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MICHELE SAPONARA. Le due questioni pregiudiziali presentate ed illustrate dagli onorevoli Montecchi ed altri, Bressa ed altri, fanno riferimento ad asseriti contrasti delle disposizioni recate dal provvedimento in esame, con gli articoli 41 e 117 della nostra Carta costituzionale.
Viene in primo luogo lamentata la lesione del principio della libertà di iniziativa economica e di impresa, sancito dall'articolo 41, primo comma, della Costituzione. In particolare, secondo la questione pregiudiziale n. 1, a prima firma dell'onorevole Montecchi, la fissazione - per legge - degli orari di cessazione delle attività di intrattenimento musicali e danzanti si paleserebbe come una irragionevole forma di dirigismo statale. A tale proposito, è facile dimostrare l'infondatezza della doglianza, atteso che il provvedimento non incide sul diritto dei gestori di disporre liberamente, nell'ambito delle prescrizioni adottate dalle competenti autorità regionali e locali, circa l'orario di chiusura dei propri esercizi. Lo stesso si limita, invece, a disciplinare in modo uniforme su tutto il territorio nazionale alcuni profili problematici delle attività di intrattenimento che attengono specificamente all'ordine e alla sicurezza pubblica, tanto da essere ritenute delle vere e proprie concause al dilagare del drammatico fenomeno delle cosiddette «stragi del sabato sera». Si interviene, infatti, sull'orario di cessazione delle sole attività musicali e danzanti, atteso che sovente le stesse si svolgono secondo modalità definibili come «estreme» dal punto di vista acustico e dell'illuminazione, nonché in materia di abuso di sostanze alcoliche o stupefacenti. Alla luce di tale premessa, ritengo del tutto infondato il timore in ordine alla presunta violazione dell'articolo 41 della Costituzione e ciò perché nel nostro assetto costituzionale la libertà di iniziativa economica, pur essendo riconosciuta e garantita dal primo comma della disposizione costituzionale citata, può incontrare limiti (o addirittura vincoli) nella tutela di altri valori costituzionalmente protetti, tra i quali è esplicitamente indicata la sicurezza dei cittadini. Mi limito, a tale proposito, a citare il secondo comma dello stesso articolo 41, in base al quale l'iniziativa economica «non può svolgersi in contrasto con l'utilità sociale o in modo da recare danno alla sicurezza, alla libertà, alla dignità umana» ed il costituente ha demandato proprio alla legge il compito di determinare «i programmi e i controlli opportuni perché l'attività economica pubblica e privata possa essere indirizzata e coordinata a fini sociali», ai sensi del terzo comma dell'articolo 41.
Del resto, è stata la stessa Corte costituzionale, nella sentenza n. 290 del 2001, a chiarire la latitudine delle funzioni e dei compiti che devono ricomprendersi nell'alveo dell'ordine pubblico e della sicurezza pubblica, stabilendo che essi concernono «le misure preventive e repressive dirette al mantenimento dell'ordine pubblico, inteso come il complesso dei beni giuridici fondamentali e degli interessi pubblici primari, sui quali si regge l'ordinata e civile convivenza nella comunità nazionale, nonché alla sicurezza delle istituzioni, dei cittadini e dei loro beni». La stessa Corte ha tenuto a precisare come la predetta definizione nulla aggiunga alla tradizionale nozione di ordine pubblico e sicurezza pubblica tramandata dalla giurisprudenza costituzionale, nella quale «la riserva allo Stato riguarda le funzioni primariamente dirette a tutelare beni fondamentali, quali l'integrità fisica o psichica delle persone, la sicurezza dei possessi ed ogni altro bene che assume primaria importanza per l'esistenza stessa dell'ordinamento».
Devo aggiungere che questa nozione di ordine pubblico e di sicurezza pubblica era comunque già sostanzialmente presente nel nostro ordinamento: mi riferisco al disposto di cui all'articolo 159, comma
2, del decreto legislativo n. 112 del 31 marzo 1998, recante il conferimento di funzioni e compiti amministrativi dello Stato alle regioni e agli enti locali, in attuazione della legge n. 59 del 15 marzo 1997, in forza del quale rimangono di esclusiva competenza statale le funzioni ed i compiti amministrativi relativi all'ordine pubblico ed alla sicurezza pubblica, intesi come quelli che «concernono le misure preventive e repressive dirette al mantenimento dell'ordine pubblico, inteso come il complesso dei beni giuridici fondamentali e degli interessi pubblici primari sui quali si regge l'ordinata e civile convivenza nella comunità nazionale, nonché alla sicurezza delle istituzioni, dei cittadini e dei loro beni».
L'altra questione pregiudiziale concerne la presunta lesione del sistema delle autonomie e della relativa ripartizione di competenze legislative, così come è stato delineato, a seguito della riforma del titolo V della parte seconda della Costituzione, dall'articolo 117, il cui quarto comma dispone che spetta alle regioni la potestà legislativa in riferimento ad ogni materia non espressamente riservata alla legislazione dello Stato. Da ciò si evince, e non è una questione in questa sede controversa, la competenza legislativa residuale delle regioni nella materia delle attività produttive e, in particolare, del commercio.
Anche tale questione è da ritenersi infondata. Infatti il provvedimento agisce, in realtà, sul versante dell'ordine e della sicurezza pubblica e tale precisazione era stata fatta dallo stesso Governo in sede di relazione di accompagnamento alla propria iniziativa legislativa in materia. Ciò significa che le disposizioni del provvedimento al nostro esame non comportano problemi di compatibilità con le competenze regionali definite dal nuovo titolo V della Costituzione in quanto, investendo primariamente profili di ordine pubblico e di sicurezza, esse rientrano nella competenza esclusiva dello Stato ai sensi dell'articolo 117, secondo comma, lettera h), della Costituzione.
Ad una conclusione diversa non potrebbe giungersi neppure laddove si argomentasse che il progetto di legge al nostro esame rechi effetti indiretti sulle modalità di svolgimento di talune attività proprie degli esercizi commerciali. Anche ove tale tesi corrispondesse al vero, devo far presente come la complessa attività interpretativa, che la riforma del titolo V ha richiesto sin dalla sua entrata in vigore, ha sin dall'inizio evidenziato l'esistenza nell'attuale articolo 117 della Costituzione di profili di trasversalità propri di alcune materie affidate alla competenza legislativa esclusiva dello Stato: dalla «determinazione dei livelli essenziali» alla «tutela della concorrenza», alla «tutela dell'ambiente» a, per l'appunto, all'«ordine pubblico e la sicurezza». Si tratta di profili che possono rilevare, sotto l'aspetto della finalità dell'intervento legislativo o, più precisamente, della natura dei valori e degli interessi che tale intervento intende tutelare, anche in ambiti materiali che potrebbero essere ritenuti, per altro verso, affidati alla competenza legislativa, concorrente o residuale, delle regioni. Faccio in proposito presente che la finalità perseguita dal provvedimento al nostro esame non potrebbe essere efficacemente realizzata, qualora la definizione degli orari di cessazione delle attività musicali e danzanti fosse rimessa alla determinazione delle singole regioni o dei singoli enti locali, in quanto ciò concorrerebbe a incrementare quel fenomeno di «nomadismo» tra i diversi locali da ballo che è proprio una delle cause principali dell'incidentalità notturna.
È per queste ragioni che invito i colleghi a votare contro le due questioni pregiudiziali di costituzionalità presentate.
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