Resoconto stenografico dell'Assemblea
Seduta n. 427 del 24/2/2004
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Informativa del Governo sugli esiti del vertice conclusivo del semestre di Presidenza italiana dell'Unione europea e sull'evoluzione del processo costituzionale europeo.

PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca lo svolgimento di un'informativa del Governo sugli esiti del vertice conclusivo del semestre di Presidenza italiana dell'Unione europea e sull'evoluzione del processo costituzionale europeo.
Dopo l'intervento del ministro degli affari esteri, onorevole Frattini, potrà intervenire un oratore per ciascun gruppo per dieci minuti in ordine decrescente. È altresì previsto un tempo aggiuntivo per il gruppo misto.

(Intervento del ministro degli affari esteri)

PRESIDENTE. Ha facoltà di parlare il ministro degli affari esteri, onorevole Frattini.

FRANCO FRATTINI, Ministro degli affari esteri. Signor Presidente, onorevoli colleghi, credo che questa mia informativa possa concentrarsi, da un lato, su un rapido richiamo ai contenuti delle più importanti decisioni che sono state assunte alla conclusione del semestre italiano di Presidenza dell'Unione europea e, dall'altro, sulle prospettive che dopo il semestre si sono aperte, nonché sull'evoluzione che su ciascuno dei dossier che avevamo preparato ed approvato si può in qualche modo registrare nei primi mesi di lavoro della Presidenza irlandese.
Vengo quindi all'indicazione delle tematiche (che sicuramente il Parlamento conosce già perché ho avuto più volte occasione di confrontarmi su di essi sia in


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Commissione, sia in Assemblea), tematiche complessivamente comprendenti sia i punti del semestre di Presidenza italiana dell'Unione europea sia quelli relativi alla Conferenza intergovernativa.
La prima grande tematica sulla quale credo che la Presidenza italiana, senza ombra di dubbio, abbia raggiunto risultati importanti è quella relativa alla crescita, allo sviluppo e alla competitività dell'Europa. Noi abbiamo realizzato, con l'approvazione a dicembre dell'iniziativa europea per la crescita, quella che molti osservatori hanno chiamato la prima manovra di politica economica europea. Lo abbiamo fatto delineando una strategia che, come i colleghi sanno, la Presidenza irlandese considera come base di lavoro, che sarà poi oggetto di sviluppo in sede di prossimo Consiglio europeo, che si svolgerà a Bruxelles in primavera, per ragioni consuete, ma che sarà guidato dall'Irlanda: esso avrà per oggetto proprio la crescita, la competitività e lo sviluppo.
I punti essenziali di questa tematica sono, in primo luogo, le grandi reti transeuropee.
Non mi dilungo su questo punto perché - come voi ben sapete - nel Consiglio europeo di dicembre vi è stato un accordo per approvare il programma delle grandi reti fisiche, quelle di grande comunicazione, che superano ed abbattono le frontiere all'interno dell'Unione europea per realizzare meglio il mercato interno dell'Unione. Si tratta, anzitutto, dei grandi corridoi: a tale proposito vi è un interesse evidente dell'Italia che ha visto fra le opere cosiddette quick start, cioè quelle che partiranno rapidamente, i tratti dei corridoi transeuropei come la Torino-Lione, il tunnel del Brennero e le autostrade del mare. Sono tutti punti di assoluta priorità per la circolazione ed il trasporto non solamente transeuropei, ma anche italiani.
Il punto di grande novità per quanto riguarda le infrastrutture transeuropee è, rispetto ad un passato in cui tutti eravamo già convinti che tali opere si dovessero realizzare, l'avere deciso con la proposta italiana come realizzarle davvero. Questo è stato il passo avanti che, anche se espresso in termini non particolarmente tecnici, spiega la differenza tra un'intenzione ed una realizzazione. Abbiamo immaginato un piano che permettesse di aggirare le difficoltà che il bilancio degli Stati nazionali presenta in quanto vincolato dai parametri di debito nazionale. Mi riferisco al divieto di eccedenza di un determinato limite - che voi conoscete - tra debito pubblico e prodotto interno lordo. Per aggirare tutto ciò e per realizzare le grandi opere, si è immaginato di coinvolgere maggiormente i privati nel cofinanziamento delle opere, di chiedere ed ottenere un intervento della Banca europea per gli investimenti e prevedere, quindi, un cofinanziamento pubblico europeo, che è passato dal 10 al 20 per cento dell'ammontare di tali opere. Questo e solo questo ha reso possibile, muovendo da un'idea e da un'esigenza sempre sentite, la partenza concreta ed effettiva di tali progetti. Credo sia un risultato importante, le cui conseguenze si vedranno già a partire dal 2004.
Non ci siamo limitati, però, solo alle opere infrastrutturali in senso proprio. Abbiamo moltiplicato le azioni per incentivare la ricerca e la formazione, cioè tutto quel che significa investimento sulle risorse umane. Anche tale esigenza è stata sempre fortemente sentita. Abbiamo delineato un progetto, approvato dal Consiglio europeo di dicembre, che ci permette oggi di dire che l'Europa intende realizzare più sviluppo, più crescita e maggiore competitività attraverso un forte coinvolgimento delle risorse umane. Risorse umane vuol dire la fantasia ed il genio dei ricercatori, che vanno aiutati, e vuol dire anche la formazione, cioè l'investimento nella professionalità. Anche questo credo sia un risultato positivo.
Abbiamo, poi, confermato l'importanza per l'Europa delle riforme strutturali con un particolare cenno alle riforme che danno più flessibilità al mercato del lavoro. L'Italia, che ha già riformato in tale direzione il proprio mercato del lavoro, ha visto risultati compiuti a livello nazionale divenire elementi di un dibattito e di una conclusione europea. Le conclusioni europee


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sulla crescita e sulla flessibilità del mercato del lavoro ricalcano, in buona parte, un'idea italiana.
La Presidenza ha ovviamente proposto che quell'idea fosse una delle idee guida, com'è stato, del documento conclusivo del vertice del mese di dicembre. Vi sono, poi, il settore e l'ambito d'azione relativi allo spazio comune di libertà, sicurezza e giustizia, relativamente al quale il risultato più importante, che voglio ricordare - anche se ne abbiamo parlato molte volte -, è l'approvazione della proposta della Presidenza italiana per una strategia europea per l'immigrazione. Al riguardo, abbiamo lavorato su tre pilastri (che ritengo importanti), il primo dei quali è stata la lotta senza quartiere alle organizzazioni dei trafficanti di esseri umani. Abbiamo lavorato per ottenere una forte collaborazione, attraverso scambi informativi e cooperazione tra le varie forze di polizia, affinché il contrasto forte ad ogni forma di sfruttamento dell'immigrazione clandestina divenisse il primo punto della strategia europea.
Il secondo pilastro di questa strategia è stato l'approvazione di quel piano di prevenzione e controllo di un sistema integrato di frontiere europee (con particolare riferimento alla regione mediterranea) che ha condotto alla nascita di un'agenzia per il controllo e la prevenzione delle frontiere marittime, riguardo ai flussi di immigrazione clandestina. A proposito di ciò, il dato politico più significativo, oltre a quanto certamente voi già sapete, la Presidenza italiana ha lavorato affinché il grande tema delle politiche migratorie fosse assunto dall'Europa come strumento di azione europea; dunque, non più come strategia individuale degli Stati nazionali, ma come strategia che riguarda tutti (dai paesi dell'estremo nord e dell'est dell'Europa ai paesi mediterranei). Ciò sulla base di un elementare ragionamento, secondo il quale il flusso migratorio non è una questione che riguarda i singoli paesi, che è diventato una conclusione del Consiglio europeo.
Il terzo (altrettanto importante) pilastro della strategia europea sulle migrazioni è stato l'equilibrio tra una politica di accoglienza ed integrazione per gli immigrati regolari ed una politica di cooperazione e di aiuto verso i paesi di origine e di transito dei flussi migratori. Anche in questo caso vi è una differenza rispetto al passato: abbiamo ritenuto che l'Europa dovesse lavorare unitariamente (e in questo senso si muove la nostra proposta, come Presidenza italiana), in un rapporto di partenariato stretto e continuo con quei paesi, in particolari con quelli della sponda sud ed est del Mediterraneo, dai quali in alcuni casi provengono, in altri casi transitano, i flussi dell'immigrazione clandestina. Abbiamo, quindi, coinvolto quei paesi in un programma strutturato di cooperazione, che non si fonda più, a differenza di quanto accadeva in passato, su un programma di aiuto a pioggia o di cooperazione non finalizzata: abbiamo infatti chiesto ed ottenuto il convinto sostegno di quei paesi extraeuropei a cooperare più fortemente con l'Europa, in termini di prevenzione e di contrasto, ottenendo in cambio di un più significativo flusso di aiuti finanziari, anche e soprattutto per creare condizioni di sviluppo locale che aiutino a prevenire la partenza dei flussi migratori clandestini.
Credo che questa sia la giusta linea da seguire, che abbiamo presentato con esito assolutamente positivo, direi unanime, al Consiglio europeo, raccordando le politiche di aiuto con un partenariato che coinvolge ormai non più solamente, come affermavo, i paesi rivieraschi del Mediterraneo, ma anche quei paesi, ad esempio centro-africani, da cui, più che da altri, si origina il flusso migratorio. Sono compresi anche paesi nei confronti dei quali una politica europea di cooperazione sarà tanto più intensa e diffusa quanto più i suddetti ci aiuteranno nella grande opera di prevenzione e di controllo; nello stesso tempo, si dovranno creare in loco le condizioni per evitare che un flusso di persone disperate si metta in moto. Credo che ciò sia un risultato politico di grande importanza per l'Europa ed, ovviamente, per l'Italia, alla quale deriverà un effetto positivo particolarmente rilevante.


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Sempre con riferimento a quest'area tematica, la lotta al terrorismo è stata certamente una grande priorità della Presidenza italiana e di ciò si trova chiaro segno nelle decisioni del Consiglio europeo. Vorrei, in particolare, ricordare due dichiarazioni politiche e programmatiche che, proprio in riferimento a tale aspetto, sono state introdotte nelle conclusioni di dicembre.

PRESIDENZA DEL VICEPRESIDENTE MARIO CLEMENTE MASTELLA (ore 15,52)

FRANCO FRATTINI, Ministro degli affari esteri. Mi riferisco alla dichiarazione sul dialogo interreligioso, che, come voi sapete, porta l'Europa ad aprire un confronto dialettico che evita la percezione di una chiusura culturale nei confronti di aree geografiche del mondo che sono diventate strategiche per la sicurezza e la prevenzione, ed alla dichiarazione contro ogni forma di intolleranza, con particolare riferimento alla condanna dell'antisemitismo. È un tema, questo, così come il dialogo interreligioso, che mai era entrato nelle conclusioni di un Consiglio europeo. Per la prima volta, lo possiamo dire con soddisfazione, il Consiglio europeo ha esplicitamente indicato, in una sua dichiarazione al massimo livello politico, l'antisemitismo come uno dei veri pericoli oggi esistente, indice di intolleranza grave all'interno dell'Europa.
Il Consiglio europeo ha lavorato, altresì, sul completamento del processo di allargamento dell'Unione (dal 1o maggio i dieci nuovi membri vi aderiranno a tutti gli effetti). Sono stati compiuti passi in avanti per quanto riguarda la Romania e la Bulgaria (al riguardo, sono state indicate date certe per quanto riguarda le ulteriori tappe del processo di adesione) e la Turchia.
Per quanto concerne quest'ultimo paese, l'Italia, in particolare il Governo ed il suo Presidente, hanno sempre considerato la valenza strategica del processo di adesione all'Unione europea della Turchia; pertanto, abbiamo incoraggiato il processo di riforma della stessa. Dagli eventi degli ultimi giorni giunge la conferma della bontà della nostra tesi, nonché un segnale molto positivo da parte della Turchia sotto il profilo del suo impegno a favore dell'Europa.
Mi riferisco alla pressione e all'incoraggiamento che la Turchia ha fornito per la questione dell'unificazione di Cipro, che - come sapete - si trascina da decenni e che dovrà avere una conclusione finale per l'unificazione dell'isola, attraverso la soluzione equa proposta dalle Nazioni Unite e da Kofi Annan.
Ebbene, i passi compiuti dalla Turchia per incoraggiare la parte turco-cipriota a compiere passi avanti dimostrano che questo paese ha compreso quanto sia importante fornire a noi europei un segnale positivo di voler lavorare per un obiettivo che all'Europa interessa moltissimo, come appunto l'unificazione di Cipro.
In quei sei mesi abbiamo lavorato a lungo anche per le relazioni esterne dell'Unione europea. Mi riferisco, in particolare, a due grandi aree tematiche regionali che - come comprendete - sono per l'Europa e, certamente, per l'Italia, aree strategiche prioritarie: i Balcani occidentali da un lato, il Mediterraneo dall'altro.
Per quanto concerne i Balcani occidentali, registriamo serie preoccupazioni sull'evoluzione della situazione politica interna, con particolare riguardo all'incertezza dell'esito futuro per il Kosovo - per quanto riguarda la soluzione finale che immaginiamo si debba e si possa fornire -, nonché in ordine all'estrema fragilità della situazione in Serbia, in particolare dopo le ultime elezioni. Tuttavia, riteniamo che sui Balcani l'Europa debba continuare a lavorare, al fine di evitare quel senso di abbandono che rischierebbe di lasciare questi paesi più esposti al rischio di un moltiplicarsi delle azioni della criminalità organizzata e di un radicamento delle cellule del terrorismo fondamentalista islamico. Sono tutti fattori di grande preoccupazione per l'Europa e in


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particolare per l'Italia, che ha una vicinanza geografica che non richiede ulteriori commenti.
Quanto al Mediterraneo, ritengo che la nostra azione abbia condotto, da un lato, a risultati concreti e, dall'altro, ad aprire prospettive di sviluppo futuro. Abbiamo conseguito risultati concreti in termini di dialogo tra le culture - come dimostra la nascita della Fondazione euromediterranea per il dialogo tra le culture, e le civiltà; abbiamo fatto passi avanti per lo sviluppo economico, attraverso un'istituzione finanziaria per il Mediterraneo che si va rafforzando - e alla riunione di Napoli abbiamo deciso come rafforzarla - e che, in prospettiva, potrà diventare una banca per il Mediterraneo; abbiamo accompagnato ed incoraggiato, sino a condurla in porto, un'operazione importante che ha fatto nascere l'Assemblea parlamentare euromediterranea, che sarà luogo di incontro dei rappresentanti dei popoli dei paesi dell'Europa e di quelli del sud e dell'est del Mediterraneo.
Un'operazione, quindi, che si lega alla nostra idea che la regione mediterranea debba divenire per l'Europa un'assoluta priorità in termini di strategie per lo sviluppo (primo elemento), per il dialogo tra culture, religioni e popoli (secondo elemento), per la stabilizzazione e per la sicurezza (terzo elemento).
Quindi una regione mediterranea come fattore di pace, stabilità e sicurezza è per noi europei una priorità da coltivare.
Come voi certamente saprete, l'Italia si prepara a presentare proposte al Consiglio europeo di marzo e al vertice NATO di giugno, ad Istanbul; saranno proposte italiane che partiranno dai risultati di Napoli - quindi, del vertice euro-mediterraneo sotto la Presidenza italiana - e porranno al centro un grande partenariato tra Europa e paesi mediterranei non europei, per lavorare insieme su questi tre grandi pilastri: la crescita economica, la sicurezza e la lotta al terrorismo, e il dialogo tra le culture e civiltà. Si tratta di idee italiane sulle quali mi sto già confrontando con i colleghi europei e ne ho parlato ieri alla riunione dei ministri degli affari esteri europei, a Bruxelles, registrando, in alcuni casi, in modo esplicito, apprezzamento ed adesione, comunque, in ogni caso, interesse. Questo vuol dire che nei prossimi tre mesi l'azione euro-mediterranea di politica estera vedrà l'Italia come attore pronto a formulare idee concrete che, come ho detto, espliciteremo in modo documentato in questi due importanti appuntamenti: il Consiglio europeo di marzo, ed il vertice NATO di Istanbul a giugno.
Dal Mediterraneo all'Africa, credo che anche qui la Presidenza italiana abbia ottenuto dei risultati di rilievo. A questo proposito ricordo il lavoro svolto al fine di trovare una soluzione al conflitto in Liberia e per il raggiungimento di un accordo di pace soddisfacente in Sudan. Molti di voi sanno che noi abbiamo un nostro rappresentante italiano nell'équipe dei negoziatori e che abbiamo svolto un ruolo importante in Sudan per accompagnare le parti verso la sigla di un accordo di pace. Questo è un risultato che ci porta a sostenere che l'Italia resterà impegnata nel Corno d'Africa come attore, da tutti riconosciuto indispensabile sul territorio, dalla Somalia al Sudan, dal Mozambico alla Costa d'avorio.
Abbiamo inoltre ottenuto dal Consiglio europeo la creazione di una facility for peace, cioè di uno strumento che eroga risorse finanziarie in aiuto alla stabilizzazione e, quindi, al consolidamento dei processi di pace. Un risultato questo che non ha alle spalle precedenti così importanti in termini di ammontare di risorse finanziarie che la Commissione europea ha già messo a disposizione - una prima tranche ammonta a 500 milioni di euro - e soprattutto per il significato simbolico: noi, come Europa, aiutiamo quei paesi che cercano di stabilizzare, di pacificare e di modernizzare i loro territori e le loro realtà. Questo è una tipologia di partenariato che definirei nobile e che l'Europa vuole affermare con l'iniziativa che l'Italia ha promosso.
Mi soffermo rapidamente su due scenari regionali su cui, se il Parlamento lo


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riterrà opportuno, potremo confrontarci in altro momento in un modo più dettagliato.
Mi riferisco in primo luogo al Medio Oriente, al processo di pace, all'organizzazione - da noi curata - dell'incontro del «quartetto» svoltosi a New York in settembre, alla Conferenza internazionale dei donatori per la Palestina, organizzata a Roma in dicembre, alle molte iniziative - da ultimo, la visita in Italia del primo ministro palestinese Abu Ala - che hanno consentito agli israeliani e ai palestinesi di affermare che l'Italia ha esercitato in questo semestre una leadership europea equilibrata e opportunamente presente.
Il secondo scenario al quale facevo cenno è quello relativo all'Iraq, su cui la Camera si soffermerà in modo più approfondito. Intendo soltanto segnalare che ormai emerge una convinta volontà di partecipazione europea, dall'Institution building alla formazione del personale, dagli ingenti aiuti per alleviare le sofferenze del popolo iracheno alla gestione dell'attuazione delle decisioni della Conferenza dei donatori svoltasi a Madrid (Commenti del deputato Maura Cossutta).
Prima di affrontare la questione del negoziato costituzionale, ritengo di dover informare l'Assemblea su alcuni ulteriori temi.
Quanto al partenariato strategico con la Russia, proprio ieri a Bruxelles i ministri degli esteri dell'Unione europea hanno approvato, conformemente alle linee emerse nel vertice presieduto dall'Italia, un documento importante che riafferma la natura strategica di tale partenariato.
Sulla questione euroatlantica, ricordo il lavoro condotto con gli Stati Uniti per confermare che i valori comuni che hanno retto per cinquant'anni la politica europea e, in particolare, quella italiana, continueranno ad essere considerati dai capi di Stato e di Governo europei un pilastro essenziale dell'azione di politica estera dell'Unione. Tale lavoro ha condotto all'approvazione di una dichiarazione euroatlantica di particolare rilevanza e valore politico.
Infine, il Consiglio europeo ha adottato la prima strategia integrata di difesa e sicurezza dell'Europa. Essa è stata preparata in pochi mesi, in quanto abbiamo ricevuto il mandato, quale Presidenza entrante, nel giugno 2003. Abbiamo successivamente lavorato con l'Alto rappresentante per la politica estera e di sicurezza comune, Solana, e in dicembre è stato approvato il documento strategico, che pone la lotta al terrorismo e la lotta alla proliferazione nucleare quali priorità dell'azione europea in materia di sicurezza e difesa strategica.
Passando al negoziato costituzionale, l'Italia ha presieduto la Conferenza intergovernativa per poco più di due mesi. Abbiamo aperto la Conferenza il 4 ottobre a Roma; abbiamo promosso numerosi vertici a livello di ministri degli esteri e due vertici a livello di capi di Stato e di Governo; abbiamo infine registrato, nel Consiglio europeo di dicembre, che sui punti residuali di dissenso non sussistevano le condizioni per raggiungere quello che, di fronte a questo Parlamento, avevamo promesso di voler conseguire, ovvero un accordo per dare all'Europa una Costituzione di alto profilo, senza compromessi al ribasso né accordi di facciata, capace di garantire governabilità a un'Europa allargata.
Ricordo tre punti sui quali, invece, si era trovato un accordo che, a mio avviso, continuerà ad esistere: il principio di una Presidenza del Consiglio europeo stabile e duratura, capace quindi di dare impulso strategico all'Europa; l'istituzione di un ministro degli esteri dell'Europa, che alcuni paesi volevano declassare a segretario per gli affari europei, ma che la Presidenza ha ribadito dover essere un vero ministro degli esteri, di coordinamento e di impulso della politica estera comune; una difesa europea sulla quale, dopo gli anni delle divisione e delle spaccature, la Presidenza italiana ha ottenuto l'accordo a 25. Un accordo, quest'ultimo, che prevede linee strategiche comuni e la possibilità di una cooperazione rafforzata tra alcuni paesi - pronti sin da ora a partecipare alla difesa europea -; cooperazione che


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lasci le porte aperte, e secondo regole comuni, a tutti coloro che vi parteciperanno successivamente, quando lo vorranno o quando lo potranno.
Su tali tre punti, il risultato, a mio avviso, è stato importante, frutto di un accordo maturato a 25, senza divisioni, senza tentazioni di tipo direttoriale. Al contrario, è chiaro che sui punti residui l'accordo non si è raggiunto. Non sulla formazione di una «nuova» Commissione europea, materia per la quale la Presidenza italiana, in realtà, aveva avanzato una proposta che, a mio avviso, potrà essere accettata in futuro: una Commissione che garantisca, fino al 2014, vale a dire per due legislature, un commissario per ogni paese, al fine di dare a tutti, ai vecchi e nuovi membri, come a quelli piccoli e grandi, un commissario nella fase strategica di transizione; ma, dal 2014 in poi, una istituzione ristretta, snella, capace di operare secondo lo spirito comunitario che proprio la Commissione incarna al massimo livello.
Vi era un possibile accordo anche sul numero dei parlamentari; è mancata, invece, la possibilità di trovare un accordo sul cuore della cessione di sovranità nazionale, che non si limita, onorevoli colleghi, come sapete, al dilemma sul sistema di voto, vale a dire se debba adottarsi quello stabilito a Nizza o se, invece, debba seguirsi il metodo della doppia maggioranza. Il cuore della cessione di sovranità nazionale risiede anche nel decidere su quali materie vigerà anche in futuro la previsione del voto all'unanimità e su quali altre, invece, si passerà al voto a maggioranza.
Su ciò, si sono registrate posizioni distanti e la Presidenza italiana ha ritenuto che non vi fossero le condizioni per un accordo di alto profilo. Forse, si poteva tentare un compromesso al ribasso, stabilendo clausole aperte: decidere di non decidere, come, pure, alcuni avevano proposto. Ma la Presidenza italiana, per così dire, non se l'è sentita; personalmente, mi ero impegnato con questo Parlamento a non accettare - e, quindi, meno che mai, a proporre - soluzioni di tal genere, come una clausola di rendez vous che non avesse data certa ed obiettivi determinati.
Ma non si è raggiunto un accordo neanche su quali materie dovessero passare dall'unanimità alla maggioranza; noi avevamo presentato, a Napoli, come Presidenza, una proposta coraggiosa, apprezzata da tutta l'Europa: evolvere verso la maggioranza in un numero di materie sempre crescenti, prevedendo il voto a maggioranza anche per la revisione della terza parte del Trattato. Previsione, quest'ultima, che la «stragrande» maggioranza delle delegazioni, anche quelle apparentemente più europeiste, hanno rifiutato perché troppo avanzata.
Questa proposta la Presidenza l'ha messa sul tappeto, non ci sono state le condizioni e oggi occorre lavorare, senza guardare al passato e senza cercare i colpevoli, affinché il risultato costituzionale sia raggiunto.
Per concludere, cosa faremo noi? In primo luogo, lavoreremo perché l'Europa cresca attraverso una Costituzione di alto profilo, come abbiamo detto, nella convinzione che ci vuole «più Europa» non «meno Europa». Infatti, soltanto con la formula «più Europa» è possibile evitare tentazioni di tipo direttoriale e fare in modo che i gruppi lavorino sulla base di un accordo a venticinque, quindi di regole comuni. Del resto, sono normali le cooperazioni rafforzate quando le regole sono scritte da tutti, mentre sono pericolose tali cooperazioni quando le regole non sono scritte da tutti o non ci sono proprio. Pertanto, «più Europa»: l'Italia riproporrà tale concetto nel negoziato, quando esso si riaprirà. Infatti, è evidente che non si può correre il rischio di trovarsi di nuovo a constatare che non ci sono le condizioni per andare avanti. Su questo punto l'Irlanda, con grande prudenza, a marzo riferirà al Consiglio europeo sulla situazione esistente, che sta verificando, ancor prima di convocare una nuova sessione della conferenza intergovernativa.
Quindi, l'Italia chiede «più Europa» e riproporremo gli emendamenti alla Carta costituzionale, ivi compresa, onorevoli colleghi,


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la possibilità di un voto a maggioranza sui dossier di politica estera quando quella proposta fosse formulata dal ministro degli esteri per l'Europa. Del resto, è evidente che, se noi vogliamo un ministro degli esteri dell'Europa, sulle sue proposte non possiamo poi esporlo al diritto di veto, anche solo di uno dei paesi, che saranno venticinque.
Non so se questa idea italiana sarà accolta dagli altri, visto che ci sono paesi che già hanno anticipato le loro perplessità. In ogni caso, sono convinto che a questa Europa - che cresce come Europa degli Stati e dei popoli, vale a dire di un'Europa che non sarà un superdirettorio, né si dimenticherà dell'identità dei popoli e dei paesi che ne fanno parte - o diamo una credibilità e una coesione sulla scena internazionale, oppure rischieremo gravemente di degradarla ad un'area di libero mercato e questo l'Italia, come paese fondatore, non può né consentirlo e neppure immaginarlo.
Ci stiamo incontrando con tutti coloro che, da un lato e dall'altro, hanno forti remore sul processo dell'integrazione europea, e tutti coloro che, viceversa vorrebbero che questo processo camminasse più velocemente. Nelle ultime settimane ho incontrato praticamente tutti i partner europei, con particolare riferimento a coloro, dalla Spagna alla Polonia, dalla Germania alla Francia, che hanno rappresentato i due momenti di maggiore distanza nella fase finale del negoziato, dicendo agli uni e agli altri quale è la voce dell'Italia: una voce che sarà comunque sempre indispensabile per ragionare di regole costituzionali europee condivise. Si tratta di una voce indispensabile, come anche ieri è stato detto con chiarezza, non solo a me, ma anche pubblicamente, dal ministro Fischer, il quale è venuto a Roma per un incontro importante nel corso del quale ha avuto modo di confermare quello che tutti, credo, debbono aver chiaro: che non c'è possibilità di costruire l'Europa senza che l'Italia sia presente come attore protagonista.
È stato doveroso, ma anche responsabile e serio da parte del ministro Fischer riconoscerlo qui a Roma, pubblicamente, ma il collega ministro inglese e tutti gli altri...
Insomma, c'è una percezione diffusa che o si lavora insieme, a venticinque, per dare ai grandi e ai piccoli, ai nuovi e ai vecchi membri dell'Unione la sensazione che stiamo camminando insieme, altrimenti, nel momento più delicato del negoziato costituzionale, se qualcuno pensasse di definire una proposta e di sottoporla all'accettazione di tutti gli altri - ma le smentite pubbliche, di cui prendiamo atto, non vanno in questa direzione -, questo inevitabilmente porterebbe ad un irrigidimento e ad un sicuro fallimento del negoziato costituzionale.
Le dichiarazioni pubbliche le abbiamo ascoltate tutti. Credo non vi sia oggi leader europeo che pensi di affrontare questa fase di transizione attraverso la logica dell'esclusione e della chiusura. Se qualcuno lo pensasse, sbaglierebbe. L'interesse di tutti è lavorare insieme. Se l'integrazione europea non la costruiamo ora, rischiamo fortemente di perdere l'impeto che il negoziato della Convenzione e poi della Conferenza ci avevano lasciati. Ecco perché l'Italia lavorerà con convinzione, affinché questo concetto di «più Europa» si possa tradurre in un testo di alto profilo della nuova Costituzione. Vi ringrazio (Applausi dei deputati dei gruppi di Forza Italia, di Alleanza nazionale, dell'Unione dei democratici cristiani e dei democratici di centro, della Lega Nord Federazione Padana e Misto-Liberal-democratici, Repubblicani, Nuovo PSI).

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