Resoconto stenografico dell'Assemblea
Seduta n. 462 del 5/5/2004
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(Dichiarazioni di voto)

PRESIDENTE. Passiamo alle dichiarazioni di voto.
Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto l'onorevole Landi di Chiavenna. Ne ha facoltà.

GIAN PAOLO LANDI di CHIAVENNA. Signor Presidente, colleghi, sottosegretario Antonione, si è discusso e si discuterà molto in Europa di Unione europea, di ciò che è, di come dovrebbe essere, di come realisticamente sarà nella logica dei compromessi necessari per continuare a non fermarsi. Continuare, evidentemente, a fare e a costruire Europa, a credere nell'Unione europea per edificare un soggetto politico, istituzionale ed economico di 25 paesi che, dal 2007, diventeranno 27 e speriamo quanto prima 28 con l'ingresso della Turchia, che riteniamo essere un elemento di grande importanza ai fini anche di una strategia di allargamento che contenga la pressione anche dell'islamismo fondamentalista.
Quindi, un'apertura, una prospettiva geopolitica futuribile ancora più ampia, comprendente anche la Federazione russa - che, peraltro, ha prevalenza slava - nonché i paesi che si affacciano sul bacino del Mediterraneo ed Israele, spostando a nord e a sud gli ideali confini di un'Europa che, a quel punto, sarà una crogiolo plurietnico, una mosaico multirazziale, una Babele plurireligiosa e plurilinguistica, ma che potrà aprire a spazi anche di nuovi equilibri geopolitici che tutti auspichiamo nell'interesse comune, per il rafforzamento di un pianeta più solidale, più equo e basato su principi fondamentali di pace e di vera democrazia.
Dal 1o maggio, dunque, lo scenario europeo è cambiato, ma potrà cambiare ancora di più nel futuro. Dovranno prepararsi a convivere sotto le stesse leggi 453 milioni di europei, di fronte ai 291 milioni di americani negli Stati Uniti, dotati peraltro di un reddito complessivo maggiore.
È una sfida complessa - è inutile negarlo - ispirata da un encomiabile sforzo ideale, tra l'altro irto di problemi e di impegni di estrema difficoltà. Si tratta, infatti, di far convivere 25 nazioni, cioè 25 popoli diversi per esperienze politiche recenti e remote, sistemi giuridici, strutture sociali, costumi e idiomi differenti.
Come segnalato da importanti studiosi, un simile processo è senza esempio per la sua portata geopolitica e geoeconomica. Infatti, contrariamente agli Stati Uniti d'America, l'Europa non può essere un melting pot, capace di legare plurietnie, multirazzialità, multilinguismi, senza subire contraccolpi alla sua stabilità e capacità di propensione all'espansione competitiva.
La storia europea, la cultura europea, le diverse radici e le esperienze politiche difficilmente consentiranno il ripetersi di un esempio unico qual è quello degli Stati Uniti. Da qui la necessità di dotarsi di strategie urgenti per legare esperienze, culture, storie, idiomi, consuetudini tanto differenti da imporre serie riflessioni senza temere di essere tacciati di euroscetticismo. Vogliamo un'Europa, vogliamo un'Europa dei popoli, vogliamo un'Europa unita, ma dobbiamo anche obiettivamente prendere atto delle difficoltà che tale percorso presenta.
La sfida, quindi, è quella di non credere solo alla costruzione di una grande area di libero mercato, di circolazione di merci, di denaro, di servizi, di persone, ma consiste anche nella volontà di costruire un'entità istituzionale, giuridica e culturale che sappia parlare la stessa lingua di principi e di valori generalmente condivisi dalla comunità internazionale. Un progetto, quindi, di lunga prospettiva, basato


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su una classe politica seria e credibile, capace veramente di credere nel progetto europeo e di richiamarsi agli insegnamenti dei padri fondatori del Trattato di Roma.
Il primo impegno al quale è chiamata, dunque, è quello di credere veramente alla costruzione di un'Europa unita ed unificante, mettendo in gioco la propria reputazione e la propria credibilità, con una minore aderenza agli interessi nazionali dei paesi di origine. Non sto muovendo soltanto una critica all'attuale Presidente della Commissione europea, Romano Prodi - che comunque ha ritenuto di doversi o volersi candidare e, quindi, di impegnarsi con una parte politica, in qualche modo riducendo la sua credibilità di uomo super partes - ma anche un'osservazione costruttiva rivolta a tutti coloro che vogliono comunque strumentalizzare il prossimo dato politico, ovvero le elezioni europee, in chiave di politica interna pro o contro un certo governo o una certa coalizione.
È forse anche bene sottolineare la necessità di una classe politica completamente dedicata all'azione di un governo e di una costruzione europei, senza dunque incompatibilità o conflittualità di interessi nei paesi di origine, dove magari ricoprono importanti ruoli di politica interna.
Parlare di Europa per fini interni, infatti, non aiuta il processo di consolidamento dell'Unione e rischia di abbassare il sentimento europeista dei popoli che vi partecipano, i 453 milioni di cittadini che compongono l'Europa allargata a venticinque stati. La nuova classe politica dovrà affrontare il cambiamento più importante, ovvero il funzionamento delle istituzioni che, come ha ricordato il sottosegretario Antonione, rivedendo e ribadendo un concetto a noi caro e più volte espresso dal ministro degli affari esteri, deve non prevedere un compromesso al ribasso, bensì puntare verso un'Europa alta, nobile, ricca di valori, che sappia rappresentare i sentimenti comuni della grande cittadinanza europea.
C'è bisogno di sciogliere alcuni nodi essenziali; per questo crediamo che debbano essere il nuovo Parlamento e la nuova Commissione a doversene occupare, senza imboccare scorciatoie o strettoie che conducano a soluzioni, magari accettabili temporaneamente, ma che lascerebbero il segno di fronte ai limiti di scelte politiche assunte in tempi troppo brevi.
Quando parliamo di evitare compromessi al ribasso, guardiamo con molta attenzione ad un nuovo soggetto politico e ai problemi che dovrà affrontare. Ci riferiamo ai criteri di voto a maggioranza semplice o qualificata, con diritto di veto o meno, alla distribuzione di un vero potere, ad un voto proporzionale rispetto alla consistenza della popolazione, a figure istituzionali essenziali quale il superministro dell'economia e degli esteri, alla redistribuzione dei seggi commissariali, al mantenimento o meno dei vecchi equilibri politici, alla rivisitazione delle regole dei trattati di Maastricht e di Nizza. Bisognerà riconsiderare la quantità delle risorse che costituiscono il bilancio dell'Unione europea e, soprattutto, costruire una politica di qualità della spesa e definire nuovi criteri di redistribuzione, intervenendo sulle politiche dei sussidi e sulla cultura del protezionismo, nella necessità di garantire vere liberalizzazioni e maggiore competitività.
Le riforme strutturali, quali quelle delle pensioni e della previdenza, ci vengono chieste dagli organismi internazionali per costruire un'Europa realmente alternativa, complementare e competitiva con i grandi competitori mondiali come i paesi del sud-est asiatico e gli Stati Uniti d'America, questi ultimi forti di grandi aree di mercato che vanno dal Canada all'America latina.
Sono quindi necessarie politiche commerciali per la credibilità dell'Unione anche sul piano politico, diplomatico e internazionale. È necessaria una politica estera condivisa, per rendere l'Unione europea un soggetto credibile e non lacerato da differenziazioni di strategie, o meglio - è opportuno sottolinearlo - da meri interessi economici nazionali. Ciò è emerso, a nostro avviso, nella grave situazione relativa al conflitto iracheno, in cui alcuni paesi europei, dietro l'apparente rifiuto in


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nome della pace, hanno invece voluto coltivare interessi di carattere economico. Mi sia consentito richiamare lo scandalo oil for food, in occasione del quale si sono evidentemente manifestati interessi molto pesanti che hanno coinvolto anche la Francia e la Germania, per le priorità che esse avevano nell'allocazione del petrolio iracheno. Tale scandalo ha lambito anche il Palazzo di vetro e su di esso intendiamo chiedere chiarezza e trasparenza, in quanto si tratta di un passaggio focale anche per la credibilità delle Nazioni Unite e occorrono dunque risposte serie e credibili per sgombrare il campo da ogni dubbio e da ogni perplessità.
È necessaria una Carta costituzionale che sappia sancire la volontà di edificare l'Europa su basi, principi, valori e regole condivisi. Per avere più Europa è necessario compiere lo sforzo di dotarsi di strumenti unificanti. La Carta costituzionale è quindi tanto più necessaria quanto più si avverte il bisogno di vincolare gli Stati aderenti a principi obbligatori di alto profilo e non certo di basso o riduttivo compromesso. Oggi è difficile scommettere sulla capacità europea di superare il particolarismo per raggiungere l'obiettivo di un documento che fondi le radici di un prossimo futuro unitario, per un'Europa meno conservatrice che sappia liberare i freni allo sviluppo che la relegano, per l'eccesso di protezionismo e di miopia, ai margini della competizione. Occorrono politiche dell'eccellenza che si basino sulla ricerca, sull'innovazione, sul rilancio delle politiche infrastrutturali e delle politiche per la biotecnologia e per il progresso tecnologico e scientifico.
Per tali ragioni, continuiamo a sostenere la necessità di una politica non al ribasso, bensì di alto valore. Ritengo che la Presidenza italiana, nel semestre scorso, abbia inciso profondamente in tale direzione. Che fine ha fatto l'agenda For a growing Europe del professor Sapir, per un'Europa che voglia crescere veramente in un pianeta globalizzato per poter competere con i paesi asiatici e con le Americhe e per tracciare un percorso di sostenibilità e recupero delle economie dei paesi poveri e in via di sviluppo? L'agenda For a growing Europe del professor Sapir fu richiesta dalla Commissione europea ma i risultati non piacquero, ed è per tale ragione che essa non è stata più tenuta in debita considerazione.
Ripartiamo anche da questa agenda, per comprendere che l'Europa della conservazione non andrà da alcuna parte: è necessaria un'Europa più liberale, un'Europa più riformista, un'Europa che sappia guardare alle grandi sfide ma che sappia diventare anche il contenitore di scelte, di programmi e di opzioni nuovi, innovativi e fortemente competitivi.
Si costruisce la pace anche e soprattutto uscendo dal guscio degli interessi particolari, con una cultura della solidarietà, del benessere e della prosperità diffusa. Il commentatore Ronchey afferma che il progetto dell'Europa allargata è grandioso e forse per questo troppo ambizioso, e tale da potersi rivelare un azzardo: comporta il rischio della super-estensione, e quindi della diluizione e vanificazione del potere sovranazionale che si vorrebbe. Non esiste, ad avviso di Ronchey, un homo europaeus: non sappiamo, sostiene, quando potrà nascere effettivamente un civis europeo.

PRESIDENTE. Onorevole Landi di Chiavenna, la prego di concludere.

GIAN PAOLO LANDI di CHIAVENNA. Concludo, signor Presidente. Peraltro, per quanto problematica e irta di difficoltà sia la strada che dobbiamo percorrere, non è possibile tornare indietro, ma occorre che si abbandoni la politica europea della conservazione e si accetti la sfida liberale.
È per questa ragione, tanto semplice quanto tremendamente angosciante, che abbiamo il dovere di credere fino in fondo. Ma a credere devono essere soprattutto gli uomini e le donne d'Europa: per costruire l'Unione europea è necessario lo sforzo di tutti i paesi e di tutti i popoli e una classe politica che sappia scommettere sulla sua credibilità. Per tali motivi, l'Italia è impegnata per costruire un'Europa forte, alta e nobile (Applausi dei deputati del gruppo di Alleanza nazionale).


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PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto l'onorevole Tonino Loddo. Ne ha facoltà.

TONINO LODDO. Signor Presidente, come è noto, lo scorso 1o maggio dieci nuovi paesi sono entrati a far parte dell'Unione europea e parteciperanno, a giugno, alle elezioni del nuovo Parlamento europeo. Si tratta sicuramente di un evento storico, il cui significato e contenuto politico - come è stato più volte ricordato in questi giorni - è indubbiamente rilevante, dal momento che pone fine a tante divisioni in Europa e insieme ne rafforza le condizioni di sicurezza.
Questi rilevanti obiettivi politici non devono tuttavia far dimenticare che, in particolare per gli otto paesi del centro e dell'est d'Europa, l'ingresso nell'Unione europea significa anche - e forse soprattutto - la possibilità di raggiungere discreti livelli di prosperità economica in tempi non troppo lunghi. Le finalità economiche dell'allargamento, infatti, vanno considerate altrettanto importanti quanto quelle politico-strategiche da chi auspica un esito finale positivo del processo di riunificazione dell'Europa.
Resta però vero che la realizzazione di queste potenzialità politiche ed economiche dipenderà alla fine dai cambiamenti e dalle riforme che l'Unione saprà attuare. Per fare ciò servono soprattutto istituzioni e politiche che siano in grado di riflettere più le sfide del futuro che i bisogni e le esigenze del passato. Saranno dunque necessarie revisioni profonde e convinte dei meccanismi istituzionali, oltre che delle politiche dell'Unione. Ma per ora ci sembra che questo processo stia andando assai a rilento. Nell'Europa di oggi continua a prevalere una certa paura, condita - anche nel nostro paese e nel nostro Governo - da molti dubbi e perfino da qualche ostilità. Ma noi riteniamo che proprio questa delle riforme istituzionali sia la battaglia che dobbiamo vincere subito, bandendo l'atteggiamento scettico manifestato da ultimo dal Governo italiano nel periodo del semestre di presidenza e riassumendo al contrario un sollecito ruolo di punta energico ed entusiasta da parte del nostro paese.
Noi della Margherita siamo persuasi che i tempi per l'approvazione del trattato istitutivo della Costituzione per l'Europa, nel testo elaborato dalla Convenzione europea, siano fin troppo maturi, al punto che ci appare perfino necessario che tale trattato debba e possa essere firmato contestualmente al compimento del processo di allargamento e comunque prima dell'avvio della campagna elettorale per il rinnovo del Parlamento europeo, abbandonando le reciproche diffidenze e quei germi di disgregazione e declino che ancora permangono. L'Italia può e deve farsi promotrice di una rinnovata azione politica, volta ad affermare non gretti egoismi, ma schemi aperti di avanguardia, affinché l'Unione divenga un soggetto sempre più coeso, promotore di sviluppo, democrazia, stabilità e sicurezza.
Qualcuno si è chiesto in questi giorni se abbia davvero senso accelerare così fortemente il processo di approvazione del trattato e si chiede anche se l'Unione europea, la cui fragilità politica è stata impietosamente rivelata dalla nuova età del terrore, possa sostenere un'impresa così impegnativa. Contro questa impresa, anche se in modo non esplicito e indiretto, si sono coalizzati in molti. Innanzitutto i politici, nostalgici di una sovranità nazionale che perde ogni giorno qualche pezzo. E poi i giuristi, affezionati all'idea che già esiste una Costituzione europea diffusa, desumibile dai trattati e da altri atti comunitari. E poi ancora i teorici del diritto e della politica, che si interrogano sull'opportunità di una costituzione prima che vi siano uno Stato e un popolo. Infine, i realisti di ogni genere, ipnotizzati dalle difficoltà politiche e prigionieri della logica contingente e per ciò stesso incapaci di scorgere quale sia la vera realtà con la quale fare i conti.
Proprio il realismo, invece, impone di mettere oggi, a così poca distanza dalle elezioni europee, al centro della discussione la questione istituzionale e questo per due buoni motivi. Il primo: la dimensione assunta dall'Unione europea per la


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quantità e la qualità delle decisioni ad essa affidate rivela la pericolosa inadeguatezza delle sue fondamenta. Se queste non verranno seriamente rafforzate, non dico che la costruzione europea si arresterà, ma certo retrocederà verso la logica di una zona di libero scambio, sia pure estesissima e unificata da un fattore importante come la moneta.
Ma vi è un altro motivo per cui, ancor più che ieri, l'Unione europea non può ulteriormente rinviare l'approvazione del Trattato costituzionale. Essa è oggi, infatti, la più vasta area del mondo dove, da anni, si sperimenta il superamento della logica degli Stati-nazione e nella quale si registra l'inadeguatezza di un'integrazione perseguita soltanto attraverso il mercato e la necessità, invece, di realizzare una maggiore unione attraverso i diritti.
Si può parlare dell'Unione europea come un luogo dove, sia pure su scala più ridotta, si stanno affrontando non solo i problemi tipici del mondo globalizzato, le insidie del protezionismo e gli egoismi della «fortezza Europa», ma anche l'urgenza di sottrarre le relazioni sociali ed economiche al solo governo del sistema delle imprese, restituendo alla politica e alle istituzioni la loro capacità regolatrice. Con gli strumenti finora disponibili, tale progetto ha già dato tutto ciò di cui era capace; tuttavia, volendo procedere ulteriormente, la questione istituzionale non può più essere elusa.
Sono queste alcune delle ragioni che, attraverso la mozione che il nostro gruppo ha presentato, ci inducono a premere sul Governo affinché promuova la convocazione di una Conferenza intergovernativa che approvi celermente il Trattato costituzionale europeo. Nel voto costituzionale, prima o poi, precipitano gli egoismi e le regressioni istituzionali e politiche. Proprio in questi tempi, possiamo misurare cosa significhi non essere riusciti a far decollare, ad esempio, il Tribunale penale internazionale e non riconoscere il ruolo dell'ONU nella risoluzione delle controversie sovranazionali: come può conciliarsi, infatti, l'appello ad un'azione comune contro il terrorismo con la creazione di una giustizia che sembra, a tratti, persino privata? L'approvazione del Trattato costituzionale contribuirebbe a «vaccinare» l'Europa anche contro tale tentazione, poiché l'avvio di un serio processo costituente, trasparente ed aperto, assumerebbe un valore esemplare ed incarnerebbe un modello di garanzia di cui si avverte fortemente il bisogno.
Credo che l'agonia dell'Europa intergovernativa sia un fatto ormai indiscutibile: l'unione degli egoismi nazionali ed il diritto di veto non hanno futuro. Senza una Costituzione comune, l'Unione europea a 25 paesi membri, presto 30, si trasformerà in una Babele multinazionale e si accentueranno, anziché sopirsi, i contrasti tra gli Stati aderenti.
L'alternativa è evidente. La Convenzione sull'avvenire dell'Europa è riuscita là dove i Governi hanno fallito. La Costituzione europea è il frutto di un compromesso tra chi voleva un'Europa federale e chi desiderava conservare, invece, la vecchia Europa intergovernativa. Si tratta, comunque, di un compromesso che consente di compiere un passo in avanti, poiché offre opportunità nuove di partecipazione ai cittadini europei e ai loro rappresentanti in seno al Parlamento di Strasburgo e perché pone le basi reali di una solidale integrazione tra gli Stati.
Con le nostre mozioni, nelle loro nuove formulazioni, chiediamo pertanto che il Governo si impegni affinché, prima dello svolgimento delle elezioni europee del 13 giugno, il Consiglio europeo, prendendo atto della volontà degli Stati, decida di avviare le ratifiche, da parte dei paesi membri, del Trattato costituzionale.
Chiediamo altresì al Governo di difendere la Costituzione per l'Europa in tutti i modi e con ogni forza, respingendo i compromessi e le soluzioni al ribasso ed abbandonando le proposte formulate nel semestre di Presidenza di turno dell'Unione europea, specialmente quelle che riducono il ricorso, nelle decisioni comuni, alla maggioranza qualificata ed estendono la possibilità di imporre veti nazionali.
Chiediamo, infine, che al tempo stesso il Governo si faccia promotore di una


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rinnovata azione politica, che imprima la necessaria spinta affinché l'Unione europea divenga un soggetto politico sempre più coeso e promotore di sviluppo, di democrazia, di stabilità e di sicurezza (Applausi dei deputati dei gruppi della Margherita, DL-L'Ulivo e dei Democratici di sinistra-L'Ulivo).

PRESIDENTE. Saluto la delegazione del liceo scientifico di Sondrio, che assiste ai nostri lavori (Applausi).
Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto l'onorevole Mereu. Ne ha facoltà.

ANTONIO MEREU. Signor Presidente, in fase di discussione sulle linee generali delle mozioni presentate abbiamo ampiamente parlato della nuova Costituzione europea; soprattutto, è stata unanimemente ravvisata la necessità di firmare il tanto atteso Trattato costituzionale europeo quanto più tempestivamente possibile. Si deve trattare, tuttavia, anche di una firma responsabile, che tracci sistemi e regole di comportamento idonei alle necessità della nuova Europa allargata.
Un'Europa che sappia ridurre le differenze esistenti tra le nazioni, dovute tra l'altro alla povertà ed al basso tasso di sviluppo, che sappia supportare gli sforzi dei popoli avviati a traguardi di democrazia, che possa intervenire efficacemente e tempestivamente per spegnere focolai di conflitti capaci di turbare la pace nel mondo; e, finalmente, un'Europa che sappia neutralizzare il terrorismo globale e rafforzare conseguentemente la compattezza occidentale come condizione necessaria ad ogni strategia di successo.
Nella mozione da noi presentata abbiamo chiesto non una firma qualsiasi, senza calore e senza peso politico, ma abbiamo chiesto e chiediamo ciò che questa Assemblea aveva raccomandato nello scorso dicembre e rispetto a cui, secondo noi, esistono le premesse perché possa realizzarsi. Mi riferisco all'esigenza di un'unica voce europea in tema di politica estera, già consolidata negli accordi costituzionali prodotti dalla Convenzione, che andrebbero messi a punto nella Conferenza intergovernativa, o alla capacità di assumere la responsabilità delle proprie decisioni, di cui ha già dato prova il Consiglio europeo di Bruxelles del 25 e 26 marzo scorsi.
L'intensificarsi degli avvenimenti sulla scena mondiale, in questi ultimi giorni, potrebbe essere l'occasione per mettere a punto le risultanze dell'intensa attività diplomatica fino ad oggi svolta, attività che ha visto coinvolti l'ONU ed i paesi più importanti del mondo, compresi alcuni paesi arabi.
In conclusione, quindi, dichiariamo il voto favorevole del gruppo dell'UDC sulla nostra mozione Naro e Volontè n. 1-00348, nonché sulle mozioni Antonio Leone e Baldi n. 1-00347 e Anedda ed altri n. 1-00349 (Applausi dei deputati del gruppo dell'Unione dei democratici cristiani e dei democratici di centro).

PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto l'onorevole Mantovani. Ne ha facoltà.

RAMON MANTOVANI. Presidente, confesso di essere abbastanza stupito della discussione che si sta svolgendo. La Convenzione che avrebbe dovuto partorire la Costituzione europea è fallita. Siamo nel momento in cui l'Unione europea passa da 15 a 25 Stati membri, con una infinità di problemi connessi a tale allargamento, non da ultimo il fatto che quest'ultimo è stato previsto per le merci e per i mercati, mentre vengono discriminati i cittadini di otto dei nuovi dieci paesi, quasi fossero cittadini di «serie b», in quanto ad essi non è concesso di circolare liberamente all'interno dell'Unione europea.
Siamo in una fase nella quale le politiche economiche che hanno ispirato la costruzione dell'Unione europea e il Trattato di Maastricht sono in grado di fare fronte alla crisi e alla recessione, mentre di fatto alcuni governi autorevoli li rimettono in discussione. Siamo cioè in presenza di una situazione sulla quale bisognerebbe riflettere, per fare un bilancio di quanto è avvenuto in questi anni e cercare di indicare una nuova prospettiva per la


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costruzione dell'Unione europea. Invece, ci sono i fanatici (ormai sembra si tratti di un fanatismo fondamentalista religioso) del patto di stabilità e dei criteri di Maastricht, che continuano ad essere riproposti nonostante non siano adeguati alla situazione attuale.
Ci sono i fanatici della costruzione tecnocratica dell'Unione europea e ci sono quelli che si «impiccano» ad un progetto di trattato costituente (non di Costituzione, perché di questo si tratta), che è minimalista dal punto di vista democratico ed ispirato dalle politiche neoliberiste. C'è di che meravigliarsi di fronte a tutto questo! Ci vorrebbe ben altro!
Lo dico a mo' di esempio e non perché si tratti di una proposta concreta: di fronte al deficit democratico della costruzione europea; di fronte allo strapotere dei tecnocrati nell'Unione europea; di fronte al potere incontrollato della Banca centrale; di fronte ad indici economici che sono stati indicati come gli unici fattori per determinare l'ingresso, dapprima, nell'Unione europea e, poi, nella moneta unica; di fronte a tutto ciò, non bisognerebbe cercare di aprire una vera fase costituente, assegnando ai popoli ed alle loro rappresentanze, cioè al Parlamento europeo, una fase, appunto, costituente, un compito di costruzione di un'identità politica comune di quest'Unione europea? No: si ripropone la tecnocrazia; si ripropone un progetto di costituzione che è fallito e che, per di più, è fallito su questioni - scusatemi se lo dico - miserevoli: sulle questioni del voto e sull'importanza di questo o di quell'altro paese. Non poteva che essere così, perché non è stata costruita alcuna identità politica comune né esiste un progetto serio per la democratizzazione del processo di costruzione dell'Unione europea!
Non mi spiego perché le opposizioni insistano così pervicacemente nel voler riproporre ciò che è già fallito negli anni scorsi! Una parte dell'opposizione - ma, ahimé, la maggioranza delle forze che la compongono - hanno dato vita ad una discussione con la Casa delle libertà e con il Governo, che io trovo paradossale: sembrerebbe quasi una gara a chi è più pragmaticamente tecnocratico e neoliberista!
Il progetto di Costituzione, al quale noi, in più occasioni, ci siamo dichiarati avversi, non è democratico, è minimalista da questo punto di vista, nel senso che è molto, ma molto più arretrato delle principali Costituzioni, a cominciare da quella del nostro paese: da una parte, esso recita litanie sulle questioni dei principi e dei valori, ma non detta alcuna norma programmatica per la loro attuazione; dall'altra, contiene puntuali norme programmatiche e di applicazione per quanto concerne le politiche economiche neoliberiste!
Allora, mentre non vediamo avviata una vera discussione su quanto sta succedendo, volta ad aprire una nuova prospettiva, assistiamo a questo dibattito che è non soltanto triste, ma, se permettete, anche noioso. Non può che essere noioso e ripetitivo: è retorico sull'Unione europea e ripetitivo perché ripropone cose che hanno fatto fallimento e che non riescono ad aggredire i veri problemi.
Per concludere, signor Presidente, poiché, dopo tante tonnellate di retorica sulle questioni riguardanti l'Unione europea, non vale neanche la pena di diffondersi più di tanto... Mi rivolgo al sottosegretario, se mi presta un po' di attenzione ...
Signor sottosegretario, mi pare ...

PRESIDENTE. Sottosegretario Antonione, l'onorevole Mantovani chiede la sua attenzione.

ROBERTO ANTONIONE, Sottosegretario di Stato per gli affari esteri. Mi scusi.

RAMON MANTOVANI. Mi pare che alcune mozioni siano state riformulate.
Per quanto riguarda la mozione Spini n. 1-00338 (Nuova formulazione) noi chiederemo la votazione per parti separate, nel senso di votare distintamente il quarto capoverso del dispositivo riguardante l'articolo 11 della Costituzione italiana, sul quale esprimeremo un voto favorevole,


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mentre, per i motivi che ho testé esposto, esprimeremo un voto contrario sulle restanti parti.
Analogamente, voteremo a favore della mozione Realacci n. 1-00350 (Ulteriore formulazione), che insiste sul tema dell'articolo 11 della nostra Costituzione.
Se non ho capito male, su tale questione il Governo si rimetterà all'Assemblea.

ROBERTO ANTONIONE, Sottosegretario di Stato per gli affari esteri. No.

RAMON MANTOVANI. Il Governo è di avviso contrario, dunque?

ROBERTO ANTONIONE, Sottosegretario di Stato per gli affari esteri. Saremmo favorevoli se la mozione venisse modificata.

RAMON MANTOVANI. Benissimo, ma non conosco la modifica che lei intende proporre: vuol dire che attenderemo di conoscere, per così dire, il nome dell'assassino di questo giallo, di vedere quale sarà la posizione definitiva del Governo.
Comunque, signor sottosegretario, ho ascoltato le parole da lei pronunciate in precedenza. Ebbene, promuovere la pace non è ripudiare la guerra: sono due cose completamente diverse! Non conosco persone che affermino di non voler promuovere la pace: lo afferma persino il signor Bush, con la sua guerra unilaterale; e persino Saddam Hussein sosteneva di promuovere la pace!
Invece, ripudiare la guerra, come recita l'articolo 11 della nostra Costituzione, significa avere un'altra idea di mondo, di politica estera e di coesione europea. Mi meraviglia che il Governo possa assumere la decisione di rimettersi all'Assemblea (forse la scelta meno grave) o addirittura di adottare una posizione contraria. Sarebbe come ammettere che il Governo rinuncia al principio sancito all'articolo 11 della Costituzione repubblicana, di cui gli italiani sono figli, che recita: «L'Italia ripudia la guerra come mezzo di risoluzione delle controversie internazionali». In ogni caso, vedremo...
Queste sono le considerazioni del gruppo di Rifondazione comunista sui dispositivi di tutte le mozioni presentate, sulle quali esprimeremo un voto contrario, ad eccezione della mozione Realacci ed altri n. 1-00350 (Ulteriore formulazione). Chiedo inoltre - come ho già preannunciato - la votazione per parti separate della mozione Spini ed altri n. 1-00338 (Nuova formulazione), nel senso di votare distintamente il quarto capoverso del dispositivo, che prevede l'inserimento nel testo della nuova Costituzione europea del principio del ripudio della guerra, secondo quanto sancito dall'articolo 11 della Costituzione italiana, sul quale preannuncio voto favorevole (Applausi dei deputati del gruppo di Rifondazione comunista).

PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto l'onorevole Cima, alla quale ricordo che ha tre minuti di tempo a disposizione. Ne ha facoltà.

LAURA CIMA. Signor Presidente, credo che nell'attuale fase politica questo dibattito debba essere seguito con grande attenzione.
Ritengo che il Governo debba assumersi l'impegno di favorire, in tutti i modi, il raggiungimento, nell'attuale semestre, dell'accordo sulla Costituzione europea, sostenendo il testo della bozza di Costituzione europea elaborato dalla Convenzione, così come proposto nell'appello del Movimento federalista europeo e condiviso da numerosi cittadini italiani, associazioni ed enti locali.
Se il Governo rileggesse con maggiore attenzione la nostra mozione (al riguardo, siamo disponibili ad espungere dal dispositivo il secondo capoverso, superato in questo momento, riguardante la creazione di un sistema a «doppia velocità»), credo non potrebbe rifiutarsi di accettare questa nuova riformulazione, sempre che non voglia accogliere come una provocazione alcune parti della premessa (ritengo tuttavia che nella parte motiva vi sia la libertà di esprimere il proprio pensiero politico).
In questa fase di allargamento dell'Unione europea da 15 a 25 Stati membri,


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ad un mese dalle elezioni europee, credo sia fondamentale raggiungere, sotto l'attuale Presidenza, un accordo in tutta l'Unione europea per varare l'Europa politica.
Chiaramente, anche noi avremmo voluto un aggancio più coerente con l'articolo 11 della Costituzione. Siamo, dunque, favorevoli alla mozione a prima firma del collega Realacci. È vero che nella Costituzione europea si fa un accenno all'obiettivo della pace, tuttavia non vi sono riferimenti precisi al rifiuto della guerra e alla risoluzione dei conflitti con il dialogo.
In quest'occasione, andrebbe approfondita (ma purtroppo non abbiamo il tempo) la questione riguardante il patto di stabilità. Mi chiedo se sia il caso di rimetterla in discussione a seguito dell'allargamento dell'Unione europea, come si rimettono in discussione molti principi che hanno determinato tanti problemi in ordine al rapporto internazionale dell'Unione europea (mi riferisco ai sussidi, alle politiche non sufficientemente chiare a livello internazionale nelle situazioni di crisi, agli interventi, come missioni europee, estremamente limitati e di cui bisognerebbe fare un bilancio). Credo sia giunta l'occasione per farlo.
È chiaro che le mozioni sono soprattutto finalizzate al raggiungimento dell'obiettivo minimo della Costituzione, perché non è possibile pensare ad un ruolo politico dell'Europa in questa fase - come sarebbe necessario - senza neanche la nuova Costituzione, considerati tutti i problemi che l'allargamento comporta. Rispetto a questi problemi, il nostro gruppo, anche a livello europeo, si è mosso recentemente sia per chiedere, con la Costituzione, un Governo federale europeo, sia per chiedere politiche regionali europee sostenibili e trasparenti (recentemente è stata approvata a Strasburgo una risoluzione sulla riforma della politica regionale di coesione, a partire dal 2006). Anche di questo bisognerebbe discutere, perché le resistenze alla Costituzione consistono anche nelle resistenze ad affrontare il tema dell'allargamento in modo da aiutare realmente i paesi più in difficoltà e, all'interno dei paesi, le classi e i settori poveri o a rischio di povertà. Anche il discorso della mancata libertà di circolazione per due anni dei cittadini, mentre le merci sono ovviamente libere di circolare, costituisce un grave limite che bisognerà cercare di superare al più presto.

PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto l'onorevole Guido Giuseppe Rossi. Ne ha facoltà.

GUIDO GIUSEPPE ROSSI. Signor Presidente, come in diverse altre occasioni, siamo di nuovo chiamati a dibattere in quest'aula su una serie di mozioni che riguardano i temi europei. Ancora una volta, soprattutto, la Lega Nord Federazione Padana si ritrova a sottolineare l'assoluta mancanza di peso politico di questo tipo di discussioni e l'assoluta inconsistenza politica di questo tipo di mozioni. Lo abbiamo fatto diverse volte e lo sottolineiamo anche in questa occasione, senza peli sulla lingua, con la consapevolezza di dire la verità politica su quello che sta succedendo nel nostro paese. In questo paese, da sempre, per tradizione politica e ideologica, le questioni dell'Europa non vengono interpretate in chiave europea, ma in chiave esclusivamente nazionale ed interna. E i risultati, come ben sappiamo, si vedono, visto il peso politico del nostro paese all'interno dell'Unione europea, al di là degli schieramenti e dei Governi che si ritrovano a guidare il paese.
Le mozioni che sono state presentate oggi sono lo specchio di questa situazione. Si tratta di una serie di mozioni nelle quali temi molto disparati vengono messi in fila uno dietro l'altro, senza accettarne la dimensione problematica, la dimensione autenticamente politica, che significa anche scontrarsi con i problemi reali e con la complessità di quello che è il mondo di oggi e di quello che il mondo è sempre stato (perché il mondo è sempre stato complesso e nel mondo si sono sempre scontrati blocchi continentali, interessi economici, politici e militari).
Allora, vi è una serie di temi che non vengono affrontati nella loro essenza, a


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partire da quello del modello di difesa europeo, che non viene delineato come un sistema che consenta all'Europa di essere protagonista nel mondo e di essere posta alla pari con le altre superpotenze (ovviamente, mi riferisco agli Stati Uniti, ma anche ad altre potenze, che hanno un livello militare non di poco conto, quali la Cina e la Russia). Tutto ciò necessita, per essere autenticamente competitivi con gli altri blocchi, di un investimento di risorse economiche. È un tema che non viene mai affrontato: da dove devono essere prese le risorse? Da quale settore devono essere tolte? Anche nel nostro paese si continua a non dare una risposta su questo tema.
Le mozioni - soprattutto quelle presentate dai colleghi dell'opposizione - insistono poi sul ritornello del mancato protagonismo italiano sulla scena europea. Sappiamo, invece, come questo Governo, nel semestre di presidenza italiana dell'Unione europea, abbia almeno segnato un'inversione di tendenza ed una nuova stagione di protagonismo. Ovviamente, essere protagonisti significa essere al centro delle critiche. Un paese come il nostro ha - a mio avviso - il dovere di tornare ad essere protagonista. Nella mozione Spini n. 1-00338 (Nuova formulazione) si fa riferimento all'esclusione dell'Italia dal vertice franco-tedesco-inglese. Un ottimo esempio di europeismo: i vertici che escludono altri paesi dell'Unione europea! Questo sarebbe il modello di europeismo che parti dell'Ulivo e parti della sinistra vogliono proporre, salvo poi essere immediatamente punite, quando i partiti laburisti e socialisti si ritrovano escludendo parti della sinistra e del socialismo italiano? È la moneta con la quale viene ripagato l'appoggio a tale tipo di politiche, che tendono ad escludere il nostro paese. Non si vuole un protagonismo del nostro paese in Europa. Esso dà fastidio. Non si vuole che un paese di 60 milioni di abitanti torni ad avere un ruolo centrale in Europa.
Riaffiorano, poi, tutte le frasi che - senza offesa per i colleghi - mi permetto di definire di circostanza. Si parla di «compromesso che non deve essere al ribasso». Tutte le volte che sento questa frase, che è una costante, non riesco a capire cosa voglia dire. Non riesco a capire cosa sia il «compromesso al ribasso» che tutti citano, quasi fosse una formula evangelica che si legge durante la celebrazione della messa. «Siamo contro il compromesso al ribasso», si dice, senza specificare quale sia il nostro interesse nazionale. Lo diciamo noi, come Lega Nord Federazione Padania: sembra quasi un paradosso, in quest'aula in cui vi sono difensori dell'italianità più spinta. Nessuno ci spiega quale sia l'interesse nazionale del nostro paese all'interno della costruzione della nuova Unione europea. Nessuno lo spiega. Nessuno riesce a spiegarcelo, all'interno di queste mozioni.
La Costituzione europea deve essere approvata entro giugno. Bisogna fare in fretta. É un altro fra i temi ricorrenti. Si può anche approvare entro giugno la Costituzione, ma dove è scritto che vi debba essere tutta questa fretta nell'approvare una Costituzione che ridisegna la storia istituzionale di 25 paesi che hanno alle spalle secoli di storia? Ciò, a maggior ragione, quando nel nostro paese, da 25 anni - a colpi di bicamerali e di altre Commissioni - non siamo riusciti a modificare in maniera significativa e profonda la nostra Costituzione.
Tutti questi luoghi comuni - a mio avviso - non aiutano ad affrontare in maniera politica il tema dell'Unione europea e, ancora una volta, sottolineano il provincialismo del nostro approccio ai temi dell'Unione europea stessa ed a quelli delle politiche europee.
Sempre all'interno delle mozioni, vi è una polemica sul mandato di arresto europeo, con l'accusa al ministro Castelli di non essersi fatto promotore dello stesso mandato di arresto europeo. Anche in proposito, la nemesi storica è giunta molto presto. Si stava discutendo sul ritardo italiano nel recepimento del mandato d'arresto europeo e, contemporaneamente, un paese dell'Unione europea, quale la Francia (paese amico, paese cugino, paese confinante) ha posto moltissime difficoltà a consegnarci un personaggio, quale il signor


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Cesare Battisti, condannato in maniera definitiva dalla giustizia italiana, ossia dalla giustizia di un paese fondatore del processo comunitario europeo, a mio avviso in totale spregio di uno tra i diritti fondamentali della Costituzione - materiale, non ancora formale - dell'Europa, quale il diritto alla giustizia.
Se mai la Francia - speriamo che non sia così - non ci riconsegnasse il signor Cesare Battisti, a mio avviso, l'Italia dovrebbe ricorrere alla Corte europea di giustizia, perché uno dei diritti fondamentali, ossia il diritto alla giustizia di cui sono titolari i parenti delle vittime del terrorismo, sarebbe assolutamente violato. E sarebbe violato anche quello spazio comune di giustizia e di sicurezza interna che viene tanto sbandierato in occasione dell'adozione di atti e di decisioni quadro, quale quella sul mandato di arresto europeo.
A questo proposito, la nemesi storica arriva altrettanto veloce. Nel corso degli ultimi vertici europei, ad esempio, è stato posto sul tavolo il problema della conservazione dei dati biometrici sui passaporti (lo ripeto: i dati biometrici sui passaporti!). Nell'Unione europea si sta discutendo di questi temi: noi, pochi anni fa, ci permettevamo di indicare le impronte digitali; adesso si parla addirittura dell'iride con un balzo tecnologico incredibile. Quindi, i nostri dibattiti interni vengono sistematicamente scavalcati anni luce da quelli che si svolgono in Europa, dove i nostri partner europei pensano in chiave europea tenendo conto del loro interesse nazionale. Infatti, nessuno ci potrà togliere dalla testa che, in questo momento, francesi e tedeschi hanno bisogno dell'Unione europea per ristabilire quei rapporti di forza e di potenza mondiale che hanno perso con le due guerre mondiali, a discapito degli Stati Uniti ieri e oggi e dell'Unione sovietica ieri e non più oggi. Ed è comprensibile: fossimo al loro posto, probabilmente, ragioneremmo in questi termini. Quindi, vi è un'assoluta confusione anche sul tema dell'Europa dal punto di vista geografico...

PRESIDENTE. Onorevole Rossi, si avvii alla conclusione!

GUIDO GIUSEPPE ROSSI. Ho sentito di nuovo avanzare la proposta di fare entrare la Turchia nell'Unione europea. Come si fa ad essere europeisti convinti e, nello stesso momento, chiedere che un paese come la Turchia, con una tradizione assolutamente non omogenea a quella europea, entri nell'Unione europea? Un conto è che l'Unione europea debba avere un rapporto privilegiato con la Turchia, perché bisogna sottrarla dalle mani del fondamentalismo islamico e portarla verso un sistema di democrazia civile occidentale; ma, nel momento in cui si prospetta l'entrata della Turchia nell'Unione europea, non si disegna più quella che definiamo Unione europea, perché non sappiamo ciò che vogliamo essere. Questo è il grande problema! Lo sanno gli Stati Uniti che hanno la loro missione imperiale, condivisibile o meno; lo sanno la Cina e la Russia, che pensa, quest'ultima, al proprio passato, ma in chiave futura; lo sa il mondo islamico, che sta cercando in maniera violenta e disordinata di riunirsi e darsi di nuovo una missione, ma non lo sa l'Unione europea. Quest'ultima si sta cullando nell'illusione di essere l'elemento della pace, ma questa è una visione innanzitutto poco realistica ed anche egoistica. È una visione che assegna all'Europa un ruolo determinato: mentre nel resto del mondo tutti sono alle prese con le guerre ed i problemi, l'Europa si astrae da questa situazione e diventa l'elemento pacificatore. Non è così: la storia è più complessa. La storia ci dice che i grandi blocchi talvolta si incontrano, ma si scontrano anche sulle grandi questioni militari ed economiche. E l'Europa è tagliata fuori da questo tipo di questioni.
Per quanto riguarda la dimensione geografica, la Turchia non ha ancora nemmeno riconosciuto il genocidio degli armeni. È come se la Germania affermasse che lo sterminio degli ebrei è stata una vicenda che non l'ha interessata. Ho sentito alcuni colleghi ribadire questo tipo di concetto e il gruppo della Lega Nord


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Federazione Padana non è assolutamente d'accordo.
In conclusione, il nostro gruppo esprimerà un voto favorevole sulle mozioni sulle quali il Governo ha espresso parere favorevole ed esprimerà un voto contrario, per le ragioni che ho esposto in maniera forse disordinata (ma disordinate sono le materie che vengono elencate in questo tipo di atti), sulle mozioni presentate dal centrosinistra e sulle quali il Governo ha espresso parere contrario.

PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto l'onorevole Realacci. Ne ha facoltà.

ERMETE REALACCI. Signor Presidente, onorevoli colleghi, la mozione che, unitamente a molti colleghi, ho presentato impegna il Governo a compiere tutti gli sforzi possibili, pur sapendo che i tempi sono ridotti e le condizioni probabilmente non vi sono, per l'inserimento dell'articolo 11 della nostra Costituzione in quella europea.
Credo che questo invito al Governo, sia pur utilizzando gli spazi negoziali possibili, abbia un'importanza significativa, nonostante le attuali difficoltà.

PRESIDENTE. Mi scusi se la interrompo, onorevole Realacci. Dal momento che il Governo aveva preannunciato di voler ulteriormente intervenire per chiarire la sua posizione, darei ora la parola al rappresentante del Governo; dopo tale intervento, potrà proseguire la sua dichiarazione di voto.
Ha facoltà di parlare il sottosegretario di Stato per gli affari esteri, senatore Antonione.

ROBERTO ANTONIONE, Sottosegretario di Stato per gli affari esteri. Signor Presidente, onorevoli colleghi, ho chiesto di intervenire alla luce delle modifiche apportate alla mozione Realacci ed altri n. 1-00350 (Nuova formulazione) ed anche a seguito della richiesta, avanzata dall'onorevole Mantovani, di votare per parti separate la mozione Spini ed altri n. 1-00338 (Nuova formulazione).
Ferme restando le premesse che avevo svolto, ricordo che il Governo ha margini di trattativa assai limitati per inserire l'articolo 11 della nostra Costituzione nell'ambito di quella europea. Non possiamo, ovviamente, che essere favorevoli alla mozione Realacci ed altri n. 1-00350 (Nuova formulazione), così come riformulata dai presentatori; tuttavia, insisto ancora sul fatto che gli spazi negoziali possibili, come vengono definiti dalla mozione, sono realmente molto ridotti. Nonostante questo, cercheremo di fare il possibile.
Per le stesse ragioni, siamo disponibili, in caso di votazione per parti separate, ad esprimere parere favorevole sul quarto capoverso del dispositivo della mozione Spini ed altri n. 1-00338 (Nuova formulazione), laddove si prevede di sostenere l'inserimento nel testo della nuova Costituzione europea del principio del ripudio della guerra, secondo quanto sancito dall'articolo 11 della Costituzione italiana. Sottolineo che il Governo è disponibile ad esprimere un voto favorevole su tale punto, purché venga modificato nel senso che (come peraltro previsto dal dispositivo della mozione a prima firma dell'onorevole Realacci laddove si fa riferimento agli spazi negoziali possibili), per evitare strumentalizzazioni, quando si fa riferimento all'articolo 11 della Costituzione, e in particolare al ripudio della guerra, si intendono azioni di guerra e non di peace- keeping.

PRESIDENTE. Chiedo all'onorevole Spini se accolga la riformulazione della sua mozione n. 1-00338 (Nuova formulazione) proposta dal Governo?

VALDO SPINI. Sì, signor Presidente.

PRESIDENTE. Può proseguire il suo intervento, onorevole Realacci.

ERMETE REALACCI. Signor Presidente, si è trattato di un'interruzione positiva e comprendo anche che l'interpretazione dell'articolo 11 della Costituzione non sia univoca in questo Parlamento.


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Noi sappiamo che vi sono giudizi differenti sulla situazione in Iraq ed anche in merito alla giustificazione che noi diamo alla presenza dei nostri militari, cui va la nostra solidarietà, e la situazione reale che essi si trovano ad affrontare. Del resto, indipendentemente dai titoli dei giornali e dai resoconti delle televisioni, è stato Wolfowitz, pochi giorni fa, a dire che è estremamente improbabile che altre nazioni intervengano militarmente in Iraq perché vi è una situazione di guerra. Non è, quindi, l'opposizione presente nel Parlamento italiano a sostenere questo: come è ovvio, noi rappresentiamo una posizione, avanzata attraverso la richiesta di inserimento dell'articolo 11 della nostra Costituzione in quella europea, che va al di là della vicenda irachena.
Si tratta di una posizione legata all'idea che abbiamo di Europa: l'idea di un'Europa che sia innanzitutto una grande potenza civile, una risorsa non soltanto per i suoi cittadini, ma per il mondo. Essa rappresenta un grande insieme di paesi responsabile rispetto al mondo ed al futuro.
Questa idea di Europa implica una maggiore forza, anche politica, dell'Unione europea. Implica, inoltre, l'impegno dell'Europa su fronti delicati che sono trascurati da altre potenze, in primo luogo dagli Stati Uniti d'America, ovvero quelli legati agli obiettivi del millennio: la lotta alla miseria, la dignità di tutti i popoli, gli accordi di Kyoto e l'idea di uno sviluppo equilibrato.
Implica anche una cultura della guerra segnatamente diversa dall'idea di guerra preventiva.
L'articolo 11, come è evidente dal suo testo, non esclude il ricorso alla guerra. Ciò non sarebbe stato possibile, dato che tale articolo è figlio della guerra di liberazione, è figlio della Resistenza. Sarebbe stato contraddittorio se i costituenti avessero escluso in qualsiasi caso il ricorso alla guerra. Tuttavia, l'articolo esclude con chiarezza il ricorso alla guerra come soluzione delle controversie internazionali e relega l'uso della forza nell'ambito di decisioni prese multilateralmente in sede internazionale.
La guerra è sempre un fenomeno negativo; tutte le guerre lo sono. La seconda guerra mondiale è stato un massacro tremendo e sicuramente tragedie, errori e crudeltà sono stati commessi anche dalle potenze vincitrici e dalla Resistenza, come dimostrano testi recenti. La guerra inevitabilmente finisce per scatenare le parti peggiori dell'animo umano. Ritengo che, all'indomani dell'emergere con violenza del fenomeno della tortura in Iraq, tutti dovremmo riflettere su tali questioni. Al di là delle differenti scelte sull'opzione irachena e di differenti posizioni sulla guerra, credo che anche i parlamentari della maggioranza debbano avere ben chiaro che quanto sta accadendo in Iraq compromette drasticamente l'immagine delle democrazie occidentali. Non mi riferisco solo alle forze presenti in quel paese, ma all'immagine di tutto l'occidente, e quindi anche dell'Europa, di cui sono intaccati la dignità e l'onore. Per questo sarebbe necessaria da parte del Governo italiano una reazione molto netta rispetto alle crudeltà che stanno emergendo in tale guerra ed alle torture contro persone inermi.
Dobbiamo essere consci del fatto che l'articolo 11 della nostra Costituzione - per certi aspetti più moderna ed avanzata di quelle di altri paesi, anche perché più recente - è figlio della seconda guerra mondiale. Pochi giorni fa abbiamo celebrato un evento simbolicamente importantissimo: non solo l'ingresso di dieci nuovi paesi nell'Unione europea, ma anche lo smantellamento dell'ultimo muro che separava il nostro continente e che era collocato proprio in territorio italiano, tra Gorizia e Nova Gorica. Si tratta di un evento simbolicamente importantissimo. È evidente che il suddetto articolo non è pensabile senza il tremendo massacro, senza i campi di sterminio, senza le decine di milioni di morti che la seconda guerra mondiale ha provocato.


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In questi momenti difficili in cui il mondo sembra spesso essere sull'orlo di un abisso e nessuno di noi ha ben chiaro quale sia la via giusta per fuggire, tale principio può esserci di grande aiuto. Infatti, è nei momenti difficili che si vedono le capacità dei singoli, dei popoli, delle collettività di proiettare in avanti un'idea di futuro in grado di orientare anche il presente. In fondo, l'idea di Europa è nata in uno di tali momenti tremendi: è partita da un gruppo di confinati all'isola di Ventotene - in villeggiatura, direbbe il nostro Presidente del Consiglio - che, nel corso di una delle più tremende tragedie della storia dell'umanità, hanno formulato un progetto che allora sembrava assolutamente utopistico. Tale progetto, con tutti i suoi limiti, i suoi ritardi e le debolezze che anche noi contestiamo, si sta trasformando in realtà.
Penso che tale progetto sarebbe fortemente rafforzato dal saggio articolo della nostra Costituzione italiana che mi permetto di leggere. L'articolo 11 recita: «L'Italia ripudia la guerra come strumento di offesa alla libertà degli altri popoli e come mezzo di risoluzione delle controversie internazionali; consente, in condizioni di parità con gli altri Stati, alle limitazioni di sovranità necessarie ad un ordinamento che assicuri la pace e la giustizia tra le nazioni; promuove e favorisce le organizzazioni internazionali rivolte a tale scopo». Penso che tale articolo faccia onore al nostro paese ed alla Costituzione italiana e meriterebbe di essere fatto proprio dalla Costituzione europea (Applausi dei deputati del gruppo della Margherita, DL-L'Ulivo).

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