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PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto l'onorevole Naro. Ne ha facoltà.
GIUSEPPE NARO. Signor Presidente, a nome dell'UDC, preannuncio il voto favorevole sulle mozioni accettate dal Governo e chiedo alla Presidenza l'autorizzazione a pubblicare in calce al resoconto della seduta odierna il testo integrale della mia dichiarazione di voto.
PRESIDENTE. La presidenza lo consente, sulla base dei consueti criteri.
Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto l'onorevole Cima. Ne ha facoltà.
LAURA CIMA. Signor Presidente, vorrei richiamare l'attenzione dei colleghi sul fatto che la discussione che svolgiamo oggi in quest'aula è di fondamentale importanza, in questa fase. L'ultimo vertice del WTO fallito a Cancun (dopo il vertice di Seattle, anch'esso fallito in presenza di una grandissima mobilitazione sociale degli agricoltori e di tutti i movimenti sociali che si è ripetuta ad ogni incontro) ha messo a fuoco nodi politici importantissimi sui quali oggi siamo chiamati a pronunciarci con chiarezza. Tale vertice è fallito proprio su questi nodi che riguardano il rifiuto, da parte dei cosiddetti paesi in via di sviluppo che si sono riuniti in una nuova aggregazione (G21, poi diventata G23), del sistema protezionistico dell'Unione europea e degli USA e dei sussidi in agricoltura. In altri termini, non si è stati in grado di dialogare con le richieste dei paesi in via di sviluppo.
Ricordo che il vertice è stato drammaticamente segnato dal suicidio di un contadino coreano, rappresentante di moltissimi contadini rovinati totalmente dal dumping americano. Ricordo anche la richiesta di imporre una serie di nuovi temi, ad esclusivo vantaggio dei paesi ricchi, i cosiddetti temi di Singapore, che non attengono a questioni strettamente commerciali (correttamente, a nostro avviso, 70 paesi hanno rifiutato di inserirli in agenda) e su cui, invece, sia l'Unione europea sia gli Stati Uniti si erano in qualche misura intestarditi.
Per quanto riguarda la vicenda del cotone africano, su cui vi era stata la richiesta specifica di modificare la posizione del WTO per venire incontro all'esportazione di tale prodotto, mentre l'Unione europea ha dimostrato una maggiore disponibilità, gli Stati Uniti hanno negato qualsiasi possibilità di interlocuzione.
A questo punto, la grossa novità politica che si è determinata con tale fallimento è la creazione di un sistema multilaterale nel quale, al fine di fronteggiare lo strapotere degli Stati Uniti e dell'Unione europea (ossia dei paesi ricchi), gruppi di paesi capeggiati da Brasile, India e Cina si sono riuniti ed hanno presentato un testo agricolo in antitesi.
A seguito di ciò, Brasile, India e Cina hanno iniziato ad intessere una serie di rapporti trilaterali (i cosiddetti G3), che stanno modificando i rapporti di forza all'interno di questo mondo martoriato dalle guerre e dalla fame.
Se non capiamo come deve collocarsi l'Italia in questa situazione e come deve agire all'interno dell'Europa per modificare la politica europea, effettivamente è come se volessimo continuamente battere la testa contro il muro e passare il rullo compressore su tutte le esigenze dei paesi poveri e dei paesi in via di sviluppo che hanno portato avanti la loro battaglia in modo, dal loro punto di vista, vincente.
Quindi, il primo vertice di Seattle è stato affossato dal movimento esterno, ossia da tutti coloro che hanno manifestato contro, modificando anche le relazioni interne.
Ormai a Cancun è nata una politica di alleanze multilaterali che ha messo fortemente in discussione il senso stesso di una organizzazione non democratica come l'Organizzazione mondiale del commercio, inventata in buona sostanza per portare avanti i temi neoliberisti in un mondo globalizzato, ma senza prestare attenzione al raggiungimento di quelli che, in altra sede, per esempio a Monterray, sono stati individuati come i millenium goal, non raggiungibili nel modo più assoluto, ma anzi destinati ad allontanarsi sempre più attraverso la politica portata avanti dai paesi presenti all'interno dell'Organizzazione mondiale del commercio.
PRESIDENTE. Onorevole Cima, si avvii a concludere.
LAURA CIMA. Concludo, signor Presidente, avanzando una richiesta di votazione per parti separate della mia mozione n. 1-00361, nel senso di votare distintamente l'ultimo capoverso del dispositivo, considerato che vi sono diverse posizioni, anche illustrate nella mozione Crucianelli ed altri. Preferirei che ognuno avesse modo di esprimerle.
PRESIDENTE. Onorevole Cima, le ricordo che il Governo ha espresso parere favorevole sul dispositivo della sua mozione.
Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto l'onorevole Raisi. Ne ha facoltà.
ENZO RAISI. Signor Presidente, onorevoli colleghi, rileggendo i documenti presentati dall'opposizione, devo dire che trovo imbarazzante riscontrare in essi elementi culturali legati ad un terzomondismo fallimentare. Un terzomondismo che, negli anni Ottanta e Novanta, ha mostrato i suoi limiti, indicando nell'Occidente il male e nei paesi in via di sviluppo quelli che, in qualche modo, rappresentavano il futuro da tutelare.
Credo che da parte della sinistra siano necessari su questi aspetti un maggiore equilibrio ed un'autocritica per cercare di inquadrare, in modo più calibrato ed anche sensato, i termini del problema.
È indubbio che vi siano state responsabilità dell'Occidente, come, al contempo, è indubbio che vi siano responsabilità gravi di governi dei paesi in via di sviluppo, che non accelerano il processo di democratizzazione in corso in quei paesi e che mantengono una forte corruzione in quei sistemi. Non a caso, cari colleghi, uno dei nodi sui quali vi è lo scontro, per richiamare i famosi quattro temi o issues di Singapore, verte, per la gran parte, sul tema della trasparenza.
Non comprendo il silenzio, da parte della sinistra, nel coprire in qualche modo i governi dei paesi in via di sviluppo che rifiutano il processo di trasparenza che, giustamente, i paesi occidentali chiedono di avviare nei paesi del terzo mondo. Come si fa ad essere contrari alla trasparenza negli appalti pubblici, cioè ad uno dei quattro temi di Singapore? Come si fa ad essere contrari ad un'apertura delle dogane, altra fonte di grande corruzione - non dimentichiamolo - nei paesi del terzo mondo?
Il vertice di Cancun è stato un fallimento? Probabilmente: tuttavia, tale incontro ha rappresentato un momento di riflessione. Se vi è stato un fallimento, occorre, anche in questo caso, capire di chi siano state le responsabilità. Io ho avuto l'onore di essere presente e ricordo qual è stato l'ostacolo: l'Unione europea era pronta ad affrontare alcuni dei temi posti dai paesi in via di sviluppo, ad esempio in agricoltura; tuttavia, si è registrata la chiusura totale e cieca da parte dei governi del cosiddetto terzo mondo e dei paesi in via di sviluppo in ordine ai quattro temi di Singapore, in particolare anche sui due sui quali l'Europa chiede in ogni caso e fermamente di mantenere aperta la discussione, ovvero sui temi del libero commercio e della trasparenza negli appalti. Non credo che si chieda qualcosa di irraggiungibile. In un paese democratico, in un paese occidentale, è una delle prime garanzie che si chiede per tutelare le aziende e le imprese.
Stupisce il silenzio da parte della sinistra quando il mondo occidentale porta avanti una battaglia sui diritti dell'ambiente e sui diritti dei lavoratori. Credo che almeno sui due punti - mi riferisco alla garanzia del libero commercio ed alla trasparenza negli appalti - che l'Unione europea ha chiesto di mantenere fermi anche nei negoziati sviluppatisi all'indomani di Cancun l'Italia debba tenere una certa posizione. Ciò affinché riprenda il negoziato, che ha avuto un momento di successo a Doha e si è bloccato a Cancun, non certo per responsabilità dei rappresentanti dell'Unione europea.
Cari colleghi, non credo che proposte come quella di ulteriori nascite di strumenti istituzionali legati all'ONU o ad altre realtà siano soluzioni accettabili. Abbiamo bisogno di decisioni, non di creare altre realtà assembleari in cui tutti partecipano e dicono la propria senza che vi sia la possibilità di decidere. Alla fine, infatti, succede quello che tutti ci aspettavamo: si fanno gli accordi bilaterali.
Bisogna evitare che si rompa il meccanismo faticosamente creatosi attraverso il WTO. Tale organizzazione ha garantito - nonostante qualcuno abbia affermato il contrario - trasparenza e democrazia a tutti i livelli. Credo sia necessario un rafforzamento della sede di confronto, pur rimanendo fermi alcuni concetti.
Certo, è giusto aiutare i paesi in via di sviluppo. L'Italia lo ha fatto, ad esempio, quando si è trattato di incrementare gli aiuti sui farmaci contro l'AIDS: non dimentichiamo la posizione del Governo italiano, forte e presente in tale occasione. Ritengo, però, che nella trattativa con i paesi in via di sviluppo vadano mantenuti alcuni paletti per l'Unione europea, che crede nel diritto alla trasparenza, nel diritto all'ambiente, nei diritti dei lavoratori.
Bisogna cedere e concedere, ad esempio, sui temi riguardanti i prodotti agricoli, sui quali - ripeto - l'Unione europea era già pronta anche a Cancun, a differenza di altri paesi occidentali. Anche in tale sede
avevamo dichiarato la disponibilità da parte dell'Unione europea - come sottolineato dal commissario Lamy nel suo intervento - a compiere quel passo in avanti a favore delle richieste dei paesi in via di sviluppo, fermi restando i paletti riguardanti la trasparenza e lo sviluppo della democrazia in tali paesi.
Credo che questi siano i punti sui quali dobbiamo convergere: sono i punti che la mozione presentata dal mio gruppo cerca di rimarcare e di sostenere (Applausi dei deputati del gruppo di Alleanza nazionale).
PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto l'onorevole Ruggeri. Ne ha facoltà.
RUGGERO RUGGERI. Signor Presidente, sono favorevole alla mozione Crucianelli n. 1-00277 (Nuova formulazione) perché ritengo che abbia colto maggiormente quanto accaduto a Cancun. Certamente, vi è stato un fallimento per chi si aspettava una maggiore liberalizzazione dei commerci, per chi si aspettava di continuare un modello di sviluppo che invece ha creato problemi soprattutto per i paesi più poveri. Quindi, si è trattato di un fallimento, ma anche di un momento di riflessione per piccoli e grandi aspetti.
Ricordo che da anni ci stiamo trascinando un problema riguardante la gestione del WTO, la sua democrazia interna, il modo in cui vengono prese le decisioni. In quell'assemblea le decisioni sono prese all'unanimità. Tuttavia, nel 1948 i paesi membri erano 18, mentre oggi sono 146.
Occorre quindi ricostruire una nuova democrazia interna e trovare una nuova logica di rispetto, soprattutto nei confronti dei paesi che sono maggiormente da tutelare e da aiutare.
Vi è poi anche un problema di contenuto. Nel tempo c'è stato quasi un trascinamento di rapporti commerciali un po' iniqui, senza che vi fosse la possibilità di uno sviluppo che coinvolgesse reciprocamente le varie economie. Vi è stata una dinamica, che ha visto un aumento dei prezzi solo per i prodotti dei paesi occidentali, e non anche per quelli degli altri paesi. Ricordo che, soprattutto negli anni Settanta, si è preso coscienza, anche a livello politico e generale, dell'esistenza dei paesi in via di sviluppo. Infatti la terminologia di terzo o quarto mondo è nata in quegli anni e non a caso è proprio di quegli anni una grande enciclica, la Popolorum progressio, di Papa Paolo VI, il quale pose per primo il problema di una diversa distribuzione della ricchezza.
È da allora che noi ci siamo un po' persi, giorno dopo giorno. Quindi, per qualcuno non è stata una sorpresa che a Cancun, per la prima volta nella storia, un gruppo consistente di paesi abbia preso coscienza di un proprio ruolo in questa odierna società globalizzata. Se è vero che nel tempo le relazioni commerciali hanno creato ricchezza, vi è anche un'altra verità, con la quale dobbiamo fare i conti e riflettere, altrimenti la Conferenza di Cancun non sarà servita a nessuno. In questi anni, abbiamo assistito all'esplosione della povertà, al crescere del differenziale fra paesi ricchi e paesi poveri. Abbiamo assistito a un paradosso che vede i paesi poveri finanziare i paesi industrializzati occidentali attraverso una dinamica dei prezzi come quella che ricordavo prima, in presenza di prezzi dei prodotti dei paesi più ricchi (che sono anche i prodotti a più alto contenuto di valore) che nel tempo sono sempre più aumentati, a fronte dei prezzi delle materie prime, che invece nel tempo sono sempre diminuiti. Questa è stata la dinamica del finanziamento dei paesi poveri verso i paesi ricchi.
Non è un caso anche la denuncia, vergognosa, dei temi del debito dei paesi poveri. Ricordo che questo debito, come è stato già detto da tanti, sarebbe già stato ampiamente rimborsato se fosse stato calcolato non in dollari, ma in altre monete estere, in un paniere di monete internazionali, perché, quando il dollaro è passato da 600 lire a 2000 lire, il debito, solo per questo motivo, si è triplicato e così i paesi poveri non hanno avuto neppure la possibilità di rimborsare le rate degli interessi.
Questo è un problema sul quale riflettere ed indagare, per capire ciò che è accaduto a Cancun.
La Conferenza di Cancun è stata inoltre l'occasione per verificare un ulteriore paradosso: l'Occidente che chiede di liberalizzare di più gli scambi e gli investimenti occidentali in questi paesi in via di sviluppo; l'Occidente che chiede una concorrenza maggiore e la facilitazione del commercio. Queste sono prediche che noi abbiamo fatto ai paesi in via di sviluppo, mentre in realtà i primi a proteggere l'economia e a creare ostacoli e protezionismo - ecco il paradosso - siamo stati noi occidentali, noi paesi europei, noi paesi americani! Questo è dunque l'altro paradosso: la predica che facciamo, mentre nei fatti ognuno pensa solo per sé.
È ormai da tempo che si riflette (non è un fatto ideologico né politico, ma culturale profondo) sul fatto se lo sviluppo del capitalismo occidentale, posto a paradigma dello sviluppo dei paesi poveri, debba essere oggi modificato o riformato, non essendo riuscito a riallocare le risorse ed a distribuire la ricchezza anche fra chi viene prodotta.
Secondo le ultime indicazioni degli organismi internazionali (primo fra questi anche la FAO), la povertà sta aumentando e ciò vuol dire che il nostro sviluppo ha bisogno di essere rettificato. Dunque, si avverte la necessità di rivedere (non solo per problemi di democrazia interna, sarebbe già tanto, ma anche sotto il profilo delle organizzazioni internazionali, a partire dal WTO) le politiche degli scambi e della cooperazione: vi sono studi che dimostrano che, nel tempo, gli scambi commerciali sono stati funzionali solo alle economie più forti, dei paesi ricchi.
Qualcosa non ha funzionato: forse, gli intenti e gli obiettivi erano diversi, vale a dire più equi e più solidali. A Cancun ci si è posti di fronte a tali problematiche, che non sono di poco conto: o cerchiamo di interpretarle e di capirle o innescheremo processi involutivi inarrestabili.
Si avverte la necessità - questa è la richiesta dei paesi in via di sviluppo che hanno acquisito consapevolezza al riguardo - di instaurare relazioni più giuste, fondate sul rispetto e sulla dignità dei popoli, di un'economia di mercato più leale e più funzionale alle esigenze dei soggetti più deboli che maggiormente sono stati sfruttati (come abbiamo fatto anche noi). Sto parlando di risultati, non degli intenti.
A mio avviso, in questa mozione è presente il germe che ci spinge a dire che, ormai, è giunto il momento di un grande e nuovo progetto mondiale, finalizzato a ristabilire una certa legalità internazionale dell'economia, nonché a trovare, nella partecipazione e nella cooperazione, un nuovo e moderno Bretton Woods, un'economia più giusta e leale che vada a costruire nelle fondamenta il reciproco vantaggio delle economie. Questo è stato sempre l'obiettivo di ogni teoria economica e politica.
Questo è il nostro compito: occorre ritrovare le ragioni di fondo del commercio, perché non è possibile andare avanti, senza accorgersi che il commercio è funzionale solo ad alcuni, a scapito di altri.
RUGGERO RUGGERI. Questo tipo di politica non ha futuro! Occorre più democrazia politica ed economica.
Nel 1944, con gli accordi di Bretton Woods, è stata creata la Banca mondiale per aiutare i paesi dissestati dalla guerra ad investire, a creare nuove fabbriche, a riavviare le produzioni in agricoltura, a creare ricchezza, a soddisfare determinati bisogni, ed è stato istituito il Fondo monetario internazionale che avrebbe dovuto gestire un sistema monetario internazionale, fondato sui cambi fissi, funzionale a dare garanzia a quelle monete, come la lira, che nessuno voleva utilizzare (non vi era alcuna fiducia nella lira). È stato poi istituito il GATT (successivamente denominato WTO) per favorire gli accordi commerciali, con riferimento ai quali ognuno potesse presentarsi e scambiare prodotti per sopravvivere ed aumentare un minimo il proprio livello di benessere.
Queste erano le intenzioni. Probabilmente, dobbiamo ritornare alle intenzioni per capire la situazione, sulla base degli strumenti e della realtà di oggi, ed inventare nuove politiche.
PRESIDENTE. Onorevole Ruggeri, dovrebbe smettere di inventare, perché ha concluso il tempo a sua disposizione. Deve tornare alla cruda realtà che incombe!
RUGGERO RUGGERI. Ricordo ai colleghi che da questo scenario nasce anche un nuovo ruolo dell'Unione europea sia nei confronti degli Stati Uniti d'America, che fanno sempre ciò che vogliono indipendentemente dagli accordi presi - a Cancun abbiamo verificato che gli Stati Uniti hanno abbandonato l'Europa -, sia soprattutto nei confronti dei paesi poveri.
L'Europa ha questo ruolo: trascinare anche i paesi poveri e non solo gli Stati Uniti verso un nuovo modello di sviluppo fondato sul rispetto della dignità delle persone (Applausi dei deputati del gruppo della Margherita, DL-L'Ulivo).
PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto l'onorevole Mantovani. Ne ha facoltà.
RAMON MANTOVANI. Signor Presidente, il sottosegretario Ventucci...
CESARE RIZZI. Presidente, ho chiesto di parlare sull'ordine dei lavori!
PRESIDENTE. Onorevole Rizzi, le darò la parola successivamente.
Prego, onorevole Mantovani.
RAMON MANTOVANI. Il sottosegretario Ventucci avrà notato che noi non abbiamo presentato alcuna mozione, in quanto ne presentammo una prima del vertice negoziale di Cancun; mozione che esprimeva pienamente sia la nostra posizione sia i nostri intendimenti programmatici, uno dei quali ha avuto successo: il vertice del WTO di Cancun è fallito. Noi ce lo auguravamo, lo volevamo e, in misura modesta, abbiamo anche contribuito a questo risultato partecipando alle proteste che mondialmente sono state condotte contro l'Organizzazione mondiale del commercio.
Vorrei far notare all'onorevole Raisi, che ha investito i presentatori delle mozioni di accuse anche piuttosto virulente (terzomondismo, fanatismo e quant'altro) che, per una proprietà transitiva, queste accuse le gira al suo stesso Governo, il quale ha accettato quasi integralmente preamboli e dispositivi di queste mozioni.
Approfitto di questa occasione per svolgere una considerazione suppletiva: io riconosco al Governo italiano, prima, durante e dopo Cancun, un atteggiamento non precluso ad ascoltare ragioni non solo dell'opposizione politica, ma anche ragioni di istanze sociali, come quelle in base alle quali si è chiesto all'esecutivo di escludere dai negoziati di Cancun la privatizzazione dell'acqua, nonché quelle per le quali si è chiesto di ascoltare le esigenze del movimento denominato «Via Campesina» che - come il Governo sa - raccoglie contadini del terzo mondo e contadini italiani, francesi, spagnoli, portoghesi, greci ed anche tedeschi.
Do atto al Governo di un atteggiamento non chiuso e credo che il sottosegretario Ventucci, che è sempre stato presente in occasione di queste nostre discussioni su tale materia, abbia avuto un ruolo importante per l'apertura dell'esecutivo da questo punto di vista.
Vorrei ricordare ancora una volta agli onorevoli Raisi e Ruggeri che la Commissione europea, a Cancun, è stata la punta di diamante contro lo schieramento dei 23 paesi cosiddetti poveri. Al contrario, devo riconoscere che il Governo italiano, soprattutto nella persona del ministro Alemanno, ha avuto un atteggiamento diverso da quello del commissario Lamy. Probabilmente l'onorevole Raisi voleva alludere agli incontri svolti dal ministro Alemanno con i contadini di «Via Campesina», che invece il commissario Lamy avrebbe volentieri visto caricati dalla polizia.
Detto ciò, intendo entrare nel merito delle mozioni. Non interverrò sulla mozione presentata dai colleghi dei Verdi, in
quanto sulla stessa esprimeremo un voto favorevole ad esclusione dell'ultimo capoverso del dispositivo (poi dirò il perché). Invece, sulla mozione Crucianelli, firmata da un notevole numero di colleghi del centrosinistra, vorrei fare un ragionamento, chiedendo agli onorevoli Crucianelli e Marcora - che stimo entrambi - di coglierne l'intento e l'essenza.
Esiste un aspetto di fondo della mozione che non condividiamo, perché in buona sostanza è improntato all'illusione che l'Organizzazione mondiale per il commercio si possa riformare, democratizzare e rendere trasparente nella capacità decisionale e nel raggiungimento degli accordi commerciali, previsti dai negoziati svolti in seno all'OMC.
All'onorevole Ruggeri vorrei dire invece che, al contrario della Banca Mondiale e del Fondo Monetario Internazionale, sorti - come correttamente ha ricordato - a seguito degli accordi di Bretton Woods, prima il GATT e poi l'OMC nascono come alternativa all'UNCTAD, organizzazione preposta alla trattazione, in sede al sistema delle Nazioni Unite, dei temi relativi al commercio e allo sviluppo. Il GATT serve ai paesi forti per costringere ad un tavolo negoziale quelle nazioni che in sede ONU, in grazia alla maggiore democraticità degli organismi delle Nazioni Unite, avevano avuto maggiore spazio negoziale. Li si costringe, quindi, a sedere ad un tavolo e ad entrare in un'organizzazione in cui, in virtù dello statuto materiale, esiste una discriminazione. Infatti, l'astratta uguaglianza di paesi, codificata da regole che presumono parità di condizioni, finisce con l'esaltare soltanto la diseguaglianza, invece di risolvere i problemi, quando di fatto l'eguaglianza non esiste. Su questo ragionamento di fondo, quindi, siamo completamente in disaccordo.
Se oggi l'argomento dell'Organizzazione mondiale per il commercio viene maggiormente discusso all'interno dei Parlamenti, lo dobbiamo al movimento nato a Seattle che l'ha contestata, capeggiato dai portuali e dai metalmeccanici statunitensi e composto da moltissime organizzazioni di tutto il mondo. Una volta, cari colleghi, l'OMC ha visto un ministro italiano firmare un accordo in virtù del quale noi paghiamo multe, corrispondenti a migliaia di miliardi di lire, solo perché il nostro Parlamento ha inteso tutelare la salute dei nostri cittadini, proibendo ad esempio la vendita di carne trattata con estrogeni. A causa di questo, l'OMC condanna l'Italia a pagare sanzioni, solo per avere esercitato un diritto democratico. Questa è l'Organizzazione mondiale per il commercio!
Esistono poi luoghi comuni infondati, interni al ragionamento di queste mozioni. Lo ha già ricordato anche qualche altro collega: falliscono gli accordi multilaterali e allora prenderanno piede quelli bilaterali. Questa è una bugia, un'enorme bugia! Gli accordi bilaterali si fanno comunque, sia da parte degli Stati Uniti che da parte dell'Unione europea. Non è poi detto che gli accordi multilaterali siano migliori di quelli bilaterali, perché quello che importa è il loro contenuto. L'accordo multilaterale che ci costringe a pagare una sanzione per proteggere la salute dei nostri cittadini è ignobile, anche se multilaterale, mentre l'accordo bilaterale che fece l'Unione europea a Lomé, con i paesi produttori di alcune derrate agricole e che diede vita alla guerra commerciale con gli USA, era un buon accordo, anche se bilaterale. Allora mi chiedo: perché si insiste con questa litania sulla bontà degli accordi multilaterali e, al contrario, si procede con la demonizzazione di quelli bilaterali?
Infine, non è vero che gli accordi bilaterali seguono quelli multilaterali quando questi ultimi falliscono. Infatti, l'Unione europea e gli Stati Uniti, per contrastare il Mercosur e per porre un'ipoteca sull'effettiva possibilità di realizzare l'ALCA in tutti gli Stati americani, dal Canada alla Terra del fuoco, hanno stretto accordi bilaterali con il Cile: quello dell'Unione europea è pessimo, peggiore di quello degli Stati Uniti! Esso infatti inserisce nell'ambito della liberalizzazione anche i servizi, cosa che persino il Governo italiano aveva escluso, prima di andare al tavolo negoziale di Cancun: debbo dunque constatare che la Commissione europea è a destra del Governo italiano! Su questa
materia, la Commissione europea è più a destra della destra estrema di qualsiasi governo europeo, perché è una Commissione composta di tecnocrati che rispondono alle multinazionali e a nessun altro! Non sono eletti da nessuno e rispondono soltanto ai governi che li nominano! È dunque illusorio ritenere che gli accordi multilaterali salveranno i paesi poveri o riusciranno a strappare migliori condizioni.
Vi è un'ulteriore questione relativa alla logica che ispira la mozione Crucianelli n. 1-00277 e che determina il nostro profondo dissenso, pur essendo d'accordo su numerosi aspetti e sullo spirito della mozione stessa: mi riferisco all'idea che siano puramente e semplicemente i dazi doganali in quanto tali a costituire un grave problema. Se l'Unione europea, o qualsiasi paese ricco, provvede ad erogare sussidi in favore delle esportazioni agricole e mantiene i dazi doganali per le importazioni, non nego che si determini un problema, ma non posso considerarlo il problema unico o principale.
PRESIDENTE. Onorevole Mantovani...
RAMON MANTOVANI. Ho concluso, signor Presidente, mi conceda ancora un minuto. Propongo di introdurre, in luogo dei dazi doganali, dazi sulla base di normative sociali: ritengo che l'Unione europea potrebbe proibire la vendita di merci che sono sicuramente prodotte con il lavoro minorile e con la schiavitù minorile (si tratta di 250 milioni di bambini del mondo). Tuttavia, ritengo anche che non si possa pretendere di far uscire un aspetto negativo dalla porta per farlo rientrare dalla finestra: a seguito dell'eliminazione dei dazi doganali e dei sussidi all'esportazione di alcuni prodotti agricoli (con questo, lo ripeto, non intendo dire che difendo tali dazi e sussidi), vi è il rischio che le multinazionali, magari aventi sede in Europa, vadano a produrre merci, che già si producono in Europa, in altri paesi del mondo, in modo industrializzato, cacciando le popolazioni che vivono in quelle terre e realizzando nuove monoculture che uccidono la natura e che provocano gravi problemi sociali, per importare successivamente in Europa le merci prodotte in concorrenza con i piccoli produttori europei, peraltro abbassando la qualità con il transgenico, con i diserbanti, con le sementi sterili e via dicendo.
Non possiamo pertanto convenire sulla mozione in esame. Restiamo fermi sulla posizione, articolata e programmatica, che abbiamo espresso prima del vertice di Cancun. Tale posizione è stata confermata dal fatto che l'Organizzazione mondiale del commercio ha fallito per due volte il round negoziale. Non comprendo perché si voglia, da parte dell'opposizione, tentare a tutti i costi di salvare questa organizzazione, che a nostro avviso è uno dei principali responsabili della fame, della miseria e della disperazione nel mondo (Applausi dei deputati dei gruppi di Rifondazione comunista e Misto-Verdi-L'Ulivo).
PRESIDENTE. L'onorevole Rizzi, che aveva chiesto precedentemente di parlare sull'ordine dei lavori, ha facoltà di intervenire.
CESARE RIZZI. Signor Presidente, da un'ora e mezza stiamo discutendo, fra l'altro, su una mozione firmata da circa 150 deputati del centrosinistra. A prescindere dal fatto che vedo presenti circa 20 o 30 di tali deputati e che dunque la mozione appare essere di carattere puramente strumentale, le chiedo se risponda al vero che larga parte dei deputati del centrosinistra è andata a manifestare, non so per quale motivo. Trovo vergognoso che alcuni parlamentari blocchino i lavori della Camera per andare a manifestare: in questo paese, di manifestazioni già ne abbiamo tutti i giorni! È vergognoso che i membri del Parlamento, durante i lavori della Camera, vadano a manifestare (Applausi dei deputati dei gruppi della Lega Nord Federazione Padana e di Forza Italia)! È bene che questo i cittadini lo sappiano (Applausi dei deputati dei gruppi della Lega Nord Federazione Padana e di Alleanza nazionale)!
ANTONIO BOCCIA. Chiedo di parlare sull'ordine dei lavori.
PRESIDENTE. Ne ha facoltà.
ANTONIO BOCCIA. Signor Presidente, il collega Rizzi si è svegliato e giustamente ha posto all'Assemblea una questione sulla quale va detta qualche parola. Noi ricordiamo come negli anni in cui era all'opposizione, ma anche durante questa legislatura, nel ruolo di maggioranza, la Lega sovente abbia abbandonato quest'aula e non solo non ha consentito alla stessa maggioranza di procedere, ma spesso ha impedito all'intera Assemblea di proseguire i suoi lavori.
Il centrosinistra sta conducendo una vibrata protesta nei confronti dell'occupazione della RAI da parte del Presidente del Consiglio Berlusconi (Commenti dei deputati dei gruppi di Alleanza nazionale e della Lega Nord Federazione Padana)... Ciononostante, siccome abbiamo molto rispetto per il lavoro parlamentare, sia gli iscritti a parlare sia i segretari d'aula, come lei può vedere, sono presenti per consentire all'Assemblea di proseguire l'esame di queste importanti mozioni e per permettere alle istituzioni di funzionare.
Quindi, mi consenta, Presidente, le osservazioni del collega Rizzi, per quanto egli goda della mia simpatia, in questo caso sono del tutto fuori luogo (Applausi dei deputati dei gruppi della Margherita, DL-L'Ulivo e dei Democratici di sinistra-L'Ulivo).
RENZO INNOCENTI. Chiedo di parlare sull'ordine dei lavori.
PRESIDENTE. Ne ha facoltà.
RENZO INNOCENTI. Signor Presidente, anche il nostro gruppo è costretto ad intervenire dopo le dichiarazioni insensate del collega Rizzi (mi limito a definirle tali). Noi non blocchiamo - e questo lo dimostra - i lavori della Camera, perché interveniamo con i nostri rappresentanti nel merito dei punti all'ordine del giorno. Quindi, non vedo dove il collega Rizzi individui il blocco delle attività. Forse lo immagina: il suo mondo è molto ristretto....
CESARE RIZZI. Ma se sono due ore che parlate su una mozione!
RENZO INNOCENTI. Collega Rizzi, non interrompere, per favore! Lo sai benissimo, non interrompiamo nulla, i lavori proseguono.
CESARE RIZZI. Roba da matti...
RENZO INNOCENTI. Non so se nel suo intervento lei volesse chiedere al Presidente di impedire che i parlamentari eletti partecipino a libere manifestazioni anche vicino alla sede del Parlamento. Non so se vi sia anche un tentativo di imporre la censura e la museruola ai parlamentari dell'opposizione che stanno manifestando contro quello che è successo alla RAI. Può essere condiviso o meno, ma comprendiamo anche che la Lega su questo ha sicuramente velleità che sono diametralmente opposte ai principi di libertà e di giustizia nell'informazione. Mi sembra si tratti della libera espressione di un parlamentare e non vedo da parte del rappresentante della Lega cosa vi sia da recriminare.
D'altra parte - e concludo, Presidente - stamani si è svolta una manifestazione con la partecipazione di esponenti della Lega davanti a Montecitorio contro «Forcolandia». Per chi non lo sapesse, «Forcolandia» è l'espressione con cui i rappresentanti della Lega denominano, da un po' di tempo a questa parte, l'Unione europea (Commenti dei deputati del gruppo della Lega Nord Federazione Padana)...
CESARE RIZZI. Non sai neanche quello che dici!
CAROLINA LUSSANA. Eravamo in aula!
RENZO INNOCENTI. Stamani erano là, quindi non capisco per quale ragione le manifestazioni della Lega contro «Forcolandia» debbano essere autorizzate...
CESARE RIZZI. Ma non durante i lavori!
RENZO INNOCENTI. ... contro qualsiasi tipo di adempimento per cercare di far parte in modo integrale ed organico dell'Unione europea. Quelle vanno bene, le manifestazioni dell'opposizione, invece...
CESARE RIZZI. Ne fate due al giorno!
RENZO INNOCENTI. ...di fronte alla sede della RAI, per protestare contro un'occupazione del servizio pubblico, devono essere censurate! Questo è veramente uno scandalo, per il fatto stesso che il collega Rizzi continui a sostenerlo (Applausi dei deputati dei gruppi dei Democratici di sinistra-L'Ulivo e della Margherita, DL-L'Ulivo - Dai banchi dei deputati del gruppo di Alleanza nazionale si grida: «Buffone!»)!
GIAN PAOLO LANDI di CHIAVENNA. Chiedo di parlare per un chiarimento.
PRESIDENTE. Mi scusi, onorevole Landi di Chiavenna, ma le darò la parola successivamente, dopo aver risposto alla questione sollevata.
Onorevoli Rizzi, vorrei precisarle che i poteri del Presidente, per fortuna, si limitano alla disciplina dei rapporti interni, di modo che essi consentano il buon andamento dei lavori e dell'attività della Camera dei deputati. Ciò che avviene al di fuori della Camera e le decisioni che ciascun parlamentare, in qualsiasi parte sieda, decide di assumere attiene alle decisioni politiche, sulle quali, naturalmente, ognuno di noi può avere la rispettabile e rispettiva valutazione sulla sua opportunità o sul merito.
Ciò che non può essere inquadrato - e lo dico sinceramente, onorevole Rizzi - nell'ambito dell'ordine dei lavori è inserire, durante lo svolgimento dei lavori stessi, un tema che non può certamente interessare la Presidenza quando il Presidente di turno è seduto a questo banco, perché non ha compiti di censura e non può e non deve criticare il comportamento del singolo parlamentare.
Pertanto, evitiamo che su tale questione si apra un dibattito nel quale, poi, le parole possono essere diversamente indirizzate, e sempre con una forza polemica che non mi sembra il caso di esprimere in determinate situazioni, salvo che non si verifichi una lesione del regolamento. Il regolamento della Camera non è stato leso, e quindi possiamo procedere con i nostri lavori.
Prego, onorevole Landi di Chiavenna, ha facoltà di parlare. (Applausi del deputato Adduce).
GIAN PAOLO LANDI di CHIAVENNA. Signor Presidente, vorrei chiedere molto brevemente un chiarimento al rappresentante del Governo. Mi sembra che, per quanto riguarda la mozione Crucianelli ed altri 1-00277 (Nuova formulazione), il Governo abbia accettato la parte motiva e numerosi punti del dispositivo, ad esclusione della lettera a) del secondo capoverso; domando pertanto al rappresentante del Governo una conferma della mia impressione.
Per quanto riguarda la mozione Cima ed altri n. 1-00361, chiedo al Governo di confermare l'orientamento espresso. Mi sembra, infatti, che sia stata accettata, ed allora vorrei sapere se il Governo ritenga di accettare anche il terzo e l'ultimo capoverso del dispositivo della suddetta mozione, poiché se il Governo confermerà tale orientamento, qualora si dovesse votare la mozione Cima ed altri n. 1-00361 per parti separate, esprimerò, a titolo personale, un voto contrario sul terzo e sull'ultimo capoverso del dispositivo, anche contrariamente alle indicazioni dell'Esecutivo.
COSIMO VENTUCCI, Sottosegretario di Stato per i rapporti con il Parlamento. Chiedo di parlare.
PRESIDENTE. Ne ha facoltà.
COSIMO VENTUCCI, Sottosegretario di Stato per i rapporti con il Parlamento.
Signor Presidente, intervengo per precisare che, per quanto riguarda la mozione Crucianelli ed altri n. 1-00277 (Nuova formulazione), il Governo non accetta la parte motiva e il primo capoverso del dispositivo, dalle parole «a confermare la scelta» fino alle parole «sviluppo con l'Organizzazione mondiale del commercio». Il Governo, pertanto, accetta del dispositivo della suddetta mozione le parole « impegna il Governo ad adoperarsi, anche in vista del rinnovo della Commissione europea previsto per il novembre del 2004, per: «e tutte le lettere dalla b) fino alla f), ad esclusione della lettera a) («escludere l'avvio dei negoziati sui temi di Singapore dall'agenda di Doha»).
Per quanto riguarda la mozione Cima ed altri n. 1-00361, invece, preciso che il Governo non ne accetta la parte motiva, mentre ne accetta l'intero dispositivo.
PRESIDENTE. Sta bene.
Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto l'onorevole Preda. Ne ha facoltà.
ALDO PREDA. Signor Presidente, credo opportuno svolgere alcune considerazioni di cui la politica deve pur tenere conto dopo il fallimento della Conferenza di Cancun, il quale, indubbiamente, ha posto e pone a tutti la necessità di formulare alcune riflessioni. Ritengo che la V Conferenza ministeriale dell'Organizzazione mondiale si sia rivelata cruciale nel fare emergere problemi, contraddizioni e, appunto, necessarie riflessioni.
Il WTO è un'istituzione molto giovane, inserita nell'ambito del cosiddetto sistema multilaterale che ha governato le relazioni politiche, commerciali, economiche e finanziarie dalla fine della seconda guerra mondiale ad oggi, ma fuori dal sistema delle Nazioni Unite.
Oggi, la posta in gioco è altissima e dopo la Conferenza di Cancun è diventata ancora più alta, perché da una parte abbiamo i popoli della fame e, dall'altra, i popoli saziati e ricchi, e credo che questo problema sia emerso e sia stato denunciato in modo evidente proprio a Cancun. Ha rappresentato anche uno dei principali conflitti in essere e per comprendere la dimensione della partita di Cancun dobbiamo riguardare con attenzione all'agenda del vertice, a ciò che era stato programmato, a ciò che si intendeva fare.
A differenza delle ultime due conferenze del WTO, dove l'allargamento del mandato a nuovi accordi, a partire da quello sugli investimenti ed il lancio di un nuovo round negoziale, erano al centro del contenzioso tra i vari governi, nella Conferenza di Cancun è stato dominante il tema dell'agricoltura e quello delle protezioni dei dazi, della povertà, della fame. È questa un'equazione difficile da risolvere, che per essere compresa nelle sue difficoltà ha bisogno di qualche ipotesi esemplificativa e anche di alcune riflessioni che vadano oltre la politica.
Nella nostra mozione abbiamo cercato di svolgere una serie di riflessioni, la prima delle quali su affermazioni abbastanza importanti richiamate in quella sede. Ne cito solamente quattro, ma ce ne sono anche altre importanti: promuovere da subito una riforma democratica dei meccanismi decisionali dell'Organizzazione mondiale del commercio; sostenere - leggo solo l'inizio del capoverso - in questo quadro l'ipotesi di una riforma del sistema delle Nazioni Unite che comporti anche la costituzione di un Consiglio di sicurezza economico-sociale; sostenere le richieste dei paesi in via di sviluppo riguardo all'implementazione degli accordi già esistenti in sede di Organizzazione mondiale del commercio; promuovere una posizione dell'Unione europea di maggiore apertura verso le richieste e le posizioni di molti paesi in via di sviluppo. La Conferenza di Cancun ha portato ad una serie di riflessioni che dobbiamo fare ma che in questa sede mi limito ad elencare.
Un primo problema denunciato è quello del fallimento della globalizzazione dell'economia, così come è avvenuta ed avviene, che si gioca sui profitti delle multinazionali e sui differenziali sociali: è un fallimento per i paesi poveri, come lo sono il lavoro nero o un sistema finanziario che porta capitali in tutto il mondo
e li trasferisce in tempo reale a seconda dei maggiori e minori profitti assicurati da alcuni paesi. La Conferenza di Cancun ha denunciato questa situazione e in tale quadro dobbiamo sottolineare l'importanza del ruolo della politica, perché non ci può essere solamente un ruolo delle multinazionali, non ci può essere solamente un ruolo dell'economia globalizzata: c'è anche il grande ruolo della politica, delle grandi organizzazioni politiche internazionali.
La Conferenza di Cancun ha significato anche un altro fatto importante: quello del superamento delle disuguaglianze fra paesi poveri e paesi ricchi, in un sistema di solidarietà mondiale che ci porti a vincere le disuguaglianze e la povertà, anche attraverso accordi alternativi per la cooperazione economica.
Ma Cancun ha denunciato anche un'altra necessità: quella di rivedere la politica degli scambi commerciali, che, così com'è impostata, non fa altro che aumentare le disuguaglianze tra paesi poveri e paesi ricchi. Cancun, cioè, ci porta anche a fare una riflessione sulla revisione delle regole dell'economia di mercato, non condizionata da una politica mondiale. Ci porta a dover rivedere funzioni e strategie delle grandi organizzazioni internazionali che non sempre hanno risposto alle esigenze dei popoli della fame e delle disuguaglianze sociali.
Il problema della fame nel mondo non è collegato, come qualcuno vuol fare apparire, alla mancanza della disponibilità di prodotti alimentari - anzi, nei paesi cosiddetti avanzati vi è eccedenza di prodotti alimentari - né all'uso ed alle sperimentazioni dei prodotti OGM da realizzare nei paesi del terzo mondo, i quali non vogliono la sperimentazione sulle sementi o sulle produzioni OGM.
GIAN PAOLO LANDI di CHIAVENNA. Ma chi l'ha detto! Ma chi l'ha detto!
ALDO PREDA. È un problema collegato ad un'equa distribuzione della ricchezza, ad un grande atto di solidarietà mondiale di cui anche il nostro paese deve farsi promotore.
Un'ultima riflessione desidero proporre a quest'Assemblea: la fame nel mondo è strettamente connessa ad un problema etico mondiale. Sebbene non sia riuscito a rintracciarne il testo, mi è sovvenuta una considerazione del cardinale Martini a commento dell'esito della Conferenza di Cancun, che mi ha colpito per la sua semplicità ed anche perché, forse, nonostante il fallimento della predetta conferenza, indica il valore da attribuire ad essa. Se la memoria non mi inganna, il cardinale Martini ha scritto al riguardo (ovviamente, non cito le parole esatte da lui adoperate) che la politica avrà una funzione ed una missione fin quando vi sarà un uomo solo che avrà fame e che potrà gridare: «Dacci oggi il nostro pane quotidiano». Cos'è il pane quotidiano secondo il cardinale? Non è solo il pane, ma anche la giustizia, l'istruzione, la formazione: una serie di elementi che mancano in alcuni paesi. A Cancun, ha scritto il cardinale Martini, la politica non ha teso la mano a quest'uomo solo!
Allora, io credo che il dopo Cancun ci imponga una riflessione approfondita sulla funzione che il nostro paese ed il nostro Governo debbono assumere nei confronti dell'Unione europea ed anche all'interno delle grandi organizzazioni internazionali: denunciare le disuguaglianze mondiali ed i differenziali sociali sui quali si basa la globalizzazione dell'economia e chiedere che la politica dia una mano agli uomini soli, dovunque essi siano (Applausi dei deputati del gruppo dei Democratici di sinistra-l'Ulivo - Congratulazioni)!
PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto l'onorevole Crucianelli. Ne ha facoltà.
FAMIANO CRUCIANELLI. Signor Presidente, signor rappresentante del Governo, anzitutto, chiedo la votazione per parti separate della mozione a mia prima firma, nel senso di votare preliminarmente la parte motiva e, congiuntamente, il primo ed il secondo capoverso, lettera a), del dispositivo e, successivamente, i restanti capoversi del dispositivo.
Ciò precisato, cos'è accaduto a Cancun? Se non è possibile trovarci d'accordo, almeno interroghiamoci su quanto è concretamente accaduto. Ebbene, credo si possa affermare che a Cancun si è verificato un evento politico di grandissima importanza e che, a mio parere, potrebbe segnare una svolta o, comunque, indicare un passaggio politico finanche epocale.
Non a caso, dopo Cancun, diversi commentatori ed analisti politici hanno rievocato la Conferenza di Bandung del 1955: in tale occasione, i paesi asiatici ed africani costruirono il nucleo fondamentale del Movimento dei paesi non allineati, che ebbe una grande funzione e che, per diversi anni, seppe guadagnarsi un ruolo di protagonista politico sulla scena mondiale.
Credo che a Cancun si sia verificato qualcosa di simile.
Per la prima volta, dopo anni, si è verificata l'agglutinazione di un'area del sud del mondo composta non solo dai paesi emergenti, ma anche da quelli del sud povero del mondo che hanno rifiutato gli imperativi economici e commerciali provenienti dai grandi paesi del nord.
Prima del vertice di Cancun, l'Europa e gli Stati Uniti compirono una scelta sbagliata: insieme presentarono un documento sull'agricoltura che, com'è noto, rappresenta uno dei punti fondamentali del contenzioso a livello commerciale e mondiale. Questo documento voleva imporre, ancora una volta, la logica dei paesi del nord, delle grandi multinazionali e delle grandi concentrazioni agroindustriali; per la prima volta, vi è stato, in quest'area del sud del mondo con in testa il Brasile, un rifiuto molto secco. In sostanza, vi è stata la rivolta di questa area del mondo. Tale evento rappresenta un fatto epocale; non a caso, alcuni ministri riconobbero che, prima di compiere determinate scelte, occorreva tentare di discutere con il Brasile e con l'organizzazione del G 21.
Credo - mi rivolgo amichevolmente al collega Mantovani - che Cancun abbia saputo dimostrare l'importanza di una sede multilaterale. Ciò non sarebbe stato possibile a Seattle, che fondamentalmente fallì non solo per la spinta dei movimenti, ma anche per le contraddizioni pesanti fra l'Europa e gli Stati Uniti.
A Cancun, invece, questa parte del mondo ha potuto dimostrare il proprio valore, contrapponendosi ai grandi e forti poteri del nord: gli Stati Uniti e l'Europa. Da questo punto di vista, difendo le sedi multilaterali, perché nella sede multilaterale è possibile la costruzione di un fronte ampio che possa contrastare ciò che difficilmente potrebbe essere contrastato. Infatti, in un rapporto bilaterale Brasile-Stati Uniti o un'area qualsiasi del sud del mondo e i grandi paesi del nord del mondo, non vi sarebbe discussione. Si possono fare anche buoni accordi per reciproche convenienze, ma certamente se esiste un forte interesse del nord, questo in un rapporto bilaterale è, in ogni caso, tutelato. Difendo quella sede come il luogo in cui è emersa una dialettica politica, una nuova forza politica, un nuovo soggetto. Ma difendo tutte le sedi multilaterali, come le Nazioni Unite che è una sede multilaterale nella quale è possibile far valere questi principi.
Non difendo il WTO per come è attualmente, né penso alla democratizzazione di questo organismo. Anzi, credo (è abbastanza chiaro nella mozione) che uno degli obiettivi fondamentali che dobbiamo porci sia quello di scorporare dal WTO tutto ciò che quest'organizzazione impropriamente e progressivamente ha assimilato e metabolizzato fino a svuotare tutte le grandi agenzie delle Nazione Unite, dal Programma delle Nazioni Unite per lo Sviluppo (UNDP) all'Organizzazione mondiale della sanità. Ci siamo trovati di fronte all'assurdità che la discussione sulle medicine essenziali e sui farmaci salvavita riguardante una parte importante dell'Africa è avvenuta non nella sua sede propria, come avrebbe dovuto essere, ossia l'Organizzazione mondiale della sanità, ma nella sede del WTO, seguendo una logica puramente commerciale. Uno degli obiettivi che questa mozione si pone è quello di
sottrarre al WTO le competenze che dovrebbero essere proprie delle agenzie delle Nazioni Unite.
Tornando alla questione fondamentale di Cancun (è interessante la discussione della sinistra, ma credo lo sia altrettanto il confronto con il Governo), ricordo che a Cancun una grande area del mondo è diventata protagonista nel totale silenzio dell'Europa e dell'Italia che in quel momento aveva la Presidenza dell'Unione europea.
Noi questo dobbiamo dircelo. Capisco che la premessa della mia mozione non possa essere accettata dal Governo, ma si tratta di un punto di verità, perché noi abbiamo avuto a Cancun una discussione molto forte, che ha riguardato le grandi questioni commerciali, che ha riguardato i grandi nodi sulla liberalizzazione che i paesi del nord volevano imporre ai paesi del sud del mondo. L'Europa in primis e l'Italia (anche quando aveva la Presidenza dell'Unione europea) non hanno fatto un passo per spezzare questa dialettica perversa. Anzi, Lamy, rappresentante dell'Unione europea, in quella sede, ha avuto una funzione estremamente negativa. Quando il Governo esprime parere contrario sulla lettera a) del dispositivo della mozione a mia prima firma fa esattamente quello che Lamy ha fatto a Cancun, cioè continua a difendere quelle politiche di liberalizzazione che riguardano appunto le cosiddette issues di Singapore sugli investimenti, sulla concorrenza, sulla trasparenza degli appalti, che sono esattamente i punti rifiutati da quasi tutti paesi del sud del mondo, perché sono una liberalizzazione che, nella sostanza, viene interpretata - e nella sostanza è - un'occupazione progressiva di questi paesi da parte delle grandi concentrazioni economiche ed una espropriazione dei diritti democratici su grandi tematiche che riguardano lo sviluppo, la società ed il commercio di questi stessi paesi. Io credo che il Governo ancora una volta qui compia lo stesso errore che ha portato al fallimento di Cancun. Se noi affrontiamo la fase attuale che, come noto, si è riaperta a livello internazionale con la discussione del dopo Cancun, sulla base del dibattito che si è aperto a Ginevra, con la stessa logica di Cancun, cioè con la logica che impone liberalizzazioni a questa area del sud del mondo, ho l'impressione che andremo incontro all'ennesimo fallimento.
Io credo che dietro a questa logica sbagliata, a questa rappresentazione molto particolaristica dei propri interessi nazionali da parte degli Stati Uniti e da parte dell'Europa vi sia in fondo però una grande miopia, una grande incomprensione dei processi mondiali che oggi abbiamo di fronte. Se dovessimo sottrarre a quello che viene chiamato genericamente lo sviluppo del mondo o il prodotto interno del mondo quella che è la crescita dell'economia del mondo, se dovessimo sottrarre la Cina e l'India, noi ci troveremmo di fronte ad una reale stagnazione dell'economia mondiale. Allora bisogna chiedersi perché, come mai questo tipo di economia da anni si trova in una condizione di incapacità reale di sviluppo. Io sono convinto di questo. Ma non solo io: vi sono analisti molto seri, che danno la responsabilità di questa situazione ad un ragionamento o a un fattore estremamente intuibile (non c'è bisogno di essere dei grandi e raffinati accademici, è la ragione semplice che ci porta a capirlo). La grande maggioranza del mondo è fuori dallo sviluppo, fuori dal commercio e fuori da quella che è una prospettiva di crescita dell'economia del mondo. La grande maggioranza dell'umanità non è in condizione di esprimere alcuna domanda nel mercato internazionale. Si registra, come è noto, un miliardo di persone che vive con un dollaro al giorno, 2 miliardi che vivono con 2 dollari al giorno. Siamo di fronte ad una miseria che investe una grande parte dell'umanità e che sottrae, quindi, questa parte del mondo alla crescita, allo sviluppo e alla produzione di ricchezza.
PRESIDENTE. Onorevole Crucianelli, la prego di concludere.
FAMIANO CRUCIANELLI. Quest'incomprensione - ho finito, Presidente -, questa miopia porta poi a non capire quali
sono le politiche che bisogna mettere in campo. È per questo che noi assistiamo, come avviene nelle Commissioni, al rifiuto di discutere la tobin tax, se non in sede istruttoria, se non come inchiesta, se non come analisi, ma in questo modo dubito che riusciremo a produrre qualcosa. Per questo, sul debito internazionale di questa area del mondo non abbiamo delle risposte positive; per questo, sul commercio internazionale la politica dei paesi del nord è miope, parzialissima e particolarissima. Credo che questa incomprensione andrebbe rimossa dalla testa di chi oggi decide - a livello internazionale - nei grandi centri, nelle grandi metropoli capitalistiche, le politiche economiche e le politiche finanziarie. Senza di questo, noi andremo incontro a fallimenti continui, che non investiranno soltanto i paesi poveri del sud, ma gli stessi paesi del nord (Applausi dei deputati del gruppo dei Democratici di sinistra-L'Ulivo).
PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto l'onorevole Spini. Ne ha facoltà.
VALDO SPINI. Signor Presidente, onorevoli colleghi, il nostro gruppo ha voluto sollevare una grande questione, forse la questione epocale di questo periodo storico. Infatti, se non vi è un rapporto diretto fra sottosviluppo, fame, disuguaglianze e terrorismo, ve ne è certamente uno indiretto, ed è forte.
Vorrei ricordare che, nel presentare questa mozione, ci siamo ispirati ai fondamenti generali di un rapporto sulla globalizzazione, compiuto dal nuovo presidente del Partito del socialismo europeo, il danese Rasmussen, che mi sembra abbia ben collegato e messo in evidenza uno tra i grandi problemi mondiali. Dobbiamo dare una risposta a chi ci chiede se il treno dello sviluppo mondiale è diretto - sia pure con stazioni intermedie, sia pure lentamente - verso il traguardo del superamento di tali squilibri o se, invece, non siamo - nostro malgrado - imbarcati su un treno che porta ad accentuare tali squilibri. Ciò naturalmente dipende molto dai termini degli scambi dei rapporti internazionali, dai termini ineguali posti dal protezionismo dei prodotti agricoli, in particolare di quelli che riguardano il terzo mondo.
Nella Costituzione europea, se sarà approvata, vi sono meccanismi interessanti che possono rafforzare l'azione dell'Unione, prevista anche nella lettera f) della nostra mozione. Penso, per esempio, al concetto di personalità giuridica dell'Unione europea che, se approvato e se vi sarà una volontà politica (e per noi vi deve essere tale volontà) a concentrare in un unico rappresentante le quote dei singoli paesi europei nella Banca mondiale, potrebbe dare potenzialmente all'Unione europea nel menzionato organismo deputato ai finanziamenti dei paesi sottosviluppati, un peso maggiore di quello degli Stati Uniti. La nostra mozione, non a caso, richiama spesso il tema Europa, proprio perché vorremmo vedere l'Europa stessa protagonista di un rapporto diverso con gli Stati Uniti.
L'Europa non deve imitare gli Stati Uniti come superpotenza, ma deve, invece, adoperarsi per un rinvigorimento delle organizzazioni internazionali e della loro azione. È vero: l'Europa (la Commissione europea, in particolare) ha mancato l'appuntamento di Cancun. Noi vogliamo anche sottolineare come tutti gli annunci quantitativi dati in questo periodo dal Presidente del Consiglio, onorevole Berlusconi (ricordo con le mie orecchie quello dato all'Assemblea generale delle Nazioni Unite, nel settembre 2001) di portare il contributo italiano allo sviluppo allo 0,7 per cento del prodotto interno lordo (una volta disse, addirittura, anche all'1 per cento), non si siano rivelati assolutamente fondati.
Siamo in vista sia di nuove scadenze internazionali sia dei documenti di programmazione economico-finanziaria del 2004. Siamo anche prossimi al rinnovo della Commissione europea. In questo senso, abbiamo posto una serie di problemi precisi al Governo. Come ci risponde il Governo, per bocca del senatore Ventucci (che, devo dire, sta sviluppando
una grande competenza in materia di politica estera, perché, e lo devo lodare per questo, è sempre presente ai nostri dibattiti di politica estera che riguardano l'Europa o i problemi dell'organizzazione economica internazionale) (Applausi di deputati del gruppo di Forza Italia)? Ci risponde che non condivide le premesse di questa mozione, però può condividerne i dispositivi, eccettuata la lettera a), ossia l'esclusione dei negoziati sui temi di Singapore dall'agenda di Doha.
Come reagiamo? La situazione mondiale ci sembra talmente grave e drammatica che cerchiamo di approfittare comunque di tale disponibilità e, quindi, voteremo per parti separate questa mozione, in modo che essa ci consenta di mantenere la posizione di principio sul tema dell'esclusione dei negoziati sui temi di Singapore dall'agenda di Doha, ma anche di recepire questa disponibilità del Governo sugli altri punti.
La situazione sembra così drammatica e difficile che l'accettazione da parte del Governo è anche un'implicita accettazione dell'importanza e della giustezza della nostra mozione (e di altre che si muovono nella stessa direzione), proprio perché, evidentemente, si avverte la necessità di prendere posizioni assolutamente indilazionabili e indispensabili.
Cancun ha ospitato varie conferenze nel tempo: io sono in grado di ricordare quella di cui fu protagonista Willy Brandt, allora responsabile delle Nazioni Unite per il programma di sviluppo nord-sud, che fu l'incunabolo, il primo tentativo di porre questi problemi a livello internazionale. L'Italia, ad un certo punto, vi prese parte, anche se, purtroppo, la sua azione fu gravemente inficiata dalle vicende di tangentopoli. Tuttavia, non voglio dimenticare che l'Italia era arrivata a dare qualcosa in più dello 0,4 per cento del prodotto interno lordo per l'aiuto al sottosviluppo ed ora questo importo è sceso fra lo 0,1 e lo 0,2 per cento. Credo che dovremmo veramente tornare a contribuire in misura maggiore, specie se - come sembra - l'ONU ci chiede di versare lo 0,7 per cento (qualcuno ha anche proposto percentuali più consistenti).
Ebbene, signor Presidente, onorevoli colleghi, accettiamo questa disponibilità del Governo, però - il senatore Ventucci me lo consentirà - ciò ci renderà ancora più esigenti nel chiedere una condotta conseguente. Naturalmente, non si tratta di concludere un dibattito in Assemblea in un modo qualsiasi, tanto per farlo, ma si tratta di assumere, insieme, impegni veramente meditati e comuni. Ecco il motivo per cui, per quanto riguarda la votazione della nostra mozione, ci comporteremo in questo modo.
Peraltro, raccolgo anche un clima di consenso più generale nell'ambito dell'opposizione nel suo complesso. Non condividiamo alcune delle considerazioni svolte, ad esempio, dall'onorevole Ramon Mantovani; mi sembra però di aver sentito anche nelle sue parole spirare la sensazione della drammaticità e dell'urgenza dei problemi che vengono posti. Si tratta di problemi molto presenti nei movimenti, anche giovanili, e nella sensibilità internazionale, ed il fatto che il Parlamento italiano dia un segnale di comprensione, di azione e di presa di responsabilità su questo piano ci sembra molto importante.
Ecco perché esprimeremo un voto favorevole sulla nostra mozione e saremmo contenti se, almeno in parte, quest'ultima potrà diventare, attraverso l'espressione della volontà del Parlamento, la volontà del popolo italiano (Applausi dei deputati del gruppo dei Democratici di sinistra-L'Ulivo).
PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto l'onorevole Polledri. Ne ha facoltà.
MASSIMO POLLEDRI. Signor Presidente, onorevoli colleghe e colleghi, signor sottosegretario, il tema in esame è sicuramente importante. Stiamo parlando della sovranità popolare e della sovranità nazionale; stiamo parlando della riforma del WTO e di regole condivise per tutti, di democrazia e di diritti.
Certo, in quest'Assemblea molti sono gli elementi che ci dividono, ma vorrei sottolineare anche qualcosa che ci unisce. Credo che questo sia un grande paese, dalla Padania al sud. È un paese generoso, che svolge e che ha svolto un proprio ruolo nell'ambito del WTO. È certo un grande paese industriale, mosso anche da motivazioni etiche e da sentimenti nobili. Abbiamo sentito parlare di povertà e di fame ed abbiamo sentito evocare temi alti e sicuramente necessari. Credo che, al riguardo, vadano svolte alcune piccole riflessioni.
Innanzitutto, sicuramente abbiamo registrato un fallimento, ma dobbiamo individuare alcuni punti fermi: il primo è quello della sovranità popolare e nazionale, che è stato evocato. Possiamo, forse, pensare - in nome di un multilateralismo che talvolta sta diventando un metodo plurilaterale, e talvolta bilaterale - di rinunciare sempre a quote di sovranità nazionale e popolare? Possiamo, forse, scambiare gli interessi delle multinazionali o di alcune corporazioni con la perdita di quote di sovranità popolare? Ecco: questo è un equilibrio delicato. Da parte della Lega Nord Federazione Padana, vi è una forte rivendicazione della necessità di mantenere ferma e fissa la barra della difesa della sovranità nazionale e di quella dei popoli liberi, dal nord al sud di questo paese.
Ho sentito parlare di riforma della rete mondiale del commercio. In primo luogo, vorremmo raccogliere positivamente alcune riflessioni avanzate dal centrosinistra. Dobbiamo forse riformare le regole dell'Organizzazione mondiale del commercio e porre anche una discussione in questi termini? Credo che il Governo abbia compiuto uno sforzo in questi termini.
Sulla mozione Crucianelli ed altri n. 1-00277, chiediamo la votazione per parti separate della lettera d) del secondo capoverso del dispositivo. Non siamo d'accordo sul fatto di togliere da un «carrozzone», quale a volte è il WTO, una competenza per porla in capo all'ONU, creando un altro organismo, probabilmente al di sopra delle attuali capacità della stessa ONU. Crediamo che quest'ultima debba fare il suo mestiere, che non riesce a svolgere, nel garantire i diritti che dovrebbe in qualche modo invocare: trasferire a tale organizzazione una serie di competenze, come viene proposto, non ci trova assolutamente favorevoli.
Parliamo anche di regole: credo che le issues di Singapore non siano state attentamente valorizzate. È o meno importante, per esempio, il tema della trasparenza negli appalti pubblici? Pensiamo, forse, che imporre o suggerire norme sulla trasparenza negli appalti pubblici rappresenti sicuramente un affronto allo sviluppo del sud del paese? Non è, magari, una necessità anche della nostra economia? Non abbiamo forse la necessità di competere, sul mercato cinese o su quello indiano, alla pari dei nostri competitori? Non abbiamo forse la necessità di concorrere sulla base di regole certe e trasparenti poste a favore dei cittadini?
Credo che questo debba essere un impegno anche per il Governo; tuttavia, deve trattarsi di un impegno che non lede i diritti e la necessità di uno sviluppo. Quindi, occorrono regole certe! Occorre anche, e soprattutto, ricordare che il libero mercato non esiste, se non esiste un libero mercato dei diritti. Forse questo tema andava «stressato» maggiormente dalla sinistra: questo, tuttavia, è un tema che la Casa delle libertà può portare avanti.
Noi non possiamo esportare la democrazia, se non esportiamo i diritti. Allora, il tema dei diritti dei lavoratori del terzo mondo è un tema che la Casa delle libertà porterà avanti in questo paese. Il fatto di esportare, ripeto, i diritti per i lavoratori cinesi (come è stato affermato ultimamente e come, in qualche modo, deve essere richiesto anche in occasione della futura visita del premier cinese in Italia) è oggi un tema prioritario della democrazia: non c'è democrazia senza sviluppo, non c'è democrazia senza diritti!
Per questo, credo che oggi un elemento fondamentale, probabilmente non affrontato e che quindi vogliamo brevemente
sottolineare, sia rappresentato dalla necessità di garantire il rispetto della proprietà intellettuale contro la concorrenza sleale. Più volte abbiamo sottolineato questo tema, che «tocchiamo» tutti i giorni andando in giro per le strade delle nostre terre, ascoltando gli imprenditori del nord d'Italia così come quelli del sud e ricordandoci che 12 mila posti di lavoro sono andati perduti proprio perché non è stata rispettata la disciplina del marchio e della proprietà intellettuale nel nord e nel sud del paese. Circa il 70 per cento delle contrattazioni, oggi, provengono dal sud-est asiatico: dobbiamo quindi imporre regole certe per la protezione dei nostri marchi contro la contraffazione.
Questo è un impegno che il nostro paese deve portare avanti in sede europea, dal quale dipenderà necessariamente il futuro del nostro paese. Oggi si dice di non pensare a dazi e ad altre strutture protezionistiche: noi chiediamo che i dazi per la tutela del made in Italy e della proprietà intellettuale siano una necessità inderogabile. Rispetto a questa necessità, noi non possiamo derogare!
Concludo, signor Presidente, sottolineando che questi temi sono sicuramente importanti. Non voglio entrare nella polemica precedente, ma devo notare come, anziché discutere di temi importanti che attengono al futuro dell'umanità, gran parte della sinistra abbia preferito discutere di quattro poltrone RAI. Tale scelta, a mio giudizio, non gli rende onore.
PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto l'onorevole Michelini. Ne ha facoltà.
ALBERTO MICHELINI. Signor Presidente, molti altri colleghi, anche dell'opposizione, hanno ampiamente trattato il tema in esame con argomentazioni condivisibili. Ci troviamo di fronte ad una delle più grandi sfide degli ultimi venti-trent'anni: quella di colmare il fossato esistente tra il nord ed il sud del mondo. Superato il conflitto tra est ed ovest dopo il crollo del muro di Berlino, la nuova sfida per tutti è quella di colmare il suddetto fossato. Su tale sfida dobbiamo impegnarci fino in fondo: non si rischia solo un progressivo peggioramento della situazione esistente nei paesi in via di sviluppo, ma anche che il suddetto divario si ritorca contro il mondo sviluppato.
La nostra epoca è punteggiata da Carte dei diritti, ma il paradosso è che tali Carte non sono assolutamente rispettate. Mi riferisco ai fallimenti delle grandi assise internazionali, a Cancun ed a tutto quanto riguarda la salvaguardia dell'ambiente. Dobbiamo assolutamente prendere sul serio l'impegno che abbiamo assunto nelle grandi assise internazionali per contribuire a risolvere tali problemi, che costituiscono - ripeto - la sfida più importante che abbiamo di fronte.
Ne hanno già parlato altri colleghi, quindi non voglio dilungarmi sui grandi temi di Singapore, quali la liberalizzazione degli investimenti, la concorrenza, la trasparenza degli appalti pubblici, la facilitazione del commercio. Su tali temi sappiamo che settanta tra i paesi in via di sviluppo si sono dichiarati indisponibili. Sappiamo anche che a livello di Unione europea si è tentato un approccio plurilaterale, che non è ipotizzabile per un organismo multilaterale come l'Organizzazione mondiale del commercio.
L'Europa deve affrontare - gli Stati Uniti hanno già cominciato a farlo - il grande problema del cotone. Mi riferisco ai sussidi agli imprenditori cotonieri americani, che hanno messo completamente in ginocchio i paesi produttori, soprattutto quelli dell'Africa occidentale. Dobbiamo affrontare tale problema conciliando le esigenze dei nostri agricoltori con quelle degli agricoltori dei paesi in via di sviluppo, i cui costi sono enormemente più bassi.
Tale problema va affrontato molto seriamente. Come possiamo pretendere di aiutare i paesi in via di sviluppo se non riusciamo a metterli in condizione di favorire l'accesso dei loro prodotti ai nostri mercati? È impossibile determinare uno sviluppo adeguato, in particolare dei paesi
dell'Africa, se non li mettiamo in condizione di autosvilupparsi. Questa è un'altra delle sfide che dobbiamo affrontare.
Molti nostri colleghi continuano ad elencare le disgrazie dell'Africa. Ogni volta parliamo di un miliardo di persone che vivono con un dollaro al giorno, delle malattie, dei conflitti etnici. Si tratta di temi che ognuno di noi conosce molto bene. Non credo valga la pena di continuare a fare l'elenco delle disgrazie. Dobbiamo bensì impegnarci seriamente per capire come aiutare queste popolazioni ad autosvilupparsi, mettendole in condizione di essere artefici del loro sviluppo. Questo è il punto, per quanto riguarda in modo particolare l'Africa, che come sappiamo è il «concentrato» di quello che purtroppo sta succedendo in senso negativo nel Terzo mondo.
I cosiddetti Millennium development goals, cioè gli obiettivi che 189 paesi hanno sottoscritto nel settembre del 2000, si riferiscono soprattutto all'Africa. In queste condizioni, si prevede che tali obiettivi non si riusciranno a raggiungere se non nel 2150 (altro che 2015!). Questo è il vero problema che dobbiamo affrontare in tutti i modi e con molta serietà, anche attraverso il dialogo tra maggioranza ed opposizione, che può vederci impegnati assieme per affrontare questi grandi temi. Se non è questo il terreno di confronto, quale può essere allora, nella dialettica interna del mondo di oggi, che ci vede divisi su tante cose? Io credo che una dialettica sul terreno dell'aiuto allo sviluppo può davvero vederci assieme.
Nessuno di voi ha parlato di quello che sta succedendo, a livello internazionale, tra il G8 e il nuovo partenariato per lo sviluppo dell'Africa. Questo è uno dei fatti più importanti, direi storici, che dal G8 di Genova in poi è successo, ma del quale non si parla assolutamente. Come paese che fa parte del G8, l'Italia sta lavorando su questo tema in maniera molto efficace. Tuttavia, sui giornali, in televisione e sui media in generale, c'è un silenzio totale al riguardo: di Africa si parla solamente quando ci sono centinaia di migliaia di vittime, per i conflitti, le malattie, gli scontri etnici, la povertà e i disastri naturali. Dobbiamo invece guardare a questo continente (e al mondo in via di sviluppo in generale) in modo positivo, cercando di valorizzare quel che c'è di buono.
Giro l'Africa in lungo e in largo e posso dire che quei popoli cominciano a guardarci con grande sospetto, perché vedono che utilizziamo nei loro confronti categorie che appartengono al passato. Per metterli in condizione di essere aiutati, dobbiamo affrontare i temi di fondo di cui stiamo parlando oggi, come quello del cotone, per quanto riguarda l'America, e quello dei sussidi agricoli; ma soprattutto dobbiamo convincere le nostre imprese a non limitarsi ad andare in Cina o nei paesi dell'est europeo, ma ad investire, per esempio, anche in Africa, dove i governi locali potranno metterle in condizione di investire nel modo migliore. Il vero sviluppo, colleghi, si determina non solo dando sussidi e solidarietà tout court e fine a se stessi, ma anche aiutando queste popolazioni ad autosvilupparsi. È un discorso complesso, non facile ma comunque possibile e, peraltro, è proprio quello che ci chiedono questi paesi.
Con la nostra mozione chiediamo, quindi, di rilanciare le trattative in materia di commercio mondiale, per arrivare in tempi ragionevoli ad una composizione dei contrasti e delle divaricazioni esistenti fra i paesi del nord e del sud del mondo, in una visione equilibrata delle diverse esigenze e dei differenti interessi, in un quadro di rafforzata collaborazione internazionale. Chiediamo, inoltre, che l'Italia si attivi per definire un accordo con i paesi del G20 sui quattro temi di Singapore dei quali parlavo all'inizio.
Dobbiamo tenere conto che, mentre noi stiamo litigando (tra il nord e il sud), ci sono paesi emergenti che hanno una grande forza, in particolare in termini di popolazione, che stanno rapidamente guadagnando terreno e rischiano di scompaginare la nostra visione del mondo. Grandi paesi come la Cina, l'India, il Brasile, il Sudafrica, che in un prossimo futuro, molto vicino, decideranno una loro politica,
non tenendo più conto di quello che noi possiamo fare (Applausi dei deputati del gruppo di Forza Italia).
PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto l'onorevole Marcora. Ne ha facoltà.
Se i colleghi prestassero maggiore attenzione e facessero meno rumore, forse potremmo ascoltare le argomentazioni dei colleghi con maggiore serenità!
LUCA MARCORA. Il vertice di Cancun è stato un fallimento, una sconfitta; non sono fra coloro che hanno gridato alla vittoria quando il capo negoziatore messicano ha gettato la spugna rispetto alla possibilità di giungere ad un accordo sul commercio internazionale.
Ritengo si tratti di una sconfitta, in primo luogo, per i paesi in via di sviluppo: l'abbandono di una logica multilaterale, dove prevalgono i criteri di equilibrio e di compensazione degli interessi, rischia di essere sostituita da un certo bilateralismo in cui, naturalmente, vince il più forte; ma se è il più forte a vincere, ovviamente negli accordi di commercio internazionale sono i paesi in via di sviluppo a subire le conseguenze più drammatiche e negative. Quindi, è stata una sconfitta dello stesso gruppo dei G20, ma soprattutto dell'Unione europea.
L'Unione europea ha scelto una linea negoziale di assoluto appiattimento sugli interessi prevalenti degli Stati Uniti. Non vi è stata una logica di trattazione che ha permesso di valorizzare la riforma di medio periodo della politica agricola comunitaria, con l'affermazione di un nuovo modello agricolo europeo; ci si è piuttosto concentrati sui temi di Singapore (Singapore issues), che sicuramente hanno rappresentato il principale ostacolo al raggiungimento di un qualsiasi accordo a livello di WTO.
Di agricoltura a Cancun non si è nemmeno parlato - bisogna dirlo - perché l'Unione europea, il negoziatore Pascal Lamy, ma anche il nostro ministro Alemanno (allora presidente di turno del Consiglio agricolo europeo) non sono stati in grado di far capire ai paesi in via di sviluppo del G20 la portata storica della riforma della politica agricola comunitaria attuata attraverso la mid-term review. Fino ad oggi, la politica agricola comunitaria ha rappresentato una forte componente di distorsione dei mercati, attraverso processi di dumping nella vendita di prodotti europei trasformati nei paesi in via di sviluppo e la creazione di barriere all'entrata, che hanno impedito le esportazioni da questi paesi in via di sviluppo nel nostro mercato agricolo.
La mid-term review, la riforma di medio periodo, sposta completamente l'asse della politica agricola comunitaria. Non posso entrare nello specifico, ma vorrei citare il tema del disaccoppiamento, asse portante di questa riforma, che prevede che gli aiuti vengano forniti alle imprese non per quello e per quanto producono, ma per i propri comportamenti in termini di pratiche agronomiche, di tecniche allevatoriali, di rispetto dell'ambiente, di difesa della qualità, di presidio del territorio, ovvero per tutte quelle funzioni, non unicamente produttive, svolte con riferimento al sistema agricolo (mi riferisco, quindi, anche a quelle sociali, in termini di difesa dell'ambiente, di presidio del territorio, di valorizzazione della qualità e della tipicità del legame con il territorio e, soprattutto, di garanzia della sicurezza alimentare).
Da oggi in poi, o meglio da quando verrà applicata la riforma della PAC, a partire dal 2005 (speriamo che anche lo Stato italiano si adegui a tale scadenza), gli aiuti verranno commisurati a queste funzioni dell'agricoltura ovvero ai comportamenti dell'imprenditore agricolo, e non ai tipi e alle quantità di prodotti realizzati. Ciò depotenzia, ovviamente, la possibilità per gli agricoltori europei di produrre beni che poi vengono venduti nei paesi in via di sviluppo sotto costo e, quindi, disinnesca la potenzialità della politica di dumping da parte dell'Europa.
Tutto ciò avrebbe dovuto essere spiegato ai paesi in via di sviluppo e fare parte di una trattativa negoziale in cui l'Europa avrebbe dovuto, in primo luogo, raffrontarsi con tali paesi, al fine di individuare
un asse comune che, di fronte all'accoglimento delle richieste da parte dei paesi in via di sviluppo in termini di definitiva chiusura della politica di dumping, trovasse altri tipi di alleanze, in particolare per quanto riguarda la difesa delle produzioni tipiche, dei marchi e delle indicazioni geografiche protette.
Si tratta di un tema fondamentale per l'agricoltura italiana, che non potrà competere in futuro, a livello di prezzi e di costi, sulle commodities, vale a dire sui beni agricoli indifferenziati che vengono prodotti nel mondo. Su questo livello di competizione globale saremo sempre perdenti, in quanto non siamo in grado di produrre il latte ai costi della Nuova Zelanda, il mais ai costi degli Stati Uniti, la soia ai costi del Brasile; quindi, saremo comunque costretti a competere sulla tipicità, sulla qualità, sulla sicurezza alimentare, sul legame del territorio, su quel patrimonio enogastronomico che fa forte il made in Italy in tutto il mondo. Non dimentichiamo che il made in Italy non è solo moda, non è solo Ferrari, ma è anche e soprattutto mangiare bene, cibi sani e di alta qualità.
Questo era il tema che dovevamo portare quale argomento di trattativa sul tavolo di Cancun, in cambio di un riconoscimento delle legittime aspirazioni dei paesi in via di sviluppo. Ciò, tra l'altro, era stato quasi venduto come un successo della delegazione italiana a Doha, quando il viceministro Urso tornò dicendoci che avevamo fatto grandissimi passi avanti in materia di riconoscimento dei diritti di protezione dei marchi dei prodotti agroalimentari; ma, di fatto, abbiamo visto poi a Cancun com'è andata a finire.
Da parte dell'Europa, è mancata quindi una strategia negoziale che non fosse supina rispetto agli interessi e alla linea di trattativa condotta dagli Stati Uniti, ed è mancata soprattutto una capacità di spiegare la nuova politica agricola comunitaria per trovare, proprio nei paesi in via di sviluppo, degli alleati sui temi dell'agricoltura.
A questo punto, occorre svolgere un'altra considerazione. Il negoziato è fallito perché il WTO è stato gravato di compiti che non rientrano tra le sue funzioni istituzionali. Che tale azione sia stata volontaria o involontaria è tutto da discutere: se, cioè, si sia voluto far passare come accordi sul commercio internazionale partite che avevano a che fare con temi ben più rilevanti dei diritti sociali, dei diritti dei lavoratori, dell'ambiente, dei beni pubblici globali, dei servizi sociali o se, invece, visto che nel mondo non esiste altro consesso internazionale di mediazione dei diversi interessi, ciò sia avvenuto per necessità. Ma, sicuramente, il WTO non è attrezzato per affrontare questo tipo di problematiche.
Dunque, è necessaria una riforma del WTO e probabilmente, a tal fine, sarebbe opportuno prendere in considerazione la proposta di Kofi Annan, volta ad istituire un consiglio di sicurezza economica e sociale che non deleghi al WTO la risoluzione delle controversie relative ad interessi che non sono solo economici, comportando effetti ambientali e sociali di portata sicuramente superiore al dato del commercio internazionale. Si potrebbe pensare anche ad agenzie specializzate dell'ONU che affianchino il WTO nello svolgimento di tale compito. Tra l'altro, questo consiglio di sicurezza economica e sociale potrebbe costituire anche una sede di indirizzo politico per organismi economici come il Fondo monetario internazionale, la Banca mondiale, l'Organizzazione mondiale del commercio. Tutto ciò ci deve far capire che, a livello di WTO, non è possibile risolvere i problemi della giustizia sociale nel mondo, degli equilibri economici e politici.
È quindi sbagliato attribuire alla partita agricola il fallimento del vertice di Cancun, in quanto è stata la linea negoziale portata avanti dalla Commissione europea ad essere errata, insieme alla sottovalutazione della costituzione del gruppo del G20.
Siamo qui a richiedere il rilancio di questi negoziati su basi diverse, che presuppongano una revisione del mandato - tra l'altro risalente al dicembre 1999 e quindi sicuramente da aggiornare - conferito
al negoziatore, Pascal Lamy; ma soprattutto chiediamo che vengano chiariti determinati punti, come la necessità di ricercare alleanze con i paesi in via di sviluppo, nel riconoscimento delle loro legittime aspirazioni di libertà commerciale per quanto concerne i beni agricoli anche sul mercato europeo. Come contropartita vogliamo il rispetto dei marchi delle produzioni tipiche, nonché la protezione dei diritti intellettuali, aspetti commerciali, quindi, che possono interessare anche quei paesi.
In conclusione, vorrei ricordare che il cibo non è una merce. Dobbiamo pensare che sulle produzioni agricole si giocano i destini di milioni di persone, in particolare quelli dei residenti in una parte del mondo attanagliata da problemi di fame e miseria. Il settanta per cento della forza lavoro di questi paesi è costituita da agricoltori che, da un lato, devono poter produrre ed esportare i propri beni e, dall'altro, devono poter ricavare un reddito sufficiente a garantire loro di non morire di fame e ad assicurare loro una vita decente.
PRESIDENTE. Faccio notare che il collega Marcora è rientrato precisamente nei tempi.
ENZO RAISI. Chiedo di parlare.
PRESIDENTE. Ne ha facoltà.
ENZO RAISI. Vorrei soltanto evidenziare la nostra intenzione di voto, anche a seguito di quanto precisato dal Governo che, giustamente, non ha accettato buona parte dei documenti presentati dalle minoranze, accogliendone però alcuni punti su cui persistono i nostri dubbi. In proposito ci rimettiamo al giudizio dell'Assemblea, ricordando però che questi punti ci sembrano importanti e decisivi, tanto da motivare in senso contrario il nostro voto.
Non comprendiamo, ad esempio, come si possa al punto d) del dispositivo della mozione Crucianelli ed altri n. 1-00277 (Nuova formulazione), sostenere la creazione di un ulteriore organismo internazionale, sotto l'egida dell'ONU, organizzazione che in questo momento attraversa una grave crisi, come dimostra la situazione irachena unitamente ad altre emergenze internazionali. Si vuole soltanto creare un doppione dell'Organizzazione mondiale per il Commercio.
Ma soprattutto - e richiamo al riguardo l'attenzione dei colleghi della maggioranza - mi chiedo come si possa, al punto e) del dispositivo di tale mozione, chiedere al nostro Governo di sostenere un binario diverso per i paesi in via di sviluppo sui temi della salvaguardia sociale ed ambientale. Di fatto, si vuole consentire a questi paesi di seguire una disciplina differente, rispetto al resto dei membri dell'Organizzazione mondiale per il commercio, in tema di ambiente e di salvaguardia sociale. Mi chiedo cosa potremo dire alle nostre industrie chimiche, che oggi attraversano una situazione di grande difficoltà dovuta al mancato rispetto da parte dei paesi in via di sviluppo delle regole ambientali, con conseguente disequilibrio sul mercato internazionale. Mi chiedo, inoltre, come si possa ignorare la salvaguardia sociale nei paesi in via di sviluppo, quando le condizioni dei lavoratori vi risultano subumane. Mi chiedo come sia possibile avanzare tali richieste!
Credo che, onestamente, da parte della maggioranza debba esserci una profonda riflessione che induca ad esprimere un voto omogeneo su tali richieste della minoranza.
Concludo dichiarando che il gruppo di Alleanza Nazionale esprimerà voto favorevole sui documenti presentati dai suoi deputati, dai colleghi del gruppo di Forza Italia e da quelli della Lega Nord Federazione Padana.
PRESIDENTE. Sono così esaurite le dichiarazioni di voto.
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