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PRESIDENTE. Passiamo alle dichiarazioni di voto sulla questione di fiducia.
Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto l'onorevole Zanella, alla quale ricordo che ha cinque minuti di tempo a disposizione. Ne ha facoltà.
LUANA ZANELLA. Signor Presidente, la fiducia sul decreto-legge in esame, quando mancano circa undici giorni alla sua decadenza, è lo specchio evidente delle difficoltà in cui si trovano il Governo e la sua maggioranza.
La questione di fiducia è stata posta senza che nessun rappresentante del Governo abbia avuto la decenza, la gentilezza istituzionale, di spiegarne con credibilità i motivi. Riteniamo, quindi, che il motivo non sia certamente quello dell'approssimarsi della scadenza del decreto-legge: lo stiamo, infatti, esaminando in seconda lettura e vi sono ancora dieci-undici giorni di tempo per la sua conversione in legge, dunque un tempo ampiamente sufficiente. Nessun atteggiamento ostruzionistico è stato posto in atto da parte dell'opposizione: seppure fortemente contrari al provvedimento in esame, il numero degli emendamenti da noi presentati è lontanissimo da qualunque proposito ostruzionistico. La maggioranza, come è noto, non è particolarmente «risicata», tale da giustificare l'ennesimo ricorso alla questione di fiducia. Evidentemente, non vi fidate degli 85 voti di scarto: tanti sono quelli su cui potete, per vostra fortuna, contare in quest'aula. Si tratta di una maggioranza schiacciante, che non vi ha impedito, però, in questi tre anni, di ricorrere di continuo alla questione di fiducia per portare a casa i vari provvedimenti.
Cadono, così, tutti gli alibi. Rimane solo la tristissima constatazione che ci troviamo di fronte ad un fallimento, ad una crisi politica tutta interna a voi e di cui non prendete atto. Non vi assumete le vostre responsabilità e di ciò fate pagare le conseguenze, con prepotenza, a tutto il Parlamento e, soprattutto, al paese, al di là del vostro ottimismo irresponsabile.
Insomma, la scelta di porre la fiducia è inaudita ed è forte il sospetto che l'unica necessità, l'unica urgenza del provvedimento in esame sia quella di soddisfare qualche appetito elettorale ed andare al mercato delle prossime elezioni con qualcosa da rivendicare come conquista. Dunque, vi accontentate di soddisfare qualche lobby senza affrontare un ragionamento, un dibattito, e soprattutto le questioni della sanità, che stanno a cuore non solo all'opposizione, ma al paese nel suo complesso.
Purtroppo, credo che i continui ricorsi alla fiducia dimostrino una crisi profonda dell'azione del Governo e di questa maggioranza. Credo che tutti noi dovremo fare i conti con la realtà dura di uno «sfilacciamento», che fa pagare costi che il paese non si merita.
PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto l'onorevole Pappaterra, al quale ricordo che ha sei minuti di tempo a disposizione. Ne ha facoltà.
DOMENICO PAPPATERRA. La componente dello SDI del gruppo Misto dice «no» al voto di fiducia su questo provvedimento per diversi motivi. In primo luogo - questo è il motivo più immediato - perché si tratta di un decreto-legge che ripropone quasi integralmente, ad eccezione delle modifiche sostanziali apportate dal Senato, il contenuto di un decreto-legge che questo ramo del Parlamento, con un voto forte e solenne, aveva riconosciuto essere incostituzionale.
In secondo luogo, perché questo decreto-legge, nonostante rechi un titolo assolutamente particolare, che si propone l'obiettivo di porre in essere misure per fronteggiare il bioterrorismo, nasconde invece,
in maniera molto celata - ma noi siamo stati capaci di far emergere il vero volto di questo decreto -, una volontà in realtà molto chiara del ministro della salute e del Governo nel suo complesso: quella di utilizzare, com'è stato fatto in questo caso, la tragedia di Madrid dell'11 marzo scorso (rispetto alla quale avrebbero dovuto essere previsti interventi recanti misure per fronteggiare il bioterrorismo) per mettere in discussione, con l'introduzione dell'articolo 2-septies da parte del Senato, quello che abbiamo considerato uno dei capisaldi della riforma sanitaria dell'Ulivo, vale a dire il rapporto di esclusività dei medici.
Per la verità, già da molto tempo il Governo e, in particolare, il ministro Sirchia avevano cercato di portare avanti questo tentativo, ma il colpo non era riuscito né nella prima né nella seconda legge finanziaria del Governo di centrodestra. Adesso, invece, si introduce questa norma, con un escamotage; si introduce cioè in un provvedimento, peraltro indifferibile e d'urgenza, una norma che tutti sappiamo essere demandata alla potestà esclusiva delle regioni e che riguarda peraltro una materia che presenta connotazioni di forte contrattualità (e che dunque andrebbe sicuramente discussa anche in sede di contrattazione tra le parti). È diverso tempo, sono ormai tre anni, che il Governo si accanisce con questa misura. Oggi, ricorrendo al voto di fiducia - e, quindi, limitando il potere autonomo di scelta di molti deputati del centrodestra, che non la condividono -, forse il Governo otterrà un via libera su questa misura.
Noi ci opporremo con forza. Lo gridiamo ad alta voce, anche perché siamo preoccupati di un ritorno al far west in questo settore. Siamo fortemente preoccupati del carattere di promiscuità che si tornerà a mettere in campo, con alcuni camici bianchi che saranno assoggettati a servire due padroni, e noi sappiamo, amici e colleghi, onorevole Presidente, come andrà a finire. Chi è facoltoso avrà la possibilità di usufruire di prestazioni sanitarie, perché finirà immediatamente nella lista di coloro che avranno la possibilità di godere di un pronto intervento. Chi invece è meno abbiente - e sappiamo che in Italia, soprattutto nel Mezzogiorno, ci sono larghe sacche di povertà - molto probabilmente finirà nelle lunghe liste di attesa, senza forse avere mai la possibilità di ricevere un intervento da parte del Servizio sanitario nazionale.
Come Socialisti - appartiene al nostro DNA, alla nostra storia - abbiamo sempre difeso e privilegiato il Servizio sanitario nazionale, affinché venga data a tutti i cittadini, al di là del reddito, la possibilità di usufruire delle sue prestazioni.
Da questo punto di vista, nonostante la stragrande maggioranza dei medici (l'87,3 per cento) abbia ormai accettato il nuovo impianto riguardante l'esclusività del rapporto, ci meraviglia che si intenda correggere questa misura (è un atteggiamento che fa presagire ad un pesante e preoccupante ritorno al passato). Ci opporremo, pertanto, con forza (lo affermiamo anche oggi in questa sede) a questo triste ritorno al passato, che ci preoccupa.
Con riferimento poi alla modifica della seconda parte della Costituzione recentemente approvata, ed in particolare alla tanto cara devoluzione (soprattutto per il gruppo della Lega), ci rendiamo conto che la sanità sarà completamente in mano alla potestà esclusiva delle regioni, senza un quadro di riferimento chiaro generale che consenta allo Stato di porre le basi per una libera assistenza da garantire a tutti, nella sua forma universale. In questo caso, siamo preoccupati che il divario profondo oggi esistente tra le strutture del centro-nord e quelle del sud possa ulteriormente allargarsi.
Oggi intendiamo esprimere queste preoccupazioni (lo abbiamo sempre fatto anche nei dibattiti che svolgiamo con riferimento all'attuale fase politica) a cui se ne aggiunge un'altra, afferente alla mancata presa di posizione del Governo in ordine ad alcuni aspetti. Vi sono molte strutture, soprattutto nel Mezzogiorno, che stanno pagando un prezzo alto per il taglio di alcuni finanziamenti e mi riferisco ai fondi per l'edilizia sanitaria. In proposito, abbiamo apprezzato l'iniziativa assunta
nei giorni scorsi dal presidente dei Democratici di sinistra, D'Alema, e dall'ex ministro, la collega, onorevole Livia Turco, che hanno presentato una proposta di legge concernente nuovi interventi a favore delle attrezzature e delle strutture del Mezzogiorno d'Italia.
L'abbiamo sottoscritta con convinzione, perché anche noi siamo consapevoli che occorra diminuire il profondo gap esistente tra i centri di eccellenza del centro-nord, ai quali tanti meridionali si rivolgono attraverso i cosiddetti viaggi della speranza.
Per queste ragioni, continuiamo a difendere ed a preferire il Servizio sanitario nazionale a quello privato. Non vogliamo, inoltre, esportare in Italia il modello americano che ha tagliato l'assistenza sanitaria a oltre 40 milioni di cittadini, i quali sono privi di copertura assicurativa e non ricevono alcuna prestazione.
Per tutte queste ragioni, siamo assolutamente contrari ad esprimere un voto favorevole sulla questione di fiducia posta dal Governo sul decreto-legge in esame; soprattutto, gradiremmo che il Governo garantisse a tutti i deputati la possibilità di confrontarsi liberamente al riguardo (molto probabilmente anche questa volta il decreto-legge non sarà convertito e sarà dichiarato incostituzionale) (Applausi dei deputati dei gruppi Misto-socialisti democratici italiani e Misto-Verdi-L'Ulivo).
PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto l'onorevole Valpiana. Ne ha facoltà.
TIZIANA VALPIANA. Signor Presidente, un cittadino italiano che si sente dire che oggi il Governo pone la questione di fiducia sul decreto-legge n. 81 del 2004, il cui titolo prevede interventi urgenti per fronteggiare situazioni di pericolo per la salute pubblica, potrebbe pensare che, oltre all'emergenza della guerra, nel nostro paese vi sia anche l'emergenza di peste bubbonica o di qualunque altra malattia di quel tipo. A fronte di ciò, il Governo, per non perdere tempo prezioso (mentre il Parlamento vuole assolvere alla sua funzione che gli è propria, vale a dire discutere) e per salvarci dal dilagare della pestilenza, tronca ogni dibattito inutile (e ciò finché il morbo infuria), con la posizione della questione di fiducia.
Invece - come risulta dall'analisi dei contenuti del provvedimento - non si tratta certo di emergenza sanitaria, ma dell'arroganza pura e semplice di questo Governo. È un Governo che non vuole, che non accetta e che non tollera alcun ostacolo per portare avanti i propri disegni.
Mi riferisco, in particolare, a quel disegno di smantellamento del Servizio sanitario nazionale che noi invece vogliamo resti pubblico e solidaristico.
In questo decreto-legge troviamo soltanto misure ordinarie che, semmai, avrebbero dovuto essere adottate attraverso specifici disegni di legge, così da permettere a tutti di entrare nel merito delle mille questioni disparate, e non di affrontarle con un «mordi e fuggi» procedurale, che tuttavia non riesce più a nascondere la scorrettezza di metodo e di merito.
Nel presentare questo provvedimento, il Governo ha sostenuto, senza alcuna vergogna della sua ipocrisia che, dopo marzo, quando su un identico decreto-legge è stata approvata una pregiudiziale di incostituzionalità, sono intervenuti fatti nuovi e straordinari. Ma la stampa, l'opinione pubblica e la televisione non hanno visto questi fatti nuovi e straordinari, bensì solo la mancanza di ogni pudore istituzionale da parte di un Governo che decide di reiterare un decreto già affossato e di porre poi sullo stesso la questione di fiducia. È ormai evidente che l'esecutivo non si ferma davanti a nulla: né alle leggi, né alla Costituzione, né al Capo dello Stato, come ha dimostrato la vergognosa conclusione della vicenda relativa alla legge Gasparri.
Quando una maggioranza, per giustificare i propri comportamenti illegittimi, è costretta ad inventare argomenti come questo, è una maggioranza debole, perché la democrazia è fatta di regole e le regole andrebbero sempre rispettate, ancora di più da chi ha maggiori responsabilità.
Un Governo che chiede la fiducia, ancora prima di ascoltare le intenzioni delle opposizioni - abbiamo presentato meno di un centinaio di emendamenti, con tutto il tempo e il diritto da parte nostra di discuterli -, è un Governo molto debole che ha paura, più che della belligeranza delle opposizioni, delle imboscate che potrebbero provenire da alcuni membri della sua maggioranza. Non è un mistero, ad esempio, che molti deputati della maggioranza non condividono il contenuto dell'articolo 2-septies, quello relativo alla reversibilità del rapporto di lavoro dei medici e alla non esclusività.
Questo Governo indebolito non riesce a stabilire con il Parlamento un rapporto corretto e di confronto, non sa difendere le sue posizioni e le sue idee - a volte, veramente indifendibili - e non sa più mantenere sulle diverse proposte la compattezza della maggioranza.
Quando si governa per colpi di mano, si rischia di commettere dei pasticci; e, in questo decreto, pasticci ve ne sono moltissimi e forse non vi rendete conto delle conseguenze che proprio l'articolo 2-septies produrrà sul rapporto di lavoro dei medici. Dando qualche mancia ad alcune ristrette cerchie di sanitari, pensate di poter recuperare una credibilità che avete perduto. Ma non ci riuscirete, perché la maggior parte dei medici italiani non chiede mance, ma diritti e, soprattutto, un Servizio sanitario nazionale più forte e universalistico.
Con questo decreto-legge istituite strutture, stanziate fondi e individuate coperture in termini superficiali e aleatori e fate ciò attraverso un provvedimento del quale sono già stati evidenziati profili di incostituzionalità. In realtà, si tratta di un decreto-legge doppiamente incostituzionale, perché reitera un provvedimento bocciato, prevedendo articoli aggiuntivi assolutamente insostenibili. E tutto per voi dipende - avete davvero una bella faccia tosta! - dall'attentato dell'11 marzo a Madrid; il terrorismo, adesso, diventa anche un'occasione per operazioni, favoritismi e clientelismi che con l'emergenza sanitaria non hanno nulla a che vedere. Tutto questo per stravolgere l'impianto del nostro sistema sanitario.
L'atteggiamento di questo Governo è davvero subdolo: non si sta finanziando a sufficienza il fondo sanitario nazionale; non si rapportano le risorse destinate alla sanità e al reale fabbisogno; si alimentano le disparità regionali per dimostrare l'inutilità del Servizio sanitario nazionale, aprendo così le porte ai privati, con gravissime ripercussioni sulla salute dei cittadini. Voi, in realtà, state chiedendo la fiducia per destabilizzare il sistema sanitario e per rendere impossibile la gestione pubblica della sanità!
Il vero pericolo per la salute pubblica del nostro paese non è rappresentato né dalla SARS né dall'influenza aviaria, ma dalla politica sanitaria di questo Governo e di questa maggioranza che stanno conducendo il paese alla disfatta, riportandoci in campo sanitario ad un passato che non soddisfa né i cittadini né gli operatori sanitari i quali, sicuramente, non si riconoscono in una norma il cui obiettivo è la distruzione del servizio pubblico e la sua sostituzione con l'impero del mercato e con la mercificazione della salute.
Il 92 per cento dei medici (92 mila 291 dottori) ha scelto, nel nostro paese, il rapporto esclusivo senza esservi obbligato in alcun modo. Se volevate discutere quel principio, dovevate farlo con il coraggio del confronto, con una proposta seria, articolata e complessiva, non con un emendamento che abbiamo ormai imparato tutti a definire «corsaro».
Come si può affidare ad un emendamento la disciplina del 90 per cento delle carriere della professione dei medici del Servizio sanitario nazionale? Questa scelta distruggerà non solo e non tanto le casse dello Stato, ma soprattutto il nostro servizio sanitario, pure riconosciuto, per le sue qualità, come il secondo al mondo. Voi lo state distruggendo con interventi particolaristici, raffazzonati e funzionali solo all'ulteriore privatizzazione delle strutture sanitarie.
Confermo, quindi, la nostra intenzione di esprimere un voto contrario sulla fiducia
ad un Governo che compie un ulteriore passo verso l'affossamento del servizio sanitario pubblico. Un Governo contro il quale tutto il mondo della sanità si è mobilitato; i medici italiani vogliono ben altro. Trentamila medici sono scesi in piazza - e ancora scenderanno il 3 e 4 giugno prossimi - per segnalare che il loro vero problema non è costituito dalla disciplina del rapporto esclusivo. D'altra parte, anche il ministro della sanità ha dichiarato che l'esclusività del rapporto è l'ultimo dei problemi della sanità italiana. Il vero problema è lo smantellamento del Sistema sanitario nazionale e la messa in discussione dei diritti garantiti ai cittadini in termini di prestazioni sanitarie.
Vogliamo far sentire la nostra voce a tutti coloro che in questo momento vivono una precaria condizione di salute, ai non autosufficienti, agli anziani, ai disabili; non è con la confusione che si dà certezza dei diritti ai cittadini.
Il Governo, poi, non ha motivato la posizione della fiducia, il che è tanto più grave se si considera che nella discussione erano emersi sì motivi di dissenso profondi ma non vi era da parte nostra alcuna intenzione ostruzionistica Quindi, la posizione della questione fiducia è un atto grave, di rottura con le opposizioni.
Al riguardo, spero che nessuno cada nel ridicolo, affermando che abbiamo presentato troppi emendamenti; le poche proposte emendative presentate si potevano discutere e votare, ma in realtà questo Governo ha posto la questione di fiducia per guardarsi dalla propria maggioranza.
Come intendete, allora, continuare a governare il paese? Sempre con decreti-legge convertiti a mezzo di votazioni di fiducia? Sempre con provvedimenti blindati?
Vorrei poi sottolineare con forza la gravità di una mancata risposta positiva del Governo circa la questione dei medici specializzandi, questione di cui, ormai, troppo abbiamo parlato in questa Assemblea, sicché non vale la pena dilungarsi oltre in proposito. Debbo, però, aggiungere che, in realtà, non avete trovato una soluzione al riguardo perché non vi interessa né la sanità di oggi né, tanto meno, la preparazione professionale ed i diritti degli operatori della sanità di domani.
Questo Governo non è capace di rapporti equilibrati con il Parlamento; vi è uno squilibrio tra il potere legislativo ed il potere esecutivo: approvate deleghe legislative e convertite decreti-legge a mezzo della fiducia. E cosa rimane che possa discutersi in Parlamento?
State governando il paese come si comanda in una caserma, ma per un tale pericolo vi è un solo rimedio: che ve ne andiate al più presto. Sono sicura che gli italiani sapranno usare bene il loro diritto di voto, il 13 giugno (Applausi dei deputati del gruppo di Rifondazione comunista e di deputati della Margherita, DL-L'Ulivo).
PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto l'onorevole Ercole. Ne ha facoltà.
CESARE ERCOLE. Signor Presidente, onorevoli colleghi, a cinque anni dall'approvazione del decreto legislativo n. 299 del 1999, è giunto il momento di fare il punto della situazione sui principali problemi e sulle inefficienze del sistema sanitario, come delineato dalla cosiddetta «riforma-ter» della sanità; i criteri di aziendalizzazione, di ridefinizione dei confini tra «pubblico» e privato, nonché di valorizzazione del legame tra operatori sanitari e Servizio sanitario nazionale posti alla base del decreto legislativo n. 299 del 1999 hanno, infatti, mostrato, con il passare degli anni, numerose lacune ed incongruenze, sia in relazione ai profili organizzativi e gestionali del Servizio sanitario nazionale, sia in relazione agli aspetti attinenti ai rapporti con il personale sanitario. Centralismo, assenza di vera concorrenza nella erogazione dei servizi sanitari, prepotere dei partiti nella gestione del sistema, deresponsabilizzazione diffusa, debolezza del sistema dei controlli di qualità, svilimento delle professioni sanitarie: queste sono le grandi problematiche emerse dall'attuazione della cosiddetta riforma Bindi, che, con il passare del tempo, rischiano di ingessare lo sviluppo del settore.
Il prevalere di un approccio centralistico e burocratico al problema tende infatti a svilire le istanze di riforma e di cambiamento provenienti dal basso, in ottemperanza ai principi di sussidiarietà e flessibilità. L'imposizione alle regioni di un rigido modello di accreditamento e di accordo contrattuale con gli erogatori non consente di attivare un effettivo controllo tra l'universo pubblico e quello privato. La prevalenza delle logiche partitiche nella direzione delle strutture favorisce una deresponsabilizzazione diffusa, che rallenta il raggiungimento degli obiettivi di efficacia ed efficienza ed ostacola l'implementazione di un sistema di controlli di qualità.
La maggiore autonomia regionale in materie ad alta rilevanza sociale non può, in se stessa, ritenersi antitetica al principio di eguaglianza. Dopo trent'anni di regionalismo dell'uniformità, votato a garantire livelli di servizi omogenei in tutto il paese, tale risultato non è stato raggiunto. Il paradosso del metodo implicato nel regionalismo dell'uniformità è stato infatti quello di non essere riuscito, nonostante vari decenni di applicazione, a garantire l'unificazione delle condizioni di vita. Basti pensare a quanto la realtà sanitaria lombarda sia diversa da quella delle altre regioni. Si è prodotto egualitarismo, ma non reale eguaglianza.
Al contrario, in altre esperienze, quale ad esempio quella spagnola, proprio il meccanismo del regionalismo asimmetrico ha contribuito ad avviare un circolo virtuoso dell'autonomia regionale, con un quadro complessivo che si è ora assestato in un generalizzato livellamento verso l'alto dei poteri delle comunità.
In Italia, è possibile esprimere un giudizio positivo sul nuovo protagonismo regionale in materia di welfare, non soltanto fondandolo sugli argomenti più tradizionalmente invocati per descrivere i vantaggi che la gestione decentrata dei servizi sociali comporta rispetto a quella accentrata (vicinanza tra governanti e governati e conseguente maggiore possibilità di monitorare il rapporto tra costi e benefici, vale a dire tra le imposte prelevate e i servizi resi, in una dinamica che rende gli amministratori locali maggiormente responsabili dei loro comportamenti). Per tali motivi, l'affermazione per cui l'uguaglianza richiede l'uniformità o quella per cui tra federalismo e Stato sociale esiste un conflitto insanabile può risultare smentita dalla possibilità di forme di risposta alle necessità sociali più efficaci di quelle ipotizzabili in base ad una politica uniforme su tutto il territorio nazionale.
Al di là dei problemi afferenti il sistema organizzativo e gestionale del Servizio sanitario nazionale, uno dei limiti più discussi della riforma Bindi è costituito dalla gestione del personale sanitario secondo logiche di pianificazione centralizzata delle prestazioni, spesso contrastanti con le esigenze di valorizzazione della professionalità dei medici e degli operatori sanitari. Sulla questione della gestione dei rapporti tra il Servizio sanitario nazionale e il personale medico si è recentemente sviluppata un'ampia riflessione, sia a livello politico sia a livello scientifico, in merito alle conseguenze derivanti dall'adozione di un modello di esclusività fra il Servizio sanitario nazionale e la dirigenza medica.
Fra i profili di analisi più significativi, segnalo, in particolare, la riflessione sul sistema dell'intra moenia, introdotto dalla riforma Bindi quale nuovo meccanismo che, da una parte, consente ai medici di esercitare la libera attività professionale all'interno dell'ospedale e, dall'altra, promuove una sorta di concorrenza interna tra i servizi gestiti in regime ordinario e i servizi gestiti intra moenia. I risultati delle indagini compiute sull'intra moenia testimoniano il sostanziale fallimento di tale meccanismo, sia dal punto di vista della convenienza economica per il Servizio sanitario nazionale sia dal punto di vista del successo dell'istituto presso gli operatori sanitari e gli utenti.
A conferma dei dati emersi dal rapporto dell'Agenzia per i servizi sanitari regionali, un'ulteriore testimonianza del fallimento sostanziale dell'intra moenia si ricava dall'indagine conoscitiva in materia promossa dalla XII Commissione della
Camera dei deputati. La relazione approvata a conclusione dell'indagine ha infatti evidenziato che i risultati attesi sono ancora molto lontani dall'essere raggiunti, anche in considerazione del fatto che in molte aree del paese l'attuazione dell'istituto è ancora all'«anno zero», a causa della complessità degli investimenti e delle procedure necessarie per garantire le condizioni di base dell'esercizio dell'attività intramuraria e, in alcuni casi, per le resistenze culturali da parte dei vertici delle ASL.
Da tutti questi dati emergono chiaramente sia i ritardi che accompagnano la diffusione dell'istituto - soprattutto in relazione a determinate aree territoriali e a determinate tipologie di prestazioni - sia gli scarsi risultati in termini di convenienza economica derivati dall'implementazione del medesimo.
Pertanto, alla luce di queste considerazioni, riteniamo opportuno un ripensamento dell'intero assetto della dirigenza medica come configurato dalla riforma Bindi, a partire dall'elemento maggiormente contestato del decreto legislativo n. 229 del 1999, quello relativo al regime di esclusività del rapporto di lavoro.
Siamo di fronte ad un momento cruciale per la politica sanitaria di questa maggioranza e di questo paese. Dopo tre anni di Governo viene finalmente scardinato un principio chiave della riforma sanitaria voluta nella scorsa legislatura dall'allora maggioranza, quello relativo all'esclusività del rapporto di lavoro. Era scritto nel programma elettorale della Casa delle libertà: la libera professione rappresenta un diritto fondamentale e irrinunciabile dei medici, che non possono essere privati di quello che è un principio cardine della professione da loro liberamente, ma soprattutto deliberatamente, scelta. Ora, tale fondamentale diritto torna ad essere integrato nella professione medica, indipendentemente dal luogo e dalla natura dell'attività svolta.
Una riforma radicale, quindi, quella in esame, una sorta di ritorno alle origini di quello che la professione medica ha sempre rappresentato nel corso della sua prestigiosa tradizione. Il medico non è un burocrate a mezze maniche. Di qui le critiche dell'opposizione, che parlano di colpo di mano della maggioranza, di violazione delle norme costituzionali, di uso perverso delle regole parlamentari nella realizzazione delle riforme. Critiche severe che cercano di privare di dignità quello che in fondo è un diritto fondamentale della maggioranza: l'attuazione del programma elettorale.
Certo, si potrebbe obiettare che non è con un decreto-legge che si cambiano le regole del gioco quando ad essere in discussione sono i diritti fondamentali dei cittadini, come quello alla tutela della salute o alla libertà nell'esercizio della propria professione. Pur tuttavia, in molte circostanze, come in quella che ci troviamo ad affrontare, l'impraticabilità dei percorsi ordinari di intervento costringe a cercare strade alternative che consentano di raggiungere risultati certi in tempi definiti. Quante volte in questa sede parlamentare abbiamo sollecitato il Governo ad intervenire sul tema dell'esclusività del rapporto di lavoro della dirigenza medica, dando attuazione a quello che era e che rimane un punto cardine della politica sanitaria di questa maggioranza!
A tre anni dall'inizio della legislatura, possiamo affermare che i numerosi tentativi di formalizzare un testo ufficiale di riforma del settore non erano attribuibili tanto a presunte incertezze del ministro sul tema, quanto ad ostacoli politici e procedurali che si frapponevano al raggiungimento di un primo seppur parziale risultato. Un testo sospeso in Conferenza Stato-regioni da oltre sei mesi: questo è il risultato prodotto negli ultimi tre anni nel tentativo di dare attuazione al programma di maggioranza sulla dirigenza medica nel rispetto delle regole ordinarie! Per questi motivi, non ci si può stupire del fatto che un Governo, nel tentativo di rispettare il suo patto con gli elettori, ricorra a tutti gli strumenti a sua disposizione, nel rispetto ovviamente delle regole consolidate.
Certo, rimangono delle perplessità sulle modalità dell'intervento. La Lega, al riguardo, ritiene non del tutto condivisibile
la soluzione adottata nel decreto-legge in esame per riformare un settore così complesso ed articolato come quello dell'esclusività del rapporto di lavoro della dirigenza medica. In particolare, la Lega auspica una riforma più ampia del settore, che sappia adeguare la disciplina alle nuove competenze regionali in materia di salute e che soprattutto sappia fornire massime garanzie ai cittadini circa il superamento di situazioni di conflitto di interessi destinate a nuocere al servizio.
Ciò nonostante, siamo di fronte ad un primo passo, certo parziale ed incompleto, ma comunque definito, alla scelta, compiuta dalla maggioranza degli elettori verso un sistema più liberale e democratico, che viene realizzata nel tentativo di superare quelle anomalie e quelle contraddizioni che la precedente maggioranza ci ha lasciato come eredità del suo operato. La riforma attuata in questo settore nella XIII legislatura ha avuto infatti come risultato quello di paralizzare e condannare la crisi del mondo medico e scientifico. Anche per questi motivi, ben venga il sostegno alla ricerca scientifica anche a carattere internazionale!
La Lega, quindi, intende rinnovare la sua fiducia a questo Governo, che ancora una volta sa essere interprete di quel desiderio di cambiamento senza il quale il nostro paese rischia di rimanere ingessato in regole obsolete. È allora con questa fiducia che noi intendiamo rinnovare il nostro impegno politico e morale nei confronti degli elettori, battendoci ancora una volta per un sistema sanitario con meno burocrazia e più servizi (Applausi dei deputati dei gruppi della Lega Nord Federazione Padana e di Forza Italia).
PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto l'onorevole Maura Cossutta. Ne ha facoltà.
MAURA COSSUTTA. Signor Presidente, aver posto la questione di fiducia su questo decreto-legge rappresenta un atto grave - noi lo riteniamo tale -, una decisione politica di arroganza e, insieme, anche di debolezza. Si tratta di un decreto illegittimo - lo abbiamo già detto - che reitera parti intere del decreto-legge n. 10 del 21 gennaio scorso, respinto dalla Camera proprio con l'approvazione di questioni pregiudiziali di incostituzionalità, un provvedimento, dunque, varato in spregio alle norme regolamentari, alle norme costituzionali e alle dichiarazioni stesse del Presidente della Repubblica.
Un decreto-legge che non aveva e che non ha alcun motivo di necessità ed urgenza, un decreto-blitz; perché questo avete fatto: avete introdotto in un decreto-legge su cui addirittura chiedete la fiducia, una norma che sopprime l'esclusività del rapporto di lavoro dei medici del Servizio sanitario nazionale. Chiedete la fiducia per blindarlo all'interno innanzitutto della vostra maggioranza, perché sapete che forti malumori sono presenti nelle vostre file. Chiedete la fiducia, impedendo la discussione! Avreste potuto presentare, come abbiamo fatto noi quando eravamo al Governo, una proposta di legge chiara per modificare, stravolgere e cancellare - come dite di voler fare - la cosiddetta riforma Bindi. Ma non l'avete fatto in modo chiaro e trasparente, con un confronto nel paese con le organizzazioni sindacali, con gli operatori, con le regioni, e in Parlamento con le Commissioni competenti. Avete scelto invece la strada di un decreto-blitz, un decreto-legge su cui ponete persino la questione di fiducia.
Ancora una volta chiedete la fiducia - ricordo che la scorsa settimana l'avete chiesta al Senato sul provvedimento in materia di pensioni - su temi decisivi, strategici, che riguardano il nostro modello di società, il nostro sistema di welfare. Voi non volete, né chiedete il confronto, ma volete solo la fiducia! Il vostro è un atto di arroganza politica, non di forza politica.
Deve essere chiaro, però, che, mentre voi ponete la questione di fiducia, tutte le sigle sindacali sono contro questo decreto-legge e hanno già proclamato un altro sciopero. Sarà il quarto dall'inizio dell'anno: i medici e tutti gli operatori della sanità scendono in piazza e protestano non per avere le mance per lavorare fuori
dagli ospedali sulla pelle dei cittadini e dei malati, ma per chiedere con serietà e coerenza il rispetto dei diritti dovuti, cioè il rispetto del contratto scaduto e che non avete rinnovato. Addirittura voi cercate di fare cassa attraverso la riforma fiscale, bloccando persino i contratti del pubblico impiego: questo dovete dire agli operatori della sanità ed al paese!
Gli operatori scenderanno in sciopero non perché chiedono di sopprimere l'esclusività, ma perché chiedono di lavorare meglio, con diritti certi, all'interno di un Servizio sanitario nazionale pubblico e universalistico. Vi è una vertenza «sanità» che sta crescendo anche nelle regioni governate da voi, perché le vostre scelte sono pesanti e penalizzano la sanità pubblica.
La vostra linea è quella della povertà pubblica e della ricchezza privata. La sanità pubblica ed il Servizio sanitario nazionale, a causa della scelta di abolire l'esclusività, saranno di fatto un passaggio obbligato, la porta dorata verso la sanità privata. I dirigenti del Servizio sanitario nazionale, i medici che operano e dirigono le strutture pubbliche potranno lavorare all'esterno, umiliando non soltanto i diritti e la dignità dei malati, ma persino i diritti e la dignità degli operatori. È un tuffo nel passato! I malati saranno sempre più soli, ricattati, lasciati a contrattare da soli, rispetto al ricatto delle lobby potenti dei medici e delle cliniche private, il loro bisogno sanitario.
Altro che provvedimento di necessità e di urgenza! Altro che decreto per abolire l'esclusività! Altre dovevano essere le scelte, che sono ben chiare nella piattaforma di mobilitazione dello sciopero proclamato da tutte le sigle sindacali dei medici.
Il nostro sistema ha bisogno di finanziamenti, di finanziamenti certi, di finanziamenti pubblici: il finanziamento pubblico e la programmazione pubblica - i due capisaldi del nostro sistema - debbono essere garantiti.
Serve trasparenza, servono regole che sanciscano diritti per i lavoratori e certezza del diritto costituzionale alla salute per i malati, ma servono anche risorse aggiuntive per il nostro sud, dov'è sempre più difficile difendere ciò che appare indifendibile - il Servizio sanitario nazionale - dal momento che, nel sud, quasi tutte le strutture (ad esempio, quelle riabilitative, di dialisi, di cure specialistiche) sono in mano ai privati. Dunque - lo ripeto - servono risorse certe per il Servizio sanitario nazionale e risorse aggiuntive per il sud.
Serve, infine, la qualità delle prestazioni. Altro che libertà del mercato dell'offerta, come insegna il modello «Formigoni» in Lombardia!
Voi state chiedendo la fiducia su un provvedimento illegittimo, su un provvedimento «blitz», quando altre sarebbero le urgenze della nostra sanità pubblica e del nostro paese! Si tratta di un atto grave, di un atto di arroganza che dimostra la grande debolezza di questo Governo: un Governo sempre più pericoloso per l'assetto del nostro sistema di welfare, per i diritti consolidati dei lavoratori e dei cittadini; un Governo che, al più presto, se ne deve andare a casa (Applausi del deputato Bindi)!
PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto l'onorevole Mereu. Ne ha facoltà.
ANTONIO MEREU. Signor Presidente, onorevoli colleghi, non fa parte del nostro modo di essere respingere a priori le osservazioni e le proposte provenienti dall'opposizione - in special modo, quando queste sono condivisibili - ma, francamente, di fronte ad un testo che pure aveva riscosso valutazioni positive, in questa sede come al Senato, nelle Commissioni di merito, trovo quanto meno singolare che l'opposizione medesima voglia affossare un provvedimento che contiene disposizioni importanti, urgenti e necessarie per la salute della collettività.
Non è possibile essere contrari ad una disposizione che prevede un centro di coordinamento unico per far fronte ad emergenze come la SARS, le malattie infettive ed il bioterrorismo. Allo stesso modo, dopo avere imputato in tante occasioni
al Governo una scarsa attenzione ai temi della ricerca, non si può non essere favorevoli a progetti di ricerca, in collaborazione con gli Stati Uniti, nei campi dell'oncologia, delle malattie rare e del bioterrorismo; peraltro, in tal modo si contrasta la tendenza, spesso lamentata dall'opposizione, della fuga dei nostri cervelli all'estero.
Il decreto-legge in esame destina fondi alla prevenzione secondaria dei tumori ed al Centro nazionale per i trapianti, ma sembra che tutto ciò debba passare in secondo piano rispetto a valutazioni di principio dietro le quali si celano obiettivi di altra natura. Per ben due volte, infatti, la Commissione affari costituzionali ha espresso parere favorevole: oggi, sul provvedimento al nostro esame e, a suo tempo, sul decreto-legge n. 10 del 2004, la cui bocciatura, lungi dal rappresentare, allora come oggi, una volontà specifica di quest'Assemblea, fu solo accidentale.
Prima di affrontare il nodo più sensibile del provvedimento, quello, cioè, che ha maggiormente accentrato l'attenzione dell'opposizione, vorrei ricordare due aspetti che richiedevano un intervento del Governo. Mi riferisco alle richieste delle organizzazioni rappresentative dei medici di famiglia e dei pediatri concernenti regole più semplici per il trattamento dei dati personali dei pazienti (quelle in vigore impedivano un corretto rapporto tra medico ed utente), la validità dei contratti collettivi su tutto il territorio nazionale e la loro conformità a quelli definiti con l'organismo tecnico rappresentativo delle regioni e dello Stato, cui è demandata la trattativa.
MAURA COSSUTTA. Dovete dargli i soldi per le convenzioni!
ANTONIO MEREU. Tuttavia, come abbiamo già accennato, tutti questi temi sono passati, per l'opposizione, in second'ordine rispetto al problema della reversibilità del rapporto dei medici ospedalieri, in quanto tale disposizione, introdotta dal Senato, svuoterebbe, di fatto, uno dei cardini della cosiddetta riforma Bindi. Si è cercato di dare una visione distorta ed apocalittica delle conseguenze di questa modifica. Si è cercato di smontarla adducendo motivazioni costituzionali con una questione pregiudiziale sconfessata proprio in virtù della riforma del Titolo V della Costituzione, che il centrosinistra ha fortemente voluto nella passata di legislatura, poiché non si ravvisa alcuna lesione delle prerogative delle regioni conseguenti alla reversibilità dell'opzione dei medici ospedalieri.
Mi sembra che siamo di fronte più ad una difesa ad oltranza della riforma Bindi che alla difesa della qualità del servizio sanitario che, peraltro, ha avuto un riconoscimento non formale da parte dell'Organizzazione mondiale della sanità, la quale ha collocato il nostro paese al secondo posto nella graduatoria relativa alla qualità dei servizi offerti, come ha ricordato il sottosegretario Cursi nel corso del dibattito sul provvedimento in esame.
Pertanto, il tentativo di far passare un messaggio negativo sul decreto-legge va sconfitto e superato. Siamo coscienti delle difficoltà che il nostro paese, così come i paesi europei nostri partner, deve affrontare per mantenere gli impegni di contenimento della spesa pubblica. Sappiamo che le risorse finanziarie non consentono spese folli in questo senso, ma questo non ci impedisce di considerare buona la nostra sanità.
Concludo annunciando, per quanto sopra esposto, il voto favorevole del gruppo dell'Unione dei democratici cristiani e dei democratici di centro sulla questione di fiducia posta dal Governo.
PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto l'onorevole Bindi. Ne ha facoltà.
ROSY BINDI. Signor Presidente, in meno di una settimana il Governo chiede una seconda fiducia: giovedì scorso per smantellare le pensioni, oggi per controriformare la sanità. Questioni cruciali di grande portata che toccano la vita di milioni di famiglie e ridisegnano l'impianto del nostro modello di welfare vengono imposte senza che il Parlamento
possa discuterne le finalità e gli effetti, senza il coinvolgimento e il confronto con le parti sociali, i cittadini e i sindacati, ignorando il parere contrario delle regioni.
Si ricorre alla questione di fiducia su un decreto-legge palesemente incostituzionale - per questo già respinto una volta da questo Parlamento - per incassare un risultato che non porterà alcun beneficio, né immediato né futuro, al paese. Un decreto-legge che mette a rischio la tenuta del sistema sanitario italiano. È solo una drammatica coincidenza se questo voto ci viene chiesto nelle ore più difficili del conflitto iracheno, quando i nostri cuori sono turbati e sgomenti per la morte di un altro giovane soldato a Nassiriya e ci sentiamo, come tutti gli italiani, solidali e vicini allo strazio della famiglia, così come ci stringiamo intorno alle famiglie degli ostaggi.
Ma è una coincidenza che non possiamo ignorare e sulla quale non sarebbe giusto chiudere gli occhi perché svela la coerente mediocrità ed inconsistenza di questo esecutivo. Non abbiamo alcuna intenzione di sfruttare questa coincidenza. È la dura realtà dei fatti che ci costringe a registrare il vostro fallimento nella gestione della cosa pubblica. Ancora una volta, infatti, il Governo non affronta l'emergenza del paese, ma procede con azzardi continui o rinviando le decisioni, senza un disegno chiaro ed autorevole, sia che si tratti della politica estera, dove assistiamo alle contorsioni verbali del ministro degli esteri, del Viceministro e del Presidente del Consiglio, senza che sia messa in opera una qualsiasi iniziativa politica e diplomatica che segni una svolta radicale della guerra che si fa di giorno in giorno più devastante e terribile, sia che si tratti di politica economica, dove da settimane si ripete l'inutile ed inconcludente rito dei vertici di maggioranza sulla riduzione delle tasse cui si vorrebbe affidare l'impossibile missione di agganciare la ripresa economica, rivitalizzare la produttività delle imprese, rilanciare i consumi ed arrestare la crisi di fiducia delle famiglie, sia, infine, che si tratti della politica sociale, dove il Governo si distingue per un colpevole strabismo, vara un'iniqua riforma sulle pensioni che entrerà in vigore nel 2008 con la sola speranza di rinviare la bocciatura dell'Europa e non vede le difficoltà quotidiane di milioni di cittadini, dai pensionati al minimo ai giovani precari alle famiglie, che faticano ad arrivare alla fine del mese e che misurano la costante erosione della qualità e della quantità dei servizi pubblici.
Un Governo strabico e bugiardo anche sulla sanità. Cosa dobbiamo votare oggi? Su cosa ci viene chiesta la fiducia? Su un decreto che impropriamente è denominato «emergenze sanitarie», che in sei articoli non contiene nulla di realmente urgente, tanto meno in grado di far fronte alle vere emergenze della sanità pubblica. È un atto di furbizia del ministro, che ha approfittato dello strumento della legislazione d'urgenza per mettere a segno alcune misure che definire clientelari è poco. Non siamo contrari alla ricerca genetica, ma ci si deve spiegare perché bisognerebbe creare un nuovo centro di ricerca proprio all'ospedale Maggiore di Milano, nella città dove è stato assessore e nella struttura in cui è primario. Non ci sono forse altre strutture altrettanto, se non più appropriate e qualificate in altre regioni?
Non siamo certo contrari alla lotta contro il bioterrorismo, ma ci si deve spiegare perché questo compito non può essere svolto dall'Istituto superiore di sanità e si deve invece finanziare un improbabile centro presso il Ministero della salute, che nella logica del federalismo serio dovrebbe potenziare non i compiti di gestione, ma quelli di indirizzo e di controllo sugli effettivi livelli di assistenza, a cui hanno diritto tutti i cittadini, dal nord al sud del paese.
Qual è l'urgenza di queste iniziative? Dov'è l'emergenza? Altri e ben più pesanti sono i problemi della sanità italiana! Altri e ben più seri sono i bisogni di salute dei cittadini, dimenticati e penalizzati da una strategia di progressivo e massiccio disimpegno del Governo! La spesa sanitaria a carico delle famiglie è cresciuta in modo esponenziale, a cominciare dai costi per le medicine, aumentati del 15 per cento nell'ultimo
anno, come registra l'osservatorio sui medicinali dello stesso Ministero della salute. È in corso un processo strisciante di privatizzazione, come denunciano i dati pubblicati questa mattina dall'ISTAT. Gli ospedali pubblici, a corto di finanziamenti per gli investimenti, si impoveriscono e vengono addirittura venduti dalle regioni, che poi devono pagare l'affitto con i soldi destinati all'assistenza, che di fatto si riduce. Si allungano a dismisura le liste di attesa e la sanità del Mezzogiorno non si qualifica, anzi accelera il suo declino. C'è una vertenza sulla sanità che si trascina da almeno tre anni, con un conflitto aperto tra regioni e Governo, tra il Governo e l'intero mondo delle professioni sanitarie. Dai medici agli infermieri, dagli specializzandi ai veterinari, si chiede inutilmente ascolto e confronto, un segnale di vita dal Governo.
Al centro di questa vertenza ci sono tre problemi seri: il sottofinanziamento della sanità pubblica, la devolution e il rinnovo dei contratti. Si sono ripetute manifestazioni e assemblee; i medici hanno scioperato per ben tre volte ed è annunciato uno sciopero per le prossime settimane. Ma i medici non sono sul piede di guerra per interessi corporativi: lo sono perché vogliono sottolineare i rischi che stanno vivendo il Servizio sanitario nazionale e la tutela della salute dei cittadini.
E il Governo cosa fa? Nulla! Manda avanti la sua maggioranza al Senato, che con un emendamento cancella il rapporto esclusivo dei medici e la riforma del 1999. Non è quello che hanno chiesto e che chiedono i professionisti della sanità, non è quello che vogliono le regioni, che infatti hanno già annunciato l'ennesimo ricorso davanti alla Corte costituzionale. Ancora una volta, i cittadini chiedono tutela dei diritti e i professionisti il rispetto e la valorizzazione della propria dignità: ma il Governo risponde riproponendo vecchi privilegi.
Il principio dell'esclusività di rapporto non è, come sostiene il ministro, la riduzione dei professionisti a semplici dipendenti pubblici - come se fosse una vergogna, una deminutio, lavorare per la cosa pubblica - ma il modo per superare la dicotomia tra una concezione ottocentesca della professione e la missione della sanità pubblica, il modo per conciliare la libertà e l'autonomia della professione con i valori e la finalità del servizio pubblico. La missione della sanità pubblica, infatti, è quella di promuovere e tutelare la salute dei cittadini, attraverso la valorizzazione delle loro professioni e il riconoscimento della loro dignità; è quella di coniugare le aspirazioni e le aspettative di chi vi lavora con la domanda di salute e di accoglienza di chi vuol farsi curare. Cancellare l'esclusività di rapporto significa riproporre la dicotomia e la conflittualità tra il servizio pubblico e i suoi professionisti, tra l'interesse del medico e l'interesse dei cittadini. Il servizio pubblico rinuncerà a valorizzare i propri medici e non potrà più contare sulla loro dedizione e i medici cercheranno altrove le proprie gratificazioni professionali ed economiche, come hanno sempre fatto prima del 1999. Ma in questo modo la sanità non reggerà a lungo. Come non regge la scuola, se non può contare sulla passione e l'impegno degli insegnanti, come non regge l'università italiana senza i ricercatori e i professori, così non reggerà la sanità, se non potrà contare più sul pieno e totale coinvolgimento dei medici.
Tutti i sindacati hanno chiesto rinnovi contrattuali - che non avranno -, nell'ambito di un forte Servizio sanitario nazionale, ed hanno chiesto flessibilità nell'applicazione dell'esclusività di rapporto (che un nostro emendamento prevedeva), ma non la sua eliminazione. Voi promettete di abbattere le liste d'attesa: certo, non ci saranno più liste di attesa, perché non vi saranno più medici che effettueranno visite negli ospedali pubblici, dal momento che, d'ora in poi, esami e visite verranno svolte nelle cliniche e negli studi privati. Avete trovato, inoltre, anche il modo per ridurre il finanziamento alla sanità pubblica.
A che serve tale azzardo? A cosa serve annunciare una controriforma che premia pochi privilegiati, penalizza la stragrande maggioranza dei medici che lavora nel servizio pubblico e mette a rischio la
qualità dell'assistenza ai cittadini? Vi illudete che serva alla vostra propaganda elettorale, ma non state facendo i conti con gli italiani, che non ne possono più di un Governo che ripristina i privilegi ed abbassa i livelli di assistenza. Non convincerete neppure i medici, perché il 90 per cento di loro ha scelto il rapporto esclusivo con il Servizio sanitario nazionale ed è interessato al suo funzionamento, non ai privilegi di pochi nostalgici, alcuni dei quali siedono anche in questo Parlamento.
Non conoscete la fatica ed il coraggio dei riformatori. Avete sperimentato la vostra impotenza per tre anni, quando per ben 45 volte è stata respinta sia dalle regioni, sia dai sindacati la vostra riscrittura della riforma varata dal Governo dell'Ulivo. Oggi mostrate l'arroganza e la mediocrità di chi vuole controriformare un settore decisivo della società italiana, imponendo alla propria maggioranza e al paese la rinuncia a riqualificare e a rafforzare il diritto alla salute.
Otterrete in Parlamento la fiducia, ma quella fiducia che oggi qui imponete vi sarà negata nel paese, che già guarda verso di noi ed ha voltato le spalle a questa maggioranza (Applausi dei deputati dei gruppi della Margherita, DL-L'Ulivo, dei Democratici di sinistra-L'Ulivo e Misto-Comunisti italiani - Congratulazioni).
PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto l'onorevole Giulio Conti. Ne ha facoltà.
GIULIO CONTI. Signor Presidente, onorevoli colleghi, stiamo affrontando un argomento di grande rilevanza ed importanza, che non credo si possa «liquidare» o risolvere con degli slogan. È evidente che il Servizio sanitario nazionale è al centro della nostra discussione, ma è altresì chiaro che vi sono anche delle emergenze sanitarie da affrontare.
L'opposizione lo nega, ma ritengo che tali emergenze sussistano. A parte il bioterrorismo, che ogni giorno di più ci impone di affrontare tale problema in un ambito diverso dal Servizio sanitario nazionale, poiché si tratta di un fenomeno molto legato a vicende alle quali non siamo preparati, è altresì vero che siamo stati molto impegnati sia come partito, sia come Commissione affari sociali (quindi, dal punto di vista politico ed istituzionale) sul tema della ricerca.
Mi sembra che l'attuale Governo stia facendo passi in avanti molto consistenti in tal senso. Non mi soffermerei molto su un problema localistico, vale a dire dove debba essere stabilita la sede dell'Istituto di ricerca sulla genetica molecolare (Milano, Roma, Napoli oppure Palermo), poiché ritengo essenziale compiere un passo in avanti verso la costituzione di una struttura del genere, perché l'Italia ne ha estremo bisogno.
Per quanto concerne tale questione, non ritengo sia una scelta negativa centralizzare un istituto di ricerca di questo genere, poiché non credo sia opportuno suddividerlo tra venti regioni; in altri termini, non ritengo opportuno creare venti istituti di genetica molecolare, uno per regione, come vorrebbero la cosiddetta riforma Bindi, provvedimenti precedenti ed anche la riforma del Titolo V della Costituzione. A tale proposito, vorrei segnalare che parlo a titolo personale, anche rispetto agli orientamenti emersi nel mio gruppo.
Dovremmo rivedere, a mio avviso, l'impostazione di fondo riguardo al tema della ricerca; ritengo infatti impensabile che la ricerca possa avere un carattere regionale, in un contesto europeo e mondiale come il nostro, perché, altrimenti, saremmo veramente dei retrogadi e dei «passatisti». Dobbiamo guardare avanti e centralizzare l'attività di ricerca, finanziandola in modo costruttivo e propositivo e coinvolgendo in tal senso i privati, anche se sotto la direzione del settore pubblico. Questa è la nostra visione del problema, e ritengo che tale passaggio sia molto importante.
Non riesco a comprendere, tuttavia, perché si debba creare una contrapposizione tra l'Istituto superiore di sanità e l'Istituto nazionale di genetica molecolare. Mi sembra, infatti, che si tratti di una strumentalizzazione condotta dall'onorevole Bindi, che in questo caso credo non
abbia veramente motivo di sussistere e non abbia alcuna giustificazione di natura politica.
Un altro tema affrontato dal decreto-legge in esame riguarda gli screening di prevenzione per quanto concerne il cancro.
Abbiamo votato, in questa Camera, diverse mozioni su tale argomento, come quella sul tumore della mammella e quella sul tumore del colon retto, nonché altri provvedimenti ai quali questo decreto-legge va incontro finanziando le richieste espresse - spesso all'unanimità - da questa Camera. Quindi, non riesco a capire come oggi possa essere valutato negativamente questo passaggio che mira a dare attuazione a richieste unitarie e, spesso, plebiscitarie della Camera dei deputati.
Un altro argomento che non possiamo non considerare è il finanziamento delle attività dei centri di trapianto, centrali e regionali. Mi sembra ovvio, infatti, che per il 2004, il 2005 e il 2006 il Governo adottasse tale iniziativa. Ciò anche in riferimento alle polemiche e alle critiche che vi furono in relazione al centro trapianti della città di Palermo, quando non si trovarono le risorse necessarie a trattenere in Italia un ricercatore, abile chirurgo, che tornò negli Stati Uniti (paese in cui il finanziamento di questo tipo di iniziative medico-chirurgiche e di ricerca molto avanzata ed altamente tecnologica è invece previsto).
Non voglio evitare il discorso sulla reversibilità o irreversibilità del rapporto. Si tratta di una battaglia che tutti noi abbiamo condotto molte volte, soprattutto in Commissione affari sociali, ma anche a livello di formazione culturale, di confronto e di dibattito aperto su tali argomenti. Credo che l'irreversibilità del rapporto sia un'estremizzazione della riforma Bindi, un attacco di fanatismo volto a costringere il medico a non svolgere attività al di fuori del suo dovere d'ufficio, ossia di dipendente...
TIZIANA VALPIANA. Anche gli operai della FIAT...
GIULIO CONTI. Credo che per tutte le professioni sia prevista tale possibilità, più o meno riconosciuta, che progredisce attraverso le competenze e i consulti, nonché con altri sistemi che richiedono una prestazione anche al di fuori dei doveri derivanti dal rapporto di dipendenza con lo Stato. Ritengo che questo sia un dato di fatto che non possa essere rinnegato nel settore della sanità.
Voglio svolgere un'altra considerazione, forse di carattere più personale che politico. Senza tale estremizzazione dell'irreversibilità, molti provvedimenti che la maggioranza di Governo è stata costretta ad assumere, sia in campagna elettorale sia con questo decreto-legge, non sarebbero stati necessari. Non si sarebbe arrivati neppure ad esplicitare le norme contenute nel decreto-legge in esame.
Parliamo dell'esclusività del rapporto. Questo decreto-legge non va contro di essa, perché garantisce l'indennità di esclusività a coloro che scelgono tale regime. Dunque, non viene eliminata l'indennità di esclusività e chi vuole continuare a svolgere in ospedale un lavoro a tempo pieno, a completa disposizione dell'ospedale stesso, mostrando un positivo attaccamento alla sua professione, può tranquillamente farlo. Il cambiamento della normativa vale per coloro che vogliono una diversa collocazione rispetto a ciò che stabilisce la legge tuttora vigente.
Credo sia un passaggio da valutare; su ciò sono perfettamente d'accordo. Controlliamo se il medico rispetta il proprio orario di lavoro nei confronti dell'istituzione pubblica; controlliamo se, anziché svolgere la sua attività solo per il pubblico, la esercita anche per le sue tasche e per il privato. Ma questo è un altro discorso, che noi di Alleanza nazionale ci impegniamo ad affrontare per impedire fughe in avanti per interessi personali. Si tratta di considerazioni che è opportuno fare e che dobbiamo portare avanti, ma che non ci devono impedire di risolvere il problema più importante.
Sono personalmente convinto che tutto è perfettibile. È perfettibile anche questo decreto-legge, sul quale è stata posta la
questione di fiducia da parte del Governo. Non mi scandalizzo che ciò sia avvenuto, perché serve a capire se il Parlamento italiano ha fiducia nel provvedimento in esame e in alcuni provvedimenti attesi dalla classe medica.
Alcuni dicono che vi sarà uno sciopero di protesta contro questo decreto-legge, ma non mi risulta che ciò sia vero.
Lo sciopero avverrà per un altro motivo, ossia perché non sono stati rinnovati il contratto di lavoro per i medici ospedalieri e la convenzione per i medici di famiglia. Ma questo è un altro discorso!
A tale proposito, occorre ricordare che il Vicepresidente Fini ed il ministro Sirchia hanno affermato di non essere affatto contrari agli scioperi che sono stati indetti, perché è giusto che i medici rivendichino i loro diritti. La questione (da tutti riconosciuta e condivisa) concerneva soltanto le attuali disponibilità finanziarie e il diritto dei medici di vedere riconosciuti i propri doveri, i propri diritti e le proprie spettanze di natura finanziaria. È un discorso che non vogliamo evitare e che dobbiamo portare avanti tutti insieme. Non credo, infatti, sia positivo per qualcuno che la classe medica protesti perché non vengono risolti i suoi problemi economici e non vengono riconosciuti i diritti acquisiti, già stabiliti dalla legge. Ciò è negativo per tutti!
Parlo, ovviamente, a nome del mio partito, che mi ha lasciato piena libertà di espressione del mio pensiero. Intendo porre alcune questioni, che tuttora esistono, nonostante la riforma Bindi sia rimasta in vigore per molto tempo. Il problema della migrazione sanitaria, ad esempio, è stato risolto da questo provvedimento? Il problema della regionalizzazione della sanità ha reso i servizi più equi e più adeguati per tutti o soltanto per i cittadini di alcune regioni, ossia quelle più ricche, creando una differenziazione ed una discriminazione fra cittadini non più soltanto sulla base della capacità economica personale o della redditività dei lavori svolti nelle varie regioni, ma in base ad un criterio di natura localistica? È diventata una questione localistica: le regioni del sud hanno minori disponibilità rispetto a quelle del nord, sul piano non solo della ricerca, ma anche dell'assistenza e dei servizi: questo è un aggravio determinato dalla legge attualmente in vigore.
Per quanto riguarda la ricerca scientifica, come pensate che una regione del sud (non voglio nominarne alcuna, per non dare modo a qualcuno di speculare sul nome della regione che eventualmente dovessi fare) possa competere, sotto il profilo delle disponibilità statali e delle sovvenzioni private, con regioni quali la Lombardia, il Piemonte ed altre ancora? Questo è un discorso che dobbiamo affrontare insieme. Non si devono proporre riforme regionalistiche, come hanno fatto tutti i Governi di centrosinistra e come, purtroppo, sta facendo anche l'attuale Governo su questa particolare materia. Dobbiamo guardare a ciò che sta accadendo e credo che un passo in avanti sia rappresentato proprio dalla centralizzazione di alcune strutture prevista dal provvedimento in esame. Mi riferisco all'Istituto di genetica molecolare, sito a Milano, e ad altre strutture che sono state centralizzate come, ad esempio, il Centro nazionale per la prevenzione e il controllo delle malattie infettive e diffusive e sul bioterrorismo. Quindi, guardiamo agli aspetti positivi e vediamo dove questo provvedimento può essere modificato e migliorato! Ritengo che esso contenga alcune norme molto positive.
Vorrei svolgere un'ultima considerazione sulla medicina di specializzazione. La medicina di specializzazione - che è stata già menzionata da un deputato di opposizione intervenuto in precedenza a nome del suo gruppo - è un problema che ci ha lasciato in eredità il precedente ministro. Non si tratta di un problema che abbiamo concorso a determinare: infatti, una legge in materia esiste, ma non è stata applicata né finanziata. Anche noi, al riguardo, abbiamo problemi a finanziare tale provvedimento. Ma, allora, dov'è lo scandalo? Vorrei capire questo. Nella XII Commissione è in discussione un provvedimento volto a risolvere questo problema,
che è annoso e che dura da dieci anni, e non da 3 mesi o da 18 mesi, quelli di vita del nostro Governo.
Si tratta di problematiche che vanno affrontate sulla base di una volontà comune, politica e di partito, ma anche umana, e risolte in sede di Commissione affari sociali. Ritengo che questo sia un altro aspetto molto importante, anche in considerazione di alcune critiche che tutti sollevano.
PRESIDENTE. Onorevole Conti, deve concludere.
GIULIO CONTI. Signor Presidente, avrei voluto svolgere un'ultima considerazione sulla deburocratizzazione e sulla departitizzazione della sanità, argomenti che credo interessino tutti, ma concludo il mio intervento e mi scuso per aver rubato qualche secondo (Applausi dei deputati del gruppo di Alleanza nazionale).
PRESIDENTE. Onorevole Conti, qui non si ruba nulla a nessuno: è il regolamento che impone dei limiti. A me piace ascoltarla, si immagini!
Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto l'onorevole Turco. Ne ha facoltà.
LIVIA TURCO. Signor Presidente, onorevoli colleghe e colleghi, quando l'azione di Governo dimentica il paese reale ed è sorda nei confronti delle sue domande, pur esprimendosi esse in modo corale, forte, e netto, com'è successo attraverso l'importante ed unitaria manifestazione dei medici e delle professioni sanitarie, allora perde il paese ed è sconfitta la politica.
Siamo di fronte all'«imposizione» del voto di fiducia su un decreto-legge che assomma molti aspetti diversi; ci colpisce però - lasciatecelo dire - che, tra i tanti aspetti, vi siate ancora una volta dimenticati dei 30 mila specializzandi che chiedono un contratto, rispetto ai quali voi vi siete impegnati, accettando sette o otto ordini del giorno, a risolvere la questione.
Ebbene, in un decreto-legge di questo tipo, che presenta profili di incostituzionalità e che, soprattutto, irride profondamente alla questione posta dalla piattaforma unitaria dei medici e dalle professioni universitarie, cioè quella relativa al diritto alla salute dei cittadini, questo voto di fiducia è una sconfitta per la politica ed una perdita per il paese.
Noi vogliamo richiamarvi proprio alla portata politica della scelta che compite, che è una portata politica molto grande. Nel nostro paese non accadeva da dodici anni (lo ha ricordato, tra gli altri, l'onorevole Rosy Bindi), che l'intera classe medica scendesse in campo in modo unitario, in una battaglia che ha visto tre scioperi ed una manifestazione, attorno ad una piattaforma che pone al primo punto la difesa del servizio sanitario pubblico, il «no» alla devolution, e, solo successivamente, il rinnovo del contratto, nonché la richiesta di una regolazione più flessibile del principio di esclusività di rapporto della professione medica, profondamente ribadito però nel suo valore.
Noi crediamo, signori rappresentanti del Governo, che questo fatto politico meritasse non le battute bonarie del ministro Sirchia, ma almeno la convocazione di tutte le quarantadue sigle sindacali a Palazzo Chigi, per comprendere le ragioni dell'allarme dei medici italiani circa la situazione del sistema sanitario del paese. Sì, questo avrebbe dovuto fare un Governo che si rispetti: aprire un dialogo vero, ascoltare, cercare di comprendere, perché la piattaforma dei medici non scaturisce da una scelta di schieramento politico o ideologico. Non ci risulta infatti che tutti i medici italiani siano del centrosinistra! La piattaforma nasce da una certa preoccupazione e da una valutazione professionale, ovvero da quel principio sintetizzato nell'espressione «scienza e coscienza», al quale deve essere vincolata la professione medica, se vuole agire nell'interesse dei cittadini e del loro diritto alla salute.
È l'esercizio della professione, in autonomia e responsabilità, che fa dire ai medici italiani due cose molto impegnative per il Parlamento e per il Governo. In primo luogo, a loro avviso, la salute dei cittadini può essere promossa ed il cittadino
può essere ben curato solo grazie ad un sistema sanitario pubblico universalistico, solidale e basato sulla fiscalità generale, nel quale ciascuno è curato secondo il suo bisogno e non secondo il suo reddito o status sociale. La scelta del servizio sanitario pubblico è motivata dunque da ragioni di equità, di efficacia e di efficienza.
La seconda grande questione che ci pone la piattaforma dei medici è quella per cui il servizio sanitario pubblico, universalistico e solidale, sta vivendo un processo di depauperamento, di impoverimento dall'interno, per via delle politiche di sottofinanziamento che voi state perseguendo con grande determinazione. Non a caso la piattaforma mette sotto accusa la sottostima del Fondo sanitario nazionale, che stanzia risorse inadeguate per finanziare i LEA e mette sotto accusa il blocco dell'assunzione del personale, i mancati investimenti e il mancato rinnovo del contratto. Mi sia consentito inoltre dire che è poco serio nominare spesso i medici di famiglia, investire su di essi e richiamare le loro responsabilità, per poi non preoccuparsi del rinnovo della loro convenzione e demandare il tutto alle regioni.
Vi è in questi punti della piattaforma dei medici la consapevolezza del rapporto che intercorre fra la difesa dei propri interessi e la promozione dei diritti della persona; siamo arrivati al punto in cui la legittima difesa degli interessi degli operatori, medici e sanitari, dipende dalla sanità pubblica.
D'altra parte, come non vedere che negli ultimi anni la professione medica si trova sempre più all'interno di un doppio conflitto? Da un lato, vi è la pretesa della politica economica, che vuole ridurre le risorse necessarie alla sanità e che vede nel medico la sua principale controparte di spesa; dall'altro, vi è la società civile, che esprime sempre di più una domanda forte, consapevole, personalizzata di salute.
Questa è la grande questione che i medici e le professioni sanitarie ci hanno posto. Possibile che non ve ne siate accorti? Altro che cancellare il principio dell'esclusività di rapporto! Possibile che tali preoccupazioni, tali critiche, tali proposte così argomentate non meritassero una considerazione, una valutazione, l'apertura di un'interlocuzione da parte del Governo? Possibile che quella piattaforma sia diventata oggetto di battute - mi sia consentito - irrilevanti del ministro Sirchia? Dico irrilevanti perché, purtroppo, come conferma la vicenda di questo decreto-legge, il Governo italiano è senza un ministro della salute. Infatti, un ministro che si rispetti verrebbe in questa sede a difendere le ragioni di un decreto-legge così insensato ed infondato, che è stato oggetto del teatrino della politica e che è stato usato cinicamente come clava per regolare i conti interni alla vostra maggioranza. Non a caso, questo voto di fiducia, oltre a dimostrare un atteggiamento di arroganza verso il paese, verso i medici e verso il Parlamento, è anche il modo per risolvere le contraddizioni al vostro interno.
Tanto grave ed irresponsabile è il vostro comportamento, che la vostra scelta di rispondere alla piattaforma con questo provvedimento, che di fatto cancella il principio di esclusività di rapporto nella struttura pubblica, scardinando ulteriormente il servizio sanitario pubblico, ha avuto come risposta da parte dei sindacati medici, proprio oggi, la conferma di due giornate di sciopero. Ciò perché essi ne contestano il metodo prevaricatore e perché il provvedimento da voi adottato elude questioni cruciali, come il rinnovo del contratto, ed è una risposta profondamente sbagliata ad una richiesta da loro avanzata: non quella di cancellare il principio di esclusività di rapporto, ma quella di regolarne la flessibilità, in modo tale da rendere compatibile la programmazione sanitaria regionale e l'attività delle aziende con la libertà di scelta del medico.
È questo il senso della proposta emendativa dell'onorevole Bindi che noi abbiamo sostenuto. Mi sia consentito dare atto all'onorevole Rosy Bindi di non essere la ministra arrogante che voi tante volte avete dipinto, ma di avere invece avuto
capacità di ascolto proprio su un tema come questo, sul quale l'avete ingiustamente criticata.
La vostra proposta, invece, è un «liberi tutti» a vantaggio di pochi: penalizza i medici più bravi e meritevoli e, cancellando il tempo pieno a favore del pubblico, svuota dall'interno il servizio sanitario pubblico universalistico e solidale.
Lasciateci ribadire le ragioni dell'esclusività di rapporto, che per noi risiedono nella valorizzazione dell'impegno a tempo pieno nel servizio pubblico, nella moralizzazione dei comportamenti, evitando che l'attività nel servizio pubblico sia l'occasione per intercettare i malati da mandare al proprio studio privato, nella valorizzazione del percorso professionale del medico. La norma da voi proposta, invece, penalizza la stragrande maggioranza dei medici, che al 90 per cento avevano scelto l'intra moenia e, dunque, l'esclusività di rapporto con il servizio pubblico. Ciò colpisce il Servizio sanitario nazionale, perché una libera scelta ribadita ogni anno impedisce la programmazione e l'organizzazione del lavoro nelle regioni e nelle ASL, incentivando la rinuncia all'intra moenia, con un duplice danno: per i medici stessi e per i cittadini che ne volevano usufruire. Penalizza, inoltre, chi ha scelto di operare esclusivamente nel pubblico con l'aspirazione di accedere a maggiori responsabilità e vede oggi l'estensione di tale opportunità a chi nel frattempo ha curato altri interessi.
Dunque, il provvedimento è una beffa per i medici ed un danno per i cittadini. Noi insistiamo nel prendere molto sul serio la piattaforma dei medici e delle professioni sanitarie. La consideriamo un atto di responsabilità verso il paese. Per questo diciamo un «no» forte ed indignato a questo vostro voto di fiducia. Per questo vi esortiamo su alcuni punti: adoperatevi per il rinnovo del contratto! Sostenete, anche sul piano retributivo, la nuova missione che dite di voler attribuire al medico di famiglia, visto che la continuità assistenziale e la presa in carico dei pazienti è la vera innovazione, il vero passo avanti che bisogna fare tutti insieme!
In questa occasione, non rinunciamo a presentare una proposta alternativa in positivo. Per questo abbiamo presentato anche un ordine del giorno, nel quale ribadiamo le priorità della nostra battaglia politica e culturale: l'adeguato finanziamento del sistema; un federalismo solidale che sia capace di farsi carico delle diseguaglianze e delle disparità, che vanno sempre più accentuandosi tra il centro nord e il Mezzogiorno (al riguardo abbiamo presentato una proposta di legge); il finanziamento della legge per gli anziani non autosufficienti; la soluzione della questione degli specializzandi; lo sviluppo della medicina del territorio. Noi continuiamo a denunciare, al paese e ai cittadini, questa beffa e questo danno grave. Continuiamo a difendere, e lo faremo con ancora maggior forza, le ragioni di una sanità pubblica, di un sistema pubblico universalistico e solidale.
Costruiremo una proposta alternativa con tanti medici, operatori, cittadini, amministratori locali (quegli stessi che sono già scesi in piazza per difendere il sistema sanitario), perché siamo consapevoli che prima di tutto viene la salute - come dicono le persone più semplici - che, essendo un bene che attiene alla dignità delle persone, non può essere affidata a «negozi» esclusivi, a cui si accede sulla base del reddito e delle risorse. Se la salute viene prima di tutto e se attiene alla dignità della persona, essa deve essere tutelata e presa in carico da una forte responsabilità pubblica. È questo il nostro impegno ed è questa la ragione per cui con sdegno diciamo «no» a questo voto di fiducia e a questo vostro decreto (Applausi dei deputati dei gruppi dei Democratici di sinistra-L'Ulivo e della Margherita, DL-L'Ulivo)!
PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto l'onorevole Parodi. Ne ha facoltà.
EOLO GIOVANNI PARODI. Signor Presidente, onorevoli colleghi, con riferimento
al decreto-legge n. 81 al nostro esame, vorrei lasciare ai colleghi e al relatore una serie di riflessioni, che sono atti dovuti per tutte le questioni che sono state lungamente spiegate. Se permettete, vorrei riferirmi un po' alla politica generale. Al riguardo, vorrei fare due premesse. Non si può fare ideologia sui problemi della salute. Ho già ripetuto in quest'aula che la salute non ha problemi di destra o di sinistra. Fare ideologia sui problemi della salute mi sembra assurdo, quasi un peculato culturale! Vorrei, inoltre, ringraziare per questo «coccolamento» dei medici, che non sentivo da decine di anni, anni in cui ho sempre visto i medici odiati, salvo che nei periodi preelettorali, quando si cercava di amarli un po'.
Fatte queste premesse, mi riferisco con chiarezza all'emendamento del Senato, il cosiddetto emendamento Casellati. Era un provvedimento annunciato (non è una novità: oserei dire persino troppo volte annunciato), che non combina nulla di grave, bensì riafferma la validità dell'esclusività; e lo dimostra il 96 per cento dei medici che non ha più la partita IVA e che ha scelto questa indennità, che noi intendiamo in maniera assoluta salvaguardare. Tuttavia, visto che di indissolubile in questa società non vi è più nulla, non vedo perché non possiamo rispondere all'anelito di libertà che deriva dai cittadini, dai medici e dagli operatori del settore e che comunque riguarda una minoranza (ma ciò non importa). È giusto che ci sia un regime flessibile, che dia forza a quel Servizio sanitario nazionale.
Ci accusate di voler distruggere il Servizio sanitario nazionale, ma non accetto tale accusa, perché non è vera! La ritengo un'offesa! Ditemi: che cosa abbiamo fatto per distruggerlo? Adesso dirò la verità: non lo abbiamo distrutto e non lo vogliamo distruggere, perché ha permesso all'Italia di ottenere conquiste inusitate (pensate alla mortalità infantile ed alla speranza di vita).
Chi avrebbe il coraggio di non volere la sua universalità? Abbiamo persino ammesso che la contrattualità debba essere cogente a livello nazionale in misura uguale per tutti! Le regioni concorreranno successivamente tra di loro per offrire di meglio e di più, ma occorre garantire ai cittadini lo stesso servizio, come abbiamo già sostenuto.
Il servizio sanitario non può essere un fatto ideologico, soprattutto se intendiamo migliorarlo e modificarlo, mettendolo in condizione di rispondere alle tante disgrazie che accadono in questo paese.
Anche noi salutiamo i nostri caduti, i nostri eroi dell'Iraq, ma vorrei abbracciare anche i tanti malati, che si trovano nei letti e nelle corsie degli ospedali, che attendono da noi una parola di speranza che noi vogliamo dare.
Ci si accusa di «coccolare» i medici, ma non venitemi a dire che, quando il precedente Governo ha abolito i ticket, lo ha fatto solo per finalità umanitarie: non ci crede nessuno! Ragioniamo allora sulla realtà! Noi diciamo che l'emendamento approvato nel corso dell'esame presso il Senato non cambierà la situazione, se non si garantiranno i diritti di libertà che abbiamo il dovere di confermare e di valorizzare.
Abbiamo ribadito il dato del 4 per cento sull'extra moenia; eliminare i 4 mila medici del tempo definito è un'operazione secondaria, che tuttavia si vuole strumentalizzare per qualcosa che la gente non riesce a capire!
I medici faranno il loro dovere: in cabina elettorale finalmente saranno uomini liberi, perché, in quella sede, certi direttori generali, arroganti e burocrati, non diranno loro chi dovranno votare. Qualcuno dovrebbe avere il rimorso per aver previsto l'istituzione dei direttori generali monocratici, perché si tratta di una colpa che si porterà dietro: questa non è libertà!
I medici, certamente, vogliono le convenzioni ed i contratti; noi stiamo lavorando per questo, ma ricordatevi (lo voglio dire a tutti, a chi ci crede ed a chi non ci crede) che fare contratti è sempre una battaglia terribile: è accaduto ieri, accade oggi e accadrà domani! Stiamo lavorando, da una parte, per eliminare questa convenzione con i medici di famiglia (anche
con riferimento all'assistenza continuata nella giornata H24) e, dall'altra, per cambiare l'atto di indirizzo ed aprire il tavolo contrattuale relativo alla questione della dirigenza.
Tuttavia, vorrei osservare che aver chiamato a ricoprire incarichi dirigenziali i medici è stato uno sbaglio, perché i medici ci chiedono che cosa dirigono: essi, infatti, non contano nulla, sono diventati dei burocrati, degli scriba, dei veri e propri dipendenti! È il personale sanitario peggio pagato d'Europa e il più maltrattato. Non si tratta di un fenomeno ideologico, ma di una nostra carenza. Quando abbiamo parlato di intra moenia sono state spese solo parole, ma, poi, in pratica, quale è stato il risultato dell'indagine svolta dalla XII Commissione? L'intra moenia ha fallito non come idea, ma nella sua applicazione e, perciò, non si scherzi su questo!
Vi dico anche che i medici non hanno solo il problema dei soldi - come emerge da questa discussione -, ma vogliono nuovamente un loro ruolo, una funzione, vogliono una nuova strategia dell'accoglienza, vogliono che si riparli del rapporto medico-cittadino, che oggi si trova in una situazione molto difficile. La gente vuole speranza, vuole umanità e noi, al di là delle ideologie, vogliamo dargliela! D'altra parte, nulla è intoccabile!
Avete visto cosa vuol fare il ministro della sanità francese? Vuole mettere il ticket sul ricovero ospedaliero, vuole rimborsare solo il 60 per cento dei medicinali, vuole aumentare i contributi delle aziende e degli iscritti al servizio. Noi questo non lo vogliamo! Non posso accettare che vogliate trasformare la verità in qualcosa che non lo è (Applausi dei deputati dei gruppi di Forza Italia e di Alleanza nazionale)!
I medici vogliono ciò che affermava Platone, vale a dire essere medici liberi per uomini liberi, non medici schiavi per uomini schiavi. E, fino a quando ricopriremo questo posto, per ciò combatteremo! Sarà una battaglia nella quale ci confronteremo nelle piazze e, forse un giorno, anche in un Parlamento nel quale sarà garantito un vero dialogo.
Siamo dalla parte della giustizia, della professione, della meritocrazia e non della «raccomandocrazia»!
GRAZIA LABATE. Dovreste dirlo sempre!
EOLO GIOVANNI PARODI. Non ho mai interrotto nessuno e a chi mi interrompe auguro buona salute, sperando di non portargli male.
PRESIDENTE. Ciò non lo saprebbe fare mai: lei ha fatto il medico tutta la vita, quindi ha portato sempre bene!
EOLO GIOVANNI PARODI. Io sono troppo buono, ma anche nella bontà non si può esagerare!
Approfitto dunque di questa dichiarazione per fornire un messaggio di speranza, di amore, di solidarietà alla nostra gente. Ci batteremo per questo e nessuno ci potrà ostacolare. Questa sarà la nostra vittoria, di cui siamo fieri e saremo ancora più fieri domani (Applausi dei deputati dei gruppi di Forza Italia, di Alleanza nazionale e dell'Unione dei democratici cristiani e dei democratici di centro - Congratulazioni)!
PRESIDENTE. Sono così esaurite le dichiarazioni di voto sulla questione di fiducia.
Prima di procedere alla chiama, sospendo brevemente la seduta.
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