Resoconto stenografico dell'Assemblea
Seduta n. 463 del 6/5/2004
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(Episodi di tortura nei confronti di detenuti iracheni - n. 2-01186)

PRESIDENTE. L'onorevole Deiana ha facoltà di illustrare la sua interpellanza n. 2-01186 (vedi l'allegato A - Interpellanze urgenti sezione 4).

ELETTRA DEIANA. Signor Presidente, la nostra interpellanza solleva una questione assai rilevante, che ha un significato di straordinaria incidenza relativamente al dibattito, sviluppatosi in Italia e non solo, in ordine alla guerra preventiva e alla liceità della stessa con riferimento ai problemi della democrazia e del risanamento dell'Iraq da tutte le brutture e lordure proprie di un regime, sicuramente infame, che si era macchiato di terribili reati contro l'umanità.
La guerra di Bush, nel corso di questo anno e mezzo, ha subito diverse metamorfosi giustificative; infatti, partita da ragioni di sicurezza mondiale in ordine alla famosa questione delle armi di distruzione di massa, è poi approdata ai lidi di una guerra di liberazione e di instaurazione di un regime democratico in quel paese che, all'epoca di Saddam Hussein, non lo aveva conosciuto.
Il 1o maggio del 2003 il Presidente Bush, parlando in abiti militari sulla famosa portaerei, ebbe a dire che il risultato della vittoria in Iraq sarebbe stato quello di eliminare da quel paese camere di tortura, camere di stupro o fosse comuni. Questa menzogna il Presidente Bush l'ha ribadita il 30 aprile in occasione di una visita al premier canadese, al quale ha riconfermato la liceità e la validità della guerra proprio in ragione degli splendori democratici che in gran parte si sarebbero già instaurati in Iraq.
Nei giorni scorsi i media mondiali hanno ripreso dalla rete televisiva statunitense CBS le fotografie di iracheni, detenuti nella prigione di Abu Ghraib, torturati e umiliati in vario modo dalle truppe americane e anche da operatori di tortura privati; infatti, una delle connotazioni di questa guerra è appunto la privatizzazione, sia sul piano militare sia su quello della sicurezza e della pratica della tortura.
Un'inchiesta del New Yorker dimostra che i «fotosadismi» di cui siamo stati inondati in questi giorni non rappresentano casi isolati; d'altra parte, ormai, le prove in tal senso sono numerose. Tra l'altro, giunge conferma - molti di noi lo avevano già evidenziato in quest'aula - che situazioni analoghe starebbero verificandosi in Afghanistan, in nome ovviamente della lotta al terrorismo e dello snidamento degli epigoni di Osama Bin Laden.
In un dossier di 53 pagine, redatto dal generale americano Antonio Tabuga, si parla di orribili abusi avvenuti in modo sistematico, che svelerebbero la responsabilità dei vertici e dell'intelligence militare.
D'altra parte, il generale Myers, capo degli stati maggiori riuniti statunitensi, dopo aver dichiarato che si trattava di casi isolati, successivamente alla lettura del rapporto del generale Tabuga ha ammesso che bisognava ritardare la diffusione di queste orrende fotografie, perché ciò avrebbe danneggiato la «causa» della missione in Iraq.
I particolari, le sequenze degli eventi, le dichiarazioni, la successione dei fatti sono ovviamente importanti, perché non esiste nulla di casuale o accidentale in tutto questo, come dimostra - se il sottosegretario non l'ha ancora letta, lo invito a farlo - un'intervista ad un disertore dell'esercito americano, Camilo Mejias, un nicaraguense di 28 anni spedito al fronte e partito per ottenere il passaporto americano. Dopo essere fuggito dall'Iraq a causa delle nefandezze che era stato costretto a compiere per costringere i prigionieri a confessare, ha rilasciato per ragioni umanitarie un'intervista a New York a Patricia


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Lombroso, giornalista de il manifesto. Mejias racconta nei dettagli le pratiche che i soldati statunitensi sono obbligati ad eseguire per gestire la prigionia degli iracheni sospettati di atti ostili o di complicità con il nemico, dove per nemico si intendono tutti coloro contrari alla presenza delle truppe occupanti. Questo soldato, a causa delle sue dichiarazioni rilasciate all'opinione pubblica mondiale, è stato deferito alla Corte marziale e ora affronta i rigori di un processo per diserzione. Si tratta, quindi, di un testimone al di sopra di ogni sospetto. Egli definisce la tortura come una pratica connaturata, interna, costitutiva della missione, intesa come imposizione violenta di una forza occupante in un paese che, in vario modo, si rifiuta di prestarsi al gioco delle strategie statunitensi.
Il giornale inglese The Mirror ha pubblicato altre foto che mostrano anche soldati delle truppe britanniche impegnati in un'analoga abominevole esercitazione.
Un rapporto di Amnesty International relativo ad una sua missione in Iraq, di prossima pubblicazione, riporta ulteriori dettagli sulla tortura sistematica e sugli omicidi di civili, descrivendoli come fenomeni ricorrenti durante l'occupazione. Tutto questo, evidentemente, dimostra che in Iraq è in atto una sistematica violazione dei diritti umani, che non solo calpesta la Convenzione di Ginevra e le regole vincolanti che la Convenzione stessa stabilisce per la salvaguardia dei diritti dei prigionieri di guerra e dei trattamenti loro riservati, ma contraddice anche qualsiasi regola di un codice militare di guerra, degno di un paese civile.
Chiediamo al Governo di ascoltare non certo le lamentele e le esclamazioni di dolore del premier Berlusconi, che solo dopo diversi giorni dalla circolazione delle notizie e dalla pubblicazione sulla stampa delle fotografie, si è degnato di dichiarare sgradevole quanto sta accadendo in Iraq.
Vogliamo sapere quali passi concreti il Governo, nella persona del ministro Frattini, abbia intrapreso presso l'Autorità provvisoria della coalizione a Bagdad e presso la Casa bianca per esprimere lo sdegno del nostro paese nei confronti di questi fatti mostruosi, di cui siamo costretti a prendere atto.
Vogliamo altresì sapere quale sia il numero dei prigionieri iracheni che l'autorità militare italiana a Nassiriya ha consegnato al comando britannico dopo l'attentato contro i carabinieri. Abbiamo appreso dalla stampa che sono state svolte indagini e che sono stati fatti alcuni prigionieri: vogliamo conoscere che fine abbiano fatto e se il Governo e le autorità militari italiane ne seguano la sorte e soprattutto se, dopo i fatti emersi sul trattamento dei prigionieri ad Abu Ghraib, siano stati effettuati accertamenti per sapere se anche tali prigionieri arrestati a seguito delle indagini e delle operazioni seguite all'attentato di Nassiriya siano sottoposti a tale trattamento.

PRESIDENTE. Il sottosegretario di Stato per gli affari esteri, senatore Antonione, ha facoltà di rispondere.

ROBERTO ANTONIONE, Sottosegretario di Stato per gli affari esteri. Signor Presidente, il Governo italiano è rimasto sconvolto nell'apprendere le agghiaccianti notizie circa gli episodi di tortura e di trattamenti degradanti inflitti ad alcuni prigionieri, donne e uomini, detenuti nel carcere di Abu Ghraib. Si tratta di episodi che negano i più profondi valori alla base della nostra società libera e democratica, ma proprio perché le nostre società sono libere e democratiche gli anticorpi delle nostre coscienze isolano casi vergognosi come questi e mettono in moto meccanismi di condanna senza appello, l'inflessibile punizione dei responsabili e il rafforzamento delle misure di prevenzione.
L'Italia ha sempre sostenuto ed aderisce con convinzione ai principi e alle norme che regolano, anche a livello internazionale, il trattamento dei detenuti e il divieto del ricorso a ogni forma di tortura o a pene inumane o degradanti. In questo campo, particolarmente significativo è quanto disposto dalla Convenzione delle Nazioni Unite contro la tortura ed altre punizioni o trattamenti crudeli, inumani o


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degradanti, e dal Patto delle Nazioni Unite sui diritti civili e politici. Eguale importanza attribuiamo alle disposizioni del diritto internazionale umanitario, con specifico riferimento al trattamento dei prigionieri di guerra e dei civili in tempo di guerra, così come indicato, rispettivamente, dalla III e dalla IV Convenzione di Ginevra del 1949. Ricordo, in particolare, che la IV Convenzione di Ginevra sul trattamento dei civili in tempo di guerra prevede espressamente che le donne siano oggetto di specifica protezione da parte degli Stati belligeranti contro violenze sessuali, prostituzione forzata ed ogni altra forma di attacco al proprio onore e alla propria dignità.
Con riferimento allo specifico quesito formulato dall'onorevole Deiana, desidero precisare che le autorità italiane a Nassiriya non detengono alcun prigioniero iracheno o di altra nazionalità. Tutti gli individui arrestati dai militari del nostro contingente durante il proprio servizio nella regione vengono consegnati alla polizia locale, qualora siano sospettati di aver compiuto atti di delinquenza comune, o alle autorità militari britanniche, nel caso di reati compiuti contro la coalizione.
Il numero totale delle persone fermate dalle forze del contingente italiano è stato di 573 cittadini iracheni, di cui 112 rilasciati a seguito dei primi accertamenti. Dei restanti, 419 sono stati consegnati alla polizia locale per l'ulteriore denuncia all'autorità giudiziaria irachena in quanto sospettati di aver commesso reati comuni, e 42 al comando della coalizione, per aver commesso atti ostili contro le forze della coalizione stessa. Ai soggetti ostili in parola, seppure non considerati legittimi combattenti, viene garantito il trattamento minimo previsto dall'articolo 3 comune alle Convenzioni di Ginevra. Tale principio, indicato nella direttiva del ministro della difesa sulla missione «Antica Babilonia», è stato ribadito nella direttiva operativa nazionale, che richiama le convenzioni internazionali e le relative sanzioni.
Nel ribadire la piena adesione dell'Italia ai principi ed alle norme che ho prima menzionato, mi sembra giusto sottolineare che gli abusi che sono stati oggetto di recenti notizie e servizi giornalistici sembrano chiaramente ascrivibili a specifiche situazioni ed a comportamenti o responsabilità di singoli individui. Solo strumentalmente questi fatti - che sono, come già ho espressamente indicato, da condannare categoricamente - possono essere presentati come caratterizzanti la realtà e l'insieme dei comportamenti dei militari della coalizione, che in Iraq operano per la stabilizzazione del paese, per favorire il processo di transizione politica e quello di ricostruzione economica.
Le indagini in atto da parte statunitense hanno già portato alla destituzione del generale Karpinski che aveva l'incarico di dirigere il carcere di Abu Ghraib, mentre altre azioni disciplinari sono state adottate nei confronti di altri dodici militari. L'inchiesta militare sta peraltro procedendo proprio al fine di punire in maniera esemplare e sradicare simili comportamenti, mettendo in luce che gli antidoti di un grande sistema democratico, quale è quello statunitense, si sono già messi in moto per riparare a questi gravissimi episodi. Va anche segnalato il fatto che il generale Geoffrey Miller, nuovo responsabile di Abu Ghraib, ha inaugurato nuove procedure basate su precisi standard di trattamento e di garanzia per il trasporto, la detenzione e l'interrogatorio dei detenuti e delle detenute attualmente incarcerati in Iraq.
La volontà politica di andare a fondo su questi episodi è ben messa in luce dalle parole del Presidente americano Bush, il quale ha definito tali atti vergognosi e raccapriccianti, mentre il segretario alla difesa Rumsfeld ha assicurato che i responsabili verranno perseguiti secondo le norme del codice di giustizia militare statunitense.
Il Governo italiano prende atto della ferma volontà del Governo americano di sanzionare severamente i colpevoli di tali gravissimi atti e di garantire che tali degradanti violazioni dei diritti della persona non abbiano a ripetersi.


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PRESIDENTE. L'onorevole Deiana ha facoltà di replicare.

ELETTRA DEIANA. Signor Presidente, non sono affatto soddisfatta della risposta del sottosegretario Antonione. Prendo atto che il sottosegretario in aula - con questo Governo accade spesso - ci fa lezioni su temi che noi ovviamente sappiamo benissimo. Se non conoscessimo le norme elementari della Convenzione sui prigionieri di guerra che il sottosegretario ci ha voluto ricordare, non sederemmo in questo Parlamento! Sappiamo benissimo quali sono le regole, ma non basta ricordarle! Le regole sono l'alimento, il terreno su cui si costruisce la politica. È a partire dalle regole, in uno Stato democratico, in uno Stato dove la legge orienta - e non la giungla -, che le decisioni politiche, le decisioni delle sedi istituzionali, le decisioni del Governo prendono il via.
Signor sottosegretario, lei non mi ha detto quali sono state le decisioni istituzionali che il Governo ha adottato, i passi concreti che l'esecutivo ha compiuto per esprimere lo sdegno del nostro paese rispetto a questi fatti! Lei mi ha fatto una lezioncina sulle norme a cui in generale il nostro paese si attiene: meno male che, almeno a livello formale, ancora facciamo riferimento a queste grandi regole di civiltà, come la Convenzione di Ginevra! Ci mancherebbe altro che mi avesse rimandato ad un trattato di tortura! Ma sulla base di queste convenzioni, di queste regole e dello stesso codice militare di guerra - perché la nostra missione in quei luoghi è soggetta al codice penale militare di guerra -, che cosa ha fatto il Governo italiano, che cosa ha fatto il ministro Frattini, che cosa ha fatto il ministro Martino per dichiarare in maniera ufficiale la posizione dell'Italia? Quali passi sono stati compiuti per affermare che il nostro paese non ci sta? Questo lei non lo ha detto, e non credo si sia trattato di una svista, perché per il resto la sua risposta è stata molto dettagliata, ricordando appunto le cose che tutti noi sappiamo.
Allora, evidentemente, il Governo Berlusconi non ha ritenuto necessario compiere un atto formale per dire: caro Presidente Bush, noi, fedelissimi alleati, siamo veramente esterrefatti di fronte a quello che è successo e vorremmo che non si ripetesse. Un atto formale, una missiva, non so quale possa essere lo strumento, ma sicuramente ci sono vari modi per compiere questo passo.
Quindi prendo atto, da quello che lei ha mi ha detto, che non c'è stato alcun atto formale. D'altra parte, voglio ribadire - non a lei che in questo momento rappresenta il Governo, perché non ho assolutamente nulla nei suoi confronti - che il Governo, nella fattispecie il Presidente del Consiglio Berlusconi, sempre pronto ad esternare su tutto e a manifestare grandissima amicizia e spirito fraterno nei confronti del Presidente Bush, ha tardato giorni e giorni prima di dire flebilmente che, insomma, la cosa lo ha lasciato stupefatto, accodandosi al coro di stupore, perplessità e dolori accorati espressi da tutti, dallo stesso Blair e dallo stesso Bush. Evidentemente, l'opinione pubblica degli Stati Uniti e quella britannica sono molto più sensibili, non avendo interessi materiali diretti nella guerra, ad esprimere indignazione ed orrore.
E quindi noi siamo gli ultimi, come sempre - l'ho letto oggi sui giornali -, ad esprimere flebilmente da parte del Governo, nella persona di Berlusconi, il dolore dell'Italia. Lei ha usato la parola «agghiacciato»: prendo atto che il Governo è rimasto agghiacciato e che il lato umano permane, ma a noi interessa poco del lato umano; ci interessano invece i fatti sul piano istituzionale, formale, sul piano della responsabilità pubblica che il Governo ha nel rappresentare il nostro paese in sede internazionale e, di conseguenza, gli atti formali e formalizzati.
Voglio aggiungere alcune precisazioni anche in merito al quesito posto sulle condizioni dei prigionieri iracheni catturati dal contingente italiano. A noi interessa conoscere la sorte non dei prigionieri consegnati alla polizia irachena per delitti comuni, ma di quelli consegnati - e, d'altra parte, era chiesto anche nella interpellanza - al comando britannico, cioè


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degli iracheni sospettati di avere preso parte ad atti di guerriglia, terrorismo, sabotaggio, insomma a tutto quello che fa parte del dopoguerra di guerra che sta uccidendo l'Iraq.
Dunque, il problema è questo: le persone fatte prigioniere dagli italiani rientrano in qualche modo sotto la responsabilità degli italiani, oppure no? Forse gli italiani non hanno alcuna responsabilità e devono soltanto obbedire agli ordini? Questo è il punto che abbiamo più volte sollevato, relativamente alla catena di comando tra il contingente italiano ed il comando britannico, fino ad arrivare, nella filiera di comando, a quello statunitense. Questi prigionieri iracheni consegnati nelle mani dei britannici subiranno, hanno subito o stanno subendo la stessa sorte degli altri prigionieri? Gli italiani, cioè, consegnano i prigionieri e poi se ne lavano le mani? È questo il quesito da noi posto. Non esiste alcuna responsabilità? Gli italiani stanno lì per obbedire agli ordini dei britannici? Rimango veramente stupefatta di fronte alla vostra capacità di sorvolare sopra i problemi concreti che l'opposizione pone.
Mi aspetto dal generale Chiarini - che ha spesso esternato in questo periodo dal fronte iracheno, e che da lì ci fa sapere tante cose - una smentita (e me lo auguro, perché voglio pensare che l'Italia non c'entri in episodi di questo genere) di quello che il manifesto di oggi riporta in seconda pagina, con la testimonianza di un giornalista arabo-americano della radio nazionale statunitense, secondo la quale non si esclude il coinvolgimento delle truppe italiane in atti in qualche modo analoghi a quelli perpetrati nella prigione di Abu Ghraib.
Qui c'è, appunto, una testimonianza che mi auguro sia rapidamente smentita, signor sottosegretario, dai responsabili militari del nostro contingente in Iraq.
Credo che il vostro atteggiamento - far finta di rispondere per non rispondere - faccia parte di un «giochetto» che, alla fine, non fa che confermare il carattere assolutamente subalterno della nostra partecipazione e, soprattutto, la mancanza di responsabilità politico-istituzionale con cui avete fatto non soltanto la scelta terribile di coinvolgere il nostro paese nella guerra preventiva, ma anche quella di continuare a subire tutte le conseguenze, tutte le decisioni, tutte le nefandezze che da una tale guerra conseguono, senza neanche essere capaci di una presa di distanza critica dall'alleato statunitense!

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