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DEL CONSIGLIO DEI MINISTRI
non vengono mai recuperati i corpi dei piloti né il relitto, a parte pochi rottami sospetti;
e affermazioni rese in sedi qualificate, che rendono urgenti risposte chiare su alcune questioni fondamentali;
gli organi di informazione hanno divulgato notizie circa la liquidazione a favore dell'ex amministratore delegato di Alitalia, dottor Francesco Mengozzi, ammontante a euro 1,5 milioni;
da notizie acquisite dall'interrogante, sembrerebbe inoltre che un'analoga indennità sarebbe stata erogata da Alitalia a favore dell'ingegner Renzo Lunardi, ex dirigente dell'azienda in questione, per circa due anni di servizio;
risulterebbe, inoltre, che premi, per valori oscillanti tra i 4.000 e i 24.500 euro sarebbero stati erogati ad un cospicuo numero di funzionari di vario livello -:
se quanto riferito in premessa risponda al vero e, in caso affermativo, quali iniziative s'intendono assumere per evitare situazioni di questo tipo in considerazione, fra l'altro, del particolare momento di grave difficoltà della compagnia di bandiera che rischia di licenziare migliaia di dipendenti e se non si ritenga di valutare la congruità delle liquidazioni erogate a favore dei vertici dell'Azienda, rispetto alle norme vigenti in materia di trattamento di fine rapporto.
(3-03387)
il 2 marzo 1994 l'elicottero della Finanza Agusta 109 sorvola la zona di Capo Carbonara, le condizioni meteo sono buone, il supporto via mare è fornito dalla motovedetta Colombina. Dopo Serpentara la Colombina cambia rotta per puntare su Capo Ferrato. Gli uomini della motovedetta inizialmente dichiarano di aver perso l'elicottero su Serpentara, salvo poi confermare quel che i tracciati testimoniano, e cioè che quando sparisce dal radar l'elicottero è proprio sopra la Colombina, così basso che ne leggono le insegne, ma poi ognuno prosegue per conto suo. Fatto sta che l'elicottero scompare,
un testimone ha rivelato che nella rada di Feraxi, la sera del 2 marzo di sette anni fa, c'era una nave, la Lucina che avrebbe preso rapidamente il largo dopo l'incidente. Si tratterebbe quindi del mercantile che, quattro mesi dopo, si trasformò nel teatro di un'orrenda mattanza nel porto algerino di Djendjen dove i sette uomini dell'equipaggio vennero tutti sgozzati e un processo troppo sbrigativo e superficiale ha attribuito le responsabilità agli integralisti islamici del Gia. Un ex gladiatore del Sid, Nino Arconte di Cabras, ha rivelato che su quella nave si sarebbe dovuto imbarcare un ex agente segreto, un certo Tano Giacomina di Oristano e che solo un contrattempo lo salvò. Morirà poi misteriosamente a Capo Verde nel 1998;
le indagini sull'elicottero scomparso si orientano sull'incidente, ma tanti testimoni si fanno avanti. Un agricoltore, Giovanni Utzeri, dice di aver sentito volteggiare un elicottero intorno alle 19,30 sulla baia di Feraxi, poi un forte boato, mentre Gigi Marini, che sta pescando in quella zona, e Antonio Cuccu, che passeggia in campagna, vedono l'elicottero rovesciato e sentono una forte esplosione. Il tutto lontano da Serpentara, a Capo Ferrato, insomma: nella zona dove navigava la Colombina. In seguito l'istituto idrogeologico di Genova individua il probabile punto di impatto vicino al luogo indicato dai testimoni, dei quali peraltro non conosce le dichiarazioni. Lo specchio di mare viene setacciato ma, dell'elicottero non c'è traccia. Nel febbraio 1996 l'inchiesta viene archiviata: senza il relitto tutto è più difficile. Ma i familiari dei due piloti insistono, e si continua a indagare: nel novembre 1999 i sommozzatori della Marina cercano ma non trovano niente. Nel giugno 2002 il pm chiede per la seconda volta l'archiviazione, nel febbraio 2002 getta la spugna anche la Procura militare;
secondo quanto riporta un articolo dell'Unione sarda del 14 maggio 2004, durante un'udienza del processo Vernesoni, si è riaperto uno spiraglio sul caso, che ha profondamente colpito l'opinione pubblica sarda, dell'elicottero abbattuto e misteriosamente scomparso sette anni or sono;
l'udienza cui si fa riferimento investiva alcuni uomini della Finanza accusati di aver rivenduto droga sotto sequestro. Il maresciallo Giovani Mei, imputato che il 28 marzo 2003 aveva dichiarato in Tribunale di aver saputo che alcuni pentiti accusavano Vernesoni, facendo tra l'altro riferimento «anche del discorso dell'elicottero, che sarebbe stato lui ad addestrare per abbatterlo»;
parole allusive, tutte da decifrare, ma l'avvocato Carmelino Fenudi, che tutela i familiari dei due piloti il maresciallo di Cuglieri Gianfranco Deriu di Terralba e il brigadiere di Ottana Fabrizio Sedda morti nell'abbattimento dell'Agusta 109 (nome in codice Volpe 132) elicottero delle Fiamme gialle scomparso tra le 19 e le 20 del 2 marzo 1994 nella rada di Feraxi, ha inserito il verbale di quell'udienza in una corposa memoria e ha chiesto al giudice di non archiviare l'inchiesta sul disastro;
il gip Giovanni Lavena ha ordinato nuove indagini e il pm Guido Pani avrà sei mesi per accertare di quali informazioni siano effettivamente in possesso alcuni dei protagonisti del processo Vernesoni; ma Pani dovrà fare altresì chiarezza sulla vicenda dell'elicottero (identico a quello abbattuto) rubato in un hangar di Oristano 20 giorni dopo la morte di Deriu e Sedda e trovato semismontato vicino a Monserrato su segnalazione di alcuni pentiti sempre coinvolti nel processo Vernesoni. Una delle ipotesi è che i pezzi servissero per depistare;
stupisce che dopo sette lunghi anni non sia ancora stato recuperato alcun tracciato radar dell'elicottero e letteralmente è incredibile che i radar della base militare di Capo San Lorenzo fossero tutti in black-out; ma il pm Pani probabilmente acquisirà quello di Monte Codi che potrebbe comunque fornire indicazioni utili;
non è stato accertato in via definitiva se quella sera fossero in corso esercitazioni militari con lancio di missili: alcuni testimoni hanno visto l'A 109 sorvolare una nave porta-container ferma per tre giorni in rada a Feraxi; ma, se davvero c'erano esercitazioni, la navigazione era interdetta, e allora qualcuno deve aver visto quell'imbarcazione; questa circostanza potrebbe far capire quali controlli stesse facendo l'elicottero, si è spesso parlato di traffici di armi. Dovranno quindi essere interrogati anche alcuni testimoni che si trovavano in mare all'ora del disastro ed essere trascritte le conversazioni registrate dalla torre di controllo di Elmas e dalla sala operativa della Finanza. Conversazioni che si interrompono misteriosamente alle 19,16. Per oltre quaranta minuti c'è un silenzio impossibile: è muto l'elicottero «Volpe 132», ma è muta, incredibilmente, anche la base operativa. Il gip ha infine già disposto accertamenti tecnici sui frammenti dell'elicottero alla ricerca di tracce di esplosivo;
per la prima volta per la famiglia dei due piloti caduti si apre uno spiraglio di speranza, ma perché questa speranza si traduca in un successo bisogna che lo Stato italiano, l'Esercito ed il Governo collaborino pienamente nella ricerca della verità mettendo fine ad una lunga serie di silenzi, depistaggi, omissis, che hanno fatto parlare di Ustica sarda -:
perché la commissione d'inchiesta militare non abbia tenuto conto della disinteressata testimonianza del giardiniere Giovanni Utzeri;
quale fosse la missione dell'elicottero scomparso «Volpe 132» e se il Governo disponga di informazioni circa un'eventuale perizia tesa a verificare se i nastri della comunicazione radio tra Deriu e Sedda ed Elmas che si interrompono siano stati manipolati;
se fossero in corso esercitazioni militari nell'area di Feraxi il giorno dell'incidente e, in caso affermativo, come potesse colà trovarsi una presunta nave mercantile come la Lucina;
di quali informazioni il Governo disponga relativamente alla reale natura (equipaggio, carico, ruolo) della nave che ha rapidamente preso il largo dopo la tragedia.
(4-10046)
i militari italiani hanno ricevuto dal Parlamento il mandato di garantire un'ambiente di sicurezza per l'afflusso degli aiuti umanitari e a questo fine anche quello di assistere ed addestrare la polizia irakena al rispetto della legge e dei diritti umani;
di fronte all'orrore suscitato dai maltrattamenti, le umiliazioni, le torture cui sono stati sottoposti i prigionieri in Iraq, è un obbligo morale irrinunciabile chiarire tutte le circostanze e le responsabilità che hanno permesso tali mostruosità;
le truppe italiane impegnate nell'operazione «Antica Babilonia» a Nassiriya, sono state messe alle dirette dipendenze del comando britannico che gestisce la divisione multinazionale della regione sud ma, al di là di questo, non è stato mai chiarito il funzionamento della catena di comando delle Forze della coalizione di cui facciamo parte;
il Ministro della Difesa ha dichiarato in Parlamento: «il Governo è rimasto sorpreso e sdegnato nell'apprendere notizie di cui era completamente all'oscuro e di fatti illeciti che condanniamo fermamente e che mai ci sono stati resi noti né dagli americani né dagli altri paesi della coalizione»; subito dopo il Ministero della difesa ha diffuso un comunicato ufficiale in cui si afferma: «Non abbiamo mai avuto alcuna notizia o informazione da parte di qualsiasi fonte circa trattamenti dei prigionieri non conformi alle norme del diritto internazionale umanitario»;
queste affermazioni, secondo gli interroganti, sono contraddette da fatti oggettivi
prima della consegna ad altri comandi, i militari italiani effettuano visite mediche e foto per certificare lo stato di salute degli arrestati;
i carabinieri hanno assistito ai maltrattamenti a cui la polizia locale irakena sottoponeva i detenuti comuni nel carcere di Nassiriya. Il colonnello Carmelo Burgio a tale proposito ha affermato: «Noi andavamo a controllare la prigione gestita dalla polizia irakena e più volte abbiamo riscontrato segni di torture sui detenuti... Ci siamo trovati a volte davanti a detenuti mezzi morti, con bruciature di ferro da stiro sul corpo e lividi terrificanti a causa delle bastonate»;
di questa situazione lo stesso Burgio informò per tempo i suoi superiori gerarchici e cioè il Comando della Task-force a Nassiriya, quello del contingente a Bassora, stilò inoltre un rapporto scritto che consegnò alla magistratura irakena e di questo mise a conoscenza il generale Spagnuolo, comandante del contingente italiano in Iraq, l'11 maggio scorso;
il generale Spagnuolo confermando queste affermazioni dice: «su quanto accadeva nel penitenziario a 40 km da Nassiriya esistono delle comunicazioni che abbiamo trasmesso al COI (Comando operativo Interforze) di Roma;
fin dal marzo del 2003 Amnesty International ha inviato rapporti e denunce circostanziate sui casi di tortura e di violazione di diritti umani in Iraq e dichiara di averne informato, per iscritto o attraverso colloqui diretti, il Presidente del Consiglio, il Ministro degli esteri, il Ministro della difesa e altri Ministri e autorità di Governo -:
come funziona la catena di comando della coalizione militare, con particolare riguardo alla impossibilità per il nostro contingente di avere un riscontro per l'intera durata del periodo di detenzione sotto la giurisdizione inglese, dello stato di salute degli arrestati che pure veniva accuratamente documentato al momento dell'arresto, stante l'incredibile divieto di accesso al carcere stesso, e quali iniziative siano state prese per garantirci questa possibilità;
da quale autorità dipendono le carceri e il personale della polizia irakena a cui venivano consegnate le persone arrestate;
dato che l'incarico di Vicepresidente della CPA a Bassora è ricoperto da un diplomatico italiano, come sia possibile che questi non sia stato informato sulla grave situazione che la Croce Rossa ha via via documentato sui centri di detenzione a Bassora e se non ritenga che avesse pieno diritto a ricevere tali informazioni;
come si possa da parte del Governo, di fronte a tali e tanti elementi che contraddicono tale affermazione continuare a sostenere di non aver saputo nulla.
(4-10050)