vi induce a passare dalla ineleggibilità alla incompatibilità? Mentre nella norma precedente è del tutto evidente l'interesse obiettivo (lo hanno ricordato i miei colleghi), sarei curioso di sapere quale sia il caso specifico che, questa volta, si tende a salvaguardare. Infatti, razionalmente, nessuno è in grado di spiegare per quale ragione, di fronte ad un macroscopico conflitto di interessi tra un candidato sindaco ed un proprio parente appaltatore di un servizio o di un lavoro da parte della provincia o del comune, si vuole slittare dall'ineleggibilità all'incompatibilità. Non ci sono motivi razionali possibili. Se qualcuno fosse in grado di svelare il disegno che vi induce a modificare inopinatamente una norma di questo genere, sarebbe opportuno che si facesse avanti e lo dicesse in modo tale da rendere comprensibile a noi poveri parlamentari chiamati a votare questo provvedimento la ragione occulta di questa norma.
Abbiate almeno il pudore di spiegare esattamente quali sono i fini! Questi fini, se spiegati, non sarebbero più reconditi. La norma resterebbe lo stesso un'indecenza, ma perlomeno avremmo la consapevolezza di che cosa stiamo facendo.
PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto, a titolo personale, l'onorevole Rosato. Ne ha facoltà.
ETTORE ROSATO. Signor Presidente, intervengo solo per ribadire quanto diceva il collega Bressa. Considero molto grave
che vengano inserite all'interno di un provvedimento urgente disposizioni di questo tipo, che nulla hanno a che vedere con l'urgenza, che sono volte a cambiare radicalmente le norme sull'incompatibilità e che non sono assolutamente in linea con gli orientamenti che il Parlamento vuole assumere. Mi sembra che non sia questo il modo di legiferare in materie così delicate.
PRESIDENTE. Passiamo ai voti.
Indìco la votazione nominale, mediante procedimento elettronico, sull'emendamento Mascia 7.3, non accettato dalla Commissione né dal Governo.
(Segue la votazione).
Dichiaro chiusa la votazione.
Comunico il risultato della votazione: la Camera respinge (Vedi votazioni).
(Presenti 392
Votanti 391
Astenuti 1
Maggioranza 196
Hanno votato sì 174
Hanno votato no 217).
Passiamo alla votazione dell'emendamento Crisci 7.10. Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto l'onorevole Crisci. Ne ha facoltà.
NICOLA CRISCI. Signor Presidente, onorevoli colleghi, desidero innanzitutto stigmatizzare il comportamento del Governo, che ancora una volta ha deciso di intervenire con un decreto-legge su materie che avrebbero potuto essere trattate meglio e in modo certamente più organico mediante il ricorso alla procedura legislativa ordinaria.
Il Governo ha voluto continuare nella sua sistematica opera di svuotamento del Parlamento e delle sue prerogative, costringendo la stessa maggioranza ad approvare, senza possibilità di apportare modifiche, un provvedimento nel quale è impossibile riscontrare i requisiti di necessità ed urgenza indispensabili per giustificare un intervento dell'esecutivo.
Quello in discussione è un testo confuso e contraddittorio che interviene su argomenti eterogenei, su diversi ambiti ordinamentali, e che si spinge ad affrontare in modo improprio e spregiudicato perfino la delicata materia dell'elettorato passivo, che l'articolo 51 della Carta costituzionale riserva espressamente alla legge, come è stato ben evidenziato dal collega Marone e da altri colleghi.
È un provvedimento che ignora ancora una volta i reali bisogni degli enti locali e che non recepisce nessuna delle misure correttive proposte dall'ANCI rispetto alla legge finanziaria 2004. Nulla si prevede in ordine alla richiesta di riduzione dei tagli praticati sui trasferimenti. Si ignorano le ragionevoli proposte dei comuni sulla necessità di alleggerire le sanzioni inique e sproporzionate previste per gli enti che non rispettano il patto di stabilità; sanzioni che prevedono, tra l'altro, il blocco degli investimenti, con evidenti preoccupanti ricadute sul piano occupazionale. Si evita, con incomprensibile ottusità, di considerare le ripetute richieste degli amministratori di predisporre idonee misure per far fronte al bisogno, diffusamente avvertito dagli enti locali, di superare gli effetti dannosi dei ritardi nell'erogazione dei trasferimenti.
L'emendamento in discussione cerca di dare delle risposte concrete e praticabili ai problemi causati dalla preoccupante sfasatura tra le previsioni di competenza e le disponibilità di cassa; sfasatura che costringe gli enti a ricorrere a costose anticipazioni di tesoreria, che, tra l'altro, risultano spesso insufficienti a soddisfare l'ordinario fabbisogno finanziario necessario per garantire il funzionamento dei servizi essenziali, anche a causa della tassatività del limite previsto dall'articolo 222 del testo unico sugli enti locali.
Se accogliessimo l'emendamento, consentiremmo agli enti locali di superare un ostacolo creato da una norma ingiustificatamente rigida e conferiremmo ai comuni la possibilità, senza oneri aggiuntivi per lo Stato, di far fronte alle spese relative ai servizi pubblici essenziali, ricorrendo, con maggiore elasticità decisionale,
ad adeguate anticipazioni di tesoreria in presenza di ritardi nella erogazione dei trasferimenti da parte dello Stato. Quella che si propone è, dunque, una risposta tecnica e di buonsenso ad un problema generato dall'attuale sistema dei trasferimenti erariali agli enti locali, che complica ulteriormente la già difficile situazione dei comuni.
Per queste ragioni, che non mi sembrano né di destra, né di sinistra, invito l'Assemblea ad approvare il mio emendamento 7.10, il quale si propone di migliorare un provvedimento che resta, comunque, confuso, inconcludente e contraddittorio. Il decreto-legge in esame, inoltre, conferma la visione centralistica dell'attuale Governo, che stride sia con la riforma federalista approvata con la modifica del Titolo V della Costituzione, sia con le stesse ipotesi di devoluzione che sembrano avere temporaneamente sopito i furori padani (Applausi dei deputati del gruppo dei Democratici di sinistra-L'Ulivo).
PRESIDENTE. Passiamo ai voti.
Indìco la votazione nominale, mediante procedimento elettronico, sull'emendamento Crisci 7.10, non accettato dalla Commissione né dal Governo e sul quale la V Commissione (Bilancio) ha espresso parere contrario.
(Segue la votazione).
Dichiaro chiusa la votazione.
Comunico il risultato della votazione: la Camera respinge (Vedi votazioni).
(Presenti 397
Votanti 395
Astenuti 2
Maggioranza 198
Hanno votato sì 176
Hanno votato no 219).
Indìco la votazione nominale, mediante procedimento elettronico, sull'emendamento Mascia 7.4, non accettato dalla Commissione né dal Governo.
(Segue la votazione).
Dichiaro chiusa la votazione.
Comunico il risultato della votazione: la Camera respinge (Vedi votazioni).
(Presenti 387
Votanti 385
Astenuti 2
Maggioranza 193
Hanno votato sì 173
Hanno votato no 212).
Passiamo alla votazione dell'emendamento Mascia 7-ter.1.
Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto l'onorevole Bressa. Ne ha facoltà.
GIANCLAUDIO BRESSA. Signor Presidente, mi rendo perfettamente conto che siamo di fronte ad una questione fondamentale: infatti, l'articolo 7-ter del provvedimento in esame dispone che, alla tabella A allegata alle legge 29 dicembre 2003, n. 376, al numero 47, le parole «comune Varese» siano sostituite dalle parole «provincia Varese»!
Gli atti dei lavori svolti presso il Senato ci fanno comprendere come si sia trattato di un vero e proprio errore materiale, per cui nulla quaestio; tuttavia, sempre seguendo la logica dei criteri che dovrebbero ispirare il varo di un decreto-legge, c'è da domandarsi quali siano i motivi di urgenza che inducono il Governo ad introdurre, nel testo di un provvedimento legislativo come quello attualmente al nostro esame, una simile norma.
La sensazione che si abbia a che fare non con un decreto-legge sostenuto da serie motivazioni di necessità e di urgenza, ma con un «treno» al quale ciascuno potesse attaccare una propria piccola «pezzetta» per risolvere qualche problema personale viene ulteriormente confermata dall'esame di questa norma, innocua ed innocente, ma sintomatica di un cattivo uso che sia il Governo, sia la maggioranza fanno dello strumento legislativo.
PRESIDENTE. Passiamo ai voti.
Indìco la votazione nominale, mediante procedimento elettronico, sull'emendamento Mascia 7-ter.1, non accettato dalla Commissione né dal Governo.
(Segue la votazione).
Dichiaro chiusa la votazione.
Comunico il risultato della votazione: la Camera respinge (Vedi votazioni).
(Presenti 391
Votanti 389
Astenuti 2
Maggioranza 195
Hanno votato sì 177
Hanno votato no 212).
Passiamo alla votazione dell'emendamento Mascia 7-quater.1.
Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto l'onorevole Rosato. Ne ha facoltà.
ETTORE ROSATO. Signor Presidente, siamo giunti nella fase in cui procederemo ad esaminare una serie di proposte emendative riferite ad un articolo del decreto-legge introdotto nel corso dell'esame da parte del Senato e rispetto al quale siamo profondamente contrari.
Vorrei ricordare che, in sede di discussione del disegno di legge finanziaria, avevamo già espresso la nostra contrarietà all'istituzione di quella che avrebbe dovuto essere un'addizionale comunale sui diritti di imbarco dei passeggeri sugli aeromobili a servizio dei comuni stessi ed intendo ribadire tale orientamento anche oggi, dal momento che, con modalità assolutamente deviate, tale addizionale diventa permanente.
Come hanno già ricordato altri colleghi, in occasione della discussione sulle linee generali del decreto-legge in esame, si è trattato di un punto sul quale in I Commissione, nel corso dell'esame in sede referente, assieme ai colleghi degli altri gruppi di opposizione ci siamo soffermati in più occasioni, poiché l'imposta in questione, che avrebbe dovuto essere una addizionale comunale, è diventata, di fatto, una nuova tassa dello Stato.
Ciò perché nella legge finanziaria, rispondendo ad una richiesta che proveniva da molti anni dall'ANCI, abbiamo inserito la norma che prevedeva di contribuire, con un euro per ogni passeggero imbarcato, ai disagi che i comuni che fanno parte del sedime aeroportuale indubbiamente sopportano. Quindi, calcolando un euro per ogni passeggero, con cento milioni di passeggeri l'anno si riusciva a destinare al territorio interessato una certa disponibilità finanziaria, che poteva servire proprio per le infrastrutture ed i servizi che, di fatto, sono necessari per rendere migliore la qualità della vita anche di coloro che devono sopportare gravi disagi (faccio riferimento, per esempio, ai grandi aeroporti nazionali, quelli di Roma o di Milano, in cui arrivano milioni di passeggeri ogni anno).
Nel corso del dibattito sulla legge finanziaria per il 2004, il Governo ha invece inteso trasformare una norma che doveva servire a finanziare i comuni in una nuova tassa statale, lasciando immutato, in maniera assolutamente strumentale e fuorviante, il nome di «addizionale comunale».
Di fatto, solo il 14 per cento delle risorse in questione arriva ai comuni. Il resto è incamerato direttamente dallo Stato. Con i nostri emendamenti successivi, presentati sia dal nostro gruppo sia da quello dei Democratici di sinistra, cerchiamo di correggere tali storture, per andare incontro ad un'esigenza manifestata sin dall'inizio.
L'emendamento Mascia 7-quater.1 è molto chiaro. Esso mira a far sì che almeno non si faccia perdurare negli anni una norma formulata in maniera sbagliata (tale era l'intenzione manifestata dalla maggioranza e dal Governo, in Senato). La nostra intenzione è quella di ritornare, almeno per il 2004, alla distribuzione originaria delle risorse, per poi poterla ridefinire meglio, se sarà necessario, dal 2005 in poi.
PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto l'onorevole Duca. Ne ha facoltà.
EUGENIO DUCA. Signor Presidente, il gruppo dei Democratici di sinistra voterà a favore dell'emendamento Mascia 7-quater.1. Il relatore, che ha avuto modo di definire «osservazioni pretestuose e ingiuriose» quelle svolte dai colleghi durante la
discussione sul complesso degli emendamenti, avrà notato, leggendo il parere della XI Commissione, che in esso si pone una condizione chiedendo che questo articolo venga modificato, per riportare tale tassa ad un giusto uso, così com'era stata pensata in origine, laddove il Governo l'aveva successivamente trasformata in una tassa statale sotto il falso nome di addizionale comunale.
Infatti, al comma 11 dell'articolo 2 della legge finanziaria per il 2004 era scritto: «Per l'anno 2004, è istituita l'addizionale comunale sui diritti d'imbarco dei passeggeri sulle aeromobili. L'addizionale è pari ad 1 euro per ogni passeggero imbarcato ed è versata all'entrata del bilancio dello Stato, per la successiva riassegnazione, per la parte eccedente 30 milioni di euro» (che, intanto, rimangono nel bilancio dello Stato). Come viene riassegnata tale somma? Secondo i seguenti criteri: il 20 per cento del totale a favore dei comuni del sedime aeroportuale o con lo stesso confinanti. Il restante 80 per cento in un apposito fondo istituito presso il Ministero dell'interno. Quindi, in realtà, è l'86 per cento di tale imposta che va allo Stato (il 30 per cento del totale alle entrate dello Stato, l'80 per cento del restante 70 per cento al Ministero dell'interno).
In sostanza, si impone a più di 36 comuni (che spesso non sono gli stessi che portano il nome dell'aeroporto) di assolvere le funzioni di gabellieri, mentre la riscossione avviene a livello centrale. Ciò riguarda 36 aeroporti nazionali: Alghero, Ancona, Bari, Bergamo, Bologna, Bolzano, Brescia, Brindisi, Cagliari, Catania, Crotone, Cuneo, Firenze, Foggia, Forlì, Genova, Lamezia Terme, Milano Linate e Milano Malpensa, Napoli, Olbia, Palermo, Parma, Perugia, Pescara, Pisa, Reggio Calabria, Rimini, Roma Ciampino e Roma Fiumicino, Ronchi dei Legionari, Torino, Trapani, Treviso, Venezia e Verona.
A fronte di un introito di 100 milioni di euro (quasi 200 miliardi delle vecchie lire), 86 milioni e 642 mila vanno allo Stato (circa 172 miliardi delle vecchie lire) e soltanto 14 milioni di euro (28 miliardi di lire) sono suddivisi fra tutti i comuni (che sono ovviamente più di 36) del sedime aeroportuale.
Mentre si insiste nel dire che si vogliono ridurre le tasse, la legge finanziaria per il 2004 aveva introdotto una tassa per un anno, riferita al solo 2004.
In questo decreto-legge è stata inserita una piccola norma - quella che giustamente l'emendamento Mascia 7-quater.1 propone di eliminare - che stabilisce di sopprimere, al comma 11 dell'articolo 2 della legge n. 350 del 2003, le parole «per il 2004». In questo modo, la tassa da una tantum, valida per un solo anno, diventa fissa e vale per sempre. In altri termini, un'addizionale che definite comunale, che era stata pensata per un anno ed i cui introiti per l'86 per cento vanno allo Stato, con un emendamento per così dire un po' truffaldino, viene resa permanente.
La IX Commissione ha chiesto di modificare questa norma e di riportarla al contenuto originario e penso che sarebbe bene che i colleghi approvassero l'emendamento in esame, in modo da evitare che vi sia un'ulteriore beffa nei confronti dei cittadini, anche per quanto concerne il costo dei biglietti aerei. Altro che requisiti di sistema! Si continua sempre a spremere e ad aumentare le tariffe. Se una tassa deve essere statale, così si chiami! Non si definisca addizionale comunale una tassa che, invece, ha tutte le caratteristiche per essere di rilievo statale (Applausi dei deputati del gruppo dei Democratici di sinistra-L'Ulivo).
PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto l'onorevole Zacchera. Ne ha facoltà.
MARCO ZACCHERA. Signor Presidente, intervengo molto brevemente per sottolineare, al di là della demagogia, che questi fondi sono destinati a quei comuni che non sono prossimi al sedime degli aeroporti, ma che subiscono comunque dei danni dal sorvolo. La sinistra dovrebbe essere coerente: ad esempio, per quanto riguarda Malpensa, non può prendere in considerazione la protesta dei comuni del
cosiddetto consorzio Ovest Ticino, che grazie a questi fondi percepiscono gli indennizzi perché vengono sorvolati dagli aerei. Essi non sono a Malpensa, ma addirittura in un'altra regione.
Il Ministero dell'interno non fa altro che redistribuire le risorse ai comuni che subiscono danni dai sorvoli, ad esempio, per i rumori. Quindi, vi deve essere un minimo di logica; non si può sostenere in periferia il contrario di ciò che viene affermato in questa sede (Applausi dei deputati del gruppo di Alleanza nazionale).
PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto, a titolo personale, l'onorevole Panattoni. Ne ha facoltà.
GIORGIO PANATTONI. Signor Presidente, ho l'impressione che l'onorevole Zacchera non abbia letto il dispositivo in questione. Egli ha raccontato una serie di bugie: non è affatto vero ciò che dice! Non vi è affatto una redistribuzione tra i comuni vicini.
Questi fondi erano originariamente destinati alla sicurezza delle stazioni degli aeroporti; quando lo Stato se ne è appropriato, non ha dato oltretutto alcuna garanzia circa le modalità del loro utilizzo.
Adesso che diventa permanente, questa sovrattassa comunale diventerà uno dei tanti introiti dello Stato a destinazione generica; siamo quindi in presenza di una tassa di scopo che in realtà diviene entrata dello Stato. Almeno in questo ramo del Parlamento si sia corretti, quando si parla! Si accusa poi la sinistra di strumentalizzare questa operazione: siamo al paradosso!
Per favore, dunque, un po' di correttezza parlamentare!
MARCO ZACCHERA. Poi te lo spiego!
GIORGIO PANATTONI. Ne riparliamo dopo (Applausi dei deputati del gruppo dei Democratici di sinistra-L'Ulivo)!
PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto, a titolo personale, l'onorevole Lettieri. Ne ha facoltà.
MARIO LETTIERI. Signor Presidente, onorevoli colleghi, sarò assai breve. Ha ragione il collega Panattoni nel dire che il collega Zacchera intende effettivamente strumentalizzare una posizione legittima del centrosinistra, quando difende i cittadini che risiedono nei comuni limitrofi all'aeroporto di Malpensa. Parla uno che proviene da una regione che di aeroporti non ne ha, perché, come è noto, in Basilicata questi mancano ancora. Speriamo che prima o poi se ne realizzi uno: sono anni che attendiamo!
Detto ciò, anche questo articolo, che è poca cosa, onestamente rivela in un certo senso la tenacia che il Governo ha nel rastrellare tutto il possibile.
Lo ha fatto con la scorsa legge finanziaria, aumentando del 300 per cento la tassa di concessione per i demani pubblici; ora lo fa istituendo una nuova tassa, una piccola cosa: 200 miliardi di vecchie lire non sono molti! Tuttavia, ciò dimostra come questo Governo adoperi tutti i marchingegni possibili per aumentare le tasse. E poi il Presidente del Consiglio, nei manifesti elettorali, dice che le tasse sono state ridotte, sapendo di mentire! Almeno in Parlamento compiamo una operazione di verità (Applausi dei deputati dei gruppi della Margherita, DL-L'Ulivo e dei Democratici di sinistra-L'Ulivo)!
PRESIDENTE. Passiamo ai voti.
Indìco la votazione nominale, mediante procedimento elettronico, sull'emendamento Mascia 7-quater.1, non accettato dalla Commissione né dal Governo e sul quale la V Commissione (Bilancio) ha espresso parere contrario.
(Segue la votazione).
Dichiaro chiusa la votazione.
Comunico il risultato della votazione: la Camera respinge (Vedi votazioni).
(Presenti 391
Votanti 389
Astenuti 2
Maggioranza 195
Hanno votato sì 171
Hanno votato no 218).
Passiamo alla votazione dell'emendamento Rosato 7-quater.7.
Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto l'onorevole Raffaldini. Ne ha facoltà.
FRANCO RAFFALDINI. Signor Presidente, onorevoli colleghi, con l'emendamento al nostro esame, che invito ad approvare, si intende fare un'operazione molto semplice, del tutto diversa da quella richiamata dall'onorevole Zacchera.
Faccio alcuni esempi e, al contempo, pongo una serie di domande. Con questo emendamento noi vogliamo dare - nel senso di restituire - mezzo miliardo all'anno al sindaco leghista di Montichiari. Sono d'accordo oppure no i deputati a dare mezzo miliardo all'anno al sindaco di Montichiari? Con questo emendamento si dice di sì. Intendiamo dirottare da Roma due miliardi e mezzo all'anno verso i comuni dell'area di Bari, 5 miliardi all'anno verso i comuni del Bergamasco, 8 miliardi all'anno verso il comune di Catania, 2 miliardi e mezzo all'anno verso il comune di Olbia, 6 miliardi all'anno al comune di Palermo, 3 miliardi all'anno verso il comune di Ciampino, un miliardo all'anno verso il comune di Treviso e potrei continuare.
Questi soldi infatti sono stati sottratti dal ministro Tremonti; noi proponiamo di destinarli a quei comuni. Questo è il senso dell'emendamento presentato: se si esprime voto contrario, non si vogliono dare ai comuni questi soldi; se si vota in modo favorevole, si possono invece dare ai sindaci interessati (Applausi dei deputati del gruppo dei Democratici di sinistra-L'Ulivo)!
PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto l'onorevole Rosato. Ne ha facoltà.
ETTORE ROSATO. Signor Presidente, come ben diceva il collega Raffaldini abbiamo cercato di riportare l'addizionale comunale nei limiti di quanto concordato con l'Associazione nazionale dei comuni italiani. Infatti, prevedere un'addizionale in questo caso aveva una logica: all'interno degli oneri relativi agli imbarchi è corretto riconoscere agli abitanti, tramite i loro comuni, il disagio di avere l'aeroporto sul sedime del proprio territorio comunale.
Con l'emendamento in esame cerchiamo di riportare direttamente nelle casse dei comuni almeno l'80 per cento - l'ANCI ci chiedeva il totale - degli introiti in questione. Ben faceva il collega a leggere le cifre di cui discutiamo, altrimenti sembra che la discussione sia accademica. Il comune di Napoli, ad esempio, avrebbe diritto a 4,5 milioni di euro e, invece, riceve 641 mila euro: questo è il risultato della norma inserita nella legge finanziaria per il 2004! Vogliamo tornare alle cifre concordate con l'Associazione nazionale dei comuni ed alle richieste che provenivano, in particolare, dai comuni del sedime aeroportuale.
Vorrei sottolineare inoltre - altrimenti i pareri espressi nelle Commissioni perdono completamente di significato - una condizione posta all'unanimità dalla Commissione trasporti, che su questo punto chiedeva di ricalibrare le percentuali di riparto inserite all'interno della finanziaria. Il Governo aveva motivato la scelta della finanziaria per il 2004 con una situazione contingente. Ora, in maniera furbesca, all'interno di un decreto-legge rende stabile tale tassa, che non è più un'addizionale comunale poiché entra direttamente nelle casse dello Stato e nulla ha a che fare con i comuni.
Dunque, chiedo una valutazione attenta da parte del Parlamento per gli effetti benefici che essa potrebbe avere sui comuni coinvolti. Si tratta di 36 comuni, anzi molti di più, considerando che alcuni aeroporti sono articolati su un territorio riguardante più comuni. Gli svantaggi per gli abitanti che vivono intorno all'aeroporto sono reali e, quindi, sono necessarie risorse reali (Applausi dei deputati del gruppo della Margherita, DL-L'Ulivo).
NUCCIO CARRARA, Relatore. Chiedo di parlare.
PRESIDENTE. Ne ha facoltà.
NUCCIO CARRARA, Relatore. Signor Presidente, intervengo solo per far notare all'Assemblea che la Commissione bilancio ha bocciato l'emendamento in esame perché privo di copertura finanziaria. Quando i colleghi della sinistra hanno buone intenzioni, dovrebbero almeno vestirle bene.
PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto, a titolo personale, l'onorevole Panattoni. Ne ha facoltà.
GIORGIO PANATTONI. Signor Presidente, anche questo intervento del relatore è sbagliato. Noi non abbiamo chiesto di toccare quanto previsto per il 2004, ma di eliminare la norma per il 2005. Dunque, il problema di copertura finanziaria non esiste. Siete voi con la vostra legge che avete cancellato il 2004. Questo è un cane che si morde la coda!
Inoltre, smettiamo di nasconderci dietro i pareri della Commissione bilancio quando questi sono sbagliati. Usiamo il buon senso, come abbiamo sempre fatto in quest'aula! Ormai, il buon senso non c'è più: basta vedere il Governo, che sta facendo la bella statuina e quando gli si chiede se è giusto trasformare per decreto una sovrattassa comunale in un'entrata diretta dello Stato non risponde (Applausi dei deputati del gruppo dei Democratici di sinistra-L'Ulivo).
NICOLÒ CRISTALDI. Ma che modi sono!
AURELIO GIRONDA VERALDI. Che modi!
PRESIDENTE. Onorevole Panattoni, il Governo fa il suo dovere e interviene, se crede. Non si tratta, ora, di ridurre una funzione essenziale, come quella dell'esecutivo, ad una caricatura, che per dir la verità non è degna della sua eloquenza.
Passiamo ai voti.
Indìco la votazione nominale, mediante procedimento elettronico, sull'emendamento Rosato 7-quater.7, non accettato dalla Commissione né dal Governo e sul quale la V Commissione (Bilancio) ha espresso parere contrario.
(Segue la votazione).
Dichiaro chiusa la votazione.
Comunico il risultato della votazione: la Camera respinge (Vedi votazioni).
(Presenti 389
Votanti 388
Astenuti 1
Maggioranza 195
Hanno votato sì 177
Hanno votato no 211).
Passiamo alla votazione dell'emendamento Duca 7-quater.4.
Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto l'onorevole Duca. Ne ha facoltà.
EUGENIO DUCA. Vorrei ricordare al collega Zacchera, senza alcun elemento polemico, che prima di intervenire nel dibattito sarebbe bene leggesse ciò su cui interviene, perché così si renderebbe conto - se avesse soltanto la modestia di leggere quello che il decreto prevede - di aver preso una grande cantonata!
MARCO ZACCHERA. Meno male che non sei polemico!
EUGENIO DUCA. Per quanto riguarda invece i rilievi sulla copertura finanziaria, credo siano del tutto fuori luogo soprattutto nel caso dell'emendamento in esame. Esso propone infatti di eliminare la parola «comunale», affinché l'addizionale sia semplicemente addizionale, dal momento che non viene riscossa dai comuni, bensì dallo Stato e da questo trattenuta per l'86 per cento. Con l'emendamento si propone, quindi, di chiamare le cose per quello che sono, senza ingannare il Parlamento e i cittadini. Sul biglietto aereo c'è scritto «addizionale comunale» quando invece è una tassa statale. Sapete cosa ciò vuol dire, ad esempio, per gli aeroporti della Lombardia (Bergamo, Brescia, Milano Linate, Milano Malpensa), che hanno circa 30 milioni di passeggeri? Vuol dire che
quei comuni, dove insistono gli aeroporti, anziché incassare 30 milioni di euro di addizionale comunale, ne incasseranno solo 6, perché 24, collega Zacchera, andranno allo Stato (e non al ministero, per essere suddivisi tra i comuni!), per effettuare interventi di competenza statale, ad eccezione di un 30 per cento imputato al bilancio dello Stato in generale.
Quindi, con questo emendamento proponiamo soltanto di dare alla tassa il suo vero nome, anziché contrabbandarla come una tassa imposta dai sindaci dei comuni ove hanno sede gli aeroporti. E per questo emendamento, caro collega relatore, non c'è alcun problema di copertura. Occorre essere onesti e dire ai cittadini che per una tassa messa da Berlusconi, Tremonti, Pisanu, Fini e soci non si possono incolpare i sindaci dei comuni. Questa è la verità (Applausi dei deputati dei gruppi dei Democratici di sinistra-L'Ulivo e della Margherita, DL-L'Ulivo - Applausi polemici dei deputati dei gruppi di Forza Italia e di Alleanza nazionale)!
PRESIDENTE. Onorevoli colleghi, frenate l'entusiasmo, la critica e l'adesione, che comunque fanno sempre bene, perché sono emotivi e passionali!
Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto l'onorevole Rosato (che vedo invece calmo e solenne). Ne ha facoltà.
ETTORE ROSATO. Assolutamente, Presidente, perché credo che non riuscirò a riscaldare il Parlamento con il mio intervento! Vorrei chiedere ai colleghi della destra - perché se io sono della sinistra, lei, collega relatore, è della destra - se anche questo emendamento richiede una copertura finanziaria. Esso è volto ad informare i cittadini sul senso di questa norma. Ormai ci siamo abituati - io con fatica, essendo arrivato da poco - al fatto che generalmente il titolo di un decreto-legge non indica nulla rispetto al suo contenuto effettivo; tuttavia, questo resta nell'ambito della nostra attività parlamentare (anche se una maggiore chiarezza farebbe comodo a chi deve votare e discutere questi documenti ed anche a chi poi deve confrontarsi con le leggi approvate dal Parlamento italiano).
Dire agli utenti italiani e non che prendono l'aereo che stanno pagando una tassa comunale, quando invece tutte le risorse hanno un'altra destinazione, mi sembra una politica assolutamente scorretta.
Se poi non si tratta solo di una fase transitoria (così come previsto nella legge finanziaria) e la tassa diventa definitiva, credo sia doveroso, e non opportuno, approvare l'emendamento in esame per sopprimere il termine «comunale». Mi aspetto, quindi, che sull'emendamento in esame (che non richiede alcuna copertura finanziaria) il relatore cambi il parere precedentemente espresso, perché con tale proposta emendativa si intende chiarire la disposizione in questione.
PRESIDENTE. Passiamo ai voti.
Indìco la votazione nominale, mediante procedimento elettronico, sull'emendamento Duca 7-quater.4, non accettato dalla Commissione né dal Governo.
(Segue la votazione).
Dichiaro chiusa la votazione.
Comunico il risultato della votazione: la Camera respinge (Vedi votazioni).
(Presenti e Votanti 393
Maggioranza 197
Hanno votato sì 179
Hanno votato no 214).
NUCCIO CARRARA, Relatore. Chiedo di parlare.
PRESIDENTE. Ne ha facoltà.
NUCCIO CARRARA, Relatore. Signor Presidente, vorrei solo segnalare che il mio dispositivo di voto non ha funzionato in occasione delle ultime tre votazioni, nelle quali, peraltro, avrei espresso voto contrario.
PRESIDENTE. Onorevole Carrara, ne prendo atto. Pregherei i tecnici di provvedere al riguardo in modo adeguato, tempestivo e funzionale.
Passiamo alla votazione dell'emendamento Duca 7-quater.2.
Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto l'onorevole Duca. Ne ha facoltà.
EUGENIO DUCA. Signor Presidente, con questo emendamento proponiamo che l'addizionale comunale, a partire dal 1o gennaio 2005 (si mantiene intatta l'attuale copertura finanziaria per il 2004, come previsto dalla legge finanziaria), sia attribuita, per l'80 per cento, ai comuni, sede del sedime aeroportuale o ad esso confinanti, e, per il 20 per cento, allo Stato. In particolare, non si avvertono problemi di copertura, dal momento che la legge finanziaria prevedeva entrate solo per l'anno 2004 (e ciò viene mantenuto).
Poiché avete voluto conservare, con riferimento a questa nuova tassa, il nome di addizionale «comunale», vi chiediamo almeno di far sì che l'80 per cento della medesima sia attribuita effettivamente ai comuni, dato che si tratta di un'addizionale comunale. Ogni tanto, qualcuno usa i termini di «Roma ladrona» e quant'altro; in questo caso, non solo volete mantenere l'addizionale comunale, ma volete fare in modo, anche se si tratta di una tassa comunale, che le risorse siano destinate al centro.
Ogni giorno ci si dice che occorre ridurre le tasse, ma poi nei fatti assistiamo all'esatto contrario. È stata introdotta una nuova tassa da 100 milioni di euro solo per il 2004 dal Governo di centrodestra che, oggi, viene resa permanente per tutti gli anni a venire; pertanto, dall'anno prossimo, se qualche collega vorrà proporre emendamenti al riguardo, vi sarà bisogno di reperire un'altra copertura finanziaria.
Con questo emendamento, lo ripeto, si prevede di attribuire l'80 per cento della tassa in questione ai comuni ed il 20 per cento allo Stato per interventi di sua competenza.
Visto, cari colleghi, che avete voluto mantenere il nome di addizionale comunale, siate almeno coerenti, prevedendo che il gettito sia attribuito almeno per larga parte ai comuni che devono riscuotere un'addizionale comunale. Abbiate la coerenza di prevederlo! Sono somme che potrebbero servire loro per migliorare le condizioni di vita di tutti i cittadini e non solo di quelli che si servono del trasporto aereo. È inoltre una sorta di ricompensa per i disagi che debbono subire nell'ospitare strutture così importanti dal punto di vista del trasporto.
Mi piacerebbe sapere se oggi il Presidente del Senato abbia redarguito quel grande statista che, ieri a Milano, ha detto che i senatori vengono a Roma non per fare le leggi, ma per mettere le corna alle mogli...
Chiedo invece al rappresentante del Governo - lo dico senza alcuna mancanza di rispetto, signor Presidente - di spiegare perché volete che un'addizionale comunale sia trattenuta dallo Stato per l'86 per cento, non volendo accogliere, dall'anno prossimo - quindi senza intaccare le esigenze di bilancio né dello Stato né del ministro dell'interno -, la modifica in base alla quale l'addizionale comunale verrebbe attribuita per l'80 per cento ai comuni (Applausi dei deputati del gruppo dei Democratici di sinistra-L'Ulivo).
PRESIDENTE. Onorevole Duca, non so cosa abbia fatto il Senato perché siamo nell'altro ramo del Parlamento!
Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto l'onorevole Rosato. Ne ha facoltà.
ETTORE ROSATO. Signor Presidente, comunque la curiosità su questo tema appare legittima!
Intervengo innanzitutto per sottoscrivere questo emendamento, redatto in modo molto equilibrato e volto a non modificare la situazione per il 2004 - dunque a non toccare il fondo di 30 milioni di euro che il Ministero dell'interno comunque si riserva per le questioni relative alla sicurezza - e a distribuire in maniera più equa l'eccedente.
Intendo qui ricordare le motivazioni addotte dai comuni durante l'iter di questo provvedimento, in particolare nelle audizioni presso le Commissioni bilancio di Camera e Senato del 18 ottobre 2003: l'introduzione dell'addizionale comunale
era stata motivata dagli enti locali proprio con la necessità di reperire le risorse necessarie a finanziare l'esercizio delle funzioni istituzionali in maniera adeguata e compatibile con lo sviluppo economico e sociale del proprio territorio.
Nel corso dell'audizione ho avuto modo di precisare che le strutture aeroportuali, proprio per il regime giuridico che le caratterizza, non trasferiscono di fatto alcuna risorsa agli enti locali sul territorio dei quali insistono; anzi, qualche volta accade proprio il contrario, posto che sono i comuni, le province e le regioni che devono intervenire per potenziare le strutture al servizio della collettività.
Credo dunque che l'emendamento sia stato presentato tenendo conto di quella che può essere la valutazione anche del Governo, della maggioranza, della Commissione bilancio, posto che nessuno può eccepire in ordine all'inopportunità o alla incapacità del testo di rispondere ai criteri di copertura finanziaria. Quindi, non accogliere tale emendamento evidenzierebbe - come ricordava prima il collega Lettieri - che siamo arrivati proprio «alla frutta»!
Allora, prevedere un'addizionale comunale che, di fatto, viene completamente stravolta dal testo in esame, ritengo non sia rispettoso dei livelli istituzionali.
PRESIDENTE. Passiamo ai voti.
Indìco la votazione nominale, mediante procedimento elettronico, sull'emendamento Duca 7-quater.2, non accettato dalla Commissione né dal Governo e sul quale la V Commissione (Bilancio) ha espresso parere contrario.
(Segue la votazione).
Dichiaro chiusa la votazione.
Comunico il risultato della votazione: la Camera respinge (Vedi votazioni).
(Presenti 381
Votanti 380
Astenuti 1
Maggioranza 191
Hanno votato sì 172
Hanno votato no 208).
Passiamo alla votazione dell'emendamento Duca 7-quater.3.
Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto l'onorevole Duca. Ne ha facoltà.
EUGENIO DUCA. Signor Presidente, con questo emendamento proponiamo un'ulteriore rimodulazione affinché, dall'anno 2005 in poi, il gettito derivante dall'addizionale comunale sui passeggeri degli aerei vada per il 70 per cento ai comuni ove hanno sede i sedimi aeroportuali e per il 30 per cento allo Stato, per gli interventi di sua pertinenza.
Mi rivolgo ai colleghi, ma soprattutto a coloro i quali vogliono ascoltare, perché molti di loro devono soltanto obbedire, anche quando viene detto che si tratta di un'addizionale comunale che invece viene riscossa in misura pari all'86 per cento dallo Stato.
Ho paragonato questa norma ad un «furto con destrezza, aggravato e continuato» (Commenti dei deputati del gruppo di Alleanza nazionale). Infatti, il «furto con destrezza» è stato perpetrato nel 2004 ed ora lo si perpetua: è noto come l'addizionale, che si proroga per gli anni a venire, non sia comunale, bensì destinata, per l'86 per cento allo Stato. Addirittura, si tratta di un «furto aggravato e continuato» imputato ad altre persone, anziché a chi lo commette. Mi riferisco ai sindaci dei comuni: i passeggeri, infatti, troveranno scritto sul biglietto che si tratta di un'addizionale comunale e quindi, quando prenderanno l'aereo a Milano Linate, ne daranno la colpa al sindaco di quel comune. Parimenti, succederà a Treviso, a Verona, e così via. Voi, che avete compiuto questo «furto aggravato e continuato», attribuite il «reato» ad altri. Non si tratta certo di un novità per voi, perché siete gli stessi che vi vantate di ridurre le tasse, mentre invece le state aumentando.
Vi ricordo, cari colleghi che il trattamento di fine rapporto dei lavoratori dipendenti, pubblici o privati, ha subìto un aumento di tassazione pari a cinque punti percentuali, dal 18 al 23 per cento. Si tratta di milioni di lire tolti dalle tasche dei lavoratori al momento della loro pensione.
E siete coloro che affermate di ridurre le tasse!
Dal 2002 non avete più restituito il drenaggio fiscale, ovvero la differenza in eccesso che si paga per effetto dell'inflazione; voi la calcolate bassa, ma su ciò che affermate si calcolano gli aumenti e così, mentre il costo della vita è altissimo, i salari e le pensioni non riescono a farvi fronte. Non avete restituito il fiscal drag per il terzo anno consecutivo: sono centinaia di euro tolte dalle tasche dei lavoratori, dei pensionati e dei ceti medi. Ma dite che state riducendo le tasse!
La scorsa settimana i quotidiani hanno pubblicato le tariffe turistiche per la prossima stagione estiva e noi sappiamo quanto il turismo incida sull'economia italiana. Ebbene, tutte le tariffe hanno subìto forti aumenti. Ovviamente, il Governo ne attribuirà la colpa agli operatori del settore, a quelli che lavorano sulle spiagge, come i bagnini, tacendo invece l'aumento del 300 per cento sui canoni demaniali. Se nel 2003 si pagavano mille euro, nel 2004 per la stessa area se ne pagano 4 mila! Anche tale aumento in qualche modo si scaricherà sulle tasche dei cittadini. Voi però continuate ad affermare che state riducendo le tasse!
Vogliamo poi parlare dell'IVA sull'accisa della benzina, il cui prezzo è aumentato del 20 per cento in poco più in di un anno? Invece di provvedere in tal senso, avete eliminato persino l'unica misura che consentiva di intervenire nei momenti di eccessiva turbolenza dei prezzi.
Ricordo che fino al 2001 ha operato una riduzione di 50 lire dell'IVA sulle accise sul prezzo della benzina. Ora avete tolto tale agevolazione ed avete aumentato il prelievo fiscale anche sugli aumenti della benzina che ricadono sugli automobilisti, sugli autotrasportatori, sul consumo delle merci e, dunque, sulle tasche dei cittadini, che trovano i prezzi più alti. Anziché diminuire le tasse, state portando il paese alla fame e alla rovina (Applausi dei deputati del gruppo dei Democratici di sinistra-L'Ulivo - Commenti dei deputati dei gruppi di Forza Italia e di Alleanza nazionale)!
PRESIDENTE. Onorevoli colleghi, i cattivi presagi non si esorcizzano con le urla!
Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto l'onorevole Frigato. Ne ha facoltà.
GABRIELE FRIGATO. Signor Presidente, ho chiesto di parlare solo adesso perché attendevo qualche segnale di vita da parte dei colleghi del gruppo della Lega Nord, i quali mi sembra siano sempre molto agitati quando si parla di federalismo e di devolution, mentre quando si tratta di dare concretamente segnali di nuove possibilità alle amministrazioni comunali, alle province e alle regioni mi sembra che sostanzialmente dormano. Rispetto il sonno dei nostri colleghi, ma vorrei sperare che qualcuno fosse non soltanto presente fisicamente, ma sveglio e attivo in quest'aula.
L'imposta comunale addizionale sui diritti di imbarco costituisce obiettivamente un imbroglio. Si tratta di un imbroglio di parole, in quanto l'86 per cento di tale imposta rimane nella Roma che voi definite come sappiamo e, dunque, nelle casse centrali, mentre solo il 14 per cento viene destinato ai comuni. Non si tratta dunque soltanto di un imbroglio di parole ma, purtroppo, di un imbroglio concreto e reale. Poco fa, avete respinto un emendamento che proponeva di cambiare almeno il nome dell'imposta, in modo da chiarire agli utenti del trasporto aereo che si tratta di una tassa governativa e non comunale. Ulteriori emendamenti da noi presentati mirano a rovesciare il rapporto, attribuendo ai comuni l'80 per cento e lasciando pure nelle casse dello Stato il 20 per cento, ma neppure tale proposta è stata accolta.
Onorevoli colleghi, non credo - lo dico con molta serenità - che possiate, con questi sotterfugi, dire al paese che le tasse non sono aumentate, perché gli italiani si guardano in tasca e le nostre famiglie, purtroppo, constatano una situazione di maggiore povertà. Infatti, le tasse non sono pesanti se sono centrali e leggere se sono comunali, ma costituiscono comunque un
prelievo a carico delle aziende, delle imprese, delle famiglie e dei nostri concittadini.
Dobbiamo purtroppo constatare che, anche in questo caso, dite una menzogna e non dite la verità ai cittadini italiani, parlando di un'imposta addizionale sui diritti di imbarco di cui i comuni interessati, che subiscono gli oneri e i disagi che conosciamo, ricevono soltanto qualche briciola.
Gli emendamenti da noi presentati non intaccano complessivamente il rapporto tra le entrate e le uscite dello Stato, ma chiedono maggiore chiarezza e onestà culturale nell'introduzione di un nuovo onere fiscale, che deve essere correttamente definito: non si tratta infatti di un'addizionale comunale, ma di un nuovo balzello e di un appesantimento della pressione fiscale.
Altro che riduzione delle tasse! Altro che diminuzione del carico fiscale! Il Presidente Berlusconi lo dice, ma la realtà delle cose, anche oggi, in quest'aula, mi pare dichiaratamente e concretamente ben diversa (Applausi dei deputati dei gruppi della Margherita, DL-L'Ulivo e dei Democratici di sinistra-L'Ulivo).
PRESIDENTE. Passiamo ai voti.
Indìco la votazione nominale, mediante procedimento elettronico, sull'emendamento Duca 7-quater.3, non accettato dalla Commissione né dal Governo e sul quale la V Commissione (Bilancio) ha espresso parere contrario.
(Segue la votazione).
Dichiaro chiusa la votazione.
Comunico il risultato della votazione: la Camera respinge (Vedi votazioni).
(Presenti e Votanti 383
Maggioranza 192
Hanno votato sì 164
Hanno votato no 219).
Passiamo alla votazione dell'emendamento Duca 7-quater.5.
Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto l'onorevole Duca. Ne ha facoltà.
EUGENIO DUCA. Signor Presidente, con questo emendamento proponiamo un'ulteriore misura a sostegno del Governo, stabilendo cioè di mantenere la stessa situazione di quest'anno anche per il 2005. Quindi, l'addizionale comunale del 2004, che per l'86 per cento va allo Stato... (Una voce dai banchi dei deputati della Lega Nord Federazione Padana: «Lo hai già detto!»)... Ma ancora non hai capito, perché mi pare che hai la testa un po' dura!
Proponiamo, dicevo, che tale addizionale, anche nel 2005, possa essere riscossa per l'86 per cento dallo Stato e per il 14 per cento dai comuni, in modo da lasciar tempo al Governo e al Parlamento, da qui all'anno successivo, di intervenire con una norma un po' più rispettosa. In altre parole, si tratterebbe di una una tantum per due anni: anziché soltanto per il 2004, anche per il 2005.
Quindi, non ci sono problemi di copertura finanziaria, anzi, c'è un'entrata in più per il 2005 di 86 milioni di euro per lo Stato e di soli 14 milioni di euro per i comuni (per una addizionale che si chiama «comunale»). Quindi, come vedete, colleghi, offriamo il massima ausilio alle esigenze che il Governo ci propone, sempre che non vogliate rendere permanente questa tassa, che imponete a ogni cittadino che prenderà l'aereo da tutti i 36 aeroporti nazionali! A meno che, in sostanza, anche in questo caso, non facciate l'esatto contrario di quello che dite!
Stamattina il collega Raffaldini ricordava all'Assemblea un altro esempio di tassa particolarmente osteggiata dal Governo e dal ministro dell'economia: l'IRAP, l'odiosa IRAP, l'antistorica IRAP, di cui, almeno a parole, se ne propone l'abolizione. Di fatto, nella legge finanziaria per il 2003 avete inserito un articoletto con cui avete esteso l'IRAP anche ai contributi che lo Stato eroga, in base alla legge n. 151 del 1981, alle aziende di trasporto pubblico, private e pubbliche, che ha comportato per quelle imprese, dal 2003 in avanti, un onere di 23 milioni di euro, che significa grosso modo un'influenza sul costo del biglietto di circa 3 centesimi di euro.
Non solo. Avete anche conferito un carattere retroattivo a quella norma, risalendo al periodo 1999-2002 e portando via dai bilanci delle imprese - e quindi delle regioni - di trasporto pubblico locale, private e pubbliche, che agiscono sui servizi in concessione, qualcosa come altri 210 milioni di euro, pari ad una incidenza di oltre 13 centesimi su ogni biglietto, per un totale di 16 centesimi: tanto è il costo che paga in più il singolo cittadino che sale su quegli autobus o che per quegli autobus fa l'abbonamento. Il che si traduce in un ulteriore aumento di costi per le famiglie, per i lavoratori, per gli studenti, per i pensionati, per coloro che si servono dei mezzi pubblici di trasporto, siano essi gestiti da imprese pubbliche o private.
Quindi, ancora una volta affermate di voler eliminare l'IRAP, ma intanto l'avete imposta a tutte queste imprese, provocando l'aumento dei biglietti degli autobus e degli abbonamenti nella stragrande maggioranza delle città italiane. E anche in questo caso che cosa dite? Che non è colpa vostra, che sono i comuni e le aziende che impongono la tassa! No, siete voi ad imporla e poi andate a dire che i responsabili sono loro!
È ora che impariate una volta, una sola volta, a dire la verità e a comportarvi di conseguenza, smettendola di mentire ai cittadini italiani (Applausi dei deputati del gruppo dei Democratici di sinistra-L'Ulivo)!
PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto l'onorevole Rosato. Ne ha facoltà (Commenti dei deputati dei gruppi di Forza Italia e di Alleanza nazionale).
Colleghi, consentite all'onorevole Rosato di esprimersi!
EUGENIO DUCA. Cosa ragliate? Zitti (Proteste dei deputati dei gruppi di Forza Italia e di Alleanza nazionale)!
ETTORE ROSATO. Signor Presidente, spero di riuscire ad entusiasmare anche i colleghi della maggioranza focalizzando il mio intervento non solo sugli aeroporti, ma anche sulla società di gestione della casa da gioco di Campione d'Italia.
Con l'emendamento in esame tentiamo di riportare ad una modalità transitoria l'addizionale comunale sull'imbarco, definendola per gli anni 2004 e 2005, invece di renderla stabile e fissa, come è stato proposto dal Governo e dalla maggioranza.
Vorrei riproporre alla vostra valutazione il riparto degli introiti derivanti dalla presenza sul territorio comunale della casa da gioco di Campione d'Italia, di cui si è poc'anzi parlato in numerosi interventi che hanno evidenziato gli svantaggi che un tale insediamento provoca sul territorio, rilevando come, giustamente, le province e i comuni ivi insediati avessero diritto ad un riparto...
PRESIDENTE. È un analogia piuttosto «aerea», per così dire!
ETTORE ROSATO. Infatti, è una analogia piuttosto vaga. A questo volevo arrivare, Presidente.
Infatti, se nel riparto dei proventi della casa da gioco si assegna il 16 per cento alla provincia di Lecco, il 20 per cento alla provincia di Varese, il 40 per cento alla provincia di Como e solo il 24 per cento al Ministero degli interni per il finanziamento del fondo nazionale speciale sugli investimenti, non si riesce a capire perché i comuni limitrofi ad un aeroporto - il quale ha sicuramente un impatto sul territorio e comporta un disagio per i cittadini - debbano introitare solo il 14 per cento delle entrate derivanti dai proventi in questione.
Credo che occorra seguire un criterio oggettivo nel momento in cui vengono assunte tali decisioni, un criterio che non penalizzi una parte del territorio nazionale rispetto alle altre. E non lo dico con atteggiamento ostile nei confronti del riparto presentato per Campione d'Italia, che credo si basi su uno dei criteri possibili; lo dico con profonda determinazione, in quanto ritengo che sia profondamente sbagliato introdurre una norma, che si vuole rendere addirittura stabile,
che penalizza profondamente il nostro territorio.
Quando i sindaci hanno chiesto al Parlamento, in sede di audizione presso le competenti Commissioni parlamentari, l'istituzione di questa addizionale, essi erano consapevoli di cosa volesse dire istituire un'addizionale comunale e del risvolto anche politico della relativa richiesta. Questo i sindaci lo sanno, quando pensano alla TARS, all'ICI o a qualsiasi altra tariffa di fruizione del servizio pubblico a valenza comunale.
È stato mantenuto il titolo, quello di addizionale comunale, e sono stati introitati direttamente nel bilancio dello Stato i benefici che invece andavano distribuiti ai comuni.
Ritengo che l'emendamento in esame non necessiti di copertura finanziaria; il relatore - di cui ho il massimo rispetto - è intervenuto solo per dire che esso è privo di copertura finanziaria, senza entrare nel merito di scelte che avrebbero dovuto garantire un minimo di dibattito e di riflessione da parte dei colleghi. L'emendamento in esame, che dichiaro di voler sottoscrivere, non richiede - ripeto - copertura finanziaria e tende a non dare stabilità ad una tassa che, così come impostata nel decreto-legge in esame, diventa davvero iniqua.
Credo che l'approvazione dell'emendamento Duca 7-quater.5 sia un atto dovuto.
PRESIDENTE. Passiamo ai voti.
Indìco la votazione nominale, mediante procedimento elettronico, sull'emendamento Duca 7-quater.5, non accettato dalla Commissione né dal Governo.
(Segue la votazione).
Dichiaro chiusa la votazione.
Comunico il risultato della votazione: la Camera respinge (Vedi votazioni).
(Presenti e Votanti 380
Maggioranza 191
Hanno votato sì 160
Hanno votato no 220).
Passiamo alla votazione dell'emendamento Duca 7-quater.6.
Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto l'onorevole Tidei. Ne ha facoltà.
PIETRO TIDEI. Signor Presidente, con questo emendamento proponiamo di dare pratica attuazione ad un impegno che il Governo ha assunto in più occasioni ma che, purtroppo, non ha mai mantenuto.
Mi permetto di ricordare all'Assemblea che, nel corso di molte discussioni svoltesi in Commissione (ed anche in altre sedi), il rappresentante del Ministero delle infrastrutture e dei trasporti, di fronte alle nostre osservazioni, ripetute abbondantemente oggi, ha assunto l'impegno a rivedere il riparto in corso d'opera, durante l'esercizio finanziario 2004. Fino ad oggi, però, non solo tale promessa non è stata mantenuta, ma, con la soppressione delle parole «per il 2004», si rende praticamente definitiva l'addizionale.
Inoltre, con serenità e con calma, desidero ricordare al rappresentante del Governo che da anni - ormai da molti anni - i comuni stanno chiedendo un intervento a sostegno degli oneri aggiuntivi che quotidianamente sopportano per la vigilanza, per la viabilità, e così via. Fu anche costituita - questo è un elemento di novità che introduco nel dibattito per tentare di convincere qualche collega della maggioranza - l'ANCAI, l'Associazione nazionale dei comuni sedi di aeroporti italiani. Ebbene, all'interno di tale associazione siedono molti sindaci di Forza Italia ed addirittura della Lega. Io stesso, in qualità di vicepresidente della lega delle autonomie e di primo firmatario di una proposta di legge in materia, ricevetti una delegazione di rappresentanti della Lega e della Casa delle libertà i quali chiedevano - a noi del gruppo dei Democratici di sinistra-L'Ulivo, a noi dell'opposizione - di sostenere un'iniziativa legislativa che andava a loro vantaggio.
Oggi siamo in una situazione kafkiana: noi ci troviamo a sostenere una posizione propostaci dai sindaci della Lega, mentre i rappresentanti della stessa Lega e della Casa delle libertà votano contro! A me
pare, francamente, un'assurdità! Scriveremo a questi sindaci ed allegheremo alla lettera il resoconto stenografico della seduta: dimostreremo loro che noi gli impegni li manteniamo e che, probabilmente, sono i rappresentanti in Parlamento della Lega e della Casa delle libertà che non li mantengono!
Cosa proponiamo, in sintesi, con questo emendamento? Quando il Governo ci disse che avrebbe rivisto le percentuali di riparto, noi proponemmo di invertire i termini: il 20 per cento al Governo centrale e l'80 per cento ai comuni. Perché ai comuni? Ormai, tutti siamo convinti che i comuni non possono sopportare ulteriormente il peso della presenza di un aeroporto che, molto spesso, nulla ha a che vedere con essi (mi riferisco al comune di Fiumicino, ma soprattutto a tanti piccoli comuni, come Malpensa).
Vorremmo che vi faceste carico delle promesse che avete fatto e che non avete mantenuto, anche con riferimento ad un altro aspetto già toccato dal collega Duca: non è giusto imporre un'addizionale comunale per ricavarne un introito che, alla fine, va allo Stato!
Inoltre, vorrei che correggeste - e mi rivolgo al rappresentante del Governo - un'assurdità legislativa: se l'addizionale può essere equiparata ad una tassa di scopo (essa ha un senso nell'ottica di tutelare la sicurezza dei passeggeri negli aeroporti; infatti, la tassa è applicata sul biglietto aereo), non riesco a capire cosa c'entri la sicurezza nelle ferrovie.
Ad un passeggero che prende il volo Roma-Linate fate pagare la sicurezza nella stazione ferroviaria di Napoli! Ciò è previsto chiaramente nella norma! Vi prego, quindi, di eliminare tale disposizione, perché non ha assolutamente senso. Infatti, un passeggero che acquista un biglietto aereo può sicuramente sopportare un costo per la sua incolumità, ma ciò non ha nulla a che vedere con la sicurezza in una stazione ferroviaria!
Mi dispiace che tale aspetto non sia emerso nel dibattito e che, in tale sede, molti avvocati presenti non se ne siano accorti. Vi prego di correggere un errore, a nostro avviso marchiano, e di approvare un emendamento che fa giustizia di una richiesta giunta non dai comuni di sinistra, ma da quei piccoli comuni che quotidianamente - e non per colpa loro - sopportano oneri aggiuntivi, sottraendo servizi ai cittadini, privati di risorse ingenti (Applausi dei deputati del gruppo dei Democratici di sinistra-L'Ulivo).
PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto l'onorevole Rosato. Ne ha facoltà.
ETTORE ROSATO. Signor Presidente, intervengo per sottoscrivere l'emendamento in esame e per ribadire che non abbiamo intenzione di incidere negativamente sul bilancio o di determinare buchi per l'anno 2004 (fortunatamente, non compete a noi creare buchi!). Vogliamo convincere i colleghi che la nostra finalità è di adottare la decisione che su tale questione avevamo assunto, in maniera concorde, durante la discussione della legge finanziaria per il 2004.
Quando è stato deciso di fissare questa addizionale comunale (lo ha ricordato il collega testé intervenuto), rispondendo alle richieste, assolutamente trasversali o bipartisan (come si usa dire oggi), dei sindaci di comuni sedi di aeroporti, l'intenzione era di dare loro le risorse che ci chiedevano in maniera pressante, per far fronte alle esigenze del loro territorio.
In questa logica, credo sia un atto saggio e necessario riportare il dibattito, senza chiuderlo in questa sede e senza creare ripercussioni sull'ultima legge finanziaria, a ciò che succederà dopo il 2004.
In un dibattito nazionale sulle tasse, sulla rimodulazione delle aliquote fiscali, sulla necessità di ritrovare, all'interno di una fiscalità generale, una maggiore coesione con le scelte assunte dalle amministrazioni centrali e comunali, non possiamo utilizzare i comuni come soggetti esattori per le necessità di bilancio dello Stato. Rispetto a ciò, nel momento in cui si affrontano i problemi riguardanti i comuni del sedime aeroportuale che versano
in condizioni finanziarie tali da richiedere una maggiore attenzione da parte nostra, non riesco a capire quale possa essere l'interesse di questo Governo e di questa maggioranza ad impostare, fin da ora, le scelte riguardanti il disegno di legge finanziaria per il 2005.
Oggi, non vi è alcuna necessità ed urgenza (requisiti essenziali per l'adozione di un decreto-legge) di assumere la decisione che l'addizionale comunale sui biglietti aerei debba diventare fissa dal 2004. Cassare questa disposizione o rimodulare, in un'ottica di maggiore attenzione alle esigenze delle autonomie locali, ciò che i cittadini pagano nel momento in cui acquistano un biglietto, mi sembra necessario per costruire un rapporto più serio, sereno e rispettoso dei diversi ruoli con i comuni.
PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto, a titolo personale, l'onorevole Panattoni. Ne ha facoltà.
GIORGIO PANATTONI. Signor Presidente, se è vero che il decreto-legge in esame non verrà modificato, per un motivo che non c'entra nulla con questo errore di trattamento - chiamiamolo così - dell'imposta comunale straordinaria per il 2004, applicata nel modo che abbiamo descritto, voglio chiedere al Governo e alla maggioranza, in particolare al relatore: non vi siete convinti che sarebbe opportuno - visto, tra l'altro, che in Commissione trasporti tale modifica è stata votata all'unanimità - apportare anche questa correzione, che rimetterebbe le cose a posto? Essa risponderebbe alle richieste dei sindaci e degli enti locali, nonché alle esigenze dei comuni con sedime aeroportuale, e andrebbe a favore dei cittadini che subiscono questo disagio. Non vi sembra che questa operazione migliorerebbe la qualità di una decisione sbagliata? Posso capire che, per motivi strumentali (cioè per non rimandare il decreto al Senato), si poteva pensare di blindare tale decisione, ma a questo punto ciò non avrebbe più molto senso. Credo che questa sarebbe un'operazione estremamente importante.
PRESIDENTE. Passiamo ai voti.
Indìco la votazione nominale, mediante procedimento elettronico, sull'emendamento Duca 7-quater. 6, non accettato dalla Commissione né dal Governo e sul quale la V Commissione (Bilancio) ha espresso parere contrario.
(Segue la votazione).
Dichiaro chiusa la votazione.
Comunico il risultato della votazione: la Camera respinge (Vedi votazioni).
(Presenti 370
Votanti 369
Astenuti 1
Maggioranza 185
Hanno votato sì 163
Hanno votato no 206).
Passiamo alla votazione dell'emendamento Rosato 7-quater.8.
Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto l'onorevole Raffaldini. Ne ha facoltà.
FRANCO RAFFALDINI. Signor Presidente, mi soffermo solo su un quesito. Crediamo in una scelta federalista oppure no? Basta dirlo! Vorrei ricordare una cosa ai colleghi della Lega Nord Federazione Padana, che normalmente dicono di non voler fare chiacchiere, ma di voler vedere i fatti.
Il vostro voto, il voto di chi volesse bocciare questo emendamento, porterebbe via i soldi dei sindaci e dei cittadini delle vostre parti. I soldi dei sindaci del varesotto, del bergamasco, del bresciano - a partire da Montichiari, che è un vostro sindaco - , del trevigiano. Da qui, da Roma, voi portate via legittimi soldi alle vostre comunità locali! Per voi, il federalismo è una chiacchiera!
Il Governo ne ha fatta un'altra, in queste ore. Il Consiglio dei ministri, all'unanimità (perché ci siete anche voi al Consiglio dei ministri), ha inserito di soppiatto, in un decreto-legge omnibus, che nel titolo parla genericamente di funzionamento
della pubblica amministrazione, un articolo che accentra a Roma, al massimo livello, quello del Presidente del Consiglio, il potere di nomina delle autorità portuali.
Per le autorità portuali ed i porti, che nella nostra Italia sono contigui con le città, e sono un tutt'uno con esse, la legge prevede che la nomina sia indicata dai sindaci, dai presidenti delle province, dalle camere di commercio, dalle regioni; invece, con quella norma, il potere in questione viene portato a Roma.
Non sarà perché Matteoli, che non è ministro dei trasporti, vuole comandare a Livorno? Oppure perché Baldassarri, che non è ministro dei trasporti, vuole comandare ad Ancona? O perché qualcun altro vuole comandare a Savona o a Trieste?
Questo è il punto: stiamo dando davvero un riconoscimento a chi ha potestà in tale materia, come le nostre autonomie locali, oppure diciamo una cosa di giorno, ma alla sera facciamo il contrario?
BENITO PAOLONE. Cosa dici?
FRANCO RAFFALDINI. Mi sembra questo il nodo essenziale: infatti, se non voterete a favore dell'emendamento in esame, voterete contro i vostri sindaci (Applausi dei deputati dei gruppi dei Democratici di sinistra-L'Ulivo e Misto-Comunisti italiani)!
PRESIDENTE. Passiamo ai voti.
Indìco la votazione nominale, mediante procedimento elettronico, sull'emendamento Rosato 7-quater.8, non accettato dalla Commissione né dal Governo e sul quale la V Commissione (Bilancio) ha espresso parere contrario.
(Segue la votazione).
Dichiaro chiusa la votazione.
Comunico il risultato della votazione: la Camera respinge (Vedi votazioni).
(Presenti 371
Votanti 369
Astenuti 2
Maggioranza 185
Hanno votato sì 156
Hanno votato no 213).
Passiamo alla votazione dell'emendamento Rosato 7-quater.9.
ANTONIO D'ALÌ, Sottosegretario di Stato per l'interno. Chiedo di parlare (Applausi dei deputati del gruppo dei Democratici di sinistra-L'Ulivo e della Margherita, DL-L'Ulivo).
PRESIDENTE. Ne ha facoltà.
ANTONIO D'ALÌ, Sottosegretario di Stato per l'interno. Signor Presidente, ritengo opportuno, al termine di una discussione così animata su questo tema, esporre la verità del Governo sul provvedimento in esame.
Vorrei ricordare, infatti, che l'istituzione dell'addizionale comunale sui diritti di imbarco dei passeggeri sulle aeromobili deriva proprio da un'attenzione specifica che il Governo ha prestato alle istanze avanzate dai sindaci appartenenti all'Associazione nazionale comuni aeroportuali italiani (ANCAI), che dopo tanti anni - come è stato sostenuto dagli stessi esponenti dell'attuale opposizione (ma che per molti anni sono stati al Governo) - sono stati finalmente ascoltati ed hanno ottenuto la possibilità di imporre una tassa che riteniamo assolutamente opportuna, al fine di alleviare numerosi disagi che incombono su tali comuni.
L'imposta in questione è stata introdotta nel corso dell'esame presso il Senato dell'ultimo disegno di legge finanziaria, in virtù di una proposta emendativa presentata da esponenti della maggioranza, a seguito di una precisa relazione svolta in sede governativa, ed è stata modulata sulle effettive necessità che tale tassa deve soddisfare, vale a dire, essenzialmente, servizi di sicurezza.
Non è vero che l'86 per cento dell'introito derivante dall'addizionale comunale sui diritti di imbarco dei passeggeri sulle aeromobili confluisce nelle casse dello Stato, poiché finisce alla fiscalità generale per una prededuzione di 30 milioni di
euro; il resto, invece, viene gestito in parte dal Ministero dell'interno, ma esclusivamente per una destinazione finalizzata a garantire servizi di sicurezza per quei sedimi aeroportuali, mentre l'altra parte rimane, nella libera discrezione del suo utilizzo, agli stessi comuni, senza vincolo di destinazione, al fine di alleviare un onere di carattere generale. Vorrei osservare, peraltro, che molto spesso non si tratta di un onere, perché sappiamo bene che, se alcuni comuni soffrono della presenza di aeroporti che servono città più grandi, altri ricevono invece anche dei benefici, in termini di indotto, dal notevole traffico generato proprio da tale presenza.
La proposta di mettere a regime una tassa prevista per l'anno 2004, approvata durante la discussione sul decreto-legge in esame svolta presso il Senato, è stata condivisa dal Governo proprio in virtù del fatto che si attende la rendicontazione del 2004 per verificare le effettive ricadute sul territorio di tale imposta - che saranno sicuramente positive -, introdotta dall'attuale esecutivo su proposta della sua maggioranza.
In secondo luogo, ritengo assolutamente opportuno agire in tal senso, onde evitare che vi possano essere soluzioni di continuità nell'esazione e nella utilizzazione di tale tassa, perché se è vero che oggi i comuni sopportano una spesa particolare per la presenza degli aeroporti, è anche vero che la sopporteranno anche per gli anni a venire: non penso, infatti, che tali aeroporti saranno chiusi o soppressi nel 2005, nel 2006, nel 2007 o nel 2008!
Quindi, ritengo che tutte le proposte - per quanto suggestive o più o meno calorosamente supportate in questa sede - riguardo alle modifiche di questa tassa siano quanto meno intempestive e che si possa, sulla scorta delle risultanze del 2004, dopo avere opportunamente messo a regime tale tassa, valutarne eventuali modifiche. Il Governo, così come ha valutato positivamente l'introduzione di detta tassa, su richiesta specifica dei comuni (e di molte regioni, chiamate a sopperire in alcuni casi del passato, alle deficienze o quanto meno ai disagi di tali comuni), ha dato la sua risposta in merito e, quindi, ritengo quanto meno ingenerose tutte le osservazioni svolte, pur se compiute nel lodevole intento di migliorare un provvedimento di legge.
Pertanto, nel rinnovare il parere contrario sull'emendamento Rosato 7-quater.9, che estenderebbe anche a comuni non sedi di aeroporto una tassa che nasce, appunto, per gli aeroporti, ribadisco la massima attenzione prestata dal Governo sulla materia e sottolineo come tale attenzione si sia concretizzata in un provvedimento che da moltissimi anni era stato sollecitato dai comuni, ai quali nessuno aveva mai dato adeguata risposta.
PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto l'onorevole Tidei. Ne ha facoltà.
PIETRO TIDEI. Mi dispiace dover contraddire l'onorevole sottosegretario, ma a me pare, francamente, che le cose non stiano assolutamente così. Infatti, come lei sa, signor sottosegretario, l'associazione ANCAI si è fatta promotrice della predisposizione di un progetto di legge, che fu inoltrato ai vari gruppi parlamentari. Il nostro gruppo lo ha sottoscritto. Questa proposta di legge dice esattamente il contrario di ciò che lei sostiene. Quindi, non è assolutamente vero che lei ha recepito le esigenze dell'ANCAI, ossia dei comuni. Infatti la stessa ANCAI ha sostenuto cose ben diverse, ossia che il cento per cento di tale addizionale doveva essere riservata ai comuni. Pertanto lei, signor sottosegretario, non ha recepito nulla.
Le dico di più. Ancora non mi ha risposto su cosa c'entrano le stazioni ferroviarie, visto che le tasse sono imposte ai fruitori di un aereo e non di un treno (fatto assolutamente assurdo). Ciò che noi affermiamo, senza polemica, è che abbiamo compiuto uno sforzo enorme nel consentire, nel 2004 - addirittura, il collega Duca diceva anche nel 2005 - la sopravvivenza di tale norma, per non creare problemi di bilancio: è possibile che dobbiate essere così resistenti a recepire una proposta piena di ragionevolezza?
Se i comuni subiscono oneri aggiuntivi e se, in effetti, si è riconosciuta tale circostanza, imponendo un'imposta, perché tale imposta non va a chi supporta effettivamente il costo dell'operazione? Non vedo per quale motivo il Governo, ossia lo Stato italiano, debba usurpare - perché si tratta di una vera usurpazione - l'80 per cento di una tassa che allo Stato stesso non spetta. Il collega Duca lo ha detto con chiarezza: altro che Roma ladrona! Voi imponete ad un passeggero un'addizionale su un biglietto aereo che serve per la sicurezza nell'aeroporto e, soprattutto, per far fronte a certi oneri: che senso ha che tali somme vadano allo Stato? Se c'è un problema di sicurezza, dovrebbe provvedere lo Stato. Non vedo per quale motivo debba provvedervi un comune che - lo ripeto - non ha nulla a che vedere con tale problema ma, semmai, sopporta esclusivamente il peso della presenza di un sedime aeroportuale.
Quindi, la prego, signor sottosegretario - senza alcuna polemica - di rivedere, in corso d'opera, la vostra posizione, perché è una posizione ingiusta, che non tutela gli interessi dei comuni, non tutela gli interessi della clientela (ossia di coloro che comprano un biglietto) ma, soprattutto, non c'entra nulla col federalismo fiscale. Contrariamente a ciò che la Lega vuole, si istituisce una tassa prettamente centralista, di uno Stato usurpatore, danneggiando le finanze comunali che, in questo momento, come tutti sanno, si trovano in una situazione assai difficile.
Quindi, vi prego di rivedere, per quanto possibile, la vostra posizione (Applausi dei deputati dei gruppi dei Democratici di sinistra-L'Ulivo, Misto-Comunisti italiani, della Margherita, DL-L'Ulivo).
PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto l'onorevole Rosato. Ne ha facoltà.
ETTORE ROSATO. Signor Presidente, intanto vorrei ringraziare il sottosegretario. Credo che il suo intervento sia stato molto utile - lo dico senza polemiche - e, se svolto all'inizio, avrebbe semplificato questo dibattito.
Chiedo al sottosegretario di prestarmi un po' di attenzione: egli ha chiarito che la questione nasce da un completo fraintendimento della norma. Tuttavia, purtroppo, il fraintendimento non è stato nostro. Infatti, l'articolo citato stabilisce che l'addizionale, pari a 1 euro per ogni passeggero imbarcato, è destinata per il 20 per cento ai comuni nel cui territorio ricade il sedime aeroportuale ovvero il cui territorio confina con esso, e per l'80 per cento al finanziamento di misure volte alla prevenzione e al contrasto della criminalità ed al potenziamento della sicurezza nelle strutture aeroportuali, nonché nelle principali stazioni ferroviarie, al fine di pervenire ad efficaci misure di tutela dell'incolumità delle persone e delle strutture.
Questo è un preciso obbligo in capo allo Stato, che peraltro è già adempiuto. Spero, infatti, che il Governo non ci venga a dire che, prima dell'imposizione di questa addizionale, non fosse garantita la sicurezza nelle principali stazioni ferroviarie o negli aeroporti.
In questo caso, di fatto, si istituisce, nell'ambito della fiscalità generale dello Stato, un fondo della capienza di circa 86 milioni di euro, che entra a far parte in maniera strutturale del bilancio dello Stato, che serve a finanziare la sicurezza e che nulla ha a che vedere con gli aeroporti e con il resto. Infatti, già oggi la sicurezza negli aeroporti è garantita. O il Governo ci viene a dire che ciò non accade? Non vi è alcun potenziamento in atto da quando è stata istituita questa addizionale. Infatti, le risorse aggiuntive destinate alla sicurezza prescindevano da ciò: poi, si poteva discutere se esse fossero sufficienti o meno rispetto alle esigenze.
Signor sottosegretario, credo che lei induca il Parlamento ad una errata valutazione rispetto a questo emendamento. Volutamente ho inserito in questo emendamento il riferimento ad un ampliamento rispetto alle strutture aeroportuali. Infatti, avendo a questo punto costituito un fondo che nulla ha a che vedere con gli aeroporti (perché esso riguarda anche le principali stazioni ferroviarie, che sono numerose come emerge dalla definizione che ne
danno le Ferrovie dello Stato), si è pensato di inserire il riferimento anche agli ambiti portuali.
Avrei preferito che con maggiore chiarezza (che alla fine viene sempre apprezzata, anche se non vi è poi condivisione sulla finalità e sugli obiettivi) si fosse affermato che questa addizionale serve perché all'interno della fiscalità generale dello Stato si deve trovare una modalità per finanziare la sicurezza. Questa chiarezza - che pure vi è stata in Commissione trasporti, in cui si è dibattuto a lungo su questo tema - non viene condivisa, ma viene apprezzata. Dire che questo provvedimento rappresenta un favore ai comuni è offensivo nei confronti di questi ultimi.
Il comune di Brescia riceve 37 mila euro, mentre il comune di Genova, per le esigenze della città, ne riceve 147 mila. Su un totale di 1 milione e 50 mila euro che deriverebbero dall'addizionale di cui stiamo discutendo, al comune di Genova spetterebbero quindi 147 mila euro.
Mi sembra che gli svantaggi ed i problemi correlati con il funzionamento di un aeroporto come quello di Genova meritino qualcosa di più di 147 mila euro. E la sicurezza dell'aeroporto di Genova è già garantita oggi, a prescindere dai fondi e da questa addizionale.
Quindi, credo che l'intervento del sottosegretario - se pur apprezzato dal punto di vista dell'attenzione da parte di chi ha proposto questi emendamenti senza vena polemica, ma come contributo, al fine di approvare un testo che affronti le reali esigenze del paese - si sia sviluppato secondo un indirizzo sbagliato. Approvando questa norma, non si fa un favore ai comuni, ma si reca loro un grave danno, definendo un'addizionale come comunale, mentre poi gli introiti confluiscono interamente o per la maggior parte nelle casse dello Stato, così come è stato messo in luce nei nostri interventi (Applausi dei deputati del gruppo della Margherita, DL-L'Ulivo).
PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto, a titolo personale, l'onorevole Duca. Ne ha facoltà.
EUGENIO DUCA. Signor Presidente, onorevoli colleghi, vorrei rivolgermi brevemente al rappresentante del Governo, dicendogli che se avesse dato ascolto e avesse svolto il suo intervento prima, avrebbe probabilmente consentito di instaurare un dialogo, forse correggendo in modo migliorativo questa previsione di legge se, come sostiene, intendeva andare incontro alle richieste avanzate dall'Associazione nazionale dei comuni sedi di aeroporti. Infatti, la richiesta dell'Associazione era esattamente quella illustrata dal collega Tidei, allorquando nel 2001 l'Associazione nazionale dei comuni sedi di aeroporti inviava a tutti i rappresentanti dei gruppi una proposta di legge - ripeto nel 2001 -, che diversi colleghi hanno anche sottoscritto. In quella sede, si chiedeva l'istituzione di una addizionale comunale, il cui ricavato andava interamente ai comuni.
Voi nel 2003, ovvero con l'approvazione della legge finanziaria per il 2004, avete previsto questa tassa una tantum che, per l'86 per cento - lo ricordo, signor rappresentante del Governo - è destinata al centro! I 30 milioni di euro, che rappresentano il 30 per cento dei 100 milioni previsti, va alla fiscalità generale; il restante 80 per cento, quindi l'80 per cento di 70, sono i 56 milioni di euro che vanno sommati ai 30 milioni, determinando l'ammontare di 86 milioni di euro. L'86 per cento di quella tassa va dunque allo Stato centrale e soltanto il 14 per cento ai comuni!
Lei ha detto che le nostre proposte sono state intempestive. Vorrei allora capire: siamo di fronte ad un decreto-legge giunto all'esame delle Commissioni nella scorsa settimana, precisamente nella giornata di mercoledì, ed abbiamo espresso un parere nel quale abbiamo chiesto alla Commissione di merito e al Governo di modificare questa norma. Per la verità, non lo ha fatto soltanto l'opposizione, ma anche le forze della maggioranza, con un parere favorevole del rappresentante del Governo, chiedendo di «ritornare» all'origine di questa tassa: in tal senso, il termine per la presentazione degli emendamenti
scadeva lunedì alle ore 14, perché il provvedimento era ieri all'esame dell'Assemblea; abbiamo quindi presentato alcuni emendamenti non ostruzionistici e tutti vertenti sul merito delle questioni.
Vorrei capire allora cosa si intenda per «intempestivo»: quando avremmo dovuto presentare gli emendamenti? Forse quando questi erano ancora ipotizzati a livello mentale e prima che il Governo adottasse il decreto-legge? Cosa si intende allora per proposte intempestive?
PRESIDENTE. Onorevole Duca, si avvii a concludere.
EUGENIO DUCA. Concludo, signor Presidente. Ritengo molto esaustiva la sua risposta, dal momento che lei ha detto che si parla di una nuova tassa: avete istituito una nuova tassa a carattere permanente. Almeno gli italiani sanno che, mentre dite che volete ridurle, create nuove tasse!
PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto, a titolo personale, l'onorevole Frigato.
Ne ha facoltà.
GABRIELE FRIGATO. Signor Presidente, onorevoli colleghi, vorrei brevemente ribadire come questa addizionale sia un'imposta comunale, che avrebbe invece bisogno di un'altra denominazione. Tuttavia, la cosa che ho notato con maggiore stupore dalle parole del sottosegretario è l'affermazione in base alla quale il Governo ha prestato attenzione alle istanze delle amministrazioni locali.
Passi questa affermazione: tuttavia, nel momento in cui, il rappresentante del Governo giustifica la gestione dell'86 per cento di questa imposta comunale in capo allo Stato e al Governo, mi sembra che in sostanza si dia un giudizio del tutto negativo rispetto la capacità e alla bontà che il territorio riesce ad esprimere in relazione ai problemi e alle soluzioni stesse.
Penso infatti che o la fiscalità generale è chiamata a coprire il bisogno di sicurezza generale, e quindi in capo allo Stato, oppure, nel momento in cui parliamo di imposta comunale sarebbe giusto che questa fosse realmente affidata alle amministrazione comunali!
PRESIDENTE. Passiamo ai voti.
Indìco la votazione nominale, mediante procedimento elettronico, sull'emendamento Rosato 7-quater.9, non accettato dalla Commissione né dal Governo, e sul quale la V Commissione (Bilancio) ha espresso parere contrario.
(Segue la votazione).
Dichiaro chiusa la votazione.
Comunico il risultato della votazione: la Camera respinge (Vedi votazioni).
(Presenti e Votanti 345
Maggioranza 173
Hanno votato sì 143
Hanno votato no 202).
Passiamo all'articolo aggiuntivo D'Agrò 7-quinquies.01.
LUIGI D'AGRÒ. Chiedo di parlare.
PRESIDENTE. Ne ha facoltà.
LUIGI D'AGRÒ. Signor Presidente, signor sottosegretario, non voglio creare alcun tipo di problema alla maggioranza perché conosco la necessità che il decreto-legge in esame venga convertito nei termini. Dunque, ritiro l'articolo aggiuntivo in esame.
Tuttavia, poiché vorrei dimostrare che la necessità di presentarlo era congrua, faccio riferimento ad un ordine del giorno del 15 maggio 2003, accolto dal Governo ed approvato dal Parlamento, nel cui dispositivo si impegnava il Governo ad adottare adeguati provvedimenti per definire con chiarezza ed omogeneità le modalità di calcolo del disavanzo finanziario escludendo dalle entrate finali quelle straordinarie una tantum. Visto che non posso trasfondere il contenuto della mia proposta emendativa in un ordine del giorno - sarebbe come dire che l'effetto del precedente ordine del giorno è stato assolutamente nullo - vorrei far rilevare l'incongruità
che, purtroppo, esiste in questa sede nell'approvare ordini del giorno che, poi, non trovano riferimento nelle norme che dovrebbero essere dal Governo tutelate (Applausi dei deputati del gruppo dell'Unione dei democratici cristiani e dei democratici di centro).
PRESIDENTE. Passiamo alla votazione degli identici articoli aggiuntivi Marone 7-quinquies.02 e Mascia 7-quinquies.06.
Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto l'onorevole Marone. Ne ha facoltà.
RICCARDO MARONE. Signor Presidente, l'articolo aggiuntivo in esame ha la finalità di escludere dal calcolo ai fini del patto di stabilità la copertura dei debiti fuori bilancio derivanti da sentenze passate in giudicato. Si tratta di debiti non prevedibili nell'an e nel quantum, perché nessuna amministrazione può prevedere se una sentenza condannerà o meno ed a quanto condannerà. Inoltre, vista la lentezza della nostra giustizia, in genere i debiti fuori bilancio derivanti da sentenze passate in giudicato gravano su un'amministrazione ma si sono sempre formati nella gestione di amministrazioni precedenti.
Dunque, molto spesso le amministrazioni che in quel momento stanno governando e che, magari, hanno combattuto grandi battaglie contro le vicende che hanno determinato quei debiti, si trovano a subire gli effetti di azioni di precedenti amministrazioni. Ripeto, ciò avviene sempre nelle amministrazioni: basta pensare a tutti gli effetti delle vicende giudiziarie conseguenti ai fatti di Tangentopoli, a tutti i contratti sospesi ed annullati, i cui contenziosi hanno gravato sulle amministrazioni che avevano combattuto quelle vicende.
Qual è il senso di includere nel patto di stabilità i debiti derivanti da sentenze passate in giudicato quando su quella vicenda l'amministrazione non può minimamente influire? In altri termini, riteniamo si debba fare in modo che l'amministrazione con i suoi comportamenti non sfori mai il patto.
Tuttavia, non si possono addebitare ad un'amministrazione vicende delle quali essa non ha alcuna responsabilità e sulle quali peraltro non può minimamente intervenire, dato che non c'è alcuna possibilità di sapere se quel debito ci sarà e in quale misura, dal momento che non si può sapere se ci sarà una sentenza in tal senso. Pertanto, quello in esame ci sembra un emendamento di giustizia nei confronti delle amministrazioni, teso a fare in modo che le amministrazioni siano responsabili solo ed esclusivamente dei loro comportamenti.
PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto l'onorevole Bressa. Ne ha facoltà.
GIANCLAUDIO BRESSA. Come ha ricordato adesso, in maniera molto chiara, il collega Marone, ci troviamo di fronte ad un'ipotesi di assoluto buonsenso. Questo, se ci trovassimo nella condizione di discutere per davvero - come ripetutamente detto nella relazione del Governo e del relatore - il problema della funzionalità degli enti locali. Capite perfettamente che, per effetto di una legislazione piuttosto confusa, nonché per effetto di vicende che si sono, nel corso degli anni, succedute l'una all'altra, ci troviamo di fronte a moltissime amministrazioni che oggi vengono chiamate a rispondere di scelte che non sono state compiute da loro.
Con questo provvedimento voi impedite qualsiasi capacità e possibilità di assunzione di responsabilità da parte dei comuni, in quanto impedite loro di gestire convenientemente la politica delle entrate, perché - come abbiamo visto in interventi precedenti - ciò è impedito dal combinato disposto di alcune norme presenti nel decreto-legge. Cancellate qualsiasi tipo di responsabilità politica ed amministrativa in capo alle attuali amministrazioni, però le ritenete responsabili di atti che non hanno assunto. Ciò è sostanzialmente non credibile e del tutto fuori da qualsiasi regola del buonsenso.
Pertanto, questo emendamento consentirebbe a molte amministrazioni che rischiano
di dover pagare errori commessi da altri di evitare di finire in situazioni molto gravi dal punto di vista dell'equilibrio economico-finanziario. Prevedere di introdurre questa norma sarebbe un gesto di responsabilità del Parlamento per andare incontro a chi (nelle amministrazioni locali) non ha responsabilità rispetto a scelte sbagliate da altri. Ma chiedere che il Parlamento sia responsabile su questi argomenti, mi pare del tutto ozioso questa sera.
PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto l'onorevole Russo Spena. Ne ha facoltà.
GIOVANNI RUSSO SPENA. In realtà avevo chiesto di intervenire già da tempo, perché l'emendamento che abbiamo presentato è il primo di una serie di emendamenti che riguardano il patto di stabilità interno. Non voglio riprendere la discussione che abbiamo svolto anche in occasione della discussione della legge finanziaria - e comunque, in generale, in tutte le sedi politiche in cui ciò è stato possibile - sulla contrarietà del gruppo di Rifondazione comunista al patto di stabilità interno, così come al patto di stabilità esterno.
Abbiamo anche discusso a fondo - alcuni colleghi e colleghe lo ricorderanno - sui correttivi, che noi pensiamo debbano essere posti come parametri e paradigmi di fondo al posto dei patti di stabilità: cioè i servizi e la corrispondenza delle amministrazioni alle esigenze, ai bisogni e ai diritti delle comunità locali. Quindi una diversa distribuzione complessiva delle risorse, che sfugga alla gabbia necessitata, a cui il patto di stabilità ovviamente deve rispondere, che è una gabbia di priorità economiche e di profitto, invece che sociali.
Come già i colleghi Marone e Bressa hanno ben evidenziato, qui vi è un doppio errore. A questo primo errore del patto di stabilità interno, si aggiunge un secondo errore, che accomuna le opposizioni nella visione della negatività di questo articolo.
Mi riferisco al fatto che le entrate e le spese eccezionali, come è stato ben detto, non sono prevedibili e, quindi, non possono rientrare nei criteri di calcolo del patto di stabilità interno; ovviamente le coperture dei debiti fuori bilancio, derivanti da sentenze passate in giudicato, non sono di per sé, in quanto eccezionali, prevedibili e, quindi, non possono rientrare in questi criteri di calcolo.
Tale emendamento, pertanto, deve essere approvato, perché sana in qualche modo un errore grave che vieta la possibilità per i comuni di un bilancio, preventivo e coordinato, di previsione, quindi di un bilancio in termini finanziari. Pertanto, le previsioni che il decreto-legge impone di fatto ai comuni costituiscono, in effetti, una gabbia che viene a limitare anche l'autonomia finanziaria dei comuni in termini molto pervasivi.
PRESIDENTE. Passiamo ai voti.
Indìco la votazione nominale, mediante procedimento elettronico, sugli identici articoli aggiuntivi Marone 7-quinquies.02 e Mascia 7-quinquies.06, non accettati dalla Commissione né dal Governo e sui quali la V Commissione (Bilancio) ha espresso parere contrario.
(Segue la votazione).
Dichiaro chiusa la votazione.
Comunico il risultato della votazione: la Camera respinge (Vedi votazioni).
(Presenti e Votanti 345
Maggioranza 173
Hanno votato sì 146
Hanno votato no 199).
Passiamo alla votazione dell'articolo aggiuntivo Leoni 7-quinquies.013.
Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto l'onorevole Maran. Ne ha facoltà.
ALESSANDRO MARAN. Signor Presidente, l'emendamento mira ad eliminare le sanzioni previste dalla legge finanziaria per il 2003 a carico degli enti che non hanno rispettato il patto per quell'anno. Non è un mistero per nessuno che l'impossibilità di operare assunzioni secondo le regole che annualmente vengono previste
da un apposito decreto del Presidente del Consiglio dei ministri per tutte le amministrazioni locali o di ricorrere all'indebitamento per gli investimenti determinerà inevitabilmente un aggravio della situazione generale degli enti stessi. Si tratta di una situazione di crisi e di sofferenza ampiamente riconosciuta anche nel corso di questa discussione. Inoltre, va sottolineato che la spesa per investimenti non è, per l'anno 2004, computata ai fini del patto di stabilità interno.
RENZO INNOCENTI. Chiedo di parlare sull'ordine dei lavori.
PRESIDENTE. Ne ha facoltà.
RENZO INNOCENTI. Signor Presidente, vorrei solamente invitare i colleghi ad esprimere nella votazione un solo voto, non quello del collega accanto, a destra, a sinistra o al centro. Questo vale ovviamente per tutti, in ogni angolo ed in ogni settore. Vorrei che vi fosse un richiamo al senso di responsabilità. Ogni testa un voto!
PRESIDENTE. Occorre superare la solidarietà con la responsabilità! Ognuno deve votare per conto proprio. L'ho detto tante volte. Se dovesse accorgermi di ciò, adotterò provvedimenti immediati.
Passiamo ai voti.
Indìco la votazione nominale, mediante procedimento elettronico, sull'articolo aggiuntivo Leoni 7-quinquies.013, non accettato dalla Commissione né dal Governo e sul quale la V Commissione (Bilancio) ha espresso parere contrario.
(Segue la votazione).
RENZO INNOCENTI. Presidente!
PIERO RUZZANTE. Presidente!
PRESIDENTE. Mi dicono che vi sono doppi voti anche altrove!
Dichiaro chiusa la votazione.
Comunico il risultato della votazione: la Camera respinge (Vedi votazioni).
(Presenti e Votanti 302
Maggioranza 152
Hanno votato sì 120
Hanno votato no 182
Sono in missione 74 deputati).
NICOLÒ CRISTALDI. Par condicio!
PRESIDENTE. Passiamo alla votazione dell'articolo aggiuntivo Mascia 7-quinquies.07.
Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto l'onorevole Russo Spena. Ne ha facoltà.
GIOVANNI RUSSO SPENA. Signor Presidente, vorrei illustrare molto brevemente l'emendamento in esame, perché mi sembra sia centrale ed emblematico della distorsione che questo decreto-legge comporta nella finanza locale.
Noi proponiamo l'eliminazione del blocco degli investimenti che riteniamo una misura molto grave ed incoerente, perché, tra l'altro, non si configura come conseguente sanzione rispetto... Signor Presidente, è difficile parlare con questo caos!
PRESIDENTE. Vi prego, onorevoli colleghi, e mi riferisco anche a coloro che sono vicini in senso geografico al collega Russo Spena.
GIOVANNI RUSSO SPENA. Io sono certamente stanco e la materia è anche un po' arida.
PRESIDENTE. Ha ragione! Prego, onorevole Russo Spena.
GIOVANNI RUSSO SPENA. Dicevo che questa misura è incoerente con l'attuale procedura di calcolo del saldo finanziario, che non tiene conto della spesa di investimento. Quindi, ci troviamo di fronte ad un vero e proprio blocco degli investimenti, quale sanzione per il mancato rispetto del patto di stabilità.
Proponiamo dunque l'abrogazione di questo blocco degli investimenti. Mi sembra un punto fondamentale per la finanza locale.
PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto l'onorevole Maran. Ne ha facoltà.
ALESSANDRO MARAN. Signor Presidente, anch'io intervengo a sostegno delle argomentazioni fornite dall'onorevole Russo Spena, nel senso che il blocco degli investimenti è una misura incoerente con l'attuale procedura di calcolo del saldo finanziario che, appunto, non tiene conto della spesa di investimento.
Ciò, a nostro avviso, non appare una ragione sufficiente per proporre il blocco degli investimenti.
PRESIDENTE. Passiamo ai voti.
Indìco la votazione nominale, mediante procedimento elettronico, sull'articolo aggiuntivo Mascia 7-quinquies.07, non accettato dalla Commissione né dal Governo, sul quale la V Commissione (Bilancio) ha espresso parere contrario.
(Segue la votazione).
GIOVANNI RUSSO SPENA. Votate per uno!
PRESIDENTE. Dichiaro chiusa la votazione.
Comunico il risultato della votazione: la Camera respinge (Vedi votazioni).
(Presenti e Votanti 317
Maggioranza 159
Hanno votato sì 133
Hanno votato no 184).
Prego i colleghi di non mettermi in imbarazzo, perché è perfettamente inutile che si facciano cose non corrette.
MAURA COSSUTTA. Non hanno il numero legale!
PRESIDENTE. Passiamo alla votazione dell'articolo aggiuntivo Mascia 7-quinquies.05.
Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto l'onorevole Russo Spena. Ne ha facoltà.
GIOVANNI RUSSO SPENA. Intervengo per non lasciare incompleto il discorso precedente, visto che le colleghe e i colleghi sono molto interessati.
Riteniamo che le sanzioni attualmente previste - lo diceva poco fa anche il collega Maran - non siano sostenibili, non avendo peraltro alcun riscontro nell'impianto delle direttive comunitarie nonché nella Costituzione italiana.
Soprattutto il blocco degli investimenti non trova, a nostro avviso, alcuna motivazione, anche in considerazione del fatto che, fino a tutto il 2004, la spesa per investimenti non è computata ai fini del calcolo del disavanzo.
Dunque, come pars costruens rispetto a questa critica, al massimo si potrebbe pensare ad un meccanismo sanzionatorio commisurato all'entità dello sforamento dell'ente, dunque ad un meccanismo sanzionatorio più equo.
Invece, le sanzioni attualmente previste non sono sostenibili, non corrispondono alle direttive comunitarie e, a nostro avviso, sono anche incostituzionali, come anche il Presidente, da un punto di vista giuridico, potrà certamente constatare.
PRESIDENTE. Onorevole Russo Spena, la ringrazio per l'apprezzamento delle mie potenziali qualità, che in questa fase tuttavia non esplicherò.
Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto l'onorevole Bressa. Ne ha facoltà.
GIANCLAUDIO BRESSA. Il problema non è definire se vi siano o meno sanzioni relativamente al mancato conseguimento degli obiettivi del patto di stabilità interno. Il problema è che, per conseguire gli obiettivi previsti dal patto di stabilità interno, un'amministrazione deve poter essere in condizione di esercitare fino in
fondo, con responsabilità, l'autonomia che le è garantita dalla Costituzione e dalla legge dello Stato.
Come abbiamo ricordato più volte, state paralizzando le amministrazioni comunali; la manovra sulle entrate è inesistente, in quanto non consentite di fare nulla.
Allora, se paralizzate la possibilità di iniziativa dell'autonomia finanziaria degli enti locali, nel senso che non consentite loro di dispiegare razionalmente, secondo le scelte politiche che intendano fare, la propria autonomia, dovete spiegare come potete immaginare di sanzionarli. Avete ingessato, paralizzato, incatenato gli enti locali alla vostra incapacità di gestione complessiva della politica economica e finanziaria di questo paese e adesso pretendete anche, visto che non sono riusciti a garantire determinati risultati - ma non erano in condizioni di poterlo fare, non potendo dispiegare fino in fondo le politiche e l'autonomia finanziaria previste -, di sottoporli a sanzioni. Siamo veramente nel campo dell'irrazionalità assoluta! Volete comminare una sanzione di fronte alla palese impossibilità di dispiegare fino in fondo la capacità di autonomia politica e finanziaria di un comune. Se questo non è sbagliato e illogico, non so proprio cosa dobbiamo aspettarci per poter definire tale il vostro operato.
PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto l'onorevole Maran. Ne ha facoltà.
ALESSANDRO MARAN. Signor Presidente, cerchiamo di richiamare l'attenzione soprattutto su un punto, forse non ancora sufficientemente chiaro ai colleghi. La spesa per investimenti non è computata ai fini del calcolo del disavanzo e, dunque, il blocco degli investimenti non trova alcuna motivazione. Per tale motivo, le sanzioni attualmente previste non sono sostenibili né hanno alcun riscontro normativo, comunitario o costituzionale. Oltretutto, un meccanismo sanzionatorio - come è stato suggerito dall'onorevole Russo Spena - commisurato all'entità dello sforamento di ciascun ente, sarebbe comunque più equo.
Vi è poi un'ulteriore questione, sulla quale vale la pena di ritornare. Il Governo ha tutto il diritto di pretendere che gli enti locali rispettino i saldi e di punire chi non vi si attiene, ma un saldo di bilancio si può rispettare sia riducendo le spese, sia aumentando le imposte e le altre entrate. Gli enti territoriali, però, non possono farlo. I cittadini dovrebbero poter decidere quale ente abbia scelto la combinazione giusta, ma questo meccanismo democratico non può attuarsi negli enti locali. In questa gabbia è chiusa la finanza locale e da questa gabbia bisogna uscire.
PRESIDENTE. Passiamo ai voti.
Indìco la votazione nominale, mediante procedimento elettronico, sull'emendamento Mascia ed altri 7-quinquies. 05, non accettato dalla Commissione né dal Governo e su cui la V Commissione (Bilancio) ha espresso parere contrario.
(Segue la votazione).
Dichiaro chiusa la votazione.
Comunico il risultato della votazione: la Camera respinge (Vedi votazioni).
(Presenti e Votanti 350
Maggioranza 176
Hanno votato sì 150
Hanno votato no 200).
Passiamo alla votazione dell'emendamento Mascia ed altri 7-quinquies 010.
Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto l'onorevole Russo Spena. Ne ha facoltà.
GIOVANNI RUSSO SPENA. Signor Presidente, anche questo emendamento risponde alla logica profonda e radicale impostata sul patto di stabilità. La finanziaria per il 2003 aveva riassorbito nel bilancio dello Stato i mutui gravanti sul fondo per lo sviluppo degli investimenti, compensando in qualche modo tale riassorbimento con un contributo statale per il 2003 pari a 300 milioni di euro, poi non confermato nella finanziaria per il 2004.
Noi non facciamo altro che una semplice operazione di ripristino di quanto già previsto nella finanziaria per il 2003. Chiediamo, quindi, con questo emendamento di riconfermare il contributo del 2003 - perché di null'altro si tratta -, anche in considerazione del fatto che la destinazione è in parte devoluta al riequilibrio degli enti cosiddetti sottodotati, ovvero con trasferimenti al di sotto della media.
Quindi, la nostra operazione corrisponde anche ad un'esigenza politica, perché facciamo riferimento, per la parte contabile, alla finanziaria del 2003 per i 300 milioni di euro non confermati, mentre sul piano politico riequilibriamo il rapporto rispetto agli enti cosiddetti sottodotati. Sono queste le due motivazioni che ci hanno spinto alla presentazione dell'emendamento in questione.
PRESIDENTE. Passiamo ai voti.
Indìco la votazione nominale, mediante procedimento elettronico, sull'emendamento Mascia 7-quinquies.010, non accettato dalla Commissione né dal Governo e sul quale la V Commissione (Bilancio) ha espresso parere contrario.
(Segue la votazione).
Dichiaro chiusa la votazione.
Comunico il risultato della votazione: la Camera respinge (Vedi votazioni).
(Presenti e Votanti 352
Maggioranza 177
Hanno votato sì 158
Hanno votato no 194).
Avverto che l'ordine di votazione dei successivi emendamenti Mariotti 7-quinquies.011 e Mariotti 7-quinquies.012 è invertito rispetto a quanto riportato nello stampato in distribuzione, in quanto l'emendamento Mariotti 7-quinquies.012 è più ampio rispetto all'emendamento Mariotti 7-quinquies.011 e deve pertanto essere votato per primo.
Passiamo dunque all'emendamento Mariotti 7-quinquies.012.
Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto l'onorevole Mariotti. Ne ha facoltà.
ARNALDO MARIOTTI. Signor Presidente, a seguito della bocciatura di tutti i nostri emendamenti abbiamo compreso chiaramente che il Governo non intende aumentare i fondi per gli enti locali, né per migliorare la qualità dei servizi né, tanto meno, per rilanciare gli investimenti.
Gli emendamenti in esame sono volti a porre un'ulteriore questione, relativa all'esigenza non di aumentare la spesa e i trasferimenti ma di sbloccare i finanziamenti che con la legge finanziaria 2002 erano stati assegnati, attraverso i fondi per le opere di interesse locale, a comuni, province e regioni. Una sentenza della Corte costituzionale ha bloccato gli effetti dei relativi decreti di assegnazione dei fondi per un vizio formale, derivante dal fatto che il Governo non ha tenuto conto della riforma del Titolo V e non ha dunque seguito la procedura corretta, che prevede il coinvolgimento della Conferenza Stato-regioni (ricordo che tale procedura è ormai obbligatoria nel caso di atti concernenti la finanza locale e gli interessi territoriali).
Proponiamo di sbloccare tali fondi, in quanto ci troviamo di fronte a comuni, province e regioni che hanno progettato opere, conferendo incarichi professionali e firmando convenzioni con i professionisti. In alcuni casi, vi sono addirittura approvazioni di progetti esecutivi, gare di appalto già espletate, contratti firmati e lavori iniziati. Si comprende agevolmente che, non sanando tale vizio di forma, non riusciremo a salvaguardare l'equilibrio dei bilanci degli enti territoriali, che hanno contratto impegni con terzi (professionisti ed imprese) cui debbono fare fronte. Nel caso contrario, non riusciremo a garantire neppure l'attivazione dei programmi triennali di investimento concernenti le opere pubbliche degli enti territoriali.
Auspico pertanto che la maggioranza dimostri, almeno in questo caso, un minimo di buonsenso, approvando l'emendamento in esame. Come lei, signor Presidente, ha ricordato, vi sono un emendamento più ampio e un emendamento più ristretto, e, nel caso di approvazione del primo, il secondo verrebbe precluso.
Chiedo pertanto all'Assemblea di esprimere un voto che consenta di riattivare una serie di investimenti a livello locale.
PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto l'onorevole Morgando. Ne ha facoltà.
GIANFRANCO MORGANDO. Signor Presidente, l'emendamento in esame si fonda su una motivazione di natura contingente, come è stato ricordato dal collega Mariotti, alle cui osservazioni non ho nulla da aggiungere.
Ci troviamo in presenza di comuni che hanno ottenuto degli interventi finanziari per la realizzazione di piccole opere - come previsti dagli articoli 54 e 55 della legge finanziaria per il 2002 - e che rischiano, per effetto della sentenza della Corte costituzionale, di dover restituire risorse che sono state in parte impiegate e in parte previste nei bilanci, con conseguenze, come è ovvio, particolarmente preoccupanti. Questa è la motivazione dell'emendamento.
Per la verità su questo si è parlato molto e al riguardo vi è un orientamento comune che auspichiamo si concretizzi attraverso il voto, perché il consenso tra i colleghi della Commissione bilancio su questo punto era molto ampio e tendenzialmente unanime. Naturalmente l'emendamento in esame e il problema che è stato sollevato dalla sentenza della Corte costituzionale mettono in evidenza questioni più generali di cui abbiamo discusso a proposito di questo decreto-legge. Adesso non voglio soffermarmi su tali questioni, ma è chiaro che se noi tagliamo i trasferimenti agli enti locali creiamo le condizioni perché si debba ricorrere ad interventi e trasferimenti di carattere straordinario. Se non chiariamo e non acceleriamo, come è stato detto in questo dibattito, le procedure volte alla realizzazione del federalismo fiscale e amministrativo, creiamo le condizioni perché non vi sia una ordinata concezione e costruzione del rapporto tra le competenze trasferite e le risorse finanziarie assegnate. Anche questa vicenda, in sé modesta e relativa ad una questione contingente, rende evidente come la materia della finanza locale sia da riprendere in mano complessivamente e da riordinare secondo le linee di una moderna attribuzione di competenze e di risorse proprie alle amministrazioni locali. Questo, in fondo, è l'elemento che viene sottolineato anche da questo emendamento che noi voteremo e che auspichiamo tutta l'Assemblea possa votare (Applausi dei deputati del gruppo della Margherita, DL-L'Ulivo).
ANTONIO D'ALÌ, Sottosegretario di Stato per l'interno. Chiedo di parlare.
PRESIDENTE. Ne ha facoltà.
ANTONIO D'ALÌ, Sottosegretario di Stato per l'interno. Signor Presidente, vorrei fare una breve riflessione su questo emendamento. Ci troviamo in presenza di provvedimenti volti alla corresponsione di risorse, come il Parlamento ha stabilito con la legge finanziaria per il 2002, che sono stati impugnati da alcune regioni. Tralascio di dire quali regioni si sono attivate per impugnarli e con quali motivazioni, fatto sta che il ricorso è stato accolto dalla Corte costituzionale.
Ora mi sembra assai singolare che delle componenti politiche che si dicono così attente alle pronunce della Corte costituzionale, in difesa del Titolo V della Costituzione e via dicendo, oggi propongano in Parlamento di disattendere la sentenza della Corte e di imporre al Governo di dare ugualmente esecuzione ad una norma che è stata giudicata incostituzionale. A me sembra, invece, che il Governo, stante il fatto che ha tutta la volontà di erogare quelle somme, ma non può farlo in conseguenza della sentenza della Corte - e credo che una scelta diversa sarebbe censurata anche in sede di promulgazione -, possa sicuramente accogliere in questa sede un ordine del giorno che lo impegni a trovare i meccanismi precisi per poter far affluire nelle casse degli enti locali le risorse in questione, che peraltro sono disponibili in quanto stanziate nella legge
finanziaria per il 2002, senza essere impegnato da una norma a disattendere la sentenza della Corte costituzionale.
Noi la norma l'avevamo proposta e il Parlamento l'aveva varata; sono stati poi presentati i ricorsi da alcune regioni, che naturalmente hanno subito anche delle spinte politiche. Adesso ci venite a chiedere di dare esecuzione a decreti ministeriali che fanno riferimento ad una norma che è stata cassata dalla Corte costituzionale? La cosa mi sembra molto singolare! Dovreste piuttosto chiederci - e da questo punto di vista il Governo non ha difficoltà ad impegnarsi con un ordine del giorno molto puntuale - di trovare una norma che, anche nei metodi (è stata infatti censurata la scelta di introdurre la norma nella legge finanziaria senza sottoporla prima alla Conferenza unificata), risponda alle prescrizioni della Corte costituzionale e al desiderio degli enti locali, ma soprattutto del Governo, di far sì che quelle somme affluiscano effettivamente nelle casse degli enti locali.
Questa norma non risolve il problema, in quanto, imponendo una violazione di una sentenza della Corte costituzionale, la norma stessa verrebbe resa sicuramente vana da altri organismi preposti alla promulgazione delle leggi ed alla loro esecuzione. Riterrei molto più ragionevole che il Parlamento impegnasse il Governo, attraverso un ordine del giorno, che verrebbe senz'altro accolto, a far sì che quelle somme affluiscano in eguale misura ai comuni, seppure con procedure e disposizioni che non incontrino la censura della Corte costituzionale
PRESIDENTE. Sottosegretario D'Alì, se non ho compreso male, lei propone che l'emendamento venga ritirato e che il suo contenuto sia trasfuso in un ordine del giorno?
ANTONIO D'ALÌ, Sottosegretario di Stato per l'interno. Sì, signor Presidente. Diversamente il parere del Governo non potrebbe che essere contrario. D'altronde, la Corte costituzionale è stata molto chiara al riguardo.
NUCCIO CARRARA, Relatore. Chiedo di parlare.
PRESIDENTE. Ne ha facoltà.
NUCCIO CARRARA, Relatore. Signor Presidente, ringrazio il Governo, nella persona del sottosegretario D'Alì, per aver chiarito alcuni punti. Desidero solo sottolineare che le finalità dell'emendamento in esame sono ottime, purtuttavia l'emendamento ripete un errore già contenuto nella legge finanziaria. Infatti, gli articoli 54 e 55 della legge finanziaria per il 2002 prevedevano due fondi nazionali: un fondo per concorrere al finanziamento della progettazione di opere pubbliche a valenza locale, un secondo fondo per concorrere al finanziamento di opere pubbliche a valenza locale.
La regione Emilia Romagna, e non la regione Lombardia, aveva presentato ricorso alla Corte costituzionale, affermando che la legge finanziaria non poteva trasferire somme per opere a valenza locale, non potendo appropriarsi di poteri che oggi, ai sensi del nuovo Titolo V della Costituzione, sono propri delle regioni e dei comuni. Se il ricorso non vi fosse stato, queste risorse sarebbero già, ovviamente, nella disponibilità dei comuni. Cosa occorre fare, dunque, affinché esse tornino nella disponibilità dei comuni? Non occorre certo presentare un emendamento volto a rendere attuativi i decreti ministeriali, i quali, discendendo a loro volta da una norma illegittima, sono essi stessi costituzionalmente illegittimi. Per restituire le risorse ai comuni, bisogna cambiare la natura della destinazione dei fondi: cambiandone la natura e rendendola compatibile con i principi costituzionali, si potrà raggiungere tale obiettivo. Questo è il motivo per cui il Governo fa bene a dire «riesamiamo», «rivediamo». Le risorse ci sono, ma devono essere destinate in maniera corretta (Applausi dei deputati del gruppo di Alleanza nazionale).
ANTONIO BOCCIA. Chiedo di parlare.
PRESIDENTE. Ne ha facoltà.
ANTONIO BOCCIA. Signor Presidente, comprendo le preoccupazioni del Governo, prevalentemente connesse ai tempi di approvazione del decreto-legge in esame. Desidero confermare che, da parte di tutta l'opposizione (il presidente Castagnetti lo ha già comunicato al capogruppo Vito per quanto riguarda il gruppo della Margherita, e certamente i colleghi Boato e Innocenti lo confermeranno anche per gli altri gruppi), vi è l'impegno a far approvare questo provvedimento, al Senato, anche nella giornata di domani, qualora l'emendamento in esame venisse approvato. Quindi, le preoccupazioni del Governo da questo punto di vista non hanno ragione d'essere.
Per quanto riguarda, invece, le altre preoccupazioni, mi permetto di sottolineare, Presidente, e per questo mi affido anche al suo giudizio, che ci troviamo di fronte ad una norma che non entra nel merito della questione sollevata, perché altrimenti sarebbe giusta e corretta l'analisi fatta dal relatore.
Questa è una norma di sanatoria, che riguarda i bilanci dei comuni e delle regioni.
Quindi, in quanto norma di sanatoria che non riguarda i contenuti della normativa, l'articolo aggiuntivo Mariotti 7-quinquies.012 non rientra nell'ambito della discussione di merito.
Il Parlamento può intervenire, in maniera appropriata, per sanare la situazione: in tal caso, non si incorrerebbe in alcuna illegittimità costituzionale; né ha senso, in questo momento, il discorso relativo ai ricorsi alla Corte costituzionale.
Signor Presidente, confermo la necessità di approvare l'articolo aggiuntivo in parola per sanare la situazione determinatasi: non ne deriveranno conseguenze negative sull'iter del provvedimento perché l'approvazione del Senato potrebbe intervenire anche domani. Insomma, non vedo ragione per trasfondere il contenuto dell'articolo aggiuntivo in un ordine del giorno quando, approvandolo tutti insieme, possiamo conseguire un risultato nell'interesse generale.
PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto l'onorevole Polledri. Ne ha facoltà.
MASSIMO POLLEDRI. Signor Presidente, desidero che resti agli atti l'ennesimo trucco delle tre carte al quale stiamo assistendo, oggi, in questo ramo del Parlamento: da una parte, le regioni seguono una determinata politica; dall'altra, il Parlamento cerca di rimediare!
Il principio del federalismo non prevede che le regioni cerchino di disfare di notte le cose giuste che il Governo cerca di fare di giorno! Ciò nonostante, è proprio questo il criterio che il presidente della regione Emilia Romagna, Errani, continua sistematicamente e metodicamente ad applicare!
Questo articolo aggiuntivo a prima firma dell'onorevole Mariotti - importante, per carità! - propone di correggere una precisa scelta politica del presidente Errani che risponde alla logica di centrosinistra secondo la quale qualunque cosa dica il Governo, si deve assolutamente affermare il contrario. Applicando tale logica e chiedendo l'intervento della Corte costituzionale, il presidente Errani ci ha privati dei soldi che, da Roma, arrivavano nelle casse delle nostre istituzioni locali (tra l'altro, anche di alcuni suoi concittadini: la provincia di Piacenza avrebbe beneficiato di un finanziamento che, grazie a lui, non ha percepito).
Signor Presidente, il presidente Errani e la maggioranza di centrosinistra che governa la regione Emilia-Romagna, sicuramente non in punta di fioretto sotto il profilo politico, stanno applicando la medesima logica con riferimento alla disposizione che concede il beneficio di mille euro a favore del secondo figlio: vogliono far cancellare i mille euro che vanno agli italiani per sostenerli in un'azione meritoria! Allora, se il Papa ci esorta a riempire le culle vuote e se il Presidente della Repubblica e tutti noi condividiamo tale esortazione, dobbiamo avvertire una responsabilità politica di fronte a chi, semplicemente
per faziosità, invoca dalla Corte costituzionale la cancellazione del beneficio.
La nostra idea di federalismo è diversa e ci impone una responsabilità istituzionale. Consegno al Parlamento una denuncia che è fortemente sentita dai cittadini dell'Emilia Romagna.
PRESIDENTE. Passiamo ai voti.
Indìco la votazione nominale, mediante procedimento elettronico, sull'articolo aggiuntivo Mariotti 7-quinquies.012, non accettato dalla Commissione né dal Governo.
(Segue la votazione).
RENZO INNOCENTI. Presidente!
PIERO RUZZANTE. Signor Presidente, là!
PRESIDENTE. Dichiaro chiusa la votazione.
Comunico il risultato della votazione: la Camera approva (Vedi votazioni - Vivi applausi dei deputati dei gruppi dei Democratici di sinistra-L'Ulivo, della Margherita, DL-L'Ulivo e Misto-Comunisti italiani).
(Presenti 322
Votanti 320
Astenuti 2
Maggioranza 161
Hanno votato sì 165
Hanno votato no 155).
PIERO RUZZANTE. Alé!
PRESIDENTE. Prendo atto che l'onorevole Raffaella Mariani, che non è riuscita a votare, avrebbe voluto esprimere un voto favorevole.
A seguito dell'approvazione dell'articolo aggiuntivo Mariotti 7-quinquies.012, è precluso l'articolo aggiuntivo Mariotti 7-quinquies.011.
ANTONIO BOCCIA. Chiedo di parlare.
PRESIDENTE. Ne ha facoltà.
ANTONIO BOCCIA. Signor Presidente, per coerenza, comunico che sono ritirati tutti gli ordini del giorno a prima firma di colleghi del gruppo della Margherita, DL-L'Ulivo (Applausi dei deputati del gruppo della Margherita, DL-L'Ulivo).
PRESIDENTE. Sta. Bene. Passiamo ai voti.
Indìco la votazione nominale, mediante procedimento elettronico, sull'emendamento Marone Dis. 1.1, non accettato dalla Commissione né dal Governo.
(Segue la votazione).
Dichiaro chiusa la votazione.
Comunico il risultato della votazione: la Camera respinge (Vedi votazioni).
(Presenti e Votanti 351
Maggioranza 176
Hanno votato sì 148
Hanno votato no 203).
Poiché il disegno di legge consiste in un articolo unico, si procederà direttamente alla votazione finale.
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