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PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca la discussione delle mozioni Violante ed altri n. 1-00294, Deiana ed altri n. 1-00302, Anedda ed altri n. 1-00321 e Antonio Leone n. 1-00322 sulla destinazione della base militare statunitense nell'arcipelago de La Maddalena (vedi l'allegato A - Mozioni sezione 1).
Avverto che lo schema recante la
ripartizione dei tempi
riservati alla discussione delle mozioni è pubblicato in calce al vigente calendario dei lavori (vedi calendario).
PRESIDENTE. Dichiaro aperta la discussione sulle linee generali delle mozioni.
È iscritto a parlare l'onorevole Folena, che illustrerà anche la mozione Violante ed altri n. 1-00294, di cui è cofirmatario. Ne ha facoltà.
PIETRO FOLENA. Signor Presidente, la nostra mozione parte da un tema che apparentemente è di interesse locale - parliamo dell'insediamento militare statunitense nell'arcipelago de La Maddalena -, ma in realtà poi pone un problema che locale evidentemente non è. Lo spunto iniziale è venuto da una notizia pubblicata su un quotidiano del Connecticut che si chiama The New London Day (la contea nella quale vi è il porto di residenza del sommergibile nucleare Hartford). Il 12 novembre questo quotidiano ha dato notizia di un incidente avvenuto al sommergibile nucleare Hartford nelle acque dell'arcipelago de La Maddalena, dopo il quale sono stati rimossi e successivamente licenziati il comandante del sommergibile e anche il commodoro, la massima autorità militare statunitense nell'arcipelago de La Maddalena.
Dopo questa notizia - di cui la stampa italiana ed il Parlamento italiano sono potuti venire a conoscenza grazie ad un quotidiano degli Stati Uniti (non perché sono stati informati dalle autorità americane o dalle autorità di Governo italiane) -, ci sono stati altri episodi - botti notturni, black out sulla nave appoggio per i sommergibili nucleari - che hanno suscitato vivissimo allarme nell'arcipelago de La Maddalena.
A queste notizie segue quella, fornita da fonti statunitensi, in base alla quale il Governo italiano, in modo particolare il ministro della difesa Martino, aveva manifestato il suo consenso alla richiesta, pendente da molto tempo, di ampliamento delle infrastrutture a terra destinate alla presenza americana nell'isola de La Maddalena (parliamo di un intervento edificatorio per 33.430 metri cubi, rispetto all'insediamento esistente di 11.350 metri cubi).
Questa notizia segue l'ampio rilievo che, all'epoca, ebbe l'informazione circa il diniego, da parte dell'amministrazione americana del Pentagono, alla possibile candidatura, poi tramontata (sappiamo come si è conclusa la vicenda), dell'arcipelago de La Maddalena come sede delle gare di Coppa America.
Nello stesso tempo, nell'arsenale militare italiano (è noto che nell'isola de La Maddalena vi è un'antica presenza della Marina militare con un'antica tradizione) oggi sono in discussione centinaia di posti di lavoro. Nell'ambito dei progetti di ristrutturazione e di riconversione dell'arsenale, l'ipotesi è di scendere a 65 unità lavorative rispetto alle circa 300 attualmente occupate, nonché di dare larga parte di questa straordinaria struttura (che ha un notevolissimo rilievo logistico ed anche storico) agli Stati Uniti, per
permettere di estendere le infrastrutture a terra destinate all'attuale presenza militare.
Tutto ciò avviene in un territorio ad altissima vocazione ambientale e turistica, una vocazione talmente elevata che, qualche anno fa, portò il nostro paese ad istituire il Parco nazionale dell'arcipelago de La Maddalena. È un territorio in cui vi sono 12 mila residenti, cui si aggiungono, durante l'estate, più di 30 mila presenze turistiche. A questi turisti bisogna aggiungere le 5 mila unità, del personale civile e militare, che in quel territorio sono impegnate nelle diverse infrastrutture, italiane e non italiane.
Con riferimento alla vocazione ambientale e turistica, vorrei ricordare che l'arcipelago de La Maddalena ha anche un grandissimo rilievo storico e simbolico per il nostro paese, in ragione del significato che l'isola di Caprera, nello stesso arcipelago, ha assunto per il nostro paese.
Recentemente, sono stati sollevati gravissimi interrogativi sulla salute (di ciò si parla in misura minore nella mozione, dato che il testo è stato presentato nel novembre scorso), a proposito di tracce di radioattività rinvenute nelle acque de La Maddalena. Finora, vi sono state risposte non convincenti e, soprattutto, non definitive (come hanno avuto modo di sostenere anche alcuni esperti e medici), che lasciano grandi interrogativi nella popolazione locale.
Le stesse autorità francesi, in modo particolare le autorità locali della Corsica, hanno a lungo effettuato indagini sulle loro acque territoriali. Da esse è emersa la necessità di un'indagine congiunta con le autorità italiane, che permetta di dare risposte che riguardino non solo le acque ed il territorio del nostro paese, ma anche quelli della Corsica. Inoltre, non esiste alcun piano di emergenza per la protezione e la salvaguardia della popolazione civile in caso d'incidente.
Tutto ciò ha suscitato enorme preoccupazione nella popolazione civile ed in tutte le parti politiche. Solo il sindaco dell'isola de La Maddalena ha difeso in modo abbastanza ostinato la posizione assunta dal ministro Martino, ma tutte le forze politiche della Sardegna hanno espresso una posizione diversa.
Vi sono state almeno due votazioni del consiglio regionale della Sardegna, con la partecipazione di tutte le forze politiche del centrodestra e del centrosinistra, attraverso le quali si è arrivati non soltanto a polemizzare ampiamente con il ministro della difesa e con questo metodo, ma anche ad ipotizzare la revoca della concessione dell'attracco per la nave appoggio relativa ai sommergibili nucleari.
Al fondo di tutto questo vi è una situazione estremamente seria, che non nasce oggi, di scarsa legittimazione di questa particolare presenza. Non sta parlando un antiamericano e non stiamo parlando genericamente (certamente non delle basi Nato, ma neanche di altre basi statunitensi presenti nel nostro paese); stiamo parlando invece di una particolare situazione che fu esaminata dal Parlamento nel 1972. Il dibattito dell'epoca vide la partecipazione dell'allora ministro Medici e, con tutto il rispetto per i rappresentanti del Governo qui presenti, fu un dibattito molto impegnativo nel quale colleghi della sinistra come Ugo Pecchioli e Ignazio Pirastu posero con grande forza anche il tema dell'assenza di qualsiasi trasparenza e legittimazione, non in relazione alla concessione di una base - il ministro Medici escluse apertamente che si trattasse di una base -, ma rispetto ad una mera autorizzazione all'attracco di una nave appoggio attorno alla quale, evidentemente, fanno riferimento una parte importante dei sommergibili nucleari della sesta flotta del Mediterraneo.
Si trattava di un'altra epoca storica, segnata dalla guerra fredda, con altre ragioni, da una parte e dall'altra. Non vorrei peraltro tornare su quel dibattito comunque elevato e significativo.
Tuttavia, vi era un vulnus che, in una certa misura, il Governo di allora ammise. In questa situazione di carenza di trasparenza, da quella che era l'autorizzazione all'attracco di una nave appoggio non codificata da un accordo bilaterale fra Stati Uniti e Italia, che peraltro non è mai
stato comunicato, si è creata una situazione di fatto, nei 32 anni successivi, ovvero dal 1972 ad oggi, che ha visto crescere in modo enorme una presenza non legittimata ed una concentrazione di infrastrutture militari, logistiche e di terra, trasformando l'arcipelago de La Maddalena, con la sua vocazione turistica ed ambientale, nella concentrazione nucleare più grande dell'intero mare Mediterraneo.
C'è della follia in tutto questo, se si pensa che siamo di fronte ad una delle zone turistiche e di più alto pregio del Mediterraneo e sicuramente della Sardegna. Tuttavia questa presenza di infrastrutture militari si è incrementata in modo notevole e non è una presenza definita giuridicamente.
Non voglio entrare nel merito di alcuni particolari, apparentemente abusi minori, che tuttavia la dicono lunga sulla situazione che si è determinata.
In ogni caso, questa presenza è stata in parte, non dico equilibrata ma contemperata dalla forte presenza militare italiana, l'arsenale militare, oltre che da una serie di attività formative di eccellenza della Marina militare che insistono proprio sull'isola de La Maddalena. Un'antica vocazione che in altra epoca aveva fatto sì che gli occhi di grandi potenze, la Francia e la Inghilterra, si rivolgessero proprio a questo arcipelago per la sua centralità strategica e geopolitica.
Tuttavia, grazie proprio al sostegno inglese, in altre epoche venne difesa la sovranità italiana dell'arcipelago de La Maddalena, cosa che nel corso di questi decenni è venuta sostanzialmente meno.
Vorrei ricordare le informazioni, delle quali parlammo insieme ai colleghi dell'opposizione in più riprese nei giorni dell'aggressione militare anglo-americana in Iraq lo scorso anno, a proposito del fatto che una parte dei missili che sono stati lanciati contro Bagdad e l'Iraq siano stati lanciati proprio da sottomarini che erano partiti da La Maddalena, riforniti ed equipaggiati nell'isola de La Maddalena.
Anche in questo caso si pone un grande interrogativo e non voglio distogliere l'attenzione da un dibattito che, mi auguro, possa svolgersi presto. Infatti, domani, in Commissione affari esteri, comincia la discussione della proposta di legge, sottoscritta da tutti i capigruppo dell'opposizione, riguardante l'istituzione della Commissione d'inchiesta parlamentare sulla guerra in Iraq, sulle notizie in merito alle armi di distruzione di massa e sulle violazioni delle norme avvenute in quel periodo (mi riferisco, in particolare, all'articolo 11 della Costituzione). Inoltre, tale Commissione dovrà occuparsi del ruolo della base occulta e non regolata da accordi trasparenti de La Maddalena che, anche in quella vicenda, fu molto significativo.
Come ho già detto, la popolazione locale ed il consiglio regionale hanno chiaramente detto «no», con documenti di cui il Parlamento deve tenere conto. Leggo con sorpresa che nella mozione Antonio Leone n. 1-00322 si ignorano completamente le posizioni espresse con chiarezza in consiglio regionale dai gruppi di Forza Italia, di Alleanza nazionale e da tutto il centrodestra della regione Sardegna.
In tale contesto abbiamo bisogno di avere certezze, risposte ed impegni molto forti. Questo è il senso della nostra mozione. In primo luogo, vogliamo la verità sull'incidente al sottomarino Hartford e sugli altri episodi che hanno preceduto e seguito tale incidente. Vogliamo trasparenza: non è possibile che il Parlamento italiano e la popolazione de La Maddalena vengano a conoscenza di gravi rischi nucleari perché un quotidiano del Connecticut informa che è stato licenziato il commodoro del sommergibile. Questa non è democrazia!
In secondo luogo, vogliamo un'indagine vera sul pericolo per la salute. Non traggo conclusioni sulla radioattività, non lo sappiamo con certezza. Vogliamo sapere la verità anche su tale punto, e non mi riferisco ad una verità filtrata da ambienti militari, con tutto il rispetto per tali ambienti. Vogliamo una verità portata alla luce attraverso un'indagine internazionale italo-francese (la situazione, infatti, riguarda anche la Corsica e le isole vicine). È necessaria un'indagine vera sui rischi
che comporta la continua presenza di sommergibili armati con armamenti nucleari.
In terzo luogo, diciamo un «no» netto all'allargamento della presenza militare nell'arcipelago. Vogliamo che il Parlamento si pronunci contro l'espansione di cubatura che il ministro della difesa ha surrettiziamente autorizzato.
In quarto luogo, siamo contrari alla concessione, al regalo, al cadeau che il ministro Martino generosamente, in questa fase di subalternità prona nei confronti dell'amministrazione Bush, vuole fare dell'arsenale militare. Si tratta di un patrimonio monumentale ed artistico che il Governo italiano non può regalare agli Stati Uniti, con tutto il rispetto e l'amicizia per tale paese. Vi sono posti di lavoro che vanno tutelati con soluzioni alternative. Credo che un concorso di idee permetterebbe di definire la migliore utilizzazione di tale patrimonio e di fare, accanto alla tradizionale presenza militare italiana, che ha strutture formative di eccellenza da salvaguardare, di quello de La Maddalena un arcipelago logistico di pace e non di guerra. Ciò sarebbe molto più compatibile con la vocazione ambientale e turistica di quel territorio.
Voglio anche informare il Parlamento che proprio in questi giorni, insieme al collega Carboni e ad altri colleghi che hanno seguito attentamente la questione, abbiamo depositato la proposta di un'inchiesta parlamentare che, partendo dal tema della salute e dalle altre questioni oggetto della nostra mozione, giunga anche al fondo dello status e permetta di sanare un vero e proprio abusivismo, anche edilizio, che ha visto crescere enormemente la presenza di una base nucleare in barba alla Costituzione ed alle leggi della Repubblica italiana (Applausi dei deputati del gruppo dei Democratici di sinistra-L'Ulivo).
PRESIDENTE. È iscritta a parlare l'onorevole Deiana, che illustrerà anche la sua mozione n. 1-00302. Ne ha facoltà.
ELETTRA DEIANA. La nostra mozione, relativa a problematiche analoghe (anche se non coincidenti) a quelle illustrate dall'onorevole Folena, pone come prioritario l'impegno del Governo a sospendere la determinazione del Ministro della difesa del 30 settembre 2003, di autorizzazione al cosiddetto ampliamento della base di Santo Stefano (sulla quale mi soffermerò più avanti), al fine di riconvocare le prescritte autorità per riportare a correttezza le procedure di legge che impegnano il comitato a deliberare sulle installazioni che interessano la difesa nazionale.
Questo è il nodo principale della nostra mozione. Oltre a ciò, chiediamo che il Governo si impegni ad adottare tutte le iniziative dirette a tutelare gli interessi ed il diritto alla salute della popolazione locale, oltreché a predisporre e a rendere pubblico un completo piano di emergenza ed il conseguente piano di evacuazione, in caso di disastro: tutti aspetti, questi, dei quali non si sa assolutamente nulla e sui quali, dunque, la popolazione locale è tenuta all'oscuro.
Vorrei illustrare alcuni ordini di problemi, relativamente alla nostra mozione. Il primo è quello immediato, cioè l'altissimo rischio che la presenza di sommergibili nucleari comporta per le popolazioni locali, sia per la salute pubblica, sia per la tenuta ecologica, sia per la sicurezza complessiva. Si è parlato, a più riprese, di strani incidenti, di strani boati (a parte l'episodio molto grave dell'ottobre scorso, che ha portato all'allontanamento delle massime autorità preposte al comando della marina militare statunitense nell'arcipelago de La Maddalena).
Il secondo ordine di problemi riguarda la crescente opposizione dell'isola alla presenza di questa pesantissima servitù militare in Sardegna. Al riguardo, vi è un grande movimento di opinione pubblica e democratica sempre più determinato. Inoltre, il consiglio regionale ha votato un ordine del giorno che chiede la chiusura della struttura statunitense. In esso si prevede che, entro un periodo di tempo ragionevole e prestabilito, si predisponga un programma di monitoraggio affidato ad autorevoli istituti di ricerca indipendenti e l'obbligo
per i sommergibili in transito nelle bocche di Bonifacio di uniformarsi alle norme di circolazione navale nonché l'invito alle autorità militari statunitensi a rendere pubblici i dati sulla radioattività in loro possesso.
Vi è poi un terzo ordine di problemi, che a mio avviso sono di estrema importanza. Mi riferisco al contesto strategico militare, relativo alla nostra difesa, e al contesto istituzionale e costituzionale, entro il quale il dispositivo del ministro Martino si colloca. Era chiaro, sino ad una fase storica ormai superata, a che cosa servissero i trattati e gli accordi bilaterali discendenti dal Trattato della Nato del 1949. Era chiaro in quale contesto vincolante (perlomeno formalmente) fosse situato l'uso dei dispositivi e delle decisioni contenute in questi trattati.
Ciò, nel senso che il contesto formalmente vincolante era determinato dall'intreccio tra l'articolo 11 della Costituzione italiana ed altri relativi ai problemi della difesa, nonché al rapporto tra la guerra e la pace e l'adesione all'ordine mondiale subentrato alla seconda guerra mondiale che faceva perno sull'ONU e sulla carta delle Nazioni unite. Oggi, questo contesto è stato radicalmente modificato (e non è affatto chiaro); è venuto meno, infatti, il contesto di legittimazione storica e politica alla base di quei trattati. Mi riferisco a quello della Nato, oggi completamente diverso rispetto a quello del 1949 (espleta, in particolare, una funzione completamente diversa), e ad alcuni accordi che ne furono conseguenza.
Sto ponendo un problema di ordine istituzionale e costituzionale, non di merito politico. Oggi, non si può intervenire automaticamente su quei trattati come se nulla fosse accaduto nel frattempo (vi è, quindi, una discussione di fondo che va affrontata).
Vi è, infine, un problema di trasparenza e di legittimità delle decisioni del ministro della difesa. La decisione di autorizzare il cosiddetto ampliamento della base è avvenuto, in realtà, attraverso una manipolazione surrettizia del contenuto dell'accordo del 1972. L'accordo del 1972 tra il Governo italiano e quello statunitense è segreto: se ne conoscono solo l'oggetto, o per meglio dire il titolo, nonché gli effetti, purtroppo tutti perniciosi, o, al limite, il disastro. La segretezza finora è stata mantenuta e il Parlamento è stato espropriato dei suoi poteri; in questo modo si è potuto affermare costantemente, con riferimento al contenuto dell'accordo, tutto ed il contrario di tutto.
Vorrei cominciare dalla parola chiave: «base». Nel 1972, i ministri Andreotti, Medici e Tanassi, responsabili dell'accordo, evitarono di fare riferimento, per denominare il contenuto dell'accordo, alla parola «base» e non a caso. Parlarono (è, infatti, il titolo dell'accordo) di punto di approdo per navi appoggio officina. Questo aspetto non è un particolare irrilevante, perché comportava che non rientrasse in quella ennesima servitù militare imposta all'isola il diritto della US Navy di piantare le tende sul tratto di costa prospiciente il punto di approdo né di espandersi a macchia d'olio sulla costa.
Nell'accordo, lo ripeto, sottosegretario Cicu, si parlava di punto di approdo, di punto di attracco, di diritto di avvicinamento e di stazionamento in quel luogo (è un problema di contenuto, non di giudizio politico sull'accordo stesso); nonostante ciò, vi è stata espansione sulla costa. La costa è stata invasa da un affastellato agglomerato di strutture mobili prefabbricate, di baracche, di containers, installati abusivamente.
È stato perpetrato un abuso perché la US Navy non poteva sbarcare; non è inoltre intervenuto il parere del comitato misto paritetico per le servitù militari. D'altra parte, non avrebbe potuto esprimerlo, perché non avrebbe potuto basarsi su alcun riferimento nell'accordo, considerato che lo stesso non prevedeva la possibilità di espansione sulla costa.
Attraverso la parola «base» si realizza, dunque, un imbroglio linguistico-lessicale estremamente significativo.
Il progetto presentato al comitato misto paritetico per le servitù militari dalla Marina militare americana si presenta con questo titolo: «Migliorie infrastrutturali
Santo Stefano, attività di supporto navale la Maddalena». La precedente versione del progetto conteneva invece nella parte finale del titolo la dicitura «base di supporto navale» e non quella di «attività di supporto navale». Dunque, vi è stata una correzione, dovuta al fatto che ci si è accorti che non poteva essere migliorata una base in ordine alla quale non vi era nessun preesistente accordo e, quindi, nessuna legittimazione. I materiali di supporto al progetto statunitense, predisposti dall'ufficio infrastrutture e demanio di Mari Sardegna, chiamano invece lo stesso progetto «Area di supporto logistico Santo Stefano».
Tutto ciò per sottolineare due aspetti: il primo è che, negli ambienti deputati a proporre e decidere su tale materia, esiste la consapevolezza che la dicitura «punto di approdo» è cosa diversa da «installazione sulla costa di una base» (il trattato del 1972 ammetteva la prima ed escludeva la seconda); il secondo è che non possono essere realizzate migliorie di qualcosa che non esiste o che, se esiste, è anomalo, illegale e abusivo.
Dunque, siamo di fronte alla proposta del Ministro della difesa di permettere l'edificazione ex novo di un complesso edilizio di 52 mila metri cubi, con manufatti di cemento armato. Quindi, siamo di fronte all'autorizzazione da parte del ministro Martino per l'edificazione di una vera e propria nuova base militare statunitense, in aggiunta alla vecchia concessione del punto di appoggio per nave arsenale sulla banchina a levante di Santo Stefano.
Nel progetto presentato dalla Marina militare americana si parla dell'esigenza di ristrutturare e riorganizzare le strutture di supporto navale, procedendo alla demolizione delle esistenti e alla costruzione delle nuove, con la conseguenza - come il ministro Giovanardi mi precisò rispondendo ad una mia interpellanza - di ottenere miglioramenti estesi su tutti i livelli e su tutti i versanti.
Insomma, da parte del Governo, si evidenzia un'operazione di imbroglio, in quanto si vuole spacciare questa decisione come un intervento di salutare bonifica, nascondendo completamente la realtà di fondo, vale a dire la concessione agli Stati Uniti d'America di un rafforzamento molto significativo, all'interno dell'arcipelago de La Maddalena, della propria forza militare.
Credo sia estremamente negativa la complessiva problematica storica legata a questa servitù militare (la mancanza di trasparenza, di monitoraggio sulla salute e sull'impatto ambientale), storia simile a tante altre vicende italiane relative alle servitù militari.
È gravissima, inoltre, la decisione del Ministero della difesa di procedere «imbrogliando le carte», ovvero tentando di presentare come un miglioramento un'operazione che costituisce invece una vera e propria regalia, che va ad aggiungersi alle altre regalie che il Governo italiano è disponibile a concedere, e che ha concesso durante la fase della guerra contro l'Iraq, consentendo l'uso delle infrastrutture, degli aeroporti e dei porti.
Il progetto di «migliorie infrastrutturali» a Santo Stefano non esaurisce la pianificazione della nuova presenza militare statunitense nell'arcipelago de La Maddalena: lo ha già ricordato l'onorevole Folena, ma intendo riprendere l'argomento, in quanto si tratta di un tema nodale. Il dipartimento della difesa statunitense ha, infatti, presentato, a partire dal marzo 2003, un proprio «programma concettuale» intitolato «obiettivi di consolidamento», la cui programmazione non è definita, ma va comunque nel senso di una presenza strategica di primaria importanza nell'arcipelago de La Maddalena. Dai piani del Pentagono e dei vertici militari statunitensi emerge che tale parte del territorio italiano rientra nella complessa ristrutturazione della presenza militare statunitense su scala planetaria. Si tratta della ristrutturazione più consistente dalla fine della seconda guerra mondiale. Essa si inserisce nel contesto, che ho ricordato precedentemente, di mutamento complessivo del quadro geopolitico e strategico della presenza degli Stati Uniti d'America nel Mediterraneo nell'ambito
della ricerca di una nuova proiezione militare sul mondo. Tale quadro è radicalmente mutato rispetto a quello che si era venuto configurando dopo la seconda guerra mondiale. Ciò richiede, a mio avviso, una discussione approfondita da parte dei parlamenti dei paesi alleati degli Stati Uniti e coinvolti da tale processo.
La ristrutturazione, che vede, in alcune situazioni, l'alleggerimento della presenza delle basi statunitensi e della NATO, e, in altre situazioni, il consolidamento di tale presenza, è la conseguenza diretta della nuova dottrina statunitense, elaborata per ridefinire collocazione, punti di forza e strategie complessive. Tale cambiamento è stato riassunto in modo sintetico, ma chiaro ed efficace, dal vicesegretario americano alla difesa Wolfowitz, davanti all'House Armed Services Committe, nel giugno 2003: ci stiamo concentrando totalmente, ha affermato, sul riallineamento del nostro footprint militare globale, adattando le nostre varie capacità militari in regioni chiave alle condizioni particolari di ogni regione, e rafforzando tali nostre capacità al fine di essere in grado di lanciare azioni militari in qualsiasi parte del mondo.
La Maddalena è dunque destinata, nelle intenzioni della US Navy, ma anche nelle intenzioni del nostro Governo e del Ministero della difesa, a rientrare in tale quadro di ristrutturazione e ridislocazione delle forze militari statunitensi, che prevede l'alleggerimento in alcune zone a fronte dell'appesantimento in altre.
Ritengo che si debba dare una risposta alle preoccupazioni, alla mobilitazione, al dissenso che la popolazione sarda sta mettendo in atto in questi mesi con alcuni passaggi essenziali, cioè prevedendo la sospensione della determinazione del Ministero della difesa, una discussione approfondita di tutte le problematiche connesse, compresa quella di fondo, strategica, per cui bisognerà trovare al riguardo una sede appropriata (che non può essere il Parlamento) e, infine, accogliendo l'ordine del giorno della regione Sardegna, con cui si chiede, entro un periodo ragionevole e prestabilito, la chiusura della struttura militare statunitense, nonché la restituzione alla popolazione sarda di quella straordinaria ed importantissima area (che dovrà essere utilizzata diversamente da come è stato fatto finora).
PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Porcu, che illustrerà anche la mozione Anedda ed altri n. 1-00321, di cui è cofirmatario. Ne ha facoltà.
CARMELO PORCU. Signor rappresentante del Governo, la tesi che vogliamo rappresentare con questa nostra mozione è molto semplice e riteniamo sia anche quella più giusta. Si tratta dell'eguale importanza e, quindi, dell'eguale tutela da riservare a due principi fondamentali della nostra politica (ma che fanno anche parte della continuità storica dei Governi d'Italia): la salvaguardia dell'ambiente, del paesaggio, dei beni storici - di cui la Sardegna e La Maddalena sono ricchi - da un lato, e gli stessi prioritari impegni internazionali dell'Italia e della difesa nazionale, dall'altro.
Si tratta di due priorità di eguale livello costituzionale, che stanno particolarmente a cuore ai cittadini sardi e agli amministratori locali.
Tutta la Sardegna ha sempre vissuto in modo abbastanza dialettico il problema delle cosiddette servitù militari. Tuttavia, la presenza di tali servitù militari, in numero anche superiore a quello che si registra in altre parti del territorio nazionale, può essere posta sullo stesso piano del diritto, da parte de La Maddalena, di continuare ad essere una delle zone più appetibili del turismo internazionale, migliorando, in questi decenni, la sua capacità recettiva e la qualificazione del proprio turismo a livello internazionale.
In realtà, noi sardi siamo abituati a questo periodico «ritorno di fiamma» della contestazione sulla base militare de La Maddalena da parte delle organizzazioni e dei partiti che fanno riferimento soprattutto alla sinistra.
Si può dire che, nel corso degli anni settanta, con la firma del famoso accordo, che ora viene definito segreto, e fino agli
anni ottanta e novanta, siamo stati costellati da tentativi di mobilitazione politica e popolare contro la presenza militare statunitense a La Maddalena.
Queste manifestazioni sono sempre avvenute attirando gente da fuori perché i cittadini de La Maddalena sono stati sempre alieni a simili tipi di mobilitazione, quando non apertamente ostili, nei confronti di coloro che le promuovevano.
La presenza militare, quindi, a La Maddalena si è integrata perfettamente con le esigenze dello sviluppo locale, tanto è vero che sempre il comune de La Maddalena, qualsiasi fosse il colore politico della amministrazione, non ha contestato alla radice la presenza militare, né statunitense, né tantomeno, ovviamente, quella italiana, ma ha sempre cercato di convivere con essa, cercando di ottenere quei benefici che pure tale presenza comporta, oltre che naturalmente i pesi di cui abbiamo parlato poco fa.
Peraltro, la vicenda che ha dato origine a queste mozioni nasce dalla richiesta di adeguamento dei lavori di ristrutturazione della base. Questa richiesta, portata al comitato misto paritetico Stato-regione sulle servitù militari, non è stata evasa perché in sede di comitato non si era giunti all'accordo necessario. In mancanza di questo accordo, il Ministero della difesa aveva adottato una determinazione, successivamente contestata dalla regione Sardegna che ha attivato la procedura di legge prevista in questi casi, facendo ridiscutere la stessa determinazione dal Presidente del Consiglio dei ministri e dall'intero Governo.
In seguito all'espletamento di questa procedura prevista dalla legge, che la regione sarda a guida centrodestra (presidente Italo Masala di Alleanza nazionale) ha adottato nei confronti del Governo nazionale, si è provveduto alla stipula, il 14 gennaio di quest'anno, di un protocollo di intesa tra Stato e regione Sardegna che prevede alcuni punti che sono particolarmente importanti. Si prende atto che i lavori di ristrutturazione non comporteranno un aumento di volumetria della base in questione, si dà accesso alle istituzioni locali interessate ad addivenire a un controllo e un monitoraggio della situazione ambientale e di eventuali inquinamenti dell'arcipelago e si prospetta, cosa non del tutto irrilevante, un mantenimento dei livelli occupazionali del personale civile delle basi militari a La Maddalena. Mi sembra quindi che si possa dire che l'impegno congiunto di regione e Governo ha portato a un risultato positivo, salutato con favore dai rappresentanti legittimi eletti dalle locali popolazioni. Aggiungo, riguardo agli avvenimenti che hanno portato poi al susseguirsi di voci incontrollate, addirittura, di un inquinamento radioattivo dell'arcipelago, che sia i rilievi effettuati fino ad adesso dagli organi di controllo locali, come le Asl locali, sia i risultati di un'indagine condotta dall'Istituto nazionale francese, quello ufficiale, evidenziano che non si sono registrati ultimamente nell'arcipelago significativi cambiamenti nello stato di inquinamento ambientale.
Questo non vuol dire, naturalmente, che non dobbiamo mantenere sempre una posizione di assoluta vigilanza, non vuol dire abbassare la guardia, ma soltanto rafforzare i controlli, utilizzando anche le più moderne tecnologie, far partecipare a questi controlli il sistema democratico dei poteri locali e rendere sempre più accessibili ai cittadini le strutture, gli uffici e i documenti che provano che questo inquinamento non c'è.
Per quanto riguarda poi la presenza militare e gli accordi che la prevedono, voglio ricordare che essi risalgono al 1972 e che, da allora fino ad oggi, si sono susseguiti in Italia i Governi dei più svariati colori. Anche la sinistra ha avuto una parte importante, temporale e di merito, nel governo di questo paese e mi sembra un po' strano che, nel momento in cui c'è un Governo di centrodestra, vengano sollevati questi problemi di segretezza, mentre quando vi è un Governo di centrosinistra questi problemi vengono dimenticati. Allora, perché le forze politiche che adesso contestano la segretezza di quell'accordo, quando erano al Governo non hanno reso di dominio pubblico gli accordi
in questione? Mi sembra che questa contraddizione la dica lunga sulla strumentalità di questa richiesta, che indubbiamente va sottolineata con assoluto rigore.
Per quanto riguarda poi la presenza militare nell'intera regione - lo dico all'amico e corregionale, onorevole Salvatore Cicu -, la Sardegna indubbiamente offre un grande contributo in uomini e insediamenti alla difesa nazionale italiana e merita quindi, da parte del Ministero della difesa, una particolare attenzione per questa sua vocazione militare mai dimenticata e mai tradita. Gli impegni militari dei sardi sotto le bandiere nazionali sono noti a tutti; la brigata Sassari è stata richiamata poco tempo fa dall'Iraq, dopo aver trascorso un esemplare periodo di permanenza in quel martoriato paese, periodo di permanenza sublimato dal sacrificio dei militari della brigata Sassari a Nassiryia. Quindi, il legame profondo e indissolubile tra la Sardegna e le Forze armate italiane è vivo ed è pronto ad essere rafforzato ancora di più, in ogni maniera e da tutti i punti di vista.
Ritengo che il Governo debba sforzarsi di rendere ancora più compatibile la presenza delle basi militari in Sardegna con la sua vocazione nazionale e debba cercare di garantire livelli di presenza adeguati alle necessità, ma anche livelli occupazionali ed investimenti in grado di portare beneficio complessivo a tutta la popolazione.
La vocazione militare de La Maddalena è antica; il primo insediamento ufficiale risale al 1882. La Maddalena vive della presenza militare e, in questi anni, sta vivendo molto anche del turismo. Penso che presenze militari e turismo siano compatibili, per favorire non soltanto il rilancio economico, ma anche il mantenimento di quella bellezza naturale che è realmente un bene da salvaguardare e che ci viene da tutti invidiato.
PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Tonino Loddo. Ne ha facoltà.
TONINO LODDO. Signor Presidente, signor rappresentante del Governo, per inquadrare la situazione di cui stiamo parlando, vorrei ricordare che (come è già stato testé sottolineato dai colleghi che mi hanno preceduto) circa tre mesi fa un sottomarino nucleare degli Stati Uniti, forse a causa di una manovra errata, si è andato ad incagliare sui fondali rocciosi dell'arcipelago de La Maddalena. Di ciò non si sarebbe probabilmente saputo nulla, ma il riserbo che ha circondato l'avvenimento è stato successivamente rotto, ed è trapelata perfino la notizia della rimozione non solo del capitano del sottomarino, ma anche dello stesso commodoro della squadriglia sottomarini 22, vale a dire il numero uno della base de La Maddalena.
Sempre a tale periodo è da far risalire anche la notizia secondo la quale il comando militare americano avrebbe chiesto un intervento edificatorio pari a oltre 33 mila metri cubi nella località di Vena Longa e di Vigna Grande, sempre nell'ambito del territorio comunale de La Maddalena. Si tratta di insediamenti che, ove autorizzati, si aggiungerebbero a quelli già esistenti. La Marina statunitense, infatti, è già presente nell'isola de La Maddalena ed in quella vicina di Santo Stefano con quattro insediamenti, che attualmente sviluppano una volumetria di circa 11.000 metri cubi.
Per essere compreso in tutta la sua ampiezza e gravità, tuttavia, quanto detto deve essere inquadrato nell'ambito più complessivo delle servitù militari esistenti in Sardegna. Esse trovano un'emblematica e quanto mai significativa espressione nei 24.000 ettari di territorio destinati alle attività militari, le quali soprattutto negli ultimi anni, in concomitanza con il coinvolgimento del nostro paese nelle nuove strategie di guerra dell'Occidente, hanno conosciuto un significativo consolidamento.
Un assetto del territorio così strettamente vincolato alle attività militari non può non comportare evidenti ricadute sulla popolazione della Sardegna in termini di sicurezza della vita e di salvaguardia della salute, oltre che (come è stato già
ricordato) per tutto ciò che riguarda gli equilibri ambientali e la sfera della sovranità popolare e della democrazia.
Se a tutto ciò si aggiunge la non estemporanea e ormai frequente caduta di missili in località adibite ad usi agricoli e fortemente antropizzate, la forte incidenza di patologie tumorali registratesi tra le popolazioni che abitano in zone attigue e contigue ai poligoni di tiro e, purtroppo, i sempre più numerosi decessi riscontrati tra militari sardi e non sardi reduci da missioni militari, soprattutto nei Balcani, che sembrano attribuibili (assieme alle patologie connesse) all'uso di munizioni all'uranio impoverito, credo che la situazione appaia in tutta la sua drammatica evidenza. In particolare, proprio in merito al possibile rapporto tra l'utilizzo di munizioni all'uranio impoverito e le patologie riscontrate, fonti attendibili parlano di oltre 200 militari provenienti da zone di guerra affetti da tumori al sistema emolinfatico e di almeno 20 soldati deceduti in conseguenza di tali patologie.
Purtroppo, la cronaca si arricchisce quotidianamente anche di nuovi gialli e di nuovi conseguenti pericoli. Secondo una ricerca francese, pubblicata recentemente, nelle alghe dell'arcipelago de La Maddalena vi sarebbe una concentrazione di torio 234 radioattivo quattrocento volte superiore al normale: è quanto ha affermato un istituto di ricerca francese, certificato dal Ministero della sanità di Parigi. I prelievi delle alghe marine sono stati effettuati dal Criirad (Commission de recherche et d'information indépendantes sur la radioactivité) il 17 ed il 18 novembre 2003: quindi, stando alle notizie fornite dalla base statunitense, dopo che il sottomarino nucleare americano era finito in una secca.
Rimane fino ad oggi senza risposta la richiesta, presentata al Governo, di rendere noti i livelli delle radiazioni precedenti all'incidente del sommergibile, in modo da comprendere se nell'arcipelago la situazione sia peggiorata in seguito al sinistro o se l'inquinamento possa dipendere da altri fattori. L'istituto di ricerca citato, diretto da un noto fisico nucleare, ha affermato che, su due dei sei campioni di alghe raccolti a La Maddalena, è stata trovata una forte concentrazione di torio 234, un elemento radioattivo della catena dell'uranio 238, materiale usato come combustibile per i reattori nucleari che muovono i sommergibili degli Stati Uniti.
Il livello della radioattività, sempre secondo il già menzionato istituto francese, oscilla tra i 3900 ed i 4700 becquerel per chilogrammo, mentre - e qui si capisce la straordinarietà dell'evento - l'indice normale dovrebbe essere di qualche decina di bequerel. È utile ricordare che, nel 1986, dopo la catastrofe di Chernobyl, le autorità sanitarie dell'Unione europea disposero che la radioattività nei cibi messi in commercio non dovesse superare i 350 bequerel per chilo nella frutta e nella verdura ed i 500 per litro di latte. Va anche aggiunto che le alghe sono, tra gli esseri viventi, quelle che più degli altri attirano e accumulano le sostanze radioattive.
Senza indagini serie, e non di parte, ci pare, al momento, impossibile capire se il livello di radiazioni sia da attribuire al sommergibile statunitense, considerato che né il Governo italiano né i comandi militari americani hanno finora distribuito i risultati delle analisi precedenti l'incidente, fermo restando che, qualora l'incidente non ne fosse causa, l'abnorme presenza di uranio 238 e dei suoi derivati potrebbe essere anche conseguenza dei poligoni militari disseminati nell'isola, nei quali vengono utilizzati proiettili all'uranio impoverito nelle esercitazioni o nelle dimostrazioni organizzate dai vari fabbricanti d'armi.
E poco rassicurano, ad essere sinceri, le affermazioni delle autorità comunali, regionali, statali e militari, secondo le quali non vi sarebbe nulla di preoccupante perché, a seguito della citata ricerca francese, è necessario che le autorità militari rendano note tutte le misurazioni della radioattività effettuate nel corso degli anni, avviando un monitoraggio comune ed affidando ad istituti di ricerca autorevoli e, soprattutto, indipendenti il rilevamento del reale inquinamento radioattivo delle acque sarde.
Credo che nessun segreto di Stato valga la sicurezza e la salute delle popolazioni.
In questo quadro, già di per sé drammatico, non possiamo dimenticare l'ultimo degli episodi dolorosi che l'hanno contrassegnato. Intendo riferirmi alla morte del soldato Valery Melis. Ancora domenica scorsa, i suoi amici hanno esposto, sulle tribune dello stadio Sant'Elia di Cagliari, uno striscione in cui si leggeva: «Tutti ti hanno dimenticato, noi non ci dimenticheremo».
Allora, io la storia dolorosa e drammatica di questo giovane soldato, morto nel disinteresse pressoché totale di quello stesso Stato che fedelmente aveva servito, voglio ricordarla. La storia di Valery Melis inizia alla fine del 2002. È dicembre. Il paese è pieno di polemiche: siamo in prossimità delle elezioni ed il clima è rovente. Sono morti, da poco, Andrea Antonacci, Salvatore Vacca ed un altro militare della Croce Rossa, tutti reduci da missioni nei Balcani, mentre altri si sono ammalati. C'è il fondato sospetto che le morti siano legate alle inalazioni di uranio impoverito, usato, per ammissione degli stessi comandi delle Forze armate, nei proiettili sparati in quelle zone. Si parla già di sindrome dei Balcani.
Il caso di Valery Melis è emblematico: «Finisco la missione a giugno» - racconta in un'intervista - «e alla fine del mese mi accorgo di avere un linfonodo infiammato. Mi fanno delle analisi e scoprono che ho una massa di 7 centimetri di lunghezza e 3 di diametro nel torace. Dopo 15 giorni, la diagnosi è certa: linfoma di Hodgkin. Da dicembre 1999 ad agosto 2000 faccio la chemioterapia. Alla fine del ciclo mi dicono che la massa non è stata assorbita completamente. Faccio tre cicli di radioterapia e 18 sedute per ciclo». Valery Melis denuncia: «Da quando mi sono ammalato nessuno si è mai occupato di me. Mai un militare è venuto a trovarmi; mai una telefonata». Gli domandano: «Era informato dei pericoli che correva in zona di guerra?» Risponde: «No, assolutamente no». Gli chiedono espressamente: «Ha paura?» Risponde: «No, sono certo che tornerò come prima». Valery Melis è morto qualche settimana fa.
Eppure, l'esercito aveva avvertito gli ufficiali: l'uranio provoca il cancro. Perché, allora, tutto questo silenzio imbarazzato delle autorità intorno alla bara del caporalmaggiore? Perché nessuno si è mosso? Vediamo cosa emerge da una raccomandazione che il comando della Brigata Multinazionale West diffuse il 22 novembre 1999 tra gli ufficiali delle Forze armate anche italiane che operavano in Kosovo dopo la guerra. Per capire di che si tratta, basta leggere la frase che conclude il manuale: «L'inalazione delle polveri insolubili di uranio impoverito è stata associata con effetti a lungo termine sulla salute, compresi tumori e malformazioni nei neonati.
Questi problemi possono manifestarsi a distanza di anni dall'esposizione. Per chi non si accontenta o non capisce, c'è la relazione redatta, qualche tempo dopo in italiano, dall'ufficiale coordinatore della base di Petrovac (ex Jugoslavia), il maggiore Domenico Barbagallo, intitolata: «Nota informativa relativa alla possibile contaminazione da uranio impoverito». Eccone un estratto: «Regole d'oro: rimani lontano dai carri mezzi bruciati e da edifici colpiti da missili di crociera; se lavori entro i 500 metri di raggio da un veicolo o costruzioni distrutti indossa protezioni per le vie respiratorie; inalazioni di polveri insolubili di uranio impoverito sono associate, nel tempo, con effetti negativi sulla salute, quali il tumore e disfunzioni dei neonati».
Si tratta di carte ufficiali che contraddicono, evidentemente, le posizioni tenute dai Governi italiani di ogni colore - si badi bene - basate sulla relazione Mandelli, secondo le quali i proiettili all'uranio impoverito non sarebbero collegabili alle morti sospette di tanti militari.
Allora, perché ancora tanti silenzi e tanti imbarazzi? E se tutto questo è vero, come dice il professor Mandelli, che senso hanno le pessime parole pronunciate dal ministro Martino che, meno di un mese fa, rispondendo a chi gli chiedeva se fosse
ormai giunta l'ora di conoscere gli accordi tra Italia e Stati Uniti sulla concessione della base de La Maddalena, ha risposto con la frase: Perché? Non mi risulta. Ma i sardi non vogliono questa base! Ma - ha domandato il ministro della difesa, replicando al cronista - di quali sardi parla? Nel consiglio regionale ci sono state cinque astensioni e la differenza finale è stata di cinque voti. Mi sembra un po' poco per parlare di sardi. Non so se l'opinione pubblica sia dello stesso avviso.
E a chi faceva notare al ministro che il consiglio regionale della Sardegna si era pronunciato contro l'ampliamento della base de La Maddalena, la risposta è stata sprezzante e gravemente irrispettosa delle istituzioni autonomistiche: il consiglio regionale non è infallibile. Una risposta che denota una concezione centralista del potere e che pregiudica i vincoli della reciproca lealtà che la Costituzione riconosce ai rapporti tra il Governo nazionale e le regioni.
Purtroppo, la grave offesa del ministro Martino alla Sardegna non è un caso isolato, ma solo l'ultima espressione del consueto atteggiamento sprezzante verso l'autonomia sarda tenuto dal Governo Berlusconi ai suoi diversi livelli.
La reazione del consiglio e della giunta regionale della Sardegna al comportamento irriguardoso del ministro Martino è stata, perciò, giusta. E se il ministro non si è accorto di aver offeso la Sardegna, è anche peggio. Purtroppo, quest'episodio è solo l'ultimo di una lunga serie.
Parlando, invece, del presunto inquinamento radioattivo, il ministro della difesa (è sempre una notizia dell'ANSA del 31 gennaio) ha dichiarato che sulla vicenda è già stata fatta chiarezza ed è stato proprio lei, sottosegretario Cicu, presente a quell'incontro, a spiegare che la ASL ha già detto come stanno le cose ed è un organismo autonomo, imparziale, che risiede in Sardegna.
Ebbene, parliamone di queste indagini svolte dalla ASL. Le centraline dell'attuale rete di monitoraggio delle acque dell'arcipelago maddalenino non sono in grado di registrare il vero livello della radioattività. Non lo dico io. Lo ha detto il professor Vincenzo Migaleddu, specialista radiologo dell'università di Sassari, nel corso di un convegno. Ha poi aggiunto, a chiare lettere, che dai dati in suo possesso non è possibile sapere se di radioattività ce ne sia in più o in meno e che, pertanto, servirebbero analisi precise di tutte le centraline, visto che quelle attuali registrano solo il valore dei raggi gamma. Se però vogliamo sapere - ha chiarito il professor Migaleddu - se vi sia un inquinamento, è il caso di controllare le radiazioni alfa, vale a dire quelle provenienti direttamente dalla fissione dell'uranio dal quale discendono il torio ed il cobalto. E se è vero - come ha detto Migaleddu - che si è avuta la consapevolezza che alcuni problemi, ossia l'assenza di isotopi radioattivi artificiali, esclude, nell'indagine francese di cui ho parlato prima, che vi sia stato un incidente nucleare, è anche vero che la presenza di una radioattività anomala legata al torio 234 deve essere ulteriormente approfondita; può essere forse legata all'emissione continua o alla presenza di un fondo naturale particolarmente ricco di uranio 238.
Migaleddu, scherzando ha detto: o abbiamo trovato una miniera di uranio o c'è un problema reale. Di fronte ad affermazioni così chiare e responsabili, da dove deriva la sicurezza ostentata dal Governo? Non sarebbe stato più opportuno promuovere indagini serie, anziché tranquillizzare in modo superficiale? A queste domande se ne aggiungono altre ancora: quando è stata installata la rete di monitoraggio? Di quali misurazioni il presidio multizonale di prevenzione disponeva prima dell'insediamento statunitense? Su quanti campioni ambientali, di che natura e in quali punti è stato fatto il prelievo? Esistono indagini geofisiche di misurazione sulla radioattività e di valutazione di biologia marina antecedenti e successive all'insediamento della base degli Stati Uniti?
E ancora: esiste una valutazione di un ipotetico incremento di radioattività - sottolineo ipotetico incremento - negli ultimi vent'anni su campioni ambientali significativi e confrontabili? Qual è la situazione
oggettiva della rete di monitoraggio e degli strumenti di misura che concorrono a produrre i dati delle relazioni mensili? La determinazione dei punti di prelievo e di misurazione è avvenuta in base ad uno studio delle oggettive condizioni ambientali? E, in ogni caso, il presidio multizonale può produrre la mappatura con le indicazioni necessarie per la individuazione e la frequenza dei campionamenti e delle misurazioni? Il presidio può suggerire e provvedere al miglioramento nella scelta dei punti di prelievo per ottenere una significatività più incisiva, magari concentrando l'attenzione sulle rilevazioni in prossimità della base USA e nelle rotte di avvicinamento? Perché le analisi di radioattività su matrici alimentari vengono eseguite su alimenti estranei alla produzione e alla catena alimentare dei luoghi? Che significato il presidio attribuisce al contenuto di radioattività su patate, latte, mitili, carciofi, farina di pesce, miele, di cui non esiste produzione nell'arcipelago e che sono di totale importazione da altri luoghi?
E ancora: il presidio può decidere diversamente di analizzare campioni di pesce presente in loco? Il presidio dispone di una valutazione delle possibili fonti di emissione di radioisotopi specificatamente attribuibili ai sommergibili a propulsione nucleare e di una valutazione dei tracciati più significativi ad essi riferibili? Può essere significativo ricercare il torio 234, come ha fatto il laboratorio francese di cui ho detto? Agli Stati Uniti è stato chiesto di comunicare l'elenco dei probabili inquinanti e dei radionuclidi con i relativi livelli presenti negli effluenti?
È un mare di domande finora senza risposta. Ecco perché concordiamo pienamente con quanto deliberato dalla massima istituzione democratica e autonomistica della Sardegna in merito alla base de La Maddalena, perché esprime una volontà di chiarezza e di trasparenza che facciamo nostra. È necessario predisporre, in primo luogo, un adeguato e specifico programma di monitoraggio nell'arcipelago de La Maddalena, affidando ad autorevoli istituti di ricerca indipendenti il rilevamento dell'effettivo livello di inquinamento radioattivo nell'aria e nell'acqua. Secondo: è necessario predisporre l'obbligo per i sommergibili nucleari che transitano nelle Bocche di Bonifacio di uniformarsi alle regole della circolazione navale. Terzo: lo smantellamento della base per sottomarini nucleare di Santo Stefano deve avvenire entro un periodo di tempo ragionevole e prestabilito, convinti come siamo che questo non solo non deve essere considerato come un atto di ostilità nei confronti degli Stati Uniti, ma sia un gesto di rispetto della reciproca amicizia. Da amici gli Stati Uniti sono venuti in Sardegna e da amici se ne devono andare.
Questi obiettivi sono anche gli obiettivi delle mozioni che il centrosinistra oggi sta illustrando e su cui chiede che la Camera si pronunci. Ma non posso - e concludo - in questo contesto non riprendere il tema dell'uranio impoverito, sul quale abbiamo assistito alle spericolate ed improvvide esibizioni del Governo.
Da anni giace nei cassetti della Commissione difesa una proposta di legge, alla quale altre si sono aggiunte, volta ad istituire una Commissione parlamentare di inchiesta sull'uso e sulle conseguenze dell'uranio impoverito. Questo Parlamento ha istituito tante Commissioni d'inchiesta, tutte legittime, tutte giuste; la ricerca delle verità è sempre un fatto positivo, però mi chiedo e chiedo: conoscere la verità sulle cause che hanno determinato la morte del soldato Melis è meno rilevante che conoscere le cause della morte di Ilaria Alpi? Il bisogno di sapere e il pianto dei familiari del soldato Melis, come del soldato Antonacci o del soldato Vacca, valgono meno del pianto dei familiari di Ilaria Alpi?
Chiediamo alla maggioranza - che pure in quest'aula ha manifestato e manifesta verso i caduti solidarietà e cordoglio, che vogliamo pensare sinceri - di mettere da parte le ambiguità ed i silenzi e di fare spazio alla ricerca della verità. Renderemo, così, un servizio alla memoria di questi morti, daremo una dignità al silenzio carico di sofferenza delle loro
famiglie e dimostreremo che lo Stato, davvero, non dimentica i suoi più fedeli servitori.
PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Cento. Ne ha facoltà.
PIER PAOLO CENTO. Signor Presidente, anche noi Verdi abbiamo sottoscritto la mozione Deiana ed altri n. 1-00302, illustrata in precedenza dalla collega Deiana. Ne abbiamo condiviso la stesura e la stessa è frutto di azioni comuni attivate in Sardegna, in particolare presso la base militare statunitense de La Maddalena, anche attraverso una vera e propria visita ispettiva che abbiamo potuto condurre qualche settimana fa, in base alla normativa che consente ai parlamentari di entrare e tentare di capire cosa accade in queste basi.
È una mozione che ci dà l'opportunità non solo di affrontare il tema specifico (su cui poi mi soffermerò) della base militare de La Maddalena, ma anche di sollevare in Parlamento tutta la tematica relativa alla condizione giuridica delle basi militari statunitensi e della NATO (nella loro diversità), che rappresenta una vera e propria violazione della sovranità nazionale e della capacità del nostro Parlamento e del nostro Governo di essere soggetti attivi con riferimento a ciò che accade in queste strutture militari.
Già da tempo, abbiamo sostenuto che è giunto il momento di togliere il segreto agli atti che consegnano porzioni di territorio nazionale agli Stati Uniti, sottraendole al controllo del Parlamento italiano. Già da tempo abbiamo detto - e credo questa sia un'occasione importante per ribadirlo - che quegli accordi secretati non hanno più motivo di esistere, se non altro perché è venuta meno la ragione fondamentale di una contrapposizione tra la NATO ed il blocco egemonizzato dall'Unione sovietica e dal patto di Varsavia. Infatti, con la caduta del muro di Berlino tale esigenza è ormai consegnata alla storia.
È una questione rilevante che, anche in occasione della guerra in Iraq, ha mostrato fino in fondo tutte le proprie contraddizioni, anche rispetto al dettato costituzionale e, in particolare, all'articolo 11 della Costituzione. Dalla base militare de La Maddalena sono partite strutture navali, sommergibili ed armi in appoggio alla guerra in Iraq, in particolare per le ricognizioni nel mare Mediterraneo, così come da altre basi americane e NATO sono stati inviati armi e proiettili all'uranio impoverito. Basta citare ciò che accaduto alla base di Camp Darby tra Pisa e Livorno e, addirittura, per quanto riguarda il personale militare, la partenza dei parà dalla base di Ederle a Vicenza. Tutto ciò in barba a qualsiasi decisione e volontà del Parlamento italiano, solo ed unicamente in virtù di accordi bilaterali tra Italia e Stati Uniti, accordi secretati che non ci è data possibilità di conoscere.
Anche per questo motivo, abbiamo sfidato il ministro della difesa a venire in Parlamento, se fosse necessario anche in seduta segreta, ponendo il Parlamento stesso in condizioni di conoscere la reale entità di questi accordi segreti e la reale entità della sottrazione di sovranità nazionale attuata nelle basi militari USA e NATO, con riferimento alla democrazia, alla Costituzione ed al Parlamento nel nostro paese.
È evidente che la vicenda della base statunitense de La Maddalena si iscrive in questo contesto di carattere più generale, con almeno due aggravanti. La prima è quella di una regione, la Sardegna, in cui vi è una forte presenza di insediamenti militari di vario genere, di poligoni militari e di basi navali, di cui questa rappresenta la parte più avanzata, meno democratica e più pericolosa per le connessioni esistenti con le popolazioni civili.
Il secondo elemento è quello della tutela, al di là della battaglia parlamentare che noi svolgiamo sulla natura giuridica di queste basi americane, della sanità e della salute collettiva, esigenza portata alla ribalta anche a seguito di un recente incidente che ha visto protagonista un sommergibile, probabilmente dotato di testate nucleari, accaduto la scorsa estate e del quale siamo venuti a conoscenza solo dopo qualche settimana. Un incidente del quale
non vi è stata la possibilità di informare, circa i danni e le condizioni di inquinamento che si sono determinate in tutta la zona, la popolazione della regione Sardegna, gli enti locali interessati, oltre che il Parlamento e la regione Sardegna.
Con la nostra mozione chiediamo essenzialmente due cose: in primo luogo, chiediamo di sospendere la decisione con la quale il Governo italiano ha unilateralmente autorizzato l'ampliamento della base militare de La Maddalena e di revocare la decisione presa nel 2003, consentendo quindi di porre un punto fermo dal punto di vista giuridico affinché gli Stati Uniti non siano più nella condizione di decidere unilateralmente l'ampliamento di quella base militare.
In secondo luogo chiediamo di conoscere quali siano i piani di sicurezza che sono stati approntati a tutela della popolazione sarda, e non solo, visto che la Sardegna è, giustamente e fortunatamente, nonostante la presenza di questi insediamenti militari che hanno un impatto così pesante, anche una zona ad alta capacità di attrazione turistica, soprattutto nei mesi estivi. È quindi necessario conoscere quali siano le misure di prevenzione e i piani di protezione sanitaria e civile rispetto ad ipotesi di inquinamento radioattivo che da quella base possono venire, per tutelare la salute dei cittadini.
Il terzo aspetto è quello relativo all'esigenza di chiarezza circa le modalità attraverso le quali vengono verificati i livelli di inquinamento che la base produce, soprattutto di quello radioattivo. Non è accettabile - e mi avvio alla conclusione -, che quella sia una sorta di zona franca dove non sia possibile, se non rivolgendosi direttamente a chi dovrebbe essere controllato e svolge anche l'attività di controllore, verificare quel che accade.
Queste sono le ragioni alla base della mozione che, come gruppo Misto-Verdi-L'Ulivo abbiamo sottoscritto e della necessità che questo dibattito parlamentare sappia collegarsi con le decisioni che sono state assunte in piena autonomia da parte della regione Sardegna e degli enti locali interessati.
PRESIDENTE. Non vi sono altri iscritti a parlare e pertanto dichiaro chiusa la discussione sulle linee generali delle mozioni.
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