Resoconto stenografico dell'Assemblea
Seduta n. 425 del 17/2/2004
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La seduta, sospesa alle 17,05, è ripresa alle 17,20.

PRESIDENTE. Onorevoli colleghi, come si poteva facilmente prevedere, gli incontri del Presidente con i presidenti dei gruppi della maggioranza e dell'opposizione e con i rappresentanti del Governo non hanno dato l'esito sperato - almeno dal Presidente -, per cui siamo in presenza di una legittima - peraltro - fase di ostruzionismo da parte dell'opposizione, che ha preannunziato, anche senza fornire un elenco (ma questo rientra nelle loro possibilità), diversi interventi per offrire un contributo alla discussione.
A beneficio dei colleghi, prima di dare la parola per dichiarazione di voto all'onorevole Violante, vorrei dire che la votazione finale non avrà comunque luogo prima delle ore 20 di domani, giovedì 19 febbraio.

(Dichiarazioni di voto finale - A.C. 4645)

PRESIDENTE. Passiamo alle dichiarazioni di voto sul complesso del provvedimento.
Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto l'onorevole Violante. Ne ha facoltà.

LUCIANO VIOLANTE. Signor Presidente...

PRESIDENTE. Onorevoli colleghi, vi prego, per cortesia!

LUCIANO VIOLANTE. Signor Presidente, vorrei informare i colleghi che circa duecento deputati interverranno per dichiarazione


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di voto sul complesso del provvedimento; dunque, su questo dato possono regolare i loro tempi.
Innanzitutto, vorrei ringraziare i colleghi dell'opposizione, in primo luogo i Democratici di sinistra, perché sono il presidente del loro gruppo, ma anche i deputati di tutti i restanti gruppi, che hanno lavorato finora insieme per produrre questo risultato...

PRESIDENTE. Onorevoli colleghi, per cortesia...

LUCIANO VIOLANTE. Qual è questo risultato? Rendere evidente agli occhi dell'opinione pubblica che in questa sede tutta l'opposizione sta conducendo unitariamente una battaglia di libertà.
Noi voteremo contro il presente provvedimento, e vorrei segnalare due questioni di carattere politico. La prima è che, una volta posta la questione di fiducia, signor Presidente, i titoli Mediaset sono aumentati di 3 punti percentuali alla Borsa di Milano. In altri termini, è stata compiuta un'operazione - che non so se si chiami aggiotaggio, in termini tecnici - che ha consentito un guadagno netto di alcuni miliardi alla famiglia e alle casse del Presidente del Consiglio. Ciò significa che una serie di concorrenti del Presidente del Consiglio sono stati sostanzialmente fatti fuori dal mercato sulla base di una decisione dello stesso Presidente del Consiglio.
Questa, cari colleghi della maggioranza, è la situazione in cui vi trovate, in cui ci troviamo tutti insieme ed in cui il paese si trova per questa benedetta questione della congiunzione di interessi pubblici con interessi privati di soggetti con funzioni pubbliche!
A tale proposito credo, signor Presidente, che questa sia una grande questione di democrazia, nel senso che se i concorrenti privati delle aziende del Presidente del Consiglio oggi devono temere atti parlamentari che riducono la loro presenza sul mercato e favoriscono quella delle imprese del Capo del Governo, allora si tratta di una questione di democrazia e di mercato libero, perché, in realtà, l'attuale maggioranza tende a «blindare» il mercato e a renderlo chiuso, secondo gli interessi del Presidente del Consiglio e della sua coalizione (Applausi dei deputati dei gruppi dei Democratici di sinistra-L'Ulivo, della Margherita, DL-L'Ulivo e Misto-Comunisti italiani)!
La seconda questione riguarda la carta stampata e concerne sempre un problema di libertà.
Sulla base dei provvedimenti che questa maggioranza intende approvare, una grande quota della pubblicità passa alle televisioni ed alle radio. Si penalizza, così, la carta stampata. La FIEG, la Federazione degli editori di giornali, ha più volte denunciato che l'Italia è l'unico paese nel quale si sta avendo un progressivo decremento della pubblicità sui mezzi di informazione stampata a vantaggio dei mezzi di informazione televisiva.
Il Presidente del Consiglio ha dichiarato, poco tempo fa, che la carta stampata è vecchia informazione, che non c'entra, che non serve. Io credo che non vi sia nulla di peggio, per un paese, che perdere la possibilità di riflettere su un giornale stampato. La televisione ha una grandissima funzione di informazione pubblica, ma la carta stampata abitua a riflettere, abitua a ragionare ed è lo strumento con il quale ci si forma l'opinione molto di più e molto meglio di quanto non si possa fare con il mezzo radiotelevisivo.
Da questo punto di vista, signor Presidente, noi abbiamo un problema.
La fiducia è stata posta nel pieno della verifica di maggioranza, dopo che quest'ultima non è stata in grado di portare a termine l'esame della cosiddetta legge Gasparri: è stata approvata, ma il Presidente della Repubblica l'ha rinviata alle Camere e, poiché non si è riusciti a riapprovarla, è stato adottato il decreto-legge in esame.
Nel quadro ora delineato, si pone la questione della funzione della votazione a scrutinio segreto in questo sistema. Il ministro Giovanardi ed alcuni di noi provengono dalla cosiddetta prima Repubblica. Ebbene, noi sappiamo che, in quella fase, lo scrutinio segreto aveva una funzione


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diversa da quella che ha oggi. A quel tempo, esso aveva la funzione di determinare diverse maggioranze, cambiamenti di Governo, cambiamenti di ministeri: essendo le maggioranze praticamente bloccate, non si poteva fare altro che ruotare all'interno degli stessi partiti politici. In altre parole, lo scrutinio segreto serviva a mandare a casa i Governi, a cambiare Governo. Oggi, ciò non è più possibile poiché è entrato nella costituzione materiale del paese - e giustamente - il fatto che sono i cittadini a scegliere la maggioranza. Poi, quella maggioranza deve governare, se e quando ha i numeri.
Cosa segnala, allora, il voto diverso nello scrutinio segreto? Un colossale malessere della maggioranza: questo è il punto politico!
Il fatto che questa vostra verifica - che definirei, meglio, agonia - sia durata già 273 giorni significa che abbiamo perso 273 giorni tra comunicati, controcomunicati e dichiarazioni di Tizio, Caio e Sempronio, senza che la maggioranza concludesse nulla! In questi 273 giorni, la maggioranza ha bloccato il paese. Intanto, le risorse delle famiglie calavano di giorno in giorno, la crisi industriale avanzava sempre di più e centinaia di famiglie venivano messe sul lastrico per settimane dalla chiusura delle aziende. E mentre tutto ciò accadeva, voi della maggioranza vi chiudevate in questi riti vecchissimi della verifica, ancora non conclusi! Credo che questa sia una vostra colossale responsabilità.
Nel segnalare tutte queste cose agli occhi del paese, noi vogliamo anche porre in risalto la natura della crisi. Intendo dire che queste coalizioni hanno un difetto: durano due anni. Quella del 1994 è finita nel 1996; quella del 1996, la nostra, è sostanzialmente finita nel 1998; questa del 2001 è finita, sostanzialmente, nel 2003.
Qual è il problema? Il problema di fondo è che, quando non si ha un centro di gravità nelle maggioranze, o quando non si ha un progetto strategico che le guidi, le maggioranze stesse entrano in crisi. Noi siamo entrati in crisi dopo essere entrati nell'Unione monetaria europea, perché non abbiamo avuto la capacità di proporre un altro obiettivo alla maggioranza. Voi siete entrati in crisi perché non avete conseguito alcuno degli obiettivi che proponevate. La natura delle crisi è completamente diversa. Adesso, cercate di recuperare candidando il Presidente del Consiglio dappertutto per le elezioni europee e con la sventagliata di insulti che il Presidente medesimo ha lanciato oggi - da una radio di Stato, naturalmente - all'indirizzo delle istituzioni, delle opposizioni, e via dicendo. Questa è la natura della vostra crisi.
A proposito, tengo a fare una precisazione. Oggi, il collega Gerardo Bianco ha preso le difese di un finanziamento ad una fondazione che fa capo al presidente della Commissione cultura. Io ho criticato, presidente Bianco, non il fatto che quella fondazione avesse un finanziamento - ci mancherebbe! - ma il fatto che il suo presidente sia, nel contempo, presidente della Commissione cultura!
Onorevole Gerardo Bianco, lei viene da una scuola come la mia, che a queste cose è stata particolarmente attenta; ed io presto sempre attenzione alle cose che lei dice. La cosa che, a mio avviso, non sta in piedi è che il presidente in parola faccia il presidente della fondazione beneficiaria del finanziamento essendo al contempo presidente della Commissione cultura. Esemplificando, poiché la tua fondazione può avere dei soldi pubblici dal ministro che risponde davanti a te, presidente della Commissione, lasciare quella presidenza formale ad altro soggetto sarebbe stato un atto di eleganza, che avremmo apprezzato.
Anche Renzo Foa mi ha criticato, ma credo si tratti di una solidarietà tra ex comunisti, tra l'attuale presidente della Commissione cultura e Renzo Foa. È un'altra partita, un'altra cosa. Ho preso in esame soltanto la questione che lei, poc'anzi, ha trattato.
Per quanto riguarda le questioni di libertà, il Presidente del Consiglio ha annunciato che intende eliminare la legge sulla par condicio. Se davvero ciò avvenisse, crollerebbe l'ultimo pezzo di parità di condizioni e di libertà all'interno del nostro paese. Egli intende cancellare l'ultimo


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pezzo di libertà sull'informazione. Credo sia una cosa di una gravità inaudita.
Ho sentito, per fortuna, obiezioni da parte di settori della maggioranza. In questa sede, abbiamo fatto trenta o quaranta ore di opposizione, di ostruzionismo su questo disegno di legge di conversione; vi assicuro che, se dovesse arrivare in Assemblea quel provvedimento concernente la par condicio, faremmo tutto il possibile perché lo stesso non esca da quest'aula. Sarebbe, infatti, l'ultimo attacco alle opposizioni e alla libertà di manifestazione del pensiero (Applausi dei deputati dei gruppi dei Democratici di sinistra-L'Ulivo, della Margherita, DL-l'Ulivo, Misto-Comunisti italiani, Misto-Socialisti democratici italiani)!
Intendiamo difendere, fino in fondo, queste libertà, perché le libertà stanno nelle mani dell'opposizione, adesso. Non sono più nelle mani della maggioranza (Applausi dei deputati dei gruppi dei Democratici di sinistra-L'Ulivo, della Margherita, DL-l'Ulivo, Misto-Comunisti italiani, Misto-Socialisti democratici italiani).
Onorevole Romani, vorrei sapere da lei, che presiede autorevolmente la Commissione che si è occupata della legge Gasparri, quando riprenderemo in mano questa legge. Non ritenete più opportuno che essa sia definitivamente ritirata e sia presentato un altro provvedimento che dia un assetto giusto, democratico, sereno e che garantisca tutti coloro che operano sul mercato, non soltanto quelli che fanno riferimento al Presidente del Consiglio?
Ci aspettiamo una parola chiara in proposito, perché - lo ripeto - state togliendo libertà all'Italia. Noi, insieme, siamo le forze politiche che combattono contro il declino e per un'Italia giusta e libera. Questo è il nostro obiettivo e il nostro indirizzo. Vi assicuro che lo raggiungeremo con il consenso degli elettori (Applausi dei deputati dei gruppi dei Democratici di sinistra-L'Ulivo, della Margherita, DL-L'Ulivo, Misto-Comunisti italiani, Misto-Socialisti democratici italiani, Misto-Verdi-L'Ulivo - Congratulazioni).

PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto l'onorevole Castagnetti. Ne ha facoltà.

PIERLUIGI CASTAGNETTI. Signor Presidente, fuori di qui, anche oggi (come ieri, forse come domani e così fino al 13 giugno), il Presidente del Consiglio è impegnato in una performance psicolinguistica incredibile, da non credere: un fiume di veleni, insulti, vilipendi istituzionali, un fiume di odio e di follia verbale, scaraventato sul paese per capovolgere la verità e per provocare reazioni che giustifichino altro odio e altri insulti. Una strategia da kamikaze dell'insulto per incendiare la vita pubblica del paese (Applausi dei deputati dei gruppi della Margherita, DL-L'Ulivo e dei Democratici di sinistra-L'Ulivo). Contemporaneamente, il Parlamento è costretto, giorno e notte, a lavorare ininterrottamente per la ditta, la sua ditta.
Berlusconi, ma anche il presidente Adornato e altri colleghi della maggioranza, hanno irriso a questa nostra battaglia, dicendoci: con tutto quello che il Parlamento ha da fare! Appunto. Con tutto quello che ci sarebbe da fare, cari colleghi della maggioranza! Da settimane, chiudiamo il mercoledì sera, perché il Parlamento non ha materia pronta. Da settimane, i provvedimenti più importanti, al centro delle contestazioni della vostra crisi, della vostra cosiddetta verifica, vengono rinviati sine die. Non c'è responsabilità dell'opposizione. Con tutto quello che c'è da fare!
Quello che stiamo facendo noi è ostruzionismo? In senso formale sì, in senso politico no. È l'unico modo, cari colleghi della maggioranza, caro presidente Romani, cari signori del Governo, che ci è riservato - e ci umilia - per riuscire a dire qualcosa sui temi dell'informazione. Sui temi del pluralismo informativo, ossia la questione centrale di tutte democrazie moderne, il Parlamento non può discutere; gli è sottratta la possibilità, non di esprimere un voto, ma di esprimere valutazioni, di concorrere, assieme alla maggioranza, a definire le soluzioni più adeguate.


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Avete utilizzato tutto l'armamentario ordinamentale per impedire al Parlamento di occuparsi di queste materie. Non ci resta altro modo per discutere. Così avviene anche nel caso del conflitto di interessi. Cari colleghi della maggioranza, signori del Governo, signor ministro per i rapporti con il Parlamento, lasciamo stare i mille giorni dall'inizio della legislatura; sono 130 giorni che la Commissione affari costituzionali del Senato ha concluso il riesame della legge Frattini, ma il testo non va in aula. In questa legislatura ci siamo abituati a vederne di tutti colori; ci eravamo ormai abituati alla prepotenza numerica della maggioranza, che non apre mai un dialogo su nessun provvedimento, neppure su questo, sul quale, all'indomani della decisione della Corte costituzionale, vi avevamo annunciato la nostra disponibilità a lavorare insieme per trovare una soluzione. Non ci avete consentito di discutere nemmeno dei contenuti di un provvedimento su cui avevamo dichiarato la disponibilità a collaborare. Ci siamo abituati a queste forme, per usare un'immagine ormai nota, di dispotismo dolce, di dispotismo della maggioranza. Confessiamo - non vorrei mettere in imbarazzo il Presidente Casini - che non eravamo preparati alla manipolazione del calendario parlamentare per interessi privati. Il mancato inserimento nel calendario dei lavori dell'Assemblea del Senato del provvedimento Frattini ha una sola spiegazione (l'ha illustrata efficacemente in quest'aula il collega Gentiloni): l'articolo 3 e l'articolo 6 di quel testo di legge, che pure è un testo di legge che non risolve il conflitto di interessi, avrebbero impedito l'emanazione del decreto che è alla nostra attenzione, avrebbero impedito la possibilità di porre la questione di fiducia. Questa è l'unica ragione per cui non va avanti l'esame di un provvedimento che è maturo, stramaturo.
Berlusconi, nella conferenza stampa del 20 dicembre scorso, la conferenza stampa di fine anno, aveva definito il tema del conflitto di interessi una favola metropolitana e aveva attribuito la responsabilità della mancata approvazione all'ostruzionismo parlamentare delle opposizioni. Le opposizioni vi chiedono di procedere, non fanno ostruzionismo! Siete voi che non volete portare avanti il provvedimento (Applausi dei deputati dei gruppi della Margherita, DL-L'Ulivo, dei Democratici di sinistra-L'Ulivo e Misto-Comunisti italiani)!
Non c'è più in aula l'onorevole Bondi, che ama dissertare di questo argomento, forse per un qualche «tic» autobiografico (parlo dell'argomento bugia e menzogna); c'è una manifestazione più efficace di come si possa manipolare la verità, capovolgere la verità, costruire la menzogna, della citazione, che ho appena fatto, del discorso del Presidente del Consiglio? Onorevole Bondi, quando si partecipa ai dibattiti televisivi, non è il caso di interrompere l'interlocutore dicendo: menzogna, menzogna, menzogna; vergogna, vergogna, vergogna. Forse è una tecnica che le hanno insegnato, ma la verità è che siete voi che ci inducete a dire: vergogna! Vergogna! Vergogna! Menzogna! Menzogna! Menzogna (Applausi dei deputati dei gruppi della Margherita, DL-L'Ulivo, dei Democratici di sinistra-L'Ulivo, Misto-Comunisti italiani e Misto-Socialisti democratici italiani)! La nostra è una esplicita denuncia della parzialità, della dipendenza politica, della responsabilità istituzionale del Presidente del Senato, senatore Pera, il quale non può nascondersi dietro a un voto dell'Assemblea (Applausi dei deputati dei gruppi della Margherita, DL-L'Ulivo e dei Democratici di sinistra-L'Ulivo), essendo chiare le sue prerogative nella formulazione dell'ordine del giorno dei lavori parlamentari.

PRESIDENZA DEL VICEPRESIDENTE FABIO MUSSI (ore 17,40)

PIERLUIGI CASTAGNETTI. In questo senso voi capite che il riconoscimento, che abbiamo più volte ribadito anche stanotte, del digiuno che sta facendo da due settimane il nostro collega, Roberto Giachetti, non è un atto dovuto (Applausi dei deputati dei gruppi della Margherita, DL-L'Ulivo, dei


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Democratici di sinistra-L'Ulivo e Misto-Socialisti democratici italiani), una solidarietà dovuta a un collega del nostro gruppo: gli siamo grati perché sta facendo una battaglia per tutti noi, colleghi di maggioranza e colleghi di opposizione, una battaglia in difesa delle prerogative parlamentari e, dunque, della democrazia.
Ci avete costretti ad arrivare a questo punto, perché non sappiamo più come difendere queste prerogative.
Vorrei svolgere una valutazione più specifica sul decreto-legge in esame. Esso è stato adottato per salvare Retequattro, ossia l'azienda del Capo del Governo (e non RAI 3 che, come è noto e documentato, non è mai citata nella sentenza della Corte costituzionale), che non vuole andare sul satellite, che rappresenterebbe il futuro della comunicazione, perché è interessata ad incassare i soldi della pubblicità, tanti, tutti e subito. Gli altri devono andare sul satellite, le aziende del Presidente del Consiglio no! Allora, stiamo discutendo di conflitti di interessi, e come!
Tuttavia, con questo decreto-legge si dovrebbero anche verificare i dati della diffusione del digitale terrestre e del decoder a prezzi accessibili. Lasciateci esprimere l'indignazione, oltre che nostra, della maggioranza degli italiani, di quelli che faticano a sbarcare il lunario e che vivono il dramma della minaccia della perdita del posto di lavoro, come gli operai di Terni. Lasciateci esprimere l'indignazione di tanti ricercatori del nostro paese costretti ad andare all'estero, che avvertono come un'offesa alla loro dignità di cittadini il fatto di leggere nella legge finanziaria ed in altri testi di legge che il decoder sarebbe una delle priorità verso la quale interviene con dei contributi questo Stato squattrinato, che non ha soldi, ma ha risorse per favorire l'accessibilità al decoder. È una vergogna! C'è bisogno di un sussulto di dignità; siamo senza parole di fronte a questa situazione.
Da ultimo, vorrei dire una parola sull'incredibile - e sottolineo incredibile - aggressione da parte del Capo del Governo alla Corte costituzionale, ai suoi membri, al suo presidente, divenuti improvvisamente colpevoli semplicemente di esistere, di essere lì, anche se votati all'unanimità, come nel caso del presidente, di avere una propria testa e di permettersi il lusso (che è un dovere costituzionale) dell'indipendenza. Sono stati sferrati attacchi incivili ed irresponsabili al solo scopo di intimidire, a prossima memoria, la Corte costituzionale.
Non vi sono precedenti né paragoni con altre democrazie. Il Capo del Governo sta mettendo in atto una vera e propria strategia di scardinamento degli equilibri costituzionali, puntando ormai decisamente a destabilizzare il supremo organo di garanzia della nostra Repubblica.
Allora, ci chiediamo cosa ci attende nei prossimi mesi e nelle prossime settimane. Perché si vuole scardinare la credibilità e l'autorevolezza della Corte costituzionale? Che cosa avete in mente? Ci chiediamo il motivo del silenzio di tanti autorevoli colleghi della maggioranza, della cui preoccupazione, pari alla nostra, siamo sicuri. Perché state in silenzio? Si possono attendere 24 ore o 48 ore, confidando in un ripensamento, ma poi occorrerà porsi il problema del modo in cui evitare la dissoluzione finale dell'architettura costituzionale della nostra Repubblica.
Colleghi della maggioranza, cercate di leggere in questa nostra modalità inconsueta, ma non scorretta, di opporci a questo decreto-legge anche un estremo tentativo per richiamare tutti, voi e noi, alle nostre responsabilità (Applausi dei deputati dei gruppi della Margherita, DL-L'Ulivo, dei Democratici di sinistra-L'Ulivo, di Rifondazione comunista, Misto-Comunisti italiani e Misto-Socialisti democratici italiani - Congratulazioni).

PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto l'onorevole Bertinotti. Ne ha facoltà.

FAUSTO BERTINOTTI. Signor Presidente, se qualcuno chiedesse il motivo per cui siamo qui a condurre questa battaglia con l'indignazione che avete sentito, certo ci si potrebbe riferire, in primo luogo, al merito del provvedimento, un merito forte,


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perché lo stesso introduce una grave ed ulteriore lesione al pluralismo comunicativo auspicato, con un metodo grave, a sua volta, e con una lesione del pluralismo che si consuma in quest'aula e che dovrebbe essere garantito nelle istituzioni.
E l'uno e l'altro, quello comunicativo e quello istituzionale, parlano di un impoverimento grave che la maggioranza induce sulla democrazia politica del paese.
Ci sono elementi che colpiscono: la questione di fiducia posta su un decreto-legge. Ed è inutile che la maggioranza si eserciti nei paragoni con il passato e con il numero delle volte in cui il centrosinistra, seppur colpevolmente, ha usato lo strumento del decreto-legge. Quando la sensibilità democratica delle istituzioni era alta, vorrei ricordare che un padre costituente come Lelio Basso aveva parlato in quest'aula di un colpo di Stato «bianco» di fronte al ricorso reiterato alla decretazione d'urgenza da parte del Governo.
Siamo realmente di fronte, nel caso specifico, ad una enormità. La sentenza della Corte costituzionale del novembre 2002 ha fissato in maniera inequivoca il riequilibrio del pluralismo e le sue caratteristiche, nonché un limite temporale massimo, il 31 dicembre 2003. Avete provato con la legge a «sfondarlo» e non vi è riuscito; riprovate ora attraverso la questione di fiducia posta sul decreto-legge in esame. Questione di fiducia su un decreto-legge che si applica all'irrisolto conflitto di interessi e che investe in primo luogo la figura del Presidente del Consiglio.
Inutile, anche in questo caso, prendersela con il fatto che non sia stato risolto prima il conflitto di interessi, colpevolmente; qui c'è un'aggravante molto pesante, ovvero che il conflitto di interessi irrisolto investe il Presidente del Consiglio e le sue proprietà. Pertanto, la nostra indignazione e la nostra rabbia si spiegano con il merito, ma anche di più, con quelle vostre incongruenze che squalificano la politica.
Voi vi definite liberali: in che cosa? Si potrebbe comprendere l'atteggiamento critico nei confronti della legge, il «sorpasso» in nome di altre culture, magari quella di Marx o quella di Paolo di Tarso. Voi no! Siete liberali ed invece stracciate la legge in nome della cosa più volgarmente materiale, l'interesse di una parte, gli interessi materiali di un'impresa, l'unica cosa alla quale in fondo credete. Qui non vi è alcun liberale: c'è chi si batte in nome di una diversa giustizia nel paese e chi si batte per difendere gli interessi delle imprese, delle proprie imprese!
Vi appellate spesso all'autorità repubblicana, l'unica che riconoscete, quella del Presidente della Repubblica, formalmente; non so qui se siate in grado di ridurre la gravità dell'offesa che gli portate attraverso un aggiramento che in realtà è peggio della ribellione, perché configura in pratica un imbroglio, un abbindolamento per cercare di fare quello che vi è stato chiesto di non fare.
In realtà, non è l'autorità alta ad essere sotto tiro, bensì le autorità del paese. Quello che voi non sopportate è il sistema delle autonomie - parola troppo impegnativa -, meglio, quello che voi non sopportate è una qualsiasi autonomia.
In realtà, questo Governo non è nella tradizione del paese, non è italiano nè europeo. Non sa vedere la densità della società civile italiana ed europea, che è quello che fa la forma concreta della sua democrazia. Non è la nostra cultura quella che dovrebbe proporvi l'attenzione ai corpi intermedi della società: è quella cattolica cui fa riferimento una parte importante di questa maggioranza. Voi la irridete: tutte le realtà istituzionali ed associative che costituiscono la densità della società civile vengono travolte.
Il vostro obiettivo è quello di desertificare la società, i suoi punti di organizzazione, di comunicazione, di rete: la televisione come la scuola, come la magistratura, come l'organizzazione della società. Voi vivete una rivolta di tali realtà organizzate: le università italiane sono in assemblea; la magistratura proclama lo sciopero generale; i medici scioperano in difesa del servizio pubblico. Se tali forme democratiche di organizzazione fossero ricordate con l'antico nome da cui derivano,


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quello delle corporazioni, voi avreste la rivolta delle corporazioni contro un'autorità che si pretende imperiale.
Tuttavia, la ragione di fondo della nostra rabbia non sta neanche in tale vilipendio della società italiana, sta nel vilipendio nei nostri confronti. Quello che non sopportiamo - vogliamo dirvelo - ha una ragione egoistica: non sopportiamo che ci riduciate a quello che vedete in questa sede. Ci costringete a condurre una battaglia difensiva in nome di una legalità così largamente erosa. Ci costringete - noi che vorremmo trascenderla - a difendere la regola contro la vostra sete di arbitrio, contro la volontà di asservire ogni pezzo della società italiana, di negare le ribellioni in corso contro il vostro tentativo arbitrario.
Non sopportiamo di essere ridotti a fare la guardia al bidone a cui siamo costretti dalla vostra protervia, dalla vostra arroganza e dalla vostra difesa di interessi di parte. Vorremmo liberarci per poter liberare il paese da voi. Siamo in una condizione insopportabile. Siamo costretti, anche sulle comunicazioni, a difendere quel poco di pluralismo che è rimasto. Invece, vorremmo parlare della riforma del sistema radiotelevisivo. Vorremmo parlare della necessità di una società moderna, di fronte al declino ed alla crisi del paese, di un asse strategico non solo per la democrazia, ma anche per lo sviluppo costituito dal bene immateriale che sono le comunicazioni. Non è soltanto una questione di democrazia, ma di densità dello sviluppo del paese. Se non volete concorrere con le multinazionali che stanno insediate in Cina, dovete pensare ad un diverso tipo di sviluppo.
A noi piacerebbe discutere di ciò: ci piacerebbe discutere della televisione come della scuola, cioè dei nuovi luoghi dove si crea un diverso sviluppo. Sentiremmo il bisogno di scrivere collettivamente una lettera sulle comunicazioni che riecheggiasse la profondità, la ricchezza, la rottura rivoluzionaria della Lettera ad una professoressa scritta da Don Milani. Ci piacerebbe scrivere agli operatori del sistema radiotelevisivo per poter ripensare tale sistema nell'accesso, nella produzione di informazioni, nello sforzo di delineare una sfida alta per costruire, in controtendenza all'imbarbarimento ed all'impoverimento delle culture seriali, una nuova cultura democratica, popolare e ricca del paese come una risorsa per il suo sviluppo.
Vorremmo chiederci dove è finita la capacità critica che ha attraversato negli anni Settanta tali poderosi strumenti di comunicazione che, anche quando veniva teorizzato che il mezzo è il messaggio, riuscivano a produrre esperienze diverse che lo attraversavano. Vorremmo poter uscire da tale cultura della controriforma e realizzare, pensare, progettare una diversa informazione.
Invece, siamo costretti a contrastarvi perché voi, con un atto come questo, non realizzate solo un provvedimento materiale che regala una rendita di posizione a Mediaset, non fate soltanto un regalo ad un'impresa. In realtà, accompagnate il processo concreto di controriforma che quotidianamente inverate attraverso Mediaset ed attraverso una RAI sempre più privatizzata, tanto che è difficile, ormai, distinguere il prodotto dell'una dal prodotto dell'altra, distinguere il modello da chi viene egemonizzato.
Vorremmo fare un discorso di riforma dei contenuti della comunicazione e delle forme di governo di una radiotelevisione autogestita. Invece, così come ieri eravamo costretti a difendere Biagi, Santoro e la satira, allo stesso modo siamo oggi costretti a ribellarci alla vostra arroganza, per cercare di riprodurre un intervento critico. Si potrebbe farla lunga, ma facciamola breve: Beppe Grillo va in giro a portare verità critiche in tutto il paese, con un successo gigantesco, ma gli è impedito di portarle alla televisione. Paolo Rossi, comico di valore, fa uno spettacolo in cui ad un certo punto legge un passo di Pericle sulla democrazia. Ebbene, egli voleva portarlo in una trasmissione televisiva, ma gli è stato impedito: Pericle è troppo attuale!
È di fronte a tale quadro sconcertante che a noi fa un po' pena, per noi stessi,


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essere qui a fare questa parte per dovervi contrastare (Applausi dei deputati dei gruppi di Rifondazione comunista, dei Democratici di sinistra-L'Ulivo, della Margherita, DL-L'Ulivo, Misto-Comunisti italiani, Misto-Socialisti democratici italiani e Misto-Verdi-L'Ulivo - Congratulazioni).

PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto l'onorevole Cusumano. Ne ha facoltà.

STEFANO CUSUMANO. Signor Presidente, onorevoli colleghi, la conversione in legge di questo decreto-legge rappresenta l'ennesimo atto di sopraffazione dell'attuale Governo, che ha fatto ricorso alla questione di fiducia per salvare Retequattro. È incomprensibile questa decisione del Governo, in un Parlamento in cui l'attuale maggioranza ha ben 110 parlamentari in più. Non può quindi definirsi un atto di fiducia verso il Governo, perché sembra piuttosto un atto di sfiducia verso la maggioranza che lo sorregge.
In questo contesto, Silvio Berlusconi rischia di essere veramente un illiberale. Questo Governo attacca la Corte costituzionale, proprio come sono abituati a fare i governanti nei paesi affetti da cultura illiberale, che scatenano quotidiane offensive agli istituti di garanzia della sovranità popolare e della legalità costituzionale.
I deputati di Alleanza popolare-UDEUR esprimono la loro decisa opposizione al provvedimento del Governo, che dovrebbe far ribellare la stessa maggioranza, almeno quanto imbarazza noi dell'opposizione. Più volte abbiamo espresso il nostro dissenso, in rapporto alla mega anomalia italiana: il Presidente del Consiglio è infatti gravato da un conflitto di interessi come non si è mai visto in nessun tempo e in nessun'altra parte del mondo.
Il nostro è un dissenso totale sul metodo adottato, che non ha eguali nella prassi parlamentare. Non si è mai visto che una sentenza della Corte costituzionale dichiari l'illegittimità di una norma di legge, che il Parlamento predisponga questa norma, che il Capo dello Stato vi opponga il proprio veto, e che poi un decreto-legge riporti ancora una volta in vigore la norma censurata dalla Consulta, per di più con la posizione, su di essa, della questione di fiducia da parte del Governo.
Il decreto-legge, cari colleghi, sul quale è stata posta la questione di fiducia è solo lo strumento più certo e più sicuro per mantenere nel portafoglio del premier, fino all'avvento del digitale, la Retequattro di Mediaset. Ciò avviene contro qualsiasi logica di antitrust, contro qualsiasi garanzia di effettivo pluralismo, contro il rispetto della legge e contro le pronunce della Corte costituzionale. Ci siamo opposti con ogni mezzo, anche con questa nostra forma di ostruzionismo parlamentare, che non è senza successo, perché può anche darsi che il Governo porti a casa la legge di conversione del decreto, ma abbiamo informato il paese, l'Europa e il mondo delle strane cose che avvengono in questa nostra democrazia malata.
Non sappiamo con certezza se il Capo dello Stato promulgherà la legge di conversione del decreto in esame, visto che le modificazioni implicano degli oneri di personale e di funzionamento per l'Autorità garante e visto che, sostanzialmente, la struttura linguistica delle modifiche cade nell'arbitrio legislativo ed esecutivo.
Retequattro, se non è l'ammiraglia di Mediaset, è sicuramente la più sicura nave della flotta comunicativa di Silvio Berlusconi. L'Autorità antitrust, più volte ed invano, ha reso noti i dati della raccolta pubblicitaria che vede le aziende del Presidente del Consiglio continuare a sforare, in modo più che consistente, i limiti di raccolta imposti dalla legge.
Sono migliaia di miliardi che Mediaset, grazie a Retequattro, assorbe più del dovuto, ai danni delle tante televisioni locali, ormai allo stremo, e della carta stampata.
Quanto al pluralismo, che anche questo provvedimento nega, diventa quasi patetico il mio richiamo al messaggio ed alle parole del nostro Presidente della Repubblica. Con dolore, constatiamo che sono state parole al vento, data la protervia della maggioranza nel mantenere Retequattro in chiaro, pur avendo avuto anni


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di tempo per individuare soluzioni adeguate a mantenere gli attuali livelli occupazionali e soluzioni utili a non deludere i propri spettatori.
Il pluralismo è stato negato, a causa dell'iperdimensionamento persistente in una delle aziende in campo, quella del Presidente del Consiglio; il pluralismo è stato aggirato vergognosamente dalla quadriglia degli adempimenti previsti che dovranno seguire alla pronuncia dell'autorità chissà quando.
Anche il ruolo della Corte costituzionale risulta fortemente messo in crisi dall'approvazione di tale provvedimento. È dal 1994, infatti, che essa mette in guardia sul grave deficit di pluralismo del sistema televisivo italiano, tarato da una così consistente anomalia. Nel novembre 2002 è nuovamente intervenuta, chiedendo un limite certo alla proroga concessa a Retequattro. Altro che limite, cari colleghi! Il limite certo scelto dalla maggioranza guidata da Silvio Berlusconi è stato affidato ad un marchingegno procedurale dai tempi incerti, con una modifica di concetti, quale quello di copertura nazionale.
Si tratta di una manipolazione legislativa che ricorda proprio il gioco delle tre carte. Di fatto, la maggioranza sta pronunciando con questo provvedimento e con la fiducia posta su di esso un «chi se ne importa» delle sentenze della Corte costituzionale, nonché un plateale «chi se ne importa» delle indicazioni del Presidente della Repubblica, del rispetto della legge, dell'ottemperanza alle delibere dell'Antitrust; è un menefreghismo da magliari, arrogante ed incredibile all'interno di un sistema democratico nel quale il rispetto delle norme e delle istituzioni dovrebbe essere il pilastro fondante della sua stessa esistenza.
Per tali motivi, i deputati dell'UDEUR-Alleanza Popolare esprimono con forza il proprio «no», denunciando all'opinione pubblica ed agli elettori quanto sia grave l'aver posto la questione di fiducia su un provvedimento che ha sostanzialmente carattere elusivo, se non addirittura eversivo per quanto prima espresso e che costituisce, a nostro parere, un atto gravissimo contro la Repubblica (Applausi dei deputati dei gruppi Misto-Alleanza Popolare-UDEUR, dei Democratici di sinistra-L'Ulivo, della Margherita, DL-L'Ulivo e Misto-Verdi-L'Ulivo - Congratulazioni)!

PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto l'onorevole Rizzo. Ne ha facoltà.

MARCO RIZZO. Signor Presidente, onorevoli colleghi, il decreto-legge in esame rappresenta uno degli ultimi capitoli delle leggi sugli affari di famiglia che sono la più grande attività di questo Governo, anzi forse l'unica vera attività, portata a compimento dal Governo stesso.
Negli anni di legislatura del Governo Berlusconi vi sono state tante leggi sugli affari di famiglia, a partire da quella sull'abolizione della tassa di successione anche per i grandi capitali, nonché le leggi riguardanti la giustizia.
C'era un processo sul falso in bilancio e voi cosa avete fatto? Avete approvato una legge sul falso in bilancio. C'era un processo riguardante le rogatorie internazionali e voi cosa avete fatto? Avete approvato una legge sulle rogatorie internazionali. C'era un processo a Milano, IMI-SIR e lodo Mondadori, e avete varato una legge sul legittimo sospetto, la cosiddetta legge Cirami. Ma neanche ciò vi è bastato, avete approvato una legge che tagliava la testa al toro, la legge sulle impunità, sulle immunità alle cinque alte cariche dello Stato, senza che le altre quattro cariche avessero chiesto nulla (era solo il premier Berlusconi che chiedeva). Infine, con questo provvedimento avete realizzato quella che può essere definita la quadratura del cerchio, che, tuttavia, appare contraria alla Costituzione, tant'è che la Corte costituzionale ha ritenuto illegittima quella legge.
L'unica vera vostra attività è quella degli affari di famiglia. Adesso parlate di Retequattro, cercando di «mischiarla» a RAI 3, sapendo benissimo che le due questioni sono diverse tra loro. E, mentre parlate di Retequattro, per la prima volta parlate dei lavoratori, ma non di quelli


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della Parmalat, dell'ILVA, della Ferrania, di Terni, ma dei lavoratori di Retequattro che, guarda caso, potrebbero essere colpiti da questo spostamento dall'analogico, cioè dallo scatolone del televisore al satellite e, giustamente, avete il timore di perdita o di riduzione di qualche posto di lavoro. Tuttavia, mentre affermate ciò, vi dimenticate di verificare il grande incremento avvenuto nel fatturato di Mediaset, la società che appunto incorpora Retequattro, Canale 5 e Italia 1.
Da quel grande incremento che, guarda caso, è avvenuto proprio durante il Governo Berlusconi si può tranquillamente dedurre che anche quei lavoratori, come avviene spesso nelle grandi aziende, possono essere allocati sempre all'interno dello stesso sistema. Dunque, usate questi lavoratori solo per farvene scudo, uno schermo e, da questo punto di vista, ritengo siano state giuste le parole che vi hanno additato alla vergogna degli italiani.
Nel merito, questo decreto-legge mira esclusivamente a salvaguardare i vostri interessi, le vostre televisioni. Infatti, vengono totalmente ignorate le indicazioni del Presidente della Repubblica, Carlo Azeglio Ciampi, in particolare per quanto riguarda il meccanismo delle verifiche da parte dell'Autorità per le garanzie nelle comunicazioni che era e, oggi ancor più, resta insufficiente.
Lasciate aperto il tema delle trasmissioni nella cosiddetta tecnica digitale, quale portatrice di pluralismo. Sappiamo bene che il vero pluralismo si realizzerà quando saranno diversi i soggetti che potranno trasmettere programmi a loro volta diversi.
Oggi, di fatto, il digitale rappresenta solo uno specchio di quanto viene trasmesso in analogico, cioè normalmente nelle televisioni. Tuttavia, ciò costituisce un pretesto per voi, al fine di mantenere inalterato il sistema che, purtroppo, è nelle mani decise del Presidente del Consiglio, Silvio Berlusconi.
Chiedete la fiducia al Parlamento: avete un modo strano di considerare la democrazia parlamentare! Lo avete da sempre, basterebbe osservare la totale assenza del Presidente del Consiglio, Berlusconi, al question time del mercoledì in diretta televisiva. Già, perché la comunicazione non consente a questo Presidente del Consiglio di avere un contraddittorio anche con un semplice deputato per pochi minuti, in quanto il deputato parlerebbe dopo di lui per due minuti e il premier Berlusconi non regge questo confronto!
È un'idea della democrazia parlamentare che, in primo luogo, avvilisce queste istituzioni nonché la vostra maggioranza. Infatti, mai come oggi, questo voto di fiducia viene posto non per impedire il dibattito all'opposizione, ma perché avete il timore della vostra stessa maggioranza e ciò la dice lunga su quanto questo Governo sia ormai alla frutta!
I Comunisti italiani esprimeranno un voto contrario sul decreto-legge in esame, in quanto voi la fiducia non la meritate davvero (Applausi dei deputati dei gruppi Misto-Comunisti italiani, dei Democratici di sinistra-L'Ulivo e Misto-Verdi-L'Ulivo)!

PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto l'onorevole Villetti. Ne ha facoltà.

ROBERTO VILLETTI. Signor Presidente, la nostra ferma opposizione alla conversione in legge del decreto-legge Gasparri è basata su ragioni di principio e su motivazioni di metodo. Ci sono questioni che dividono fisiologicamente la maggioranza e l'opposizione in una democrazia liberale. Ben diversa è invece la situazione nella quale noi ci troviamo; noi ci dividiamo sulle regole e sul rispetto dei diritti di libertà. In questo caso ci si trova in uno stato di cose grave che dovrebbe preoccupare tutti e, quando dico tutti, dico tutta l'opposizione ma anche la maggioranza e, comunque, tutti i cittadini.
Il bene libertà non è a disposizione della maggioranza; è un bene a disposizione di tutti cittadini. È tanto importante che il Presidente della Repubblica ha inviato, su questa fondamentale materia, un messaggio alle Camere. Colleghi, sul piano dei principi il decreto-legge Gasparri nel suo complesso ratifica, di fatto, la situazione


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esistente, nella quale è minato e minacciato il pluralismo nel campo dell'informazione televisiva. Sul piano del metodo, appare assai grave che il Governo abbia utilizzato lo strumento della fiducia che, come ben si sa, riduce a zero le possibilità di modifiche da parte delle Camere. Il Governo si è arroccato sulle sue posizioni e sugli interessi del Presidente del Consiglio dei ministri; ha rifiutato, come ha detto il capogruppo Castagnetti, qualsiasi reale confronto con le opposizioni ed ha ignorato, come ha detto il capogruppo Violante, richiami ed ammonimenti.
Il decreto-legge Gasparri è rivolto a perpetuare un dominio politico sui mezzi televisivi, e non ha analogie nelle democrazie liberali occidentali. Come ben si sa - e lo ha detto il mio capogruppo, onorevole Intini - il Presidente del Consiglio dei ministri come proprietario controlla tre reti televisive di Mediaset e, come capo della maggioranza, tre reti della RAI. In questo modo si viene a configurare un vero e proprio monopolio politico nel campo dell'informazione televisiva e il pluralismo è mortificato.
Dal Presidente del Consiglio e dalla maggioranza sono venute giustificazioni a questo stato grave di cose che tuttavia nessuno può contestare; ed, infatti, nessuno le contesta. Si osserva che nonostante sei reti televisive, cioè quasi la totalità dell'universo dell'informazione televisiva, siano direttamente o indirettamente controllate dal Capo del Governo, in Italia non manca il pluralismo: le opposizioni possono far sentire la loro voce, appaiono esponenti dell'opposizione ai telegiornali e partecipano a qualche talk show. Pertanto, che cosa c'è di male in questa situazione? Se ciò non fosse vero, noi non saremmo più in una democrazia liberale; difatti, se l'opposizione non avesse la possibilità di farsi sentire e di esercitare la propria funzione ci troveremmo in un sistema diverso.
Ma non c'è solo questo, e non c'è solo il fatto che la maggioranza e, soprattutto, il Presidente del Consiglio hanno un peso preponderante nei mezzi televisivi.
Anche tale ragionamento è viziato, ed è altresì strano per chi si proclama liberale. Gli spazi di libertà non vanno concessi. Come si può pensare che vi sia un principe, per quanto generoso - e il Presidente del Consiglio non lo è affatto, rivestendo un ruolo di capo fazione - che concede gli spazi di libertà? I diritti di libertà passano attraverso regole.
Dunque, ci troviamo in una situazione allarmante, che ci deve far riflettere e che ha indotto l'opposizione a questa maratona verbale. L'ostruzionismo è uno strumento legittimo nella dialettica parlamentare, ma è uno strumento straordinario: riteniamo di trovarci di fronte a una situazione straordinaria, nella quale si manifesta una sostanziale insensibilità da parte del Governo e della maggioranza su tali temi.
Avete ripetuto di aver ottenuto la maggioranza nonostante il conflitto di interessi: ai cittadini italiani non interesserebbe affatto il pluralismo, ma solo il soddisfacimento dei propri interessi materiali. Si tratta di un'argomentazione che, come ha detto l'onorevole Bertinotti, verrebbe respinta da qualsiasi liberale. Infatti, ogni liberale professa la religione della libertà: voi, che pure vi chiamate Casa delle libertà, sicuramente non credete a tale religione.
Riteniamo di interpretare con forza tale sentimento di libertà, e lo facciamo per tutti, non solo per noi dell'opposizione, non solo per voi della maggioranza, ma per tutti i cittadini, perché crediamo che i diritti di libertà siano un patrimonio non di parte ma comune a tutto il Parlamento e a tutti gli italiani (Applausi dei deputati del gruppo Misto-Socialisti democratici italiani).

PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto l'onorevole Pecoraro Scanio. Ne ha facoltà.

ALFONSO PECORARO SCANIO. Signor Presidente, onorevoli colleghi, le vere emergenze del paese appaiono ogni giorno evidenti ai cittadini: il caro-prezzi, il progressivo dissesto dell'economia, le condizioni


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dei rapporti fra le istituzioni, l'emergenza ambientale, l'emergenza sociale, l'emergenza della guerra e la vicenda drammatica di cui si sta discutendo in queste ore al Senato, nella quale il nostro Governo, irresponsabilmente, contrappone alla tragedia irachena e alla presenza di una guerra costante l'incapacità di concorrere a qualunque svolta, mostrandosi insensibile ai richiami di milioni di cittadini che chiedono scelte di pace e non di guerra.
Di fronte alle vere realtà del nostro paese, alle emergenze dell'Italia, che appassionano e preoccupano in modo crescente i nostri concittadini, il Parlamento della Repubblica e, in particolare, la Camera dei deputati di che cosa è costretta a discutere? Del decreto-legge che salva Retequattro. È una vergogna! È una vergogna perché anche noi, che ci opponiamo a questo decreto, siamo costretti a questo triste gioco delle parti, vi siamo obbligati dall'arroganza del Governo che ha proposto una legge, la maledetta legge Gasparri. Questa legge intende introdurre un vergognoso meccanismo legislativo di condono del conflitto di interessi ma con qualcosa in più rispetto ai condoni edilizi ai quali questo Governo ci ha abituato: si tratta della licenza di continuare a costruire abusi. La legge Gasparri, infatti, non prevede soltanto il condono del passato ma anche l'autorizzazione a continuare a delinquere. È evidente, infatti, che di delitto contro la libertà e il pluralismo dell'informazione si tratta quando si crea un sistema integrato che, di fatto, consente una concentrazione di mass media mai vista in nessun altro paese di democrazia occidentale.
Ebbene, noi abbiamo visto, prima, la legge Gasparri. Il Presidente della Repubblica, dopo un messaggio, ha ribadito la necessità di pluralismo nell'informazione. Il Governo ha approvato questo decreto-legge, con una scena patetica (questa sì!), quella di Berlusconi fuori della porta. Questo decreto-legge, infatti, è stato approvato con il Presidente del Consiglio che si trovava, per pudore, lontano dalla stanza in cui si votava un provvedimento a tutela dei suoi affari personali.
Nonostante questo decreto sia già assolutamente indecente, per quanto riguarda le modalità, si scippa il Parlamento del diritto di modificarlo, del diritto di discutere. In altri termini, si pone il voto di fiducia sul disegno di legge di conversione di un decreto-legge che riguarda un problema del Presidente del Consiglio e riguardo al quale questi ha avvertito, per lo meno, la necessità di trovarsi fuori dalla stanza, quando è stato votato in sede di Consiglio dei ministri. Siamo di fronte a questo paradosso e, di fronte ad esso, è evidente che ai parlamentari non resta altro spazio se non quello per parlare, dato che ancora il bavaglio, fisicamente, non è stato imposto. Quello informativo, come vediamo, cresce. Tuttavia, siamo stati bloccati, ci è stata impedita la possibilità di intervenire con proposte emendative, con modifiche, su questo provvedimento. Siamo di fronte ad una situazione gravissima che noi dobbiamo continuare ad evidenziare e che sta diventando sempre più disgustosa, per la stragrande maggioranza dei nostri concittadini i quali - badate - se ne accorgono. L'esasperazione, l'agitazione, l'estremismo verbale (e non solo del Presidente del Consiglio), in questi giorni, è il segnale della consapevolezza del discredito che cresce, nel nostro paese, nei confronti del Governo e del Presidente del Consiglio dei ministri.
Noi dobbiamo ribadire agli italiani, da queste aule, la necessità che tali scempi di legalità abbiano fine. Spero che la compattezza dimostrata da tutte le forze di opposizione, nella dura battaglia contro questo decreto-legge, possa esserci anche su tante altre scelte riguardo alle quali è sbagliato dividersi, perché l'opposizione ha una credibilità se mantiene la sua compattezza su tutte le battaglie che riguardano la legalità, la democrazia, i diritti dei cittadini, l'ambiente e la pace e se non alimenta divisioni.
Noi oggi stiamo dimostrando, in questa Assemblea, una compattezza che, purtroppo, non c'è nelle file dell'opposizione


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nell'altro ramo del Parlamento della Repubblica e non per colpa di chi ha mantenuto sempre la stessa posizione di netta differenza rispetto ad un Governo che sta dimostrando, su tutti gli aspetti della attività politica interna e internazionale, una assoluta mancanza di credibilità e di decenza.
Non a caso questo decreto-legge salva Retequattro è una vergogna anche a livello internazionale. È emerso tutto questo e ne hanno parlato anche gli organi di stampa internazionali: emerge come un capolavoro del conflitto di interessi. Giustamente, come prima è stato fatto osservare, perfino il disegno di legge Frattini sul conflitto di interessi, che noi abbiamo considerato sempre un tentativo di sanatoria, poiché non c'è limite al peggio, oggi sembra moderatamente risolutivo per alcuni aspetti rispetto a quanto siamo costretti a vedere e a subire in Parlamento con questo decreto-legge. Siamo di fronte a questo a dimostrazione del fatto che il cosiddetto limite al peggio è difficile da trovare.
Ebbene, noi continueremo questa battaglia anche rispetto alla vicenda che si vive nel servizio pubblico radiotelevisivo dove, purtroppo, i famosi diktat bulgari di Berlusconi da Sofia - con un'offesa alla Bulgaria, che invece per molti versi ha un sistema meno pervaso da quel conflitto di interesse che c'è invece l'Italia - contro Biagi, Santoro e poi progressivamente contro tanti altri come Luttazzi, nonché le continue censure nel servizio pubblico hanno dimostrato che vi è un disegno organico di riduzione degli spazi di libertà e di democrazia.
Siamo di fronte a questo, di fronte al massacro dell'emittenza libera privata e diffusa sul territorio nazionale. Siamo di fronte ad un'azione costante che distrugge quegli elementi di libertà di informazione e di espressione che sono stati sanciti dalla Corte costituzionale fin dal 1975 con la sentenza che riconobbe la libertà di antenna in Italia per aumentare la possibilità dei cittadini di esprimersi. Gli attacchi in questi giorni alla Corte costituzionale dimostrano che ancora una volta si vuole tentare di picconare tutti gli ambiti istituzionali e i contrappesi esistenti nel nostro paese per costruire sempre più un meccanismo proprio di un regime non democratico ma autoritario.
Ebbene, su queste cose i Verdi continueranno la loro opposizione dura qui e nel paese, insieme alle forze dell'opposizione, in modo compatto, sperando che su tutti i grandi temi della democrazia e su tutte queste grandi battaglie, ci sia una coesione che prima o poi sviluppi anche qualche elemento di coscienza nei parlamentari del centrodestra. È vero che vengono continuamente ricattati dai voti di fiducia, però è anche vero che ogni tanto ci si aspetterebbe qualche manifestazione di ribellione individuale, di civiltà residuale rispetto a questo scempio continuo di legalità e di democrazia a cui assistiamo in queste aule (Applausi dei deputati del gruppo Misto-Verdi-L'Ulivo).

PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto l'onorevole Valpiana. Ne ha facoltà.

TIZIANA VALPIANA. Signor Presidente, in questa maratona e su questo provvedimento ne abbiamo ormai sentite di tutte e di più, ma non siamo in onda sulla RAI. Come appare chiaro ormai a tutto il paese, siamo in onda su Mediaset e stiamo vedendo l'ennesima, orrenda puntata dell'infinita serie «Salverò Retequattro». Non è nostra intenzione aggiungere qualche puntata a una fiction di pessima qualità. In qualcuna delle telenovelas trasmesse da Retequattro, quando la storia arriva a un punto morto, si inventa un tradimento, un colpo di scena, la confessione trent'anni dopo di una paternità inaspettata. Anche in questa telenovela c'è quello che con rimembranze dantesche, potremo definire l'uomo dello schermo, il ministro Gasparri. Invece, è ormai chiaro a tutti, fin dall'inizio, che la paternità, la vera paternità, è del Presidente del Consiglio. La paternità di un nuovo decreto-legge che ha lo scopo di tutti gli altri di questa tragedia-commedia: salvaguardare gli interessi privatissimi del cavalier


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Silvio Berlusconi, questa volta nella parte di mero proprietario di reti televisive.
D'altra parte, il parallelo televisivo con il mondo dell'avanspettacolo - quello da cui il Presidente del Consiglio ha preso le prime mosse - potrebbe continuare all'infinito perché tante, troppe sono le similitudini tra questo Governo di plastica e il plastico mondo virtuale che ci viene offerto attraverso lo schermo. Ma purtroppo qui siamo in una tragedia maledettamente concreta e vera, la tragedia di un Governo occupato, mentre il paese va a rotoli, con i problemi legali e i profitti personali del Presidente del Consiglio dei ministri. La tragedia di un paese costretto ad assistere ad un dialogo tra sordi, in cui un preoccupato Presidente della Repubblica manda messaggi alle Camere e respinge le leggi, trovandosi di fronte una maggioranza che finge di non capire per continuare a perseguire i propri obiettivi. La tragedia di un paese costretto ormai ad un visibile aumento della povertà, dovuto - così ci viene raccontato - ora alla mancanza dell'euro di carta, ora a noi, improvvide massaie, che non sappiamo fare la spesa con oculatezza, come sa invece fare «mamma Rosa».
La tragedia di un Parlamento che vede imbavagliate non soltanto le opposizioni, ma anche una maggioranza in cui i malumori e le risse interne vengono occultati con un voto di fiducia. La tragedia di un popolo che ha creduto di poter cambiare dando il voto alla Casa delle libertà, e oggi si ritrova senza casa, senza libertà e costretto a difendere, scendendo in piazza, i diritti e i servizi essenziali: la scuola, la sanità, le pensioni, il lavoro, il salario. La tragedia - non possiamo definirla in altro modo - di una guerra preventiva per esportare la democrazia - sì, proprio così, pensiamo di avere della democrazia da esportare - e per combattere il terrorismo con il terrorismo delle potenze cui il nostro Governo ha dato entusiastica adesione, sempre più vassallo degli USA, incurante della maggioranza degli italiani che un anno fa si oppose alla guerra preventiva e che oggi vuole che i soldati italiani rientrino da una missione infinita in una guerra mai finita.
Di fronte a tutti questi problemi, la discussione di oggi rischia di apparire ben poca cosa e di non riuscire a parlare alla maggioranza degli italiani, e solo la nostra decisione di entrare nel merito di ciò di cui stiamo parlando - cioè il pluralismo dell'informazione, che è premessa della democrazia - ha dato conto della concezione proprietaria dell'informazione del Presidente del Consiglio e della maggioranza che sostiene le sue fortune e le sue ricchezze.
Questo decreto-legge che proroga il regime transitorio che consente a Retequattro di restare sulle frequenze terrestri fino alla verifica - così prevede il decreto - dell'effettivo arricchimento del pluralismo, derivante dall'espansione del digitale terrestre, rappresenta ancora una volta un provvedimento con il quale si cerca di distogliere l'attenzione da un conflitto di interesse che invece continua ad appalesarsi da tutte le parti e anzi, proprio con questo testo, diventa chiaro per tutto il paese.
Invece della strada della riconversione - la prima sentenza della Corte costituzionale è del 1994, ci sarebbe stato tutto il tempo per imboccare una nuova strada - si è seguita la strada dell'arroganza e della sfida, agitando il fantasma della disoccupazione per arrivare ad una soluzione autoritaria, dalla quale avete scelto di cancellare anche le più ragionevoli riflessioni che l'opposizione aveva svolto con i propri emendamenti, facendola approvare con un voto di fiducia che evidenzia come non esistano limiti alla spudoratezza e alla menzogna che questo Governo sta raccontando al paese e che si sarebbe voluto nascondere, anche imbavagliando il Parlamento con il voto di fiducia.
La nostra resistenza ha invece reso chiaro a tutti quanti vantaggi politici derivino all'onorevole Berlusconi dal controllo della maggior parte dell'informazione e quanti vantaggi economici derivino al cavaliere Berlusconi dal controllo della


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maggior parte dei parlamentari. Non siamo più al conflitto di interessi, siamo all'inaccettabile e non lo accetteremo più (Applausi dei deputati del gruppo di Rifondazione comunista).

PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto l'onorevole Russo Spena. Ne ha facoltà.

GIOVANNI RUSSO SPENA. Signor Presidente, il gruppo di Rifondazione comunista voterà contro questo provvedimento, sia per ciò che esso espressamente statuisce, sia per ciò che cela, sia per la situazione a cui esso allude. Non vi è dubbio, infatti, che nel merito il provvedimento in esame aggiri, con un vergognoso stratagemma, la sentenza n. 466 del 2002 della Corte costituzionale, come hanno già ampiamente dimostrato i colleghi e le colleghe intervenuti nel dibattito.
Vi è un punto dirimente, che attiene all'identità stessa di un'informazione democratica: il pluralismo televisivo può essere garantito solo da una disciplina legislativa idonea a contrastare la formazione di posizioni dominanti.
Vorrei rammentare, a tal proposito, che l'Autorità per le garanzie nelle comunicazioni ha sollecitato il legislatore ad individuare precisi indici di riferimento per accertare la diffusione del digitale terrestre, ed ha segnalato al Parlamento, con preoccupazione e con allarme, quanto ampi siano gli spazi di discrezionalità interpretativa ed i margini di incertezza delineati dal presente provvedimento, che in tal modo degrada nell'arbitrio, fuoriuscendo da quel complesso di norme, di regole e di statuizioni dello stesso impianto costituzionale. Esso, in altri termini, fuoriesce violentemente ed ostinatamente da tutto ciò che noi comunisti osiamo ancora nominare costituzionalismo democratico e Stato di diritto.
In tal modo, la fiducia preventiva, imposta al Parlamento quasi come protesi della dottrina della guerra preventiva del comando imperiale, viene ad assumere un significato che inquieta: una sorta di metafora di un sovversivismo anticostituzionale, di istituzioni che vengono piegate al fatturato privato. La dittatura della maggioranza si coniuga, così, con l'arbitrio proprietario, con l'immunità e l'impunità del ceto proprietario.
Le parole più recenti di Berlusconi, di poche ore fa, istigano al reato di evasione fiscale, perseguito dal codice penale, ma attaccano, di fatto, anche il principio costituzionale della progressività del sistema fiscale. Le sue parole, che tendono a svuotare la funzione della Corte costituzionale, somma reggitrice dell'equilibrio dello Stato, perché anch'essa, evidentemente, «covo di bolscevichi», sono indicibili per igiene costituzionale.
Non sottovalutiamo tali parole. Non siamo di fronte solo ad un delirio che scaturisce da un subcultura che non sa concepire lo Stato se non come gerarchia aziendale e padronale: no, non è solo questo. Qui siamo sfidati sulla concezione stessa di un sistema politico democratico e di un ordinamento costituzionale. Vengono evocati, infatti, nessi istituzionali che, attraverso la funzione e la propensione dell'informazione, attengono alla fisionomia ed al funzionamento stesso della democrazia.
È molto significativo, onorevoli colleghe e colleghi, il fatto che la stessa Autorità per le garanzie nelle comunicazioni ricordi che la tutela del pluralismo informativo rappresenta un obiettivo che trova non solo nel nostro ordinamento istituzionale, ma nel complessivo spazio giuridico europeo un preciso riconoscimento, che deve essere garantito, in primo luogo attraverso gli strumenti di tutela del pluralismo e della concorrenza.
Se siamo allora allo sfregio della Costituzione e di fronte ad un provvedimento dettato dagli interessi privati del Presidente del Consiglio, o meglio, ad un caleidoscopio imperante di un'ipocrisia che subordina la democrazia al business e al fatturato, è perché il Capo del Governo pensa di rilanciare se stesso, ritagliandosi il ruolo di costruzione e rappresentanza delle pulsioni viscerali del paese, che sono regressive e populiste, e che bordeggiano al confine tra legalità ed illegalità. «Crisi di


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una borghesia in nero», disse Buñuel in un suo splendido film trent'anni fa, ed insieme egli descrisse magistralmente la grande abbuffata, come aspetto tragico e grottesco, ma intrinseco, di questa crisi della borghesia.
Il rapporto tra Stato e cittadino viene realizzato solo attraverso la continua minaccia della carcerizzazione contro il conflitto, o dell'internamento di massa, contro quella che Bauman chiama «l'eccedenza della società», vale a dire gli emarginati, o i poveri Cristi - chiamateli come volete! È questa la società disciplinare, che è sistema strutturale dello Stato etico, uno Stato, cioè, totalitario ed organicista, che detta comportamenti e proietta nelle norme una religiosità integralista, uno Stato che sorveglia e punisce.
È una crisi che assume, quindi, i contorni, i lineamenti netti di un neoemergenzialismo, di una governabilità imposta attraverso l'assolutismo.
Insomma, questo provvedimento - che voi volete farci votare, che voi ci costringete a votare, signori del Governo - non a caso si colloca nel contesto di una crescente ossessione sicuritaria che, come altra faccia della stessa medaglia - della stessa medaglia - ha la legge sulla procreazione assistita, la proposta di legge Fini contro i tossicodipendenti, il disegno di legge che propone di abolire la giustizia minorile e persino una proposta di legge che vuole riaprire i manicomi (presentata dalla presidente della Commissione parlamentare per l'infanzia).
Lo Stato etico, del resto, ha sempre celato l'ipocrisia dei grandi arricchimenti di regime. Sono due facce, appunto, della stessa medaglia. Insistendo nel paragone cinematografico che ho proposto poc'anzi, si potrebbe dire: Vizi privati, pubbliche virtù. Ma qui, forse, siamo di fronte a vizi privati e ad immani vizi pubblici che fanno dello Stato di diritto, con una torsione straordinariamente grave, la stalla dei poteri economici e dei poteri finanziari forti.
Il Governo Berlusconi è spaesato. La sua maggioranza è divisa: in qualche modo, essa è allo sbando; tuttavia, non dobbiamo, per questo, sottovalutarne la pericolosità. Non dobbiamo - attraverso gli errori che anche il centrosinistra sta commettendo in queste ore, ad esempio al Senato - permetterle di rilanciarsi con il populismo, con la demagogia populista. Diventa, invece, sempre più urgente, colleghe e colleghi, sconfiggerla. Possiamo farlo riconnettendo - è questo, oggi, il sentiero principale - lotte democratiche e lotte sociali, difesa della democrazia organizzata e conflitto sociale. In queste ore, in questi giorni, in questi mesi, vediamo più che mai che democrazia organizzata e conflitto sociale non possono svolgersi in parallelo, ma devono continuamente intrecciare i piani ed i campi dell'azione. Questo l'azzardo, questa la sfida!
All'interno di tale sfida, Rifondazione comunista farà la sua parte con unità e radicalità, perché noi pensiamo che nelle lotte concrete si condensi e si depositi la progettazione del futuro. La democrazia conflittuale, organizzata, partecipata è, appunto, l'orizzonte di questa difensiva. Certo, difensiva, ma con un orizzonte: ribellione istituzionale, alla quale il Governo e la maggioranza ci costringono oggi (Applausi dei deputati del gruppo di Rifondazione comunista)!

PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto l'onorevole Giordano. Ne ha facoltà.

FRANCESCO GIORDANO. Signor Presidente, nel profluvio di dichiarazioni che il Presidente del Consiglio ha reso ieri ve n'è una - l'ho segnalata ad altri interlocutori questa mattina all'alba - che mi ha colpito più di tutte le altre. Insisto su di essa, in particolare, solo per una questione di sensibilità. In realtà, sono tante le dichiarazioni del Presidente del Consiglio che destano sconcerto (ad esempio, quelle sulla Consulta e quelle su una presunta ricchezza che, all'improvviso, sarebbe diventata la cifra comune di tutti gli italiani), ma quella che - insisto - mi ha colpito più di tutte è, più o meno, del seguente tenore: chi ha più profitti deve pagare più tasse.


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Francamente, la dichiarazione mi ha colpito perché la trovo sensata e razionale, al contrario di quelle, sicuramente irrazionali, che pure ho in via esemplificativa ricordato. Ebbene, l'affermazione del Presidente del Consiglio, lapidariamente riportata in una notizia di agenzia, è stata pronunciata in un giorno particolarmente infelice - mettiamola così! -, vale a dire proprio nel giorno in cui lo stesso Presidente del Consiglio, in virtù di questo provvedimento (le cifre indicate nel dibattito non sono state mai smentite), acquisisce, per pubblicità, circa 165 milioni di euro!
In particolare, egli non acquisisce tale somma attraverso uno strumento di dialettica parlamentare, ma, sfuggendo al confronto ed alla dialettica parlamentare, adotta un decreto-legge per arrivare rapidamente all'obiettivo e, non contento di ciò, pone la fiducia sul provvedimento per sottrarci quella possibilità di discussione che noi ci siano ripresi soltanto attraverso questa pratica ostruzionistica.
Con riferimento a tale affermazione, non si tratta solo di un giorno infelice. La verità è che tutta la produzione legislativa del centrodestra si muove dentro un altro bagaglio culturale, tale da rendere inverosimile ed incredibile l'affermazione «chi ha più profitti deve pagare più tasse». Infatti, valutandola direttamente, la produzione legislativa del centrodestra di questi anni suscita una certa impressione. Cito solo alcuni capisaldi: l'abolizione della tassa di successione, il rientro dei capitali dall'estero, la sanatoria di ogni sorta di abusivismo prospettato nel nostro paese, leggi di assoluzione ad personam come la Cirami e leggi di assoluzione collettiva come l'abolizione del falso in bilancio.
Come si vede, ci troviamo di fronte ad affermazioni che, populisticamente, possono suscitare un qualche effetto mediatico; tuttavia, dal punto di vista della concreta produzione legislativa del centrodestra, si va in una direzione oramai chiaramente segnata ed inequivocabile.
Inoltre (altri colleghi sono intervenuti su questo terreno; io stesso l'ho ricordato nel corso delle dichiarazioni di voto sulla fiducia), avete escogitato una formula che può tornare utile in futuro, vale a dire la cosiddetta sfiducia preventiva. Avevate paura del nostro ostruzionismo presunto e, per superare questa paura (può valere per tutti provvedimenti, com'è noto), avete messo in pratica una sorta di sfiducia preventiva. Al contrario dei miei colleghi, ho qualche perplessità sul fatto che vi sbagliate - lo dico per mantenere il tono amabile - a giustificare, con motivazioni tecniche, la posizione della fiducia. No: le motivazioni tecniche ci sono. Infatti, se si fosse andati al voto segreto su questo provvedimento, tecnicamente avreste perso; ciò è stato dimostrato ogni volta che il voto a scrutinio segreto ha messo a rischio la riuscita di tanti vostri provvedimenti.
Ma, al di là degli scherzi, dietro la tecnica, in realtà, si nascondono problemi enormi. È una foglia di fico ormai consunta. Siete di fronte ad una crescente e clamorosa difficoltà di raccogliere consensi. Vivete una divisione molto forte. Ormai, in virtù della rottura del collante di quell'impasto tra liberismo e populismo che vi ha permesso di vincere le elezioni, siete in preda a spinte identitarie che, per spartirsi quelle poche risorse ancora disponibili, puntano a garantirsi segmenti di referenti sociali legati a logiche identitarie.
Per questa ragione, quasi a volere illusoriamente mascherare questa crescente difficoltà, proponete, non solo con questo provvedimento, la cui portata è quella che abbiamo più volte descritto, ma anche sull'intero sistema informativo una stretta autoritaria, per cercare di mascherare la crisi crescente, sempre più evidente, del vostro blocco sociale di riferimento. La verità è che questa è una semplice illusione. Voi, infatti, continuerete, come state facendo, ad escludere la società dal sistema massmediatico in maniera prevalente, continuerete ad escludere i conflitti e le culture critiche e a determinare una sistematica cancellazione dei problemi reali e di ogni forma di soggettività, ma, mentre vi accingete a fare questo, non potete cancellare la condizione, reale e materiale, di tanta parte del paese, a


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cominciare dalle classi lavoratrici, che, oggi, per quanto riguarda i livelli retributivi, versano in una condizione drammatica, determinata dal carovita e da un sempre crescente declino produttivo e, perché no, anche culturale del paese.
Per questa via, continuate ad alimentare quel declino produttivo e culturale, perché, cercando nel sistema informativo, con grande forza, un processo di omologazione culturale e di mercificazione prevalente dei prodotti, che questo sistema mediatico intende offrire, abbassate la qualità del livello culturale di questo paese, e - com'è noto - un paese che aspira ad avere una sua soggettività produttiva, una forza, una autonomia dal punto di vista degli assetti culturali ha bisogno esattamente di quel livello qualitativo che voi oggi gli negate. Per questa via, quindi, alimentate ancora una volta un processo di declino del paese medesimo. Con questo specifico provvedimento aggirate la sentenza della Corte costituzionale n. 466 - è stato ripetutamente detto -, che, da questo punto di vista, non lascia possibilità di dubbio in merito, e agite in pieno conflitto di interessi, ma questo ormai sembra essere un tema che non fa nascere alcun pudore sulla praticabilità della vostra iniziativa politica.
L'unica cosa che dovete mettere da parte, però, è brandire l'idea - come da qualche parte è stato fatto (non qui in aula, perché qui nessuno di voi ha parlato, nei fatti) - che con questo decreto si possa salvare l'occupazione. In questi anni voi avete fatto delle politiche concrete che hanno dato vantaggi del tutto evidenti all'azienda Mediaset. L'azienda Mediaset ha tratto profitti significativi, è in grado di rispettare la sentenza della Corte costituzionale e di garantire l'occupazione dei lavoratori. Forse, vi dovreste occupare molto di più di quei lavoratori che oggi non hanno nessun tipo di tutela, che non hanno nel Governo referenti tali da poter mettere la fiducia su provvedimenti che possono far mantenere loro il livello occupazionale. Mi riferisco ai tanti lavoratori di Fiumicino, quelli dell'Alitalia (millecinquecento circa); mi riferisco a quei lavoratori per i quali ancora non è stata pronunciata una parola chiara e netta sulle loro prospettive, come quelli di Terni; mi riferisco ai lavoratori che sono messi a rischio nell'Ilva di Taranto, visto che Riva ha già deciso la loro sorte; mi riferisco alle tante crisi aziendali che si sono succedute in questi giorni. Per questa ragione, voi quella parola del ricatto occupazionale non siete in grado di spenderla; quella parola noi, al contrario, la stiamo pronunciando, la stiamo portando avanti sistematicamente - mi riferisco alla difesa della qualità dell'occupazione e delle condizioni di vita dei lavoratori - e non sarà certo con un atteggiamento populistico mediatico che potrete sottrarcela (Applausi dei deputati del gruppo di Rifondazione comunista).

PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto l'onorevole Titti De Simone. Ne ha facoltà.

TITTI DE SIMONE. Signor Presidente, Fausto Bertinotti nella dichiarazione di voto finale a nome del gruppo di Rifondazione comunista ha detto quanto penoso sia per noi trovarsi costretti ad esercitare, in queste ore, una lunga battaglia parlamentare difensiva, interpretando un po' il ruolo dei guardiani dei principi e delle regole democratiche, delle prerogative del Parlamento, di fronte allo scempio e all'imbarbarimento che la vostra arroganza e il vostro autoritarismo stanno producendo, delineando un declino grave per il paese. Anche quella cultura liberale, a cui si ispira il simbolo politico della vostra maggioranza, è trascinata e cancellata dal liberismo sfrenato della vostra azione di Governo, dai vostri appetiti di profitto a favore di pochi poteri forti, dal primato privatista e dalla logica affaristica di questa maggioranza.
Tutto quello che avete prodotto fin qui, del resto, parla chiaro: condoni, depenalizzazione del falso in bilancio, legge Cirami si accompagnano ad un attacco concentrico allo Stato di diritto, alle garanzie sociali, ai diritti civili. Insomma, il fondamentalismo mercantile e il fondamentalismo


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ideologico e culturale ispirano strategicamente l'azione di Governo e questa maggioranza.
Dunque, per noi la battaglia di queste ore è un doveroso atto di opposizione, se pur penoso, allo strappo istituzionale e delle regole democratiche che questa maggioranza e questo Governo stanno seguendo sistematicamente.
Non possiamo accettare l'arroganza, l'autoritarismo, lo svuotamento del Parlamento e l'uso privato delle istituzioni. Signor Presidente, il percorso dei provvedimenti di questo Governo sul tema dell'informazione è pesantemente segnato da sentenze costituzionali, da richiami delle Autorità antitrust e per le garanzie nelle comunicazioni, dal messaggio del Presidente della Repubblica. Dopo l'impasse e le evidenti difficoltà che si sono manifestate anche in quest'aula rispetto al percorso della cosiddetta legge Gasparri, dopo che la stessa è stata rinviata alle Camere dal Presidente Ciampi, voi volete, in particolare con il decreto-legge in esame, raggirare tutti questi richiami e infliggere un vulnus istituzionale e costituzionale. Per questa via, del resto, avete posto al Parlamento la questione di fiducia su un provvedimento di urgenza, quando altre e ben più importanti sarebbero e sono le reali urgenze di questo Governo.
È un voto di fiducia su un decreto-legge che ha il solo scopo di salvare la televisione di proprietà del Presidente del Consiglio Silvio Berlusconi, ossia Retequattro. Credo, quindi, che il decreto-legge in esame rappresenti una perfetta metafora di questo Governo: un comitato di affari, un'anomalia nel panorama internazionale che, in modo autoritario, tutela gli interessi e il potere mediatico del capo, Silvio Berlusconi, e mira a smantellare la libertà d'espressione, di informazione, il pluralismo.
Stiamo parlando di libertà fondamentali, del diritto a ricevere ed a trasmettere informazioni anche in forma autorganizzata (penso, ad esempio, alla straordinaria esperienza delle televisioni di strada minacciata continuamente dal vostro oscuramento). Stiamo parlando del riconoscimento della libertà di espressione, di critica, di pensiero e anche di ribellione. A noi interessa evidenziare e sostenere questo concetto, perché il pluralismo cui vogliamo tendere è fondato sulle diverse culture esistenti nella società e sulle culture critiche di fondo. È l'esatto contrario di ciò che voi state perseguendo, confondendo concorrenza con pluralismo, per manipolare la vostra crisi di consenso, rendendo altresì l'azienda pubblica, la RAI, del tutto subalterna alle scelte e agli indirizzi del Governo.
Del resto, come potrebbe Berlusconi continuare a dire le menzogne che racconta in televisione circa la condizione sociale ed economica del paese? Riteniamo che il pluralismo si consegua con una seria ed attenta disciplina antitrust, che tenga conto, in primo luogo, del regime di proprietà delle reti. Ma è proprio ciò che voi volete impedire con un sistema integrato delle comunicazioni che si configura come una vera e propria anomalia a livello internazionale, rafforzando la concentrazione di risorse pubblicitarie, l'occupazione di frequenze, il monopolio del settore.
Per costruire un modello autoritario di società volete imporre una stretta antidemocratica sul sistema dell'informazione, attraverso una cristallizzazione delle posizioni dominanti ed una cristallizzazione delle condizioni di illegalità e dei poteri forti, mentre il paese vive una crisi sociale ed economica seria e grave ed un declino culturale nettissimo.
Ma voi per questa via volete schiacciare i diritti e mettere la sordina al conflitto sociale che cresce nel paese. È il problema della crisi profonda del vostro consenso a cui rispondete tagliando gli spazi, la voce del dissenso e del conflitto, la coscienza critica, criminalizzando i movimenti, i sindacati, la domanda di alternativa.
Nella vita di un paese il tema dell'informazione assume sul terreno della costituzionalità e delle regole democratiche un'importanza fondamentale. Questo provvedimento è immorale perché irride la sentenza della Corte costituzionale che obbligava Retequattro a trasferirsi sul satellite


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e regala a Mediaset, l'azienda del Presidente del Consiglio dei ministri, cospicui vantaggi e profitti.
È scandaloso porre la questione di fiducia su un provvedimento come questo e scippare il dibattito parlamentare. Voi avete «blindato» con la questione di fiducia questo voto, perché non vi fidate nemmeno della vostra maggioranza e perché volete svuotare il Parlamento delle sue prerogative, sottraendo all'opposizione e alla maggioranza del paese un confronto ed un dibattito reali. Di questo parlavano gli emendamenti che noi ed il resto dell'opposizione avevamo presentato.
Un decreto-legge avvelenato per le regole democratiche ed un inganno sotto il profilo istituzionale e politico. Voi date uno schiaffo al pluralismo e non prevedete alcun divieto di posizione dominante, inventandovi l'ennesimo escamotage vergognoso: la presenza di presunti nuovi canali digitali terrestri.
L'Autorità garante sarà ridotta ad un ruolo risibile perché i criteri di verifica di questa nuova situazione sono falsi ed inconsistenti, perché si trasforma il concetto di diffusione nazionale in una logica escludente che spacca il paese.
Una vera vergogna che i cittadini non vi perdoneranno; un paese, il nostro, che è attraversato da una grande questione sociale, dalle lotte dei lavoratori di Terni, dell'Ilva di Genova e di Taranto, di Fiumicino, dalla voce di tutte quelle istanze e battaglie che ci parlano della difficoltà del vivere, di chi non ce la fa con i salari fermi al palo ed un carovita alle stelle; che è attraversato dalla battaglia per una scuola ed un'università pubbliche, sottratte al mercato ed alla divisione di classe che voi, con la vostra controriforma Moratti, volete perpetuare.
Di questo ci parla la straordinaria manifestazione e mobilitazione dei giovani ricercatori, dei docenti e degli studenti di queste ore nelle università italiane; di questo ci parla la mobilitazione a sostegno della scuola pubblica e del tempo pieno. Insomma, di questo ci parla la mobilitazione di una generazione alla quale voi volete scippare il futuro e consegnarlo ad una precarietà permanente, strutturale, senza diritti e senza speranza.
Il nostro «no» a questo decreto-legge è dunque scontato. Sappiamo che fra voi ed il paese si è aperta una crisi di fiducia e di consenso. Sappiamo anche che per le opposizioni l'impegno non può non essere all'altezza di questa situazione: arrestare il declino produttivo, culturale verso il quale ci state portando; una cultura dell'illegalità e un attacco ai diritti sociali e civili insostenibile. Occorre intrecciare le lotte e i conflitti e, per questa via, costruire un'alternativa quanto mai necessaria per il paese (Applausi dei deputati dei gruppi di Rifondazione comunista e dei Democratici di sinistra-L'Ulivo).

PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto l'onorevole Mascia. Ne ha facoltà.

GRAZIELLA MASCIA. Signor Presidente, onorevoli colleghi, anch'io, come molti colleghi e colleghe che mi hanno preceduto e che seguiranno, ho scelto di denunciare una questione a mio avviso molto parziale nelle vicende di questo paese, anche se è una vicenda che ha che fare con una questione grande, come quella della democrazia.
È una vicenda che riguarda nello specifico un decreto-legge che tutela in particolare - come è stato detto - gli interessi del Presidente del Consiglio. Abbiamo tuttavia deciso di denunciare ciò al paese perché riguarda il destino di milioni di cittadini e cittadine e riguarda, in definitiva, la democrazia nel suo insieme.
Proprio mentre lo facciamo, avvertiamo la lontananza tra una questione così specifica e parziale e la vita delle persone.
È stato ricordato che fuori da qui vi sono lotte importanti, lotte straordinarie se pensiamo a cos'era il paese solo qualche anno fa e, tanto più, qualche decennio fa. Parliamo di lavoratori colpiti da grandi processi di ristrutturazione, di lavoratori che da Genova a Terni stanno lottando per difendere il loro posto di lavoro, come all'ILVA ed alle acciaierie di Terni, e allo


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stesso tempo pongono un problema che riguarda la direzione politica del paese, la capacità di decisioni strategiche che possano garantire il loro posto di lavoro ed anche uno sviluppo, un futuro, una prospettiva a quelli che il posto di lavoro ancora non ce l'hanno.
Parliamo di lotte spesso difensive ma che, allo stesso tempo, chiamano in causa rivendicazioni fin qui sopite. Parliamo degli autoferrotranvieri che chiedono, finalmente, un riconoscimento salariale adeguato ed un contratto di lavoro che riconosca le loro necessità. Milioni di cittadini, non solo in Italia, ma anche in Europa, rivelano la drammaticità della questione del salario che, ormai, deve essere posta all'ordine del giorno di tutti i Governi. Nelle lotte degli autoferrotranvieri si sono identificate milioni di persone: casalinghe, donne ed uomini che misurano ogni giorno la loro vita su un salario inadeguato e su prezzi insostenibili.
Vogliamo parlare di tale mondo reale per dire che vi è una connessione tra loro e quanto stiamo tentando di fare in questa sede. Da una parte, vi sono le condizioni reali e, dall'altra, vi sono i messaggi televisivi del Presidente del Consiglio secondo cui tutto va bene, il popolo italiano è ricco, felice e non ha alcuna preoccupazione. Inoltre, il Presidente sostiene la legittimità morale di un'evasione fiscale che è comprensibile quando le tasse sono troppo alte. I lavoratori italiani hanno sempre pagato le tasse, anche in eccesso, dato che vengono loro detratte direttamente dalle buste paga. Invece, vi è chi le tasse non le paga e ha accumulato profitti notevoli in questo paese: dunque, qualcosa non va. Vi è qualcosa di moralmente inaccettabile, oltre che illegittimo.
Avvertiamo tale incongruenza tra la vita reale ed i messaggi televisivi capziosi del Presidente del Consiglio. Inoltre, avvertiamo la relazione tra la stretta autoritaria che vediamo consumarsi in questo Parlamento dove ci viene negato il confronto e la stretta autoritaria che registriamo fuori da quest'aula.
Signor Presidente, due giorni fa a Roma è morto un detenuto perché è stato tardivamente ricoverato in ospedale. Non è stato creduto quando denunciava dolori alla testa ed è morto perché il tumore che aveva non è stato diagnosticato in tempo. Si tratta di una malasanità registrata in un carcere modello e sempre sotto i riflettori come quello di Rebibbia. Ciò testimonia quante altre cose succedono nelle carceri di Roma, in quelle delle grandi città e, tanto più, in quelle di decine di realtà in cui neanche noi parlamentari riusciamo a mettere piede per ascoltare le tante situazioni che non vanno. Mi riferisco, in particolare, al sovraffollamento ed al non riconoscimento dei diritti minimi fondamentali come quello alla salute ed alla dignità di una vita tra quelle mura.
Vogliamo parlare di tali persone e di tali voci inascoltate proprio mentre parliamo di una questione grande come quella dell'informazione.
Allo stesso modo, vorremmo parlare dei tanti cittadini stranieri, dei tanti immigrati, che arrivano in Italia a causa delle guerre esistenti nei loro paesi, anche di quelle preventive (delle quali questo Governo è complice, come di quella in Iraq). Ebbene, questi cittadini stranieri, che arrivano da noi per chiedere aiuto, sono costretti a vivere in modo clandestino oppure chiusi in queste invenzioni che si chiamano centri di permanenza temporanea. Avvertiamo la necessità di parlare di loro, proprio perché sono quelli che, meno di altri, meno di noi, lo possono fare. Quello che vogliamo dire è che vi è una connessione tra la stretta autoritaria, la negazione del confronto che viene determinata in questo Parlamento, e la stretta autoritaria che c'è fuori.
Oggi sono stati rinviati a giudizio alcuni rappresentanti ed esponenti del Movimento, sulla base di un teorema, costruito sulle indagini della Digos e dei ROS, che la procura di Cosenza ha ritenuto di poter assemblare e sostenere. Un teorema che mette insieme i fatti di Genova, una premeditazione rispetto a quei giorni, la violazione (o la tentata, possibile, auspicata violazione) della zona rossa e quello che invece poi è avvenuto a Genova. Oggi c'è questo rinvio a giudizio, ma tra qualche


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giorno inizierà un processo a carico di 26 manifestanti che erano a Genova e che sono stati vittime, come tutti noi, di una repressione feroce ed ingiustificata e che, come noi, ancora attendono giustizia per la morte di Carlo Giuliani e per le diverse repressioni poste in essere, come i massacri alla scuola Diaz e alla caserma di Bolzaneto. Noi siamo ancora in attesa di questa giustizia, ma intanto dobbiamo limitarci a contestare e a denunciare un'ennesima ingiustizia, che è quella di un processo che viene aperto a carico di manifestanti.
Le esperienze quotidiane alle quali assistiamo e per le quali siamo costretti a prendere la parola, come parlamentari, sono numerose. Segnaliamo una connessione tra questi fatti quotidiani, tra le tante leggi autoritarie (quelle che pensano non solo di restringere le libertà personali, ma addirittura di stabilire i comportamenti delle persone; sono leggi che sono state votate anche in quest'aula, recentemente, come quella sulla procreazione medicalmente assistita) e quello che si sta consumando in questi giorni a proposito di tale decreto, ripeto parziale, specifico, che apparentemente non ha un legame, ma che invece noi pensiamo lo possa avere, sia nella questione democratica che esso pone, sia (soprattutto) nell'arroganza che viene un'altra volta proposta in quest'aula. Un'arroganza che passa attraverso il decreto-legge e attraverso un voto di fiducia, che chiude la bocca non solo a noi, ma a tutti i parlamentari di quest'Assemblea, anche a quelli che, non potendo prendere parola per diverse ragioni, o non volendo o non avendo il coraggio, avevano scelto di...

PRESIDENTE. Onorevole Mascia, la invito a concludere.

GRAZIELLA MASCIA. ...esprimere il loro dissenso soltanto con un voto (magari nello scrutinio segreto).
Si sceglie, allora, di chiudere la bocca a tutti e di impedire la possibilità di dissentire, anche soltanto schiacciando un tasto. Io penso che vi sia una connessione tra questo decreto, ripeto parziale, molto lontano dalla vita concreta delle persone, e quello che avviene fuori. Vi è una connessione, perché questa ingiustizia, che avvertiamo qui, questa indignazione, che abbiamo denunciato qui, parla delle tante ingiustizie, delle tante disparità, dei privilegi dei forti nei confronti di coloro che invece non possono prendere la parola.
L'ultima cosa che vorrei aggiungere è che, nonostante tutto questo, siamo convinti che le lotte continueranno. Le parole forse non passeranno attraverso gli schermi televisivi, ma sicuramente riusciranno a farsi sentire in altri modi (Applausi dei deputati del gruppo di Rifondazione comunista).

PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto l'onorevole Vendola. Ne ha facoltà.

NICHI VENDOLA. Signor Presidente, colleghi, oggi non siamo al «Maurizio Gasparri show», ma ad un ripiegamento violento della politica, ad un immiserimento particolarmente cupo dello spirito pubblico delle classi dirigenti del nostro paese. A quest'ora, in quest'aula, parrebbe di ripetere una litania, ma questa è la foto di una condizione malata della nostra democrazia: il Parlamento viene sequestrato nel labirinto degli interessi proprietari del Presidente del Consiglio.
Da anni siamo di fronte ad un conflitto di interessi gigantesco, che pesa su ogni passo della vita istituzionale e politica. Certo, non si tratta di un'anomalia italiana, anche se la vicenda italiana ha le sue specificità, talvolta francamente grottesche, ma è la spia di una malattia anche planetaria sulla quale, qualche volta, dovremmo riflettere, deponendo l'abito enfatico, a proposito di discorsi sulla globalizzazione.
La stessa maggioranza di centrodestra viene educata al ritmo marziale dei decreti, delle fiducie e delle fiducie sui decreti. Voi, noi, le istituzioni, la politica, tutti siamo prigionieri di questo stile che è francamente autoritario, di un copione meschino e, talvolta, persino un po' comicamente orwelliano.


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In questa prigione, signor Presidente, è stato detto e ripetuto, ma non è una litania, non vi è spazio per alcuna decenza istituzionale. Si può recare baldanzosamente offesa alla Corte costituzionale, supremo covo di toghe rosse, e farsi beffa del Capo dello Stato!
Quando la propaganda soppianta il principio di realtà, la TV, evidentemente, assume un ruolo fondamentale: deve essere la vetrina delle culture egemoni e del pensiero del Governo.
È davvero triste la parabola del pluralismo nel nostro paese. Non sto parlando di quella visione un po' angusta del pluralismo fatta di quote, di tempo o di tempo lottizzato. Sto parlando di quel fenomeno per il quale il paese reale viene completamente cancellato (ciò che vi era di scandaloso nel fenomeno Santoro, a prescindere dal giudizio che ciascuno di noi può avere sullo stesso, è che, all'interno dei contenitori di cui Santoro era conduttore, vi erano molte finestre che si aprivano sulla condizione materiale del paese e si potevano udire quelle voci che oggi sono state completamente cancellate). Si può anche parlare di ciò che accade a Terni o in tante periferie del nostro paese.
Signor Presidente, non so dove il centrodestra, con la propaganda di un paese che cresce, andrà a sbattere. Sono un amministratore locale, tra l'altro, ed in questi giorni abbiamo dovuto apprezzare il dimezzamento delle quote di finanziamento per il sostentamento di famiglie con disabili. Siamo stati notai - secondo quanto deciso dall'ultima legge finanziaria - del passaggio da condizioni di sopravvivenza a condizioni di indigenza di una serie di nuclei familiari. Non vi è spazio nelle nostre televisioni, anzi nella televisione del pensiero unico berlusconiano, per questa realtà.
Signor Presidente, 750 mila famiglie hanno il problema di avere al loro interno un ammalato di Alzheimer che, in termini semplicemente di farmaci, costa 45 mila euro all'anno, secondo i calcoli statistici scritti sui giornali. Tuttavia, questa è una condizione del paese che non buca il video, non è videogenica; non si può fare il lifting ad un malato di Alzheimer, quindi si tratta di una realtà semplicemente cancellata.
Avete paura dei comici e delle inchieste, avete cancellato l'intero mappamondo, quello dei popoli, del Terzo mondo, di ciò che accade lontano ma, in realtà, vicino a noi e avete cancellato tutta la geografia del dolore sociale. I vostri TG, i TG del pensiero unico berlusconiano sono lo specchio allucinato della separatezza di questa classe di Governo dal paese.
Cari colleghi, ritengo che non noi, ma la più modesta delle culture liberal-borghesi dovrebbe insorgere contro questo scempio. Vi siete blindati nel bunker di questa fiducia; una fiducia contro la vostra stessa maggioranza, per non sentire la sfiducia che cresce nel paese. Ma vi è questa Italia della crisi del lavoro, della crisi dell'industria, delle nuove povertà, che non merita alcuna procedura d'urgenza per essere convocata qui, di fronte alle aule del Parlamento, per essere interrogata nel proprio disagio, nella propria sofferenza. E, per questa Italia, non si immagina nessuna strada di decreto, non vi è fiducia per questa Italia che, naturalmente, sta coltivando sentimenti di sfiducia nei vostri confronti! Fortunatamente, quest'altra Italia si sta organizzando, sta costruendo i propri canali di comunicazione.
Vedete, colleghi, quella del centrodestra è una maggioranza sull'orlo di una crisi di nervi ma, a differenza di come la descrive, anche un po' morbosamente, certa narrazione politologica, tale crisi non è tutta centrata sulle fibrillazioni interne al ceto politico, al quadro di Governo (le riffe, le competizioni), questa crisi di nervi riguarda lo iato, la frattura tra la funzione di Governo e il paese reale, tra le aspettative crescenti, la delusione crescente e l'azione quotidiana di Governo.
Voi, avversari del centrodestra, avete vinto anche perché avete sviluppato un grande discorso di egemonia, avete conquistato il cuore del paese. Oggi, questo cuore si è raggelato, siete incapaci di costruire egemonia e ripiegate sugli strumenti classici del dominio e della coartazione


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autoritaria, ma il paese saprà esprimere nelle sue forme la sfiducia nei vostri confronti, che nessuna fiducia blindata e posticcia in queste aule potrà mai recuperare (Applausi dei deputati del gruppo di Rifondazione comunista)!

PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto l'onorevole Ceremigna. Ne ha facoltà.

ENZO CEREMIGNA. Presidente, colleghi, ho già avuto modo di rimarcare, questa notte e stamattina, l'oscenità politica oltre che del decreto cosiddetto «salva reti», anche della scelta operata dal Governo di porre sul provvedimento in esame la questione di fiducia.
Ora, in fase di dichiarazione di voto finale e dopo aver ascoltato gli interventi dei tanti colleghi sia della mia parte politica sia degli altri gruppi dell'opposizione, non posso che confermare quel giudizio: si tratta di un'autentica oscenità.
È per questo che intendo riaffermare il mio apprezzamento ai gruppi di centrosinistra per aver scelto di praticare l'ostruzionismo parlamentare su questa vicenda, al fine di rendere plastica e visibile al paese l'ennesima arrogante, prepotente e - se mi è consentito - volgare forzatura istituzionale e costituzionale che Governo e maggioranza hanno inteso imporre al Parlamento e all'intera nazione.
Si tratta di una scelta - quella dell'ostruzionismo parlamentare - che, a parte la sua ovvia regolamentare legittimità, non è certo consueta per noi; addirittura da noi mai praticata finora, nella presente legislatura ma che punta tuttavia a fare emergere la grave eccezionalità dell'evento. Stupisce che di questa gravità non traspaia la benché minima consapevolezza tra le fila della maggioranza. Stupisce che in uno schieramento articolato, che da oltre 250 giorni non riesce a trovare la quadra su uno straccio di documento unitario, si verifichi un'acquiescenza, un'unanimità, forse di facciata ma pur sempre unanimità, su un provvedimento che farebbe gridare allo scandalo in qualunque altra Assemblea parlamentare degna di definirsi democratica.
Intendiamoci bene, il nostro non è uno stupore che non sa darsi spiegazioni, che non riesce a comprendere i motivi palesi e anche reconditi di un simile comportamento. Ma è proprio questo che rende stridente e grave l'acquiescenza supina dell'intera maggioranza ai voleri e agli interessi conflittuali e personali che la fiducia sul decreto-legge in esame presuppone. Ora, questi comportamenti non si situano soltanto all'interno della normale dialettica parlamentare e, alla fin fine, ad una conta dei voti. No, qui è in gioco anche il rapporto tra Parlamento e Costituzione, tra Parlamento e pronunciamenti del Capo dello Stato, tra Parlamento ed Autorità per le garanzie nelle comunicazioni, tra Parlamento e paese. Questo non è soltanto conflitto di interessi, questa è inadeguatezza, incapacità di esprimere cultura di Governo in uno Stato di diritto, questa è la rappresentazione drammatica della mediocrità di una leadership che trascina con sé un'intera coalizione che, in modo surreale e talvolta blasfemo, si definisce Casa delle libertà.
Francamente, trovo che le scelte perseguite dalla maggioranza siano intrise da una forte vocazione all'autolesionismo. Difatti, pensano che tanto, una volta che abbiano lasciato a noi dell'opposizione il diritto di sfogarci in questa circostanza, alla fine si voterà e si porterà a casa il risultato e, poi domani, sarà una altro giorno. Colleghi della maggioranza, è un errore, un grave errore riferito sia all'attualità sia alla prospettiva. La ferita che questo decreto-legge infliggerà al paese non sarà rimarginata tanto presto. L'indignazione monta nella società italiana e si fa ogni giorno più avvertita e motivata, poiché è generata da provvedimenti ogni giorno sempre più visibilmente viziati da una concezione irrispettosa e irriguardosa delle più elementari regole della convivenza civile.
Colleghi della maggioranza, non sarete chiamati solo a rispondere di lavoro, di pensioni, di costo della vita, di potere d'acquisto, di scuola, di sanità, di giustizia e delle tante e tante situazioni di disagio, di sofferenza e di declino. Anche questa ferita


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di oggi peserà - eccome - nell'indignazione popolare. Il voto finale su questo provvedimento non metterà la parola fine a niente! E non la metterà per noi, ma sarà un'altra delle scelte di Governo che saranno normalmente sottoposte al vaglio del corpo elettorale.
Non spetta certamente al centrosinistra farsi carico di tali problemi. Al contrario, più la destra tende ad avvilupparsi e a presentarsi come lo strumento nato per difendere interessi personali e particolari del capo del Governo, più l'ipotesi di un'alternanza e di un'alternativa diverrà corposa e ravvicinata.
Non solleviamo dunque il problema guardando i nostri interessi di parte. Lo facciamo perché non ci fa difetto il senso di responsabilità, il senso delle istituzioni e dello Stato e, in particolare, perché siamo convinti di avere il diritto di sedere su questi banchi per difendere gli interessi complessivi della comunità nazionale e dell'intero paese, e non di suoi minuti particolari.
Anche sulla base della rappresentazione di tali autentiche diversità e di tali differenze di valori e di finalità tra il centrodestra e il centrosinistra, i cittadini italiani saranno posti nelle condizioni più adatte per giudicare e scegliere nelle mani di chi affidare il proprio presente e il proprio futuro.
Per tali motivi, esprimo, in modo mai come ora convinto, il mio voto contrario al disegno di legge di conversione in esame (Applausi dei deputati del gruppo Misto-Socialisti democratici italiani).

PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto l'onorevole Intini. Ne ha facoltà.

UGO INTINI. Signor Presidente, onorevoli colleghi, ci dobbiamo porre una domanda: perché un numero così elevato di deputati della maggioranza, non appena si può esprimere liberamente con il voto segreto, vota contro la politica televisiva del Governo? Le spiegazioni possibili sono due. La prima, è che l'insofferenza nei confronti del Governo da parte della sua stessa maggioranza è tale che, non appena è possibile, una parte dei deputati colpisce il Governo. Tale spiegazione è la più grave, per la maggioranza. La seconda spiegazione, meno grave, è forse quella più giusta ed ovvia: una parte consistente della maggioranza, considera la politica televisiva del Governo intollerabile.
Tale politica è effettivamente intollerabile. In passato, noi socialisti abbiamo difeso le reti di Mediaset: sostenevamo infatti la necessità di una concorrenza salutare nei confronti del monopolio della RAI. Inoltre, Berlusconi pagava il prezzo di non poter controllare la carta stampata in nessuna misura, ed era soltanto un imprenditore e non faceva politica. Ora, invece, le reti di Mediaset sono indifendibili. Non c'è più un duopolio, ma c'è un monopolio: infatti, lo stesso soggetto controlla il 45 per cento del sistema televisivo - Mediaset - in quanto proprietario e controlla il 45 per cento del sistema televisivo - quello pubblico - in quanto Presidente del Consiglio. Non c'è più concorrenza nel settore: ed è anche per questo che assistiamo a programmi sempre più penosi. Mediaset controlla una parte significativa della carta stampata. E, soprattutto, Berlusconi non è più un semplice imprenditore, ma è un leader politico.
Tutto ciò è intollerabile, e lo sarebbe anche se il Presidente del Consiglio si muovesse con la moderazione del re potente ma saggio, come diceva poco fa l'onorevole Villetti. Invece, Berlusconi non è un re potente e saggio, ma è un re invasivo e aggressivo, che ha occupato manu militari le reti della RAI; ha usato la carta stampata come stampa di partito; usa la potenza di fuoco dei suoi mass media per delegittimare tutti poteri di garanzia.
Questo Governo, infatti, spara contro la stampa indipendente e le associazione dei giornalisti, contro la magistratura, contro la Banca d'Italia, contro la Corte costituzionale. A proposito di quest'ultima, ha sviluppato una curiosa teoria, sostenendo sostanzialmente che la Corte costituzionale deve seguire la volontà popolare:


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Berlusconi e il Governo rappresentano la volontà popolare, e secondo questa logica la Corte costituzionale dovrebbe dunque seguire Berlusconi e il Governo.
Questo Governo non è liberista e non è liberale. Non è liberista perché ha abolito la concorrenza nel settore più importante dell'economia, quello dei mass media. Non è liberale perché vuole il monopolio dell'informazione e, per questo, impone il voto di fiducia sul tema di libertà più delicato, quello che riguarda, appunto, la libertà dell'informazione.
La maggioranza di Governo ha un unico argomento: afferma, in sostanza, che non ci sono soltanto le attuali reti nazionali, rispetto alle quali Mediaset e la RAI controllano il 90 per cento, ma ci sono decine di altri mezzi, cioè il sistema digitale, il sistema satellitare e la nuova tecnologia. Questo argomento è falso. Tutto questo ci sarà ma, per il momento, non c'è. Oggi, la legge Gasparri fotografa e legittima, semplicemente, quello che c'è, ovvero un intollerabile monopolio. Naturalmente, una opposizione che sia credibile come forza di Governo deve criticare e, nel contempo, deve avanzare proposte realistiche e deve dire che cosa farà se e quando vincerà le elezioni politiche.
Noi non faremo come Berlusconi, non occuperemo la RAI. In parte lo abbiamo fatto, in passato, e dobbiamo essere autocritici su questo, anche se avevamo una giustificazione. La sinistra, infatti, occupava o cercava di occupare la RAI quando il rimanente 50 per cento del sistema televisivo era in mano al nemico, all'oppositore della sinistra, cioè a Berlusconi.

PRESIDENZA DEL VICEPRESIDENTE MARIO CLEMENTE MASTELLA (ore 19,40)

UGO INTINI. Noi trasformeremo la RAI in una istituzione di garanzia, affidata il più possibile alla indipendenza dei suoi giornalisti e dei suoi operatori. Non aggrediremo Mediaset. Toglieremo il canone ed una rete alla RAI e ne toglieremo una a Mediaset, in modo equilibrato e in modo da consentire, finalmente, un terzo polo. Questo sulla base di un principio semplice ed elementare: una maggiore concorrenza è migliore di una concorrenza più ridotta, perché sicuramente determina un aumento della qualità, come ci suggerisce l'esperienza della carta stampata. Noi investiremo in tecnologia, in modo da affrettare il momento in cui, finalmente, arriveranno il sistema digitale, il sistema satellitare e i canali monotematici. Infatti, sappiamo bene che le sei o sette emittenti televisive nazionali oggi dominanti appartengono più al passato che al futuro. Noi siamo in una situazione, unica al mondo, di monopolio televisivo. In parte, questo è anche colpa di una cultura elitaria presente, purtroppo, nella stessa sinistra. Spesso, abbiamo ostacolato tutte le novità. Questa cultura elitaria è stata miope, bisogna ricordarlo. Nel 1953, quando la televisione è nata, incredibilmente, non un solo quotidiano italiano ne ha dato notizia in prima pagina, nonostante fosse la più grande rivoluzione, che avrebbe cambiato la vita di tutti noi. Quando si è passati dalla televisione in bianco e nero a quella colori c'è stato chi si è opposto, in Italia. Quando si è intravista la possibilità del pluralismo televisivo, ovvero delle reti private, si è detto che era tecnicamente impossibile e costituzionalmente illecito. Quando le televisioni commerciali si sono diffuse - e queste vivono di pubblicità - si è contestata la possibilità di inserire messaggi pubblicitari durante la trasmissione dei film.
Questa catena di errori ha aperto un vuoto e questo vuoto è stato riempito da Berlusconi. A suo tempo, Berlusconi è stato un innovatore in materia televisiva e lo abbiamo appoggiato. Adesso è un conservatore. Infatti, vuole conservare un sistema televisivo senza concorrenza, incapace di produrre e di esportare, un sistema televisivo che fornisce programmi volgari e beceri, che appaiono tali non soltanto ai vescovi ma anche ai laici come noi.
L'Italia è stata il paese dei grandi registi, dell'opera, della musica, del teatro, del grande spettacolo e dell'arte. Oggi, questa Italia esporta spettacolo e cultura


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nel mondo in misura minore rispetto al Brasile e all'India. Anche questo è il prezzo che paghiamo al conservatorismo televisivo, alla mancanza di mercato, di concorrenza, di investimenti e di talenti.
La sinistra che, oggi, contrasta Berlusconi, signor Presidente, non è più quella di un tempo, quella degli errori passati. Le parti si sono capovolte. Un tempo, la sinistra difendeva il monopolio, sbagliando. Oggi, Berlusconi difende il monopolio, noi difendiamo il pluralismo. Un tempo, noi difendevamo la statizzazione della televisione. Oggi Berlusconi difende qualcosa di peggio, un mostro giuridico ed economico, una televisione pubblica statale piegata ai suoi interessi privati e una televisione privata che si identifica con il potere esecutivo dello Stato, ovvero con il suo Governo.
Berlusconi oggi difende una situazione unica in tutto il mondo occidentale, una anomalia che ci rende, al tempo stesso, ridicoli e inquietanti (Applausi dei deputati dei gruppi Misto-Socialisti democratici italiani, dei Democratici di sinistra-L'Ulivo e Misto-Verdi-L'Ulivo).

PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto l'onorevole Giulietti. Ne ha facoltà.

GIUSEPPE GIULIETTI. Signor Presidente, l'intervento dell'onorevole Intini mi consente di poter essere più rapido su alcune questioni, visto che in modo molto chiaro, nitido e dettagliato ha definito l'anomalia italiana. Quando si intraprende una battaglia parlamentare così lunga e difficile, i dubbi non mancano; lo dico al sottosegretario Innocenzi. Non mancano, signor sottosegretario, in chi come noi - mi creda - affronta una situazione in cui c'è un momento dell'ironia e poi c'è un momento in cui ci avviciniamo a delle decisioni che non sono solo il voto. In questo senso, vi è il problema di come, nel contrasto aspro di queste ore, si possa intravedere un percorso che impedisca il disastro delle regole e del sistema industriale italiano; e chi, come lei, conosce il sistema industriale italiano sa che non è una provocazione. Chi ha un senso profondo delle istituzioni, del Parlamento e della sua funzionalità non ricorre a questo elemento di scontro prolungato con facilità o con gioia. Io le ricorderò che su questioni delicate come i temi dell'informazione nella scorsa legislatura si arrivò in quest'aula a menare le mani, si arrivò fino allo scontro fisico.
Noi abbiamo semplicemente esercitato con dignità e libertà una funzione parlamentare, cercando di costringere in questo caso l'estremismo di una parte della maggioranza a comprendere che essa rischia di entrare in rotta di collisione con il paese e con se stessa. Uno potrebbe dire «fatti vostri!», ma questa non è un'idea della democrazia parlamentare, che invece deve sostanziarsi di forti schieramenti alternativi che condividano almeno la grammatica delle regole. Non può essere mai un atteggiamento giusto quello di dire «fate, perché poi pagherete», perché voi pagherete l'estremismo di queste ore. Qui è a rischio l'idea dello Stato, del confronto, delle regole e del sistema industriale di questo paese e quindi non basta dire «fate, proseguite, liberate gli istinti primordiali», perché non può essere motivo di gioia: non può esserlo in chi crede in un patto che debba far funzionare uno Stato civile.
Per questo motivo, pur nell'asprezza dello scontro, noi cerchiamo di verificare, di apprezzare, di stimolare anche provocatoriamente la serietà che pure non manca in rappresentanti del Governo e della maggioranza, i quali sanno benissimo come questo voto di fiducia sia un atto di prepotenza, di rabbia e di sconforto, di rinuncia alla politica. Questo voto di fiducia è la sconfitta della politica, di chi crede nella centralità delle istituzioni, delle regole, dell'autonomia dei partiti dagli interessi particolari. Lo ha detto l'onorevole Intini, lo hanno detto bene prima altri colleghi, come gli onorevoli Giordano, Pecoraro Scanio ed altri ancora, ma questo è il punto: l'autonomia delle formazioni politiche e degli Stati dai nuovi interessi internazionali e nazionali emergenti. Non è una questione sulla quale ridere,


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perché su di essa si stanno interrogando le più importanti democrazie negli Stati Uniti e in Europa.
Noi abbiamo discusso - e voi lo sapete - di una cosa ben più seria di Retequattro. Vi avevo detto: ma levatela di mezzo, scorporatela questa storia di Retequattro, liberatevi da questa ossessione, liberatevi dall'idea che per difendere un piccolo ramo d'azienda si debbano danneggiare l'istituzione e l'industria italiana! Perché non l'avete fatto per tempo? Noi abbiamo discusso di una cosa ben più seria, ossia del rapporto tra media, affari e politica, che è una grande questione europea. L'Italia sta sperimentando qualcosa che oggi riguarda altre democrazie: su questo ci si interroga. Destra e sinistra, le università, i giuristi internazionali, le chiese - non solo la chiesa italiana - nelle loro diverse formazioni in Europa, si stanno interrogando sull'autonomia, sull'accesso alle reti, sul principio di uguaglianza e di pari opportunità tra gli Stati e tra le formazioni sociali. Questa è cosa ben più seria di un dibattito su Berlusconi: è qualcosa che riguarda il futuro d'uguaglianza del voto e degli Stati, che sta nella ricchezza della conoscenza, nel non essere infeudati da interessi particolari. Chi oggi ride della situazione italiana potrebbe scoprire che domani un Murdoch qualsiasi, finite le fortune elettorali di Berlusconi, lo potrà liquidare in pochi giorni. Ecco perché le regole sono una grande questione, perché arriva sempre un pescecane - nel senso buono -, da qualunque parte del mondo, che può poi divorare l'idea di Stato e di sistema industriale.
Attenzione: voi avete rifiutato, in questo decreto-legge e nell'ex legge Gasparri, di porre regole, ad esempio, nel monopolio del digitale, perché oggi non vi convengono. Ma voi sapete che l'Europa ha aperto un'istruttoria, che è in corso in queste ore, e che al Parlamento europeo si stanno svolgendo audizioni sul tema della libertà dei mezzi di comunicazione, con particolare riferimento all'Italia. Lei sa che le principali agenzie internazionali hanno fornito dati preoccupanti sulla libertà della comunicazione in Italia. Non delle agenzie residuali, ma le grandi organizzazioni che si occupano della libertà della comunicazione in Europa e in America hanno messo sotto osservazione l'Italia. Lei sa che le proteste e le preoccupazioni di editori e sindacati sono state sottovalutate. Lei sa che il Presidente della Repubblica - e non le opposizioni - ha detto «no» alla legge Gasparri come era stata formulata e lei sa che l'insulto di oggi al Parlamento ha una data precedente, quando il Presidente del Consiglio, sorridendo, disse: non leggo le osservazioni dei tecnici del Quirinale. Lì è iniziato l'oltraggio! Non nei confronti delle opposizioni, ma un oltraggio continuo e permanente - quello che ho definito (e chiedo scusa se ho usato termini eccessivi) «atti osceni in luogo pubblico» -, perché l'oltraggio alle istituzioni, consumato da parte delle istituzioni, è un atto di oscenità politica e così va definito!
L'appello del Capo dello Stato non è stato recepito né in questo decreto-legge né nell'ex legge Gasparri, impropriamente attribuita al ministro. Il presidente di Mediaset, Fedele Confalonieri - che si dice si candidi ad essere sindaco di Milano -, in una trasmissione televisiva ha dileggiato in modo palese - e lei lo sa - la Corte costituzionale, parlando di «sentenze preistoriche». La stessa parola l'ha usata Silvio Berlusconi, proprietario delle aziende di Fedele Confalonieri, definendo le sentenze «preistoriche». Le osservazioni dell'Autorità sul libero mercato non sono preistoria, sono di qualche mese fa e sono state aggirate perché quelle osservazioni riguardavano l'apertura progressiva del mercato!
Voi avete detto: abbiamo recepito l'osservazione del presidente Cheli su questo decreto-legge. Lei sa, sottosegretario, che non è vero, perché il presidente dell'Autorità di garanzia più moderata e più direttamente interessata a questo provvedimento, che dovrà decidere, vi aveva chiesto una sola cosa: una chiarezza cristallina e inaggirabile - colleghi, guardate che l'elemento truffaldino è qui! - sulle sanzioni future da applicare. Ed io vi dico - sottosegretario, lei lo sa, perché a questo lavorate -


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che ad aprile si aprirà nell'Authority un contenzioso tra avvocati per una proroga di un anno, perché inizierà un'interpretazione delle sanzioni! Non avete voluto sciogliere il nodo delle sanzioni proprio perché non fossero chiari né la soglia né il meccanismo di intervento dell'Authority medesima! Ecco in che modo voi creerete un nuovo corto circuito istituzionale con la Corte costituzionale e con la Presidenza della Repubblica; ed è grave quando un Governo ricerca lo scontro con le istituzioni, perché in politica è proprio un elemento barbarico, primordiale, sbagliato! Un'azienda può ricercare lo scontro a tutela degli indici di ascolto e di interesse; un Governo, qualunque Governo, non può trasformarsi in un consiglio di amministrazione! È sbagliato e pericoloso!
Siete sicuri che questo decreto-legge abbia recepito le indicazioni dell'Autorità? Il Presidente Berlusconi ieri ha detto: ma io ho vinto un referendum, quindi le sentenze della Corte automaticamente decadono. Dovreste leggere bene, perché le sentenze della Corte, in materia di pluralismo interno ed esterno, non sono quelle elegantemente definite «della Corte del Presidente Scalfaro», che già mi pare un linguaggio... Ogni tanto vi indignate per qualche girotondo, ma voi usate linguaggi da girotondi interni alle istituzioni! Anzi, francamente, nei movimenti che si aggirano per questo paese c'è molto più garbo di quello che voi usate normalmente.
Le prime sentenze - credo che Intini lo ricordi bene - sono degli anni settanta, degli anni ottanta; non c'entra niente il Presidente Scalfaro! Liberatevi dalle ossessioni! E quelle sentenze erano tutte improntate al pluralismo interno e al pluralismo esterno! E che cosa dicevano? Che il pluralismo è dato da più fonti concorrenti tra loro, dal superamento di un mercato chiuso, dalla possibilità di godere di offerte diverse, dal superamento della concentrazione. Queste sono le sentenze aggirate che precedono e seguono le consultazioni. Poi, uno può dire: scegliamo la Corte costituzionale per decreto. Oppure può dire: la Borsa ieri ha fatto crescere il titolo di Mediaset, la Borsa è un covo di comunisti; non deve dire che quando noi ci battiamo per l'azienda del capo crescono i titoli in Borsa. Fate un decreto per cancellare la Borsa e la Corte! Ma non potete dire che non c'è la Corte, attenzione al linguaggio che si usa!
La giurisprudenza della Corte costituzionale - tutta, di qualsiasi stagione della Repubblica! - contrasta con l'idea del conflitto di interessi, con la chiusura del mercato, con il dominio del denaro, ed indica nella libertà del mercato una premessa per la libertà delle opinioni e per l'uguaglianza tra le formazioni politiche e sociali. Politiche e sociali, perché oggi abbiamo grandi temi sociali rimossi dalla rappresentazione, come hanno detto molto bene Franco Giordano, Rizzo, Pecoraro Scanio ed altri colleghi. Vi sono grandi rimozioni non solo di grandi giornalisti, ma anche di grandi temi, che agitano la vita del paese, come la questione sociale, che è cosa ben più complessa!
La cosiddetta legge Gasparri ed il decreto-legge in esame, quindi, non recepiscono le osservazioni delle istituzioni...

PRESIDENTE. Onorevole Giulietti, la invito a concludere.

GIUSEPPE GIULIETTI. Ho terminato, signor Presidente. Questo decreto-legge è la dimostrazione più alta della vostra sconfitta. Voi avete cercato di umiliare il Parlamento...

PRESIDENTE. Grazie, onorevole Giulietti...

GIUSEPPE GIULIETTI. Ho concluso, Presidente Mastella, ho solo un'ultima cosa da dire. Vorrei solo ringraziare i colleghi...

PRESIDENTE. Ho capito, ma non è che ognuno...

PIERO RUZZANTE. Lo lasci finire, Presidente!

GIUSEPPE GIULIETTI. Vorrei ringraziare i colleghi e le colleghe dell'opposizione, che hanno difeso la dignità dell'Assemblea anche in questa occasione (Applausi


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dei deputati dei gruppi dei Democratici di sinistra-L'Ulivo, Misto-Socialisti democratici italiani e Misto-Comunisti italiani)!

PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto l'onorevole Mussi. Ne ha facoltà.

FABIO MUSSI. Signor Presidente, sottosegretario Innocenzi, mi piacerebbe che lei riferisse qualcosa di quanto sto per dire al ministro, perché in queste giornate i miei colleghi del centrosinistra hanno dato libero sfogo ad un'autentica indignazione. Essi hanno valutato i profili politici, istituzionali e persino morali di questo decreto-legge e della procedura parlamentare adottata dal Governo, ed hanno così acceso la loro indignazione e la loro protesta. Comprendo ciò e lo condivido; tuttavia, restando a questo livello di valutazione del testo, ho l'impressione che si siano persi qualcosa. Allora, esorto tutti i miei colleghi, innanzitutto quelli della mia parte, ad osservarlo meglio per potervi riconoscere delle qualità che, in questo caso - come dimostrerò rapidamente -, sfiorano l'arte.
Signor sottosegretario, non so se il Governo se ne rende conto, ma il decreto-legge in esame è un oggetto straordinario: lo affermo da studioso dilettante di linguaggi e di semiologia, ed esorto tutti a compiere l'analisi del testo. Si tratta - anticipo la sintesi - di una tipica legge «sciamanica», dove cioè tecnologia e magia si sposano, e qui ci troviamo già in una raffinatissima temperie postmoderna. Bisogna andare ad esaminare le strutture logiche e linguistiche, assolutamente inedite, con cui è costruito questo provvedimento, e non sto scherzando.
Prendete il titolo, ad esempio. Nel titolo già esplode una dialettica mai vista, perché, trattandosi di un decreto-legge che stabilisce un periodo di ulteriore transizione, il suo titolo è questo: Disposizioni urgenti concernenti modalità di definitiva cessazione del regime transitorio della legge 31 luglio 1997, n. 249. In altri termini, è una cessazione incessante, nel senso che cessa non cessando: annuncia un evento e ne realizza uno contrario. Si tratta di una forma di superamento conservante: obbedisce alla Corte costituzionale e, contemporaneamente, le disobbedisce.
Non so se vi sia qualche reminiscenza hegeliana del superamento, o se siamo nel campo del bislinguaggio di Orwell: la libertà è oppressione, la pace è guerra, la cessazione è incessante!
Lo trovo straordinario! Il titolo lo trovo straordinario: si tratta dell'annuncio di un universo parallelo!
Conoscevo il contenuto del provvedimento, ma, dovendo parlare, sono andato a rileggermelo attentamente, meditandoci sopra. Ebbene, il dispositivo stabilisce una forma di virtualità attualistica di cui non mi constano precedenti. Una realtà virtuale - cioè il sistema analogico - diventa creatrice di una realtà in atto: Retequattro e Mediaset.
Il rapporto tra potenza e atto è noto, ma, signor sottosegretario, voi siete andati molto oltre Aristotele. Nella versione aristotelica, quando si parla di qualcosa che è in potenza, non si fa riferimento a qualcosa che non c'è. Ad esempio, una molla caricata contiene un'energia potenziale: nel momento in cui scatta, l'energia potenziale diventa energia attuale, ma l'energia potenziale c'è, non è un'immaginazione. Qui è il non esserci che produce l'esserci, il Dasein! Guardi, signor sottosegretario, che siete andati molto oltre Heidegger!
Trovo straordinaria la metafisica del testo. Nella versione licenziata dal Senato, esso recita: «allo scopo di accertare contestualmente, anche tenendo conto delle tendenze in atto nel mercato». Tenendo conto delle tendenze in atto nel mercato: ieri l'altro, sono stati venduti 3 decoder; ieri 6; è probabile che, con l'incremento del 100 per cento, tra un mese, i decoder siano una quantità enorme, come la storia dei chicchi di grano che si raddoppiano sugli scacchi; ma è la tendenza che fa intravedere una quantità alla quale il decreto-legge collega l'accertamento.
Poco più sotto, si dice che la quota di popolazione, che nel testo originario doveva essere «raggiunta», deve essere «coperta». Coperta che vuol dire? Che c'è un segnale che non arriva! Quelli non riceveranno


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nulla, ma un segnale c'è. Quindi, si tratta di una realtà del tutto potenziale, virtuale, che, però, crea una realtà attuale. Non è fenomenologia, ma pura metafisica! E un'analisi filologica e filosofica di questo testo me lo fa assolutamente apprezzare. Un'assenza produce una presenza! Se guardiamo più a fondo, sottosegretario Innocenzi, questo è Lacan puro: l'assenza che produce una presenza è la struttura del desiderio nella sua autentica forma «rizomatica»! Lo trovo fantastico.
Il tutto è avvolto in un manto sfavillante di letteratura. Lei ricorderà la dottrina dantesca della donna nello schermo: si indica una donna per parlare di un'altra. Qui viene trasformata nella sua veste tecnologica: lo schermo dello schermo. Si finge l'invaghimento per una rete - l'ho sentito ripetere: è Rai 3 che ci sta a cuore, che deve essere nutrita di pubblicità! - per non svelare l'amore esclusivo per l'altra, che è Retequattro! Una pura forma di messaggio schermatico, già nota nella grande letteratura medievale, qui trova un'attualizzazione nel mondo della tecnologia.
Per questo ho parlato di provvedimento nel quale magia e tecnologia si sposano: un amore finto per un amore vero. Si capisce, allora, perché il partito del Presidente sia il partito dell'amore. Siamo davvero ad una produzione sontuosa di cultura! Questo è il modo in cui si è non legislatori, ma - per il ministro Gasparri, voglio citare lo Starobinski, che su ciò ha scritto cose importanti - logoteti, fondatori di linguaggio.
Guardi che il potere che fonda i linguaggi imita Dio, secondo tutti i teorici antichi e moderni. Si capisce meglio anche questo corteo, perché fa parte di questo clima e di questa cultura che in questa sede si esprime, di unti del signore, interventi della provvidenza, don Gianni Baget Bozzo, eccetera eccetera.
D'altronde, non poteva trattarsi che di un percorso mistico; infatti, non è un caso che tutto sia legato all'epifania di un uomo chiamato Fede (Applausi dei deputati dei gruppi dei Democratici di sinistra-L'Ulivo, Misto-Socialisti democratici italiani e Misto-Verdi-L'Ulivo). Qui, trovo che il cerchio del vostro decreto-legge si chiuda.
Esprimerò un voto contrario per banali considerazioni politiche. Tuttavia, se dovessi obbedire al sentimento che mi sgorga leggendo questo decreto-legge, voterei a favore, non come un atto politico, ma come un'opera d'arte, vale a dire come esempio di cultura nuova e straordinaria che non si era mai visto.
Vorrei che lei portasse i sensi di questo mio apprezzamento al ministro Gasparri (Applausi dei deputati dei gruppi dei Democratici di sinistra-L'Ulivo, Misto-Socialisti democratici italiani e Misto-Verdi-L'Ulivo - Congratulazioni).

PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto l'onorevole Lion. Ne ha facoltà.

MARCO LION. Signor Presidente, come gli altri colleghi dell'opposizione, come i miei colleghi deputati dei Verdi, voterò contro la conversione in legge di questo decreto-legge, perché non contiene una semplice proroga. Si tratta di un'operazione in grande stile. È la manifestazione concreta di cosa significhi il conflitto di interessi per il Presidente del Consiglio, Berlusconi. È la pietra tombale sulla sentenza della Corte costituzionale che stabiliva che una rete privata dovesse andare sul satellite entro il 31 dicembre 2003. È un attentato al pluralismo, al senso di democrazia e alla democrazia stessa nel nostro paese.
Con questo decreto-legge, Berlusconi e la sua maggioranza eludono e calpestano, con una arroganza incredibile, non solo le sentenze della Corte costituzionale, ma anche lo stesso messaggio del Presidente della Repubblica sulla legge Gasparri.
Con questo decreto-legge, viene calpestato l'articolo 21 della Costituzione e le sue fondamentali implicazioni per la democrazia. Tutti hanno il diritto di manifestare liberamente il proprio pensiero con la parola, lo scritto e con ogni altro mezzo di diffusione. Il Governo e la sua maggioranza come rispondono per garantire questo principio del pluralismo di cui questo nostro articolo della Costituzione? Rispondono con un decreto-legge, spacciato come una semplice proroga in attesa dell'approvazione della legge Gasparri che,


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più che una legge di sistema delle telecomunicazioni, è una legge che sistema il potere all'interno delle telecomunicazioni a vantaggio di qualcuno.
Infatti, grazie a questo decreto-legge, il Presidente del Consiglio dei ministri si garantirà una consistente entrata economica e speriamo che ci paghi sopra le tasse.
Come ha calcolato ieri il collega Duca, si tratta di 240 milioni di euro l'anno, di 20 milioni di euro al mese, di 4,3 milioni alla settimana, di 623 mila euro al giorno, di 26 mila euro all'ora, di 499 euro al minuto, di 8 euro al secondo.
Ho parlato di pluralismo negato, di interessi privati, ma qui, oggi, dobbiamo parlare anche di un furto di legalità e di diritti perpetrati ai danni di chi legittimamente aveva vinto, a suo tempo, la gara per la concessione nazionale usurpata da Retequattro.
Nel 1999, la società Europa 7 partecipa alla gara indetta dallo Stato italiano nel rispetto del regolamento disciplinare redatto dal Governo e dalle sue istituzioni per il rilascio delle concessioni nazionali delle frequenze. Così facendo, ottiene una delle sette concessioni nazionali. Mediaset partecipa alla stessa gara ed ottiene le concessioni per Canale 5 ed Italia 1, ma non per Retequattro. Quest'ultima, quindi, dal luglio del 1999, utilizza un bene pubblico, le frequenze, senza avere la concessione che costituisce il titolo indispensabile per utilizzare quel bene pubblico.
Quindi, da cinque anni, un pezzo importante dell'impero Mediaset è fuori legge e oggi, nonostante la sentenza della Corte costituzionale, si vuole continuare a perpetrare questo scippo di legalità. Ma non tutti, nel mondo dell'informazione e della comunicazione, hanno avuto questi privilegi. Ho citato anche ieri, parlando dell'ordine del giorno, di un caso che è avvenuto nella mia città. Il 19 settembre 2003 alcuni funzionari del Ministero delle comunicazioni hanno disattivato e sigillato la street tv di Senigallia Disco Volante, perché, come Retequattro, non provvista di concessione governativa. Il problema è che Disco Volante è un'associazione che si occupa di handicap ed, in particolare, di tetraplegici, e sono gli stessi handicappati che ogni giorno producono i contenuti della loro piccola tv di strada, che è ascoltata in un raggio di poche centinaia di metri. L'oscuramento dell'emittente televisiva di strada senigalliese disposto dal Ministero delle comunicazioni però coinvolge, visto il quadro su cui stiamo discutendo, visto anche questo decreto-legge, una serie di problematiche e di questioni che hanno direttamente a che fare con i contenuti della libertà di manifestazione del pensiero nel nostro paese, quindi, anche con la qualità della nostra democrazia. Disco Volante è una televisione realizzata in una piccola città allo scopo di promuovere una comunicazione sintonizzata sui bisogni e sui problemi quotidiani della comunità locale, con l'obiettivo di favorire una integrazione effettiva dei soggetti disabili attraverso la creatività. Non è, quindi, una televisione per far soldi o per arricchirsi, è una televisione che risponde a bisogni sociali e anche a bisogni sanitari di determinate persone. Eppure, nonostante queste caratteristiche di valenza sociale presenti nell'emittente, i tecnici ministeriali sono subito intervenuti in questo caso, a differenza di Retequattro, e lo hanno fatto, con una solerzia sicuramente degna di miglior causa, per porre i sigilli alle attrezzature di questa televisione di strada. Non dimentichiamoci poi che, di fatto, questa emittente, al pari di tutte le altre tele street, non arreca alcun disturbo alle reti esistenti e riconosciute, dal momento che usufruisce del cosiddetto cono d'ombra, area di etere inutilizzata, coprendo quindi soltanto un raggio di poche centinaia di metri. La decisione di chiudere Disco Volante, però, è una scelta che noi abbiamo fortemente criticato e sulla quale abbiamo presentato ordini del giorno e siamo intervenuti più volte alla Camera.
Non si può, prendendo questo caso, liquidare questa vicenda limitandosi ad invocare la formale constatazione dell'assenza di una concessione, dato che non si capisce perché la stessa cosa non valga per Retequattro. Infatti, se si vuol valutare il fenomeno nella sua complessità, occorre considerare anche il contesto nazionale all'interno del quale l'episodio che ho raccontato si è inserito. Ebbene, questo


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quadro è caratterizzato da un numero sempre crescente di televisioni di strada che sorgono nel nostro paese come simboli di una comunicazione che parte dal basso, un ambito contrassegnato da numerosi progetti di legge depositati in Parlamento, i quali si prefiggono lo scopo di disciplinare queste nuova realtà della comunicazione televisiva così strettamente collegate alla libertà di manifestazione del pensiero riconosciuta dalla nostra Costituzione.
In un simile contesto, la posizione più equa e ragionevole da parte del Governo sarebbe stata quella di giungere, nella maniera più rapida possibile, ad una soddisfacente regolamentazione della materia; invece, noi abbiamo avuto la legge Gasparri e stiamo discutendo di questo decreto-legge salva Retequattro. Non è andata come si poteva pensare in uno Stato democratico e sensibile alla partecipazione dei cittadini e al pluralismo democratico, perché logiche centralistiche, logiche monopolistiche, interessi privati di chi ci governa hanno avuto ancora una volta la meglio. Il problema, però, è troppo delicato per poter essere archiviato. Siamo convinti infatti che in una democrazia compiuta non è con i sigilli che si offrono risposte alle istanze di partecipazione e informazione provenienti dalla società, ma è piuttosto con il dialogo e con il confronto, nella continua ricerca di soluzioni in grado di corrispondere alle attese dei cittadini, riconoscendo loro nuovi diritti ed opportunità. Noi oggi invece parliamo di questo decreto-legge di proroga che garantisce l'impunità ad una rete Mediaset.
Allora, di fronte a quanto sta accadendo, di fronte alla risposta che questo Governo e questa maggioranza stanno dando ai diritti inalienabili dei nostri cittadini, di fronte a quanto stabilito dall'articolo 21 della Costituzione, a quanto deciso dalla Corte costituzionale, l'unica risposta che possiamo dare è rappresentata da una battaglia seria, civile, responsabile, democratica, all'interno delle aule parlamentari e nel paese per far capire che quanto sta avvenendo lede prima di tutto la libertà, la democrazia, i principi di eguaglianza di questo nostro paese.
Questa è una battaglia che tutti noi abbiamo condotto con forza, con volontà e con dedizione, dedicando agli interventi in quest'aula anche orari impossibili; è una battaglia necessaria oggi e necessaria soprattutto per il futuro del nostro paese.
Non possiamo farci condizionare da interessi economici, da interessi privati, da interessi particolari. Le risposte che dobbiamo dare ai cittadini sono altre e riguardano tematiche che vengono eluse in questo Parlamento (dalla situazione economica del nostro paese a quanto sta avvenendo in Iraq, alla risposta che si vuole dare ai venti di guerra che soffiano sul nostro pianeta). Rispetto a ciò intendiamo confrontarci con serietà e liberamente; rispetto a ciò intendiamo lavorare, non certamente perché il nostro Presidente del Consiglio porti a casa un decreto-legge che, forse, l'arricchirà di più, ma sicuramente renderà più povera la democrazia nel nostro paese (Applausi dei deputati dei gruppi Misto-Verdi-L'Ulivo e della Margherita, DL-L'Ulivo).

PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto l'onorevole Alfonso Gianni. Ne ha facoltà.

ALFONSO GIANNI. Signor Presidente, onorevoli colleghi, a questo punto della discussione è un po' difficile dire qualcosa di originale su questo testo, peraltro estremamente breve; mi limiterò, quindi, a qualche spigolatura.
Poco fa il collega Mussi si è esercitato con buona cultura nell'esame del testo. Io insisterò sul contesto e vediamo se insieme riusciamo a creare un ipertesto, secondo la terminologia corrente.
È vero: siamo di fronte ad un decreto-legge straordinario, perché riesce a concentrare in sé una pluralità di conflitti con i poteri democratici esistenti, tanto da diventare un esempio di specie. Esso crea un conflitto con la Corte costituzionale, poiché la natura di questo decreto-legge consiste essenzialmente - e direi unicamente - nell'eludere il senso e la lettera della sentenza della Corte costituzionale più volte richiamata. Esso è in conflitto con il messaggio inviato dal Presidente della Repubblica sulla pluralità nel campo dell'informazione e sulla reiezione dei testi precedenti in questa materia da parte


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della stessa Presidenza della Repubblica. Questo testo costituisce un elemento di italica furbizia per aggirare l'ostacolo e riproporre la sostanza delle cose, seppure per un tempo limitato e, quindi, esponendosi alla caducità delle umane, mediocri furbizie.
Esso determina un conflitto con il Parlamento, dal momento che, reiterando un atteggiamento già noto e portato fino all'ennesima potenza in questa legislatura da questo Governo (anche se la responsabilità non è solo sua), ci troviamo di fronte all'utilizzo del voto di fiducia non per bloccare la possibilità di modificare il testo da parte dell'opposizione, ma per tacitare una maggioranza turbolenta, composta anche da chi, non vedendosi premiato da questo decreto-legge (che premia un solo partito, il suo presidente, un solo uomo ed una sola proprietà) non ha lo stesso interesse a vederlo approvato.
Naturalmente, se allarghiamo il contesto alle vicende economiche, sono valide tutte le considerazioni (che qui non ripeto, ma che richiamo) che i colleghi hanno svolto in merito al ritorno, alla speculazione economica, al guadagno che entra direttamente nelle tasche del partito-azienda e che deriva dall'applicazione di questo decreto-legge.
Ricordo che questo partito azienda - cioè quello di Forza Italia - del Presidente del Consiglio Berlusconi e di Mediaset è l'unico a poter vantare un successo nelle vicende economiche del nostro paese per l'anno in corso.
Un giornale ha recentemente ricordato che, se si guarda ai guadagni di borsa del 2003 rispetto all'anno precedente, il gruppo di Mediaset è quello che ha guadagnato di più: + 28 per cento. Un guadagno enorme, rispetto al quale si evidenzia nella sostanza che il potere politico deriva da quello economico e che a sua volta il potere politico amplia enormemente il potere economico.
Non vi è altro da dire in sede analitica: naturalmente, dal punto di vista giuridico e politico ciò si chiama conflitto di interessi.
Noi tuttavia vogliamo analizzarlo nella sua sostanza reale: questa è la miseria del testo che noi abbiamo di fronte.
Vi è peraltro un altro aspetto che questo testo ci propone: l'insistenza sul mezzo televisivo infatti non nasce solamente da ragioni di carattere economico e non è solamente derivante da una sorta di demagogia sul terreno dell'occupazione, per cui si guarda ai dipendenti di Retequattro e si moltiplicano le cifre dell'occupazione (cifre false).
Si falsifica infine il fatto che qualora la soluzione fosse quella indicata dalla Corte costituzionale, comunque il personale potrebbe essere facilmente assorbito all'interno della stessa proprietà; nello stesso tempo, come è stato messo in luce nel corso di questo non breve dibattito, in ogni caso ci si oppone al fatto che ammortizzatori sociali intervengano anche in questo contesto produttivo, seppur produttivo immaterialmente, come si suol dire.
C'è un'altra ragione: l'insistenza ormai ossessiva da parte di questo Governo sui mezzi massmediatici va di pari passo con una perdita di consenso reale del Governo delle destre nel paese.
Credo si sia di fronte ad una perdita di senso della realtà da parte del Presidente Silvio Berlusconi. Le sue recenti apparizioni televisive sono raccapriccianti, non tanto per la sistemazione facciale, quanto per il contenuto che esse hanno.
Prendiamo ad esempio la questione delle condizioni sociali ed economiche di questo paese: a fronte di tutte, dico tutte - non ho paura di nessuna smentita: in tal senso ho presentato un'interrogazione che spero gli uffici della Camera vaglino positivamente, al di là del tono ironico del quale non potevo fare a meno - le ricerche di istituti e di analisti economici che testimoniano un declino produttivo, un impoverimento di massa e un peggioramento delle condizioni economiche, un uomo vaneggiante cerca ostinatamente di sovrapporre alla realtà effettuale una realtà virtuale. Siamo a Matrix! E le televisioni servono essenzialmente a questo, persino avendo avanti i dati dell'Istat, che ovviamente è molto più «tenero» rispetto ad altri enti e centri di ricerca. L'Istat presenta dati molto più contenuti, ma con lo stesso segno di tendenza profondamente negativo.


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Rispetto a tutti gli indicatori economici del paese abbiamo il Presidente del Consiglio che ha la spudoratezza di sostenere che quei dati dipingono una realtà del paese diversa.
In sostanza, l'apparato televisivo è consustanziale ad un'operazione ideologica di negazione della realtà.
Colleghi della destra, siamo di fronte ad un bel cambiamento della situazione. Nella cosiddetta prima Repubblica - di cui siete figli e discepoli, perché Berlusconi deriva da Craxi, come tutti sanno - almeno vi era la formulazione «e la barca va...!». Vi era, cioè, un'analisi del paese con luci ed ombre, anche se con una sostanziale valutazione di segno ottimistico rispetto alla sua evoluzione. Il Censis, nelle sue famose introduzioni ai rapporti annuali, con una terminologia invidiabilmente creativa - qui dentro spopolerebbe! - nel definire questo paese pieno di problemi, di ruggine e di cose che non funzionano ma dotato di risorse e potenzialità di volta in volta trovate nella piccola impresa, nell'artigianato, nell'inventiva sparsa del popolo italico, di anno in anno utilizzava formule di tipo sostanzialmente ottimistico. Era una visione contestabile, ma si agganciava ad alcuni pezzi della realtà. Qui - ripeto - siamo di fronte a Matrix! Si tratta di una patina, che si vuole inviolabile ed imperturbabile, che si sovrappone integralmente ad una realtà effettuale. A ciò servono la televisione, i giornali ed i mezzi di stampa che affannosamente, e sempre più ridicolmente, questa maggioranza cerca di proteggere.

PRESIDENTE. Onorevole Gianni...

ALFONSO GIANNI. Attenzione: quando si perde il senso della realtà si perde, poi, politicamente (Applausi dei deputati dei gruppi di Rifondazione comunista e dei Democratici di sinistra-L'Ulivo)...

PRESIDENTE. Grazie, onorevole Gianni.
Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto l'onorevole Mantovani. Ne ha facoltà.

RAMON MANTOVANI. Signor Presidente, più rozzamente di altri colleghi, dirò che nel decreto-legge in esame si ravvisa uno stile di stampo padronale nell'attacco portato alla Corte costituzionale ed alle osservazioni del Capo dello Stato e nell'imposizione del voto di fiducia.
Il Presidente del Consiglio Berlusconi rappresenta un punto di vista, oltre che interessi molto concreti, che considera la democrazia, l'autonomia reciproca ed equilibrata delle istituzioni ed il Parlamento come impacci, come lacci e lacciuoli che impediscono il libero dispiegarsi dell'attività imprenditoriale. Il punto di vista dell'impresa non è compatibile con la democrazia quando l'impresa si fa Stato, com'è nel caso patente del conflitto di interessi che si manifesta, per la prima volta con tale rudezza, alla guida del Governo del paese.
Tale stile è ancor più grave per il fatto che l'interesse e, quindi, il conflitto di interessi esistono ed agiscono travolgendo le istituzioni democratiche e squilibrando un sistema che, invece, dovrebbe essere tenuto al riparo dagli squilibri provocati dal mercato.
Non si può (e non si deve), infatti, dimenticare, come ha fatto l'amico e collega Ugo Intini, che la formazione del duopolio televisivo, in modo particolare del monopolio televisivo privato, è stata favorita dalla non regolamentazione, che, a sua volta, ha permesso al mercato di prodursi in una delle sue manifestazioni più evidenti, perché la competizione si conclude con la vittoria di qualcuno e con la sconfitta di altri e porta inesorabilmente verso una formazione di natura monopolistica. Il fatto che poi questa formazione sia stata ratificata con atti legislativi poco importa.
Questo è il punto della questione, che non bisogna dimenticare rivendicando il mercato, come se questo fosse, di per se stesso, regolamentatore ed equilibratore, in un settore così delicato come quello dell'informazione, dei mass media. Il collega Intini, infatti, è stato tentato di fare l'autocritica degli altri, anche se questi altri lui li ha chiamati «sinistra», ma ha dimenticato di collocarsi in quella sinistra (a quel tempo), visto che ha rivendicato l'appoggio dato da lui e dal suo partito di allora a Berlusconi. Forse ha fatto bene,


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perché l'appoggio a Berlusconi, nel periodo nel quale dalle reti commerciali locali si costruiva un monopolio privato nazionale composto da tre reti, non poteva essere certamente una politica di sinistra.
Questo conflitto di interessi è particolarmente nefasto, perché agisce in un campo nel quale già abbiamo assistito non solo ad una concentrazione della proprietà, ma anche ad una riduzione dello spettro di posizioni politico-culturali (ed anche artistiche) nel corso del tempo, perché, sebbene siano aumentate le testate, sia quelle radiotelevisive, sia quelle della carta stampata, in realtà con il processo di concentrazione della proprietà e con una competizione anomala tra il settore privato commerciale e il settore di informazione pubblica abbiamo assistito ad una convergenza su modelli culturali assolutamente analoghi. Quando si dice che tutte e sei le reti televisive offrono, dal punto di vista culturale, con rarissime eccezioni, lo stesso punto di vista, si dice una cosa vera, una realtà, che non è iniziata in questa legislatura, bensì molti anni fa e che è stata implementata, nel corso del tempo, con molta pervicacia. Questo, allora, è il punto della questione.
Per opporsi efficacemente a questo osceno decreto e, ancora di più, per opporsi efficacemente alla concezione proprietaria, padronale, e alla concezione imprenditoriale, non già della rappresentazione di interessi bensì della gestione della cosa pubblica, bisogna lottare contemporaneamente contro i monopoli, privati o pubblici che siano, e soprattutto per il pluralismo informativo, che non è (e non può essere) garantito unicamente dalle dinamiche di mercato. Ci deve essere - non può che essere così - un intervento del settore pubblico, a garanzia e ad implementazione del pluralismo.
Siamo, però, ancora all'anno zero: si è, infatti, manifestata una certa tendenza con la formazione del duopolio e con la competizione unicamente mercantile nel settore radiotelevisivo e, pertanto, siamo in una fase ancora regressiva. Questa tendenza andrebbe assolutamente invertita! Considero, pertanto, importante che le opposizioni stiano conducendo insieme questa battaglia; è importante sul piano democratico, sia dal punto di vista della concezione della funzione del Governo, sia dal punto di vista della concezione del rapporto tra le istituzioni (come il Parlamento) e la società, sia dal punto di vista della regolamentazione di settori (come quello dell'informazione) che devono essere mantenuti al riparo dagli arbitri delle imprese e del mercato.
Sarebbe, tuttavia, del tutto illusorio pensare che si possa vincere questa stessa battaglia se non la si collega ad una battaglia più generale che investe i problemi sociali e che, fra pochi giorni, investirà anche alla Camera dei deputati quello della collocazione internazionale del nostro paese e della pace, sebbene lo stesso sia ancora aperto oramai da più di un anno.
Non è pensabile vincere una battaglia su questo terreno, sul quale oggi tutti insieme ci impegniamo se, domani, saremo divisi su altre questioni anche più importanti di questa (Applausi dei deputati del gruppo di Rifondazione comunista)!

PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto l'onorevole Deiana. Ne ha facoltà.

ELETTRA DEIANA. Signor Presidente, l'imposizione del voto di fiducia sul decreto-legge «salva Retequattro» costituisce indubbiamente una metafora lampante di quel conflitto di interesse che così bene contraddistingue e caratterizza il profilo istituzionale - si fa per dire - del Presidente del Consiglio.
Mi chiedo spesso da dove venga l'uomo, da quale grumo nero di illegalità, prepotenza e disprezzo delle regole condivise sia alimentata la sua ossessione del potere e la sua ingordigia di profitti familiari, in quali ambienti Berlusconi abbia maturato l'idea aberrante che un Capo di Governo possa confliggere con le grandi istituzioni democratiche del suo paese, come se si trattasse di nemici interni, di attentatori alla libertà della sua maggioranza, quindi di ostacoli da rimuovere.
D'altra parte, il conflitto di interesse del premier parla anche di altro; parla di voi, signori del Governo, rimanda alla natura intrinseca del vostro Governo. Voi,


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infatti, vi siete costituiti in comitato di affari, ma non della borghesia, come usava dire, ormai nella notte dei tempi, la sinistra comunista, ma direttamente dei vostri affari; un gruppo di faccendieri, messo insieme per la gestione degli interessi privati del capo e dei suoi clientes, cioè i vostri.
L'impresa si fa direttamente Stato e l'azienda si mette direttamente al timone della cosa pubblica. Come è stato detto da molti colleghi e colleghe prima di me, voi avete dell'informazione un'idea proprietaria e strumentale, ma a tal punto spinta da rappresentare, ormai, un vero e proprio attentato alla libertà ed alle libertà del nostro paese. L'informazione infatti - lo sapete bene - non è solo mercato e pubblicità, ma potere, enorme e persuasivo, da sottoporre rigorosamente, in un paese che si vuole democratico come il nostro, a regole di trasparenza, democrazia e reciprocità tra i soggetti. Voi proprio questo non volete e vi opponete a ciò con una determinazione furibonda, degna di una masnada di predatori corsari. Vi siete installati al Governo ingannando la buona fede di molti cittadini, donne e uomini che hanno creduto al sogno del Cavaliere azzurro, oppure facendo leva sui sentimenti peggiori della gente, che avete alimentato con la vostra demagogia populistica, attraverso le promesse di egoismo sociale, teorizzate dai cantori del liberismo che ospitate a iosa.
Da Palazzo Chigi state cercando di arraffare tutto, di demolire tutto, e la vostra sfrenatezza è ormai direttamente proporzionale solo agli smottamenti che state incontrando nel vostro rapporto con l'elettorato, alla sensazione - e i sondaggi ve lo confermano - che qualcosa non funziona più nella presa mediatica del grande comunicatore. Per questo siete ancora più pericolosi e devastanti!
Il controllo totale dell'informazione e la ricerca del monopolio televisivo rispondono a questa frenetica esigenza di riprendere il controllo della situazione oltre, ovviamente, che a quella tradizionale ed intrinseca di curare i profitti dell'azienda di famiglia. Un controllo che ricercate affannosamente nella presunzione e nell'illusione che lo stuolo di servitori fedeli del premier, di cui avete riempito gli studi televisivi - mai nomen, avrebbero detto i latini, fu così vistosamente homen -, abbia il potere di ipotizzare, da qui all'eternità, la coscienza critica del popolo italiano, di far accettare alla gente le inenarrabili fandonie che Berlusconi racconta ad ogni piè sospinto, mentre mena fendenti inauditi alle fondamenta costituzionali della Repubblica.
Che cos'è, se non questo, il discorso da «repubblica delle banane» che il premier ha indirizzato all'esercito di evasori di eccellenza, assolvendoli dal loro reato in nome dei troppi soldi di cui dispongono? Che c'è di male - ha affermato il premier - ad avere tanto e a non dare niente? Se le sentenze della Corte costituzionale - è sempre il Presidente del Consiglio che parla - sono arcaiche, cos'è il principio dell'imposizione progressiva delle tasse? Nient'altro che un invito, anzi un obbligo, a levarlo di mezzo!
La fiducia che avete chiesto sul decreto-legge è paradossale oltre che inaudita. Voi, infatti, non potevate temere l'opposizione; a rigor di logica, in questo Parlamento, non dovreste mai temere l'opposizione, vista la maggioranza di cui godete! Ma voi temete in primis voi stessi, avete sfiducia verso voi stessi, in quanto siete dilaniati dalle vostre liti interne; troppo pericoloso, dunque, per Berlusconi rischiare altri franchi tiratori in qualche voto segreto. Così, decidete di cancellare il dibattito, il confronto, la funzione stessa del Parlamento; un altro di quei lacci e lacciuoli di cui si può fare a meno nell'Italia-azienda che voi prefigurate.
In tal modo, la Camera diventa il luogo per depistare, camuffare e salvare in corner gli affari di famiglia, la vexata quaestio della verifica che non è finita, come signorilmente uno dei vostri, l'onorevole Publio Fiori, ha affermato. Solo di questi affari siete capaci di discutere, mentre dei problemi del paese non volete e non siete in grado di occuparvi.
Non sarà un caso che i sondaggi rivelino che l'unico provvedimento legislativo che i cittadini italiani collegano a voi è la patente a punti. Il Parlamento è diventato, una volta di più, la dependance di via del Plebiscito e noi siamo costretti a ridiscutere


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di un problema per il quale altre istituzioni della Repubblica, a partire dall'Alta Corte, avevano definito il contesto e le soluzioni da adottare: Retequattro vada sul satellite!
Il Presidente della Repubblica, rinviando alle Camere la legge Gasparri, ha sollevato pesanti dubbi sul complesso di quel provvedimento, in particolare sull'ampiezza del Sistema integrato delle comunicazioni e sul rischio di creazione di posizioni dominanti.
Non è difficile arguire il giudizio del Presidente della Repubblica: quel provvedimento era un tentativo di aggirare la sentenza della Corte costituzionale proprio relativa a Retequattro. Ma voi delle scelte di garanzia del Presidente della Repubblica non sapete che farvene, perché esse sono difformi e lontane dalla vostra cultura, dalle vostre prospettive e dai vostri desiderata. Corte e Presidenza della Repubblica sono in mano ai comunisti, così dice il «cavaliere», ridicolo fino al grottesco.
Gli dei accecano nella mente e nel cuore quelli che vogliono perdere: noi sinceramente ce lo auguriamo. Per questo siamo qui in questa battaglia di opposizione, in questo «no» senza aggettivi al vostro assalto alla diligenza (Applausi dei deputati dei gruppi di Rifondazione comunista e Democratici di sinistra-L'Ulivo).

PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto l'onorevole Zanella. Ne ha facoltà.

LUANA ZANELLA. Signor Presidente, il Governo ha posto la questione di fiducia su questo provvedimento che non esita, con sfrontatezza inaudita, a sacrificare i principi costituzionali, i messaggi del Presidente della Repubblica e le sentenze della Corte costituzionale agli interessi economici del premier, alla sua bulimica ansietà di potere, alla sua egemonia mediatica da cui dipende, o egli pensa dipenda, il suo destino politico.
Abbiamo letto in questa decisione del Governo un segno palese di debolezza, di insicurezza, e non certo mal riposta, considerati i recenti episodi che hanno visto collassare la propria maggioranza sotto i colpi del voto segreto. Abbiamo letto l'ennesimo affronto alle istituzioni parlamentari rispetto ad un provvedimento, cruciale per la rilevanza costituzionale, che sancisce il potere, pressoché assoluto, del premier sul sistema radiotelevisivo; un provvedimento che sana con una sorta di mega-condono una situazione, dichiarata illegittima costituzionalmente, che consente, come è stato più volte ricordato, a Retequattro di occupare abusivamente frequenze analogiche in assenza di concessione, impedendo così ai legittimi concessionari di operare. D'altronde, perché un monopolista, che da questa posizione trae ogni vantaggio, dovrebbe di propria iniziativa autolimitarsi? Nella storia non è mai capitato. Da qui la necessità di regole e di vincoli normativi e di contrappesi istituzionali. Ma la mostruosità di questo provvedimento è che non solo non si apre un mercato in pieno sviluppo ed evoluzione ai soggetti che vi potrebbero operare, non solo si strozzano televisioni locali e non si consente la promozione di realtà estremamente interessanti - ne parlava prima il collega Lion - quali le emittenti di strada, che trasmettono nei cosiddetti coni d'ombra, ma si rimuove il problema di fondo che rimane tuttora irrisolto e che non si vuole risolvere e nemmeno affrontare: il conflitto di interessi.
Ha ragione il collega Giulietti, il quale ieri, nel corso del suo intervento, proponeva il 17 febbraio per l'istituzione in questo giorno della festa nazionale del conflitto di interesse. Siamo di fronte ad un vero e proprio trionfo dell'arroganza e del potere.
Questa sfrontatezza e questa imperturbabile volontà di dominio scatenano la nostra indignazione e provocano la reazione dell'opposizione, quanto mai unita e compatta nel tentativo di parlare al paese e di mettersi in contatto con i cittadini e le cittadine che sempre più numerosi esprimono il proprio disagio. Si tratta di un disagio crescente, di una sfiducia nell'esecutivo, che non dà risposte, se non di facciata, ai problemi che attanagliano la vita dei cittadini. Il Governo non esita a smantellare il sistema sanitario pubblico e quello scolastico, non affronta il drammatico


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incalzare del carovita e non si abbassa a prendersi cura di contrastare l'aumento della diffusione della povertà e l'impoverimento delle classi medie.
In questi giorni, pressoché tutte le deputate e i deputati dei gruppi dell'opposizione hanno preso la parola. Abbiamo parlato in assenza di interlocuzione e senza possibilità di riscontro e di contraddittorio. Tuttavia, questa è la rappresentazione, per quanto tragica, della realtà. La maggioranza è sempre più ostaggio del premier, dei suoi interessi, della sua stessa cultura, o meglio, non-cultura politica. Ciò che sta accadendo al Senato lo conferma: un esempio lampante è infatti costituito dal rifiuto del Presidente Pera di calendarizzare il disegno di legge sul conflitto di interessi. Si tratta di una proposta quanto mai blanda, che non abbiamo condiviso e che, anzi, abbiamo fortemente contrastato, ma che almeno nomina il conflitto di interessi, anziché rimuoverlo.
Mi unirò, insieme con altre colleghe e colleghi, alla staffetta dello sciopero della fame, in appoggio all'azione del collega Giachetti, che dal 3 febbraio digiuna per chiedere la calendarizzazione di tale disegno di legge. Non si tratta della nostra proposta, della proposta dell'opposizione, bensì della proposta della Casa delle cosiddette libertà. Tuttavia, c'è ben poco da sperare!
A conclusione del mio intervento, intendo ricordare un fatto molto grave avvenuto in casa Mediaset proprio qualche giorno prima che il Presidente Ciampi rinviasse alle Camere la legge Gasparri. Il presidente di Mediaset, Fedele Confalonieri, e due dirigenti, Nieri e Andreani, hanno effettuato operazioni di trading su opzioni Mediaset: Fedele Confalonieri ha acquistato 900 mila opzioni put con scadenza 12 dicembre 2004 al prezzo di 8 euro ciascuna, per un totale di 7,2 milioni di euro; lo stesso giorno ha ceduto 900 mila opzioni call con scadenza 12 dicembre 2006 al prezzo di 13 euro ciascuna, per un totale di 11,7 milioni di euro. Tale operazione ha fruttato ben quattro milioni di euro. Contemporaneamente, Nieri cedeva 40 mila titoli per un controvalore complessivo di 383.329 euro e Andreani faceva trading acquisto-vendita su varie opzioni del gruppo, per un movimento di capitale complessivo pari a 8,85 milioni di euro. Stupisce la tempestiva scommessa al ribasso proprio da parte del presidente di Mediaset, in un momento particolarmente delicato per la sua azienda. Il titolo, infatti, ha perso 0,50 euro di valore nel giro di pochi giorni.
In tempi bui di disastrosi scandali finanziari, quali i casi Parmalat e Cirio, e di goffi tentativi del Governo di tutelare i risparmiatori, in casa Mediaset gli stessi vertici effettuano operazioni così pericolose di trading mettendo a rischio il gruppo stesso, proprio poco prima del rinvio alle Camere della legge Gasparri e senza che nessuno abbia minimamente sollevato la questione (il Governo men che meno).
Ci chiediamo se si sia trattato di informazioni ottenute in via riservata o di semplici intuizioni. Noi abbiamo chiesto l'intervento del Governo perché fosse fatta chiarezza su un episodio così oscuro, perché riteniamo che i dirigenti Mediaset abbiano violato o possano aver violato l'articolo 180 del decreto legislativo n. 58 del 24 febbraio 1978, il testo unico delle disposizioni in materia di intermediazione finanziaria, relativo all'abuso di informazioni privilegiate. Ho voluto proporre alla vostra attenzione questo episodio per far vedere quanto complesso e veramente pericoloso sia l'intreccio tra gli interessi privati e personali del premier e quelli che dovrebbero derivare dalla sua carica pubblica, di estrema e cruciale importanza per il destino del nostro paese.
Noi constatiamo questa pervicacia nell'affermare, sempre e comunque, il primato degli interessi economici del Primo ministro il quale, invece, dovrebbe incanalarli all'interno di una cornice compatibile con la legge, con la normativa costituzionale e con le stesse indicazioni e norme europee. Al contrario, ci troviamo di fronte ad operazioni che ci portano indietro, estremamente indietro, quando le necessità, i bisogni, le domande e le aspettative del paese richiedono di guardare avanti e di darsi una cornice di leggi, soprattutto in ambiti così delicati, che rendano il nostro paese degno di essere protagonista, nel futuro, in Europa e nel


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mondo (Applausi dei deputati dei gruppi Misto-Verdi-L'Ulivo, Misto-Socialisti democratici italiani e Misto-UDEUR-Alleanza Popolare).

PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto l'onorevole Maura Cossutta. Ne ha facoltà.

MAURA COSSUTTA. Sono ormai due giorni e quasi due notti, signor Presidente, che continuiamo a parlare. Abbiamo detto, ripetuto e continuiamo ad affermare che quanto si sta compiendo in questa Assemblea è un atto inaudito di arroganza politica. Un disegno di legge di conversione di un decreto-legge sarà approvato mediante questione di fiducia per impedire ogni dissenso, ogni voce critica - di questo si tratta - e per impedire il rischio dei voti segreti. Questo disegno di legge passerà con la fiducia, con il bavaglio che Berlusconi impone, in realtà, alla sua stessa maggioranza. Egli pone la fiducia perché nutre sfiducia nella sua maggioranza. Purtroppo, non è presente alcun rappresentante della maggioranza, che subisce supina. Il suo silenzio è assordante. Dove sono finiti i liberali di questa coalizione? Dove sono finiti, persino, i liberisti di questa maggioranza? Nessuno ha parlato in queste due giornate e in queste notti.
Si afferma che si tratta di una fiducia tecnica, perché i tempi sono ristretti e, soprattutto, perché il Parlamento non può perdere tempo ulteriormente, non può attardarsi oltre, dal momento che altri provvedimenti importanti devono essere discussi e approvati; perché il paese, insomma, ha bisogno di questo Governo ed il Parlamento deve funzionare. Ma se si tratta di una fiducia tecnica, perché nessuno della maggioranza interviene? Votare una fiducia tecnica non impedisce di esprimere opinioni, anche interloquendo democraticamente con l'opposizione che, invece, continua a porre domande; lo abbiamo fatto in questa lunga discussione e continueremo ancora, entrando nel merito.
Abbiamo proposto - con la questione di fiducia ci avete impedito di discuterli e di votarli - emendamenti non ostruzionistici, seri, argomentati, con cui volevamo costruire con voi anche una modifica per poter intervenire nel merito di questo provvedimento. Ebbene, avete impedito di esaminare gli emendamenti. Anche attraverso i nostri numerosissimi ordini del giorno abbiamo tentato di interloquire con voi; infatti, non soltanto parliamo al paese, alle persone che ci ascoltano, ma anche con voi avevamo tentato e tentiamo fino all'ultimo di interloquire. Tuttavia nessuno risponde.
Allora, cari colleghi e care colleghe della maggioranza, si comprende che questa è una fiducia altro che tecnica: è una fiducia squisitamente politica. Pertanto, è chiaro che la verifica che chiedevate, nonostante le vostre dichiarazioni, è ancora del tutto aperta, come è chiaro che chi ha vinto in questa verifica è lui, Berlusconi, sempre e soltanto lui, il premier, il capo, il vostro capo, che è e che fa il capo. Berlusconi, infatti, non governa: Berlusconi comanda, domina. È il comando, il dominio la natura vera di ogni sua scelta. Lui, il capo, il dominus, non inter pares, ma appunto sopra a tutto, sopra a tutti, una inedita, moderna e mostruosa figura di monarca assoluto. Lo si è già visto: ha già fatto il monarca assoluto quando si è votato e garantito l'impunità con il lodo Schifani. Lo continua a fare oggi con questo decreto-legge e vi obbliga a votare per salvare le sue televisioni. È il capo, il padrone, che sostituisce con naturalezza i propri interessi all'interesse pubblico. Il suo partito, che è fatto a sua immagine e somiglianza, un partito-azienda, o meglio, un consiglio di amministrazione di cui Berlusconi è l'unico azionista, è certo il più forte nella maggioranza, visto che è il partito più grande dal momento che ha più numeri. In ogni caso, è il partito più forte soprattutto perché Berlusconi ha la forza del potere, quello vero, quello reale, quello economico, perché Berlusconi è in posizione economicamente dominante. Lo è nel paese, lo è nel mercato delle televisioni, in quello pubblicitario, ma lo è anche nella sua maggioranza, rispetto alla sua maggioranza. Forza Italia è il partito dell'antipolitica e cioè della politica asservita all'economia, ai principi, agli interessi del profitto, del mercato o peggio del profitto, degli interessi di una persona


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sola. Berlusconi, lo sappiamo tutti, è entrato in politica per pagare i suoi debiti e governa per finanziare e aiutare le sue imprese.
Dove si leva una voce critica nella maggioranza? E se non ora, quando? È un dominus, il capo, il padrone: lo fa verso l'opposizione, contro il paese, ma, ripeto, anche rispetto alla sua maggioranza. Ieri l'ha dimostrato: sono io - ha detto - che mi candido, che guiderò la coalizione; insomma, sono io che faccio la differenza, sono io la coalizione. Alcuni giornali - i pochi giornali indipendenti, quelli che voi volete che siano sempre di più ininfluenti - lo hanno detto: è stata un'orgia, una vera orgia. Berlusconi ha dichiarato che la Corte costituzionale è un covo di comunisti e non conta nulla rispetto alla volontà del popolo sovrano. Anzi, la legittimità della Corte costituzionale contrasta proprio con la volontà del popolo. Guardate che questo non è soltanto inaudito: potrebbe anche far sorridere; sembra una barzelletta, una delle tante che lui tenta sempre disperatamente di rifilare ai giornalisti, nei suoi show televisivi. In realtà è un passaggio terribile, un moderno blade runner, un medioevo istituzionale, altro che modernità! È possibile che nella maggioranza le voci critiche, io dico il pensiero liberale, non vengano fuori? È un passaggio terribile, vale a dire la scelta strategica del plebiscitarismo.
Pertanto, io credo che qui vi sia un vulnus che va oltre, ben al di là di questo decreto-legge e delle scelte che sono state fatte in questi anni. L'attacco alla Corte costituzionale e la decisione di appellarsi alla volontà del popolo saltano alcuni degli elementi cardine del nostro sistema democratico.
Non si tratta soltanto dell'attacco alla divisione dei poteri, ma soprattutto dell'attacco al principio irrinunciabile dell'esistenza ed anche della funzione dei soggetti istituzionali della rappresentanza, cioè della democrazia. Ed ha ancora continuato, in questa giornata di orgia berlusconiana: cancellerò la par condicio, la terribile legge liberticida. Infatti ha già dato concretissime disposizioni - il direttore Cattaneo è già pronto - perché l'informazione politica in campagna elettorale - alla faccia del pluralismo e della cosiddetta Casa delle libertà - sia per un terzo per il Governo, un terzo per la maggioranza e quel che resta all'opposizione. Mi permetto di suggerire ai colleghi della maggioranza: questo terzo del Governo, questo terzo della maggioranza, chi lo deciderà? Quando Berlusconi si mette in campo, come dice lui, e l'État c'est moi - la coalizione sono io -, i Follini, le voci critiche, i colleghi di Alleanza nazionale, della Lega, quanto spazio avranno nelle televisioni? I colleghi della maggioranza si pongono questo problema? Ma è affar loro.
Berlusconi insiste, sempre in questa giornata di orgia: l'evasione fiscale è giusta, è legittima, e lancia un nuovo sogno. Prima ha lanciato sogni che non si sono avverati, adesso, lancia un altro sogno, che è un incubo, è un'Italia fatta di furbi, di evasori. E poi insiste ancora: io mi candido alle elezioni europee, ma, se perdo, non mi dimetto. Infatti, il monarca non è sottoposto a verifica.
È una sfida al paese, alle istituzioni, ma è una sfida anche per voi, colleghi della maggioranza, un'orgia di arroganza politica, di eversione istituzionale. Berlusconi non governa, comanda, domina e teorizza il comando e il dominio della forza del suo potere economico e del suo monopolio nel campo della comunicazione. E l'accentramento di questo straordinario e modernissimo potere, insieme a quello politico, esecutivo e legislativo - perché avete i numeri - nelle mani di una stessa persona prefigura un sovvertimento serio, eversivo delle regole democratiche.
E allora, liberali, liberisti, democristiani della maggioranza, perché non parlate? E se non ora, quando? Se volete continuare ad essere liberali, liberisti, democristiani, è ora che dovete parlare! Parlate, magari con le parole del Presidente della Repubblica - così Berlusconi non vi potrebbe neanche tanto criticare - che ha detto che il pluralismo è un diritto, un principio irrinunciabile che è misura della libertà e dell'uguaglianza dei cittadini! Il Presidente della Repubblica ha detto che il pluralismo nella società deve presupporre il pluralismo nell'informazione. Parlate ora, colleghi, perché questo decreto-legge è in


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decente! Noi continueremo a ribadirlo per tutta la notte e ancora nella giornata di domani, perché il paese ci guarda e aspetta un segnale: non si vuole rassegnare, vuole reagire (Applausi dei deputati dei gruppi Misto-Comunisti italiani e dei Democratici di sinistra-L'Ulivo).

PRESIDENTE. Grazie, onorevole Maura Cossutta...

MAURA COSSUTTA. Noi continuiamo, perché sentiamo la responsabilità di indicare una prospettiva: legalità, pluralismo e democrazia!

PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto l'onorevole Potenza. Ne ha facoltà.

ANTONIO POTENZA. Signor Presidente, il gruppo dell'UDEUR-Alleanza Popolare voterà contro il decreto-legge presentato dal Governo. La nostra opposizione è motivata da questioni di merito e da questioni di metodo. Non si tratta, a nostro avviso, di una questione di tale rilevanza da richiedere il ricorso alla questione di fiducia alla Camera dei deputati, perché i termini del ricorso alla fiducia sono tali che, molto più correttamente, a nostro avviso, avrebbero dovuto essere affrontati per mezzo di una votazione regolare. Infatti, i problemi connessi al provvedimento sono tali che avrebbero avuto bisogno sia di un adeguato approfondimento, sia di un vero contributo da parte del Parlamento, soprattutto in fase di approvazione.
Il Governo presenta, in effetti, un provvedimento che non rafforza il pluralismo nel sistema dell'informazione televisiva; non lo garantisce, ma, al contrario - lo dico senza mezzi termini - lo affossa. In tale valutazione, sono confortato anche dai richiami allarmanti espressi, negli ultimi tempi, dal Capo dello Stato e dalle pronunce della stessa Corte costituzionale. Dunque, non sono solo nostre una preoccupazione ed una valutazione negativa in questo ambito, espresse solo per ragioni politiche (una preoccupazione di parte, come si potrebbe dire). Si tratta, invece, di una preoccupazione suffragata da dichiarazioni e sentenze delle massime istituzioni, preposte, tra l'altro, alla salvaguardia della legalità costituzionale.
Con la richiesta della fiducia, il Governo evita, nei fatti, che il Parlamento, in tutte le sue espressioni, possa concorrere a migliorare un testo di legge, facendo soprattutto in modo che esso finisca per contraddire gli stessi principi dettati dalla Costituzione repubblicana. Tuttavia, è soprattutto nel merito che la nostra opposizione è netta e ferma. È falso, come dichiarano il Presidente del Consiglio ed il ministro delle comunicazioni, che il decreto-legge serva, in fondo, per tutelare due reti televisive di rilevanza nazionale, una pubblica ed un'altra privata.
In realtà, il provvedimento che abbiamo di fronte serve solo a salvare una rete televisiva nazionale privata ed a continuare a gestire gli immensi introiti pubblicitari che l'Autorità antitrust continua a denunciare, perché contro le normative vigenti.
Tutto ciò va nelle tasche di Mediaset, l'azienda del Presidente Berlusconi, ma a danno delle emittenti locali, della carta stampata e delle radio. Si tratta di una nuova formula di condono: è stato rilevato, infatti, che anche nel modificare le forme di raccolta pubblicitaria tra telepromozioni e spot, altera le regole della concorrenza e limita l'autonomia editoriale delle stesse emittenti locali.
Anche senza entrare nel merito dello stesso provvedimento, il punto essenziale della nostra opposizione è rappresentato dal fatto che il Governo chieda al Parlamento la fiducia per salvare una rete televisiva privata, di proprietà, come ho già detto, del Presidente del Consiglio. Si chiede al Parlamento, insomma, un atto di fiducia per la salvaguardia di un bene privato, appartenente all'attuale Capo del Governo: è questo il punto essenziale su cui riflettere ed agire.
Il Presidente del Consiglio gode in Parlamento di una maggioranza schiacciante, che nemmeno De Gasperi, ai tempi della Democrazia cristiana, aveva avuto a disposizione. Ebbene, anche in queste condizioni politiche e parlamentari, si chiede alla Camera dei deputati di esprimere un


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voto di fiducia, come se fosse necessario ricostruire una fiducia all'interno di una maggioranza nella quale lo stesso Governo non sembra più credere
Sono questi i due punti che, messi insieme, fanno emergere tutto il lato negativo della questione. Il Governo chiede al Parlamento un atto di fiducia quando può godere di una larghissima maggioranza, mai registrata prima nella storia repubblicana, e la chiede su un bene di proprietà personale del Presidente del Consiglio. Si celebra nell'aula parlamentare, in questo modo, la verifica non di una forza, bensì di una debolezza politica; si riapre, in questo modo, in termini che oserei definire anche drammatici, il mai risolto problema del conflitto di interessi, verso il quale non valgono le indicazioni delle massime istituzioni democratiche, offese, come nel caso della Corte costituzionale, da giudizi di natura politica sui presunti orientamenti dei suoi singoli membri.
Con questo voto, nei termini in cui esso viene richiesto ed espresso, la democrazia compie, in Italia, un passo indietro.
Alle 18,30, nel telegiornale di Retequattro, il direttore, Emilio Fede, commentava in maniera negativa questo nostro modo di partecipare alla discussione di un decreto-legge di tale rilievo. Egli affermava che il Parlamento ed i deputati potevano occuparsi di altro, ad esempio delle pensioni. Sì, caro direttore (secondo me, il direttore Fede è un reazionario ...), certo che possiamo occuparci di queste cose, ma si rivolga a San Silvio: invece di occuparsi di fatti personali o di quelli di taluni amici (non occorre ripetere le tante cose che, in quest'aula, sono state pur dette), farebbe cosa buona ad impegnare il Parlamento nella discussione di cose utili per la nazione!
Noi continuiamo a ripetere che voteremo contro questo provvedimento: riteniamo che siano state calpestate la democrazia e la partecipazione di tutti i cittadini, del Parlamento, alla formazione di una realtà normativa che sicuramente richiede uno spirito più democratico e più partecipato.

PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto l'onorevole Buemi. Ne ha facoltà.

ENRICO BUEMI. Signor Presidente, colleghi, in questi due giorni di ripetuti interventi su un provvedimento che non esito a definire indecente, abbiamo sviluppato una serie di considerazioni, sia politiche sia giuridiche, tutte rilevanti per motivare la nostra contrarietà.
In questo intervento conclusivo, invece, desidero abbandonare la strada della valutazione soggettiva per richiamare, leggendolo, l'atto con il quale il Presidente della Repubblica ha rinviato la legge Gasparri alle Camere. In tale documento, essenziale nella sua formulazione, sono indicate le ragioni della nostra contrarietà ed anche i contenuti che, attraverso Radio radicale, desidero far conoscere agli italiani.
Evitando la premessa, andiamo alla sostanza del messaggio che il Presidente della Repubblica ha inviato alle Camere: «La sentenza della Corte n. 466 del 20 novembre 2002 muove dalla considerazione della situazione di fatto allora esistente che, a suo giudizio, «non garantisce... l'attuazione del principio del pluralismo informativo esterno, che rappresenta uno degli "imperativi" ineludibili emergenti dalla giurisprudenza costituzionale in materia». Nell'ultima delle considerazioni in diritto, la Corte precisa che «la presente decisione, concernente le trasmissioni televisive in ambito nazionale su frequenze terrestri analogiche, non pregiudica il diverso futuro assetto che potrebbe derivare dallo sviluppo della tecnica di trasmissione digitale terrestre, con conseguente aumento delle risorse tecniche disponibili». Dalla sentenza - i cui contenuti essenziali sono stati richiamati dai presidenti della Autorità per le garanzie nelle comunicazioni e dall'Autorità garante della concorrenza e del mercato, nelle audizioni rese alle Commissioni riunite VII e IX della Camera dei deputati il 10 settembre 2003 - discende, pertanto, che, per poter considerare maturate le condizioni del diverso futuro assetto derivante dall'espansione della tecnica di trasmissione digitale terrestre e, quindi,


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per poter giudicare superabile il limite temporale fissato nel dispositivo, deve necessariamente ricorrere la condizione che sia intervenuto un effettivo arricchimento del pluralismo derivante da tale espansione. La legge a me inviata si fa carico di questo problema. Le norme che disciplinano l'aspetto sopra considerato sono contenute nell'articolo 25, il cui primo comma stabilisce che, entro il 31 dicembre 2003, dovranno essere rese attive reti televisive digitali terrestri, ponendo, in particolare, a carico della società concessionaria del servizio pubblico (secondo comma) l'obbligo di predisporre impianti (blocchi di diffusione) che consentano il raggiungimento del cinquanta per cento della popolazione entro il 1o gennaio 2004 e del settanta per cento entro il 1o gennaio 2005.
L'articolo 25, comma 3, stabilisce, inoltre, che l'Autorità per le garanzie nelle comunicazioni, entro i 12 mesi successivi al 31 dicembre 2003, svolge un esame della complessa offerta dei programmi televisivi digitali terrestri allo scopo di accertare: la quota di popolazione raggiunta dalle nuove reti digitali terrestri; la presenza sul mercato di decoder a prezzi accessibili; l'effettiva offerta al pubblico su tali reti anche di programmi diversi da quelli diffusi dalle reti analogiche.
Ciò premesso, ritengo di dover formulare alcune osservazioni in merito alla compatibilità di talune disposizioni del provvedimento in esame con la sentenza n. 466 della Corte. Una prima osservazione riguarda il termine massimo assegnato all'Autorità per effettuare detto esame entro i dodici mesi successivi al 31 dicembre 2003.
Questo lasso di tempo, molto ampio rispetto alle presumibili occorrenze della verifica, si traduce, di fatto, in una proroga del termine finale indicato dalla Corte costituzionale.
Una seconda osservazione concerne i poteri riconosciuti all'Autorità: questa, entro trenta giorni successivi al completamento dell'accertamento, invia una relazione al Governo e alle competenti Commissioni parlamentari, «nella quale verifica se è intervenuto un effettivo ampliamento delle offerte disponibili e del pluralismo nel settore televisivo ed eventualmente formula proposte di interventi diretti a favorire l'ulteriore incremento dell'offerta di programmi televisivi digitali terrestri e dell'accesso ai medesimi».
Ne deriva che, se l'Autorità dovesse accertare, entro il termine assegnatole, che le suesposte condizioni (raggiungimento della prestabilita quota di popolazione da parte delle nuove reti di digitali terrestri, presenza sul mercato di decoder a prezzi accessibili, effettiva offerta al pubblico su tali reti anche di programmi diversi da quelli diffusi dalle reti analogiche) non si sono verificate, non si avrebbe alcuna conseguenza certa. La legge, infatti, non fornisce indicazioni in ordine al tipo e agli effetti dei provvedimenti che dovrebbero seguire all'eventuale esito negativo dell'accertamento.
Si consideri, inoltre, che il paragrafo 11, penultimo capoverso, delle considerazioni in diritto della sentenza n. 466 recita: «D'altro canto, la data del 31 dicembre 2003 offre margini temporali all'intervento del legislatore per determinare le modalità della definitiva cessazione del regime transitorio di cui al comma 7 dell'articolo 3 della legge n. 249 del 1997».
Ne consegue che il 1o gennaio 2004 può essere considerato come un dies a quo, non di un nuovo regime transitorio, ma dell'attuazione delle predette modalità di cessazione del regime medesimo che devono essere determinate dal Parlamento entro il 31 dicembre 2003.
Si rende, inoltre, necessario indicare il dies ad quem, e, cioè, il termine di tale fase di attuazione.
Tutto ciò detto, in relazione alla compatibilità delle succitate disposizioni del provvedimento in esame con la sentenza n. 466, non posso esimermi dal richiamare l'attenzione del Parlamento su altre parti del testo che, per quanto attiene al rispetto del pluralismo e dell'informazione, appaiano non in linea con la giurisprudenza della Corte costituzionale.
Si considera, a tale proposito, che la sentenza della Corte costituzionale n. 826 del 1988 poneva, come imperativo, la necessità di garantire «il massimo di pluralismo esterno, onde soddisfare, attraverso una pluralità di voci concorrenti, il diritto del cittadino all'informazione».


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Nella sentenza n. 420 del 1994 la stessa Corte rilevava l'indispensabilità di «un'idonea disciplina che prevenga la formazione di posizioni dominanti». Nell'ambito dei principi fissati dalla richiamata giurisprudenza della Corte costituzionale, si è mosso il messaggio da me inviato alle Camere il 23 luglio 2002.
Per quanto riguarda le concentrazioni dei mezzi finanziari, il sistema integrato delle comunicazioni, (SIC) - assunto dalla legge in esame come base di riferimento per il calcolo dei ricavi dei singoli operatori di comunicazione - potrebbe consentire, a causa della sua dimensione, a chi ne detenga il 20 per cento (articolo 15, comma 2, della legge) di disporre di strumenti di comunicazione in misura tale da dar luogo alla formazione di posizioni dominanti.
Quanto al problema della raccolta pubblicitaria, si richiama la sentenza della Corte costituzionale n. 231 del 1985 che, riprendendo principi affermati in precedenti decisioni, richiede che sia evitato il pericolo «che la radiotelevisione, inaridendo una tradizionale fonte di finanziamento della libera stampa, rechi grave pregiudizio ad una libertà che la Costituzione fa oggetto di energica tutela».
Si rende infine indispensabile espungere dal testo della legge il comma quattordicesimo dell'articolo 23, che rende applicabili alla realizzazione di reti digitali terrestri le disposizioni del decreto legislativo 4 settembre 2002, n. 198, del quale la Corte costituzionale ha dichiarato l'illegittimità costituzionale con sentenza n. 303 del 25 settembre-1o ottobre 2003. Per la stessa ragione, va soppresso il riferimento predetto al decreto legislativo dichiarato incostituzionale, contenuto all'articolo 5 del comma 1, lettera l), e nell'articolo 24, comma 3. Conclude il Presidente: «Per questi motivi chiedo alle Camere il riesame del provvedimento».
Ecco, io ho utilizzato la lettera del Presidente della Repubblica su un provvedimento, che riguarda la stessa materia ma ovviamente diverso, per dire che nel decreto che noi oggi contrastiamo con fermezza e determinazione ci sono le stesse posizioni errate, le stesse posizioni contraddittore richiamate dal Presidente della Repubblica nella sua lettera al Parlamento. Per queste ragioni e per questi motivi fondamentali di democrazia e di libertà nel nostro paese per tutti i cittadini, non soltanto quelli che stanno in quest'aula, ma anche quelli che vivono quotidianamente le difficoltà della vita e hanno bisogno di esprimersi liberamente e di essere informati in maniera democratica, voteremo contro questo decreto (Applausi dei deputati dei gruppi Misto-Socialisti democratici italiani, della Margherita, DL-L'Ulivo e Misto-Verdi-L'Ulivo).

PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto l'onorevole De Franciscis. Ne ha facoltà.

ALESSANDRO DE FRANCISCIS. Signor Presidente, molti sono gli interventi che in queste ore si susseguono dai banchi dell'opposizione, nell'indifferenza, che è stata già sottolineata, dei nostri colleghi della maggioranza. Noi speriamo che perlomeno le preoccupazioni e le ragioni che ci hanno spinto ad utilizzare tutto lo spazio che è consentito in democrazia, nel Parlamento liberamente eletto dagli italiani, giungano alla pubblica opinione e al popolo sovrano. Ci sono tre ordini di motivi per i quali, come è stato ricordato da tanti colleghi di opposizione, anche noi deputati di Alleanza popolare-UDEUR voteremo contro il decreto, la cui conversione in legge è al centro del nostro dibattito.
Il primo ordine di motivi attiene ad una questione che definirei di carattere politico - parlamentare, più volte ricordata dai colleghi. Sarà bene lasciare agli atti che è la prima volta dopo 31 mesi che l'opposizione in questa legislatura ricorre all'utilizzo della massima estensione possibile dei tempi che il regolamento dell'attività di questo ramo del Parlamento consente. C'è un dato che nei mesi che verranno in questa legislatura continueremo ad presentare alla pubblica opinione e agli elettori. Infatti, non è tanto il numero di volte in cui i precedenti Governi hanno fatto ricorso alla fiducia il dato che deve essere confrontato con questa legislatura perché, come è stato ricordato da tanti altri colleghi, gioverà ricordare


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che il ricorso alla fiducia nelle precedenti legislature si fondava sulla preoccupazione legittima di chiunque al tempo governasse di non avere una sufficiente maggioranza sui provvedimenti che riteneva centrali e nodali alla propria azione di Governo. Bene diceva il collega Potenza pochi minuti fa. Questa maggioranza, che, a beneficio di chi non può vedere ma solo ascoltare, è completamente assente dal dibattito di queste ore, dispone in quest'aula di 100 voti in più dell'opposizione. Il Governo, con il ricorso alla questione di fiducia, viene dunque a sottolineare la propria debolezza strutturale nella maggioranza che dovrebbe sostenerla. Ormai non ne possiamo più di sentire enumerare le volte che i Governi di centrosinistra nella XIII legislatura hanno fatto ricorso al voto di fiducia.
Bisogna spiegare alla pubblica opinione per quale motivo questo Governo non può fare ricorso al fisiologico dibattito parlamentare con i numeri di cui dispone e che il popolo sovrano gli ha dato per sostenere questa maggioranza.
Dunque, vi è un ordine di questioni politico-parlamentari che tutte le forze politiche di opposizione al Governo Berlusconi porranno al centro del dibattito nelle settimane e nei mesi che verranno.
Il secondo ordine di motivi, che è emerso nella giornata di oggi in maniera chiarissima dal nostro dibattito, attiene ad una questione costituzionale e lo dico anche con riferimento all'intervento del collega Buemi che mi ha preceduto. Ciò è assolutamente intollerabile e dobbiamo fare ogni sforzo (mi rivolgo alle colleghe e ai colleghi che, come me, ancora credono nel senso e nel valore della democrazia partecipata e partecipativa) per indurre i nostri concittadini a riflettere sull'abuso della nostra Costituzione.
La nostra Costituzione, da tutti giudicata tra le migliori, immagina, prevede e ordina un equilibrio tra poteri. La sovranità riposa tutta nel popolo che con libere elezioni elegge un Parlamento, che è poi l'arbitro ed il giudice dei poteri che nella Repubblica sono attribuiti ai vari livelli. Tuttavia, quando una di queste parti - e in tal caso al centro del nostro dibattito è il rapporto tra Governo e Parlamento - squilibra tutto il potere dalla sua parte, si apre una questione costituzionale che è presente nel dibattito e nella preoccupazione di quanti in queste ore chiedono un atto di resipiscenza al Governo e alla maggioranza che lo sostiene poco.
Basterà riflettere su ciò che è successo alla fine di dicembre e che è agli atti di questa nostra XIV legislatura, sembra senza alcun precedente nella storia della Repubblica. Mi riferisco alla questione, non ancora esplorata fino in fondo, della legge finanziaria. Il Governo fa ricorso alla decretazione in tema di legge finanziaria, invia il testo del proprio decreto-legge al Parlamento, le due Camere lavorano sul testo del Governo ed il Governo stesso (dunque, sempre lo stesso potere costituzionale), ad un certo punto, emenda il testo. Esso riscrive la legge finanziaria con tre famosi maxiemendamenti con moltissimi commi e, ancora una volta, quello stesso potere, il Governo, pone su questi maxiemendamenti la questione di fiducia, espropriando in maniera assoluta, radicale e completa l'altro potere, ossia quello della rappresentanza del popolo sovrano, il giudice e l'arbitro che la Costituzione ha voluto per regolare i poteri del Governo e gli altri poteri dello Stato, mettendolo nella impossibilità di esprimere, come invece prevede la Costituzione, un parere motivato nel corso dell'esame degli emendamenti e della discussione che hanno luogo nelle Commissioni di merito e in quest'aula.
Tale questione costituzionale ritorna tutta intera nel tema che oggi è al centro del nostro dibattito e credo che non sia solo paradossale, ma assolutamente inquietante che il decreto-legge, la cui conversione in legge è al centro del nostro dibattito, il decreto d'urgenza, porti la data del 24 dicembre. Incassato il risultato della legge finanziaria approvata attraverso un decreto-legge, attraverso maxiemendamenti e con il voto di fiducia, espropriato ormai completamente il potere, la voce, le prerogative del Parlamento, il Governo, ringalluzzito, il giorno dopo, alla vigilia di Natale, adotta un nuovo decreto-legge e - come l'onorevole Buemi ricordava nell'intervento che mi ha preceduto - affonda il dito nella questione


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politica (la più politica tra le questioni aperte in questa legislatura) del conflitto di interessi tra la proprietà e gli interessi economici del Presidente del Consiglio dei ministri e la potestà legislativa di questo Parlamento in materia di radiotelevisione e di diritti della pubblica opinione.

PRESIDENZA DEL VICEPRESIDENTE PUBLIO FIORI (ore 21,30)

ALESSANDRO DE FRANCISCIS. Tale questione costituzionale è tutta aperta e noi la consegniamo agli atti di questo dibattito. Ma anche questa, come il precedente ordine di motivi che ho definito di tipo politico-parlamentare, è una questione che dobbiamo portare tra la gente (e mi riferisco a quanti di noi credono nella democrazia partecipata e partecipativa) e non solo affinché effettivamente gli italiani si rendano conto che questa legittima maggioranza e questo legittimo Governo pongono questioni che possiamo anche non condividere, essendo nell'ambito della lotta e del democratico confronto parlamentare.
Questa maggioranza e questo Governo hanno espropriato il Parlamento della potestà che la Costituzione gli conferisce e ci conferisce, in quanto rappresentanti eletti liberamente dal popolo sovrano, di entrare nella discussione, migliorare i testi che il Governo pone all'attenzione del Parlamento. Questa è una furberia, ma è una furberia che crea un vulnus che ha portato l'opposizione per la prima volta, dopo trentuno mesi di paziente e sapiente confronto, con democratica speranza e forza di carattere nel «giocare» una battaglia di proposte alternative, come si usa in tutte le democrazie occidentali tra maggioranza ed opposizione, in questo febbraio 2004, a far ricorso, e lo diciamo anche con qualche preoccupazione e non perché ne siamo innamorati, a questa forma di ostruzionismo e di opposizione. È la prima volta dopo trentuno mesi e quindi non conterei, signor rappresentante del Governo, le volte che in quella scorsa legislatura, la XIII, o in questa, la XIV, si è fatto ricorso al voto di fiducia, bensì vedrei dopo quanti mesi di paziente collaborazione le forze di opposizione e la loro rappresentanza in Parlamento hanno dovuto decidere drammaticamente di fare ricorso all'ostruzionismo.
Il terzo ordine di motivi che è emerso dal nostro dibattito riguarda le questioni di merito che mi paiono talmente importanti - basterebbe pensare alle condizioni di oggettivo monopolio che si determineranno nei mesi che verranno nel mercato nuovo del digitale, che entra nel mercato più generale della comunicazione radiotelevisiva e della pubblicità radiotelevisiva -, da legittimare la preoccupazione di quanti si pongono con senso di responsabilità e senza pregiudizi davanti alle questioni che interessano la conversione in legge di questo decreto-legge.
D'altra parte, concludendo, sarebbe sufficiente vedere lo scarno testo di questo decreto-legge per comprendere la genericità del fraseggio, che sicuramente non è casuale; ad esempio, quando leggiamo nell'articolato assai scarno di questo decreto-legge del 24 dicembre 2003 l'aggiunta all'articolo 1, all'alinea, delle parole «contestualmente, anche tenendo conto delle tendenze in atto nel mercato», il livello della nostra preoccupazione, non pregiudiziale, ma sicuramente politicamente rappresentata quanto al tema del conflitto di interessi, aumenta in maniera esponenziale.
La questione che è stata posta, con l'aggiunta che qui viene riportata in sede di conversione del decreto-legge del 24 dicembre 2003, delle parole «contestualmente, anche tenendo conto delle tendenze in atto nel mercato», vede ancora una volta un'unica parte, il Governo, che avrà la parola sulla questione delle tendenze in atto nel mercato. Qui si potrebbe aprire, e non ne ho il tempo, una questione enorme. Chi dovrebbe infatti giudicare? Il Governo, che dice che l'Istat va bene, mentre l'analisi dell'Eurispes no? Chi dovrebbe giudicare? Forse coloro che hanno ritenuto che la vicenda dell'euro, moneta con la quale vivono in pace e con qualche benessere milioni di europei, non va bene solo in Italia? Questi sono i temi che la pubblica opinione e gli italiani vedono sui quotidiani (Applausi dei deputati


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del gruppo Misto-UDEUR-Alleanza Popolare, del Misto-socialisti democratici italiani e del Misto-Verdi-L'Ulivo).

PIERO RUZZANTE. Chiedo di parlare sull'ordine dei lavori.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

PIERO RUZZANTE. Signor Presidente, onorevoli colleghi, ai sensi degli articoli 30 e 8 del regolamento, vorrei porre una questione che è già stata sollevata nel corso del dibattito, quando proprio lei presiedeva, ai sensi dell'articolo 30, relativo alla sconvocazione delle Commissioni. Vorrei che in primo luogo la sconvocazione venisse garantita anche per la giornata di domani (era infatti prevista la convocazione di talune Commissioni) per assicurare a tutti i deputati il diritto di assistere e di partecipare ai lavori dell'Assemblea.
Vorrei anche chiarire, dal momento che avevo chiesto la sconvocazione di tutte le Commissioni, che domani è prevista un'audizione presso la X Commissione (Attività produttive). Noi non poniamo problemi dal momento che le audizioni prevedono l'invito di persone esterne alla Camera; chiediamo quindi che si possano riunire solo ed esclusivamente quelle Commissioni nelle quali sono previste audizioni.
Questa è la prima questione sulla quale ritengo giusto specificare che non poniamo problemi al regolare svolgimento di importanti audizioni legate alla vicenda Parmalat ed alle questioni bancarie.
Il secondo aspetto, signor Presidente, riguarda un doveroso richiamo all'articolo 8. Non lo abbiamo fatto fino ad ora, ma a questo punto mi sento in dovere di farlo. Il suddetto articolo recita: «Il Presidente rappresenta la Camera. Assicura il buon andamento dei suoi lavori, facendo osservare il regolamento, e dell'amministrazione interna».
Signor Presidente, a me capita spesso di venire in quest'aula molto presto la mattina ed accorgermi che le pulizie avvengono in un tempo congruo, cioè nell'arco di un paio d'ore. Ciò non è avvenuto questa mattina, nonostante siamo da circa 33 ore all'interno di quest'aula. Le assicuro che qui ho ancora i giornali di due giorni fa, quelli di oggi e domattina porterò anche quelli di domani. Ritengo che ciò non sia dignitoso per il lavoro dei deputati, seppure impegnati in un'azione di tipo ostruzionistico. Vorrei, dunque, che la Presidenza garantisse una pulizia dell'aula degna di questo nome.
Abbiamo previsto di andare avanti con gli interventi, ma credo sia rispettoso del nostro lavoro, di quello degli stenografi e di quanti sono impegnati nell'aula, predisporre una pulizia degna di tal nome che non avvenga in dieci minuti come è successo questa mattina. Glielo chiedo - ripeto - non con finalità di tipo ostruzionistico, dato che abbiamo previsto interventi per tutta la notte e per la giornata di domani. Però, credo sia una questione di dignità lavorare in condizioni igieniche adeguate. Non si tratta solo di un problema dei deputati dell'opposizione, ma riguarda anche il relatore, il rappresentante del Governo e tutti i dipendenti dell'amministrazione della Camera qui presenti.
Dunque, le chiederei l'applicazione dell'articolo 8 del regolamento, quando la Presidenza lo riterrà opportuno (non pretendo che ciò avvenga tra dieci minuti). Poniamo tale questione per la prima volta dopo oltre 30 ore perché riteniamo dignitoso per tutti lavorare in condizioni adeguate.

PRESIDENTE. Onorevole Ruzzante, le rispondo innanzitutto sulla prima questione da lei posta. Le Commissioni sono sconvocate perché siamo in sede di dichiarazioni di voto; prendo atto della non opposizione del suo gruppo all'eventuale mantenimento della convocazione unicamente per la Commissione attività produttive impegnata in audizioni. Ne terremo conto nell'organizzazione dei lavori di domani.
Per quanto riguarda la questione della pulizia dell'aula, la Presidenza ha già disposto che essa venga effettuata nelle prime ore di domani mattina.

PIERO RUZZANTE. Non in 20 minuti, come è avvenuto stamattina!


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PRESIDENTE. Verrà utilizzato un tempo adeguato in modo che lei ed i colleghi siate più tranquilli.

PIERO RUZZANTE. La ringrazio, signor Presidente.

ANTONIO BOCCIA. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

ANTONIO BOCCIA. Signor Presidente, approfitto per trattare alcune questioni che le avrei sottoposto domani mattina; in tal modo la Presidenza avrà il tempo di acquisire, magari, i precedenti per fornire una risposta più puntuale.
Signor Presidente, la questione sollevata dal collega Ruzzante riguarda il fatto che le Commissioni continuano i loro lavori mentre noi siamo in aula. Lei ha giustamente comunicato che la Presidenza ha disposto la sospensione dei loro lavori. Però, vi è un dato che riguarda le Commissioni bicamerali.
Il collega Ruzzante ne ha fatto cenno: domani sono previste audizioni importanti, che riguardano il sistema bancario coinvolto nel caso Parmalat. Lei, Presidente, sa qual è il mio modo di ragionare. Una volta che si afferma un principio, poi non penso che, richiamato il principio, si debba allo stesso tempo, se fa comodo, se è utile o se appare opportuno, chiederne la deroga. Se le Commissioni devono essere interrotte nello svolgimento della loro attività, è evidente che questa interruzione non può subire delle eccezioni o delle deroghe, perché altrimenti ciò diventerebbe un problema.
In questo caso ci troviamo in una situazione che vorrei segnalare alla sua attenzione, perché penso che la Presidenza debba fare una riflessione, in quanto si presenta un caso nuovo. Lei sa, Presidente, che quando sono i colleghi del Senato a presiedere le Commissioni bicamerali, nella buona sostanza essi non hanno nessun conto dei lavori della Camera e così le Commissioni bicamerali si riuniscono regolarmente durante i lavori della nostra Assemblea. In questo caso, però, la Commissione di cui parliamo ha una presidenza plurima, che è organizzata in modo abbastanza compartecipato. Mi pongo, allora, il seguente problema. Se la Presidenza, giustamente - come lei ha risposto all'onorevole Ruzzante -, dà la direttiva di sconvocare tutte le Commissioni, prefiguro che i presidenti delle Commissioni bicamerali riunite si troveranno a concludere che domani, in linea con l'indirizzo della Presidenza della Camera, non dovrà tenersi la riunione delle Commissioni e quindi lo svolgimento delle audizioni.
Allora, Presidente, attenzione, perché si potrebbe creare il precedente o di un principio affermato, che al suo interno contiene già una deroga, oppure il principio che nel caso delle Commissioni bicamerali queste fanno quello che vogliono. Credo, quindi, sia opportuna una precisazione, partendo da una giusta rivendicazione del collega Ruzzante, anche se in linea di principio non chiederei alla Presidenza un impegno, per poi magari sottolineare io stesso la necessità di una deroga.
La seconda questione che vorrei porre, signor Presidente, l'ho già posta al Presidente Casini in tante occasioni, ma essa non ha ancora avuto una risposta puntuale (forse il Presidente Casini l'avrà predisposta direttamente per domani sera). Quello che noi chiediamo, Presidente, è che la votazione finale del provvedimento sia a scrutinio segreto. Dalla lettura del testo del provvedimento, Presidente, lei potrà vedere che gli emendamenti apportati dalla Commissione di merito sono quasi una fotocopia di emendamenti e di norme che interessavano già l'altro provvedimento, in relazione al quale il Presidente della Camera ha consentito che vi fosse il voto segreto. Il regolamento è chiaro, perché stabilisce che il Presidente della Camera deve guardare al complesso del provvedimento, al fine di trovare un giusto equilibrio tra le parti che sono strettamente interessate da riferimenti agli articoli della Costituzione e le parti che invece non lo sono (articolo 49 del regolamento) . In questo caso, anche se è difficile - me ne rendo conto -, e dato che ho già posto questa questione sia agli uffici, sia al Presidente Casini, lei comprenderà, Presidente, che conoscere qual è l'orientamento


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della Presidenza è anche un modo trasparente per arrivare al voto di domani.
Sarebbe pertanto opportuno, considerato che si è aperto questo spaccato, che lei ci dicesse subito quale è l'orientamento della Presidenza o che la stessa, domani mattina, in tempo per potersi organizzare ai fini dell'espressione del voto, esprimesse le valutazione del Presidente Casini sulla prevalenza delle parti del testo interessate da riferimenti agli articoli della Costituzione, soprattutto con riguardo all'articolo 21 della medesima; a fronte delle correzioni apportate a seguito del messaggio alla normativa del decreto-legge, occorre infatti considerare unitamente i due aspetti.
Lei comprenderà l'assurdità di consentire la votazione a scrutinio segreto per il provvedimento quadro, mentre sul decreto-legge, magari per le stesse materie, non lo si consente. Vorrei, pertanto, pregarla di fornire una risposta in merito. È importante che ciò non avvenga due minuti prima del voto e che, in maniera trasparente, tutti siano informati di ciò che accadrà.
Vi è poi una terza questione che si pone con urgenza, che riguarda un aspetto che ho posto al segretario dell'Ufficio di Presidenza, il collega Gianni Bianchi, il quale mi ha assicurato che la sottoporrà allo stesso Ufficio di Presidenza.
Presidente, so che lei è di una ragionevolezza unica (ci conosciamo da tanti anni e sa quanto io l'apprezzi), ma quando un gruppo o più gruppi o, al limite, l'intera opposizione decide, comunicandolo all'Assemblea, di non partecipare al voto (è una determinata posizione politica), non ci vuole un grande sforzo per capire che questa volontà politica non può essere sanzionata come cattivo espletamento del proprio dovere parlamentare e, quindi, anche pecuniariamente. Sarebbe gravissimo che si sanzionasse una volontà politica.
Sono favorevole alla sanzione nei confronti dei colleghi che non riescono sempre a partecipare alle sedute, ma, in questo caso, quando l'intera opposizione assume la decisione politica di non partecipare al voto, ritengo assurdo, ai limiti della compatibilità con le norme costituzionali, che si applichi una sanzione punitiva nei confronti di questa scelta politica.
Mi permetto di farle osservare che il Presidente Casini, in sede di Giunta per il regolamento, e non so se qualche volta lo ha fatto anche lei, mi ha risposto, anche con riferimento alla mia osservazione circa l'assurdità, nel voto segreto, della manifestazione palese degli astenuti (i quali, quindi, non votano più segretamente), che il regolamento prevede che nello scrutinio segreto i voti siano espressi deponendo nelle urne pallina bianca o pallina nera e che chi intende astenersi non partecipa al voto.
La prego di riflettere sulla mia osservazione: quando, secondo le disposizioni regolamentari, un deputato, che intende astenersi, non deposita nelle urne l'apposita pallina, è in quel caso sanzionato, non avendo partecipato al voto? È una situazione che deve essere assolutamente chiarita, perché domani sera si presenterà concretamente questa ipotesi.
Credo, quindi, che, ai sensi del regolamento, la Presidenza debba chiarire questo aspetto. Ogni collega deve sapere esattamente se la sua decisione politica di non partecipare al voto viene sanzionata dalla Presidenza della Camera.

PRESIDENTE. Onorevole Boccia, le rispondo sui tre quesiti che lei ha posto alla Presidenza.
In ordine al primo problema, quello delle Commissioni bicamerali, ritengo sia necessario che la Presidenza assuma l'iniziativa di prendere contatti con l'altro ramo del Parlamento, al fine di regolamentare i lavori e quindi anche le circostanze alle quali ha fatto riferimento.
Per quanto riguarda il problema del voto segreto, da lei nuovamente richiesto, onorevole Boccia, lei sa che il Presidente si è espresso in termini negativi. Dunque, essendo stata riproposta la questione, la segnalerò al Presidente Casini, affinché un'eventuale nuova decisione venga comunicata a lei e all'Assemblea in tempi ragionevoli e non all'ultimo momento.
Il terzo problema è relativo al significato istituzionale del non voto politico, che


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costituisce un atteggiamento che non significa assenza, ma qualcosa di completamente diverso. Credo che questo sia un tema da sottoporre all'Ufficio di Presidenza e in questa direzione mi adopererò.
Comunico inoltre che, per la pulizia dell'aula, domani mattina sarà prevista una sospensione dei lavori dalle 6 alle 7.
Colgo l'occasione per esprimere, anche a nome del Presidente, il più vivo rammarico per le critiche rivolte oggi nell'aula della Camera al Presidente del Senato, Pera. Come già capitato in passato, la Presidenza della Camera non si permette di esprimere alcun giudizio su deliberazioni del Senato della Repubblica e tanto meno su decisioni del suo Presidente. A questa regola ci siamo sempre attenuti e avremo cura di attenerci, pur nel rispetto dell'autonomia di valutazione dei singoli deputati.

ANTONIO BOCCIA. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

ANTONIO BOCCIA. Signor Presidente, la ringrazio della precisazione resa in quest'ultimo annuncio. Fa onore alla Presidenza una presa di posizione seria, trasparente e dignitosa che chiarisce, una volta per tutte, quali siano i ruoli distinti tra Camera e Senato.

PRESIDENTE. La ringrazio, onorevole Boccia.
Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto l'onorevole Pappaterra. Ne ha facoltà.

DOMENICO PAPPATERRA. Signor Presidente, onorevoli colleghi, da questa vicenda, che stiamo discutendo ormai da due giorni, giunge agli italiani un brutto ed inequivocabile segnale, vale a dire quello di un Governo che antepone gli interessi personali a quelli generali del nostro paese. Un paese già in fase di declino, ormai stremato dalla fallimentare politica economica ed industriale dei ministri Tremonti e Marzano, un'Italia che deve purtroppo registrare quotidianamente sacrosante proteste di migliaia e migliaia di lavoratori espulsi dal mondo del lavoro o che il lavoro rischiano di perdere in queste ore e in queste settimane. Un'Italia che vede nuovi protagonisti sociali in lotta: gli insegnanti, i docenti universitari, i medici, i magistrati, i piloti e gli assistenti di volo, i vigili del fuoco e la lista potrebbe continuare.
La maggioranza, di fronte ad un'opposizione che sul decreto «salva reti» era pronta come sempre a discutere - avevamo presentato emendamenti migliorativi -, al di là del confronto con la minoranza, ha scelto una strada diversa, quella dell'insensibilità istituzionale. Dunque, ha scelto un duro scontro con l'opposizione, anche a costo di perdere la faccia. Forse il Capo del Governo temeva una seconda imboscata e, questa volta, ha ritenuto non fosse giusto rischiare.
Signor Presidente, di fronte a tanta protervia, alle forze di opposizione non è rimasto altro che intraprende la strada che ha scelto, vale a dire quella di utilizzare - lo diceva prima il collega De Franciscis - tutti gli strumenti che i regolamenti parlamentari prevedono per gridare forte al paese la nostra indignazione, per cercare di contrastare fino in fondo questo decreto-legge che, come tutti hanno sostenuto, è beffardo e pericoloso e, soprattutto, per contestare una decisione che, nel metodo e nel merito, per quanto ci riguarda, è assolutamente da rigettare.
Noi abbiamo scelto la strada di gridare, nel corso di questi giorni, la nostra chiara contrarietà a quello che il Governo ha voluto fare in questa sede. Noi abbiamo gridato forte contro questa concezione del Presidente del Consiglio dei ministri in tema di par condicio, che la vorrebbe anche stravolgere, in queste ore, con riferimento alle prossime imminenti scadenze elettorali. Come abbiamo detto, ed ora lo ribadiamo, in tema di par condicio, c'è parità di trattamento tra i lavoratori di Retequattro, ai quali immediatamente il Governo ha consegnato un bel paracadute rispetto ad un'eventuale, ma solo ipotetica, possibilità di un loro licenziamento e i lavoratori di tante altre aziende italiane, dal Piemonte alla Sicilia e alla Calabria, che in queste ore stanno rischiando di perdere definitivamente il loro posto di


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lavoro? C'è parità di trattamento tra i lavoratori di Retequattro e i mille operai tessili della Calabria che, espulsi dalle loro aziende, sono rimasti lì ad attendere le decisioni del Governo, che non arrivano mai? Ritenete inoltre che ci sia diversità di trattamento, sempre a livello di par condicio, tra chi, di fronte al rispetto delle istituzioni e delle leggi, si comporta in termini diversi?
In quest'aula ci sono tanti colleghi che hanno svolto o ancora continuano a svolgere anche le funzioni di sindaco del proprio comune; io l'ho fatto per 12 anni e so che quando abbiamo assunto quest'alta funzione abbiamo giurato e ci siamo rapportati ad un'idea che era quella di non procurare privilegi per noi stessi o alla nostra famiglia sulla base di un'etica comportamentale improntata al rispetto di una legge che vuole che chi gestisce la cosa pubblica sia libero da qualunque compromesso o da qualunque interferenza di carattere personale. Ebbene, su ciò non siamo sullo stesso piano perché in questo Parlamento, molto probabilmente domani sera, con il voto finale si consumerà un ennesimo strappo istituzionale e soprattutto un'ennesima scelta a favore esclusivo di una sola persona: il Capo del Governo del nostro paese.
L'opposizione ha lottato anche contro un'altra grande difficoltà incontrata in questo Parlamento; qui c'è stato - lo diceva anche poc'anzi il collega Buemi, che ha fatto bene a richiamare e a leggere integralmente il messaggio del nostro Presidente della Repubblica - un chiaro attacco alle nostre massime istituzioni: la Corte costituzionale e il Capo dello Stato, i quali sono stati derisi dalle forze di questa maggioranza, nonostante tutti fossero consapevoli che la principale ragione per cui il Presidente Ciampi aveva rinviato alle Camere la legge Gasparri era che la riforma - lo diceva prima il collega Buemi - non produce un incremento del pluralismo informativo. Ci voleva tanto a recepire un messaggio che aveva in sé solamente questa forte, ma pressante, richiesta da parte della massima autorità del nostro paese?
Come forze di opposizione abbiamo lottato contro la decisione di violare le regole non solo del pluralismo informativo ma anche di quello istituzionale e contro la volontà di trasformare il Parlamento in questi giorni nel semplice terminale di decisioni prese altrove. A tutto questo noi ci siamo ribellati. Da ultimo, abbiamo anche smascherato - lo hanno fatto soprattutto i colleghi della Commissione che hanno seguito l'iter di questo provvedimento - e fatto capire agli italiani cosa si nasconde dietro gli incentivi all'acquisto dei decoder; questi nuovi status symbol di cui l'Italia che, come sappiamo tutti, arretra e si impoverisce, giorno per giorno, certamente non ha bisogno in questo momento. Si danno soldi alle famiglie per incentivare l'acquisto dei decoder per ricevere i programmi del digitale terrestre e, quindi, consentire a Retequattro, a questa rete che doveva già essere trasferita sul satellite, di essere utilizzata al meglio.
Che cos'è questo, signor Presidente, se non un altro discutibile inganno che viene perpetrato ai danni degli italiani e che, soprattutto, pone ancora una volta in evidenza il grave problema del conflitto di interessi che riguarda il proprietario di Retequattro, cioè il Presidente del Consiglio?
Avviandomi alla conclusione, riteniamo che il voto di fiducia sul cosiddetto decreto-legge salvareti, sia stato un atto grave ed irresponsabile, al quale l'opposizione ha dovuto rispondere con un atto altrettanto forte, l'ostruzionismo parlamentare, che certo rappresenta un'azione decisa: siamo convinti che gli italiani comprendano le ragioni della nostra battaglia parlamentare e che essa rappresenti un alto impegno civico a difesa delle istituzioni e degli interessi generali. Attraverso questa forma di lotta ci siamo fatti garanti ed abbiamo cercato di diffondere nel nostro paese una cultura che intende, a tutti i costi, rovesciare decisioni prese altrove e non all'interno di questo ramo del Parlamento. Abbiamo levato una voce alta, forte, che è arrivata agli italiani perché in questo momento anche loro stanno riflettendo, attraverso un grande lamento collettivo, contro la mortificazione delle istituzioni parlamentari e, soprattutto, auspicano un cambiamento reale del nostro paese.


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Per tutte le ragioni che ho esposto, signor Presidente, mi consenta di ribadire, come hanno già fatto gli altri colleghi del mio gruppo, il nostro convinto voto contrario alla conversione in legge del decreto-legge in esame, poiché riteniamo che con questo tipo di scelta il Governo abbia voluto solamente condizionare il Parlamento per difendere alcuni interessi. Siamo convinti che gli italiani sapranno sicuramente decidere fra le forze che hanno saputo distinguere gli interessi generali e quelle che hanno avuto a cuore solo gli interessi personali di qualcuno.
Voteremo, dunque, contro il decreto in esame e non daremo certo la fiducia al Governo sul provvedimento (Applausi dei deputati dei gruppi dei Democratici di sinistra-L'Ulivo, della Margherita, DL-L'Ulivo, Misto-socialisti democratici italiani e Misto Verdi-L'Ulivo).

PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto l'onorevole Luigi Pepe. Ne ha facoltà.

LUIGI PEPE. Grazie, Presidente. Intervengo per esprimere la mia indignazione sul decreto-legge in esame e lo farò parlando «a braccio», poiché mi pare così di parlare con il cuore più che con la ragione.
Vorrei tornare alla campagna elettorale del premier Berlusconi quando egli, girando per le piazze e intervenendo sulle reti televisive - che sono state sempre molto generose con lui -, cominciò a parlare dell'interesse degli italiani e spiegò che avrebbe fatto crescere l'Italia, prestando una grande attenzione al Mezzogiorno e ad alcune priorità, prima fra tutte, sembrava di capire, l'eliminazione del conflitto di interessi entro 100 giorni dal suo insediamento.
Come il Presidente sa bene, poiché fa parte della maggioranza, ci sono state ben altre priorità: non certo il rilancio dell'economia, non certo il futuro del Mezzogiorno d'Italia, non certo il benessere delle famiglie italiane, ma piuttosto il falso in bilancio. Nei paesi e nelle città certamente non molte persone sono interessate al problema del falso in bilancio: probabilmente, molti amici del premier Berlusconi lo sono, ma non si tratta certo di una priorità per gli italiani. Subito dopo (anche se non ricordo se in senso cronologico) siamo passati alle rogatorie internazionali: in modo incalzante, ci hanno tenuto in Aula per ore ed ore, affrontando problemi che non erano della maggioranza degli italiani. Quanti italiani potevano essere interessati alle rogatorie internazionali e quanti amici del premier Berlusconi, invece, lo erano?
Poi siamo passati alla questione delle tasse di successione, che già vedevano cittadini italiani esentati fino ad una certa somma, ma c'erano da tutelare i ricchi, i potenti, non certamente la maggioranza del popolo italiano. Così siamo giunti, pian piano, alla cosiddetta legge Cirami e poi ai giorni nostri. Non il rilancio dell'economia, onorevoli colleghi, ma la tutela delle aziende di famiglie, degli interessi degli amici: oggi ci troviamo a svolgere una discussione lunga ed accorata, durante la quale stanno intervenendo tutti i colleghi che sentono nel profondo del cuore di dover dire che l'indignazione è grande, ad un'Italia che sta protestando in tutti i settori; protestano i medici, i pensionati e tutti coloro che stanno per perdere il posto di lavoro. Altro che, signor Presidente, nuovi posti di lavoro: ormai è chiaro che l'Italia è allo sbando e, mentre il Governo langue, il paese continua a peggiorare.
Quando si ricorre al voto di fiducia, secondo me, si dimostra una grande paura: quella di essere «impallinati» dalla propria maggioranza, che comincia a «mugugnare» e lo fa sempre di più man mano che passano i giorni. Il voto segreto, probabilmente, farebbe dire altro a tanti colleghi che sono seduti, sono sicuro, loro malgrado, con i tre imperativi che a molti di loro vengono imposti: presenza, silenzio e voto. Se molti di questi colleghi potessero votare in modo segreto accadrebbe quello che è accaduto molto spesso e, cioè, che il Governo è «andato sotto». Invece, signor Presidente, si ricorre al voto di fiducia, al voto palese, non per tutelare un interesse legittimo della stragrande maggioranza dei cittadini, ma esclusivamente un interesse di famiglia, di una grande azienda.


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Signor Presidente, l'indignazione emerge perché altro che 100 giorni per eliminare il conflitto di interesse! Sono passati tantissimi giorni ed anni, è trascorsa più di metà della legislatura ed il conflitto di interesse è presente questa sera in quest'Aula e lo sarà domani.
Protestiamo affinché la gente sappia che c'è chi tenta disperatamente di tutelare l'interesse pubblico e c'è chi persegue soltanto l'interesse privato, cioè quello del premier che in questi anni non si è potuto lagnare per come sono andate le sue aziende di famiglia.
Da ultimo, è stato portato l'attacco al Capo dello Stato ed alla Corte costituzionale, che sicuramente hanno avanzato dei giusti rilievi, sui quali si sarebbe potuto discutere trovando soluzioni: signor Presidente, non c'è stato nulla da fare e siamo qui, questa sera, a parlare perché gli italiani sappiano che Berlusconi, ancora una volta, sta facendo quello che volgarmente, ma non troppo, si definisce un interesse di bottega.
Concludo rivolgendomi ai colleghi presenti: sarei felice se, effettivamente, si perseguisse l'interesse di bottega, di tante botteghe, perché in questo caso si farebbe l'interesse di tanti piccoli artigiani e dell'economia italiana. Purtroppo, non si tratta dell'interesse di bottega, ma di quello di una grande azienda, di un'azienda smisurata, dell'azienda del presidente Berlusconi (Applausi dei deputati dei gruppi dei Democratici di sinistra-L'Ulivo, della Margherita, DL-L'Ulivo e Misto Verdi-L'Ulivo).

PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto l'onorevole Marco Boato. Ne ha facoltà.

MARCO BOATO. Grazie, Presidente. Signor rappresentante del Governo, relatore, colleghi, mi dispiace non poter continuare - dopo l'intervento che ho svolto questa mattina alle ore cinque e tre quarti e quello di oggi pomeriggio - il dialogo che avevo cercato di intessere, da posizioni dialetticamente molto diverse, ma con il massimo rispetto reciproco, con il sottosegretario Innocenzi che, poco fa, ha lasciato l'Aula per comprensibili ragioni di stanchezza. Saluto il nuovo rappresentante del Governo, che è anche un caro amico, il collega Scarpa Bonazza Buora, sottosegretario di Stato presso il Ministero delle politiche agricole e forestali che, anche se è un uomo di grande cultura, non ha la competenza, quanto meno tecnica, che possiede il collega Innocenzi, riconosciuta anche dall'onorevole Giulietti nel corso del dibattito.

PAOLO SCARPA BONAZZA BUORA, Sottosegretario di Stato per le politiche agricole e forestali. Nessuno è perfetto...!

MARCO BOATO. Se non altro la sintonia regionale - l'estrazione veneta che ci accomuna - e l'elezione trentina (che ci accomuna anch'essa), rende questo dialogo più simpatico. Del resto, l'origine trentina mi accomuna anche ad Innocenzi.
Tutti i colleghi, persino il collega Pappaterra, che ha detto che noi «gridiamo il nostro sdegno», non hanno gridato, volendo mantenere un tono fortemente critico ma di dialogo e riflessione pacata e coerente. Coloro che sono stati in aula e quelli che hanno ascoltato il dibattito da fuori in queste lunghe ore, sanno che tutti i rappresentanti dell'opposizione che sono intervenuti, compreso il collega Pappaterra, non hanno gridato. Abbiamo svolto una riflessione con centinaia di voci, che continueranno a levarsi anche nelle prossime ore, in una specie di coro polifonico senza stonature ed abbiamo dato non una piccola lezione - parola che può essere considerata arrogante - ma una testimonianza di civiltà politica, mettendo in atto (come ha ricordato il collega Pepe e prima di lui il collega De Franciscis), lo strumento estremo della lotta parlamentare, cioè l'ostruzionismo, attraverso illustrazioni e dichiarazioni di voto sugli ordini del giorno, fino alle dichiarazioni di voto finale.
Siamo stati costretti a questa scelta, come posso testimoniare da capogruppo del gruppo misto che contiene al suo interno cinque componenti di opposizione (quattro del centrosinistra: i comunisti italiani, l'UDEUR-Alleanza popolare, i socialisti democratici ed i verdi), e non avevamo pianificato e programmato


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un'azione simile. Infatti, siamo stati colti di sorpresa, addirittura lunedì, appena terminata la brevissima discussione generale che sul decreto-legge si era svolta (il collega relatore Romani può esserne testimone), dall'immediata apposizione della questione di fiducia da parte del ministro della funzione pubblica Luigi Mazzella, ex avvocato generale dello Stato, che non frequenta la Camera dei deputati e che è stato inviato come un siluro qui, a porre la questione di fiducia. Se essa non fosse stata posta, il decreto-legge in esame sarebbe già stato convertito in legge, se non nella giornata di martedì, sicuramente in quella odierna.
Come hanno ricordato i colleghi - senza alzare la voce né con toni demagogici, ma esprimendo una certa sofferenza - la scelta del Governo (scelta che ci ha lasciato la bocca aperta, dunque parliamo, ma che ci ha chiuso la possibilità emendativa) prima di tutto è stata percepita non contro di noi, ma come una scelta del Governo contro la propria maggioranza.
Nel porre la fiducia, il Governo ha espresso il massimo di sfiducia nei confronti della propria maggioranza.
L'ho detto più volte, lo ripeto per l'ultima volta: chiunque scorra i fascicoli degli emendamenti (che, forse, anche il sottosegretario alle politiche agricole e forestali ha di fronte a sé), vede che vi sono poche decine di emendamenti (alcuni sono identici: quindi, vi sarebbe stato un solo voto). Tutti erano di merito e riguardavano alcune questioni puntuali su cui, forse (questo è il problema), avremmo potuto trovare, almeno su tematiche specifiche, eventuali convergenze.
Lo avremmo potuto fare anche con settori ragionevoli della maggioranza che si sono dimostrati non soddisfatti di tale modo di legiferare (sia, in prima battuta, per quanto riguarda la cosiddetta legge, o meglio, ex legge Gasparri, sia per quanto riguarda questo decreto-legge).
Non so, signor Presidente, se lei era presente in aula, quando, qualche ora fa, ha parlato l'onorevole Fabio Mussi. Io non possiedo la verve toscana, molto accentuata, di quest'ultimo e neanche la sua straordinaria cultura di critica e di storia letteraria, che egli ha applicato nell'esame di questo decreto-legge.
Lo abbiamo ascoltato, credo tutti. Anche dall'opposizione, anche dal banco del Governo ho percepito una certa ammirazione nei confronti della straordinaria efficacia con cui il collega Mussi, invece di usare lo strumento della critica del diritto, dell'analisi della terminologia giuridica e dell'impianto di questo decreto-legge, ha usato le strutture logiche della critica letteraria, con riferimenti, se non sbaglio, alla letteratura del '200 e del '300 (la donna dello schermo, eccetera).
L'onorevole Mussi l'ha fatto in modo così efficace che neanche provo a replicare (sarebbe una pessima replica). Ho solo ammirato ed applaudito.
Vorrei, però, tornare sulla sostanza (l'unico aspetto su cui sono capace di addentrarmi, certamente in modo meno affascinante del collega Mussi) di questo decreto-legge, proprio perché non siamo più in sede di illustrazione o di dichiarazione di voto sui singoli ordini del giorno (fra l'altro, ho dato atto al Governo di avere accettato il mio specifico ordine del giorno), ma in sede di dichiarazione di voto finale che, ovviamente, da parte nostra, è negativa.
La struttura del presente decreto-legge, come quella di tutti i decreti-legge, è basata su una serie di premesse che motivano, ai sensi degli articoli 77 ed 87, quinto comma, della Costituzione, la legittimazione a presentare il decreto-legge.
Tutti ormai in quest'aula conoscono questa materia, ma, poiché fuori di qui non è detto che questo testo sia puntualmente conosciuto, o perché si tornerà a riflettere su tale materia in futuro ne leggo brevemente alcune premesse: «Considerato che la legge »Norme di principio in materia di assetto del sistema radiotelevisivo della RAI - Radiotelevisione italiana Spa nonché delega al Governo per l'emanazione del testo unico della radiotelevisione «è stata approvata in via definitiva» - questo «in via definitiva» ha un sapore quasi autoironico, dal momento che, come abbiamo costatato, tale approvazione non è stata, poi, definitiva - «dal Senato della Repubblica in data 2 dicembre 2003; Considerato


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che, in data 15 dicembre 2003, il Presidente della Repubblica ha chiesto alle Camere, con messaggio motivato, a norma dell'articolo 74, primo comma, della Costituzione, una nuova deliberazione in ordine alla predetta legge, a lui trasmessa in data 5 dicembre 2003; Considerata la sospensione dei lavori della Camera dei deputati e del Senato della Repubblica (...) nonché i tempi previsti dai regolamenti parlamentari per procedere a nuova deliberazione in ordine alla predetta detta legge (...) Ritenuta la straordinaria necessità ed urgenza di un intervento legislativo che entro quella data determini le modalità di definitiva cessazione del regime transitorio; (...).
Concludo rapidamente: quando si esamina la normativa specifica, ai commi 2 e 3 dell'articolo 1, ci si accorge che non contiene affatto la determinazione di modalità di definitiva cessazione del regime transitorio, ma un abile gioco letterario (secondo l'interpretazione di Fabio Mussi) o di capziosa tecnica giuridica (secondo l'interpretazione coerente con il testo) di aggiramento sia della giurisprudenza costituzionale sia delle osservazioni motivate del Presidente della Repubblica, per cui, in realtà, il regime transitorio, invece che cessare, viene prolungato.
Al di là di tutte le valutazioni politiche generali che molti colleghi hanno fatto (che condivido) ed a prescindere dal contesto generale che molti colleghi hanno giustamente richiamato, queste sono le motivazioni specifiche costituzionali e tecnico-giuridiche che ci hanno portato ad opporci fermamente a questo decreto d'urgenza e ad annunciare, quindi, da parte nostra, il voto contrario (Applausi dei deputati dei gruppi dei Democratici di sinistra-L'Ulivo e della Margherita, DL-L'Ulivo).

PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto l'onorevole Camo. Ne ha facoltà.

GIUSEPPE CAMO. Signor Presidente, onorevoli colleghi, credo non sfugga a nessuno il rilievo politico-istituzionale del provvedimento in discussione. Si tratta di un provvedimento che, pur nella sua contingenza, incide su principi costituzionali di rilevanza fondamentale.
Con tale decreto-legge si definiscono, infatti, normativamente i parametri che permetteranno all'Autorità garante per le comunicazioni di accertare se nel nostro sistema politico si sono inverate o meno quelle condizioni che autorizzano a sostenere legittimamente la sussistenza di un sistema pluralistico.
È evidente come ci si stia confrontando con temi alla base di una moderna democrazia liberale. Procedere alla verifica dell'effettivo avvenuto arricchimento del pluralismo informativo nel nostro paese e sostenere, quindi, l'avvenuta rimodulazione del suo assetto e della sua configurazione, significa, infatti, affrontare nodi ineludibili che attengono alla fisionomia e al funzionamento della democrazia competitiva nel nostro paese.
Non si sta, dunque, discutendo banalmente di una norma che definisce i criteri distributivi o regolativi tra interessi divergenti. Non ci interessa neppure sottolineare il paradosso di una norma che riveste un preciso interesse per il premier. Si tratta di un problema che, per quanto grave, è pur sempre contingente.
Ci interessa, invece, capire come si sta affrontando il nodo del pluralismo dell'informazione. Ci interessa capire se, con questo provvedimento, così come da voi delineato, si operi per incrementare il grado di competitività tra gli attori del sistema.
È sicuramente significativo il fatto che la stessa Autorità garante della concorrenza abbia dovuto ricordarvi che la tutela del pluralismo informativo rappresenta un obiettivo che trova (non solo nel nostro ordinamento costituzionale, ma anche a livello europeo) un preciso riconoscimento e che ciò deve essere garantito, in primo luogo, attraverso gli strumenti di tutela della concorrenza.
Si tratta di impedire che il controllo delle società del settore massmediatico si concentri in misura tale da mettere in pericolo il pluralismo informativo.
Pertanto, gli strumenti adottati da diversi legislatori nazionali (in ambito europeo e non solo) prevedono misure e vincoli


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più restrittivi al comportamento delle imprese, proprio in ragione della necessità di garantire un bene - il pluralismo - riconosciuto meritevole di una sorta di tutela rafforzata, rispetto alla quale le sole regole della concorrenza potrebbero essere ritenute, a ragione, insufficienti.
La concorrenza è un presupposto essenziale dello stesso pluralismo. Il mercato deve essere libero, senza barriere all'ingresso per i nuovi entranti, privo di posizioni dominanti e, pertanto, in grado di assicurare una pluralità di voci. Un mercato televisivo aperto, plurale nelle voci, rappresenta il prerequisito del pluralismo e di un modello democratico competitivo e poliarchico.
Il grado di apertura ed il tasso di competitività del mercato televisivo sono indicatori essenziali nel connotare la qualità della democrazia italiana, per avvicinarla a quel modello di democrazia compiuta, evocato nel messaggio alle Camere del Presidente della Repubblica.
Purtroppo, con questo provvedimento state procedendo con modalità che, di certo, non metteranno l'Autorità per le garanzie nelle comunicazioni nelle condizioni di operare in modo rigoroso e trasparente. L'Autorità è stata chiara ed esplicita nell'invito a definire rigorosamente i criteri e le modalità con cui procedere all'accertamento di un mutato contesto, in seguito ad un intervenuto di effettivo arricchimento del pluralismo, derivante dall'espansione della tecnica di trasmissione digitale terrestre.
Requisito quest'ultimo che costituisce l'unica condizione in grado di giustificare il possibile superamento del termine inderogabile del 31 dicembre 2003. Questo invito, purtroppo, non è stato accolto. Si possono nutrire dubbi su tutto, ma di certo non sul pluralismo.
Non è chiaro quali siano le condizioni che l'Autorità per le garanzie nelle comunicazioni è chiamata ad accertare e neppure quali saranno i provvedimenti che la stessa Autorità dovrà adottare in caso di accertamento negativo. Vorrei ribadire che non sarebbe stato un problema se, dopo aver inserito al Senato il criterio della valutazione contestuale dei parametri, ovvero le parole «accertare contestualmente», si fosse fatto tesoro delle richieste dell'Autorità per le garanzie nelle comunicazioni che voleva la specifica definizione da parte del legislatore di precisi indici di riferimento in ordine al grado di diffusione dei decoder sul mercato, alla misurazione dell'accessibilità del prezzo ed alla valutazione effettiva dell'offerta al pubblico di programmi diversi da quelli diffusi su reti analogiche.
Non è certo banale la motivazione sottesa a questa richiesta di indici, di parametri, di indicatori empirici. Il fatto, afferma l'Autorità, è che i poteri di accertamento e sanzionatori conferiti dalla legge alle Autorità attengono a materie coperte da riserva di legge di cui agli articoli 21 e 41 della Costituzione, in quanto pongono in gioco profili che investono sia la libertà di espressione del pensiero sia il diritto di iniziativa privata nei confronti dei quali, ai sensi di una consolidata giurisprudenza costituzionale, spetta al legislatore indicare criteri idonei a delimitare la discrezionalità del soggetto amministrativo investito del potere di intervento di sanzione. Proprio ciò che voi non fate.
Dovevate assumere precise responsabilità. Non avete voluto farlo. Al contrario avete sovraccaricato di funzioni improprie l'autorità amministrativa. Di fatto create soltanto una situazione funzionale ad una tattica dilatoria ed elusiva del significato racchiuso nel messaggio del Presidente della Repubblica e dei termini non eludibili riferiti alla fine del periodo transitorio, cui da ultimo si riferisce la Corte costituzionale con la sentenza n. 466 del 2002.
Per queste ragioni, signor Presidente, siamo fortemente contrari al provvedimento, anche perché si chiede di dare fiducia a questo Governo per salvare una televisione di proprietà del Presidente del Consiglio, non per operare la riforma del sistema televisivo, non per disegnare il futuro del paese, non per accompagnare l'innovazione tecnologica o, come amate dire spesso, la modernizzazione del paese, ma - ripeto - per salvare una televisione di proprietà del Presidente del Consiglio.
Per queste ragioni voteremo contro un provvedimento che avete voluto «blindare» rispetto a qualsiasi ipotesi di miglioramento,


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perché sapendo di avere torto non solo avete avuto paura di confrontarvi ma, soprattutto, avete avuto paura della stessa tenuta della maggioranza in Assemblea, come è avvenuto con la cosiddetta legge Gasparri (Applausi dei deputati del gruppo della Margherita, DL-L'Ulivo).

PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto l'onorevole Tanoni. Ne ha facoltà.

ITALO TANONI. Signor Presidente, onorevoli colleghi, non sfuggirà a nessuno il rilievo politico ed istituzionale del provvedimento in discussione, il quale, pur nella sua contingenza, incide su principi costituzionali di rilevanza fondamentale. Con questo decreto-legge si vengono, infatti, a definire i parametri che permetteranno all'Autorità garante per le comunicazioni di accertare se, nel nostro sistema politico, si siano verificate o meno quelle condizioni che autorizzano a sostenere legittimamente la sussistenza di un sistema pluralistico.
È evidente che ci stiamo confrontando con temi alla base di una moderna democrazia liberale. Procedere alla verifica dell'effettivo arricchimento del pluralismo informativo nel nostro paese e sostenere quindi l'avvenuta rimodulazione del suo assetto e della sua configurazione significa, infatti, affrontare nodi inevitabili che riguardano la fisionomia ed il funzionamento della democrazia nel paese.
Non si sta discutendo banalmente di una norma che definisce i criteri distributivi o regolativi tra interessi divergenti. Non ci interessa neppure stare a sottolineare il paradosso di una norma che riveste un preciso interesse per il premier. Questo è un problema tutto sommato contingente. Ci interessa, invece, capire come si stia affrontando la questione del pluralismo dell'informazione, ci interessa capire se con questo provvedimento, così come da voi delineato, si operi per incrementare il grado di competitività tra gli attori del sistema. È sicuramente significativo il fatto che la stessa Autorità garante della concorrenza abbia dovuto ricordarvi che la tutela del pluralismo informativo rappresenti un obiettivo che trova, e non solo nel nostro ordinamento costituzionale ma anche a livello europeo, un preciso riconoscimento che deve essere garantito in primo luogo attraverso gli strumenti di tutela della concorrenza.
Si tratta di impedire che il controllo delle società del settore massmediatico si concentri in misura tale da mettere in pericolo il pluralismo informativo. Per questo gli strumenti adottati dai diversi legislatori nazionali, in ambito europeo e non solo, prevedono misure e vincoli più restrittivi al comportamento delle imprese, proprio in ragione della necessità di garantire un bene, il pluralismo, riconosciuto meritevole di una sorta di tutela rafforzata, rispetto alla quale le sole regole della concorrenza potrebbero essere ritenute, a ragione, insufficienti.
La concorrenza è un presupposto essenziale dello stesso pluralismo. Il mercato deve essere libero, senza barriere all'ingresso per i nuovi entranti, privo di posizioni dominanti e, pertanto, in grado di assicurare una pluralità di voci. Un mercato televisivo aperto, plurale nelle voci, rappresenta la conditio sine qua non del pluralismo di un modello democratico e competitivo. Il grado di apertura ed il tasso di competitività nel mercato televisivo, nella produzione di quel bene particolare rappresentato dall'informazione, sono indicatori essenziali nel connotare la qualità della democrazia italiana per avvicinarsi a quel modello di democrazia compiuta, evocato nel messaggio alle Camere dal Presidente della Repubblica.
Purtroppo, con il provvedimento in esame state procedendo con modalità che, di certo, non metteranno l'Autorità per le garanzie nelle comunicazioni nelle condizioni di operare in modo rigoroso e trasparente. L'Autorità è stata chiara ed esplicita nell'invito a definire rigorosamente i criteri e le modalità con cui procede all'accertamento di un mutato contesto, in seguito ad un effettivo arricchimento del pluralismo derivante dall'espansione della tecnica di trasmissione digitale terrestre.
È un requisito quest'ultimo che costituisce l'unica condizione in grado di giustificare il possibile superamento del termine inderogabile del 31 dicembre 2003.


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Prendo atto che questo invito non è stato accolto. Si possono avere dubbi su tutto, ma non sul pluralismo. Non è chiaro quali siano le condizioni che l'Autorità per le garanzie nelle comunicazioni è chiamata ad accertare e neppure quali saranno i provvedimenti che l'autorità dovrà adottare in caso di accertamento negativo.
Vorrei ribadire che non sarebbe stato un problema se, dopo aver inserito al Senato il criterio della valutazione contestuale dei parametri, ovvero le parole «accertare contestualmente», si fosse fatto tesoro delle richieste dell'Autorità per le garanzie nelle comunicazioni che voleva la specifica definizione da parte del legislatore di precisi indici di riferimento in ordine al grado di diffusione dei decoder sul mercato, alla misurazione dell'accessibilità del prezzo ed alla valutazione effettiva dell'offerta al pubblico di programmi diversi da quelli diffusi su reti analogiche.
Non è certo banale la motivazione sottesa a questa richiesta di indici, di parametri, di indicatori empirici. Il fatto, afferma l'Autorità, è che i poteri di accertamento e sanzionatori conferiti dalla legge alle Autorità attengono materie coperte da riserva di legge di cui agli articoli 21 e 41 della Costituzione, in quanto pongono in gioco profili che investono sia la libertà di espressione del pensiero sia il diritto di iniziativa privata nei confronti dei quali, ai sensi di una consolidata giurisprudenza costituzionale, spetta al legislatore indicare criteri idonei a delimitare la discrezionalità del soggetto amministrativo investito del potere di intervento di sanzione.
Proprio quello che voi non fate. Dovevate assumervi precise responsabilità: non l'avete fatto. Al contrario, avete sovraccaricato di funzioni improprie l'Autorità amministrativa. Di fatto, create solo, mi dispiace dirlo, una situazione funzionale ad una tattica dilatoria, elusiva del significato racchiuso nel messaggio del Presidente della Repubblica e dei termini perentori riferiti alla fine del periodo transitorio, cui da ultimo si richiama la Corte costituzionale con la sentenza n. 466 del 2002.
Per queste ragioni, siamo contrari a tale provvedimento. Si chiede di dare fiducia a questa maggioranza per salvare una televisione del Presidente del Consiglio. Non volete operare la riforma del sistema televisivo, non volete disegnare il futuro del paese, non volete accompagnare l'innovazione tecnologica, o come amate dire, la modernizzazione del paese, ma volete, lo ribadisco, salvare semplicemente una televisione del Presidente del Consiglio!
Per queste ragioni, voteremo contro un provvedimento che avete voluto blindare a qualsiasi ipotesi di miglioramento perché, sapendo di avere torto, avete paura di confrontarvi (Applausi dei deputati del gruppo della Margherita, DL-L'Ulivo).

PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto l'onorevole Iannuzzi. Ne ha facoltà.

TINO IANNUZZI. Signor Presidente, stiamo giungendo alla fase finale di un passaggio parlamentare estremamente delicato, in cui il gruppo della Margherita, unitamente agli altri gruppi del centrosinistra, ha ritenuto di dover assumere con coerenza, con fermezza, con profonda convinzione, un atteggiamento in qualche misura di carattere speciale, straordinario, di carattere eccezionale. Lo abbiamo fatto, come più volte è riecheggiato in Assemblea, nella persuasione che siamo di fronte, non ad una vicenda legislativa, per così dire, di natura ordinaria, ma siamo di fronte ad un percorso legislativo relativo al disegno di legge di conversione del decreto-legge del 24 dicembre 2003, n. 352, che produce i suoi effetti in un terreno di natura giuridico-costituzionale di estrema delicatezza e di estrema rilevanza.
Ecco il perché della nostra scelta di questa condotta e di questo atteggiamento politico-parlamentare, per richiamare con determinazione la pubblica opinione a riflettere sulle scelte che il Governo continua ad assumere, soprattutto, nel campo delicatissimo dell'assetto del sistema dell'informazione.
Non c'è dubbio, infatti, che il decreto legge, la cui conversione stiamo discutendo, è intimamente, profondamente, indissolubilmente legato al messaggio con cui il Capo dello Stato, nel dicembre scorso, ha rinviato la cosiddetta legge di


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sistema - la legge Gasparri - all'esame ed alla nuova deliberazione del Parlamento, indicando una serie di profili che fanno emergere rilevanti e stridenti ragioni di contrasto nella disciplina della cosiddetta legge Gasparri, con la normativa di rango costituzionale, alla luce dell'ambito e della ricostruzione che di tale normativa costituzionale ha fornito la Corte costituzionale stessa.
Ebbene, preannunciamo un voto contrario, negativo, estremamente convinto, ed anche motivato, per più punti. Innanzitutto, perché il provvedimento nel suo complesso non regge rispetto ad un controllo di compatibilità con la normativa costituzionale, posto che emergono forti profili di incostituzionalità. Vi sono poi aspetti che portano ad esprimere un giudizio negativo convinto sul merito delle soluzioni normative che il decreto indica rispetto alle diverse questioni sul tappeto.
Non c'è dubbio che, al di là delle valutazioni delle singole norme del decreto-legge, l'unica preoccupazione che ha ispirato ed ha mosso il Governo e la sua maggioranza parlamentare nell'adozione del decreto-legge è stata in qualche misura di attutire, di scavalcare, di attenuare le conseguenze delle indicazioni che, invece, sono vincolanti, cogenti, nella giurisprudenza della Corte costituzionale, soprattutto, nella sua sentenza fondamentale n. 466 del 2002.
Manca, complessivamente, nella formazione delle norme del decreto-legge, così come in tutto il percorso della legge Gasparri, la consapevolezza del Governo che occorre porsi con grande imparzialità, con grande senso delle istituzioni, con grande volontà di realizzare una democrazia aperta e pluralista; ebbene, manca la consapevolezza che al centro di queste vicende legislative vi deve essere non già la considerazione di come riuscire in qualche misura ad arginare o scavalcare la pronuncia della Corte costituzionale ed i suoi effetti; come anche i rilievi motivati e fondati espressi dal Capo dello Stato nel suo messaggio.
Manca la consapevolezza che, quando si discutono in sede legislativa argomenti e questioni di tal natura, al centro vi dev'essere la volontà estremamente ferma e convinta di costruire un assetto nel sistema dell'informazione che sappia davvero garantire il principio del pluralismo, il principio della massima apertura alle diverse e concorrenti voci ed opinioni, che attraversano la comunità nazionale, che debbono trovare nell'assetto dei mezzi di informazione tutto lo spazio e la possibilità di essere rappresentate, di essere espresse, di convivere per consentire così la formazione di una pubblica opinione che abbia tutte le opportunità di valutare criticamente gli accadimenti e di formare liberamente i suoi convincimenti.
Perché non vi è alcun dubbio che nella materia in discussione, quando si tratta di delineare l'assetto complessivo del sistema dell'informazione, vengono in considerazione tutti i problemi legati all'esercizio della libertà di iniziativa economica, della libertà di impresa, alle posizioni che si formano nel mercato dell'informazione, alla necessità, che è assolutamente prioritaria e su cui la Corte costituzionale, a più riprese, ha richiamato l'attenzione del Governo e del Parlamento, di evitare, di ridurre, di attutire, di eliminare, di arginare posizioni dominanti, posizioni fortemente preminenti del mercato dell'informazione, che inevitabilmente si riverberano con conseguenze profondamente critiche, con conseguenze profondamente negative sulla libertà di manifestazione del pensiero, sul diritto all'informazione del cittadino e, ancora di più come effetto finale, sul pluralismo dell'informazione complessiva del nostro paese.
Ebbene, alla luce delle indicazioni che promanano dalla giurisprudenza della Corte costituzionale, il Governo ed il Parlamento, in sede esame dei provvedimenti, si devono porre la finalità di assicurare il rispetto delle indicazioni chiare che il giudice costituzionale ha dato.
Quali sono tali indicazioni? Innanzitutto, la fissazione di un termine finale certo per la cessazione del regime transitorio per quanto attiene al passaggio definitivo dal sistema analogico a quello di trasmissione digitale, quel sistema di trasmissione che è stato identificato dalla Corte costituzionale come necessario per consentire finalmente all'assetto dell'informazione


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del nostro paese di orientarsi e di dirigersi verso linee e contenuti di effettivo e ricco pluralismo.
In secondo luogo, come si può finalmente avviare il superamento, la progressiva attenuazione di posizioni dominanti, fortemente preminenti, che tutti sappiamo esserci nel mercato dell'informazione del nostro paese e che sono agevolmente e facilmente riconducibili a posizioni ben distinte e ben chiare a tutti noi ed a tutto il paese? Occorre dotare l'autorità amministrativa competente, che è l'Autorità per le garanzie nelle comunicazioni, di poteri sanzionatori effettivi e penetranti.
Ma da questo punto di vista, invece, le disposizioni del decreto-legge e i tre commi dell'articolo 1 non forniscono alcuna garanzia reale, perché non fissano all'Autorità per le garanzie nelle comunicazioni termini tassativi e stringenti per esercitare la sua attività di ricognizione e controllo del mercato e per verificare se effettivamente sia stata realizzata un'offerta di programmi televisivi digitali in qualche misura capace di assicurare un ricco, vitale e indispensabile pluralismo.
Anche da questo punto di vista manca l'indicazione di termini certi entro i quali l'Autorità per le garanzie nelle comunicazioni è tenuta ad adottare provvedimenti e deliberazioni di sua competenza per superare tutte quelle situazioni di violazione dei limiti alle concentrazioni, le posizioni dominanti e le posizioni preminenti, fissati dalle norme vigenti.
Ma, se non c'è un'indicazione precisa dei termini e dei poteri sanzionatori e cogenti, è evidente che non si può garantire un effettivo passaggio verso un sistema dell'informazione pluralistico. Ecco perché noi esprimiamo un voto contrario e negativo, un voto convinto, perché voi blindate con la fiducia questo provvedimento. Forse riuscirete a portarla a casa, salvando il vostro obiettivo estremamente parziale e del tutto lontano dai veri interessi del paese; ma sicuramente, ancora una volta, infliggete un duro colpo alle ragioni di una democrazia moderna. Questo è il vostro senso dello Stato e delle istituzioni (Applausi dei deputati del gruppo della Margherita, DL-L'Ulivo).

PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto l'onorevole Carbonella. Ne ha facoltà.

GIOVANNI CARBONELLA. In questi giorni più volte è rimbalzata la parola ostruzionismo. Mi chiedevo da parte di chi sarebbe stato fatto l'ostruzionismo. Da parte delle opposizioni, che sono state costrette, pur di dibattere, ad approfondire e ad analizzare un provvedimento di legge, la cui importanza verosimilmente sfugge alla maggioranza e al Governo, oppure dal Governo stesso, che con il voto di fiducia ha inteso mettere il bavaglio al Parlamento?
Chiedo questo perché, signor Presidente, i problemi che il decreto-legge lascia irrisolti sono molti. Esso, infatti, non tiene conto della necessità di tutelare il valore centrale che il Presidente della Repubblica e la Corte costituzionale hanno indicato: il pluralismo dell'informazione, che altro non è che uno dei fondamenti di tutte le moderne democrazie.
L'ampiezza e l'indeterminatezza della formula scelta dal Governo per la verifica sul digitale terrestre non è un omaggio alla discrezionalità dell'Autorità garante, quanto sinonimo di mancanza di regole. Quindi, è l'anticamera di possibili errori se non di veri e propri arbitri. Troviamo singolare, peraltro, che venga richiesta una copertura del territorio nazionale solo del 50 per cento e non dell'80 per cento come già previsto dall'ordinamento vigente, e, soprattutto, che si parli di copertura e non di reale utilizzo del digitale terrestre o almeno di decoder venduti.
Prevediamo anche che per l'Autorità sarà impossibile definire quale sia e cosa voglia dire «prezzo accessibile dei decoder». Il presidente dell'Autorità, Cheli, ha ripetutamente ricordato al Parlamento come nella sua attuale formulazione il decreto sia sostanzialmente inapplicabile. Il presidente Cheli ha anche sottolineato che l'intero sistema degli accertamenti avrebbe dovuto essere indirizzato a verificare l'effettivo arricchimento del pluralismo - sottolineo effettivo - attraverso l'introduzione del digitale terrestre.
Noi non siamo assolutamente contrari, lo voglio ribadire, al digitale terrestre.


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Anzi, riteniamo che le tecnologie innovative possano offrire un contributo significativo allo sviluppo della nuova televisione. Il sistema, bloccato attualmente dal duopolio RAI-Mediaset, non trova alcun giovamento dalle soluzioni che sono state adottate, le quali nemmeno in questo decreto-legge tengono conto delle osservazioni del Capo dello Stato. Onorevoli colleghi, sappiamo che il digitale terrestre oggi non risolve il problema, anzi, se le cose rimarranno così, aggraverà la situazione.
Signor Presidente, avevo presentato un ordine del giorno con cui tentavo di indurre il Governo a ridurre un danno inevitabile. Il decreto-legge stabilisce che l'Autorità per le garanzie nelle comunicazioni dovrà accertare la quota di popolazione raggiunta delle nuove reti digitali terrestri, senza però indicare quale sia la soglia minima. Con quell'ordine del giorno chiedevo al Governo di attivarsi almeno per realizzare le infrastrutture necessarie alla ricezione del digitale terrestre in maniera tale da non svantaggiare una serie di fasce di popolazione, ivi inclusa quella della provincia di Brindisi. Chiedevo, appunto, un voto su quell'ordine del giorno, che, purtroppo, è stato bocciato.
Allora, signor Presidente, pur avendo sviscerato in questi giorni tutte le contraddizioni cui abbiamo dovuto assistere sul piano politico per la scelta che il Governo ha compiuto, ma anche per le contraddizioni e le incongruenze di merito che il provvedimento comporta, mi chiedo se al Governo e alla propria maggioranza sia passata per la mente l'importanza che un provvedimento di questo genere riveste. Noi stiamo parlando del sistema informativo, cioè di uno strumento di democrazia.
Allora, quando asseriamo che con questo provvedimento si falsa la democrazia, si soffoca la libertà e si mortifica il pluralismo, non asseriamo cose campate in aria, non siamo sovversivi, ma riteniamo che una società civile, moderna ed avanzata debba avere come fondamento cui far riferimento l'arricchimento del pluralismo.
Mi viene spontaneo collegare questo discorso alle strumentalizzazioni di queste ore e di questi giorni - come ho ribadito anche stamattina - che il ministro Gasparri ha tentato di sventolare, quasi a dire che l'opposizione sta facendo questa opera di ostruzionismo in virtù del fatto che al suo interno ha divisioni rispetto alla missione in Iraq. Ci vuole una bella faccia tosta, perché qui si tratta dell'inverso!
Vorrei ricordare al Governo e alla maggioranza che il progetto di legge Gasparri è stato ritirato in quest'aula allorquando la maggioranza scricchiolava di fronte al voto segreto e, quindi, ha pensato bene di rinviarlo sine die, salvo approfittare di questa circostanza, proprio per evitare che il problema e il provvedimento fossero all'attenzione del paese e dei cittadini.
Quindi, il Governo ha mischiato le carte, mettendo contestualmente in discussione alla Camera il provvedimento salvareti con la missione in Iraq, questione ancor più seria rispetto a determinati eventi che caratterizzano la vita del nostro paese.
Penso che dobbiamo mettere un po' i piedi per terra. Tante volte mi sono chiesto se all'interno di questa maggioranza ci si renda conto che, pur dovendo esprimere un affettuoso sentimento di carattere economico al Presidente del Consiglio e pur dovendo dimostrare riconoscenza al primo ministro, tuttavia ciò debba essere pagato ad un prezzo così alto che mina la democrazia del nostro paese. Perché il problema rimane.
Il problema - lo sapete bene - non è mai stato Retequattro. Noi non abbiamo mai inteso chiudere Retequattro. Prova ne sia che ci avete accusati di non aver sciolto il conflitto di interessi e di non aver adottato una legge in materia come centrosinistra, per pudore, quando governavamo. Diceva ieri il collega Sinisi che il centrosinistra non ha messo mano a tale tema proprio per evitare di essere attaccato, aggredito e accusato di supponenza e di arroganza. Adesso, addirittura, questo atteggiamento sobrio, che probabilmente è stato troppo sobrio da parte nostra, lo paghiamo due volte: prima, per non aver fatto ciò che era doveroso fare; ora, invece, perché sentiamo rimproverare il centrosinistra di questa sua indole, ampiamente


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democratica e ragionevole, di fronte a problemi che comunque la chiusura di Retequattro comportava.
Penso che dobbiamo confrontarci, anche al di fuori della discussione su questo decreto, su quale società vogliamo costruire: voi ci volete propinare un modello di società piramidale, dove c'è un vertice e poi la base, mentre all'interno non c'è niente. Voi volete spazzare via la società di mezzo, il pluralismo, i soggetti intermedi che dovrebbero fornire linfa vitale alla vita civile e democratica del paese. D'altronde se è vero, come è vero, che ormai basta accendere la TV per vedere continuamente soggetti di questa maggioranza (perfino nella pubblicità vediamo volti di ministri o di sottosegretari) allora stiamo veramente uccidendo la democrazia. Ecco perché noi riteniamo che oggi sia un giorno triste, un giorno di lutto per la libertà e nero per il paese, perché il paese pagherà le conseguenze di questo provvedimento anche dopo Berlusconi.
Vorrei lanciare un appello anche a settori della maggioranza che a volte mugugnano, si turano il naso, soffrono rispetto a situazioni come questa, ma poi alla fine votano: vorrei invitarli ad uno scatto d'orgoglio, non per uno schieramento, ma per il bene del paese, per la democrazia e per garantire la libertà a tutti quanti (Applausi dei deputati del gruppo della Margherita, DL-L'Ulivo).

PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto l'onorevole Rusconi. Ne ha facoltà.

ANTONIO RUSCONI. Signor Presidente, prendo la parola per annunciare il voto contrario, mio e della Margherita, all'approvazione del disegno di legge di conversione del decreto legge n.352 del 2003. Si tratta di un voto contrario che ha tre motivazioni: in primo luogo, l'evidente incostituzionalità del provvedimento; in secondo luogo, le evidenti carenze nel merito delle norme proposte; in terzo luogo, ciò che dal contenuto del decreto si può dedurre sulla linea politica generale del Governo e della sua maggioranza. Il decreto-legge si è reso necessario a seguito del messaggio con il quale il Presidente della Repubblica ha rinviato la legge Gasparri alle Camere, pena il trasferimento sul satellite di una delle reti Mediaset, ovvero Retequattro. Questa era la prescrizione della Corte costituzionale nel novembre 2002. Il decreto ha, quindi, il solo e unico obiettivo di evitare la prescrizione della Corte. Risulta così totalmente mortificato l'insieme delle osservazioni contenute nel messaggio del Presidente Ciampi. In altre parole, il decreto-legge non tiene conto della necessità di tutelare il valore centrale che il Presidente della Repubblica e la Corte Costituzionale hanno indicato: il pluralismo dell'informazione, che altro non è che uno dei fondamenti di tutte le moderne democrazie.
Fino a quando la nuova legge di sistema, come è stata chiamata, non verrà approvata dal Parlamento, il decreto-legge, se convertito, costituirà l'unica fonte normativa di legittimazione per Retequattro, in contrasto con le dichiarazioni precise e chiarissime della sentenza della Corte costituzionale del novembre 2002, che prevedono l'accertamento della reale diffusione del digitale terrestre come unico rimedio all'attuale, conclamata assenza di quel minimo di pluralismo richiesto dal nostro ordinamento. Come si vede, il diritto del cittadino all'informazione nasce dal tronco del valore fondamentale del pluralismo dell'informazione. Questi sono i valori costituzionali in gioco oggi, questa la giurisprudenza costante della Corte costituzionale, queste le motivazioni che hanno ispirato i rilievi del Capo dello Stato.
Come rispondono il Governo e la sua maggioranza per garantire il principio del pluralismo esterno, di cui all'articolo 21 della nostra Costituzione? Rispondono con un decreto-legge che viene spacciato come una semplice proroga in attesa della approvazione della legge Gasparri, legge che non avete avuto la forza, la scorsa settimana, di approvare in questo Parlamento, che più che legge di sistema delle telecomunicazioni è una legge che sistema il potere all'interno delle telecomunicazioni a vantaggio di qualcuno. L'argomento della sua incostituzionalità basterebbe da solo a motivare un voto negativo, ma oltre all'incostituzionalità c'è anche il


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merito. I problemi che il decreto lascia irrisolti sono molti. L'ampiezza e la indeterminatezza della formula scelta dal Governo sui criteri per verificare la diffusione del digitale terrestre non è un omaggio alla discrezionalità dell'Autorità garante quanto, invece, sinonimo di mancanza di regole e, quindi, anticamera di possibili errori, se non di veri e propri arbitri. Troviamo singolare che venga richiesta una copertura del territorio nazionale solo del 50 per cento e non dell'80 per cento, come già previsto dall'ordinamento vigente e, soprattutto, che si parli di copertura e non di reale utilizzo del digitale terrestre o, almeno, di decoder venduti.
Prevediamo anche che sarà impossibile per l'Autorità definire quale sia e cosa voglia dire prezzo accessibile del decoder. Troviamo anche molto grave che sia stata rifiutata la richiesta di chiarire le caratteristiche della qualità e dei generi dei programmi che verranno trasmessi in digitale. Vedrete, saremo sommersi da canali digitali che trasmetteranno programmi di televendite o simili, alla faccia dell'arricchimento del pluralismo! In più, il decreto-legge non prevede termini temporali essenziale a partire dalla data entro la quale l'Autorità sarà chiamata ad adottare provvedimenti sanzionatori. Rileviamo che, da calcoli approssimativi, questo termine può sfiorare i ventiquattro mesi.
Il presidente dell'Autorità, Cheli, ha ripetutamente ricordato al Parlamento come, nella sua attuale formulazione, il decreto sia sostanzialmente inapplicabile; inoltre ha anche sottolineato che l'intero sistema degli accertamenti avrebbe dovuto essere indirizzato a verificare l'effettivo arricchimento del pluralismo attraverso l'introduzione del digitale terrestre alla data del 31 dicembre scorso, ma la maggioranza ha dimostrato di non voler assolutamente tener conto delle indicazioni e delle preoccupazioni del presidente Cheli. La maggioranza dimostra un evidente disinteresse nei confronti delle indicazioni dell'Autorità per le garanzie nelle comunicazioni e dell'Antitrust, ma anche nei confronti di quelle del Presidente della Repubblica e delle prescrizioni della Corte costituzionale. I presidenti dell'Antitrust e dell'Autorità per le garanzie nelle comunicazioni li abbiamo sentiti in Commissione; hanno parlato chiaramente. Il messaggio del Presidente Ciampi lo abbiamo letto e lo abbiamo apprezzato tutti; a parole, è stato apprezzato anche da alcuni esponenti della maggioranza. Verso la sentenza della Corte Costituzionale abbiamo un solo dovere: rispettarne le indicazioni. Tuttavia, non è questa l'idea né del Governo né della maggioranza. Questo decreto-legge ha il solito ed unico obiettivo: addomesticare il mercato televisivo nazionale a favore di chi detiene una posizione dominante ed ostacolare in ogni modo lo sviluppo di un reale ed effettivo pluralismo dell'informazione. L'obiettivo deve essere raggiunto a tutti costi, blindando il provvedimento con la fiducia per paura di qualche modifica, con la sola preoccupazione di fare un provvedimento che serva alle attività del Presidente del Consiglio.
Per questo, signor Presidente, come gruppo della Margherita voteremo convintamente contro questa ennesima scelta che ci porta al di fuori dell'Europa e della sua storia politica, di democrazia e di pluralismo (Applausi dei deputati del gruppo della Margherita, DL-L'Ulivo).

PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare per dichiarazioni di voto l'onorevole Sinisi. Ne ha facoltà.

GIANNICOLA SINISI. Presidente, onorevoli colleghi, questa mia dichiarazione di voto preannuncia un voto ovviamente contrario sul disegno di legge di conversione di questo decreto-legge.
Intendo porre all'Assemblea alcuni interrogativi, fra cui il più grande di tutti è quello che arrovella ormai l'umanità da molti secoli e che oggi ritrova in questa sede una sua dimensione nonché l'esigenza di un nuovo chiarimento per tutti noi e per me stesso.
Vi confesso che un dubbio mi ha assalito nel corso di queste giornate parlamentari. Signor Presidente, la domanda è la seguente: cos'è la libertà? Credo che su questo concetto valga la pena di indugiare un attimo, cominciando col dire che questa parola ha dentro di sé una singolarità: forse è l'unica parola che, espressa nel suo


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senso pieno ed assoluto, nega se stessa. Non esiste una libertà senza limiti. Non esiste una libertà che non venga coniugata. La libertà di fare tutto quello che si vuole, in realtà, nega se stessa, nega a ciascuno di noi la possibilità di esercitare le nostre libertà. Ho la sensazione che il concetto di libertà, di cui oggi questa maggioranza si rende in qualche modo padrona - dispotica padrona - e che porta orgogliosamente come bandiera, sia proprio quello: la libertà che nega se stessa. Si tratta di una libertà non coniugata, di una libertà che nega la libertà degli altri, di una libertà che, in realtà, travolge se stessa e si attua in una nuova forma di dittatura. È una dittatura moderna, una dittatura che nega quei diritti che una società come quella di oggi dovrebbe, invece, riconoscere come diritti fondamentali della comunità dei propri associati.
Dicevo che la libertà ha bisogno di essere coniugata. Può essere una libertà positiva: la libertà di fare qualcosa, la libertà di agire, la libertà di leggere, la libertà di scrivere. Può essere una libertà negativa, vale a dire una libertà da qualcosa. Mi auguro che si tratti della libertà del paese da voi, per questo modo arrogante, per questo modo protervo, per questo modo irrispettoso delle istituzioni di interpretare il proprio ruolo e la propria responsabilità. È la libertà da voi che stiamo cercando quotidianamente di garantire al paese e al popolo italiano, segnando, anche con le nostre battaglie parlamentari, i passaggi nei quali non ci ritroviamo e i principi sui quali non riusciamo più ad intenderci con la maggioranza che oggi ha la responsabilità di guidare il paese. Di questa libertà senza confini di cui avete fatto una bandiera sappiamo che non è la libertà che dobbiamo garantire al popolo italiano. Non è questa la libertà che può servire a garantire la democrazia al nostro paese e che ci può rendere orgogliosi di essere un paese moderno.
Come ho già detto, questa libertà non coniugata, in realtà, nega se stessa e ci pone davanti alla drammatica esigenza di arrivare qui, in quest'aula, ad attuare la forma estrema di ostruzionismo che stiamo portando avanti da giorni, non con molto orgoglio e neanche con troppa passione, rispetto ad un esercizio di mancato dialogo all'interno del Parlamento. È l'estrema forma di protesta rispetto alla violazione immane dei principi e dei doveri di una società come quella che, oggi, cerchiamo di difendere e di condurre in avanti.
Ma atteniamoci ai fatti. Una sentenza della Corte costituzionale del 2002 dice che una rete televisiva deve cessare di essere trasmessa in chiaro, in via analogica, e deve andare sul satellite entro dicembre 2003. Questo dice la sentenza della Corte costituzionale. Non dice di chiudere, né di spegnere, né di impedire di trasmettere. La sentenza dice, semplicemente, che si doveva garantire spazio per tutti nell'ambito del diritto alla libertà di informazione nel nostro paese e che non si doveva costituire una posizione dominante che comprimesse le libertà degli altri. A questa sentenza della Corte costituzionale avete risposto con la legge Gasparri, vale a dire con una legge nella quale il Presidente della Repubblica, garante supremo della Costituzione, ha rilevato significativi passaggi che non potevano essere ammessi. Il Presidente della Repubblica sapeva bene che la Corte costituzionale aveva indicato che il passaggio sarebbe dovuto avvenire entro il 31 dicembre 2003. Egli ha rinviato il provvedimento alle Camere. La risposta di questa maggioranza è stato un decreto-legge. Il disprezzo nei confronti della massima autorità dello Stato è stato espresso attraverso un atto parlamentare di grande rilevanza qual è il decreto-legge di cui oggi si chiede la conversione. E l'estrema protervia si è manifestata con la volontà di approvare il testo attraverso un atto di fiducia, che non sto qui neanche a rimarcare, confondendo i profitti personali e gli interessi parlamentare di questa maggioranza: 162 miliardi sarebbero stati guadagnati dal Presidente del Consiglio per effetto di questo decreto-legge! Ma quello che mi interessa è l'atto di protervia parlamentare, l'offesa alla democrazia parlamentare nel porre una questione di fiducia su un provvedimento che riguarda il Presidente del Consiglio.


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Signor Presidente, onorevoli colleghi, non so cosa ci sia nelle vostre intenzioni e nei vostri propositi. Non riesco ad immaginare una democrazia nella quale chi governa immagina di durare in eterno. Giorno dopo giorno, vedo consumato nel paese il suffragio che avete legittimamente ottenuto qualche anno fa. Lo vedo consumarsi attraverso le violazioni dei diritti di libertà della nostra comunità. Lo vedo consumarsi, giorno dopo giorno, attraverso la violazione del bene comune, che avreste dovuto garantire con la vostra azione di governo. Lo vedo sfumare, giorno dopo giorno, attraverso la mancata attuazione delle promesse che, così scioccamente, avete esposto in campagna elettorale, sapendo benissimo che non avrebbero potuto essere mantenute. Vedo sfumare il consenso elettorale legittimamente conquistato nel 2001. A fronte di ciò, vi vedo inerti dinanzi all'esigenza di costruire un sistema di regole condivise, senza il quale il paese non può vivere. Capisco la logica di chi prende tutto quello che c'è a disposizione e scappa, come si fa con una rapina in banca: si prende la cassa e si va via! Ma non la capisco quando viene seguita da chi ha una responsabilità di Governo. Immaginiamo che nel 2006 e, forse, anche prima se la china che avete preso vi travolgerà, sarete costretti a passare la mano e noi ci troveremo dinanzi all'esigenza di restituire regole al nostro paese. Cosa dovremmo fare? Cancellare questa legge-vergogna insieme a tutte le leggi-vergogna? Scrivere un articolo unico, che recita: «Tutte le leggi approvate dal 2001 al 2006 sono abrogate», per ricominciare una nuova stagione parlamentare di democrazia e di progresso del nostro paese nella democrazia vera, caratterizzata dalla libertà coniugata e non dalla libertà senza limiti? Cosa dovremmo fare? Cancellare tutti questi misfatti? Cancellare gli orrori della democrazia che state consumando giorno dopo giorno? Noi saremo chiamati ad assumerci delle responsabilità. Immagino che questo senso di responsabilità non ci consentirà di fare di tutta l'erba un fascio e di abrogare la Bossi-Fini e la legge Cirami, di cancellare l'ignominia della legge Gasparri, di cancellare tutte le leggi che hanno offeso il nostro paese e che lo cacciano fuori dall'Europa, ponendolo - come è stato scritto oggi su un giornale - molto più vicino al Camerun o al Togo quanto a riferimenti di democrazia parlamentare. Dovremmo fare questo? Non lo faremo, signor Presidente, onorevoli colleghi. Cercheremo di riparare a questi danni. Non manderemo nessuno sul satellite né su Marte. Cercheremo di ripristinare un sistema di regole che consenta l'esercizio della libertà di cui ho parlato. Cercheremo di ripristinare un sistema di regole condivise che consentano - non soltanto nel 2006, ma anche nel 2011 o nel 2016 - di andare avanti e di fare in modo che questo paese non venga travolto, di legislazione in legislazione, con l'annullamento di tutto ciò che è stato fatto.
Signor Presidente, appartengo ad una categoria di persone che ritiene che chi ha la responsabilità di Governo debba assumere su di sé la responsabilità di tutto quello che è successo nel nostro paese dai tempi di Cavour fino ad oggi. E non ho mai accettato l'idea che si potessero vincere le elezioni e dire che tutto quello che è stato fatto precedentemente è sbagliato, non soltanto perché mi manca la presunzione di farlo, ma perché ritengo che, per un fatto di cultura democratica, chi ha il dovere di guidare un paese debba assumere su di sé responsabilità che spettano ad altri e che sono spettate ad altri; ritengo infatti che la responsabilità politica non si coniughi fedelmente con la responsabilità giudiziaria. Però, vi chiedo davvero: non è ora di smetterla? Non è ora di cominciare a pensare ad un sistema di regole più consono ad un regime maggioritario come il nostro? Siete ancora lì, impalati su un complesso di regole tipiche del sistema proporzionale, che prevede che cambino le persone e, in realtà, non cambia niente.

PRESIDENTE. Onorevole Sinisi...

GIANNICOLA SINISI. Signor Presidente, vi invito a ragionare e a costruire un sistema di regole condivise. In linea con gli appelli a costruire una democrazia nella quale i cittadini possano pensare che cambiano i governi ma il paese continua


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ad andare avanti, vi invito a ripensare a quello che state facendo e a quello che avete fatto e, soprattutto, ad aprire qui, dentro quest'aula, un terreno di dialogo che in questi giorni ci avete negato (Applausi dei deputati del gruppo della Margherita, DL-L'Ulivo).

PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto l'onorevole Stradiotto. Ne ha facoltà.

MARCO STRADIOTTO. Signor Presidente, onorevoli colleghi, signor rappresentante del Governo, mi ero preparato un intervento diverso. Tuttavia, dopo avere visto i telegiornali di questa sera ed aver letto sulle agenzie le dichiarazioni del Presidente del Consiglio e del ministro Gasparri, ho deciso di cambiare intervento, restando sempre in tema di pluralismo dell'informazione.
In questi due anni e mezzo di governo di centrodestra, in tema di comunicazione nel paese abbiamo assistito, da parte del Presidente del Consiglio e dei vari rappresentanti del Governo, ad un continuo «scarico» delle responsabilità. Tant'è che, in più occasioni ho avuto modo di asserire che, se il Presidente del Consiglio ed i rappresentanti del Governo fossero bravi a governare come lo sono a «scaricare» le responsabilità sugli altri, ebbene, se avessero governato con la stessa abilità, ad esempio sui temi economici, oggi l'Italia avrebbe una crescita del PIL del 10 per cento, un'inflazione sotto l'uno per cento e la disoccupazione non esisterebbe più.
Voglio fare alcuni esempi. Il Presidente del Consiglio asserisce che il problema dell'inflazione non esiste. Anzi, sostiene nella trasmissione televisiva Porta a porta, senza che alcun giornalista lo interrompa, che gli stipendi sono cresciuti, più dell'inflazione; e dà la colpa all'incapacità dei consumatori, se non riescono ad esercitare un giusto controllo sugli speculatori. Il consiglio ed il suggerimento sono un invito a camminare di più; nessuno dei rappresentanti del Governo spiega il motivo per cui i comitati provinciali per l'euro - costituiti dal Governo di centrosinistra, proprio per contrastare il pericolo di inflazione - non siano più stati utilizzati dal Governo di centrodestra.
Analogamente, viene data la colpa all'euro - e, quindi, indirettamente, al Presidente Prodi ed al Presidente Ciampi, che, con forza, hanno voluto la moneta unica -, se i prezzi sono aumentati. Ma nessuno aggiunge che, se non avessimo adottato l'euro - la moneta unica ci ha protetti dalle turbolenze internazionali e dalle conseguenze delle disavventure di alcune aziende nazionali; si considerino i casi Cirio e Parmalat -, oggi ci troveremmo nella situazione, con la nostra vecchia lira, di pagare un prezzo assai maggiore per l'acquisto delle materie prime; e l'Italia le importa tutte.
Ecco allora che, a distanza di alcuni giorni, la colpa dell'aumento dei prezzi, per il Presidente del Consiglio, va attribuita ai piccoli commercianti. Qualche tempo fa, la colpa, invece, veniva data agli agricoltori; è presente in Assemblea il sottosegretario di Stato per le politiche agricole e forestali, onorevole Scarpa Bonazza Buora, il quale sa che, per così dire, alle porte delle aziende agricole, i prodotti non sono aumentati. A me risulta che, spesso, il problema speculativo nasce nel sistema della filiera distributiva, che moltiplica il costo dei prodotti nel percorso che va dal produttore all'ultimo distributore. Spesso, non è colpa dell'ultimo commerciante: è troppo facile dare la colpa ai deboli.
Che dire, poi, quando vengono tagliati i fondi agli enti locali: nel 2004, alcuni comuni avranno minori trasferimenti, con un taglio pari anche al 10 per cento. Però apprendiamo oggi dai giornali che alcuni sottosegretari accusano gli enti locali, e i comuni in particolare, di aver aumentato il costo dei servizi. È troppo facile trasferire le colpe sugli altri; è troppo facile imputarle ai comuni, ai consumatori, all'euro, ai Governi che hanno preceduto l'attuale.
Sono solo alcuni esempi; ma di ciò, l'informazione televisiva non parla. Il sistema monopolistico che si è creato in questi anni ha messo il bavaglio al nostro giornalismo televisivo. Cosa fanno allora questo Governo e la maggioranza che lo sostiene? E quali risposte mettono in campo per garantire il principio del pluralismo esterno, di cui all'articolo 21 della


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nostra Costituzione? Rispondono con questo decreto-legge che viene presentato come una semplice proroga, in attesa dell'approvazione del disegno di legge in materia di riassetto del sistema delle telecomunicazioni, ormai noto come legge Gasparri. Provvedimento che, più che legge di sistema delle telecomunicazioni, è una misura che sistema il potere all'interno delle telecomunicazioni a vantaggio di qualcuno. Ma tale decreto-legge non contiene una semplice proroga; è un salvataggio in grande stile, una pietra tombale sulla sentenza della Corte costituzionale che stabiliva che una rete privata doveva andare sul satellite entro il 31 dicembre 2003.
Il decreto-legge affida all'Autorità per le garanzie nelle comunicazioni il compito di accertare l'effettivo avvio del digitale terrestre; ma si guarda bene dallo stabilire su quali parametri dovrà basarsi questa istruttoria: l'Autorità per le garanzie nelle comunicazioni dovrà accertare «la quota di popolazione raggiunta dalle nuove reti digitali terrestri», senza però indicare quale sia la soglia minima. Cosa significa esattamente popolazione raggiunta? Conta la copertura o l'effettiva ricezione del digitale?
Il secondo parametro è «la presenza sul mercato dei decoder a prezzi accessibili»; ma qual è il prezzo da usare come parametro? Il decreto-legge non lo chiarisce.
Terza ed ultima circostanza da valutare è «l'effettiva offerta al pubblico (...) anche di programmi diversi da quelli diffusi dalle reti analogiche». L'espressione «anche» crea più di un fraintendimento; basta un solo canale per sfuggire alla tagliola dell'Autorità per le garanzie nelle comunicazioni.
Queste sono tutte precisazioni che questa Assemblea avrebbe dovuto fornire perché, in mancanza di esse, l'Autorità si troverà a dover procedere senza precisi criteri. Non solo. Terminato l'esame, e verificate - non si sa in quale modo - le predette condizioni, l'Autorità dovrà adottare i provvedimenti indicati dal settimo comma dell'articolo 2 della legge n. 249 del 31 luglio 1997, nota come legge Maccanico. Ecco la scappatoia; il passaggio qui richiamato precisa che l'Autorità, una volta riscontrata l'esistenza di posizioni dominanti, dovrà aprire una istruttoria. Questo è il grande potere sanzionatorio che abbiamo messo in capo all'Autorità: un'altra istruttoria per la questione più istruita del mondo. Ne sono già state condotte tre, di istruttorie; tutte, con la medesima conclusione: sussiste, grande come una casa, una posizione dominante.
Con questo decreto-legge, con arroganza indicibile, il Governo e la sua maggioranza non si limitano ad eludere la sentenza della Corte costituzionale ed il messaggio del Presidente della Repubblica; calpestano sentenze e messaggio. Tale decreto-legge non reca, per l'Autorità per le garanzie nelle comunicazioni, l'indicazione di termini precisi entro i quali debbano essere adottati provvedimenti. Non contiene questo decreto-legge alcun potere sanzionatorio diretto in capo all'Autorità.
Da ultimo, ma è l'aspetto più importante, non si prevede mai l'unico elemento pacifico per effetto della sentenza della Corte costituzionale: il trasferimento della rete sul satellite.
Con la decisione presa di porre la fiducia, avete, con un atto ingiustificato di forza, impedito di rimediare a tali gravi lacune. Avete avuto la paura di confrontarvi ma, soprattutto, avete avuto paura della debolezza della vostra coalizione. Con questo decreto-legge e con la legge Gasparri state scardinando la Costituzione; state minando, alla base, le più elementari regole di democrazia.
Per tali ragioni, voteremo contro la conversione in legge del decreto e continueremo ad opporci con tutti i mezzi a tale sconcio per il sistema televisivo e per le regole democratiche (Applausi dei deputati del gruppo della Margherita, DL-L'Ulivo).

PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto l'onorevole Soro. Ne ha facoltà.

ANTONELLO SORO. Signor Presidente, oggi emerge, forse in modo più netto di quanto si sia verificato in questi tre anni, una divaricazione gigantesca tra l'agenda degli italiani e quella del Governo.


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L'Italia vive una fase di stagnazione economica lunga quanto non si registrava da molti anni, da decenni. La capacità competitiva del paese precipita, secondo il giudizio degli analisti; non è una nostra malevola illazione la notizia del progressivo declassamento dell'Italia nella valutazione degli organismi internazionali di monitoraggio dell'economia mondiale. Il sistema industriale vive un declino desolante; non è una nostra invenzione. Basterebbe considerare il complesso delle notizie «angosciate» che arrivano da tutte le nostre regioni; penso alle più deboli, ad un Mezzogiorno abbandonato dalle politiche di sostegno, ignorato dalle leggi finanziarie. Ma mi riferisco anche a quelle regioni che fino a qualche anno fa, fino a ieri, reggevano la competizione nel mondo, la concorrenza ed erano segnalate come un modello originale, quasi un nuovo miracolo italiano. Esistono sicuramente cause complesse; non vi è dubbio. Nessuno vuole semplificare; nessuno vuole pensare che la situazione sia una conseguenza esclusiva del malgoverno di questa coalizione guidata dall'onorevole Berlusconi. Si tratta, piuttosto, di dati veri che sollecitano atti di governo; il potere di acquisto delle famiglie viene eroso da una inflazione superiore del 25 per cento rispetto alla media dell'Unione europea (tre volte, quasi, l'inflazione della Germania).
Il Governo invoca a giorni alterni la responsabilità dell'euro o delle massaie distratte, ma l'impoverimento delle famiglie, delle fasce più deboli e dei ceti medi è un dato reale: servono atti di Governo, non fughe colpevoli dalle proprie responsabilità!
I consumi segnano una tendenza negativa come non si vedeva da 20 anni e questo innesca una inarrestabile spirale di crisi in tutto il nostro sistema. Se i commercianti, gli artigiani e gli industriali lamentano un vuoto di governo, possiamo pensare che ci sia un qualche interesse partigiano e speculativo, ma non sostenere che essi non segnalino un malessere vero. Se la finanza pubblica segna rosso, non è un caso perché il debito pubblico ha ripreso a salire come non si verificava da tanti anni; il calo vertiginoso dell'avanzo primario diventa una spia impietosa del fallimento del Governo e del ministro Tremonti e il gettito vive ormai solo di condoni.
Si lamentano tutti: il mondo della scuola - che scende in piazza, dagli insegnanti medi a quelli delle università -, il mondo della ricerca, tutti i medici e tutti gli operatori della giustizia. La coesione sociale viene ogni giorno messa in tensione e il blocco sociale, che solo due anni fa aveva creduto alle promesse dell'«uomo solo al comando» ed aveva preso sul serio il contratto di Porta a porta, si va sciogliendo in un coro di delusione e dissenso. A fronte di questo scenario, che è l'agenda vera del paese, l'Esecutivo detta un'agenda di priorità che interpreta fedelmente la declinazione privatistica della funzione di Governo. Gli interessi generali non hanno rappresentanza nel Governo del paese, dominato e orientato dagli interessi del Presidente-padrone, conduttore assoluto del suo partito e della sua maggioranza, come è emerso con chiarezza dalla lunga e inutile verifica conclusa in questi giorni, che, a ragione, l'onorevole Berlusconi chiama conferma e non verifica.
Il Governo ha una sola bussola, la stessa che ha generato le note leggi in materia di giustizia, dalle rogatorie internazionali al falso in bilancio, dalla Cirami al lodo Schifani. Con lo stesso spirito, oggi l'onorevole Berlusconi, nel quadro delle politiche di sostegno alle imprese, fa un regalo alla sua impresa e, nel quadro delle politiche volte a far crescere la ricchezza degli italiani, fa un omaggio di 160 milioni di euro al cittadino Berlusconi. Questi dati non fanno altro che segnalare una questione di fondo che riguarda i caratteri della nostra democrazia, cioè il problema della separazione dei poteri e degli istituti di garanzia, dalla Corte costituzionale alle Autorità indipendenti che dovrebbero regolare i mercati, alle stesse prerogative del Capo dello Stato. Signor Presidente, viviamo una stagione straordinaria: sono messi in discussione alcuni pilastri del nostro ordinamento, sono messe in discussione e negate alcune delle principali convenzioni che hanno presieduto per sessant'anni la vita democratica del nostro paese. Il problema è in questa condizione, in questa deriva, che una esasperata interpretazione


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del maggioritario e una lettura personale e padronale della sovranità popolare alimenta in modo maniacale.
Il richiamo del mandato popolare, esibito ed invocato dal Presidente del Consiglio come uno scudo assolutorio, consuma ogni giorno pezzi consistenti della nostra democrazia, come se i principi della costituzione dello Stato di diritto, della divisione e della separazione dei poteri, che sono il fondamento della nostra Repubblica, potessero essere subordinati o sostituiti dall'inarrestabile invocazione plebiscitaria di un nuovo ordinamento materiale. È la cultura un po' autoritaria e un po' peronista che ispira la difesa del monopolio televisivo privato con leggi e decreti a colpi di fiducia, trasformando il conflitto di interessi in un conflitto con l'insieme delle istituzioni in cui si esprime la stessa sovranità popolare. È la cultura un po' autoritaria e un po' peronista che mette in gioco i valori, le regole, le procedure della competizione democratica e che altera senza pudore le regole del gioco. È l'atteggiamento di malcelato disprezzo per quello che viene rappresentato come un rito sterile - la coalizione, le opinioni diverse, le lungaggini parlamentari, la richiesta di collegialità sono il teatrino della politica -, un disprezzo malcelato per i suoi alleati, sopportati come un fastidioso ingombro del disegno ispirato di chi vorrebbe gestire il Governo della Repubblica come la propria azienda e, in realtà, qualche volta i confini non sono chiari.
L'onorevole Berlusconi non riconosce il conflitto di interessi perché considera la cosa pubblica come una cosa privata e gli interessi privati come un bene pubblico da favorire con leggi e decreti. Il possesso monopolista dei «rubinetti» che governano l'informazione di massa e l'accesso privilegiato e spesso esclusivo ai balconi di questa moderna piazza mediatica in cui si formano gli orientamenti elettorali alterano i meccanismi più delicati della democrazia liberale.
Io non penso, Presidente, che questa maggioranza sia tutto il male e che l'opposizione sia tutto il bene; io non penso che nella maggioranza le nostre preoccupazioni siano del tutto inascoltate, che non esista un'inquietudine vera tra quanti hanno una solida coscienza democratica. In fondo, il voto segreto ha più volte segnalato un malessere che non può essere archiviato come un fatto marginale o, peggio, dettato da insoddisfazione di potere.
Ai colleghi della maggioranza che hanno una sincera cultura democratica, vorrei dire sommessamente - consapevole degli obblighi di lealtà della coalizione e dei limiti che l'esperienza di Governo impone - che esistono limiti insuperabili che attengono ai fondamentali del nostro impegno nelle istituzioni e che interrogano in modo severo la nostra coscienza.
Per queste regioni, Presidente, voteremo contro questo provvedimento, ma nelle prossime settimane rivolgeremo un invito ancora più insistente perché emergano con forza le contraddizioni che, ormai, sono palesemente presenti nella maggioranza di Governo (Applausi dei deputati del gruppo della Margherita, DL-L'Ulivo).

PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto l'onorevole Lettieri. Ne ha facoltà.

MARIO LETTIERI. Signor Presidente, dopo gli interventi dei colleghi Stradiotto e Soro, potrei anche limitarmi ad alcune brevissime considerazioni. La dotta disquisizione del collega Sinisi sul significato della parola libertà invita a qualche riflessione sui comportamenti di chi questa libertà ha il dovere di difenderla fino in fondo: sono esattamente i comportamenti del Presidente del Consiglio che, mentre parla e sempre più frequentemente - spesso anche a sproposito - di libertà, finisce inevitabilmente con il minarla.
Quello che può essere consentito al cittadino normale - ma non lo è neanche per lui -, certamente non è permesso al Presidente del Consiglio, che, puntualmente, quando si trova in difficoltà - e in questi ultimi tempi è in grande difficoltà politica -, non ha più il consenso di molti parlamentari che siedono in quest'aula. Diversi gruppi politici che sostengono questo Governo avvertono quotidianamente l'impossibilità di una convivenza basata su un programma e su una concezione democratica


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della gestione del potere perché si trovano dinanzi ad una visione distorta del Presidente del Consiglio, che, come richiamava poc'anzi il collega Soro, ha una concezione padronale della cosa pubblica. In oltre cinquant'anni di vita repubblicana del nostro paese questo non si è mai verificato e un grande partito come la Democrazia cristiana - nella quale non ho mai militato, anzi all'epoca avevo altre collocazioni politiche, più a sinistra -, non ha mai avuto una concezione padronale della cosa pubblica. Si sono verificati distorsioni, errori, limiti - la storia farà giustizia e darà condanne o assoluzioni a uomini e partiti -, ma la concezione era sicuramente altamente democratica.
In quest'aula vi sono stati dibattiti storici tra chi governava, come la Democrazia cristiana, e i partiti di opposizione, sia di sinistra che di destra. Mai come adesso il Governo continua ad adottare una miriade di decreti e a chiedere continuamente la fiducia sui fatti più significativi perché, pur essendo cento di più, non ha fiducia dei parlamentari, che, ripeto, dovrebbero condividere un programma e, quindi, anche l'attività legislativa.
Anziché prendere onestamente atto di questa situazione e rivedere il programma, il modo di agire, trovando una coesione, il Presidente del Consiglio - basta leggere il giornale di oggi - sfida sinistre e alleati. Dice: mi candido, niente lista unica. Poi scopriamo che la proposta del Governo è quella di prevedere la incompatibilità tra la carica di parlamentare nazionale, di Capo del Governo e la carica di parlamentare europeo. E dice che si candida. Ecco la concezione della libertà che ha il Presidente del Consiglio! È la libertà di fare i cavoli suoi (mi sia consentito questo termine)!
Noi abbiamo il dovere di fargli comprendere che il popolo italiano pretende da lui, per il ruolo che svolge, un'idea alta della libertà, non interessata. Oggi, il suo interesse politico è quello di candidarsi alle elezioni europee, pur sapendo di essere ineleggibile, perché Capo del Governo. Lo fa egualmente. Ma siamo seri, dobbiamo essere seri! Non possiamo poi pretendere che sia considerato incompatibile ed ineleggibile l'ultimo sindaco di un comune di quindicimila abitanti o il presidente di una piccola provincia! Questi sono fatti rivelatori di una idea distorta della parola libertà e del principio democratico.
Il decreto-legge al nostro esame è il frutto di questa concezione. Trovandosi di fronte al messaggio autorevole del Presidente della Repubblica, il Governo, per salvare Retequattro, ha adottato questo provvedimento. Non ha invece avuto la forza di far approvare la cosiddetta legge Gasparri per i noti motivi, perché quaranta colleghi, grazie al voto segreto, hanno trovato la forza di dire no ai diktat, no all'idea padronale della gestione del Governo. Questi sono i dati. Noi ci eravamo dichiarati disponibili ad un confronto serio, perché ci rendiamo conto che l'informazione è l'essenza stessa della democrazia, che si basa su una informazione corretta, sulla pratica vera del pluralismo e sull'autonomia e l'indipendenza dei giornalisti che non devono essere al servizio di chicchessia. La loro indipendenza di giudizio è garanzia di pluralismo e democrazia. Il decreto è stato adottato a seguito del messaggio con il quale il Presidente della Repubblica ha rinviato la legge Gasparri alle Camere. Il trasferimento sul satellite di una delle reti Mediaset, presumibilmente Retequattro, e l'eliminazione della pubblicità da una rete RAI, presumibilmente la terza rete, rappresentavano le prescrizioni date dalla Corte costituzionale nel novembre 2002. Ci sarebbe stato tutto il tempo per affrontare la questione con una ordinaria proposta di legge anziché con un decreto. Il tempo non è bastato, perché i contrasti così aspri e il rifiuto di confrontarsi con l'opposizione hanno indotto la Camera a ribellarsi, costringendo il vicepresidente Fini a trovare l'escamotage di chiedere il rinvio del provvedimento in Commissione. E meno male che c'era il vicepresidente Fini, perché altrimenti chi sa cosa sarebbe potuto succedere quel giorno!
Il decreto quindi si pone il solo obiettivo di evitare le prescrizioni della Corte. Risulta così totalmente mortificato l'insieme delle osservazioni contenute nel messaggio del Presidente Ciampi. In altre


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parole, il provvedimento non tiene conto della necessità di tutelare quel valore centrale che il Presidente della Repubblica e la Corte costituzionale hanno indicato, cioè il pluralismo dell'informazione, che altro non è che uno dei fondamenti di tutte le moderne democrazie. Su ciò non mi dilungherò, anche se il tema della qualità della democrazia e della libertà nel nostro paese meriterebbe un esplicito dibattito e non solo nella Commissione cultura, il cui presidente vedo qui presente. Sarebbe bene che di tali temi si parlasse anche in quest'aula ove spesso ognuno di noi si esercita su discussioni di carattere troppo generale, ignorando che il ruolo dell'Assemblea sta anzitutto nel difendere il sistema democratico. Già in altra occasione ho detto in maniera molto esplicita che il Parlamento è continuamente espropriato delle proprie funzioni e tra poco non avremo più da lavorare, tant'è che spesso la settimana lavorativa si chiude il mercoledì anziché il giovedì, come abitualmente si faceva. Per queste ragioni, il mio voto personale e quello del gruppo della Margherita saranno contrari a un decreto che giudichiamo sicuramente negativo.

PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto l'onorevole Marcora. Ne ha facoltà.

LUCA MARCORA. Il decreto-legge 24 dicembre 2003, n. 352, fa seguito al rinvio alle Camere della cosiddetta legge Gasparri, disposto dal Presidente della Repubblica, ai sensi dell'articolo 74 della Costituzione, con messaggio motivato del 15 dicembre 2003. In particolare il messaggio, tra i vari profili di illegittimità costituzionale della legge, individuava la sostanziale violazione della sentenza della Corte costituzionale n. 466 del 2002, sotto il profilo della mancata indicazione di un termine finale certo per la cessazione del regime transitorio per il passaggio definitivo dal sistema analogico al digitale, nonché della mancata previsione di poteri sanzionatori in capo alla Autorità per le garanzie nelle comunicazioni, nell'ipotesi di esito negativo dell'accertamento della complessiva offerta dei programmi televisivi digitali terrestri.
Secondo il messaggio presidenziale, per poter considerare realizzate le condizioni in grado di giustificare il superamento del termine del 31 dicembre 2003, deve necessariamente ricorrere la condizione che sia intervenuto un effettivo arricchimento del pluralismo derivante dall'espansione della tecnica di trasmissione digitale terrestre.
Riguardo a tale profilo, il comma 1 dell'articolo 1 del decreto-legge non garantisce l'effettuazione di una compiuta verifica circa la sussistenza di un concreto pluralismo informativo. Il comma si limita infatti ad accorciare i termini per l'effettuazione dell'attività di ricognizione del mercato da parte dell'Autorità per le garanzie nelle comunicazioni, omettendo l'indicazione della data alla quale riferire l'accertamento e riferendo quest'ultimo non all'effettivo raggiungimento della popolazione da parte delle nuove reti ma alla sola copertura delle reti stesse.
Il comma 2 dell'articolo 1 non stabilisce un termine preciso entro il quale l'Autorità per le garanzie nelle comunicazioni deve adottare le deliberazioni in ordine alle violazioni dei limiti previsti per le emittenti radiotelevisive, con il rischio della prosecuzione a tempo indefinito dell'esercizio delle reti eccedenti tali limiti.
Il comma 2 dell'articolo 1, inoltre, non prevede alcun potere sanzionatorio - e questo è il problema più importante - derivante dall'esito negativo dell'accertamento da parte dell'Autorità per le garanzie nelle comunicazioni. Il comma, infatti, in primo luogo rinvia a un procedimento complesso e comunque lungo fino a dodici mesi, con la conseguente protrazione del periodo transitorio concesso dal decreto-legge e, in secondo luogo, con il richiamo al comma 7 dell'articolo 2 della legge n. 249 del 1997, prevede l'assunzione di misure per la dismissione della rete che eccede i limiti antitrust, senza prescrivere la cessazione delle trasmissioni della rete che si accerti eccedere detto limite. Le disposizioni contenute nel provvedimento in esame quindi ancora non garantiscono l'attuazione del principio del pluralismo informativo esterno di cui all'articolo 21 della Costituzione.


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Quindi, siamo di fronte ad un palese conflitto di interessi. Qui stiamo parlando di salvare una rete di proprietà di un'azienda di cui il Presidente del Consiglio è il principale azionista!
È inutile che dalla maggioranza ci venga detto che questo decreto serve anche a salvare RAI 3! Sapete bene che le proposte dell'opposizione in merito alla sorte di RAI 3 sono sicuramente compatibili con il dettato costituzionale, da un lato, e con la sentenza della Corte costituzionale, dall'altro.
Qui, invece, il problema consiste nel salvare un patrimonio del Presidente del Consiglio, nell'ambito di un evidente conflitto di interessi che non è stato sanato, diversamente da quanto era stato annunciato dal Presidente del Consiglio stesso, il quale si era impegnato di fronte a tutti gli elettori italiani a risolvere tale conflitto entro i primi 100 giorni del suo Governo: sono passati più di 1000 giorni, signor Presidente!
Siamo ormai a più di due anni e mezzo dall'inizio di questa legislatura e il conflitto di interessi è ben lungi dall'essere risolto.
D'altra parte, anche la versione più edulcorata, cioè quella proposta dal Governo e fatta propria dal ministro Frattini, si è arenata miserabilmente al Senato. Se la domanda è: «perché si è arenata?» la risposta è molto semplice. L'articolo 3 di quella legge prevede che il titolare di cariche di Governo non possa partecipare ad atti che provocano un vantaggio patrimoniale per le aziende sue o dei suoi parenti fino al secondo grado. Tale norma (cioè quella che il Governo aveva posto attraverso il ministro Frattini per risolvere il conflitto di interesse), se fosse in vigore oggi, avrebbe vietato l'emanazione del decreto-legge in esame e la posizione della questione di fiducia sulla sua conversione. L'articolo 6 stabilisce che le aziende beneficiate da atti compiuti da titolari di cariche di Governo in conflitto di interesse debbano pagare una sanzione pecuniaria pari al totale del vantaggio patrimoniale arrecato alle aziende stesse. Quindi, la stessa legge che voi avete proposto, e che si è poi arenata al Senato, avrebbe reso impossibile questo decreto salva Retequattro, o comunque, avrebbe comportato la disposizione di una pena pecuniaria per Mediaset pari a circa 150 milioni di euro.
Ecco, quindi, bene evidente che, in questo campo, gli interessi sono quelli diretti del Presidente del Consiglio, il quale ci continua a raccontare in televisione che oggi gli italiani sono più ricchi di quando lui è andato al Governo!
Probabilmente, egli ha come termine di riferimento la sua situazione patrimoniale personale, perché basta guardare ai bilanci di Mediaset, al miglioramento degli utili di questa e, soprattutto, al miglioramento della raccolta pubblicitaria da parte dell'azienda da quando il Governo Berlusconi è in carica, per capire che, se c'è qualcuno che si è arricchito in questo paese, sicuramente è il Presidente del Consiglio, ma non gli altri cittadini italiani!
Dall'altro lato, questa protervia con cui si vuole imporre al Parlamento una legge che viola chiaramente il problema del conflitto di interessi e che non può che essere interpretata come favorevole al Presidente del Consiglio, ha comportato il fatto che il Parlamento sia oggi bloccato a discutere su un problema personale del Presidente del Consiglio, mentre in Italia i problemi dei cittadini sono sicuramente altri; per esempio, l'aumento dei prezzi, sicuramente non dovuto all'euro.
Siamo l'unico paese in Europa che ha avuto un aumento dei prezzi in corrispondenza di una stagnazione del PIL. L'altro paese che ha avuto un aumento dei prezzi superiore a quello precedente all'introduzione dell'euro è l'Irlanda, che però ha avuto tassi di crescita ben superiori all'Italia.
Quindi, abbiamo una situazione di stagnazione economica in presenza di un aumento dei prezzi, che sicuramente non va attribuito all'euro perché, altrimenti, avremmo dovuto riscontrare aumenti anche in altri paesi europei mentre, invece, come ripeto, solo in Italia tale aumento dei prezzi avviene in corrispondenza di una stagnazione.
Abbiamo una produzione industriale che continua a diminuire e questo è un dato assolutamente nuovo per il panorama economico italiano, perlomeno dalla seconda guerra mondiale in poi. In nessun


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altro periodo si era registrata una diminuzione della produzione industriale per tre anni consecutivi. Potrei andare avanti nell'elencare i problemi che oggi il nostro paese ha di fronte, mentre noi siamo qui a discutere degli interessi del Presidente del Consiglio, che ha richiesto il voto di fiducia sul provvedimento, con giustificazioni che non stanno assolutamente in piedi. Si è parlato di fiducia tecnica. Il problema è un altro: non avete la sicurezza neanche della vostra maggioranza!
Voi siete costretti a chiedere il voto di fiducia perché, pur avendo cento parlamentari in più rispetto all'opposizione, avete avuto dimostrazione di quale sia stato l'esito della verifica, sia con il rinvio in Commissione della legge Gasparri, sia per la vicenda della riforma dell'istituzione della grazia.
Quindi, siete costretti a porre la fiducia perché avete paura che la vostra stessa maggioranza non segua questo disegno del vostro Presidente del Consiglio, teso soprattutto ed unicamente a salvaguardare i propri interessi personali.
Voi dovrete rispondere al paese di questo vostro comportamento. Sicuramente gli italiani sanno che i problemi sono altri. Sicuramente gli italiani vi giudicano per il fatto di anteporre gli interessi del Presidente del Consiglio a quelli di tutti i cittadini (Applausi dei deputati del gruppo della Margherita, DL-L'Ulivo).

PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto l'onorevole Carra. Ne ha facoltà.

ENZO CARRA. Signor Presidente, la conclusione di una vicenda come questa non passerà senza lasciare un segno - capisco che l'osservazione potrà sembrare addirittura banale -, ben oltre quello dato dalle notti passate qui da una pattuglia di parlamentari dell'opposizione (ma anche di alcuni della maggioranza).
In questo momento, si dovrebbero decidere, da un'altra parte del palazzo, inteso in senso pasoliniano, le sorti della cosiddetta verifica.
Se ci sarà l'adesione da parte delle forze politiche della maggioranza, non credo che ci saranno problemi. Forse si avrà un esito positivo, cioè quello di arrivare entro il 30 aprile all'approvazione della legge Gasparri, senza la quale non sarà possibile per nessuno pensare che il decreto votato domani sia risolutivo, poiché serve ad aggirare la sentenza della Corte costituzionale.
Se invece la maggioranza non sarà in grado di portare a compimento questa legge, l'Autorità per le comunicazioni non avrà alcuna deliberazione da assumere, come erroneamente sostiene il testo che andrete a votare domani: «(...) fino alla data delle deliberazioni dell'Autorità». Ma quali deliberazioni? Non c'è nulla da deliberare!
Non resterà che rispettare la sentenza della Corte costituzionale - noto covo di eversori, bolscevichi, nemici dell'ordine costituito, come pensa e dice il Presidente del Consiglio - e che, tuttavia, ha emesso una sentenza che prevede, semplicemente, ciò che prevede la legge Maccanico: una rete Mediaset sul satellite; una rete RAI senza pubblicità; un sistema riformato in grado di riformare, nella legalità e nel rispetto delle regole della concorrenza, un sistema pluralista, analogico. Soltanto questo è il problema che sta davanti a noi e a voi.
Abbiamo ripetuto, infinite volte, che il punto non è il digitale terrestre e mi fa piacere constatare che, ancora oggi, su un giornale tanto autorevole da essere stato considerato, ad un certo punto, una sorta di riferimento nella predisposizione stessa di questo decreto-legge (il giornale della Confindustria) un articolo a firma di Carlo Maria Guerci, riferendosi al digitale terrestre, sostenga che a questo sistema non si deve chiedere più di quanto, effettivamente, può offrire: molteplicità di canali; selezione competitiva degli operatori minori; sviluppo dei canali specialistici; miglioramento della qualità; dialogo con altri terminali ma - conclude - occorre non forzare i tempi che solo il mercato saprà imporre e occorre riflettere sui vistosi fallimenti già verificatisi in Spagna e in Inghilterra.
Ecco, si tratta di non forzare i tempi del digitale terrestre, esattamente quello che farete voi se riuscirete ad approvare anche la legge Gasparri. Ma intanto, mentre


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il digitale farà la sua strada, naturalmente con l'esercito di decoder che si muovono verso le case degli italiani - come in un libro di Bradbury, per fare un'altra citazione - e le invadono, le violentano, aprono loro stessi la porta, vanno nella sala da pranzo, si infilano sotto il televisore di casa, lo accendono e la famiglia rimane esterrefatta, mentre noi, probabilmente, saremo ancora qui a parlare dell'analogico, perché discutiamo di cose che, invece, interessano proprio quei poveretti che, come noi, avranno questi decoder inservibili.
Nel frattempo si avvicinano le elezioni europee e il Presidente del Consiglio, ancora oggi, ha sostenuto, forse nello scetticismo generale - tra l'altro, notiamo, con reazioni non sempre positive anche per noi stessi, che il Presidente il Consiglio non viene creduto neanche dai suoi stessi sostenitori; lui dice una cosa e i suoi stessi sostenitori dichiarano subito: «tanto poi non lo farà»; ma allora, perché lo dice? Lasciatelo lavorare! - che intende abrogare la legge sulla par condicio. Ebbene, la legge sulla par condicio - a parte le osservazioni che tutti abbiamo fatto in altre occasioni, anche questa mattina - vale soprattutto quando, in tempi di elezioni, tutti devono parlare a tutti gli italiani. Tutti: quelli che hanno le televisioni e quelli che non le hanno, quelli che affittano degli spazi e quelli che gli spazi li affittano e poi fanno anche la politica, come nel caso di Mediaset, del Presidente del Consiglio e del suo partito. Allora, se ciò accadesse, quella italiana sarebbe, ancora di più, un'anomalia. Tuttavia io credo - ma su questo punto siamo molto divisi; io lo credo e credo di condividere questa convinzione con molti altri in questo paese e non soltanto in questo Parlamento - che una qualche anomalia in campo di pluralismo di informazione e di comunicazione politica ci sia.
Non intendo soffermarmi più di tanto sulla questione perché siamo tutti abbastanza al corrente della situazione reale, concreta che stiamo affrontando e anche della sua gravità; ritengo, però che dovremmo affrontare questa anomalia indagando le possibilità offerte da un monitoraggio elettorale, quello che può essere offerto da una organizzazione come l'OSCE. Molti di noi lo sanno benissimo, tuttavia mi piace sottolinearlo, lo dico soprattutto a me stesso: nel vertice di Budapest del 1994 è stato affidato all'ufficio per le istituzioni democratiche e i diritti umani (l'ODIHR - office for democratic institution and human rights) dell'OSCE il monitoraggio delle elezioni nei paesi membri. Il documento di Budapest, al capitolo VIII, articolo 12, stabilisce che questo ufficio svolgerà un ruolo più ampio nel monitoraggio delle elezioni, prima, durante e dopo le votazioni.
In tale contesto, l'ODIHR dovrebbe valutare le condizioni necessarie per un'attività libera e indipendente dei mezzi di informazione e mi pare che siamo proprio in argomento. Le procedure stabilite a tal fine prevedono che sia lo Stato ad invitare l'ODIHR a monitorare un'elezione; in base a tale invito l'ODIHR invierà una missione di osservazione di lungo termine che permarrà nel Paese per più di due mesi. Ciò significa che il monitoraggio non si limita all'evento del voto ma verte sull'intero processo elettorale, compresi la valutazione della legislazione e lo svolgimento della campagna elettorale. L'ODIHR ha effettuato osservazioni in centinaia di elezioni e di referendum in vari paesi. Certamente noi, come opposizione, potremmo pensare ad una richiesta del genere, poi il Governo deciderà il da farsi - penso che dirà che è tutto normale e che non c'è bisogno di monitoraggi di alcun tipo, figuriamoci - tuttavia, credo che dovremmo farlo perché questo monitoraggio mira soltanto a stabilire se le elezioni sono libere e oneste, cioè free and fair, libere e corrette, oneste. Certamente non credo che ricorrerà il caso di candidati arrestati il giorno prima delle elezioni - potrebbe anche capitare - o che ci siano gravi illegalità nella presentazione delle liste; però sulla correttezza delle elezioni, al punto in cui siamo, se è vero quanto abbiamo detto, se non abbiamo scherzato in una vigilia di carnevale generalizzata qui a Montecitorio, tanto corrette le elezioni, in questa situazione, non saranno, se sono vere le parole che abbiamo pronunciato, le convinzioni che ci siamo fatti, i problemi che abbiamo sollevato, ciò di cui


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stiamo parlando, ciò che ci appassiona e appassiona gli italiani, o almeno una parte di essi, anzi, direi moltissimi, molti più di quanti noi non pensiamo. Allora, free and fair. Nel caso nostro, non sarà questione di elezioni libere bensì di elezioni oneste. Allora, voi direte, che un monitoraggio del genere si fa in paesi come l'Iraq, Haiti, o simili; paesi in cui la democrazia deve ancora realizzarsi. E invece no, non è vero. Monitoraggi sono stati eseguiti nelle elezioni di mezzo termine del 2002 negli Stati Uniti, nelle elezioni presidenziali francesi del 2002, nel Regno Unito in occasione delle elezioni regionali in Scozia e in Galles nel maggio del 2003 e in occasione delle elezioni regionali in Irlanda del Nord nel novembre del 2003. Non ci sarebbe nulla di scandaloso se lo facessimo anche noi in Italia; saremmo tutti più tranquilli e sapremmo, finalmente, che questo Paese non soffre di una gravissima anomalia nell'informazione ma è un Paese assolutamente normale. Però, vi prego, facciamolo!
Per queste ragioni, intanto, voteremo contro questo decreto-legge (Applausi dei deputati dei gruppi della Margherita, DL-L'Ulivo e dei Democratici di sinistra-L'Ulivo).

PRESIDENZA DEL VICEPRESIDENTE ALFREDO BIONDI (ore 0,05)

PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto l'onorevole Ruggeri. Ne ha facoltà (Commenti).

RUGGERO RUGGERI. Il mio capogruppo, onorevole Castagnetti, mi ha detto di svolgere un bell'intervento e di far fare bella figura alla Margherita!

PRESIDENTE. Ne siamo certi, onorevole Ruggeri!

RUGGERO RUGGERI. Tuttavia, signor Presidente, sono molto incerto perché a me è venuto un dubbio: e se Berlusconi avesse ragione? Certamente le ideologie sono cadute (qualche anno fa c'era lo statalismo, oggi ci sono il liberismo e la concorrenza): oggi ha ragione Berlusconi: l'importante è fare economia, business, affari. Oggi la politica non è ciò che si fa, soprattutto, per chi ha più bisogno, ma è fare annuncio che le cose sono state fatte, è persuasione, è la fede nel grande leader mondiale, cosmico, in Berlusconi.
Probabilmente, Berlusconi ha ragione sul tema dei prezzi, quando afferma che si tratta di un problema delle casalinghe. Ma cosa c'entra l'Istat? Cosa c'entra il potere d'acquisto degli stipendi e dei salari? Se l'Istat afferma che c'è stata una perdita molto superiore all'aumento dei prezzi, cosa vuol dire? In fin dei conti, qui si vive, si respira, si mangia e si va in vacanza. Dunque, qual è il problema? La causa vera è l'euro, e non le mancate liberalizzazioni, per cui, nel sistema delle assicurazioni, le tariffe sono più alte del 30 per cento rispetto a quelle europee, il sistema bancario è formato da piccole imprese che non sono ancora competitive, essendo stata fermata la liberalizzazione iniziata, i servizi bancari sono più del 40 per cento rispetto alla media europea, e così i servizi professionali; per non parlare del mercato dell'energia, che, oggi, in Italia, costa il 40 per cento in più rispetto ai prezzi europei.
Dunque, la causa dell'aumento dei prezzi non è la mancata liberalizzazione da parte del Governo, ma è l'euro. La causa è questo tizio che oggi si mette in campo e che pensa di vincere, un certo Romano. In fin dei conti, i ministri di Berlusconi dovevano occuparsi di liberalizzare il mercato dell'energia, oggi fatto di clientele, nel quale ci sono rendite e tangenti, si è bloccata la liberalizzazione e la costituzione di nuove centrali, si sono trasformati i monopoli pubblici in privati. Questo è un luogo di rendita e di affari e, quindi, di economia e di vita.
Ha ragione Berlusconi: i ceti medi sono i più colpiti. Ma chi l'ha detto? I ceti medi sono colpiti da un rallentamento della creazione di ricchezza e da una diminuzione dei consumi, che si sono verificati nel mondo e in Europa, ma non in Italia.
D'altra parte, perché, nei DPEF e nelle finanziarie, abbiamo ritoccato tutti i parametri al basso? È stato il Ragioniere dello Stato che si è sbagliato. Forse, Tremonti è stato un pochino più creativo e


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molto prudente. In realtà, abbiamo abbassato i dati non perché non c'era ricchezza, ma perché guardiamo al futuro e il futuro è per noi.
La colpa è sempre e comunque di qualcun altro: la colpa è dei comunisti. Forse Berlusconi ha ragione: i comunisti sono certamente una brutta compagnia. Ma, allora, anche Bossi, qualche volta, ci pare un comunista, dato che sta gridando che, delle riforme promesse da Berlusconi, non si vede neppure l'ombra! Inoltre, le cose vanno così bene che se ne vuole andare prima che affondi la nave.
D'altra parte, Tremonti ci ha detto che le opere pubbliche, le priorità e le infrastrutture, tutte le promesse elettorali sono già state realizzate nei primi cento giorni di questo Governo. Cosa ci stanno a fare, allora, che hanno già fatto tutto? È la politica dell'annuncio. Se guardiamo al caos nel campo della scuola, della sanità e della giustizia, ha ragione Berlusconi: sono tutti i comunisti che si lamentano. Ma quanti comunisti ci sono qua!
Ora c'è anche Prodi, che comincia ad avere un po' tutte le colpe. I buchi precedenti, quelli passati e addirittura quelli futuri, come, d'altra parte, i condoni, sono, comunque, colpa di Prodi. Allora, è certo che ce ne abbiamo tanti di comunisti e di prodiani, se osserviamo i delusi e i turlupinati, ad esempio, dal Patto per l'Italia: artigiani, commercianti, industriali, agricoltori, sindacati, consumatori.
Ma forse ha ragione Berlusconi. Alla fine dei conti, democrazia vuol dire avere la forza di emergere, come in America, dove l'operaio può diventare anche Presidente della Repubblica. È la politica del fai da te, del Black & Decker, nel senso che, se si hanno le capacità e le risorse, ci si può arrangiare ed andare avanti, altrimenti, è lo stesso, tanto qui si vive, si respira e si sta bene tutti quanti. È la politica dell'arrangiamento. Diciamo pure che è una politica lontana mille miglia dalla cultura economica di Einaudi, del dare a tutti le stesse opportunità di emergere, di studiare e di farsi curare. Qui no, è il fai da te; da te ti devi fare.
Conoscendolo, sono convinto che Berlusconi abbia una carta segreta che giocherà al momento opportuno, quello elettorale, al pari di Bush, che ha istituito una commissione di inchiesta su cui ha dato informazioni sbagliate sulle armi di Saddam Hussein. Berlusconi istituirà una commissione di inchiesta sull'operato dei propri ministri.
Farà una commissione di inchiesta su Tremonti, che non è riuscito e non è stato capace di abbassare neanche di 0,5 punti percentuali la pressione fiscale; in realtà, la colpa non è di Tremonti, ma di coloro che lo stanno soffocando e premendo, che vogliono fare investimenti ed aumentare i consumi. Tremonti è però prudente ed ha ancora molto tempo davanti a sé. D'altra parte, la pressione fiscale diminuirà da sé, perché se si arriva in modo naturale ad oltre al 50 per cento, la gente non pagherà più.
Il problema per il quale in Italia c'è un quarto di economia sommersa non è un problema di Berlusconi, ma è un problema strutturale. Però, è questo Governo che deve occuparsene. Ma l'economia sommersa è vitalità, è fantasia, è made in Italy! E qui ha ragione Berlusconi.
Farà una commissione di inchiesta anche su Castelli, ministro dell'«ingiustizia», un'ingiustizia perenne e permanente nelle carceri, oggi ancora, luoghi di disprezzo della dignità della persona umana. Altro che prevenzione! Altro che sicurezza! I poliziotti di quartiere: ma se non c'è neanche il giornalaio di quartiere! Stiamo tagliando le edicole, gli uffici postali e i piccoli negozi che avevano un ruolo anche sociale.
Sul pluralismo dell'informazione, poi, raggiungiamo il massimo del ragionamento di Berlusconi. In realtà, il pluralismo dell'informazione è lui stesso. Lui dice: il pluralismo sono io, perché, spesso, quando parlo, parlo anche contro me stesso e dunque sono pluralista ed ho più voci (Applausi dei deputati dei gruppi della Margherita, DL-L'Ulivo e dei Democratici di sinistra-L'Ulivo).

PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto l'onorevole Duilio. Ne ha facoltà.

LINO DUILIO. Signor Presidente, mi rivolgo a lei, che ha una lunga esperienza


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di vita parlamentare e che, in questo momento, rappresenta il Presidente della maggioranza e dell'opposizione...

PRESIDENTE. Il presidente rappresenta l'intero Parlamento. Quando siamo in quest'aula, siamo tutti uguali.

LINO DUILIO. Stavo dicendo esattamente questo. Proprio per il fatto che rappresenta tutto il Parlamento, mi rivolgo a lei per dire subito che voterò contro la conversione di questo decreto-legge e vorrei giustificare tale decisione non solo con motivazioni che attengono al decreto-legge stesso, ma anche con una vicenda che le riepilogo sinteticamente.
Siamo qui la notte, stiamo replicando, con un po' di fatica, la nostra battaglia per la libertà d'informazione nel paese. Si finisce stanchi, si va a dormire e, magari, si sogna.
A me, stanotte, è capitato di fare un brutto sogno che, poi, è diventato una specie di incubo.
Mi è capitato di sognare un paese che perde la sua libertà di informazione, che vede deperire la qualità della sua democrazia, che vede prefigurarsi una situazione non di totalitarismo, ma di subdolo autoritarismo che, sostanzialmente, vincola l'autentica libertà dei cittadini.
Mi è capitato di sognare un paese più povero, con un Presidente del Consiglio che, invece, dice esattamente il contrario, che parla di un paese virtuale o, forse, di un altro paese. Mi è capitato di sognare un paese che vede, progressivamente, scardinate e delegittimate le proprie istituzioni; perché i messaggi dei Presidenti della Repubblica non valgono niente; perché la Corte costituzionale è considerata un covo di sovversivi di sinistra; e perché la magistratura è considerata un covo di bolscevichi, eccetera.
Quando mi sono svegliato, stamattina, signor Presidente, ero contento perché pensavo che si fosse trattato solo di un incubo.
Poi, accendendo la radio, ho sentito, a Radio Anch'io, in diretta, il Presidente del Consiglio. Allora, ho considerato che quell'incubo, man mano che ascoltavo il programma, non era un semplice sogno, ma un pezzo di realtà del nostro paese. Lo costatavo, molto razionalmente, da ciò che sentivo (e che hanno potuto sentire tutti).
A Radio Anch'io è stato, infatti, raccontato un paese virtuale, che non esiste, che va bene (mentre le persone diventano sempre più povere).
Vi sono stati una marea di interventi, tutti a senso unico, che, del tutto casualmente, erano d'accordo con il Presidente del Consiglio e, in alcuni casi, toccavano anche la corda dei sentimenti, denunciando condizioni personali di handicap e accusando l'opposizione di non consentire un buon governo di questo paese.
Ho avvertito quella subdola condizione di avvelenamento delle nostre istituzioni, signor Presidente, di veleno calato nelle nostre istituzioni. Il Presidente del Consiglio ha, per esempio, detto che l'ex presidente della Repubblica, Oscar Luigi Scalfaro, ha infarcito la Corte costituzionale di giudici parzialissimi, suscitando nell'ascoltatore successivo che telefonava, la domanda, assolutamente legittima, del modo in cui si può cambiare la stessa Corte costituzionale, così faziosa, così di parte.
Veleno anche sul Presidente della Commissione europea, definito indecente e indecoroso, per il fatto che sarebbe entrato in campagna elettorale (fra l'altro, è un Presidente che non si candida, mentre il Presidente del Consiglio si candida, pur sapendo che prenderà in giro i cittadini, in quanto, se fosse eletto, non andrà in Europa).
Insomma, una logorrea di una certa efficacia. Mi ha fatto venire, di nuovo, in mente l'importanza dei mass media, che puntano al controllo dei cuori e delle menti dei cittadini e che comportano la deformazione della coscienza sociale di un paese.
Constatando che non si trattava di un incubo, ma di realtà, mi sono rafforzato nelle motivazioni che presiedono a vivere momenti come il presente e che, in qualche situazione, possono darci anche l'impressione di essere liturgie alle quali siamo affidati tutti. Esse rappresentano, invece, solamente il pertugio rispetto alla dittatura


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della maggioranza attraverso cui si può reclamare un paese autenticamente liberale. Liberale è una parola che ricorre spesso in quest'aula; mi piacerebbe molto che vivessimo in un paese liberale. Più che gli spiriti liberali, però, mi pare si stiano solleticando e sollecitando gli spiriti animali, gli animal spirits. Sostanzialmente, è una condizione in cui vince sempre il più forte.
Dunque, come dicevo, mi sono rafforzato nelle mie motivazioni, nel condurre queste nostre piccole battaglie (per noi sono grandi) per non precipitare in una condizione che vede il nostro paese arretrare sul terreno della tutela della libertà. Ciò per questioni di metodo: mi riferisco alla posizione della questione di fiducia su provvedimenti come questi, sui quali non vi è nemmeno la possibilità di discutere. Con tali modalità draconiane, infatti, una maggioranza che dispone di 100 parlamentari in più (e che ha paura di se stessa) mette il Parlamento in ginocchio, non permettendo né di discutere né di migliorare i provvedimenti da essa presentati. Poi, essa svolge un'analisi comparativa, di tipo matematico, dicendo: ma altre volte anche voi avete posto la questione di fiducia, perdendosi in affermazioni ragionieristiche che non hanno nessun senso, perché stiamo parlando di un provvedimento che riguarda uno dei beni più preziosi nella società moderna per la vita della democrazia: il bene dell'informazione. Stamattina ricordavo un aureo libretto, l'Orazione ai nobili di Lucca, nel quale si raccomandava, già nel 600, ai nobili che andavano al potere di liberarsi dei propri averi, per non essere condizionati. Stamattina, il presidente Violante ha affermato che la Borsa è andata su di tre punti per un'azienda che ha risentito positivamente delle decisioni prese dal Parlamento e si è posto la domanda se non sia triste un paese in cui le aziende devono temere le decisioni del Parlamento, in quanto tali decisioni si riflettono sui benefici che interessano il Presidente del Consiglio.
Credo sia triste un paese precipitato in tale condizione e, ancora una volta, mi rivolgo a quegli spiriti liberali che dovrebbero, in qualche modo farsi vedere e sentire, signor Presidente. Ritengo infatti, che essi esistono anche all'interno della maggioranza. Esistono, ma non si vedono, esistono, ma non parlano, esistono, ma sono annichiliti e conniventi, o forse non esistono più.
Non mi riferisco, quindi, semplicemente ad una situazione di conflitto di interesse, come dicevo in un altro momento, o di coincidenza di interesse. Sarebbe, infatti, più pertinente affermare che non siamo in presenza di un conflitto di interessi ma di coincidenza di interessi: interessi privati e interessi pubblici, la negazione, cioè, della condizione per poter esercitare la funzione, così alta, di Presidente del Consiglio.
Mi riferisco alla questione, più oggettiva e più strutturale, di capire quali siano le condizioni che debbono presiedere all'esercizio di una dialettica e di una dinamica democratica che ci possa consentire (maggioranza ed opposizione) di non subire la violenza della maggioranza.
Ci troviamo in una condizione in cui la democrazia - nel nostro paese lo stiamo sperimentando - soffre di un'intrinseca precarietà, perché può allevare la propria serpe in seno.
Stiamo allevando una serpe in seno alla democrazia del paese; altro che spiriti liberali, sicuramente spiriti animali. Lo ha ricordato, ovviamente in modo sobrio e garbato, il Presidente della Repubblica raccomandando al Parlamento di tornare su un provvedimento non proprio costituzionale. Lo hanno raccomandato anche altre istituzioni, ma non si è dato ascolto a tali suggerimenti. Non è stato consentito di discutere almeno i nostri emendamenti che avrebbero potuto migliorare il provvedimento.
Credo, e concludo signor Presidente, ringraziandola per la tolleranza nell'avermi concesso un minuto in aggiunta al tempo a disposizione, che dobbiamo, maggioranza e opposizione insieme, risvegliare lo spirito che vuole bene al nostro paese perché, come è stato detto con una bella


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frase, il sonno della ragione genera mostri, e di ciò potremmo amaramente pentirci.
Stiamo compiendo questa battaglia per evitare che compaiano i mostri nel paese e per questo motivo, personalmente, voterò contro la conversione del decreto-legge (Applausi dei deputati del gruppo della Margherita, DL-L'Ulivo).

PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto l'onorevole Gentiloni. Ne ha facoltà.

PAOLO GENTILONI SILVERI. Grazie, signor Presidente. Signor rappresentante del Governo, onorevoli e valorosi colleghi, siamo in una situazione in cui vi è la tentazione di dare libero sfogo alla fantasia, fare interventi trasgressivi, perfino dadaisti. Mi spinge a trattenermi da ciò innanzitutto la sua presenza signor Presidente. Inoltre, mi è sempre rimasta nella memoria la frase di un libro di Daniele del Giudice, Atlante occidentale: per quanto presto è il mattino e deserto l'ambiente, le brutte figure hanno sempre un vasto ed insospettabile pubblico. Onde evitare brutte figure, mi atterrò al tema e cercherò di fare un intervento indirizzato al verbale, se non altro per la soddisfazione di poter dire, tra qualche anno, io l'avevo detto.
La situazione è molto ingarbugliata. Cosa succederà nelle prossime settimane intorno al tema di cui ci stiamo occupando? Nei primi giorni di marzo si concluderà una indagine dell'antitrust italiano, quello presieduto dal professor Tesauro, che potrebbe delegittimare l'acquisto di frequenze fatto dalla RAI per costruire il digitale terrestre. Il 24 marzo scadrà il termine previsto dalla legge n. 66 del 2000, che consentiva il cosiddetto trading delle frequenze, cioè la compravendita per realizzare il digitale terrestre, praticata da RAI e Mediaset. Senza l'approvazione della cosiddetta legge Gasparri, dal 24 marzo in poi non sarà più possibile costruire il digitale terrestre acquistando frequenze. Il digitale terrestre « muore » il 24 marzo non potendo più espandersi.
Il 30 aprile scadrà l'indagine dell'Autorità per le comunicazioni, la cosiddetta istruttoria sulle posizioni dominanti. Con ogni probabilità l'indagine si concluderà il 30 aprile sostenendo che il gruppo Mediaset, ed anche la RAI, sono fuori dai tetti previsti dalla legislazione attuale, la cosiddetta legge Maccanico del 1997, e che saranno necessarie misure di deconcentrazione. Lo stesso giorno, il 30 aprile (come sappiamo bene in quanto di ciò ci stiamo occupando) scadrà il termine dell'altra indagine dell'Antitrust per decidere se vi sia stato un effettivo arricchimento del pluralismo tale da giustificare che Retequattro resti in analogico.
Sappiamo tutti, anche i 24 o 25 parlamentari presenti, che questo effettivo arricchimento del pluralismo non vi è stato. Se svolgessimo un'inchiesta tra i presenti in aula avremmo la seguente risposta: nessuno dei parlamentari presenti, tranne forse il presidente Adornato, che mi può smentire,...

FERDINANDO ADORNATO. La classe politica è indietro rispetto alla società.

PAOLO GENTILONI SILVERI. ... dispone di un decoder attraverso il quale usufruire di questa nuova offerta del digitale terrestre.
Nel caso fosse approvata la cosiddetta legge Gasparri, al momento «congelata» (anche i lavori della Commissione che avrebbero dovuto iniziare domani sono stati rinviati) vi sarebbero altri due «treni» che giungerebbero contro questa situazione, rappresentati dalla Corte costituzionale che sarà sicuramente chiamata nuovamente in causa per via incidentale e sicuramente si pronuncerà nuovamente sulla linea della sentenza n. 466 del 2003 e della legislazione europea. Come sappiamo, l'Europa non considera equo il sistema adottato dalla legge Gasparri di proroga, di sanatoria del sistema delle frequenze.
In sintesi, stiamo andando verso una situazione di vero garbuglio. Se non vi sarà un «colpo d'ala» o di fortuna (e non vedo all'orizzonte né l'uno né l'altro), la vicenda finirà male. Chi farà le spese della brutta fine della vicenda fortemente voluta


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dai protagonisti? Tra coloro che ne faranno le spese (anche ciò intendo che rimanga a verbale in questo intervento da Cassandra) vi sarà anche il gruppo Mediaset. Certo potrà sembrare strumentale che un esponente dell'opposizione parli del futuro del gruppo Mediaset, ma non è così, colleghi. Questo gruppo finirà per pagare il conto di una impostazione miope ed estremista.
Pensate alla situazione dei grandi tycoon, dei grandi gruppi multimediali europei. Fino a qualche anno fa vi erano sei o sette grandi gruppi, il gruppo Maxwell, finito male (mi sembra che Maxwell si sia suicidato), Vivendi, il grande gruppo francese, che ha avuto una crisi durissima ed è andato a rotoli, i due grandi gruppi tedeschi Kirch e Bertelsmann, finiti molto male. Rimangono due situazioni, quella di Murdoch, che però non è un gruppo europeo, essendo egli australiano e presente in 16 paesi, e quella di Berlusconi. Come è sopravvissuto Berlusconi in questi anni? Sostanzialmente con un mercato captive che occupa l'intera fascia di mercato italiano, senza alcuna proiezione all'estero, senza diversificare né innovare il prodotto o diventare competitivo a livello internazionale, ma « raschiando il fondo del barile » fino all'inverosimile nel contesto italiano (qualcuno ha parlato di sindrome FIAT).
Mi chiedo, quindi, se sia utile il meccanismo che stiamo proponendo, di assicurare nuovamente a Mediaset la possibilità, attraverso queste forzature, di fingere di essere in buona salute ed avere utili, come avvenuto negli ultimi anni, di centinaia di milioni di euro, o se non stiamo costruendo le premesse di un disastro industriale.
L'ho già detto in precedenza quando si arriverà alla fine di questo processo con il trasferimento di Retequattro sul satellite, non si dica che la responsabilità è del centrosinistra.
Se qualcuno verrà penalizzato da tale trasferimento, vada a manifestare a largo Brazzà, sotto le finestre del Ministero delle comunicazioni; lì, ci sono i responsabili di un approdo di tal genere, non certo nel centrosinistra.
Tale impostazione sta portando sia la legislazione di sistema, sia il gruppo Mediaset in un cul de sac, in una situazione che rischia di diventare irreparabile.
È consuetudine negli interventi parlamentari concludere con l'augurio che ci si renda conto e che si ponga rimedio, riaprendo il dialogo, un terreno di confronto tra maggioranza ed opposizione. Ma ho l'impressione, purtroppo, che non sarà così, che non c'è tale disponibilità. Per questo ho voluto consegnare a verbale la mia notazione pessimistica e la previsione di un esito davvero pessimo per tale vicenda (Applausi dei deputati del gruppo della Margherita, DL-L'Ulivo).

PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto l'onorevole Carla Mazzuca Poggiolini. Ne ha facoltà.

CARLA MAZZUCA POGGIOLINI. Signor Presidente, dalla proiezione verso un immediato futuro di Paolo Gentiloni, arrivo, invece, alla valutazione del qui ed ora.
Con profondo convincimento ribadisco il mio «no» su tale provvedimento. Mi onoro, oggi come ieri, di aver parlato da democratica contro i suoi contenuti; di essere intervenuta per spiegare i motivi del mio forte dissenso verso un ultimo plateale esempio dello scivolamento del Governo verso forme di autoritarismo di stampo padronale, verso una brutta, povera, riedizione italiana di una sorta di peronismo.
Ciò pur sapendo che, data la differenza dei numeri - cento deputati in più - con grande probabilità, il decreto, che salva Retequattro e la posizione dominante di Mediaset nel panorama italiano, come tutti sanno, diventerà legge.
Con la stessa probabilità, purtroppo, come già visto in questi giorni nelle televisioni, gli italiani saranno poco informati della battaglia a difesa dei valori costituzionali di libertà che sta avvenendo in quest'aula parlamentare. Ma noi parliamo


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anche fuori di qui. Credo che coloro che stentano a raggiungere la fine del mese, se poco poco intuiranno di che cosa in questi giorni si sta trattando qui - cioè dei miliardi che girano intorno a tale provvedimento ed in quali tasche vanno a finire - si arrabbieranno molto. Ecco spiegato perché le televisioni tacciono o peggio sono elusive; dicono soltanto che le opposizioni stanno facendo ostruzionismo senza spiegare alcunché, proprio per non farsi capire, per non far capire il merito della questione.
Speriamo, invece, che il nostro lavoro serva al più presto per dimostrare agli italiani dove sono collocati i veri difensori della libertà e dell'equità, i difensori del pluralismo dell'informazione, che è valore costituzionalmente garantito, anche se qui con protervia, è ancora una volta violato.
Permettetemi, dopo avere parlato seriamente nell'altro intervento dei contenuti, di fare un discorso diverso; mi piacerebbe definire in modo diverso il decreto, in merito ai veri contenuti, al significato di ciò che propone.
Prenderò a prestito Cicerone, per nominare tale decreto, che potrebbe essere chiamato «Della sopraffazione o della prepotenza». Sopraffazione e prepotenza, verso le altre televisioni e verso la carta stampata - infatti, data l'enorme quantità di risorse che ancora arriverebbero a Mediaset tramite il mantenimento di Retequattro, chiaramente, le stesse verrebbero sottratte agli altri soggetti -; verso il vero e legittimo concessionario di Retequattro - che ancora una volta si vede beffato da una maggioranza che se ne infischia delle sue buone ragioni e della sua legittimità a poter finalmente operare -; verso l'opposizione perché non c'è stata possibilità di discutere e porre in votazione emendamenti, sperando anche nella resipiscenza di qualche collega della maggioranza, nonostante i voti palesi. Infine, sopraffazione e prepotenza verso la maggioranza di Governo con il ricatto della fiducia.
Tale provvedimento potrebbe avere ancora un altro titolo «Della ipocrisia e degli inganni»; l'ipocrisia di voler per forza collegare la questione della fine della pubblicità sulla terza rete RAI, al vero scopo del provvedimento che è il salvataggio di Retequattro, non facendola andare sul satellite, così come peraltro era stato previsto; ipocrisia, volendo continuare a dire che il decreto in questione serve ad assicurare più pluralismo, quando sappiamo perfettamente che avviene esattamente il contrario; ipocrisia, nel dire che è in ottemperanza alle indicazioni del Presidente della Repubblica, mentre invece si è dimostrato che è un atteggiamento di assoluta indifferenza verso le indicazioni nel messaggio e nelle parole del Presidente. Ipocrisie ed inganni, anche verso la Corte costituzionale, che ha chiesto ancora poco tempo fa di porre un limite chiaro di tempo e, invece, il limite c'è il mese prima e quello dopo, ma all'interno c'è una terra di mezzo dei pareri delle Commissioni parlamentari, che possono prolungare tali tempi in modo veramente indefinito.
L'ipocrisia è dire che tale provvedimento serve solo per salvare l'impresa, ma un'impresa che si dimentica di dire, di sottolineare, che non produce scarpe o laterizi, bensì informazione, il più delicato dei valori, su cui si basa un sistema democratico, che deve sottostare alle valutazioni inerenti il pluralismo e la libertà di informazione.
Ed, infine, ipocrisia, nell'affermazione di voler preservare il posto di lavoro, come se i lavoratori qualificati di Retequattro non potessero essere oggetto di mobilità, data la loro alta qualificazione verso altre imprese, che ne prenderebbero il posto, in cui sarebbero ultranecessari. Guardiamo come ha fatto Telecom, come si sono ristrutturate tante grandi industrie del nostro paese: i disoccupati veri sono i giovani, non i lavoratori altamente qualificati. E per gli altri posti di lavoro: a quando altri decreti con la fiducia?
Ma si potrebbe ancora parlare di un altro titolo per tale provvedimento «Della sfacciataggine o della mancanza di pudore»; infatti, il conflitto di interessi non è stato per niente affrontato, anzi l'ottemperanza ai propri interessi da parte del Presidente del Consiglio è stata elevata a


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potenza esponenziale, alla quale si deve inchinare, a faccia scoperta, la sua maggioranza.
Tutti gli italiani sono costretti a fare attenzione alle spese, per arrivare alla fine del mese, mentre Berlusconi consiglia di percorrere e ripercorre il mercato, per poter risparmiare pochi euro; ma intanto con tale decreto si determina il permanere di un flusso di migliaia e migliaia di miliardi, di vecchie lire, nelle tasche del Presidente del Consiglio, tramite la sua impresa, e della sua famiglia, contro le leggi vigenti e contro i dati diffusi ed i parametri dei tetti pubblicitari.
Tale decreto potrebbe anche essere nominato «Del cattivo esempio»; innanzitutto, perché l'uso di tale provvedimento è stato, chiaramente, nella sua modalità e nelle modifiche del Senato, per imbrogliare le carte, per non corrispondere alle richieste delle più alte autorità dello Stato, per far apparire e spacciare vile metallo, e cioè un finto limite di tempo, criteri taroccati per oro colato.
Tutto ciò per avere il potere per se stesso e per il vile denaro: ma che buon esempio diamo ai giovani! A tale proposito non posso non ricordare come tanti elementi di buon esempio vengono dati ai giovani ed ai meno giovani dal nostro Presidente del Consiglio. È di ieri il fatto che si possono e si devono evadere le tasse: c'è solo l'obbligo, come sappiamo, che si possono infrangere le regole. E questa è la pratica e la tradizione dei condoni, che è di alcuni del Governo.
Il fatto di volersi assolutamente candidare, pur sapendo che non solo non sì può mantenere l'impegno verso gli elettori, ma che si tratta di una forzatura incredibile, rispetto agli equilibri di una corretta campagna elettorale, per il potere politico, economico e mediatico, che chi si candida, cioè Berlusconi, egli solo, possiede.
Infine, voglio concludere dicendo che il massimo esponente della maggioranza e del Governo appare chiaro interprete di quella Italietta che usa agire così come agisce lui, che si arrangia, che accusa sempre gli altri, che crea fantasmi per non farsi guardare in casa propria e che, appena gli serve, afferma il falso. Ma quella Italietta spesso faceva ciò per sopravvivere. Qui si agisce in questo modo solo per ammettere ed aumentare a dismisura il proprio potere a tutti i livelli. Per combattere il comunismo? Tutti quanti ridono di questa sua fissazione. Ciò avviene solo per continuare a svolgere al meglio i propri affari. È una questione di migliaia di miliardi - come ho già detto, perché anche a questo serve il decreto in esame - conferiti ora dalla pubblicità contro qualsiasi tetto posto dalla legge e dopo dal monopolio sul digitale terrestre, così come vorrebbe la legge cui dà la sua parola e la sua faccia il ministro Gasparri.
Indovinate a favore di chi? A favore di colui che oggi si è permesso di richiamare Romano Prodi al rispetto della decenza. Sì, a favore del cavaliere Silvio Berlusconi, che evidentemente non ha avuto mai tempo di leggere il santo vangelo, perché altrimenti la parabola della pagliuzza nell'occhio dell'altro e della trave nell'occhio proprio lo avrebbe indotto a confondersi e a vergognarsi o, quanto meno, oggi a tacere.
Concludo dicendo che pure la nostra battaglia sui numeri servirà più tardi, cioè quando qualcuno scriverà la storia di questi anni e di questa - speriamo breve - stagione berlusconiana. Scriveranno che noi abbiamo colto il pericolo di questo personaggio, di questo vento di stampo vetero-sudamericano e ci stiamo opponendo con tutte le nostre forze (Applausi dei deputati del gruppo dei Democratici di sinistra-L'Ulivo e della Margherita, DL-L'Ulivo).

PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto l'onorevole Tolotti. Ne ha facoltà.

FRANCESCO TOLOTTI. Non si può dire che questa maggioranza e questo Governo manchino di un certo senso di coerenza e di perseveranza. Il problema è che questa perseveranza e questa coerenza sono applicate ed esercitate in comportamenti non del tutto commendevoli. Nonostante rapporti di forza parlamentari assolutamente


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favorevoli e rassicuranti, hanno fatto ripetutamente ricorso allo strumento della decretazione d'urgenza e sovente hanno blindato i decreti-legge con la fiducia. Non occorre andare troppo indietro per trovare esempi, anche eclatanti. Basti pensare al decreto fiscale di fine anno e alla finanziaria per il 2004. Si tratta di materie di importanza fondamentale rispetto alle quali il Parlamento è stato espropriato delle proprie prerogative.
In quelle stesse occasioni maggioranza e Governo hanno confermato di essere incapaci di un adeguato respiro programmatorio. Con questo decreto-legge, anche oggi su una questione di estrema rilevanza per la qualità della democrazia nel nostro paese, il Parlamento è mortificato ed espropriato delle proprie competenze. Ciò vale non solo per l'opposizione ma per la stessa maggioranza. Le competenze sono state sacrificate sull'altare degli interessi privati aziendali del Presidente del Consiglio.
La situazione è tanto più grave se si tiene conto dei precedenti immediati. Mi riferisco alla ben misera prova di sé che la maggioranza e il Governo hanno dato in occasione della discussione qui alla Camera della legge Gasparri, avente come oggetto il riordino del sistema delle comunicazioni.
In quell'occasione sono emerse tutte le contraddizioni di una maggioranza che, appena al riparo dal voto segreto, ha dato sfogo alle proprie frustrazioni politiche, mettendo in discussione non solo il merito della legge, ma l'intero contesto politico sul quale avrebbe dovuto reggersi il Governo di centrodestra. Non a caso, il presidente Romani, relatore di maggioranza in quell'occasione, con procedura quantomeno irrituale dal punto di vista della prassi parlamentare e d'aula è stato costretto a chiedere il ritiro del provvedimento e il suo rinvio nelle Commissione riunite, non sulla base di necessità, di approfondimenti o per sciogliere dei nodi ancora aperti, ma con questa testuale motivazione: abbiamo l'impressione che oggi, anche a causa di problemi che non afferiscono al tema attualmente in discussione, la condizione dell'Assemblea non consenta l'esame del provvedimento alla nostra attenzione.
Ieri dunque, forse proprio per evitare che le condizioni dell'Assemblea, se vogliamo usare questo eufemismo, potessero rimettere a rischio l'approvazione del decreto-legge, il Governo ha posto la fiducia.
È chiaro a tutti che con questa scelta il Governo ha manifestato, insieme alla consueta arroganza, anche una straordinaria debolezza politica e giuridica.
La situazione è ormai nota a tutti. La sentenza della Corte costituzionale e le puntuali osservazioni del Presidente della Repubblica nel rimandare al Parlamento la legge Gasparri hanno richiamato la necessità di uscire da una situazione in cui l'unico soggetto si trova, contrariamente a quanto previsto dalla legge, a concentrare nel suo impero mediatico ben tre reti televisive nazionali analogiche.
Naturalmente, questa è solo una parte del problema, perché quello stesso monopolista, essendo anche il Presidente del Consiglio, si trova pro tempore ad esercitare il controllo anche sulle tre reti pubbliche. Le vicende che tutti conoscono, dalla censura a Biagi, dalla rimozione di Santoro all'uso privatistico delle vetrine offerte dai programmi di grande ascolto, testimoniano che in questo controllo il premier e i suoi fidi non usano la mano leggera.
In questo contesto, il Presidente del Consiglio dà un'ulteriore prova della sua preoccupante tendenza a confondere l'esercizio della responsabilità di Governo con la licenza e l'arbitrio. Così, tutto ciò che in qualche modo può interferire con il perseguimento dei propri interessi diventa per Silvio Berlusconi un fastidioso e insignificante accidente, un'escrescenza di cui liberarsi ricorrendo a quella chirurgia plastica di cui è convinto utente e autorevole testimonial, oppure un complotto ordito da mano comunista.
Così vengono banalizzati e ridicolizzati i rilievi del Presidente della Repubblica e si contestano le sentenze della Corte costituzionale sulla base del fatto - ripetuto questa mattina anche a Radio Anch'io -


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che essa sarebbe piena di giudici di sinistra nominati da quel grande sovversivo che risponde al nome di Oscar Luigi Scalfaro.
In realtà, si fanno carte false anche contro questo decreto-legge, per esempio, in relazione ai tre criteri che debbono essere verificati entro il 30 aprile 2004 per poter considerare ultimato il periodo di transizione verso l'affermazione delle reti digitali, laddove, per esempio, ci si accontenta del 50 per cento di copertura della popolazione - lasciamo perdere la genericità e l'ambiguità di tale termine - per definire come nazionali le nuove reti digitali terrestri.
E ancora: abbiamo superato già la metà del mese di febbraio. È ragionevole e credibile che in poco più di due mesi l'Autorità per le garanzie nelle comunicazioni sia in grado di accertare la presenza. In quale misura, con quale diffusione dei decoder a prezzi accessibili?
Per inciso mi chiedo: a quale criterio di accessibilità si fa riferimento? Saranno forse intervistate le massaie, come sovente le definisce con terminologia un po' retrò il nostro premier, per definire un criterio condiviso di accessibilità nei prezzi dei decoder?
Infine, quale cogenza e congruenza ha il terzo criterio da verificare entro il 30 aprile prossimo, cioè l'effettiva offerta al pubblico sulle reti digitali anche di programmi diversi da quelli diffusi dalle reti analogiche? Che cosa vuole dire? Basterà la presenza e l'offerta di nuovi quiz, nuovi format, nuove fiction conformisticamente omologati agli standard discutibili delle televisioni di consumo? O non dovrebbe essere l'interattività, termine che nel decreto non viene neanche citato, l'elemento distintivo e qualificante delle reti digitali terrestri?
Come si vede, l'affermata volontà di facilitare il passaggio dall'analogico al digitale terrestre è soltanto la foglia di fico che nasconde la vera realtà del provvedimento: rafforzare la presunzione di onnipotenza e l'arbitrio di chi non solo gode di una posizione dominante nel sistema della comunicazione televisiva, ma è anche il detentore di uno straordinario potere economico e del potere esecutivo: un'anomalia che fa male all'Italia, al suo sistema politico, al suo tessuto sociale e alla qualità della sua democrazia. Per questo voterò contro la conversione in legge di questo decreto-legge (Applausi dei deputati del gruppo dei Democratici di sinistra-L'Ulivo).

PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto l'onorevole Marone. Ne ha facoltà.

RICCARDO MARONE. Questo decreto salva Retequattro è solo l'ennesima e certamente non l'ultima puntata della lunga telenovela del conflitto di interessi del Presidente del Consiglio. Prima di affrontare questo tema vorrei dire che oggi ci troviamo di fronte ad un aspetto ancora più importante, perché la difesa della democrazia può esserci in quanto vi sia la libertà, in quanto vi sia l'eguaglianza di fatto (e già su questo punto mi pare che il Governo stia operando per cancellarla), ma ancor di più e principalmente in quanto vi sia senso dello Stato e senso delle istituzioni.
Questo paese ha vissuto momenti di conflitto politico fortissimi, momenti di guerra fredda. Ha vissuto contrasti tra maggioranza e opposizioni che veramente hanno segnato la sua storia, ma queste si sono sempre contrastate tra loro tenendo presente il senso dello Stato e difendendo il bene primario del senso dello Stato. Lo hanno fatto innanzitutto nello scrivere la Costituzione repubblicana in una fase in cui le forze politiche si contrastavano fortemente sul terreno politico ma lavoravano insieme per costruire l'Italia del futuro. Questo non sta avvenendo al momento. I quattro «saggi» di Lorenzago non scrivono la Costituzione per migliorare questo paese, ma solo per fare gli interessi di una maggioranza e del Presidente del Consiglio. Non sta avvenendo in questo momento, perché abbiamo un Presidente del Consiglio che ignora quali sono i principi che governano una democrazia, cioè il rispetto delle istituzioni e l'equilibrio


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tra i poteri di uno Stato. Questo Stato è fondato appunto su alcuni poteri e su alcuni momenti di equilibrio che sono fondamentali rispetto al potere dell'esecutivo e non è quindi tollerabile che un Presidente del Consiglio possa attaccare la Corte costituzionale, possa aggredire l'ordine giudiziario con frasi a dir poco farneticanti, e continui a vedere comunisti un po' ovunque facendo sorridere chiunque.
Tutto ciò è sintomatico ed è anche la prova del perché il nostro Presidente del Consiglio non si renda conto, o forse non gli interessi nulla, di quanto sia grave il suo conflitto di interessi.
Quando abbiamo discusso di quella legge che si doveva approvare nei primi cento giorni e che invece giace ancora in Parlamento senza che si capisca il perché (forse perché la maggioranza ha ancora un pudore e non se la sente di approvare una legge veramente vergognosa), abbiamo molto sorriso dell'affermazione per la quale la mera proprietà di una grande industria non costituisse conflitto di interessi. Ebbene, io mi domando se non sia conflitto di interessi quando un Presidente del Consiglio firma un decreto di proroga di una rete di cui egli è proprietario. Mi chiedo se tutto ciò non significhi realmente aver favorito, non l'amministratore delegato di quella società, che secondo la vostra legge è il soggetto in conflitto di interessi, ma il proprietario.
Oramai non avete più limiti, in questa Assemblea. Ricordammo come il Presidente del Consiglio avesse sostanzialmente sistemato il suo clan: c'era una sola persona rimasta fuori dal giro, il povero Confalonieri, il quale da amministratore delegato di Mediaset era in posizione di ineleggibilità. Ebbene, anche questo problema è stato risolto: si è pensato di farlo sindaco di Milano. Questo è il modo in cui è stato governato il nostro paese negli ultimi anni. Ciò è particolarmente grave non tanto per gli affari che il Presidente del Consiglio risolve firmando decreti-legge, non tanto per il rilevante vantaggio ottenuto in Borsa firmando questo decreto, ma per il danno che arreca alla democrazia del paese. Il tutto è sostenuto con argomenti oltretutto francamente risibili. Da dieci anni si cerca di risolvere il problema dell'eccesso di concentrazione nelle mani di una singola impresa. Di fronte al fatto che nessuno se ne occupa e che anche la stessa proprietà di Mediaset non intende occuparsene, si continuano a fare proroghe di termini. Ora già si pensa ad un'altra proroga, che si dovrà varare a seguito dell'attuazione di questo decreto legge, oltretutto creando un falso mediatico, facendo credere alla gente che qualcuno voglia chiudere Retequattro o mandarla sul satellite. Tutto ciò non è vero; la Corte costituzionale e la legge hanno detto soltanto che nelle mani di un unico imprenditore non ci possono essere più di due televisioni, quindi, se quella televisione volesse continuare ad operare basterebbe che il Presidente del Consiglio la venda.
In sostanza, si tratta soltanto di attuare un principio di pluralismo ovvio, che esiste in qualsiasi paese civile del mondo. Nel nostro paese invece si fa una legge (che poi avete avuto il pudore di non approvare, tanto che siete stati costretti a varare un decreto-legge di proroga), la legge Gasparri, con un ministro che oltretutto non è neanche del partito del Presidente del Consiglio, incredibilmente ossequioso nei suoi confronti, che si inventa un sistema per eludere il tetto stabilito da dieci anni di giurisprudenza della Corte costituzionale e da dieci anni di leggi di questo Parlamento. È tutto molto semplice, non è che si risolve il problema di eliminare la concentrazione degli strumenti mediatici: si alzano i tetti in modo da costruire delle norme sulla base del dato acquisito. C'è un solo imprenditore dominante, guarda caso il Presidente del Consiglio, che aveva assicurato che sarebbe uscito dal Consiglio dei ministri ogni volta che questo si fosse occupato delle leggi che riguardavano la sua proprietà, salvo poi firmare il decreto-legge (forse in quest'ultimo caso se ne è dimenticato); si fa allora una legge in cui si aumenta il tetto rendendo legittima la concentrazione nelle mani di un solo imprenditore. Si inventa un meccanismo francamente risibile, il cosiddetto SIC.


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A chi è di Napoli la parola «sic» fa ricordare una famosa commedia di Eduardo: «Sik Sik, l'artefice magico». Il protagonista era un pover'uomo che ogni mattina si inventava grandi magie che fallivano miseramente, ma che lo aiutavano a sbarcare il lunario. Allo stesso modo fallirà miseramente la legge Gasparri, che per poco non è fallita in questa aula la settimana scorsa, tanto che siete stati costretti a ritirarla e a rinviarla. Mi chiedo quando ritornerà in Assemblea: già si parla di un suo ritorno dopo le elezioni europee, ma vedremo se tornerà mai questa legge.
In sostanza, si inventa, quindi, un tetto irraggiungibile, siccome occorre stabilire una percentuale rispetto al tetto, più si alza il tetto più quella percentuale aumenta. Guarda caso chi è riuscito a fare quel conteggio, quasi impossibile, si è accorto che in quel caso Berlusconi si potrà tenere le sue reti, e questo sarebbe niente, ma addirittura può aumentare del 50 per cento il suo budget pubblicitario. Più di questo, il bravissimo ministro Gasparri non avrebbe potuto fare!
Ciò è stato fatto nell'ignoranza del Presidente del Consiglio, il quale ha dichiarato di non essersi occupato di queste leggi e di non sapere di cosa si tratti. Poi, altri - sempre della vostra maggioranza - hanno detto che qualcuno ha scritto il testo di legge per Gasparri. Non l'avrebbe scritta Gasparri la legge, ma non si è capito bene chi l'abbia scritta. Quindi, questa è oggi la situazione...

PRESIDENTE. ...che lei ha illustrato bene.

RICCARDO MARONE. Signor Presidente, ho esaurito il tempo a mia disposizione?

PRESIDENTE. Il tempo vola!

RICCARDO MARONE. Signor Presidente, vorrei concludere brevemente.
Credo che un imprenditore che fonda le sorti della sua società soltanto sul potere politico e sull'uso del potere politico non sia un buon imprenditore. Quando le fortune politiche di quell'imprenditore finiranno - e finiranno a breve, come ci auguriamo tutti -, egli correrà il rischio di travolgere con sé anche la sua impresa (Applausi dei deputati dei gruppi dei Democratici di sinistra-L'Ulivo e Misto-Verdi-L'Ulivo).

PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto l'onorevole Lulli. Ne ha facoltà.

ANDREA LULLI. Signor Presidente, anch'io voterò contro questo provvedimento, e lo faccio per una testimonianza di libertà e per un sentimento di ribellione civile contro l'arroganza di un Governo mediocre che, oltre alle promesse, non ha prodotto altro.
Come ho già detto intervenendo in un'altra occasione, è inconcepibile che il Presidente del Consiglio in carica adotti un decreto-legge che interessa la sua azienda e, per di più, ponga la questione di fiducia perché - evidentemente - non si sente sicuro della propria maggioranza. È un fatto grave, che produce una lacerazione che lascerà il segno nel paese.
D'altra parte, di leggi ad uso personale, ormai, siamo abituati a vederne tante in quest'aula. Ce ne accorgiamo quando vediamo i banchi del Governo gremiti. Quando c'è da votare leggi o disposizioni che favoriscono le attività economiche delle aziende del Presidente del Consiglio, non si può mancare. Guai! Poi, se esistono altre questioni nel paese - come il carovita, la crisi industriale o i problemi che investono i bilanci delle famiglie, i ricercatori, la sanità, le pensioni -, ciò non ha grande importanza. Si pronunciano belle parole o si cerca di rilanciare le promesse, come ha fatto in questi giorni il Presidente del Consiglio che non si è limitato a comprendere gli evasori. Permettetemi di dirlo: è veramente miserevole che il maggior rappresentante del Governo di questo paese giustifichi, in qualche modo, l'evasione fiscale. È veramente miserevole. Allo stesso tempo, egli rilancia la promessa che, fra due mesi, ridurrà le tasse. Verrebbe da ridere, se non fosse un fatto tragico.


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Non c'è una lira. La gestione del bilancio dello Stato da parte di Tremonti sta producendo problemi seri. Però, ci sono le elezioni e il Presidente del Consiglio deve rilanciare l'idea che è possibile ridurre le tasse. Si lanciano nuove promesse. Si cerca, in qualche modo, di creare una realtà virtuale per nascondere la sostanza: la priorità vera di questo Governo e di questa maggioranza è rappresentata dagli affari e dalle imprese del Presidente del Consiglio.
Continueremo la battaglia; l'abbiamo combattuta qui, la stiamo combattendo. Cercheremo di combatterla nel paese non soltanto per denunciare un Governo mediocre ed incapace ma anche per tentare di raccogliere le preoccupazioni e lo smarrimento di milioni e milioni di persone, di famiglie, di operai, di imprenditori, di artigiani che si accorgono che il Governo non nutre un interesse per loro e non ha in mente il bene del paese.
Del resto, il fatto che un Presidente del Consiglio non concepisca che chi viene chiamato a ricoprire alte funzioni istituzionali possa essere imparziale, si commenta da solo. È chiaro, infatti, che egli stesso non può concepire l'imparzialità perché, in qualche modo, fonda la sua politica, la sua ragion d'essere e le sue priorità sugli interessi personali.
Mi viene in mente il dileggio che si tenta di fare dell'opposizione e dei suoi esponenti, per trascinare il paese verso la rissa e nascondere la situazione. Ciò accompagna un declino civile e morale che rischia di far venire meno una funzione vitale delle istituzioni e della politica, quella di farsi carico, soprattutto nei momenti di maggiore difficoltà, dei problemi della gente, per costruire, pur nelle rispettive posizioni - anche molte diverse - uno slancio unitario. Avremmo il dovere di farlo. Il dileggio proviene dall'uomo arrivato, che si domanda: Ma cosa hanno fatto nella loro vita questi leader, questi personaggi dell'opposizione, questi politici? Evidentemente, egli ha l'idea che chi fa politica sia uno sfaticato, un buono a nulla, un perdi tempo. Posso rispondere per me, non pretendo di rispondere per altri.
Io ho sempre cercato - non so con quanto successo - di svolgere una funzione: rappresentare, attraverso le mie idee e quelle della mia parte politica, gli interessi generali del paese, cercando di mettermi al servizio della comunità per risolvere problemi, per dare una prospettiva, per fornire un incoraggiamento, per diffondere la fiducia e la speranza che le cose possano andare meglio. Credo che ciò sia dovuto nei confronti di tanta gente che dura fatica tutti i giorni, che ha la preoccupazione di arrivare a fine mese e che - a differenza di quando ero bambino - non sa quale sarà la prospettiva per i propri figli in un paese come questo. Posso dire che con la politica non ho perseguito l'arricchimento personale; nei rapporti che, essendo un privilegiato, mi capita di avere con i potenti di turno non ho cercato aiuto per favorire i miei affari e quelli della mia famiglia. Il Presidente del Consiglio, invece, lo ha fatto più volte, con i politici di un tempo, a cui deve gran parte delle proprie ricchezze.
Ed è un vizietto; un vizietto, quello delle leggi pro domo sua, che, maturato in gioventù, con il passare degli anni è diventato una vera e propria ossessione. L'interesse generale del paese è fondato sulla realizzazione degli interessi del Presidente del Consiglio. È un punto molto grave; se mi permettete, ancora più grave dell'esistenza, grande come un grattacielo, del conflitto di interessi. Infatti, denota una concezione della politica e della democrazia non all'altezza di un grande paese come il nostro; non all'altezza dei problemi che abbiamo dinanzi. Ciò contribuisce a portare questo paese in una situazione di difficoltà; finisce, in qualche modo, per umiliare le capacità, le speranze, la voglia di lavorare, di costruire e mandare avanti la nostra società.
E del resto, questa pervicacia, con cui si nega il pluralismo imprenditoriale nel campo dell'informazione e delle attività televisive, non è, essa stessa, una riprova?
Come ho sostenuto anche in altre occasioni, è chiaro che il problema del pluralismo non è legato solo alla considerazione di quanti minuti, nei programmi


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televisivi, vengano concessi agli interventi dell'opposizione; né, solamente, è legato al limite fissato per la raccolta pubblicitaria, problema di una gravità inaudita. Vi sono anche tali aspetti, ma l'elemento essenziale è se vi sia o meno la possibilità di competere, ovvero la condizione di esistenza di più imprese operanti nel campo dell'informazione e della produzione radiotelevisiva.
È un aspetto essenziale, che si nega alla radice; proprio in tale circostanza, risiede la negazione di un processo di libertà e di pluralismo. In ciò è anche, peraltro, la negazione della professionalità della gente che lavora in questi settori; infatti, dove non esistono pluralismo e competizione tra le imprese, vi è mortificazione della professionalità e libertà sicuramente condizionata (Applausi dei deputati dei gruppi dei Democratici di sinistra-L'Ulivo e della Margherita, DL-L'Ulivo).

PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto l'onorevole Santino Adamo Loddo. Ne ha facoltà.

SANTINO ADAMO LODDO. Signor Presidente, onorevoli colleghi, signor sottosegretario, prendo la parola per annunciare il voto contrario, mio e della Margherita, all'approvazione del disegno di legge di conversione del decreto-legge n. 352 del 2003. Si tratta di un voto contrario che ha tre motivazioni: in primo luogo, per l'evidente incostituzionalità del provvedimento; in secondo luogo, per le evidenti carenze del merito delle norme proposte; in terzo luogo, per ciò che, dal contenuto del decreto, si può dedurre sulla linea politica generale del Governo e della sua maggioranza.
Il decreto-legge si è reso necessario a seguito del messaggio con il quale il Presidente della Repubblica ha rinviato la cosiddetta legge Gasparri alle Camere, pena il trasferimento sul satellite delle reti Mediaset, presumibilmente Retequattro, e l'eliminazione della pubblicità da una rete della RAI, presumibilmente RAI 3. Questa era la prescrizione della Corte costituzionale nel novembre 2002. Il decreto ha, quindi, il solo obiettivo di evitare la prescrizione della Corte; risulta così totalmente mortificato l'insieme delle osservazioni contenute nel messaggio del Presidente Ciampi. In altre parole, il decreto non tiene conto della necessità di tutelare il valore centrale che il Presidente della Repubblica e la Consulta hanno indicato: il pluralismo dell'informazione, che altro non è che uno dei fondamenti di tutte le moderne democrazie.
Fino a quando la nuova legge di sistema, come è stata chiamata, non verrà approvata dal Parlamento, il decreto, se convertito, costituirà l'unica fonte normativa di legittimazione per Retequattro, in contrasto con le dichiarazioni precise e chiarissime della sentenza della Corte costituzionale del novembre 2002.
Queste ultime prevedono l'accertamento della reale diffusione del digitale terrestre come unico rimedio all'attuale, conclamata assenza di quel minimo di pluralismo richiesto dal nostro ordinamento.
L'argomento dell'incostituzionalità basterebbe da solo a motivare un voto negativo; ma, a prescindere dal profilo di incostituzionalità che presenta, il provvedimento è censurabile anche nel merito.
I problemi lasciati irrisolti dal decreto sono molti. L'ampiezza e l'indeterminatezza della formula scelta dal Governo sui criteri per verificare la diffusione del digitale terrestre non è un omaggio alla discrezionalità dell'Autorità garante quanto, invece, sinonimo di mancanza di regole e, quindi, anticamera di possibili errori, se non di veri e propri arbitri.
Troviamo singolare che venga richiesta una copertura del territorio nazionale solo del 50 per cento e non dell'80, come già previsto dall'ordinamento vigente; troviamo, altresì, singolare, soprattutto, che si parli di «copertura» e non di «reale utilizzo» del digitale terrestre o, almeno, di decoder venduti.
Prevediamo anche che sarà impossibile, per l'Autorità, definire quale sia e cosa voglia dire «prezzi accessibili» dei decoder. Troviamo anche molto grave che sia stata rifiutata la richiesta di chiarire le


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caratteristiche della qualità e dei generi dei programmi che verranno trasmessi in digitale; vedrete, saremo sommersi da canali digitali che trasmetteranno programmi di televendite o simili, «alla faccia» dell'arricchimento del pluralismo.
In più, il decreto non prevede termini temporali essenziali a partire dalla data entro la quale l'Autorità sarà chiamata ad adottare i provvedimenti sanzionatori; rileviamo che, da calcoli approssimativi, tale termine può superare i 24 mesi.
Il Presidente dell'Autorità, Cheli, ha ripetutamente ricordato al Parlamento come, nella sua attuale formulazione, il decreto sia sostanzialmente inapplicabile. Il Presidente ha anche sottolineato che l'intero sistema degli accertamenti avrebbe dovuto essere indirizzato a verificare l'effettivo arricchimento del pluralismo attraverso l'introduzione del digitale terrestre; arricchimento del pluralismo la cui sussistenza deve valutarsi alla data del 31 dicembre scorso.
Ma la maggioranza ha dimostrato di non voler sostanzialmente tenere conto delle indicazioni del presidente Cheli, né delle sue preoccupazioni. La maggioranza dimostra un evidente disinteresse nei confronti delle indicazioni dell'Autorità per le garanzie nelle comunicazioni e per quella dell'Antitrust, ma anche nei confronti di quelle del Presidente della Repubblica e delle prescrizioni della Corte costituzionale. I Presidenti dell'Antitrust e dell'Autorità per le garanzie nelle comunicazioni sono stati auditi in Commissione; hanno parlato chiaramente. Abbiamo potuto leggere, e tutti abbiamo apprezzato, il messaggio del Presidente Ciampi; verso la sentenza della Corte costituzionale abbiamo un solo dovere: rispettarne le indicazioni.
Però, tale non è l'idea né del Governo né della maggioranza; il decreto-legge ha il solito obiettivo, quello di addomesticare il mercato televisivo nazionale a favore di chi detiene una posizione dominante ed ostacolare, in ogni modo, lo sviluppo di un reale effettivo pluralismo dell'informazione. Obiettivo che deve essere raggiunto a tutti costi, blindando il provvedimento con la fiducia per paura di qualche modifica.
Per tali motivi, signor Presidente, il mio gruppo voterà in modo compatto contro la conversione in legge (Applausi dei deputati del gruppo della Margherita, DL-L'Ulivo).

PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto l'onorevole Monaco. Ne ha facoltà.

FRANCESCO MONACO. Signor Presidente, anch'io, come osservava il collega, un po' per amore di verbale e un po' per dovere di oppositore, approfitto dell'occasione offertami dalla dichiarazione di voto per riflettere sul senso di questo passaggio parlamentare.
Infatti, dentro questo circo - ma non voglio essere irriguardoso nei confronti del Parlamento; il circo non è il Parlamento, bensì, piuttosto, il rito che, talvolta, vi si consuma, nonostante l'altezza dell'organo -, rischiamo anche noi di smarrire il principio di realtà, il senso delle cose, nonché la portata della patologia dalla quale è afflitto il nostro sistema parlamentare e, più in radice, la nostra stessa democrazia.
Anche noi siamo esposti al rischio di assuefarci e di non reagire più alle condizioni di patologia più profonda. Signor Presidente, non è infrequente un ostruzionismo così duro e, come lei può immaginare, non ci divertiamo, soprattutto a quest'ora, e non lo facciamo al solo scopo di praticare una ginnastica oratoria. L'ostruzionismo, come lei da buon liberale sa, è una risorsa estrema della democrazia parlamentare, a fronte di situazioni giudicate, per l'appunto, tali e, a nostro avviso, questa è palesemente una situazione estrema.
Con la fiducia è stata inibita ancora una volta - lo abbiamo visto spesso e in casi di rilievo, da ultimo nella legge finanziaria - la discussione dei nostri emendamenti, che, come possono testimoniare i colleghi, per lo più non erano di carattere ostruzionistico. Nel segno della pratica ostruzionistica abbiamo dovuto accanirci


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sugli ordini del giorno, per denunciare la forzatura su una legge importante, peraltro massimamente controversa. La fiducia è stata posta perché la maggioranza non si fidava dei suoi parlamentari ed era allarmata dalla prospettiva di altri agguati da parte dei franchi tiratori in occasione del cosiddetto voto segreto, che rappresenta l'estremo rifugio della libertà di dissentire in una Casa delle libertà piuttosto bizzarra, laddove si deve ricorrere al voto segreto per esprimere in libertà il proprio dissenso.
Il fatto che il voto di fiducia sia stato originato dalle debolezze e dalle divisioni interne alla maggioranza non è una malignità dell'opposizione. Ieri, l'onorevole Publio Fiori, un autorevole rappresentante della maggioranza, diceva che è la dimostrazione che la verifica non è finita; se così fosse, l'esecutivo avrebbe potuto affrontare tranquillamente l'aula con i voti segreti. Una scelta non positiva, non saggia, che nasconde una certa qual protervia a voler continuare sulla strada del non confronto e della riaffermazione del solo punto di vista del premier. Del resto, a questa autorevole testimonianza si aggiunge quella dei colleghi dell'UDC, che, non a caso, hanno deciso di non prendere la parola in sede di dichiarazione di voto sulla fiducia. Pochi minuti fa abbiamo appreso dalle agenzie che sarebbe stato siglato questo benedetto o maledetto documento che dovrebbe chiudere la verifica: se lo avessimo saputo prima, magari ci saremmo risparmiati questa ginnastica, ma la verità è che non sarà il documento a porre fine alle divisioni.
Fa impressione mettere in sequenza l'intera vicenda di questo decreto-legge ed ha un qualcosa di allucinante e di impudico. Questa volta ha fatto bene Castagnetti - che notoriamente è collega mite, misurato e pacato, che abitualmente propone degli interventi argomentati - a levare grida che hanno dato voce ad un senso di indignazione più che ad argomenti.
Vorrei mettere in fila la sequenza di questa telenovela.
In primo luogo, da anni una televisione del premier trasmette in una condizione di illegalità e, di per sé, in altri paesi questo dato sconcertante sarebbe sufficiente per sanzionarlo quantomeno dal punto di vista politico. In secondo luogo, a fronte di questa condizione, il suddetto premier si confeziona una legge per legalizzare questa condizione illegale della sua televisione attraverso la cosiddetta legge Gasparri. In terzo luogo, il Presidente della Repubblica la respinge e il suo primo problema è quello di salvare Retequattro. Si scatena così una campagna di opinione, attraverso le sue reti, per sostenere che il prius non è di sanare e di mettere fine ad una condizione di illegalità ma è, appunto, di salvare Retequattro.
Poi, di fronte a questa legge rinviata alle Camere dal Presidente della Repubblica, il premier presenta velocemente un decreto-legge per porre rimedio e reiterare le illegalità. Inoltre, lo firma lui medesimo, perché la Costituzione così prescrive, anche se, nel frattempo, il vice premier - l'ha fatto osservare con una battuta arguta il presidente della I Commissione, l'onorevole Bruno -, era andato a fare pesca subacquea e, quindi, il premier aveva dovuto firmare il decreto che riparava ad una situazione imbarazzante per la televisione di sua proprietà. Come se ciò non bastasse, per inibire la discussione in Parlamento, il suddetto premier, proprietario di questa televisione, blinda il decreto con la fiducia.
In sintesi, per mettere al sicuro il bottino, egli dà uno schiaffo al Parlamento, al Presidente della Repubblica e, attraverso la fiducia, anche ai suoi alleati. Signor Presidente, sullo sfondo vi è una democrazia malata - siamo stanchi anche di ripeterlo, ma di questo si tratta - e in ostaggio. Ieri uno scrittore raffinato, Claudio Magris, sulle colonne del Corriere della sera, recensendo la raccolta di scritti dell'autorevole politologo Giovanni Sartori, ha detto che Sartori è costretto a scrivere mala tempora currunt quando commenta la legge Gasparri, che definisce spudorata e micidiale, ne smaschera i belletti che tentano di dissimulare il suo potenziale


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liberticida e non può trattenersi dal dire che chi la vota si dovrebbe vergognare. Magris prosegue con analoghe radiografie, freddamente ed appassionatamente obiettive, che vengono dedicate al conflitto di interessi di Berlusconi e ai suoi fasulli rattoppi, ai progetti di riforma costituzionale ed elettorale e a tanti altri aspetti di quel processo degenerativo - ecco la patologia - che vede in questi ultimi anni regredire il nostro paese ad una concezione e ad un esercizio premoderno e preliberale del potere, ad una progressiva cancellazione dei meccanismi di controllo e di equilibrio, elaborati nei secoli dal pensiero liberale per garantire la divisione dei poteri ed impedire ai tiranni, sorretti sia da minoranze sia da maggioranze, di esercitarli.
Si tratta di uno scrittore molto autorevole - che, di norma, non è un estremista ma è molto misurato nei toni - che fotografa efficacemente la condizione della democrazia italiana malata.

PRESIDENTE. Onorevole Monaco, la invito a concludere.

FRANCESCO MONACO. Questa condizione malata della nostra democrazia non è priva di conseguenze perché getta discredito e rende inaffidabile il nostro paese anche su scala internazionale. È di ieri la convocazione del direttorio europeo dei tre, cosa che non ha precedenti, con esclusione dell'Italia, paese fondatore. Sono convinto che tale esclusione sia figlia anche di quella malattia, perché l'Europa, grazie a Dio, ci vincola non solo a standard economici ma anche a quelli democratici (Applausi dei deputati dei gruppi della Margherita, DL-L'Ulivo e dei Democratici di sinistra-L'Ulivo).

PRESIDENTE. Si dice, giustamente, di me che sono solito concedere agli oratori un po' di tempo in più. Infatti so che nella conclusione sta l'anima del discorso. Però i colleghi, che sono esperti e capaci, devono sapersi regolare in modo tale da evitarmi una operazione che mi costa molta fatica, quella di togliere la parola.
Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto l'onorevole Di Gioia. Ne ha facoltà.

LELLO DI GIOIA. La ringrazio, Presidente, per la sua sensibilità. Lei ci pone una questione che è sicuramente giusta, perché ognuno di noi deve rispettare i tempi che gli sono assegnati. Ovviamente, data l'importanza del tema, è altresì comprensibile che si possa sforare di qualche minuto sui tempi assegnatici. Io cercherò di stare nei tempi, tentando di fare un ragionamento che non ripete quanto sino a questa mattina abbiamo considerato, con motivazioni importanti, in merito al sistema economico, produttivo e sociale del paese.
Vorrei partire dalle vicende iniziali che hanno indotto il Governo a presentare il decreto che salva Retequattro. Mi sembra sia sotto gli occhi di tutti che il rinvio alle Camere della legge Gasparri abbia indotto il Governo ad emanare il decreto al nostro esame. Il Governo è stato indotto ad emanarlo perché vi erano delle indicazioni chiare della Corte costituzionale, le quali ponevano Retequattro sul satellite.
Come socialisti democratici italiani abbiamo più volte detto in anni passati che non siamo certamente contro Retequattro e i suoi lavoratori. Siamo invece contro un sistema illiberale, un sistema che non crea la necessaria pluralità di informazione, la possibilità di potersi esprimere liberamente all'interno di una società complessa come la nostra. Dopo il rinvio alle Camere, il presidente Adornato e il presidente Romani hanno accelerato l'iter di discussione all'interno delle Commissioni per fare in modo che la stessa legge ritornasse in Assemblea per la sua definitiva approvazione.
Ritengo sia sotto gli occhi di tutti quanto è accaduto. Questa legge, il cui iter è stato accelerato nelle Commissioni sia per quanto riguarda le audizioni sia per ciò che riguardava il mancato approfondimento dei problemi che il Capo dello Stato aveva posto alla nostra attenzione, rischiava di essere bocciata per incostituzionalità. Ben oltre quaranta deputati del centrodestra hanno votato contro di essa.


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Qui si pone un primo problema: perché lo hanno fatto? Hanno votato contro perché legittimamente pensavano che la legge determinava ancora minori spazi di libertà nell'informazione, che concentrava ancora di più il potere mediatico nelle mani del Presidente del Consiglio o perché vi erano risentimenti e sentimenti nel momento in cui era in piedi la verifica politica all'interno della maggioranza che governa e quindi all'interno del centrodestra? Voglio propendere per la prima ipotesi. Penso cioè che in questo Parlamento, tra i banchi del centrodestra, vi siano ancora oggi esponenti di culture importanti che hanno dato sostanzialità alla nostra democrazia, alla libertà e al pluralismo dell'informazione. Tra questi sicuramente vi è non soltanto lei, Presidente, ma anche il presidente Adornato. Io lo ricordo da tanti anni, ricordo la sua cultura liberale, il suo modo di porsi. Perciò pongo a lui sommessamente e con grande umiltà una domanda: in tutta coscienza e con grande onestà, è mai possibile approvare una legge di quella portata oppure questo decreto? Io credo che non sia possibile.
Guardiamo alla politica di questi giorni, che ruota intorno alla cosiddetta verifica, poi risoltasi in un nulla di fatto. I leader del centrodestra hanno reso dichiarazioni importanti riferite ad una serie di rilevanti problemi all'attenzione sia del Parlamento sia della società italiana. Ciononostante la verifica si è chiusa con risultati, a nostro parere, non certamente importanti per il rilancio dei settori produttivi ed economici del paese. Allora anche in tal caso dobbiamo chiederci per quale motivo non si sia andato fino in fondo in tale verifica politica. La risposta, al di là delle questioni terminologiche e delle considerazioni del Presidente del Consiglio, è che probabilmente il sistema economico e quello della comunicazione potevano influire negativamente sul piano elettorale. Ebbene, è qui che ci poniamo un'altra domanda: non riguardano forse anche il centrodestra i temi del pluralismo dell'informazione e della democrazia?
Vi sono poi le dichiarazioni rese nelle ultime ore dallo stesso Presidente del Consiglio, il quale ha sostenuto che in virtù di alcune sue scelte di carattere politico il presidente Prodi bene avrebbe fatto a dimettersi, appellandolo anche in un modo che io ritengo indecente. Allora io pongo con altrettanta fermezza un'altra questione: si dovrebbe dimettere il Presidente Prodi o piuttosto il Presidente del Consiglio che oggi fa approvare di fatto con la fiducia un decreto che comporta non soltanto riflessi economici sulle sue casse ma evidenzia sempre di più la questione del conflitto di interessi? Ritengo che occorra avere coraggio nel fare simili affermazioni, sapendo che egli è il primo ad avere grandi difficoltà nei rapporti non soltanto con i cittadini italiani ma anche con questo Parlamento.
Ma come si possono richiamare, come è stato fatto qualche giorno fa nel programma del buon Bruno Vespa, le grandi opere relative al Mezzogiorno d'Italia! Io credo che tanti di noi e tanti di voi, cioè coloro che hanno sensibilità ed onestà intellettuale e percorrono le strade del Mezzogiorno o viaggiano utilizzando le sue ferrovie, i porti o gli aeroporti, sappiano benissimo che non si è mosso nulla. Sanno benissimo che vi è grande povertà, che vi sono grandi problemi, che questo Governo non è stato in grado di affrontare.
Abbiamo necessità di parlare con chiarezza, di dire alla gente come stanno le cose e di far questo con un pluralismo forte dell'informazione, con sistemi democratici che tutti dobbiamo garantire, perché oggi siamo l'opposizione ma domani saremo la maggioranza e, come maggioranza, faremo sempre in modo che ci sia la democrazia e il pluralismo dell'informazione (Applausi dei deputati del gruppo della Margherita, DL-L'Ulivo).

PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto l'onorevole Martella. Ne ha facoltà.

ANDREA MARTELLA. Qualche collega del centrodestra, forse anche qualche cittadino, si sarà chiesto come mai noi, a


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quest'ora della notte, ci stiamo sottoponendo a questa fatica, la fatica di spiegare fino in fondo le ragioni della nostra contrarietà a questo provvedimento.
Noi ci stiamo sottoponendo a questa fatica perché siamo convinti di combattere una battaglia unitaria dell'intero centrosinistra per difendere la libertà, per difendere il pluralismo dell'informazione, una grande questione, fondamentale per una democrazia moderna.
Il centrodestra che cosa fa? I parlamentari del centrodestra, umiliati come sono dai ricatti che hanno subito in questo periodo, che cosa fanno? Difendono, non la libertà di tutti, non il pluralismo dell'informazione, ma gli interessi di uno, gli interessi del Presidente del Consiglio, delle sue aziende, delle sue proprietà.
Certo, anche su questo decreto-legge, il centrodestra si è affannato a spiegare che è fatto per l'arricchimento del sistema radiotelevisivo. L'arricchimento c'entra, sicuramente, ma non proprio quello del sistema radiotelevisivo!
Non c'è nessuno, proprio nessuno, in Italia, nel mondo (e voglio credere onestamente neanche fra i parlamentare del centrodestra) che pensi davvero questo.
È chiaro per tutti che questo decreto-legge vuole consolidare il duopolio, vuole consolidare gli interessi di Berlusconi e lo fa in maniera arrogante e subdola, aggirando le sentenze della Corte costituzionale, le dichiarazioni dell'Autorità per le comunicazioni ed i rilievi del Presidente della Repubblica.
Inoltre, vi è davvero una costante della politica di questo ultimo periodo del Governo Berlusconi che è data dalla paura e dalla volontà di fare in fretta. È per questo che si è ricorsi al voto di fiducia, pur essendovi 100 voti di scarto fra maggioranza e opposizione.
Due mesi fa abbiamo votato in rapida successione la fiducia sulla manovra finanziaria. Questa volta vi siete affannati a spiegare che la fiducia era necessaria perché c'erano altre urgenze da affrontare: ma quali sono queste urgenze? Forse, quelle di una politica economica o industriale per ridare fiato alle attività produttive in crisi, o misure per la scuola e l'università, che stanno affondando o, ancora, misure per la sanità, che state portando alla rovina o, forse, misure per restituire il fiscal drag ai contribuenti? Niente, niente di tutto questo, solamente gli interessi del Presidente del Consiglio, per i quali vengono dispiegati, con grande determinazione e grande efficienza, tutti gli atti necessari!
Tutto questo accade mentre milioni di cittadini non riescono ad andare avanti con il loro reddito, mentre migliaia di lavoratori sono minacciati di perdere il loro posto di lavoro e altri non riescono a trovarne uno.
Tutti attendono invano segnali dal Governo, politiche e non solo promesse ma, di tutto questo, non c'è nulla e continua, invece, un'opera di mistificazione della realtà per la quale avete affermato in questo periodo che ci sarebbe stato il miracolo economico e, quando poi questo miracolo economico non c'è stato, è arrivato il buco di bilancio, poi l'11 settembre con la crisi, le guerre, l'euro, insomma, tutte situazioni che non hanno nulla a che vedere con le responsabilità fortissime di questo Governo.
Ora dite che va tutto bene e se la realtà fa a pugni con la fiction del contratto degli italiani, la colpa, naturalmente, è della realtà e non è di questo Governo!
Tuttavia, non c'è dubbio che se fino a qualche giorno fa veniva da pensare che la maggioranza, dopo i fallimenti che sono sotto gli occhi di tutti i cittadini e dopo 300 giorni di una verifica mai conclusasi, avesse esaurito la sua spinta e non esistesse più politicamente (ma almeno avesse i numeri per andare avanti, per galleggiare, per continuare a vendere qualche inganno), con quello che è avvenuto in questi giorni, con la richiesta del voto di fiducia, con il voto che c'è stato ieri, si è esplicitamente ammesso che questo Governo, che pure aveva messo insieme tanti interessi, che pure aveva coagulato interessi di settori diversi, non è stato capace di trasformarli in una strategia, in un consenso e, adesso, si ritrova anche senza più i numeri (o perlomeno non si fida dei


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propri numeri e di quelli della propria maggioranza, così come i partiti che compongono quest'ultima non si fidano più l'uno dell'altro).
Per fortuna, sta emergendo con nettezza che anche il paese non si fida più di questo Governo, per le promesse tradite, certamente per gli impegni non mantenuti ma, soprattutto, non si fida della capacità di questo Governo di uscire dalla crisi in cui esso ha gettato il paese.
Questo atto estremo che avete compiuto in questi giorni, lo pagherete. Certo, avete evitato i franchi tiratori ma avete dimostrato di non avere più un accordo politico e neanche i numeri per stare insieme, nonostante i voti di differenza rispetto all'opposizione!
È rimasto al centrodestra il collante del potere, è rimasto l'interesse del capo, delle sue aziende, del suo sistema di interessi ma, in fondo, è sempre stato questo il filo conduttore dell'attuale Governo.
Così, ancora una volta, il centrodestra passa sopra il pluralismo, la libertà, la democrazia, l'interesse nazionale, producendo l'ennesimo scandalo, uno scandalo che non esiste in alcuna parte del modo, producendo l'ennesima vittoria degli interessi privati, l'ennesima vittoria del conflitto di interessi.
Quello che stiamo vivendo oggi è solamente un capitolo della politica di questi anni.
Oggi, dalle pagine del Corriere della sera, un autorevole editorialista ci ha ricordato una cosa molto importante, che peraltro è poi stata ripresa in parecchi interventi in aula, cioè che se fosse stata approvata, non due anni e mezzo fa, ma due settimane fa la legge sul conflitto di interessi, il Presidente del Consiglio non avrebbe potuto porre la questione di fiducia sul decreto «salva Retequattro», dal momento che tale voto di fiducia sarebbe stato in palese contrasto con l'articolo 3, comma 1 di quel disegno di legge che prevede, all'articolo 6, comma 8, proprio per questa fattispecie, pesanti sanzioni.
Questo importante giornalista ci ha ancora ricordato che il premier si era preso l'impegno di risolvere il conflitto di interessi e aveva affermato - tutti lo ricordiamo - che l'avrebbe risolto in 100 giorni.
Sono passati più di mille giorni da quel giorno, quasi mille dall'inizio della legislatura, più di 850 da quando il disegno di legge Frattini è stato depositato in Parlamento, oltre 200 da quando la Camera dei deputati ha licenziato quel testo per la seconda volta, più di 130 da quando lo stesso è stato definitivamente approvato dalla Commissione affari costituzionali del Senato.
Tuttavia, ancora non si intravede il traguardo, anzi, quel provvedimento è sparito dal calendario dei lavori e oggi ne abbiamo capito fino in fondo le ragioni.
Eppure, ci sono voluti solamente 129 giorni a questa maggioranza per approvare la legge Cirami, 93 giorni per approvare la legge sulle rogatorie internazionali e 69 giorni per approvare il lodo Schifani.
Quello che è avvenuto e che sta avvenendo è davvero una manifestazione straordinaria del conflitto di interessi ma, al contempo, è una vera e propria indecenza per la quale state bloccando il Parlamento e avete bloccato il Paese.
Il decreto-legge che state approvando fa fare una figuraccia al Governo e al ministro che lo ha proposto e se mai questo ministro sarà ricordato lo sarà per essere stato il protagonista di una delle pagine più nere di questo periodo, per una legge che è stata bocciata dal Capo dello Stato e rinviata alle Camere, una legge che non verrà mai più approvata dalla Camera dei deputati - e avrebbe fatto davvero bene a dimettersi invece di cantare vittoria in tante trasmissioni TV - e, oggi, per un decreto-legge che è una vera e propria truffa, elude il messaggio del Presidente della Repubblica, aggira il senso della sentenza della Corte costituzionale e non tiene conto delle opinioni e delle dichiarazioni che, da più parti, sono venute contro questo provvedimento.
Concludo, Signor Presidente, dicendo che, alla fine, avete fatto anche un bel regalo a Berlusconi e alle sue aziende che, nei prossimi mesi, acquisiranno 163 milioni


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di euro e che, oggi, hanno visto risalire di tre punti percentuali i propri titoli.
Per tutte queste ragioni siamo convinti di fare una battaglia giusta e continueremo a farla oggi, e continueremo a farla nel Paese perché le ragioni della nostra contrarietà diventino le ragioni della contrarietà della maggioranza di questo Paese, perché una volta che il centrosinistra tornerà al Governo possa davvero mettersi in campo una legge che favorisca il pluralismo, la democrazia e la libertà e non gli interessi di uno solo (Applausi dei deputati del gruppo dei Democratici di sinistra-L'Ulivo).

PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto l'onorevole Lusetti. Ne ha facoltà.

RENZO LUSETTI. Signor Presidente, onorevoli colleghi, mi rivolgo anche al rappresentante del Governo che ha appena sostituito colui che lo ha preceduto, dunque sicuramente è nuovo della materia e bisognerà, forse, spiegare qualche cosa in più, sebbene sul decreto salva Retequattro, sul digitale terrestre, sulla legge Gasparri affossata, si è detto tanto in queste lunghe ore di discussione, al punto che il presidente Adornato, che segue con attenzione la discussione, credo si sia un pochino stancato di sentire sempre le solite cose; per questa ragione voglio cambiare registro.

FERDINANDO ADORNATO. Aspettavo il suo intervento!

RENZO LUSETTI. Lo dico perché la vedo un po', come dire, rilassato, quindi immagino che lei sia piuttosto stanco di ascoltare queste cose e allora - non faccio polemiche - vorrei fare una citazione dotta, se mi è consentito, da un drammaturgo che si chiamava Bertold Brecht. Non so se sia comunista, lei forse dovrebbe saperlo, onorevole Adornato.

FERDINANDO ADORNATO. Sì, era comunista.

RENZO LUSETTI. Forse il Capo del Governo lo sa perché lui i comunisti, da Putin in giù, li conosce tutti (Si ride).
Mi è rimasta impressa una frase molto bella che scrisse, ormai tanti anni fa, Bertold Brecht: «Mi sono seduto dalla parte del torto perché da quella della ragione i posti sono già tutti occupati».
Ora, noi dell'opposizione, siamo sicuramente dalla parte del torto, perché voi della maggioranza avete occupato tutti i posti, ormai da tempo. Avete una maggioranza così ampia che avete occupato tutti i posti (Applausi dei deputati del gruppo dei Democratici di sinistra-L'Ulivo).

FERDINANDO ADORNATO. Ce n'è per lei, Lusetti!

RENZO LUSETTI. Però siete così bravi ad occupare i posti che siete riusciti anche ad affossare la legge Gasparri, ad andare sotto tante volte e a mettere in minoranza il Governo che fate finta di sostenere. Poi, se ho capito bene, qualche minuto fa avete anche concluso la verifica. Non so, lo capiremo domani; il Presidente del Consiglio farà un altro show così capiremo se questa verifica - che, secondo me, non è mai iniziata - sia conclusa.
Ebbene, io sono un po' preoccupato, soprattutto per i colleghi di Alleanza nazionale e anche dell'UDC; mi pare che, essendo seduti dalla parte della ragione, «becchino» un po' poco, perché questa verifica li ha sicuramente messi in difficoltà.

FERDINANDO ADORNATO. Era una domanda?

RENZO LUSETTI. No, non era una domanda era una riflessione politica che ho voluto fare in relazione ad un provvedimento che avete voluto blindare. Magari, se in sede di Conferenza dei presidenti di gruppo, si fosse deciso di esaminare questo decreto-legge la prossima settimana, poiché la verifica si è conclusa qualche minuto fa, probabilmente, non ci sarebbe stato bisogno di porre la questione di fiducia; sarete, infatti, convinti che i vostri


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parlamentari avrebbero votato tutti a favore del provvedimento. Però, poiché il Governo non si fida dei parlamentari della maggioranza, ha dovuto porre la questione di fiducia, altrimenti, non avremmo assistito alla sceneggiata di dover mettere la legge Gasparri in un cassetto, non avremmo dovuto assistere alla sceneggiata della posizione della questione di fiducia impedendo un dibattito serio ed articolato sugli emendamenti, costringendoci a presentare tanti ordini del giorno che sono stati, quasi tutti, respinti, tranne qualcuno, giusto così per dare un contentino all'opposizione che è sempre seduta dalla parte del torto (sempre ricordando Bertold Brecht).
Per queste ragioni, sono un po' preoccupato per il prosieguo dei nostri lavori che andranno avanti per tutta la notte e per tutta la giornata di domani (prima o poi ci sarà anche una fine). Avete voluto blindare il provvedimento al nostro esame utilizzando le solite finezze semantiche che ormai fanno parte del vostro lessico, del vostro modo di fare politica, ma non del lessico del Presidente del Consiglio, che invece va a ruota libera e, quando lo fa, va anche sopra le righe. Forse dovrebbe essere un po' più uomo di Governo e un po' meno uomo di propaganda. A giudicare da ciò che ho ascoltato stamattina a «Radio anch'io» sembrava di sentire più il capo dell'opposizione che non il capo di un Governo che ha oltre 100 deputati in più rispetto all'opposizione; ma, lui è fatto così e prendiamolo così com'è.
Lo prendiamo male, però, quando si affrontano provvedimenti come questo. Siamo veramente molto preoccupati perché si cerca di ridurre il potere dell'Autorità per le garanzie nelle comunicazioni, si cerca di ridurre la possibilità sanzionatoria di tale Autorità; si parla di popolazione coperta anziché di popolazione raggiunta, quando tutti sappiamo che il problema vero è l'accesso al digitale terrestre, tecnologie innovative in cui noi crediamo fermamente, lo abbiamo sempre detto, anche se riteniamo che questa maggioranza e questo Governo vogliano utilizzare solamente una piccola parte del digitale terrestre, cioè solamente quella che consente al Governo di evitare che Retequattro sia costretta a trasmettere esclusivamente via satellite e perché così, magari, si cura qualche interesse in più del Presidente del Consiglio.
Per quanto riguarda il conflitto di interessi ne ho già parlato stamattina, quando riferisco della risposta di Paolo Mieli al collega Giachetti; non mi dilungo oltre perché sono cose già dette e stradette. Mi auguro, però, che a forza di ripeterle entrino nella testa, se non dei colleghi della maggioranza, che comunque devono votare per forza questo provvedimento, almeno in quella della popolazione che tanta fiducia ha dato a questa maggioranza e a questo Governo e che, però, sta gradualmente sfiduciandosi perché la maggioranza ed il Governo non sanno più cosa dire né cosa fare.
Il provvedimento parla in maniera molto seria della presenza sul mercato di decoder a prezzi accessibili ma, onorevoli colleghi, qui, per molte famiglie, non vi è neanche da mangiare a prezzi accessibili! Francamente, parlare di decoder a prezzi accessibili, mi sembra veramente una forzatura. Però, dobbiamo fare questa roba e facciamola!
Voglio essere molto concreto, signor Presidente e poiché riconosco la sua cultura liberale, lei mi dirà come devo concludere un intervento che ho cercato di costruire in maniera un po' diversa dal solito perché tante cose le ho già dette (stamattina, ieri, negli ultimi 12 mesi, anche 14 o 18, da quando si discute di questo tema). Pertanto, ho cercato, a quest'ora della notte, di fare qualche riflessione un po' più articolata approfittando della presenza del collega Adornato che, sul piano culturale, ha sicuramente fatto molto. Per questo motivo ho citato un autore sicuramente a lui caro.
È effettivamente vergognoso portare all'attenzione della Camera dei deputati questo provvedimento in tale maniera, blindarlo, impedire una seria discussione e soprattutto cercare una sorta di tampone che viene posto in assenza di un quadro di riferimento che oggi non c'è più.


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Lo scenario è disordinato sul piano del riassetto del sistema radiotelevisivo. Questo provvedimento dice che devono esserci le modalità di definitiva cessazione del regime transitorio della legge n. 249 del 1997, ma sappiamo che c'è una grandissima complessità nella transizione rispetto all'avvento del digitale terrestre. Non si parla di simulcast, di connivenza dei servizi analogici digitali o del fatto che ci sono poche frequenze disponibili per la transizione e quindi anche per la sperimentazione. Questo lo sapete molto bene, ma continuate ad andare avanti, perché avete un solo problema che è quello di evitare di mandare Retequattro sul satellite.
Siccome questo è il problema principale che interessa non credo questa maggioranza e neppure il paese, ma un imprenditore, mi appello alla sensibilità e alla voglia di libertà di cui dovreste essere portatori - lo dico anche a lei, signor Presidente, per la cultura cui fa riferimento, facendo un ultima citazione. Edoardo Bennato ha scritto nel 1974 una canzone molto bella - lo dico per i meno giovani, presenti in quest'aula - che si chiama «Venderò», nella quale dice: «Ogni cosa ha il suo prezzo, ma mai nessuno saprà quanto costa la mia libertà».
Onorevoli colleghi, vi dico che la libertà che tanti anni fa abbiamo conquistato è costata molto e non costringeteci a fare altre battaglie per riconquistarla (Applausi dei deputati del gruppo della Margherita, DL-L'Ulivo).

FERDINANDO ADORNATO. Signor Presidente, l'onorevole Lusetti non ha dichiarato il suo voto.

PRESIDENTE. È rimasto nelle latebre del ragionamento. Si è capito, onorevole Adornato, comunque, lo sapremo alla prossima puntata...!

FERDINANDO ADORNATO. Ma dovrebbe dichiarare il suo voto, essendo in fase di dichiarazioni di voto.

ROLANDO NANNICINI. Si è capito!

GABRIELLA PISTONE. Si è capito, si è capito.

PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto l'onorevole Bulgarelli. Ne ha facoltà.

MAURO BULGARELLI. Dando a tutti il buon giorno, la buona notte, la buona sera, diciamo, la buona giornata, accetto il suggerimento del presidente Adornato. A volte mi chiedo come il paese possa essere caduto in questa trappola e come gli elettori possano aver creduto alle mille e una fiabe berlusconiane, a partire da quella secondo la quale egli avrebbe risolto il conflitto di interessi in modo trasparente. Lo strapotere mediatico è certamente una delle ragioni principali. La gente ha ceduto al fascino ed anche al martellamento di questo gran seduttore che cura l'aspetto esteriore come un'attrice di Hollywood.
Tuttavia, anche se, appena vinte le elezioni, il Presidente e i suoi uomini hanno messo a tacere, in ogni dove, le voci e gli oscurati volti del dissenso, considerati veramente pericolose, la televisione ha dei limiti oggettivi. Una buona pubblicità può convincerci ad acquistare anche un prodotto scadente, ma gli italiani - come dice Totò - non si fanno fregare due volte.
Cosa si inventerà questa volta Berlusconi? O meglio, quale Berlusconi si inventerà qualcosa: il Presidente operaio, il grande barzellettiere o la persona affabile che incontra i propri amici in una delle tante ville sparse per la Sardegna o in un qualsiasi altro luogo? Non credo il Presidente operaio; mi piacerebbe infatti che prevalesse l'attrice hollywoodiana, anche perché avrebbe la possibilità di tradurre in spettacolo quello che accadrà prossimamente, magari nel remake del film Il viale del tramonto. Questo sarà ciò che accadrà anche grazie a questa legge.
Oggi, non dovremmo essere qui perché, già dal 1994, la Corte costituzionale aveva deciso che un unico soggetto privato non poteva detenere più di due reti nazionali,


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concedendo a Retequattro la dilazione ultimativa con scadenza ad agosto 1996.
Nella compiacente indifferenza generale, tuttavia, Retequattro continuò a trasmettere fino a quando una nuova sentenza della Corte costituzionale, la n. 466 del 2002, stabilì in definitiva che il 1o gennaio 2004 Retequattro dovesse migrare sul satellite.
L'improvvisa inflazione tecnologica del ministro Gasparri per il digitale terrestre scaturisce proprio da questa decisione e risponde ad una strategia da gioco delle tre carte: con il digitale si moltiplicano teoricamente le frequenze e, dunque, il limite delle due reti pro capite viene a cadere.
Dall'inevitabile bocciatura da parte del Quirinale di un così spudorato marchingegno nasce questo decreto-legge, cioè l'ennesimo escamotage per aggirare le leggi.
Lo stesso Garante, in occasione dell'audizione svolta il 20 gennaio scorso presso la Commissione lavori pubblici, aveva rinnovato le sue critiche a questo provvedimento d'urgenza, chiedendo che fossero precisati i criteri in base ai quali l'organismo da lui presieduto avrebbe dovuto valutare, entro la fine di aprile, se esistessero le condizioni per la permanenza a terra di Retequattro. In particolare, il Garante aveva chiesto indicazioni sulla copertura della popolazione con il segnale digitale terrestre, sull'effettiva diffusione dei decoder e sull'offerta di programmi con la nuova tecnica di trasmissione, manifestando, inoltre, preoccupazione in merito alla definizione delle eventuali sanzioni. Nel decreto si faceva infatti riferimento all'articolo 2, comma 7 della legge Maccanico, e ciò rendeva di dubbia interpretazione il carattere delle sanzioni da adottare, poiché non era chiaro se esse fossero solo quelle previste in quell'articolo o, al di là di esse, se potesse essere deciso il trasferimento di una rete sul satellite. I dubbi riguardavano anche i tempi: il periodo transitorio cessava al momento dell'invio della relazione dell'Authority al Parlamento o successivamente? Ed infine, poteva essere di pertinenza dell'Autorità, visto che si toccavano questioni di rilevanza costituzionale? Un'interpretazione estensiva della norma. Insomma, l'Authority aveva chiaramente manifestato il timore di non essere nelle condizioni di decidere l'invio di Retequattro sul satellite.
Il voto di fiducia sul decreto impedisce che questi interrogativi siano soddisfatti, ma segnala anche un altro dato e cioè la crisi irreversibile in cui si dibatte questo Governo, che non dispone più di una maggioranza, e che ha, ormai, il terrore dell'aula, perché sa di poter essere battuto in casa propria. Ecco, il Governo è costretto a porre la fiducia al Parlamento perché non ha più fiducia nella sua maggioranza, perché la teme.
Il problema è che il conflitto di interesse del Presidente del Consiglio è ormai divenuto troppo ingombrante per i suoi stessi alleati, sempre più schiacciati dal comitato d'affari che gestisce Forza Italia e ciò dischiude prospettive inquietanti giacchè questo conflitto di interessi mira ora a legittimarsi al di fuori di ogni logica istituzionale e di imporsi anche autoritariamente al paese e al Parlamento, secondo un disegno che non esito a definire incostituzionale.
Qui siamo al partito azienda che sovverte a tal punto le regole democratiche da farsi esso stesso Stato. Sembra di essere precipitati fra le pagine di un pamphlet, pubblicato agli inizi degli anni novanta proprio da Fininvest, con il titolo: «Come affrontare il cambiamento: strategia militare e strategie di impresa», illustrato da vignette in cui si vedono muscolosi soldati con l'elmetto sovrastato dal simbolo del biscione che vanno alla carica di un non meglio precisato nemico e in cui si afferma che la Fininvest è un gruppo italiano con una caratteristica molto particolare dal punto di vista delle relazioni umane interne, molto più simile ad un'organizzazione militare che ad un'azienda.
A tale proposito, vi ricordo - se ce ne fosse ancora bisogno - che il conflitto di interessi che si vuole perpetuare d'autorità riguarda il sistema dei media, l'apparato nevralgico della società moderna, il cui


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controllo è decisivo per l'irrigimentazione dell'opinione pubblica e del consenso.
Vi ricordo che Retequattro, vera e propria voce del padrone, viene tenuta in pista all'inizio della campagna elettorale, che si preannuncia già ampiamente viziata dalla posizione mediatica dominante del Presidente il Consiglio.
Ora è chiaro che proprio il modo con il quale il decreto viene fatto passare impone di moltiplicare gli sforzi per sanare, in un'altra sede, la sua palese incostituzionalità.
Questo vero e proprio golpe va denunciato di fronte alla comunità internazionale, in primo luogo in seno all'Unione europea, che ha già espressa, in più occasioni, il suo parere drasticamente negativo in merito all'intero disegno di riforma del sistema radiotelevisivo italiano.
Si impone anche di parlare alla gente, cercando di far capire come un atto di arbitrio, apparentemente confinato nelle strategie monopolistiche di una azienda, finisca per tracimare nella sfera pubblica della società civile, minacciando l'agibilità democratica e le facoltà di espressione dei cittadini.
Yuri Lotman affermava che il mutamento del sistema dei media comporta uno spostamento di molti dei confini che separano, all'interno di una cultura, valori accettabili ed inaccettabili. Se consideriamo una cultura come un tutto, egli diceva, ne riconosceremo un sistema di complementarietà e di opposizioni, un campo di conflitti e un ordine di valori, la presenza o meno di alcuni media. L'assunzione di centralità di alcuni di essi porta con sé, inevitabilmente, una ridefinizione dei valori portanti e, insieme, costituisce un segnale della minaccia che indirizza verso di essi.
Nel nostro paese, la macchina mediatico-politica facente capo al Presidente del Consiglio ha eroso con questo ennesimo colpo di mano in sede istituzionale una nuova decisiva porzione della sua già precaria credibilità. Essa, esautorando ripetutamente il Parlamento, sta paradossalmente restituendo il teatro del conflitto, nella sua interezza, alla società civile, alla quale si offre la possibilità di contrastare dal basso una cultura del potere inaccettabile, per la sua protervia e rozzezza.
Agli italiani non resta che guardare uno dei molti canali della televisione a reti unificate dalla dittatura telecratica.
Avremo di fronte un vero e proprio mostro, che abbiamo già definito quando si discuteva della legge Gasparri, Raiset, dove assistere, da spettatori, alle sue bugie ed a quelle dei suoi alleati internazionali.
Al proposito, varrebbe la pena di sottolineare che la quasi totalità delle immagini del mondo che quotidianamente passano per i nostri teleschermi è, ormai, di importazione americana. In particolare, la Fininvest ha giudicato politicamente opportuno, oltre che economicamente conveniente, comprare sequenze made in USA, anziché produrne di proprie.
La lotta che abbiamo portato avanti da questi banchi-trincea è, quindi, molto di più di ciò che appare superficialmente.
Non si tratta tanto di evitare che il Capo di Governo tragga evidenti vantaggi economici e strategici dalla sua posizione (che sarebbe comunque vergognoso, ma non inedito), quanto di bloccare un salto nel buio verso pericolosissime forme di governo telecratico, a sovranità limitata.
In gioco, quindi, oltre alla libertà d'informazione nel nostro paese, sono direttamente i diritti basilari dei cittadini (Applausi dei deputati del gruppo dei Democratici di sinistra-L'Ulivo e del gruppo della Margherita, DL-L'Ulivo).

PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto l'onorevole Nannicini. Ne ha facoltà.

ROLANDO NANNICINI. Il Corriere della Sera ha pubblicato oggi in prima pagina un buon editoriale che ci richiama al concetto di libertà nell'informazione. Porta un esempio: la presenza del nostro Presidente del Consiglio, in qualità di Presidente dell'Unione europea, all'Assemblea dell'ONU. Era un'Assemblea, piuttosto deserta, che non aveva prestato molta attenzione all'intervento, durante il semestre italiano di Presidenza dell'Unione europea.


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Eppure, nelle reti RAI, come in altre reti, si notava un grande applauso ed una grande partecipazione. Era un classico montaggio, per i quali si applaudiva l'intervento di Kofi Annan, ma si metteva l'immagine del Presidente del Consiglio!
L'articolo si chiede perché nessuna televisione, neanche La 7, anche se in concorrenza, ha denunciato tale passaggio. La risposta dell'editorialista è che non vi è solo il tema della proprietà, ma anche quello del potere e della dissuasione che un Governo nazionale e la sua maggioranza può avere nei confronti dell'informazione.
All'editorialista do un suggerimento: di chiedere a Striscia la notizia di portare il tapiro a chi ha costruito quel montaggio e quelle notizie. Ma è solo un sogno...
Nel più autorevole quotidiano italiano a diffusione nazionale ci si interroga sul significato della libertà di informazione, nel nostro paese.
Abbiamo vissuto con molta tristezza una pagina parlamentare. Abbiamo sentito il relatore, onorevole Romani, dire che la legge Gasparri veniva ritirata perché non si parlava, in quel momento, di quella legge, ma vi erano altre cose più interessanti, quali la verifica di Governo. Il relatore era costretto a richiedere il ritiro del provvedimento, anche con alcune forzature, perché non c'era neanche un emendamento da cambiare.
Pertanto, di verifica dobbiamo parlare, e dobbiamo riflettere su che cosa sta succedendo, in questo periodo, nel nostro paese.
Siamo, sicuramente, in una fase iperattiva nella propaganda del Presidente del Consiglio dei ministri, in cui si non si coglie che il paese non è più in sintonia con i messaggi del centrodestra. Se il paese, nel 2001, ha offerto questa maggioranza al centrodestra sui temi della sicurezza, sulla possibilità di rendere più libera e più attenta la società italiana su altri aspetti, oggi, lo stesso non si fa più convincere con messaggi del tipo «tutto va bene», perché si vivono altre situazioni ed altre condizioni.
È chiaro che sarebbe auspicabile, nell'interesse del paese, che si avesse l'onestà intellettuale di ammettere che il programma originario presentato agli elettori, confezionato bene nella sua propaganda, ma non corrispondente ai bisogni del paese, è sbagliato e che oggi ci vogliono altre cure per l'Italia. Ci vogliono altri interventi.
Consideriamo l'elemento più importante della situazione economica del paese: vi rendete conto che ogni giorno ci misuriamo col problema della mancanza di disponibilità di fondi per risolvere le questioni che il paese ci presenta?
La fantasia finanziaria ci ha portato a ridurre il disavanzo primario dello Stato (altro che «buchi consegnati») pari a cinque punti e mezzo del prodotto interno lordo del paese (cioè, fra entrate ed uscite, al netto degli interessi, il nostro bilancio aveva una zavorra di cinque punti e mezzo del prodotto interno lordo; oggi non sappiamo se sia il 2,4 o il 2,5 del prodotto interno lordo: 75 mila miliardi di vecchie lire, circa 36-37 miliardi di euro).
Avete promosso gli elementi della cartolarizzazione degli immobili e non è stato venduto alcun immobile. Abbiamo già obbligazioni per circa 75 mila miliardi. Chi restituirà i denari? Chi darà certezza all'economia del paese, con questi interventi?
Si continua a promettere che le aliquote fiscali dell'IRPEF saranno del 23 e del 33 per cento, perché si dice che è iniquo pagare il 50 per cento del proprio reddito. Tra l'altro, è scorretto parlare del 50 per cento, perché, se le aliquote vanno dal 23 al 45 per cento, anche se si fanno le medie, non risulta mai il 50 per cento.
Come si fa a ritenere che l'aliquota progressiva del 45 per cento sia la più alta? Io ritengo alta anche quella del 23 per chi ha un reddito di 20 milioni.
Tornando alle questioni inerenti al decreto-legge, è chiaro che la volontà espressa dal gruppo Mediaset non è emersa soltanto oggi. Mediaset non aveva alcuna intenzione di rispettare la sentenza della Corte costituzionale del novembre 2002 in merito alla gestione delle reti e le


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precedenti sentenze del 1988 e del 1997 o le leggi Mammì e Maccanico, dalle quali discende che per avere concorrenza nell'informazione e nel mercato dell'informazione si potevano possedere soltanto due reti di livello nazionale (Retequattro è sempre sottoposta ad autorizzazione).
Era possibile collocare sul mercato nazionale Retequattro senza creare disoccupazione, come avviene oggi in molte situazioni caratterizzate da crisi aziendali, e rispettare le leggi, ma si sapeva già che sarebbe stata presentata una sanatoria, la cosiddetta legge Gasparri, il cui iter è stato interrotto perché presentata nel periodo coincidente con la verifica.
Oggi si insiste con il decreto «salva Retequattro» dando all'Authority per le comunicazioni una forte responsabilità, a fronte della necessità di capire come avvenga la copertura del digitale, come si possa allargare il mercato e come possa sopravvivere una rete di proprietà Mediaset. Si sostiene inoltre che ciò viene realizzato per RAI 3, dimenticando però che nel rapporto caratterizzato dal duopolio è la RAI a «rimetterci», perché ha un budget di pubblicità.
Cominciamo a proporre concretamente l'eliminazione del canone, aumentando la concorrenza nel mercato rispetto ad una tassa aggiuntiva come la pubblicità, una tassa di prelievo su ogni consumo del cittadino! Discutiamo liberamente di questi strumenti di presenza nel mercato dell'informazione!
Invece, si intendono conservare le tre reti senza rispettare le sentenze della Corte costituzionale, che risalgono al 1988 (in questo periodo la Corte non aveva alcun membro interno nominato dal Presidente Scalfaro) e si attaccano gli istituti di garanzia. Dobbiamo comprendere che la democrazia è composta da contrappesi, interni a vari istituti. Se la stampa è vicina al Governo nazionale...

PRESIDENTE. Onorevole Nannicini, lei ha esaurito il tempo a disposizione.

ROLANDO NANNICINI. Signor Presidente, rivolgo un appello al suo liberalismo, affinché ci aiuti a cambiare il paese. Non abbiamo l'obiettivo di impedire l'approvazione del decreto-legge, ma semplicemente di denunciare le scorrettezze che la maggioranza ed il Governo stanno commettendo (Applausi dei deputati del gruppo dei Democratici di sinistra-L'Ulivo).

PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto l'onorevole Pistone. Ne ha facoltà.

GABRIELLA PISTONE. Grazie, signor Presidente, per essere presente e disposto ad ascoltarci...

PRESIDENTE. È un dovere ed un piacere per me.

GABRIELLA PISTONE. A maggior ragione, la ringrazio. A volte è piacevole essere in Assemblea, soprattutto quando si dialoga. Invece, quando è soltanto una parte politica a parlare, la situazione è più triste. Sono convinta che il dialogo, il confronto, il dibattito siano il « sale » della democrazia. Purtroppo, ciò non si verifica in conseguenza di metodi che non attengono affatto alla politica, ma ad altri criteri e valutazioni di ciò che il Presidente Consiglio intende per politica, derivanti da una differente impostazione, che egli ritiene di aver adottato anche in Parlamento attraverso i propri deputati e certamente non attraverso la sua persona, dato che egli non è mai presente, considerando, evidentemente, il venire in Assemblea una perdita di tempo.
Sento molto forte l'imbarazzo e lo sconforto causato dalla richiesta di un voto di fiducia su un decreto-legge in pieno conflitto di interessi. Abbiamo sbagliato a non aver risolto noi il conflitto di interessi, ma ciò non mi esime dal dire che vorrei che questa anomalia tutta italiana si risolvesse.
Un decreto che « vale » 163 milioni di euro e tre punti in più in Borsa questa mattina non giova al bene del paese. Si tratta di un decreto teso a perpetuare il primato degli affari di famiglia di un leader che un giorno afferma che l'euro è


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dannoso e il giorno dopo sostiene che senza la nuova moneta il paese avrebbe avuto guai seri; che afferma che dinanzi all'aumento inflazionistico dei beni primari, la soluzione sta nel comportarsi come la sua mamma, che passava più volte dinanzi ai banchi del mercato alla ricerca del prezzo più conveniente. Probabilmente la madre del premier insegnerà anche a comprare i decoder più convenienti alle migliaia di donne italiane che, senza dubbio, avranno questo pensiero in testa!
Il collega Lusetti è stato molto divertente nel suo intervento, rappresentando sostanzialmente una piccola pièce teatrale, sottolineando alcuni atteggiamenti assunti dal Governo Berlusconi. Il collega ha citato Bertolt Brecht, seduto dalla parte del torto. Noi siamo seduti dalla parte del torto perché abbiamo perso le elezioni, ma sono orgogliosa di essere nel torto e di essere accomunata a Brecht, nonostante egli fosse comunista e sicuramente odiato dal premier, e perché visto come un pericolo (ma su questo posso rassicurarlo: Brecht è già morto)!
Trovo particolarmente interessante la norma del decreto-legge legata alla sfida dell'innovazione ed all'uso delle tecnologie, strumenti mai neutri.
Sostanzialmente, io dico che tali aspetti del decreto, che sarebbe realmente interessante approfondire, quale materia di dibattito per accrescimento - non solo personale - ma del nostro paese, sono mortificati, quasi come nella vendita di prodotti a scatola chiusa, del tipo «prendere o lasciare».
Fin da quando ero ragazzina, dando qualche problema alla mia famiglia, mi ribellavo al prendere a scatola chiusa, volevo sempre approfondire e mi faceva piacere sentire le ragioni di una scelta. Ciò è quanto mi aspetto da un paese veramente democratico, che ha a cuore la crescita di tutti i suoi cittadini, cominciando con un esercizio di democrazia nella scuola e nelle università. Ma tali aspetti sono trascurati dal Governo. Vedo intere categorie - per non parlare delle massaie, cui mi riferivo prima - che sostanzialmente non sono soddisfatte: la scuola, gli insegnanti, le università, i medici, i magistrati, rappresentano vari settori della nostra società che hanno davvero di che lamentarsi. Ciò la dice lunga sul metodo in uso per tale decreto, che non attiene alla politica, bensì ad una logica aziendale, mercantile, che non è certamente una logica che appassiona il cittadino.
Da alcuni giorni, stiamo affrontando il serissimo problema degli affitti; lo ricordo perché mi sembra di fare una piccola cosa utile. Vorrei rivolgermi alla maggioranza ed al Governo, per dire: vogliamo parlare di cose serie, vogliamo affrontare in Assemblea un dibattito sui problemi che interessano il paese, vogliamo dire a chiare lettere che cosa si può fare sulla casa, un problema che sta assumendo proporzioni emergenziali?
Di fronte a tutto ciò, posso immaginare come sia vissuto dal singolo cittadino il decreto «salva Retequattro». Invece di occuparci di cose estremamente concrete e serie, ci occupiamo del problema «salva Retequattro», o meglio, «salva rete Mediaset», e non guardiamo i problemi della vita di tutti giorni.
Il prossimo provvedimento all'ordine del giorno sarà la par condicio, tanto per essere chiari e conseguenti al dettato istituzionale (Applausi dei deputati dei gruppi dei Democratici di sinistra-L'Ulivo e della Margherita, DL-L'Ulivo).

PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto l'onorevole Buglio. Ne ha facoltà.

SALVATORE BUGLIO. Signor Presidente, nel nostro paese c'è un clima di insicurezza sociale. Le famiglie italiane sono impaurite per loro e per i loro figli. I genitori non hanno certezze su quando e come riusciranno ad esigere la loro pensione: storicamente un punto fermo per vivere con tranquillità il proprio futuro. I figli, in un mercato del lavoro che assomiglia molto all'antico caporalato, hanno difficoltà ad immaginare un futuro lavorativo che permetta di costruire una famiglia. La stessa rischia di perdere il


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ruolo fondamentale che storicamente ha avuto; ieri, aveva un ruolo di ammortizzatore sociale, di coesione, di crescita, non solo demografica, del paese, oggi sta perdendo la propria funzione , è impaurita, assiste alla perdita della propria centralità.
Noi tutti, maggioranza e opposizione, abbiamo il dovere di costruire uno Stato sociale universalistico, che ridia stabilità, opportunità e fiducia alle famiglie italiane. Oggi non è così, e la responsabilità non è solo della destra; anche noi, presi dal vento liberista, non ci siamo accorti che la riforma Treu e la riforma Biagi hanno sì tentato di togliere vincoli e rigidità al mercato del lavoro, ma hanno anche creato una zona grigia, dove bisogna collocare i diritti dei giovani e meno giovani, lavoratrici e lavoratori.
Penso che per un lavoratore con grande professionalità, la flessibilità sia una opportunità, per affermarsi e migliorarsi; ma per un lavoratore di bassa professionalità, la flessibilità è precariato.
Il centrosinistra, quando governava, aveva detassato le imprese che assumevano a tempo indeterminato; nel 2000 tale provvedimento portò enormi benefici occupazionali (il 70 per cento degli impiegati a tempo pieno). La detassazione è stata parzialmente tolta, ed il risultato è stato un'invasione della precarietà.
Finita la sbornia liberista, tutto il Parlamento deve riconsiderare la questione; ci vogliono occupazioni più stabili, lo Stato deve concorrere sostenendo le imprese; tale iniziativa aiuterebbe i lavoratori, le imprese, i consumi e la fiducia delle famiglie italiane.
Se guardiamo agli artigiani, alle imprese - piccole e grandi - ci accorgiamo che non solo l'operaio ha paura del futuro, ma anche chi ha innata la cultura del rischio, come gli imprenditori, capisce che il sistema-Italia non gli fornisce gli strumenti, le regole, le risorse per essere competitivi.
Rischiamo di perdere una grande ricchezza, che ha permesso a generazioni di italiani di sbalordire il mondo. La nostra ricchezza era la cultura del rischio che, se non viene supportata da un efficiente sistema-paese, rischia di scomparire, con perdite incalcolabili.
Potrei continuare sottolineando l'insicurezza degli operatori scolastici, dove mancano idee e risorse, e il problema della sanità, che si avvicina al modello americano, classista e residuale.
Non si tratta del catastrofismo dell'opposizione: è la fotografia del nostro paese. Un paese dove 622 mila ultraquarantacinquenni, dal 2001, sono stati espulsi dal mondo del lavoro, e quando bussano alle porte delle istituzioni e delle imprese per un lavoro, sono accolti con offerte di 15 giorni o al massimo di tre mesi d'impiego.
Se il futuro di tali persone e delle loro famiglie può avere come riferimento questo tipo di precarietà, maggioranza e opposizione, con diverse responsabilità, devono riflettere su ciò: senza la stabilità e la continuità lavorativa, corriamo il rischio di creare un esercito di milioni di persone trascinato verso la depressione sociale.
Non è sufficiente qualche comparsa televisiva per attenuare i loro drammi. Sto parlando del paese reale: degli operai, degli impiegati, dei dirigenti e dei quadri e di quelle imprese che improvvisamente muoiono e con esse scompaiono i diritti delle lavoratrici e dei lavoratori.
Vi sto parlando di storie come quelle della Finmek di Caluso, in provincia di Torino, un'azienda di 500 dipendenti, 350 dei quali da due mesi non ricevono lo stipendio e di cento giovani, assunti con contratto di formazione a tempo determinato e poi a tempo indeterminato, improvvisamente espulsi dal mondo del lavoro.
Sono migliaia le aziende che chiudono e sono in sofferenza tante altre. Penso alla Viberti di Nichelino e alla Bertero di Vinovo. Quest'ultima è un'azienda con personale tutto femminile, qualcuna in età avanzata, che dopo tanti anni chiude i battenti e si trasferisce in un paese dell'est. Quelle donne, quelle lavoratrici non avranno né gli onori della cronaca, né uno Stato sociale che le assista, le formi e le accompagni in un nuovo posto di lavoro, dimenticate e ferite nella loro dignità di donne, di lavoratrici e di madri.


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Caro Presidente, ho voluto parlare di un'Italia che soffre, che poche volte ha l'onore della cronaca, ma anche delle istituzioni e di drammi individuali che procurano, a chi fa grande politica, solo noia e sbadigli.
Noi vogliamo dare una risposta a quei bisogni di una parte consistente del nostro paese, che vive grandi disagi. Vogliamo aiutare e accompagnare anche i meriti di chi investe le proprie risorse, offrendo un sistema che non li penalizzi e li renda competitivi.
Con questi dati brevemente citati, cosa c'entra la Gasparri? Cosa c'entra questo decreto? Invece di affrontare e di costruire insieme un nuovo Stato sociale, che crei nuove opportunità e nuovi diritti per i lavoratori, per le lavoratrici e per le imprese, costruendo una sorta di patto tra produttori, impieghiamo dall'inizio della legislatura il 67 per cento del nostro tempo a discutere di giustizia e di televisioni. Non è normale! Non è giusto verso un paese che aspetta dal Parlamento provvedimenti che sostengano un'eventuale ripresa e che ha perso anche la fiducia dei risparmiatori, cosa devastante - come voi sapete - per le imprese e per lo stesso mercato.
Vedete, discutere della legge Gasparri, come fatto urgente e prioritario, vuol dire che ubbidite alla legge del padrone e deludete milioni di persone che hanno guardato al centrodestra con sincera speranza; ma soprattutto, vuol dire che lesionate la credibilità del nostro paese sul piano interno e su quello internazionale. Noi, che sentiamo forte l'etica della responsabilità, non giochiamo e non gioiamo del declino del nostro paese, perché il prezzo sarà pagato da tutti, soprattutto dai ceti più deboli.
Vi chiediamo di dedicarvi a costruire le condizioni per il rilancio del paese. Noi siamo pronti con le nostre proposte, anche se con la vostra logica amico-nemico credo che non ci siano molte speranze di dialogo. La lista unitaria dell'Ulivo e tutto il centrosinistra chiedono alla maggioranza e a tutti gli italiani oggi, 19 febbraio 2004, in un paese normale, insicuro del proprio futuro, se il problema della legge Gasparri sia quello più urgente. Noi diciamo di no e siamo convinti di essere in sintonia con milioni di italiani.
Le prossime elezioni diranno se abbiamo ragione noi a parlare dei problemi delle famiglie italiane oppure voi ad occuparvi di legiferare solo degli interessi del Presidente del Consiglio (Applausi dei deputati dei gruppi dei Democratici di sinistra-L'Ulivo e della Margherita, DL-L'Ulivo).

PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto l'onorevole Susini, il mio amico livornese. Ne ha facoltà.

MARCO SUSINI. Grazie, Presidente, ricambio i sentimenti di amicizia.
È del tutto evidente che il ricorso alla fiducia per approvare questo decreto, ancora prima che segno di arroganza e di disprezzo per il confronto e la dialettica parlamentare, costituisce soprattutto una manifesta testimonianza di debolezza e di paura.
Ormai, dietro le mirabolanti sparate del Presidente del Consiglio, che sprizzano un ottimismo infondato e di facciata, c'è la cruda realtà di una maggioranza a pezzi. La maggioranza sulla carta conta cento parlamentari più dell'opposizione, ma ha vacillato e ha tremato fino a rischiare il tracollo sulla legge Gasparri e per evitarlo non ha esitato a battere ignominiosamente in ritirata.
La maggioranza è impegnata da mesi in una verifica i cui contenuti sono ignorati dal Parlamento, cui non è dato sapere nulla. Mi verrebbe da dire: altro che teatrino della politica, per usare un'espressione cara al Presidente Berlusconi! Qui siamo al peggio dei rituali extraparlamentari della cosiddetta prima Repubblica.
La verifica, a giudizio del Presidente, si sarebbe conclusa con la soddisfazione di tutti e, infatti, la soddisfazione è così forte che il Governo ha pensato bene di mettere il bavaglio ai deputati del centrodestra, evitando, con il voto di fiducia, che si potesse ripetere ciò che è accaduto qualche giorno fa con la legge Gasparri.


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Non vi era nessuna ragione seria per ricorrere al voto di fiducia. Non vi era l'urgenza dei tempi, perché c'era tutto lo spazio possibile per un confronto sereno in entrambi i rami del Parlamento. L'opposizione aveva presentato non molti emendamenti e non aveva alcun atteggiamento ostruzionistico. Vi erano, invece, sulla materia specifica oggetto del decreto, così come sulla legge Gasparri, ottime ragioni che avrebbero dovuto indurre ad affrontare un confronto di merito serio e ad ascoltare le poche ma sensate proposte dell'opposizione.
Con il ricorso al voto di fiducia vi siete invece assunti una responsabilità molto grave. Per la seconda volta avete ignorato la sostanza del messaggio del Capo dello Stato. Avete ignorato le motivazioni che sicuramente non a cuor leggero lo hanno spinto a rinviare alle Camere la legge Gasparri. E badate che erano motivazioni di grande rilevanza politica, non suggerimenti tecnici, come ha detto qualche esponente della maggioranza, sminuendone il senso fino quasi all'irrisione.
Per la seconda volta avete scientemente aggirato i suggerimenti autorevolissimi che sono venuti dall'Autorità per le garanzie nelle comunicazioni, dalle associazioni di categoria e dalle imprese. Badate che non erano tutti comunisti mentitori, per usare delle espressioni care al nostro premier. No, erano e sono personalità di primo piano delle istituzioni di garanzia o delle imprese che vi hanno semplicemente fatto osservare che non solo non è tollerabile nella libertà di informazione per il pluralismo la situazione di rigido monopolio che c'è nel campo delle televisioni in Italia, ma non lo è nemmeno dal punto di vista molto più prosaico e concreto del rispetto delle più elementari regole della concorrenza e del mercato.
Appare chiarissimo un dato, cari colleghi della maggioranza. Quando in quest'aula si discute di due questioni, quelle delle televisioni e della giustizia, per il centrodestra non vi è nessuna agibilità e non vi è alcuna possibilità di aprirsi, neppure minimamente, al confronto. Quando si toccano le tasche e la fedina penale - passatemi questa espressione - del Presidente del Consiglio, questa maggioranza, che sul resto litiga e si divide su tutto, riesce miracolosamente a compattarsi. Non c'è orgoglio padano che tenga, non ci sono i sottili distinguo degli UDC, non c'è Alleanza nazionale che fa la faccia d'armi. A questi richiami all'ordine non si sottrae proprio nessuno, anzi, quando si discute di queste delicatissime questioni, l'emiciclo si riempie di tutti quei ministri, che per molti altri problemi, magari più delicati e rilevanti, se ne guardano bene dal venire a confrontarsi in Parlamento, preferendo di gran lunga all'Assemblea i talk show, magari da Bruno Vespa o dall'amico Emilio Fede, per il quale siamo qui.
Ve ne rendete conto oppure no? Questa è stata la legislatura nella quale per mesi e mesi e per interminabili sedute siano stati impiegati a discutere delle rogatorie, del falso in bilancio, delle leggi-vergogna, della situazione dell'onorevole Previti e ora delle televisioni.
Non si sono trovati né il tempo né la voglia di affrontare i problemi veri del paese, i problemi della gente in carne e ossa, non quelli che riguardano dunque qualche imputato eccellente o qualche tycoon televisivo, ma quelli che parlano agli operai delle acciaierie di Terni, alle famiglie che non arrivano al 27 del mese, agli insegnanti e ai medici umiliati ed offesi dalle vostre controriforme, ai magistrati che vogliono lavorare meglio, perché la giustizia deve funzionare meglio, per tutti però e non per pochi.
Piegando invece il Parlamento agli interessi particolari di una persona che, per giunta è il Capo del Governo, voi vi state assumendo ancora una volta una responsabilità gravissima, prima ancora sotto il profilo etico che sotto quello politico: la responsabilità di trattare il libero Parlamento di un grande paese come una sorta di conventicola da «repubblica delle banane». I numeri oggi vi hanno assicurato la fiducia, porterete a casa questo agognato provvedimento, ma quando sarà il momento, e sarà presto, nonostante l'ottimismo di cartapesta del Presidente del


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Consiglio, lo sapete bene anche voi, la fiducia ve la toglieranno gli elettori (Applausi dei deputati del gruppo dei Democratici di sinistra-L'Ulivo).

PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto l'onorevole Rosato. Ne ha facoltà.

ETTORE ROSATO. Grazie, signor Presidente, sono leggermente irritato, non con lei e con la sua cortesia, ma per la situazione in cui questa maggioranza ci ha messo. L'uomo più ricco del paese, il settimo uomo più ricco del mondo, perlomeno secondo le statistiche, evidentemente non si sente abbastanza ricco.

PRESIDENTE. Quattrini e santità: metà della metà, si dice in Toscana.

ETTORE ROSATO. Queste leggi servono per raggiungere lo stesso obiettivo. Capisco anche i dissensi nella maggioranza, capisco chi dissente nel voto segreto, perché penso che si tratti di un voto di coscienza per cui qualcuno crede che, al di là della collocazione politica, non si può superare un certo limite.
La mia preoccupazione riguarda il fatto che difficilmente riusciremo a spiegare al paese ciò che sta accadendo in questa Assemblea e nel mondo dell'informazione. Quando un consigliere comunale, titolare di una azienda di famiglia, di una tipografia ad esempio, non può stampare i biglietti da visita per il comune, perché altrimenti è incompatibile con la sua funzione e deve scegliere se fare il consigliere comunale, magari di un piccolo comune, o fare il tipografo, che magari è la sua professione, come si fa a spiegare ai cittadini che il Presidente della Consiglio dei ministri pone la fiducia su un decreto che serve per valorizzare le sue imprese, per aumentare il suo fatturato, per aumentare la quotazione in borsa dei suoi titoli? Nessuno ci crede, pensano che siamo qui chissà per che cosa.
Come si fa a spiegare il contrasto con una legge che un Presidente del Consiglio ha approvato nel corso di uno dei tanti Consigli dei ministri, per poi presentare in quella sede un decreto in contraddizione con un'altra norma? Nella presentazione del disegno di legge in Parlamento, mi sembra vi sia una contraddizione, che, se non è di tipo legislativo, è sicuramente di tipo politico. Spiegare che siamo qui alle tre della mattina a discutere di questi argomenti, che il Parlamento identifica come priorità, e che l'agenda politica di questo paese considera come priorità la risoluzione dei problemi delle televisioni del presidente Berlusconi mi sembra veramente difficile.
Nella nostra provincia ci sono numerose crisi industriali, al riguardo ho presentato una interpellanza urgente insieme ad alcuni colleghi a cui il Governo ha risposto riconoscendo la necessità di intervenire per risolvere la grave crisi industriale scoppiata nella provincia di Trieste. Su queste vicende non è stato però presentato alcun decreto. Il collega Marano ha ricordato durante il suo intervento che tutte le migliori energie governative sono impegnate qui, mentre il primo maggio la Slovenia entrerà nell'Unione europea e ci sono circa mille spedizionieri e dipendenti delle case di spedizione che aspettano un provvedimento che si occupi di loro. Leggevo sui quotidiani di oggi che una piccola industria dell'indotto del nostro distretto industriale ha 109 dipendenti in cassa integrazione su un totale di 120, che si chiedono cosa succederà quando fra quattro settimane la cassa integrazione terminerà. È difficile spiegare a tutte queste persone che il decoder deve essere acquistabile a prezzi accessibili o che la copertura deve essere del 50 per cento, ma non perché tutte le leggi vanno spiegate, bensì perché questa è stata la priorità del Governo che ha tenuto impegnato per tutta la settimana il Parlamento, invece di pensare alle questioni veramente importanti per il nostro paese.
Abbiamo presentato soluzioni alternative alla via scelta dal decreto. Personalmente ho letto il testo del decreto ed ho cercato di presentare alcune piccole proposte di modifica anche se so che questo genere di provvedimenti sono blindati.


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Tuttavia, la soluzione non è di tipo legislativo, la questione si può risolvere senza digitale, senza un decreto, senza la Gasparri, senza il SIC: basterebbe che Mediaset vendesse Retequattro, rispettando le sentenze e le leggi. In questo modo verrebbe risolto il problema dell'occupazione, perché nessuno verrebbe licenziato, si risolverebbe anche il problema del pluralismo. Al riguardo mi hanno colpito i dati presentati oggi pomeriggio dal collega Gentiloni, quando ci raccontava delle presenze politiche sui telegiornali di Retequattro, dove il solo Berlusconi era presente e per oltre il 60 per cento del tempo totale.
La vendita di Retequattro non sarebbe un esproprio in quanto nessuno si sogna di togliergliela; in fondo poi si tratta della stessa procedura che devono seguire le banche quando c'è una aggregazione tra gruppi diversi, se gli sportelli superano il limite lesivo per la concorrenza devono essere ceduti in parte. Le compagnie assicurative devono rispettare i limiti prestabiliti per il corretto funzionamento del mercato. Ormai gli italiani sanno perfino che anche le centrali del latte devono rispettare la concorrenza. Solo sulle televisioni e sulla raccolta pubblicitaria sembra non sia possibile stabilire delle quote, così per costruire un paniere che stabilisca un tetto bisogna inserirvi le sponsorizzazioni sportive, Internet, i cartelloni pubblicitari e via dicendo, in modo da creare un calderone di cui nessuno può calcolare il valore.
In questo decreto avete fissato un criterio per stabilire il pluralismo informativo che io considero offensivo del buon senso, perché stabilire che vi debba essere una copertura del 50 per cento della popolazione evidentemente non è di alcuna utilità. Provo solo a pensare agli scompensi territoriali che potrebbe portare un pluralismo di questo genere. Basterebbe coprire tre o quattro regioni, mettere anche le sole antenne, perché non occorre che arrivi il segnale in quanto la copertura si realizza con la messa in opera dell'antenna.
Non è importante la qualità del segnale. Non è importante la diffusione del decoder fra le famiglie. Ho già detto che l'intero territorio nazionale ha già la possibilità di utilizzare la tecnologia satellitare. In questa logica, si poteva dire che il pluralismo informativo c'è già, perché ognuno di noi - basta che si compri una parabola - può accedere ai canali liberi e, quindi, ottenere il pluralismo informativo. Ma non è questo. Tutto ciò è marginale. C'è un unico, vero parametro che funziona meglio dell'Auditel per verificare quale sia e dove sia il pluralismo informativo. Il parametro - e ho finito, Presidente - è la raccolta pubblicitaria che ci indica se c'è la possibilità di godere del pluralismo: dove ci sono gli spettatori, allora le imprese investono in pubblicità. Oggi sappiamo che RAI e Mediaset lasciano alle altre televisioni soltanto le briciole della pubblicità. Sappiamo che Mediaset raccoglie il doppio della pubblicità della RAI. La quota di pubblicità raccolta da Mediaset è superiore alla pubblicità di tutta la carta stampata - riviste e quotidiani - del paese. Le altre televisioni hanno i decimali. Questa è la realtà. E il problema non viene risolto da questo decreto-legge né della legge Gasparri né da nulla di ciò che avete in mente (Applausi dei deputati dei gruppi della Margherita, DL-L'Ulivo e dei Democratici di sinistra-L'Ulivo).

PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto l'onorevole Sedioli. Ne ha facoltà.

SAURO SEDIOLI. Signor Presidente, colleghi, in questi giorni è apparso chiaro un atteggiamento di sufficienza, di irrisione e di insofferenza da parte della maggioranza verso le forme di opposizione a cui siamo stati costretti dalla decisione del Governo di porre la questione di fiducia. La consideriamo un espediente per impedire la discussione degli emendamenti, la discussione di tutti gli emendamenti, anche di quelli più semplici, di buonsenso, che potevano contribuire al miglioramento del decreto-legge. Quante volte ho sentito dire in quest'aula che non


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abbiamo proposte. Gli emendamenti sono proposte, fra l'altro, formulate in modo preciso ed inequivocabile. Perché non li avete voluti discutere? Perché non vi siete voluti confrontare? In verità, quegli emendamenti non si dovevano discutere e, soprattutto, non si dovevano votare. Questo è l'imperativo del Presidente del Consiglio che temeva, con ragione, qualche defezione con il voto segreto. In questi giorni e in queste notti, la maggioranza è scomparsa. Forse non ha lasciato neppure il palo! Non vuole vedere, non vuole sentire e soprattutto non può parlare! Aspetta, aspetta il voto finale per far valere la propria forza numerica, per dimostrare quanto sia stata inutile la nostra pur tenace opposizione. È l'atteggiamento di chi vuole ricordare che loro hanno i numeri. Sì, hanno i numeri in quest'aula ma non li hanno più nel paese. Ed è al paese che ci siamo rivolti. Abbiamo parlato a tutti, ma soprattutto a coloro che, nel paese, avevano qualcosa da dire, che sono stati ignorati e umiliati, e a chi, in quest'aula, aveva qualcosa da dire e ed è stato impedito dal voto di fiducia. Infatti, il Governo se ne infischia dei cittadini. Se ne infischia della federazione italiana degli editori e di Montezemolo. Se ne infischia dell'Autorità per le garanzie nelle comunicazioni, di Cheli, dell'Antitrust e di Tesauro, se ne infischia dell'Europa e del capo sezione per la libertà di stampa dell'OCSE, Freimut Duve. Ebbene, se infischia anche della Costituzione, del Presidente della Repubblica, Ciampi. Se ne infischia della commissione episcopale che aveva criticato aspramente la legge Gasparri. Ma non c'è Chiesa che tenga. Magari in altre occasioni sì, ma non di fronte agli interessi privati del Presidente del Consiglio.
Insomma, il piano per la concentrazione dell'informazione in poche mani, anzi, nelle mani di uno solo non doveva guardare in faccia nessuno. Non importava se travolgeva la Costituzione e i diritti fondamentali di libertà, le preoccupazioni di ispirazione culturale, le proteste di tanti cittadini democratici, gli stessi dubbi che potevano nascere nella maggioranza. Il piano «Salvate il soldato Ryan» impallidisce di fronte al piano «Salvate Retequattro». Abbiamo i numeri: ce lo ricordano i più scatenati della maggioranza. Siamo forti. Ma è proprio così? E se così è, dove sono finite la virtù dei forti e la capacità di sapersi confrontare, di rispettare le regole, di riconoscere il ruolo dell'avversario, proprio perché sicuri di sé stessi e del consenso che si riceve dal paese? In verità, abbiamo visto non la virtù dei forti ma i vizi degli arroganti. Abbiamo visto gli espedienti dei deboli e degli insicuri, la ritirata per paura del voto segreto, il ricorso al voto di fiducia, i maldestri tentativi di ricomporre la maggioranza per salvare il provvedimento. Dicevo che in questi giorni abbiamo parlato per il paese, per chi tocca con mano i disastri di questo Governo e anche per quel paese che aveva creduto in questo Governo, che riteneva la nostra opposizione nei primi mesi di questa legislatura un'opposizione troppo segnata da uno spirito di rivalsa per la sconfitta subita. Chi riteneva la nostra opposizione un freno alla realizzazione del programma di Governo o chi ci diceva «Lasciateli lavorare», oggi si rende conto di quali siano state le conseguenze delle scelte di Governo e di come esso abbia lavorato male. Oggi si rende conto delle conseguenze di queste leggi, che hanno abbassato la soglia della legalità, che hanno spazzato via regole importanti per la difesa dell'ambiente e dei nostri beni culturali e per la protezione dei deboli. Oggi si rende conto delle conseguenze di una politica economica che ha impoverito le famiglie, che ha reso più fragili e meno competitive le nostre imprese, che ha reso più precario il lavoro dei giovani - quando lo trovano -, che vuole rendere subalterna la funzione pubblica della scuola, del servizio sanitario e, oggi, dell'informazione. Ebbene, credo sia più chiara l'incapacità di questo Governo. Lo hanno dimostrato quei cittadini che, nelle elezioni amministrative, hanno dato la loro fiducia alle maggioranza di centrosinistra.
Tuttavia, c'è un aspetto che dobbiamo valutare anche di più: mi riferisco a quello


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che sta succedendo in questi giorni nel campo del risparmio. Ebbene, il risparmio ha subito certamente duri colpi dalla crisi Cirio, dalla crisi Parmalat e dalla situazione argentina. Oggi non si risparmia non soltanto perché non c'è più la fiducia, ma anche perché non c'è più una parte del reddito da accantonare. Più del 45 per cento degli italiani non ha questa possibilità. Anzi, sono molti gli italiani costretti a ricorrere a ciò che avevano risparmiato per arrivare alla fine del mese. Questa è una situazione di cui forse si può parlare - e lo si fa alle tre di notte -, perché è già stato detto tutto sulla televisione. Credo che si possa dire che questi fatti dimostrano l'insensibilità del Governo che continua ad agire con arroganza, con un'arroganza che cresce sempre di più con il suo indebolimento. Insomma, oggi non sento più le sollecitazioni «lasciateli lavorare». Piuttosto, sento «fermateli!». Stanno portando il paese verso una china pericolosa, come pericoloso è questo provvedimento che mette in discussione un presupposto fondamentale per la nostra democrazia: la libertà di informazione (Applausi dei deputati dei gruppi dei Democratici di sinistra-L'Ulivo e della Margherita, DL-L'Ulivo).

PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto l'onorevole Tonino Loddo. Ne ha facoltà.
Aveva già parlato prima o sbaglio? Mi scuso, si trattava dell'onorevole Santino Loddo. Mi sono confuso. Prego, onorevole Tonino Loddo.

TONINO LODDO. È stata una confusione di nomi.

PRESIDENTE. Delle volte succede. Pensi che delle volte mi chiamano Bondi!

SANDRO BONDI. Non corre quel rischio!

PRESIDENTE. Io tengo alla «i» di differenza!

TONINO LODDO. Signor Presidente, nell'esprimere la mia dichiarazione di voto su questo decreto-legge vorrei anche cercare di spiegare perché il mio voto sarà contrario.
Per fare ciò, voglio riprendere un tema che abbiamo già trattato ampiamente in queste ore e che considero il cuore di tutto il provvedimento.
Il decreto-legge «salva Retequattro» ha recepito, o no, le indicazioni del Presidente della Repubblica contenute nel messaggio di rinvio alle Camere della cosiddetta legge Gasparri?
Cercherò, compatibilmente con la complessità delle questioni, di rispondere nella maniera più semplice e succinta, chiarendo subito, come ho già detto anche stamattina - anzi, sarebbe meglio dire ieri mattina - che la risposta è negativa. Infatti, tanto la Corte costituzionale, con la propria sentenza n. 466 del 2002, che il Capo dello Stato avevano entrambi evidenziato che il termine finale del quasi ventennale regime transitorio in favore di Retequattro non avrebbe dovuto superare il 31 dicembre 2003. A seguito dell'avvenuto superamento, il Presidente Ciampi aveva con forza richiamato l'attenzione sul fatto che l'articolo 25 della cosiddetta legge Gasparri prevedeva che entro tale termine avrebbero dovuto essere attivate reti televisive digitali terrestri, ma che l'accertamento dell'effettivo arricchimento del pluralismo sarebbe avvenuto nei successivi dodici mesi, dovendo all'uopo essere verificati, a cura dell'Autorità per le garanzie nelle comunicazioni, alcuni requisiti quali: la quota di popolazione raggiunta dalle nuove reti digitali; la presenza sul mercato di decoder a prezzi accessibili; infine, l'effettiva offerta al pubblico su tali reti anche di programmi diversi da quelli diffusi dalle reti analogiche. Ebbene, proprio questa procedura, per l'appunto, dimostrava, secondo il Capo dello Stato, che tale articolo 25 poneva in essere «un nuovo regime transitorio», in contrasto con la sentenza della Corte.
Ora, cosa osserviamo in tale decreto? Nulla di quanto richiesto dal Capo dello Stato viene previsto.


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Il decreto «salva Retequattro», trascura innanzitutto tutte le altre censure mosse nel messaggio; con specifico riferimento alla censura relativa all'articolo 25 della legge Gasparri, non esplicita che l'operatività delle reti digitali dovrebbe avere lo scopo di arricchire il pluralismo; richiama, inoltre, nelle premesse, un passo della sentenza n. 466 del 2002 nella quale, in tutt'altro contesto, la Corte citava il comma 7 dell'articolo 3 della legge n. 249 del 1997; prescrive, infine, che, in caso di esito negativo degli accertamenti sull'offerta dei programmi da compiersi entro il 30 aprile 2004, l'Autorità per le garanzie nelle comunicazioni avrebbe dovuto adattare, entro i successivi trenta giorni, i provvedimenti previsti dal comma 7 dell'articolo 2 della legge n. 249 del 1997. Ma, per essere chiari fino in fondo, occorre anche dire che sarà possibile adottare tali provvedimenti solo dopo una complessa istruttoria relativa all'accertamento della posizione dominante e, in caso di esito positivo, saranno finalizzati alla dismissione di aziende o di rami d'azienda che dovrà avvenire non oltre i successivi dodici mesi.
Ne consegue che, ipotizzando un esito negativo di tali accertamenti, Retequattro potrebbe comunque continuare ad operare con impianti analogici terrestri quanto meno per altri 17 mesi dopo la scadenza del termine fissato dalla Corte.
Ma, forse, ciò che tanto ci meraviglia è esattamente il fine perseguito dal decreto-legge: prendere tempo, in attesa che veda la luce la nuova legge di sistema destinata a risolvere tutti i problemi del mero proprietario di Retequattro, che è anche il Capo del Governo.
Resta solo da chiedersi: quale altra mai possa essere la rilevanza concreta della procedura di dismissione, quando il problema pratico non è quello di chiudere Retequattro, ma di farla trasmettere esclusivamente via satellite?
In effetti, non si può non rilevare - e il Governo lo sa bene - che l'esito negativo degli accertamenti può dirsi sicuramente scontato, qualora i medesimi, in coerenza con la sentenza n. 466 del 2002, prendessero in considerazione, come dovevano e dovrebbero, la situazione di fatto esistente al 31 dicembre 2003.
Qualora invece si ipotizzi che la situazione di fatto rilevante sia quella di fine aprile 2004 e che l'Autorità per le garanzie nelle comunicazioni dia una risposta positiva ai tre quesiti, deve però fin d'ora obiettarsi che ciò non sarebbe comunque sufficiente a realizzare anche l'obiettivo fondamentale dell'equilibrata ripartizione delle risorse pubblicitarie tra televisione e stampa, al fine di garantire l'effettivo pluralismo anche in questo settore.
Si pone quindi una seconda questione. Il Capo dello Stato avrebbe potuto rifiutarsi di firmare il decreto-legge? A mio avviso, sì. Il Presidente avrebbe ben potuto non firmare il decreto-legge predisposto dal Governo Berlusconi contrastante con il suo messaggio. Né sarebbe stata la prima volta di rifiuto di firma. I decreti-legge sono infatti adottati dal Governo «sotto la sua responsabilità» - che, come noto, è giuridica, oltre che politica - ma non costituiscono un atto dovuto da parte del Capo dello Stato. L'orientamento della dottrina costituzionalistica sembrerebbe ormai prevalente in questo senso, purché il rifiuto (o, in subordine, il rinvio informale al Governo per una nuova deliberazione) dipenda da motivi non di merito, bensì di legittimità. Nella fattispecie: la violazione, da parte del decreto-legge, di una sentenza della Corte costituzionale e, ancor prima, degli articoli 3, 21 e 41 della Costituzione.
Ma anche accedendo, in via di ipotesi, all'altra tesi, in forza della quale il Presidente della Repubblica potrebbe rifiutarsi di firmare un decreto-legge solo se questo lo coinvolgesse in una fattispecie criminosa di «attentato alla Costituzione», cosa significa, oggi, quella formula? Certamente non significa più, come forse si poteva sostenere in un lontano passato, che per «Costituzione» debba riduttivamente intendersi la decisione politica fondamentale sulla forma di Stato e di governo.
Oggigiorno, l'assetto costituzionale di un ordinamento liberaldemocratico deve infatti ritenersi gravemente compromesso


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anche quando sia profondamente pregiudicato il solo pluralismo dell'informazione televisiva (dalla quale, peraltro, secondo un autorevole istituto di ricerca, il Censis, dipende in via esclusiva un buon 20 per cento degli elettori italiani).
Vi è, infine, una terza ed ultima questione. Cosa sarebbe potuto succedere in conseguenza di un tale ipotetico diniego presidenziale? La risposta è che, al rifiuto del Presidente della Repubblica, sarebbe potuto seguire il caos politico-ministeriale. Mi spiego meglio: dal punto di vista formale-giuridico non vi sarebbe stata alcuna difficoltà. Infatti, a partire dalla mezzanotte del 31 dicembre 2003, Retequattro avrebbe dovuto iniziare a trasmettere esclusivamente via satellite e, conseguentemente, l'eventuale funzionamento di impianti operanti in analogico terrestre avrebbe potuto essere sanzionato penalmente ai sensi dell'articolo 195 del codice postale. Anzi, gli uffici periferici del Ministero delle comunicazioni avrebbero potuto procedere, previa diffida, alla loro disattivazione in via amministrativa.
Ben differente sarebbe stato, naturalmente, lo scenario televisivo-politico-ministeriale. Tutta la forza di fuoco di Mediaset e di Forza Italia si sarebbe concentrata nella delegittimazione del Presidente Ciampi, accusato, quantomeno, di sudditanza al centrosinistra e ai «girotondi». Il Ministero delle comunicazioni sarebbe stato indotto a ordinare agli uffici periferici di non disattivare gli impianti terrestri di Retequattro; i più eccitabili tra i parlamentari di Forza Italia avrebbero immediatamente presentato un disegno di legge per la depenalizzazione delle violazioni dell'articolo 195 del codice postale. E neppure è detto che qualche simpatico buontempone del centrosinistra non avrebbe cercato di pacificare gli animi suggerendo di continuare a far trasmettere a Retequattro, ma rilanciando la proposta, rivolta a Berlusconi, di vendere la rete. Dimenticando però, ancora una volta, che Retequattro, in quanto eccedente il limite massimo di due reti, è priva di concessione e, quindi, non può essere ceduta a terzi, ancorché con l'assenso del Ministero delle comunicazioni. Ciò infatti implicherebbe l'impossibilità, per il ministero, di esercitare il proprio compito istituzionale di riassegnare le frequenze così liberate alle imprese televisive titolari di concessione, ma con insufficiente illuminazione del territorio (o addirittura del tutto prive di frequenze).
Ebbene, è significativo proprio quest'ultimo aspetto, e cioè che il decreto-legge in questione non faccia alcun cenno alla redistribuzione delle frequenze liberate. Ciò infatti evidenzia chiaramente che esso ha l'unico scopo di consentire a Retequattro di operare oltre il termine previsto dalla Corte costituzionale (e comunque di dare a Mediaset il tempo necessario per escogitare qualche altro pretesto tecnologico per un'ulteriore proroga); non quindi lo scopo di recepire le indicazioni del Capo dello Stato.
Questo decreto è, per dirla conclusivamente, un servile omaggio al padrone; per tali ragioni, annuncio il mio voto contrario alla sua conversione in legge (Applausi dei deputati del gruppo della Margherita, DL-L'Ulivo).

PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto l'onorevole Bottino. Ne ha facoltà.

ANGELO BOTTINO. Signor Presidente, è evidente un'anomalia politica italiana, la conflittualità tra il potere politico e gli affari che quest'ultimo gestisce; affari che fanno capo al Presidente del Consiglio e alle sue aziende.
Questo conflitto di interessi è fin troppo evidente. Quando doveva essere risolto, secondo il programma di Governo della maggioranza fissato in campagna elettorale per ottenere il consenso degli elettori, costituiva uno degli obiettivi da raggiungere entro i primi cento giorni dall'insediamento. Questo impegno, come altri sbandierati in campagna elettorale, non è stato mantenuto, anche perché per il Presidente del Consiglio altre sono le intenzioni e le priorità. Sussistono scadenze più urgenti che non possono aspettare e, allora, è bene trascurare o, meglio,


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mettere in lista d'attesa il conflitto, per parlarne successivamente, e risolvere gli altri problemi: la giustizia, intesa come sottrazione ai processi per sé e per i propri amici, gli affari, la televisione, la Borsa.
Peccato che tali problemi, almeno per come intende affrontarli il Governo, non rispondano ad una visione pubblicistica e collettiva, ma privatistica e personale del Presidente del Consiglio, secondo una logica consolidata di tipo aziendale con cui, da quando si è insediato, il Governo ha affrontato i grandi temi del paese: la politica e il potere al servizio dei propri interessi. Peccato! Forse gli italiani speravano in qualcosa di diverso. L'italiano che lavora, che mantiene la famiglia - ora già in difficoltà -, che paga le tasse e contribuisce al sistema, comincia a riflettere: forse tutto ciò che viene con forza evidenziato, con le televisioni e con i giornali, dal premier inizia ad essere poco credibile e la gente comune, che fa fatica a raggiungere fine mese, si comincia ad interrogare.
I grandi problemi che affliggono il paese - che esistono e sono sotto gli occhi di tutti, nonostante l'intensa campagna mediatica di ottimismo forzato cui siamo sottoposti quotidianamente dagli organi di stampa, sempre di proprietà del premier, e da quelli da lui, comunque, controllati in una sorta di lavaggio collettivo del cervello - non sono stati risolti, oppure sono stati addebitati al precedente Governo di centrosinistra, che avrà avuto pure qualche pecca, ma non potrà essere considerato responsabile in eterno dei mali che affliggono l'Italia. Dopotutto, si presume che coloro i quali siedono ai banchi della maggioranza e del Governo siano politici in grado di intendere e di volere - così almeno si sono proposti agli elettori - e, quindi, di agire di conseguenza, e non soggetti bisognosi di una qualche forma di tutela che li assista nei processi decisionali e comportamentali. Il tema urgente di questi giorni è la cosiddetta legge Gasparri, che era stata approvata il 2 dicembre 2003. Naturalmente, l'obiettivo perseguito dalla maggioranza, lungi dal voler disciplinare il sistema delle telecomunicazioni in modo razionale e coerente con quanto già vige nei paesi democratici occidentali - compresi gli Stati Uniti d'America, a cui l'attuale Governo è pronto a richiamarsi come modello esemplare di democrazia, purtroppo solo per gli aspetti più convenienti ai propri interessi di bottega -, è quello di salvare Retequattro, cara, per ovvi motivi, al Presidente del Consiglio e a qualche suo amico, devo dire molto fedele alla sua famiglia e alla sua azienda.
Mi pare che in poco tempo il delta positivo a livello di utili sulla pubblicità abbia raggiunto una buona ed interessante performance sul fatturato. Sta di fatto che, purtroppo per il Presidente del Consiglio, il Presidente della Repubblica - che è il primo garante della legittimità costituzionale dei provvedimenti varati dal Governo - ha attivato il primo livello di allarme, sollevando dubbi sul contenuto del provvedimento, preoccupazione condivisa in parte anche da vasti settori della maggioranza. Il Presidente della Repubblica ha sollevato dei dubbi, forse, perché il sistema integrato delle comunicazioni, così com'è stato concepito, consolida ed anzi amplifica il rischio di posizioni dominanti, peraltro già esistenti nel controllo dell'informazione. Il provvedimento era definito un tentativo di aggirare la sentenza della Corte costituzionale che stabiliva la data del 31 dicembre 2003 come termine ultimo oltre il quale Retequattro sarebbe dovuta andare sul satellite.
Naturalmente, il Presidente del Consiglio dei ministri ha provveduto a firmare un decreto-legge che riguarda direttamente le sue proprietà e i suoi interessi, sempre in un'evidente conflitto di interessi: basti pensare ai ricavi in materia di entrate pubblicitarie che questo provvedimento gli garantisce e gli ha garantito. Ciò, peraltro, perfettamente in linea con quanto fatto fino ad oggi; e per cui, probabilmente, questo Governo verrà ricordato: per la legge Cirami, il lodo Schifani, l'abolizione delle imposte sulle successioni, la depenalizzazione del falso in bilancio, le rogatorie internazionali e chi


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più ne ha più ne metta: tutti provvedimenti non certo ispirati ai principi di libertà e di democrazia, cui anche nel nome la maggioranza si richiama.
Anzi, è stupefacente come alcune forze della maggioranza, che pure non nascondono la loro matrice rispettosa dello Stato, inteso come res publica e la loro vocazione moderata, accettino supinamente un provvedimento non solo a rischio di incostituzionalità, ma altresì lontano da qualsivoglia modello di democrazia occidentale. Il rischio, per citare un articolo di padre Sorge sull'ultimo numero di Aggiornamenti Sociali, è quello di una dittatura della maggioranza, caratterizzata dall'idea della sovranità arbitraria, che può fissare le regole a suo piacimento. Rispetto al decreto in esame bisogna, quindi, porsi anche dai banchi della maggioranza con grande senso di responsabilità, auspicandone sostanziali correttivi. Gli ordini del giorno presentati ne erano la prova, ma tutto questo non è stato possibile. Si va avanti con la speranza che presto gli interessi degli italiani emergano sull'interesse degli affari del Presidente e dei suoi amici.
Per tali motivi, dichiaro il mio voto contrario sul provvedimento in esame (Applausi dei deputati dei gruppi della Margherita, DL-L'Ulivo e dei Democratici di sinistra-L'Ulivo).

PRESIDENTE. Ha chiesto parlare per dichiarazione di voto l'onorevole Franci. Ne ha facoltà.

CLAUDIO FRANCI. Il decreto-legge che, dopo questa lunga maratona, la maggioranza di Governo si appresterà ad approvare nelle prossime ore si è reso necessario dopo il rinvio alle Camere della legge Gasparri da parte del Presidente della Repubblica. A mio avviso, tre sono le questioni più rilevanti contenute nel messaggio del Presidente Ciampi. In primo luogo, la cessazione del regime transitorio posto dalla sentenza della Corte costituzionale n. 466 del 2002. In secondo luogo, la concentrazione delle risorse finanziarie del SIC, che, ampliando la platea di riferimento, favorisce il consolidamento del duopolio televisivo. In terzo luogo, la raccolta pubblicitaria nel rapporto tra televisione e carta stampata, che grande preoccupazione ha suscitato nel mondo giornalistico e negli editori.
Le ultime due questioni sono tornate all'esame del Parlamento e lo scontro, che ormai non fa più notizia, interno alla maggioranza ne ha rinviato l'esame in Commissione per approfondimenti. Invece, il primo punto è quello affrontato dal decreto-legge in esame, che stabilisce entro il 30 aprile 2004 i tempi entro i quali l'Autorità garante svolgerà l'esame dell'offerta dei programmi, chiudendo così la fase del regime transitorio. Tuttavia, senza questo decreto, Retequattro e l'impero Mediaset avrebbero dovuto adeguarsi alle norme antitrust e alla sentenza emanata dalla suprema Corte, che obbligavano le trasmissioni via satellite per questa emittente televisiva, consentendo, fra l'altro, di mettere a disposizione di Europa 7 le frequenze televisive a suo tempo assegnatele. Dunque, parlare di un decreto salva Retequattro e di un decreto che tutela gli interessi del Presidente Berlusconi e della sua famiglia risponde alla pura e semplice verità. Non ci sono menzogne e in questo caso non vale l'affermazione di Goebbels - una bugia ripetuta tante volte diventa verità -, non c'è il ricorso dei comunisti alla menzogna. Esiste ed è sotto agli occhi di tutti un dato oggettivo: un conflitto di interessi che appare sempre più spesso e che mette a repentaglio la credibilità delle istituzioni e del paese.
Ma c'è di più. Le modifiche introdotte al decreto-legge dal Senato tendono a renderlo più fumoso e meno applicabile. Infatti, cosa significano le parole «accertare contestualmente, anche tenendo conto delle tendenze in atto nel mercato»? Oppure, riferendosi alla quota di popolazione, cambiare la parola «servita» con «coperta»? Più si annacquano le norme e più facile sarà trovare le scappatoie. Questa è la sostanza delle modifiche: dare altri quattro mesi di proroga e, poi, vedere quali altri escamotage si possono trovare


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affinché non si arrechino dispiaceri, come direbbe l'onorevole Biondi, al Presidente e alla sua famiglia.
È di fronte a tanto spregio delle norme liberali che dovrebbero tutelare la libera concorrenza e il mercato, è di fronte al fastidio manifestato nel rapporto con le istituzioni democratiche, vissuto come intralcio al perseguimento dei propri obiettivi e tornaconti, che mi ha fatto un certo effetto ascoltare ieri sera le parole del Presidente sulla politica e sui suoi rappresentanti e il disprezzo contenuto in quelle dichiarazioni. Ma costoro cosa hanno fatto nella vita? Cosa sanno fare? Certo molti di loro non hanno goduto delle compiacenze e dei favori di colui che ha potuto nel tempo disporre. In pochi in un solo colpo sono riusciti a portare a casa qualcosa come 165 miliardi, come dicono che valga questo decreto su base annua, oltre alla lievitazione delle azioni.
Veda, signor Presidente, questo nostro bel paese, creativo, con un sistema di democrazia giovane ma fortemente radicata nella coscienza dei territori, non si farà sbaraccare da chi pensa che il proprio interesse coincida con gli interessi di tutti, anche se i comportamenti possono arrecare - e già lo stanno facendo, a mio avviso - danni enormi. I continui conflitti aperti con la Corte occupata dai comunisti, con la Presidenza della Repubblica, con la Banca d'Italia e il sistema bancario, con la magistratura, nonché la lesione dei principi del pluralismo, l'oscuramento di chi la pensa diversamente e il disprezzo dell'avversario politico stanno generando nel paese un'inquietudine ed una seria preoccupazione per la tenuta del sistema democratico. Non mi pare che il solo vincere le elezioni possa giustificare tutto ciò in nome del voto popolare. Se non sbaglio, anche Gesù dietro plebiscito fu messo sulla croce e Barabba liberato. Non credo che questa possa essere la cultura di un Governo di un paese moderno ed occidentale. So bene però quanto sia urgente oggi un processo di riforme nel paese, ma riformare non significa distruggere.
Ed allora se pensiamo a un paese moderno e competitivo non possiamo non comprendere l'importanza che assume il sistema radiotelevisivo e dell'informazione. Garantire un sistema plurale ove più soggetti possano proporsi, garantire la sopravvivenza della carta stampata e dell'editoria, garantire l'espressione di più voci è condizione per una democrazia forte e competitiva, così come condizione per un sistema competitivo e solido è la coesione sociale, la solidarietà fra bisogni, fra generazioni, fra classi sociali. Non è forse il sistema di tassazione che rende possibile tutto ciò? Prima di elevare e promuovere moralmente, di portare ad esempio chi evade le tasse dovrebbe dirci come affrontare le emergenze del paese e con quali risorse. La sanità, la ricerca, l'università, la scuola, la competitività delle imprese e delle infrastrutture: è attorno a questo che si è aperta la sfida del futuro. Le promesse dei miracoli sono finite. A volte penso al miracolo delle nozze di Cana e mi verrebbe da dire che la rete dei pesci si è rotta ed i pesci hanno preso il largo; per quanto riguarda il pane, non c'è più legna per cuocerlo nel forno.
Questa è purtroppo la realtà di fronte alla quale siamo e con cui occorre fare i conti. È a questa sfida che noi siamo pronti. Anche in questi giorni abbiamo cercato di farci carico delle esigenze di modernizzazione del paese. Sentiamo su di noi l'impegno per la difesa di irrinunciabili principi di libertà, di giustizia, di pluralismo. Ed è per dare voce a quel paese che non si rassegna, che vuole contrastare l'evidente declino che oggi viviamo sulla pelle, che abbiamo con determinazione combattuto questa battaglia di libertà contro un decreto che da molti è stato definito la truffa di Natale.

PRESIDENTE: Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto l'onorevole Olivieri. Ne ha facoltà.

LUIGI OLIVIERI. Presidente e colleghi, la nostra attività si trascina ormai da alcuni giorni e, per quanto mi concerne, ho già avuto modo di intervenire nel corso


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della conversione del decreto-legge n. 352 del 2003, recante definitiva cessazione del regime transitorio della legge 249 del 1997, già approvato al Senato con modifiche. Sia quando ho illustrato un ordine del giorno, sia nella dichiarazione di voto mi sono proposto di svolgere alcune riflessioni che dessero il senso di quanto stavamo facendo e soprattutto il senso del perché della nostra opposizione o, meglio, del perché la maggioranza e il Governo abbiano, in maniera inaspettata per alcuni aspetti, posto la questione di fiducia su un decreto-legge cui erano riferiti poco più di settanta emendamenti, alcuni dei quali sicuramente migliorativi del testo, e quindi del perché il Governo e la maggioranza abbiano voluto, benché non vi fossero motivi neppure numerici, troncare qualsiasi possibilità di discussione, non facendo sapere al paese reale - quello vero, non quello che ci racconta il Presidente Berlusconi nelle sue apparizioni televisive - quanto stava succedendo.
Nel corso dell'illustrazione dell'ordine del giorno mi ero permesso di richiamare una dichiarazione, che è agli atti del resoconto stenografico della giornata di lunedì, in cui si è svolta la discussione generale, con la quale il sottosegretario di Stato per le comunicazioni, Giancarlo Innocenzi, ci rendeva nota la sua concezione del pluralismo, da intendersi, secondo lui, come possibilità di una varietà di voci differenti tra loro per impostazione ideologica. Mi è tornato alla mente questo episodio, leggendo alcuni minuti fa l'articolo di fondo di oggi del Corriere della Sera, a firma di Giovanni Sartori che, proprio per evidenziare la mancanza di pluralismo informativo in Italia, ricorda il caso emblematico di quando il nostro Presidente del Consiglio ha parlato alle Nazioni Unite durante il semestre di presidenza italiana dell'Unione Europea. In quel caso i nostri mezzi televisivi ci hanno trasmesso una sala piena ed assolutamente disponibile verso il Presidente, coperto da applausi scroscianti. Ma quello era un falso, un falso facilmente identificabile. Non si trattava altro che di un fotomontaggio, realizzato usando l'intervento fatto poco prima dal Segretario generale dell'ONU. Si trattava quindi di una alterazione vergognosa di una situazione che, guarda caso, sulle sei reti televisive tutti gli italiani hanno potuto vedere. Quindi siamo stati indotti a credere che in quel momento il nostro Presidente del Consiglio fosse osannato nel corso di questo suo intervento alle Nazioni Unite ed invece stavamo assistendo ad un falso vero e proprio. È questa forse la democrazia, il pluralismo cui pensa il sottosegretario Innocenzi?
L'altra riflessione che ho fatto durante la dichiarazione di voto sull'ordine del giorno era riferita ai considerata anteposti al decreto-legge al nostro esame.
Quello che poi balza agli occhi e che stride con l'evidente realtà dei fatti, è il richiamo che viene fatto alla possibilità, data secondo il Governo, secondo la sentenza della Corte costituzionale (la famosa sentenza n.466 del 20 novembre 2002), di margini di intervento del legislatore per determinare le modalità di definitiva cessazione del regime transitorio, riportato al comma 7, articolo 3 della legge n. 249 del 1997.
Perché stride in modo evidente questa asserzione? Per il semplice motivo che la maggioranza e il Governo non hanno mai avuto, da quando sono in carica - purtroppo per noi italiani, dal 2001 - la benché minima volontà di intervenire per porre termine in modo chiaro ed inequivocabile ad una situazione di illegalità.
Quindi si va a riportare in un considerata, che anticipa poi il decreto-legge, una vera e propria menzogna. Ma le cose stanno ancor peggio, signor Presidente e mi rendo conto che disquisire in termini di legge alle 3.45 del mattino sia una cosa abbastanza difficile.
Perché - lei è un uomo di legge e vanta una lunga esperienza parlamentare che le riconosco - noi non abbiamo avuto neppure la possibilità di vedere approvato quel blando provvedimento definito «norme in materia di risoluzione dei conflitti di interesse», che era stato presentato, con grande clamore, dal Presidente del Consiglio


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e che doveva essere definito nei primi 100 giorni della sua avventura politica di Governo del paese.
Ebbene, quella norma, forse è opportuno ricordarlo affinché rimanga anche ai nostri atti, è stata discussa e approvata dalla Camera il 28 febbraio 2002. È stata quindi inviata al Senato il 4 luglio 2002, il quale ha definito poi il proprio calendario dei lavori. Dopo che la Commissione affari costituzionali del Senato ha ultimato il proprio esame, questa norma attende di proseguire nel suo iter dal 1o ottobre 2003 e non, come ha affermato qualcuno, sbagliando i calcoli, da 131 giorni: è da 141 giorni lì, ferma, pronta! Benché i colleghi senatori dell'opposizione abbiano più volte insistito con il Presidente Pera, non sono riusciti a far inserire il provvedimento all'ordine del giorno del Senato per l'approvazione definitiva.
Per quale motivo quest'insieme di norme in materia di risoluzione dei conflitti di interesse non è stato approvato dal nostro sistema parlamentare?
I motivi sono molto, molto semplici e sono stati succintamente richiamati già nella giornata di ieri dal mio capogruppo Luciano Violante e anche dal capogruppo della Margherita, Castagnetti.
Vi sono due norme molto chiare e molto evidenti che avrebbero reso inutile questa nostra discussione e che avrebbero impedito che questo decreto vedesse la luce! Basterebbe leggere de plano l'articolo 3 di quel disegno di legge e l'articolo 6 per capire che entrambi questi due articoli avrebbero impedito a questo decreto di venire emanato.
La sintesi è molto semplice: quando un Governo, una maggioranza, arriva al punto di strumentalizzare gli istituti della democrazia parlamentare per gli interessi privati e di parte, non si può che avere questa situazione di contrapposizione!
È per questi motivi - e tanti altri che si potrebbero elencare avendo più tempo a disposizione - che i democratici di sinistra - e ovviamente chi vi parla - voteranno convintamente contro la conversione di questo decreto-legge (Applausi dei deputati del gruppo dei Democratici di sinistra-L'Ulivo)!

PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto l'onorevole Gambini. Ne ha facoltà.

SERGIO GAMBINI. Trovo un risvolto in qualche modo strano e paradossale nella sfida che il Governo ha lanciato al Parlamento attraverso la posizione della questione di fiducia su questo decreto.
Il paradosso è che viene inverata in modo estremo, in qualche modo estremista, una delle suggestioni che maggiormente - probabilmente - hanno avuto successo nel corso della campagna elettorale del 2001 che ha portato alla vittoria la Casa delle libertà e al successo dell'onorevole Berlusconi: è l'idea che la cultura dell'impresa, quella che è incarnata dall'imprenditore di successo, potesse in qualche modo essere utile, arricchire, rendere più efficienti, essere capace di rispondere alle esigenze del paese e delle istituzioni della nostra Repubblica.
Ciò avviene, cioè l'inveramento un po' estremo e un po' estremista di questo principio, in un momento in cui la cultura dell'impresa nel nostro paese è di fronte a grandi interrogativi, che vengono messi in luce da crisi come quella della Parmalat o della Cirio e nel momento in cui la politica dell'impresa, invece, proclama un clamoroso fallimento proprio per l'inconsistenza e l'insufficienza delle iniziative, delle proposte e delle politiche che questo Governo ha condotto a sostegno del sistema industriale e produttivo del nostro paese.
Questa sfida in qualche modo invera quei principi che erano presenti nella campagna elettorale perché, attraverso questo provvedimento, si sostengono in primo luogo un'impresa, gli interessi di un'impresa concreta.
È questa la cosa che maggiormente salta all'occhio e che in qualche modo è stata denunciata e affrontata in tanti interventi dei miei colleghi che mi hanno preceduto e sarà trattata anche nei tanti interventi che seguiranno al mio. Ma c'è


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anche un'idea che consiste nel mettere al Parlamento la frusta, nel costringerlo a superare quella funzione essenziale che esso ha di confronto e di discussione, di costruzione di un percorso legislativo attraverso la dialettica delle parti e la mediazione - necessaria - e il riconoscimento della verità che esiste nelle posizioni che in esso si confrontano.
Si è voluto richiamare questo Parlamento ad un ordine gerarchico, ad un'imposizione che fa premio dell'efficienza, mentre questo decreto avrebbe potuto essere approvato prima, ma si è voluto ricorrere a questa prova di forza, a questa logica, all'estremizzazione di quel principio consistente nel fare funzionare anche le istituzioni come un'impresa.
Ciò avviene nel momento in cui quell'Italia che aveva confidato in Berlusconi, che gli aveva affidato la propria fiducia, l'Italia delle partite IVA e delle imprese (io provengo da una provincia nella quale c'è un impresa ogni 7 abitanti), quel mondo (ed anche una regione come la mia, che ha concesso grande fiducia tradizionalmente alle sinistre), il mondo dell'impresa, ha voluto credere nella campagna del 2001, in quel messaggio di Silvio Berlusconi, perché dopo essersi affidati al centrosinistra e a Prodi per raggiungere l'Europa, si voleva ora poter credere nel messaggio di una maggiore efficienza, di una maggiore capacità di superare i riti e le divisioni della politica, che in qualche modo avevano segnato anche l'ultima esperienza del Governo di centrosinistra. Quel mondo oggi invece è profondamente deluso.
Quel mondo lì, dopo tre anni di Governo Berlusconi, ha cominciato a fare i conti delle proprie illusioni e della propria volontà di credere in quel messaggio. Basta guardarlo. A me è capitato di ascoltare una recente audizione del presidente della Confindustria, D'Amato, presso la Commissione attività produttive, qui alla Camera dei deputati, che ha dovuto ammettere - lo ha detto molto candidamente - che la politica industriale di questo Governo è il vuoto pneumatico. Non era Epifani della CGIL, era il presidente della Confindustria, quello che ha sostenuto, per anni, anche l'aspetto più aggressivo della politica contro il sindacato avanzata da parte di questo Governo.
Ho ascoltato il presidente dell'Antitrust che ci ha descritto la distanza, sempre maggiore, che ci allontana dagli altri paesi nostri competitori nel continente europeo. Noi abbiamo aumentato, negli ultimi tre anni, di tre o quattro volte il costo dei servizi finanziari, dei servizi bancari, dei servizi assicurativi rispetto agli altri paesi europei; abbiamo visto aumentare, anche in questo caso, di tre o quattro volte il costo dell'energia rispetto a quei paesi. È questo che allontana l'Italia dalla competizione europea, è questo che getta fuoco sull'incendio dell'inflazione. Altro che buttare la croce sui commercianti! Sono le mancate liberalizzazioni, la mancata capacità di affrontare questi nodi che riduce la competitività del nostro paese.
Ci siamo sentiti ricordare quanto sia ridotta al lumicino la spesa per la ricerca e l'innovazione nel nostro paese e quanto le imprese abbiano pagato la mancanza, non solo di una innovazione di processo, ma di una innovazione di prodotto, che è il sintomo più evidente del declino di fronte al quale si trova il sistema produttivo del nostro paese. Abbiamo appreso, soltanto recentemente - questa è la notizia che diventerà dirompente nel corso delle prossime settimane - quale sia la fine del sistema di incentivazione nei confronti delle imprese italiane: i trasferimenti alle regioni sono stati congelati perché il Governo si è dimenticato di prorogare il termine del 1o gennaio 2004, data entro la quale quei trasferimenti terminavano perché avrebbero dovuto essere sostituiti dalla compartecipazione all'IRPEF ed alle altre imposizioni. Il relativo provvedimento avrebbe dovuto essere adottato entro il 30 giugno 2003 ed invece non lo è stato. Ciò, oggi, azzera tutte le risorse destinate alla incentivazione del sistema imprenditoriale del nostro paese; ciò significa mancanza di certezze, impossibilità di pensare ai bilanci futuri, impossibilità di guardare a scelte in direzione dell'innovazione e della ricerca; ciò allontana, ancora di più, il nostro sistema


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produttivo dall'Europa nel momento in cui più pressanti e più stringenti si fanno la competizione e le sfide dell'internazionalizzazione della nostra economia.
Credo che questa nostra battaglia di opposizione, così irrituale e nuova (sto pensando agli ultimi anni), abbia proprio l'intento di portare allo scoperto questo elemento: mentre si vogliono piegare le istituzioni alla logica di impresa, alla cattiva logica di impresa, proprio in questo momento noi segnaliamo, invece, i problemi del paese: la mancanza di una politica per l'impresa ed il suo clamoroso fallimento (Applausi dei deputati del gruppo dei Democratici di sinistra-L'Ulivo).

PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto l'onorevole Preda. Ne ha facoltà.

PRESIDENZA DEL VICEPRESIDENTE FABIO MUSSI (ore 4,05)

ALDO PREDA. Signor Presidente, noi diciamo un «no» fermo, deciso a questo provvedimento. Questo è un provvedimento inaccettabile, confuso, impreciso, non definito. Questo è un provvedimento ambiguo che sarà fonte di ricorsi e contenziosi; è anticostituzionale e darà lavoro agli avvocati del nostro paese. Questo è un provvedimento che non rispetta il messaggio inviato alle Camere dal Capo dello Stato. Questo è un provvedimento che ha suscitato sconcerto nella federazione nazionale della stampa. Questo è un provvedimento che rappresenta uno strappo grave, senza precedenti, alla democrazia, al pluralismo; uno strappo al diritto di sapere dei cittadini e della gente, perché credo la conoscenza sia la condizione necessaria alla creazione di un mondo più giusto, in cui giustizia e solidarietà possano prevalere.
I parlamentari della maggioranza hanno dovuto chinare il capo davanti al Presidente del Consiglio che è anche il capo della maggioranza, che è il capo di Mediaset, che è il primo beneficiato da questo provvedimento. È il capo della vostra maggioranza che ritiene morale questa legge, che ritiene morale che vengano evasi gli obblighi fiscali quando la pressione fiscale supera certi limiti - siamo alle recentissime dichiarazioni - che attacca la magistratura perché non china il capo, che divide, secondo criteri partitici, i giudici della Corte costituzionale e chiama il popolo contro di essa e con questo continuo richiamo al popolo, agli elettori, si fa portatore di un populismo carismatico supportato dai suoi media. È il capo della vostra maggioranza, colleghi della maggioranza, che fa confusione tra bene comune, bene privato e bene personale delle sue aziende. È il capo della vostra maggioranza che aveva promesso, in campagna elettorale, di risolvere il problema del conflitto di interessi entro i primi 100 giorni di Governo con un'apposita legge. È forse questa la legge? Sono passati 1000 giorni dall'insediamento, ma il vuoto legislativo continua. Nel frattempo il conflitto, con lui, è stato prodotto e sta producendo guai grossi all'economia, alla giustizia, alla democrazia, al pluralismo comunicativo.
Ma andiamo a vedere la situazione del paese reale, la povertà del paese reale, l'intreccio tra crisi economica e aumento generalizzato dei prezzi; i ceti medi che sono diventati medio-bassi; i ceti bassi che sono diventati più bassi; i ceti miseri che sono diventati più miseri. Non basta più fare il giro tra le bancarelle dei mercati e vedere il prezzo più vantaggioso come fa la mamma di Berlusconi. E poi la scuola pubblica è a pezzetti e ci sono le proteste di studenti e di genitori; poi la sanità è allo sfascio; poi la protesta si allarga, piano piano, nel paese. E allora, si tratta di chiedersi, veramente, colleghi della maggioranza, dove siete? Non basta più, non ci basta più il voto segreto per dire che ci siete. Forse ci siete solo durante i voti segreti. Non siete anche voi preoccupati? Noi siamo fortemente preoccupati, siamo fortemente preoccupati del potere economico e del potere politico mescolati tra di loro e confusi tra di loro nelle stesse mani; siamo preoccupati per la manipolazione del consenso che state perseguendo per far


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scomparire la realtà di un paese sempre più povero, per le condizioni dei lavoratori, per le classi più deboli, più misere, per le nuove e vecchie povertà.
C'è una recente indagine, pubblicata da Eurispes, che esamina le povertà dei vari settori produttivi del paese. Ne cito solamente tre: il 26 per cento del settore agricolo, il 15 per cento dell'industria ed il 10 per cento del commercio non raggiungono i 7.500 euro di reddito. Questo è lo stato del paese. Questa è la crisi - forse si può parlare di fallimento - che stanno attraversando alcuni gruppi industriali del nostro paese con una ricaduta negativa sull'immagine dell'Italia, sulle produzioni italiane, sui lavoratori e sui risparmiatori.
Non siete preoccupati, colleghi della maggioranza, del messaggio culturale che volete far passare nel paese? Dico una battuta che ha, però, un significato profondo: sta diventando un valore il decoder; accanto al telefonino, esso sta diventando un valore necessario ed indispensabile da acquistare e da agevolare, prima delle numerose e varie necessità che hanno le famiglie e la gente nel nostro paese.
Non siete anche voi preoccupati del messaggio che la politica dà al paese? Ma che cos'è la politica se non intelligenza degli avvenimenti, capacità di elaborazione e di decisione, impegno di fedeltà ai valori veri della gente, strumento per costruire «la città dell'uomo»? Perché non volete capire, colleghi della maggioranza, la speculazione che c'è tra questi grandi fili della politica e la piattezza, la modestia, la carenza della vostra azione politica e di Governo?
State creando una soluzione irreale ed inquietante. State dando un'immagine del paese alla Beautiful, il paese delle interviste del Presidente Berlusconi a Porta a porta, il paese omologato ai vostri modelli, privi di valori, quindi un paese privo e povero di valori. Questo ci inquieta e su questo ci interroghiamo, al di là di qualsiasi provvedimento di legge o di qualsiasi vostra dichiarazione.
Siamo inquieti perché questo materialismo reale che sta venendo avanti rischia di provocare gravi danni nella nostra società per l'omologazione che, attraverso i media, volete fare del nostro paese. Siamo preoccupati perché rinnegate i grandi valori della nostra Costituzione, la quale ha rappresentato un momento di incontro tra le culture delle grandi forze popolari del nostro paese.
Siamo preoccupati perché volete limitare la libertà di opinione e la concorrenza, perché rischiate di far cadere la politica e farla cadere è grave, perché, senza politica, tutto rischia di cadere sotto la legge del più forte, che è una legge iniqua. Siamo preoccupati perché qui si stanno perseguendo traguardi di ricchezza per pochi e traguardi di potere di una parte o di un solo padrone.
Avete posto la fiducia non per motivi tecnici - emendamenti, tempi di discussione, scadenze, problemi che, forse, c'erano - ma per una ragione ben precisa: avete voluto blindare le coscienze dei parlamentari della maggioranza in caso di voto segreto. D'altra parte, nella storia recente di questo Parlamento, ogni volta che questa maggioranza affronta il voto segreto ha problemi e rischia di andare sotto. Molte volte si perde o si salva per un voto o due.
Avete voluto forzare, aggirando la sentenza della Corte costituzionale, attraverso la vostra legislazione creativa, ed il messaggio del Presidente della Repubblica, preoccupato del valore del pluralismo dell'informazione. Avete voluto forzare perché ve lo ha imposto il Presidente del Consiglio, il capo della vostra maggioranza, che è il padrone di Retequattro. Avete voluto forzare, perché era necessario che il Presidente del Consiglio si garantisse da voi e garantisse se stesso.
Credo che questo Presidente del Consiglio non riesca a distogliere i suoi traguardi di ricchezza dall'azione politica. Avete voluto dettare la linea al Parlamento, un Parlamento che, secondo il Presidente del Consiglio, ha altro da fare che discutere la legge su «salva Retequattro» ed aggiunge: «Non vedo questo scandalo. Tutto avviene contro la volontà del popolo». Queste sono le sue parole ed il modo con cui intende la democrazia parlamentare.


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Il Parlamento è un intralcio, una perdita di tempo. «Ho altro da fare», il Parlamento deve fare altre cose, è un inutile intralcio per il Presidente del Consiglio, un rallentamento dei processi decisionali, è un'istituzione scomoda, superflua. Bisogna appellarsi direttamente al popolo, saltando il Parlamento e la Corte costituzionale. Eravamo stupefatti ed oggi siamo fortemente preoccupati.
Berlusconi si compiace sempre dei suoi capolavori e questa legge è un suo capolavoro, ma, colleghi della maggioranza, è anche un vostro capolavoro (Applausi dei deputati dei gruppi dei Democratici di sinistra-L'Ulivo e della Margherita, DL-L'Ulivo).

PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto l'onorevole Mosella. Ne ha facoltà.

DONATO RENATO MOSELLA. Onorevoli colleghi e colleghe, rappresentanti del Governo, prendo la parola per annunciare il voto contrario mio e del gruppo parlamentare cui appartengo all'approvazione del disegno di legge di conversione del decreto-legge n. 352 del 2003.
Vede, signor Presidente, tra poche ore, l'Italia si desterà dal meritato riposo notturno e milioni di cittadini si metteranno in movimento, ciascuno attivando le proprie energie, per impegnarsi nel settore di attività che gli compete e, così, migliorare la propria condizione di vita e, di conseguenza, quella generale del paese. Questa legittima aspirazione è sempre più difficile da perseguire.
Non è un mistero per nessuno che le cose non vanno bene. Lo abbiamo ascoltato da autorevoli colleghi. Migliaia di famiglie non ce la fanno più ad arrivare a fine mese e le previsioni, anche quelle più ottimistiche, avvertono che ci attende un periodo ancora più duro. Gli italiani, anche quelli che a suo tempo hanno accordato la loro fiducia all'attuale maggioranza, guardano con crescente preoccupazione, disagio ed indignazione alle scelte di un Governo che appare più interessato a tutelare gli interessi del Presidente del Consiglio che quelli della collettività; quel Presidente del Consiglio che sta disattendendo, una dopo l'altra, le promesse fatte agli italiani, e non sembra curarsene più di tanto, impegnato, com'è, ad attaccare le istituzioni che pure rappresenta, la magistratura, le istituzioni europee, il Quirinale, fino alla Corte costituzionale, rea di essere guidata da una maggioranza di centrosinistra e, perciò, capace di agire addirittura contro la volontà del popolo sovrano.
Tutto ciò perché la Consulta, con la sentenza n. 46 del 2002, aveva stabilito che Retequattro dovesse andare sul satellite entro il 31 dicembre 2003. Ciò che maggiormente inquieta la parte del paese più attenta e sensibile al bene comune e, con essa, una parte di quest'aula, è che il Capo del Governo stia minando le fondamenta stesse di uno Stato democratico. Ieri la giustizia, oggi l'informazione, e domani, che cosa? Ciò che sta accadendo non rappresenta solo un problema nell'opposizione parlamentare ma per tutto il paese reale.
Mi servo di un racconto che ho ascoltato dalla viva voce del premio Nobel per la letteratura, Josè Saramago, che costituisce un importante spunto di riflessione ma anche un ulteriore stimolo all'azione politica per ciascuno di noi.
Un giorno di molti secoli fa, gli abitanti di un borgo nei dintorni di Firenze furono distolti dalle proprie occupazioni quotidiane dai rintocchi della campana del paese che suonava a morto; fatto assai strano perché nessuno di loro si trovava in punto di morte. Tutti accorsero sul sagrato della chiesa, per sapere chi avrebbero dovuto piangere. Un contadino, uscendo dal portone, chiarì che non era morto nessuno che avesse sembianze umane e spiegò ai suoi compaesani sconcertati: «ho suonato a morte per la giustizia, perché la giustizia è morta».
Da tempo, infatti, un nobile del posto aveva iniziato a spostare, progressivamente, le pietre di confine della sua terra, occupando il campo del contadino che si riduceva sempre più. Il contadino si rivolse all'autorità per chiedere giustizia,


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senza ottenere alcun risultato. Fu allora che decise di annunziare ai propri compaesani la morte della giustizia, perché si trattava di un lutto che riguardava non solo lui, ma tutti loro e l'umanità intera, che era giusto e naturale partecipasse al suo dolore.
Cari colleghi, ogni provvedimento che il centrodestra impone al paese come urgente e indispensabile quando è tale solo per gli interessi personali del Presidente del Consiglio, si configura come una violazione del diritto che fa suonare la campana della giustizia per ciascuno di noi. Da anni, ormai, assistiamo alla progressiva erosione dei diritti dei cittadini sanciti dalla Costituzione. Oggi si recita l'ennesimo atto di tale tragicommedia.
All'articolo 21, la Costituzione recita: «Tutti hanno diritto di manifestare liberamente e il proprio pensiero, con la parola, lo scritto e ogni altro mezzo di diffusione». Sappiamo tutti che, affinché ciò sia possibile, è necessario garantire il pluralismo e l'imparzialità dell'informazione, senza i quali, come ha ricordato il Capo dello Stato, non c'è democrazia.
Il Parlamento, invece di garantire il diritto ad un'informazione plurale ed imparziale per tutti cittadini, è costretto ad assicurare agli italiani il diritto di ascoltare il TG 4 di Emilio Fede, che, quanto a pluralismo ed imparzialità, ha fatto scuola (in senso negativo, ovviamente)!
Non voglio, tuttavia, essere accusato di qualunquismo. Pertanto, intendo richiamare la vostra attenzione sulle perplessità avanzate dal presidente dell'Autorità per le garanzie nelle comunicazioni, Enzo Cheli, augurandomi che, almeno lui, possa essere esentato dall'accusa di essere un cospirato del centrosinistra.
Come sapete, il presidente Cheli ha chiesto di definire e chiarire i compiti che questo decreto-legge gli affida, temendo di non essere nelle condizioni di poterli espletare, in soli quattro mesi. Ponendo la fiducia, ci avete impedito di andare incontro alle legittime richieste di Enzo Cheli.
Questo sarebbe il dialogo costruttivo all'interno del Parlamento e con gli organi di garanzia e di controllo, tanto sbandierato, ultimamente, dal centrodestra?
Ciò come se non bastassero le lacerazioni che avete già inferto al paese e che preoccupano, non poco, tante realtà vitali dell'Italia: quella tra corpi dello Stato e politica, con la magistratura soprattutto; quella delle famiglie, che vivono un disagio crescente; quella tra maggioranza e opposizione, che mai come in questo momento, è arrivata ad un livello così alto di degrado; quella tra categorie economiche e sociali; quella geografica, tra nord e sud del paese. Ora voi non vi peritate di licenziare un provvedimento che, oltre a minare quel fondamentale diritto alla libertà di informazione che è alla base di una corretta democrazia, rischia di allargare ulteriormente il fossato tra i cittadini e la politica (che sarà avvertita ancora una volta, grazie a voi, come potere che bada ai propri interessi, a scapito di quelli della collettività).
Siete padroni di continuare a pensare che gli italiani siano troppo distratti dalle tv-spazzature o siano troppo stupidi o sprovveduti per accorgersi dei reali motivi alla base di provvedimenti come questi.
State pur certi che non è così. Gli italiani ve lo dimostreranno, al momento del voto. Nel frattempo, mentre continuate a pensare ai vostri interessi, noi, che abbiamo ben altra considerazione del buon senso dei cittadini, ci impegneremo per ricomporre la lacerazione tra paese reale e politica che voi state creando, per il bene di tutti, compreso il vostro (Applausi dei deputati dei gruppi della Margherita, DL-L'Ulivo e dei Democratici di sinistra-L'Ulivo).

PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto l'onorevole Nieddu. Ne ha facoltà.

GONARIO NIEDDU. Signor Presidente, onorevoli colleghi, intervengo per dichiarare il mio voto contrario al decreto «salva Retequattro», così come mi sembra corretto venga chiamato.


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Utilizzerò il tempo che il regolamento mi consente e che il Governo non può togliermi, come invece ci ha tolto, con il voto di fiducia, la possibilità quantomeno di tentare di migliorare questo decreto-legge. Lo faccio per motivare il mio voto contrario. Voto «no» perché non intendo rinunciare ad una scelta di libertà che mi accompagna da sempre.
Sì, libertà, colleghi della maggioranza! La battaglia che stiamo conducendo è, infatti, una battaglia di libertà, quella che voi non potete esprimere, se non coperti dal voto segreto, quel voto che evidenzia, con chiarezza, lo stato di malessere ormai presente, da diversi mesi, al vostro interno.
Un malessere, appesantito, ogni giorno che passa, dalla consapevolezza (penso a molti di voi) di ciò che state facendo, in difesa non dei cittadini e di chi vi ha votato, ma del padrone che vi ha assunto con un contratto ormai prossimo alla scadenza.
Non credo vi sfugga l'elenco dei provvedimenti da voi emanati in questi anni e, quindi, dei vantaggi che Berlusconi e famiglia hanno tratto da tali provvedimenti: condoni a vario titolo, falso in bilancio, legge Cirami, l'attuale provvedimento che si sta portando a compimento in queste ore, solo per citarne alcuni.
Voglio sperare che appartenga, se non a tutti, almeno ad alcuni di voi, la nostra preoccupazione su ciò che il vostro capo potrebbe imporvi nei prossimi giorni. Mi riferisco alla par condicio, motivo di dibattito di queste ultime settimane.
Ricordo ciò che il presidente Violante ha definito ieri come ultimo pezzo della libertà. Sappiate che non avrete solo la reazione negativa e netta del Parlamento, ma anche quella del paese. Per tale ultima reazione non vi sono meccanismi parlamentari, quei meccanismi che avete utilizzato in questi giorni (e che hanno costretto l'opposizione ad un confronto basato solo sull'illustrazione degli ordini del giorno, nonostante la forza dei cento voti in più che avete in quest'aula), non solo contro il valore dei numeri, ma contro l'uso prepotente che voi ne fate.
Si è trattato di un atto di prepotenza su un decreto-legge la cui importanza non sfugge a nessuno. Non sfugge agli italiani l'importanza che questo decreto-legge rappresenta per il Presidente del Consiglio o, meglio, per la sua famiglia e per i suoi interessi materiali. Si tratta di interessi che voi, parlamentari di maggioranza, nuovamente garantite, con la copertura del voto di fiducia, nello scambio fra voi e Berlusconi, che è una costante di questa legislatura. È un voto di fiducia che rappresenta, per come è stato posto, un atto di sfiducia del vostro capo nei vostri confronti.
Voi avete consentito un voto di fiducia nel bel mezzo di una verifica di Governo che si protrae da mesi senza risultati e senza soluzioni. Voi, dal mio punto di vista, con tale voto di fiducia, aggiungete un bel masso nel bel mezzo della parte più difficile del nostro percorso.
I fatti lo dimostrano. È un fatto che questo provvedimento d'urgenza aggira la sentenza della Corte costituzionale n. 466 del 2002, destinata ad incidere pesantemente sugli interessi del Presidente del Consiglio e che, con il vostro operato, ha inciso pesantemente sul libero mercato e sul pluralismo dell'informazione.
Così come è un fatto che questo provvedimento non risponde alle osservazioni con le quali la Presidenza della Repubblica ha rinviato alle Camere la legge Gasparri.
Tali osservazioni erano tese a garantire il pluralismo dell'informazione, che parte necessariamente dal contrastare la formazione di posizioni dominanti, proprio quelle oggi rappresentate in Italia da Silvio Berlusconi.
Sarebbe stato, questo, un interessante terreno di confronto tra maggioranza ed opposizione, in Parlamento e nel paese, una straordinaria occasione per discutere, ad esempio, del conflitto di interessi. Voi rinviate, ancora una volta, il confronto, ma non potete e non potrete rinviarlo ancora per molto tempo. Ve lo chiederà il paese, quel paese verso il quale non avete mantenuto le vostre promesse, il paese che avete preso in giro con una campagna


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elettorale fatta di sogni e di bugie, quel paese che passa rapidamente dalla sensazione alla certezza di impoverimento, ogni giorno di più, quel paese fatto di cittadini che soffrono, che si tratti di piccoli imprenditori, di lavoratori dipendenti, di pensionati.
È sempre più difficile, anche per voi, ignorare la gravità della situazione economica. Lo stesso «modernissimo» ministro dell'economia e delle finanze inizia ad avere qualche dubbio e perplessità. Sarà sempre più difficile, anche per voi, sfuggire al bisogno di rispondere, al bisogno di azioni che non siano di indirizzo personale come quelle che siamo abituati a vedere in questi anni all'interno del Parlamento. La vostra risposta ai problemi del paese è - l'avete affermato con chiarezza nella relazione che accompagna il provvedimento - il digitale compatibile con le tendenze di mercato, a prescindere da qualsiasi costo, come se ciò fosse la soluzione di tutti i problemi, senza confronto e senza possibilità di apportare correzioni e miglioramenti, preoccupati, come siete stati e come siete ancora, non dei nostri emendamenti e dell'apporto dell'opposizione ma delle vostre «imboscate» sempre più ricorrenti.
Ve lo chiederà il paese, che attende che vi occupiate del conflitto di interessi, o meglio della sua soluzione, che appariva nella «lista» delle false promesse fatte agli elettori nel 2001. Gli italiani vi chiederanno il conto di ciò e di quel contratto sottoscritto con grande impatto mediatico in televisione. Agli elettori che hanno dato fiducia alla Casa delle libertà, ma penso a tutti gli italiani in generale, non sfuggirà il fatto che, rispetto al 2001, Berlusconi sia molto più ricco grazie alle leggi personali che la maggioranza gli ha garantito con atti di prepotenza come quello che sta ora avvenendo. Dall'altra parte vi sono gli italiani sempre più poveri, sempre meno sicuri, sempre più tassati, con meno scuola pubblica, meno sanità garantita e meno soldi, con un futuro incerto, pieno di incognite. Questa è la realtà odierna. Su tali questioni il Governo dovrebbe intervenire, proporre soluzioni, se avesse a cuore il futuro del paese. Voi, invece, siete un Governo ed una maggioranza che risponde ad un padrone, ai suoi interessi ed a quelli dei suoi amici.
Sarà questo il terreno di confronto su cui sarete chiamati a rispondere dinanzi al paese tra non molto tempo, quando dovrete spiegare le vere ragioni del decreto-legge costruito nei contenuti e nei tempi con il solo obiettivo di salvare Retequattro e, quindi, un pezzo importante del patrimonio mediatico della famiglia Berlusconi. Dovrete spiegare dove siano le risposte alle osservazioni del messaggio del Presidente della Repubblica con il quale è stata rinviata alle Camere la cosiddetta legge Gasparri ed in che modo stiate garantendo il pluralismo delle informazioni, in che modo stiate contrastando la formazione di posizioni dominanti, peraltro pesantemente rappresentate in Italia dal Presidente del Consiglio.
Noi, con i nostri emendamenti, avevamo tentato di migliorare il testo del provvedimento; voi, con il voto di fiducia, lo avete impedito. Oggi, forse, passerà la vostra arroganza e prepotenza; domani, ne sono certo, passerà la nostra ragione in Assemblea, ma soprattutto nel paese (Applausi dei deputati del gruppo dei Democratici di sinistra-L'Ulivo).

PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto l'onorevole Guerzoni. Ne ha facoltà.

ROBERTO GUERZONI. Signor Presidente, onorevoli colleghi, preannuncio il voto contrario al decreto «salva Retequattro» per le ragioni di fondo che tra poco dirò, ma anche per l'atteggiamento tenuto nei confronti del Parlamento da parte del Governo e della maggioranza persino durante la discussione sugli ordini del giorno. Poche ore fa, il Governo ha respinto pressoché tutti gli ordini del giorno. Per quanto mi riguarda, l'ordine del giorno da me presentato assieme ad altri colleghi era teso a dare maggiore sicurezza ai cittadini nel verificare la diffusione sul territorio degli impianti di trasmissione. Come si vede, non si chiedeva granché, ma anche ciò è stato respinto.


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Detto questo, è evidente che la nostra contrarietà dipende da ragioni politiche e di merito. Innanzitutto, siamo contrari al decreto-legge per il modo con cui avete deciso di «troncare» ogni discussione in Parlamento, ponendo il voto di fiducia, una scelta che sarebbe davvero risibile definire tecnica. Da mesi state tenendo bloccato il Parlamento con la vostra verifica, giorno dopo giorno, settimana dopo settimana, con i vostri litigi, con le vostre divisioni, con la vostra lontananza dai problemi reali del paese.
Avete dato la dimostrazione di essere un Governo che non si è accorto che il paese non sta più crescendo, che vi è inquietudine e preoccupazione tra i lavoratori per le sorti del loro lavoro ma anche per le sorti delle imprese in cui lavorano. Non vi siete accorti che il costo della vita, i prezzi stanno aumentando senza che nulla sia compiuto da parte del Governo.
Di questi problemi urgenti non vi siete preoccupati ed avete bloccato il Parlamento per la vostra verifica. Vi è soltanto una cosa che sembra abbiate «partorito»: l'unica proposta, come ci informa il ministro del lavoro Maroni sui giornali, è smantellare il sistema pensionistico pubblico e mandare in pensione i lavoratori a sessanta anni piuttosto che a cinquantasette, dimenticando, tra l'altro, che il vero problema è dare una speranza ai giovani del lavoro precario atipico affinché anche loro possano avere diritto ad una pensione dignitosa.
Avete fatto, poi, un'altra scelta. Avete dimenticato questi problemi ed avete deciso che una corsia preferenziale per il decreto «regalo di Natale» volto a salvare Retequattro potesse essere quanto di più urgente per il paese. Appena avete visto che poteva esservi anche solo qualche dissenso tra di voi, avete impedito ogni dibattito, scegliendo di ricorrere al voto di fiducia: un'offesa al Parlamento ed alla libertà dei parlamentari della maggioranza!
È certo che il decreto incide sui principi costituzionali, l'articolo 13 e l'articolo 24 della Costituzione, sulle regole fondamentali della democrazia. Questi principi di libertà ed uguaglianza sono stati più volte richiamati nelle sentenze della Corte costituzionale, iniziando dalla n. 84 del 1969, ed in particolare nella sentenza n. 826 del 1988, in cui la Corte ha ribadito che la libertà coincide con una effettiva tutela del pluralismo nell'informazione, un pluralismo che deve essere difeso contro l'insorgere di posizioni dominanti.
Voi, invece, cosa avete fatto, anziché dare corso ed applicare le sentenze della Corte costituzionale e riformare il sistema nell'ottica del pluralismo dell'informazione?
Avete prodotto la legge Gasparri, nella prima versione, una pessima legge, che ha subito il rinvio alle Camere da parte del Presidente della Repubblica, in quanto non rispettava - e non rispetta - i contenuti del messaggio che lo stesso Presidente aveva inviato al Parlamento: uno schiaffo politico e morale, di cui il Presidente del Consiglio dovrebbe prendere atto e porvi rimedio. Invece, con protervia, si torna alle Camere, con un testo che non cambia sostanzialmente nulla, con un testo così inaccettabile che, dopo ripetuti voti contrari, anche da parte della sua maggioranza nel voto segreto, viene rinviato in Commissione.
Cosa rimane allora? Rimane la strada del decreto, approvato, appunto, come regalo di Natale al premier ed alla sua attività economica, un salvataggio in grande stile. Ed è una pietra tombale sulla sentenza della Corte costituzionale, che stabiliva che una rete privata dovesse andare sul satellite entro il 31 dicembre 2003. E ciò per tre ragioni di merito. La prima è che in tal modo è smantellata l'attuale definizione di rete nazionale, che prevedeva che una rete fosse nazionale quando coprisse l'80 per cento del territorio, ossia il 90 per cento della popolazione. Voi prevedete che d'ora in avanti una rete, per essere nazionale, è sufficiente che copra il 50 per cento della popolazione, la nazione diventa così regione, a scapito della logica e del buon senso, e contro la tutela dei diritti dei cittadini. E dopo aggiungete che può bastare in alternativa che il segnale copra il


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20 per cento del territorio, così il vincolo posto dalla Corte costituzionale salta definitivamente.
Vi è, poi, una seconda ragione, la quale sta nel fatto che affermate che i decoder siano disponibili ad un prezzo ragionevole; capite bene che è cosa diversa dire che i decoder ci siano nei negozi, da quella di prevedere che siano nelle case degli italiani e siano utilizzabili. Ed il prezzo ragionevole qual è? È pari al canone che si paga per l'analogico, o sono i 300-500 euro che sono richieste al momento dell'installazione, così come presenta il mercato?
Tale modo di scrivere il decreto tende sostanzialmente a rendere inefficace ciò che è stato sancito dal messaggio del Capo dello Stato e dalla sentenza della Corte costituzionale.
La terza ragione è, poi, che l'Autorità delle comunicazioni, che dovrebbe valutare il grado di pluralismo e di concorrenza, non potrà farlo sulla base di dati oggettivi, bensì tenendo conto delle tendenze in atto nel mercato, del futuribile. E, quindi, dire sì, comunque, è ciò che voi volete, in ogni modo, perché è evidente che il mercato tende al digitale, ma ciò non c'entra con il pluralismo e con il vero mercato della concorrenza e del pluralismo dell'informazione.
Sono queste le ragioni di fondo per cui ci opponiamo all'approvazione del decreto, questa è la nostra scelta, compiuta alla luce del sole, per dire che non è possibile continuare con un Governo che decide sempre di mettere al primo posto non gli interessi generali del paese, ma gli interessi particolari e, specificatamente, gli interessi del Presidente del Consiglio.
Questa è la posizione della nostra battaglia, perché il decreto non sia convertito e possa di nuovo esservi nel paese una politica delle telecomunicazioni, ispirata ai principi di pluralismo e di libertà (Applausi dei deputati del gruppo dei Democratici di sinistra-L'Ulivo).

PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto l'onorevole Merlo. Ne ha facoltà.

GIORGIO MERLO. Signor Presidente, si tratta di un provvedimento che rappresenta un cocktail micidiale per lo stato di diritto, un provvedimento che rischia, come è stato messo in evidenza più volte, di incrinare la cultura delle regole e, soprattutto, di indebolire il tessuto democratico.
Riteniamo che in un colpo solo si è rischiato di ridicolizzare le sentenze della Corte costituzionale, più volte pronunciate, con un colpo solo si è rifiutato il messaggio del Presidente della Repubblica, rimanendo celebri le parole del Presidente del Consiglio: «non leggo le dichiarazione dei tecnici del Quirinale.» E, soprattutto, si respingono al mittente i richiami dell'Autorità di garanzia.
Crediamo che attraverso l'arroganza e la prepotenza si è data una dimostrazione concreta di una concezione proprietaria delle istituzioni e che con questo voto di fiducia registriamo la sconfitta della politica, che è rispetto delle regole, ricerca del dialogo, paziente tessitura di confronto e non arroganza, non imposizione, non prepotenza.
Con tale decreto avete gettato una pietra tombale sul rispetto del pluralismo informativo, aggirando le regole, perché dovete rispondere ad un diktat del Presidente imprenditore. Si tratta di una lezione poco edificante, del tutto estranea ad una vera cultura democratica che, invece, rispetta le regole, soprattutto, il principio dell'autonomia.
Una preoccupazione forte che denunciamo è che, attraverso il vostro atteggiamento, rischiate di mettere in difficoltà ed in crisi l'intero sistema democratico.
L'attuale maggioranza, sul decreto-legge in esame, non ha problemi di numeri e di tempi: ci sono tutti i tempi per approvarlo e, soprattutto, c'erano tutti i numeri per approvarlo, indipendentemente, dal voto di fiducia. Tuttavia, come è noto la maggioranza ha problemi politici; difatti, si è imposto il ricorso alla fiducia sul provvedimento, perché non si fida di se stessa e, ponendola, compie verso il Parlamento un atto grave. E, difatti, come sul progetto di legge che


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porta la firma del ministro Gasparri, rinviato alle Camere dal Capo dello Stato, anche sul decreto-legge, il centrodestra ha rifiutato il dialogo che abbiamo sempre auspicato, soprattutto, nelle Commissioni competenti e, soprattutto, si è respinto ogni miglioramento e gli stessi suggerimenti provenienti dall'Autorità di garanzia, che nelle Commissioni competenti chiedevano alcuni interventi di modifica sia in ordine alla data, entro la quale l'indagine affidata all'Autorità dovrebbe concludersi, sia in ordine al potere sanzionatorio di cui l'Autorità deve essere fornita e che oggi, a giudizio della stessa, è incerto.
È una linea che riteniamo miope ed anche un po' estremista, perché arrecherà ai vostri committenti danni profondi.
È troppo evidente, infatti, che l'effettivo arricchimento del pluralismo, richiesto dalla sentenza della Corte costituzionale n. 466 del 2002, richiamata più volte nel messaggio del Presidente della Repubblica, non c'è stato.
Chiunque abbia una casa, una famiglia, frequenti amici, sa che non c'è stato un effettivo miglioramento nel pluralismo dell'offerta televisiva: siamo alla situazione precedente, quella che indusse la Corte ad affermare che, entro il 31 dicembre, Retequattro sarebbe andata sul satellite.
Sotto tale profilo, quando fra tre mesi vi troverete di fronte al definitivo ed inevitabile trasferimento di Retequattro sul satellite, diremo che ciò accadrà in modo non preparato ed improvviso e negativo per vostra responsabilità.
La sentenza della Corte costituzionale, in virtù della quale la rete eccedente di Mediaset deve andare sul satellite, risale, infatti, al 1994; la stessa legge che stabilisce le modalità attraverso le quali tale trasferimento deve compiersi, risale al 1997; la sentenza della Corte costituzionale, che pone una scadenza invalicabile, risale al novembre 2002.
Che cosa è stato fatto per dare attuazione a tali decisioni ed orientamenti?
Se qualcuno sarà colpito dall'esito che si profila e se vi saranno a carico di qualcuno delle conseguenze occupazionali ed economiche, io credo che noi dovremmo dire loro di andare a protestare contro il Governo e di andare sotto la sede del Ministero delle comunicazioni. Lì ci sono i responsabili se, come ormai appare inevitabile, questa operazione si concluderà in tal modo. Sono responsabili perché hanno rifiutato la linea della logica, della ricerca di soluzioni equilibrate e di compromessi, non nel senso di trattative, di «inciuci» con l'opposizione, ma in nome di un sistema pluralistico della televisione. Si tratta di una linea miope, che si concluderà con una sconfitta per il gruppo Mediaset.
Tuttavia, il voto odierno presenta un ulteriore profilo che voglio richiamare, che va al di là del sistema radiotelevisivo e che forse è ancora più grave. Infatti, in questi anni abbiamo parlato molto dei vantaggi politici che derivano a Berlusconi dal controllo delle televisioni. Ora constatiamo i vantaggi economici che derivano a Berlusconi dal controllo della maggioranza parlamentare. Credo che sorga spontanea la domanda su che fine abbia fatto il disegno di legge Frattini e su chi lo abbia ancora visto! Credo che la risposta sia contenuta nel testo del disegno di legge stesso e, in particolare, agli articoli 3 e 6.
L'articolo 3 prevede, infatti, che il titolare di cariche di Governo non possa partecipare ad atti che determinino un vantaggio patrimoniale per le aziende sue o dei suoi parenti fino al secondo grado. Se questa norma fosse stata in vigore, avrebbe evitato l'emanazione del decreto-legge in esame e la posizione della questione di fiducia sulla sua conversione.
L'articolo 6, invece, stabilisce che le aziende beneficiate da atti compiuti dai titolari di cariche di Governo in conflitto di interessi debbano pagare una sanzione pecuniaria pari al totale del vantaggio patrimoniale recato alle aziende stesse.
L'approvazione del disegno di legge Frattini, pertanto, avrebbe reso illecite l'adozione delle decreto-legge e la posizione della questione di fiducia. Ecco perché, allora, il Presidente del Consiglio ha chiesto la fiducia per se stesso. C'è poco da far finta che si tratta di un decreto-


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legge salva reti. Un Presidente del Consiglio chiede la fiducia per se stesso e in qualità anche di presidente dell'azienda. Questa è la verità.
Allora, qual è il messaggio che arriva alle imprese del nostro paese? Qual è il messaggio che arriva ai cittadini, che in queste ore attendono risposte alle loro emergenze concrete di salario o di pensione, di scuola o di sanità? Non vi è alcun decreto di urgenza e nessun provvedimento che giunga all'esame di quest'aula. Voi inducete gli stessi imprenditori all'idea del decreto-legge fai da te.
Credo che tutto ciò sia molto rischioso per il futuro della politica, sia di destra che di sinistra. Non è, infatti, una questione che termina in queste ore. Essa creerà dei precedenti gravi, che non gioveranno neanche a voi, e credo che, sotto questo profilo, vi troverete a dover gestire ribellioni e reazioni proprio nel cuore del sistema industriale.
Vedete, questo decreto-legge e questo voto di fiducia aumenteranno nel settore instabilità e precarietà. Qualcuno di voi potrà anche compiacersene, ma l'esito finale sarà disastroso anche per chi si voleva tutelare. Soprattutto, sarà disastroso perché nel centrodestra c'è chi in queste ore riflette sull'autonomia dei propri partiti e l'interruttore unico della comunicazione è la premessa di una riduzione dell'autonomia delle forze politiche, anche del centrodestra. Qui parliamo del rischio che i grandi interessi possano infeudare gli Stati e la politica, in Italia e altrove, e ridurre l'autonomia anche di chi oggi dovrà votare a capo chino, ma che nei corridoi dice - lo sappiamo tutti -: non lo avrei mai fatto.
Noi crediamo che questo voto di fiducia non offende l'opposizione ma offende chiunque crede nei principi di autonomia degli Stati, della politica, del libero mercato e dell'uguaglianza fra liberi cittadini. Per questo, riteniamo che oggi si scriva una pagina oscura e buia per la democrazia italiana e per il rispetto delle istituzioni democratiche (Applausi dei deputati del gruppo dei Democratici di sinistra-L'Ulivo).

PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto l'onorevole Sandri. Ne ha facoltà.

ALFREDO SANDRI. Il decreto-legge si è reso necessario a seguito del messaggio con il quale il Presidente della Repubblica ha rinviato la legge Gasparri alle Camere, pena il trasferimento sul satellite di una delle reti Mediaset e l'eliminazione della pubblicità su una rete della RAI. Questa era la prescrizione della Corte costituzionale nel novembre del 2002.
I problemi che il decreto lascia irrisolti sono molti. Il provvedimento, infatti, non tiene conto della necessità di tutelare il valore centrale che il Presidente della Repubblica e la Corte costituzionale hanno indicato e cioè il pluralismo dell'informazione, che altro non è che uno dei fondamenti di tutte le moderne democrazie.
L'ampiezza e l'indeterminatezza della formula scelta dal Governo per la verifica sul digitale terrestre non è un omaggio alla discrezionalità dell'Autorità garante quanto, invece, sinonimo di mancanza di regole. Quindi, esso è l'anticamera di possibili errori, se non di veri e propri arbitri.
Troviamo singolare che venga richiesta una copertura del territorio nazionale solo del 50 per cento e non dell'80 per cento, come già è previsto dall'ordinamento vigente, e soprattutto che si parli di copertura e non di realizzo del digitale terrestre, o almeno di decoder venduti.
Prevediamo anche che per l'Autorità sarà impossibile definire quale sia e cosa voglia dire «prezzo accessibile dei decoder». Il presidente dell'Autorità, Cheli, ha ripetutamente ricordato al Parlamento come nella sua attuale formulazione il decreto sia sostanzialmente inapplicabile. Il presidente Cheli ha anche sottolineato che l'intero sistema degli accertamenti avrebbe dovuto essere indirizzato a verificare l'effettivo arricchimento del pluralismo - e sottolineo effettivo - attraverso l'introduzione del digitale terrestre.
Noi non siamo assolutamente contrari al digitale terrestre, anzi riteniamo che le tecnologie innovative possano offrire un contributo significativo allo sviluppo della


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nuova televisione. Il sistema, bloccato attualmente dal duopolio RAI-Fininvest, non trae alcun giovamento dalle soluzioni che sono state adottate, le quali, nemmeno in questo decreto-legge, tengono conto delle osservazioni del Capo dello Stato.
Nel corso del dibattito in quest'aula e con dichiarazioni sulla stampa i colleghi della maggioranza se la sono presa alla grande con le dichiarazioni di tanti miei colleghi e, in particolare, con quelle del nostro capogruppo, quando ha affermato che il Governo, invece di occuparsi dei problemi delle famiglie italiane e del paese, si preoccupa di tutelare gli interessi del Presidente del Consiglio.
Gridate allo scandalo, vi sentite offesi e io credo che abbiate ragione. Avete ragione perché farete molta fatica a trovare gli argomenti giusti e convincenti per spiegare nei vostri collegi elettorali e ai vostri elettori che il provvedimento che avete votato è un atto liberale, democratico e giusto e che nell'adottarlo vi siete preoccupati di verificare la sua congruità con le norme della concorrenza e con la legislazione degli altri paesi europei.
Non so quali argomenti userete per motivare il fatto che le nostre argomentazioni, quelle che vi abbiamo sottoposto in questi mesi e in queste ore, sono di parte e false, a fronte del fatto che proprio oggi, grazie al provvedimento adottato e sul quale era stata chiesta la fiducia, le quotazioni in borsa di Mediaset sono aumentate come ha riportato la stampa.
Ciò significa che nelle casse dell'azienda del Presidente sono entrate risorse, denari freschi, ed è cresciuto il valore del suo patrimonio. Come farete a sostenere che non esiste una relazione tra ciò che qui avete deciso e il vantaggio che avete offerto alla famiglia del Presidente? Se il Presidente vuole fare l'imprenditore, lo faccia, ma non usi la sua posizione per procurarsi dei vantaggi! Voi state favorendo il consolidamento del conflitto di interessi.
Ho provato ad immaginare la trasposizione di questa situazione nella mia città e mi sono immaginato il mio sindaco che, nel delineare il piano regolatore nelle previsioni di crescita della città, vi ricomprendesse i terreni, suoi o dei suoi familiari o parenti, provocando una crescita automatica del valore dei propri terreni. Sarebbe uno scandalo! Voi, seduti ai banchi dell'opposizione, insorgereste e avreste gioco facile nel denunciare un pubblico amministratore nell'esercizio delle sue funzioni che provoca un vantaggio a se stesso. Per evitare questo siete stati obbligati in Parlamento a fare una norma ad hoc. E se il vostro esempio fosse seguito da altre pubbliche amministrazioni? E se le regioni che hanno potestà legislativa su tante materie producessero norme ad hoc per favorire interessi dei loro presidenti?
La gravità dunque non risiede solo nel conflitto di interesse, ma nell'esempio che date. Questi atti squalificano le istituzioni e la politica e possono provocare un rigetto, una rottura nei confronti della stessa politica, pari a quello che abbiamo vissuto nei primi anni novanta, anche perché tali forzature avvengono in un momento in cui i cittadini italiani sono insicuri e molto preoccupati della situazione economica generale. Molti colleghi hanno ricordato le situazioni di crisi, i problemi sociali e, più in generale, situazioni che richiederebbero attenzione, passione, impegno, e uno sforzo straordinario di serietà ed onestà da parte di chi dirige il paese, e un lavoro serio tra istituzioni e forze sociali, nonché livelli istituzionali dove a prevalere siano gli interessi generali. Tutto questo non c'è, anzi si alimenta lo scontro. Problemi come quelli in discussione oggi, che hanno un carico di rottura e di forzatura da tutti i punti di vista, non solo diventano prioritari nell'agenda del Parlamento, ma si usa la forza dei numeri per imporre a maggioranza e minoranza le soluzioni desiderate. Perché non dimostrate tale impegno, per esempio, su un problema serio come quello delle politiche sociali della casa? Lo sapete che il nostro è l'unico Governo, tra i grandi paesi europei, a non avere una politica per la casa? Che siamo passati da una spesa sociale per la casa di circa 6 mila miliardi di vecchi lire all'anno a 400 miliardi all'anno, con il taglio più drastico mai


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avvenuto nelle politiche sociali? Che dei 2 mila miliardi stanziati dal centrosinistra nel 2001 dopo tre anni non avete ancora speso un euro? Lo sapete che più della metà di queste risorse non potranno essere spese dalle regioni, per realizzare i programmi di case in affitto a canone calmierato e per gli alloggi per gli anziani, perché vi siete dimenticati di avviare la procedura per l'iscrizione della spesa nei limiti di impegno, ed ora quei fondi sono finiti nel calderone dei mancati impieghi, con la conseguenza che non si potranno finanziare i programmi previsti?
Tutto questo è accaduto non perché l'opposizione è ottusa o perché mancano le risorse, ma semplicemente per sciatteria, perché il Governo ha la testa da un'altra parte. E tutto questo avviene quando non solo i sindaci, ma anche la stampa ci ricordano tutti i giorni che il problema sociale della casa è diventato uno dei problemi di questa fase. Verificate, colleghi della maggioranza, verifichi il collega Bondi, perché questo era un esempio dei tanti ai quali si riferivano Violante e altri miei colleghi in questi giorni. Tanta solerzia e tanto impegno, voti di fiducia per i problemi che hanno a che fare con gli interessi del Presidente del Consiglio e dall'altra parte tanta sciatteria, disattenzione, superficialità per i problemi che riguardano le famiglie italiane.
Il mio, dunque, è un doppio no: al conflitto di interesse e ad un Governo che non è all'altezza dei problemi e non compie il suo dovere.

PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto l'onorevole Sabattini. Ne ha facoltà.

SERGIO SABATTINI. Voterò contro questo decreto per ragioni fondamentalmente di metodo, perché, pur essendo un utente anche delle sue televisioni, pur apprezzandone la programmazione, diversamente magari da altri miei colleghi, non riesco a giustificare la scelta di porre la questione di fiducia su tale decreto. Non riesco a giustificare il fatto che tale scelta sia stata motivata da ragioni tecniche, quando in realtà è noto a tutti che le ragioni sono politiche e tutte interne alla maggioranza, che non può permettersi, su temi di questo tipo, come d'altronde sulla legge Gasparri, voti segreti, voti liberi, senza rischiare di trasformarsi da maggioranza in minoranza. Non può permettersi di andare «sotto», perché su tali questioni non vi è la disponibilità del Presidente del Consiglio a trovarsi in minoranza. Su tutto si può scherzare, si può ad esempio, raccontare barzellette demenziali, come ieri mattina ha fatto il Presidente del Consiglio all'incontro con i presidenti delle regioni, con barzellette su kapò nazisti, neanche tanto spiritose, mentre quei presidenti delle regioni stavano discutendo con il Governo sulla sanità, sui tagli, su ciò che è di competenza delle regioni e su ciò che è di competenza dello Stato. Ma sul business non si può scherzare.
In questi anni, come deputato di maggioranza prima e oggi di opposizione, non mi sono mai appassionato al tema di Berlusconi come imprenditore e portatore di un conflitto di interessi, neppure ho mai sentito alcuna animosità nei confronti della persona del Presidente del Consiglio attualmente in carica, perché ho sempre pensato che la politica fosse qualcosa di più forte, di più nobile delle miserie che ciascuno di noi può portare con sé, che siano povere o miliardarie. Devo dire che in questi due anni ho cambiato opinione, mi sono sentito sopraffatto dall'assenza di stile, dalle modalità che caratterizzano l'attività politica dell'imprenditore Presidente Berlusconi, da una sorta di maniacale ossessione ad affrontare senza reticenza o ritegno temi e questioni di interesse diretto in campo economico, nelle comunicazioni, nella giustizia, con sfrontatezza e, debbo riconoscerlo, con determinazione: a prescindere, come avrebbe detto Totò, debbo affrontarli, sono nel mio interesse, li risolvo. A questo scopo occorre sottoporre le istituzioni parlamentari ad una pura opera di ripiegamento a fini privati.
Ecco le ragioni di metodo. Francamente, non avrei mai creduto possibile che si tenesse questo comportamento da parte


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di alcuno. Eppure è accaduto. Devo dire che la protervia con cui si è posta la questione di fiducia su questo decreto-legge - che in fondo è minore rispetto ad altri - per me, come persona, come cittadino, come parlamentare, è stata la goccia che ha fatto traboccare il vaso. Poiché qui ciascuno di noi motiva non come gruppo, ma come singolo, le ragioni della propria volontà di votare o meno a favore di un decreto-legge o di un disegno di legge, in questi giorni, come persona, sono stato preso da una volontà assoluta di oppormi, insieme ai miei colleghi, anche in modo radicale: non trovo tollerabile che qualcuno possa pensare di usare le istituzioni dello Stato con queste modalità, finalizzate a scopi personali.
Il collega Merlo, prima di me, ha acutamente spiegato - anche in modo esatto - che, se fosse stata vigente la normativa sul conflitto di interesse, questo decreto-legge non avrebbe potuto essere adottato. Non c'è dubbio su questo punto. Ma il fatto che, in un paese che dovrebbe essere moderno, democratico e civile, un Presidente del Consiglio non senta l'esigenza, anche in assenza della normativa, di comportarsi come se questa vi fosse e non si periti di proporre un decreto-legge di interesse diretto, per sé o per la propria famiglia, è effettivamente sconvolgente. In tal modo, egli riduce le istituzioni parlamentari a strumenti propri, le persone - le donne e gli uomini che le compongono - a meri attuatori di propri disegni improcrastinabili, e fa regredire la democrazia italiana, la Repubblica, ad una signoria. Vi è qui qualcosa di intollerabile per la ragione, per l'intelligenza, per il buonsenso e anche per i valori che, alla fine, contraddistinguono la scelta di ciascuno di noi di occuparsi di politica. E ciò non può non essere messo in luce. Alla fine, chi pensava come me, che forse la politica avrebbe contenuto questa tendenza dell'attuale Presidente del Consiglio, evidentemente si sbagliava. E lo dico ai colleghi della maggioranza. Lo dico alle cinque della mattina, perché questo è il turno che mi spetta. Non è accettabile lo smarcamento di molti di essi nel chiacchiericcio da transatlantico o da corridoio dei passi perduti. Non è accettabile questo smarcamento, seguito dal silenzio al momento del voto dell'Assemblea.
Personalmente, ritengo che con questo atto, per quanto piccolo, siamo giunti ad un punto di non ritorno nella relazione tra maggioranza ed opposizione, di non ritorno nel senso che ritengo che non vi sia più alcuna possibilità di operare una relazione virtuosa nell'interesse generale del paese. Quindi, siamo giunti ad un punto che non può prevedere - magari, qualcuno lo immagina nella maggioranza e nell'opposizione - alcun rapporto di confronto credibile tra noi. Personalmente, ad esempio, non credo di essere disposto a discutere di alcun atteggiamento unitario sulla missione in Iraq.
Questo è un Governo che pensa di poter discutere sull'Iraq in modo unitario, nell'interesse generale del paese, dell'Europa, dell'Occidente e che poi, in merito agli interessi privati del Presidente del Consiglio, si comporta in questo modo, ponendo la questione di fiducia e impedendo al Parlamento libero di discutere e magari di emendare il provvedimento.
Personalmente, non sarò mai d'accordo ad assumere alcun atteggiamento bipartisan con una maggioranza e con un Governo di questo tipo. Come parlamentare, come persona e come cittadino non intendo avere alcun rapporto di contiguità con una maggioranza di questo genere. In fondo, è vero che siamo alla fine delle ideologie. Il mondo è cambiato. I miti, fortunatamente, sono finiti. Siamo tutti più laici. Ritengo, tuttavia, che vi siano persone che non frequenterei mai nella mia vita privata fuori da qui.
Personalmente, ritengo che una maggioranza di questo genere sia infrequentabile e non relazionabile alla mia visione del mondo, al mio comportamento e ai miei valori. E questo vale per tante questioni: per il lavoro - come ha appena ricordato il collega Sandri -, per la casa, per il sociale, per i problemi reali dell'Italia che sono drammatici. È vero che vi è un trend internazionale molto difficile sul piano economico finanziario: si tratta di


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una crisi che ha investito il mondo e le cui ragioni sono note. Dunque, non si tratta soltanto di errori soggettivi di chi governa. Tuttavia, è anche vero che, se questi problemi esistono, essi sono prioritari per il paese. Non lo è questo decreto-legge salva qualsiasi cosa e, soprattutto, salva interessi del Presidente del Consiglio o dei suoi familiari.

PRESIDENTE. Onorevole Sabattini...

SERGIO SABATTINI. Signor Presidente, concludo.
Se ciò che dico ha un fondamento, dobbiamo sapere che si è aperto da tempo - ma, personalmente, ne ho raggiunto coscienza chiarissima in queste ore - un problema davvero molto serio nel nostro paese: mi riferisco alla messa in scacco delle istituzioni parlamentari da parte di una maggioranza che è prigioniera di un Presidente del Consiglio. Si è visto come, nelle ultime settimane, la verifica abbia segnalato che questa prigionia può avere un limite. Prima questo limite emerge, meglio è per tutti. Vedremo quale è la verifica che conta. Secondo me, sarà quella con il popolo italiano alle prossime elezioni amministrative, europee e politiche.
Sono convinto che, se sapremo avere la fiducia necessaria, le cose emergeranno per quelle che sono e, forse, gli italiani ci aiuteranno a risolvere il problema aperto che ho citato poco fa (Applausi dei deputati del gruppo dei Democratici di sinistra-L'Ulivo).

PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto l'onorevole Bova. Ne ha facoltà.

DOMENICO BOVA. Signor Presidente, signor sottosegretario, credo che i cittadini italiani e, soprattutto, gli uomini di buonsenso, siano rimasti costernati di fronte alla decisione del Governo di porre la questione di fiducia sul provvedimento al nostro esame. I miei elettori, al ritorno nel collegio elettorale, mi hanno chiesto: ma davvero su un provvedimento così importante per la democrazia e per la libertà la maggioranza si blinda e richiede ancora una volta al Parlamento il voto di fiducia mentre il paese, i lavoratori sono colpiti da una così grave crisi economica? I nostri concittadini si aspettavano che il Parlamento si riunisse per discutere di tali problemi, di quei problemi che riguardano direttamente la loro vita. Penso, per esempio, a quello che ha significato, in quest'ultimo periodo, l'aggravamento della condizione economica delle famiglie. Credo dunque che, invece di una discussione così intensa e così forte su un problema che riguarda fondamentalmente il Presidente del Consiglio dei ministri, i nostri cittadini avrebbero gradito che ci si soffermasse sulle questioni connesse all'aumento del costo della vita e sui gravi problemi che attanagliano la vita delle famiglie italiane.
Ieri, il nostro capogruppo, l'onorevole Violante, ha spiegato i motivi della nostra iniziativa; ha spiegato i motivi chiarendo il perché dell'iniziativa parlamentare promossa, in questi giorni, dai gruppi di opposizione in maniera così rilevante e così inusuale. Credo che tanti di noi, in quest'aula, si sono chiesti perché si sia giunti a tale punto.
Molti colleghi, a tale interrogativo, hanno fornito risposte individuali, frutto anche di riflessioni collettive, ma sempre motivate. Sono state risposte acute, intelligenti; a mio avviso, tutti noi abbiamo riflettuto. Lei, signor Presidente della Camera dei deputati, credo abbia avvertito e percepito la forte preoccupazione che tanta parte del Parlamento vive; tutti noi sentiamo che la vicenda politica italiana, lo snodo politico italiano, è giunto ad un punto critico. Lo stiamo avvertendo fortemente in questi giorni; quello che preoccupa gli uomini pensanti, di buon senso è che siamo in presenza di una iniziativa politica incalzante del Presidente del Consiglio tendente a ridurre la situazione italiana - e la sua complessità e gravità - ad uno scontro, uno scontro sempre più forte con il Parlamento, vieppiù vissuto, da parte della maggioranza e da parte, soprattutto, del Presidente del Consiglio dei


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ministri, come un fardello pesante. Uno scontro con le Autorità di garanzia; si pensi, a tutte le iniziative nei confronti del Presidente della Repubblica; alle polemiche aspre rivolte contro la Corte costituzionale. Ma è scontro duro anche con la magistratura; scontro condotto da parte di chi presiede il Governo del paese che dovrebbe, a mio avviso, essere invece indotto ad una iniziativa di moderazione, di dialogo e di confronto: con il Parlamento, con le Autorità di garanzia e con la magistratura. Invece, si punta allo scontro, ad alzare il tiro; e tutto ciò provoca in noi una forte preoccupazione. Sarebbe quanto mai necessaria, in questa fase, una riflessione con il Parlamento e con l'opposizione.
Ma veniamo alla domanda iniziale da me posta: perché siamo giunti a tale punto? Era veramente necessario ed utile porre la questione di fiducia? Veda, onorevole sottosegretario, nel corso dell'esame del provvedimento, sia nella discussione sviluppatasi in Commissione sia in quella svoltasi nell'altro ramo del Parlamento, al Senato, non si è manifestato, da parte delle opposizioni, il minimo intento ostruzionistico. Ci si è sempre posti in una posizione dialogante, tendente a risolvere al meglio i problemi e tendente, altresì, a fornire una risposta seria ai quesiti che il rinvio del decreto alle Camere poneva.
La maggioranza può contare su cento deputati in più rispetto all'opposizione e, nonostante ciò, ha realizzato la blindatura totale del provvedimento, anziché permettere il dibattito costruttivo. Ecco dove è la sfida, la volontà di non dialogare e di non discutere. La verità amara è che il Governo ha paura della sua stessa maggioranza, di quello che dovrebbe essere la sua stessa forza; ha posto la questione di fiducia su un provvedimento - è un dato che voglio sottolineare - che non poteva correre dei rischi, ma che doveva necessariamente essere convertito senza alcuna modifica rispetto all'originaria impostazione.
Tale scelta dimostra concretamente che siamo dinanzi ad un decreto che non è né teso a migliorare l'assetto radiotelevisivo - come pure si è sostenuto - né atto a rispondere alle necessità di garantire il pluralismo dell'informazione, trattandosi invece di un decreto finalizzato a salvare una rete televisiva di proprietà del Presidente del Consiglio.
Il provvedimento, approvato frettolosamente in dicembre e trasmesso alle Camere nel gennaio di quest'anno, piuttosto che prefigurare un nuovo assetto, così come sostenuto dalla maggioranza, appare, piuttosto, come una tempestiva risposta alla bocciatura della legge Gasparri. Peraltro il decreto-legge non risponde alle osservazioni contenute nel messaggio del Presidente della Repubblica; se così fosse, infatti, il provvedimento dovrebbe assicurare, come indicato dallo stesso Presidente della Repubblica, il pluralismo dell'informazione, presupposto fondamentale e valore fondante di qualunque democrazia, mentre, al contrario, esso garantisce il regime di duopolio e tutela la proprietà del Presidente del Consiglio.
Sarebbe stato giusto accogliere la nostra richiesta di discutere tutta la legge Gasparri...

PRESIDENTE. Onorevole Bova...

DOMENICO BOVA. Signor Presidente, non credo che abbia terminato i miei dieci minuti.

PRESIDENTE. E invece crede male, in quanto ha già consumato il tempo a sua disposizione. Tempus fugit...

DOMENICO BOVA. Concludo, Presidente, rispettoso del suo ruolo e del suo richiamo...

PRESIDENTE. Applico il regolamento, onorevole.

DOMENICO BOVA. Nel rispetto del regolamento della Camera, dunque, concludo il mio intervento ribadendo i motivi che mi inducono ad annunciare il mio voto contrario alla conversione del decreto-legge.


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PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto l'onorevole Santagata. Ne ha facoltà.

GIULIO SANTAGATA. Signor Presidente, stiamo vivendo una fase che gli economisti chiamano economia della conoscenza. Il valore centrale dell'informazione e della conoscenza viene, con tale espressione, ribadito e sottolineato. La conoscenza, l'informazione, la sua diffusione, sono giudicati oggi l'elemento determinante dello sviluppo e della competitività. È di questo che stiamo discutendo; stiamo dibattendo, anche, della rilevanza costituzionale del pluralismo nell'informazione e stiamo discorrendo, altresì, di modelli di utilizzo di beni pubblici. Come vede, stiamo affrontando questioni nodali per lo sviluppo del paese e nodali, altresì, per lo stesso modello di società che vogliamo costruire.
A mio avviso, su tali temi, vi era spazio per un dibattito molto importante; non solo politico, ma anche culturale. Invece, non solo con questo decreto, ma con tutto lo sviluppo del dibattito sulla cosiddetta legge Gasparri, abbiamo svilito tutto ciò di fronte ad un interesse particolare.
Un elemento interessante è scaturito dal lavoro sulla legge Gasparri, l'idea che ci sia una via tecnologica per affrontare e risolvere questi problemi. La tecnologia è sicuramente importante ma non si crea un mercato concorrenziale con la sola innovazione. Il mercato è fatto di regole e di strumenti in grado di farle rispettare e la concorrenza e la contendibilità dello stesso derivano essenzialmente da queste e non tanto dà accessi a forme tecnologiche che modificano gli assetti precedenti. Con questo decreto il Governo da un'ennesima prova di come ci si possa dichiarare liberisti e, contemporaneamente, rifiutare l'essenza stessa del mercato. Con questo decreto non si consente lo sviluppo di una reale contendibilità di un mercato per sua natura regolato.
Se non sbaglio, Retequattro non ha una vera e propria concessione e ci sono altri che, pur avendo ottenuto una concessione, non sono in grado di esercitarla. Con questo decreto non si dota il mercato di reali regolatori. Non si può lasciare un'Authority senza poteri sanzionatori e chiare indicazioni delle modalità con cui misurare il raggiungimento di determinati obiettivi. Tuttavia, il mercato è non solo regole, ma anzitutto un ambiente e un insieme di convenzioni e di comportamenti taciti. Ricordo che il mercato è nato come un luogo di incontro di culture e, quindi, è una costruzione antropologica. Quindi, è paradossale vedere il Governo che, da un lato, propone inasprimenti delle pene e si inventa addirittura una nuova fattispecie di reato, il nocumento al risparmio, e, contemporaneamente, il Presidente di quel Governo che giustifica l'evasione fiscale, come già aveva giustificato il falso in bilancio con l'avallo di questa Camera.
È in corso un aspro confronto sui poteri delle Authority e, contemporaneamente, si lascia l'Autorità delle comunicazioni con la «pistola scarica». In questo caso, stiamo discutendo e dibattendo un tema che per sua natura sarebbe centrale e paradigmatico, cioè come si intende complessivamente regolare i rapporti all'interno del mercato, il rapporto fondamentale tra bene pubblico e bene privato e la funzione della concorrenza. Ebbene, un Governo che si dichiara liberista sancisce, ponendo addirittura la fiducia, che tali questioni sono secondarie rispetto alla soluzione dei problemi contingenti che riguardano il proprio Presidente. Se non siete disponibili, come avete dimostrato con la fiducia, a ricercare una soluzione condivisa di governo del settore, almeno avreste dovuto essere coerentemente liberisti e togliere un settore chiave per il nostro futuro dalle mani avide del monopolio, per porle in quelle pure imperfette del mercato, ma temo che il potere del monopolio abbia allungato la sua ombra anche sulla coscienza di molti.

PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto l'onorevole Benvenuto. Ne ha facoltà.

GIORGIO BENVENUTO. Signor Presidente, è il terzo no che, partecipando a


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questa maratona, esprimo sul provvedimento presentato dal Governo. Quest'ultimo, per avere la maggioranza, deve estorcere, come ha fatto in questa occasione, la fiducia per la sua preoccupazione di affrontare - in un dibattito sereno, chiaro e trasparente di fronte al paese - il problema del pluralismo difeso e valorizzato nell'informazione. Il Governo riesce ad estorcere la fiducia ad una maggioranza sempre meno convinta e sempre più traballante, ma la sta perdendo nel paese, quel paese che gli aveva dato il consenso due anni fa e che ora gliela sta togliendo, come possiamo vedere dagli atteggiamenti, dai comportamenti e dalle indicazioni che provengono dai diversi ceti sociali e dai cittadini. L'umore è di profonda insoddisfazione e, certamente, il Governo non riuscirà a raggiungere il suo obiettivo, anche se con questo provvedimento rafforzerà il proprio predominio e monopolio sulla televisione e sui mezzi di comunicazione.
La politica degli effetti speciali, delle promesse mirabolanti, della manipolazione dei trucchi e delle bugie, ha i giorni contati. Il contratto con gli elettori, il patto per l'Italia sottoscritto con quasi tutte le forze sociali ed economiche, è rimasto nei cassetti. L'Italia è ferma, diminuisce l'occupazione, aumenta l'inflazione, la precarietà e l'incertezza. Nella storia del nostro paese, del dopoguerra e della seconda Repubblica non abbiamo mai dovuto registrare, ahimè, una situazione di stallo. Sono due anni e mezzo che l'Italia è ferma, va indietro e non cresce: tutto questo è avvenuto ed ha una ragione di fondo. Certo, esistevano delle difficoltà, ma il Governo, pur avendo una grande maggioranza ed avendo ottenuto il consenso nel paese, è stato incapace di fronteggiare la situazione. È un Governo spietato, celere, rapido e svelto quando bisogna adottare dei provvedimenti sulla giustizia e sulla televisione, guarda caso, provvedimenti che interessano al Presidente del Consiglio; invece, è un Governo timido, impacciato e impotente quando si devono affrontare i problemi della gente.
Voglio fornire qualche cifra per sottolineare questa straordinaria contraddizione. La legge Cirami è stata approvata in appena 119 giorni, la legge sulle rogatorie internazionali in 93 giorni, il lodo Schifani in 69 giorni e il decreto per salvare la televisione di Mediaset del Presidente del Consiglio in 60 giorni. Invece, che fatica bisogna fare per rinnovare i contratti di lavoro, sono necessari anche più di due anni e dobbiamo ancora discutere quelli che sono scaduti. La restituzione del drenaggio fiscale è ferma da due anni, la diminuzione delle tasse è stata rinviata alle calende greche - cioè al 2004-2005 - e, nel frattempo, mentre si fanno balenare all'orizzonte le diminuzioni delle tasse, esistono le tasse occulte, quelle che colpiscono giorno per giorno i cittadini. Non ci sono provvedimenti e vengono rinviate misure importanti per la famiglia, per la scuola, per la ricerca, per gli autosufficienti e per il sistema delle imprese.
Insomma, si tratta di un Governo che non è in grado di tutelare gli interessi del paese e che invece è in grado solo di curare gli interessi di alcuni.
Del resto, i dati di questa politica rovinosa, di questa politica dove forte è l'incompetenza, sono dinanzi a tutti noi. Il paese si è impoverito; cito i dati del Censis - e non quelli Eurispes - che ha documentato in una sua ricerca il fatto che nel nostro paese è possibile disegnare una mappa di chi si è impoverito. Si sono impoveriti quasi 16 milioni di lavoratori dipendenti, si sono impoveriti 16 milioni e mezzo di pensionati, si sono impoveriti 4 milioni di famiglie che vivono in affitto, si sono impoveriti i lavoratori in cassa integrazione guadagni, si sono impoveriti i risparmiatori che non siete riusciti a tutelare. Insomma, la torta è sempre più piccola e di questa torta persino le briciole vanno solo in alcune direzioni. Siete insanzionabili, incapaci di trovare delle soluzioni di equità e di reperire le risorse che possano permettere al nostro paese di riprendere il cammino dello sviluppo e di agganciarsi alle altre realtà.
Voglio anche sottolineare due aspetti contraddittori emersi in questi giorni che


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costituiscono la prova evidente della incapacità del Governo. Il primo è rappresentato dall'inflazione, che non avete saputo affrontare e combattere, ovvero siete riusciti ad affrontare solo manipolando i dati e le statistiche, parlando di inflazione percepita. Eppure basta fare il confronto di quello che è avvenuto, basta guardare come l'inflazione sia aumentata non quando c'è stato il cambio della lira in euro ma un anno dopo, quando voi avete iniziato a percorrere quella politica dei condoni imposti anche a una parte importante del lavoro autonomo, di quei condoni imposti anche al sistema delle banche e delle assicurazioni. Cos'è avvenuto?
Basta scorrere i dati per notare come si registri una singolare coincidenza tra la partenza dei condoni e l'impennata dell'inflazione. È avvenuto che chi è stato costretto a pagare le tasse e, in aggiunta a queste, è stato costretto - come hanno denunciato Confcommercio e Confesercenti - a fare condoni in maniera cosiddetta spintanea, cioè attraverso delle vere e proprie forme di estorsione, abbia scaricato poi una parte delle tasse pagate in più sui prezzi, colpendo i settori più deboli. Quindi si è trattato di una politica sbagliata rispetto all'inflazione, una politica silente nei confronti delle assicurazioni e nei confronti delle grandi compagnie petrolifere, una politica contraddittoria fatta di annunci.
È una politica, poi, singolare. Il ministro dell'economia manda, con ritardo, la Guardia di finanza e i superispettori ad eseguire i controlli, mentre il Presidente del Consiglio dice che è giusto che avvenga quello che avviene, cioè che è giusto che si evadano le tasse. Da una parte abbiamo uno che dice di combattere l'evasione fiscale, il sommerso e l'aumento dei prezzi e, dall'altra, un Presidente del Consiglio che lo smentisce ed esalta la cultura della illegalità.
Sta in ciò la debolezza di questo Governo, la sua contraddittorietà, il pressappochismo, la mancanza di senso dello Stato, l'incapacità di affrontare i problemi della crescita. È un Governo che non è stato capace nemmeno di affrontare i problemi dell'occupazione ed ha realizzato una riforma a metà che non si vergogna di intitolare a Biagi. È una riforma, quella del ministro Maroni, che, invece di aumentare l'occupazione, ha determinato solo precarietà, nomadismo ed ha alimentato l'insicurezza nel nostro paese. Ecco perché votiamo contro questo provvedimento e neghiamo la fiducia sulla politica televisiva ma anche sulla politica economica di questo Governo.

PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto l'onorevole Cento. Ne ha facoltà.

PIER PAOLO CENTO. Credo che da questa lunga ma importante maratona che l'opposizione parlamentare sta conducendo ormai da due notti, emergano chiare le ragioni di una contrarietà - che è sia personale, quale deputato Verde, sia condivisa da parte degli altri colleghi dell'opposizione - alla conversione di un decreto che proprio su temi fondamentali come quelli dell'informazione, del pluralismo e della libertà del nostro paese mostra fino in fondo la natura, fatta di un moderno autoritarismo, che caratterizza questo Governo e questa maggioranza. È un moderno autoritarismo perché sappiamo che proprio sul controllo del sistema radiotelevisivo pubblico e privato si gioca una delle partite fondamentali per le libertà in un paese moderno. Non è un caso che proprio su questa materia il Governo ha dovuto, di fronte ai ripetuti dissensi che si sono manifestati anche all'interno della stessa maggioranza di centrodestra, compiere un atto che ritengo nella storia parlamentare abbia pochi precedenti. Prima una discussione e una modifica attraverso il voto segreto, che è rimasta l'unica áncora di salvataggio per una espressione libera e autonoma del Parlamento e dei singoli deputati; poi l'intervento opportuno del Presidente della Repubblica, che rinvia alle Camere una legge palesemente in contrasto con alcune norme della Costituzione; infine, anziché affrontare nel merito le questioni che


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erano state sollevate anche dal Presidente della Repubblica, si pone la questione di fiducia, con l'obiettivo non solo e non tanto di contrastare la legittima opposizione ma di mettere il bavaglio anche a quei deputati del centrodestra che non condividevano e non condividono questa normativa.
Voglio fare un esempio del contrasto enorme che sussiste tra il modo in cui viene affrontata la questione del sistema radiotelevisivo e la realtà. Da una parte, si interviene per salvaguardare Retequattro, canale che appartiene a Mediaset e che quindi fa direttamente capo al Presidente del Consiglio, Berlusconi, e, dall'altra, lo stesso Ministero delle comunicazioni applica le norme, in modo capillare e con alcuni sconfinamenti rispetto all'interpretazione lecita, per andare a chiudere nel nostro territorio nazionale decine di telestreet, quelle televisioni di strada che, fuori dal circuito della grande informazione e del grande monopolio pubblico e privato, costruiscono informazione sociale dal basso nei quartieri delle città, nei piccoli centri, facendo dell'informazione un momento di democrazia partecipata.
Inoltre, e sta accadendo a Roma in questi giorni, assistiamo al fatto che Radio BBS, inserita nel network di Radio Popolare, viene costretta a sospendere le proprie trasmissioni. Su tale questione, lo ricordo, pende un'interpellanza firmata da diversi deputati del centrosinistra. Tutto ciò avviene perché tale radio non sarebbe titolare di una concessione regolare, almeno secondo quanto dicono gli ispettori del Ministero delle comunicazioni.
Come si vede, si usano due pesi e due misure! Da una parte, la scure nei confronti di quella che è la produzione radiotelevisiva autogestita, costruita democraticamente dal basso, fuori dai grandi colossi dell'informazione privata; dall'altra, si viene in Parlamento e si obbliga quest'ultimo ad affrontare e a discutere il decreto salva Mediaset.
Si costringe la maggioranza a mettersi il bavaglio ed a votare la fiducia perché altrimenti tutti vanno a casa, mentre l'attività parlamentare, quella svolta sui problemi veri e reali di questo paese, quella che dovrebbe vederci impegnati a volte anche di notte per affrontare la drammatica situazione sociale di un paese che diventa ogni giorno più povero, che ci dovrebbe vedere impegnati ad affrontare la drammatica questione ambientale di un paese che ogni giorno vede peggiorare le proprie condizioni di qualità di vita e di tutela dell'ambiente e della salute dei cittadini, quella è invece bloccata (basti pensare allo smog e agli effetti dell'inquinamento automobilistico privato sulla salute di tutti noi). Quindi, vi è questa grande divaricazione.
Allora, non possiamo che condurre questa battaglia di libertà, di civiltà in Parlamento, dimostrando finalmente che, quando si vuole, si può fare opposizione e portare questa maggioranza di centrodestra a fare i conti con una volontà politica di segnalare fino in fondo al paese quali sono le storture democratiche che questo Governo determina su terreni vitali come quello dell'informazione, dando anche un segno di unità di un'opposizione che, quando trova le ragioni di alcune grandi battaglie civili, è capace di essere unita.
Non è un caso che, in queste ore, decine di parlamentari si stiano unendo per segnalare anche un'altra grande stortura del nostro sistema, che c'entra fino in fondo con il dibattito che stiamo conducendo.
Da una parte, non si risolve il conflitto di interessi e la relativa legge è ferma, anche perché questo Presidente del Consiglio e questa maggioranza non sono in grado neanche di reggere quel «pannicello caldo» che è stato già approvato da un ramo del Parlamento. Pensate quanto enorme e grande sia la questione che più volte abbiamo sollevato su questo terreno. Dall'altra, non si risolve il conflitto di interessi e, anzi, si ricorre al voto di fiducia in questa materia e continua a persistere e realizzarsi fino in fondo il conflitto di interessi attraverso l'accelerazione e l'imposizione di provvedimenti come quello del decreto salva Retequattro, che stiamo discutendo in questi giorni alla Camera.


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Ritengo che dobbiamo fare sentire forte la voce ragionevole di un'opposizione che fa di questi temi una grande questione di democrazia, una grande questione sostanziale di rispetto della Costituzione e che segnala al paese come, accanto a una grande questione sociale, vi sia anche una grande questione democratica che non può essere sottovalutata o affrontata solo con gli strumenti ordinari dell'opposizione parlamentare o della mobilitazione sociale.
Ritengo che questa sia la ragione che ci ha costretto a praticare l'ostruzionismo in queste ore alla Camera dei deputati e a segnalare, attraverso questa faticosa maratona notturna, il senso di un ruolo dell'opposizione all'interno del Parlamento, nell'ambito delle regole e di un profondo rispetto per questa aula che è stata troppo spesso utilizzata, dalla maggioranza di centrodestra, solo come luogo di ratifica delle decisioni prese dal Governo, solo come luogo di ratifica degli interessi di parte, che niente hanno a che vedere con gli interessi collettivi e generali.
Quindi, le ragioni che ci spingono ad esprimere un voto contrario alla fiducia nei confronti di un Governo, che, invece, andrebbe sfiduciato, sono forti.
Al di là dei 100 deputati di differenza, ritengo che sia evidente, sotto gli occhi di tutti, la difficoltà politica, che è anche difficoltà numerica nel paese.
Mi auguro che anche in Parlamento, nelle prossime settimane e nei prossimi mesi, si registri, anche da parte dei singoli deputati, un sussulto di dignità che ridia centralità a questo ruolo ed alla norma costituzionale in base alla quale ogni eletto in Parlamento lo è senza vincolo di mandato.
Queste sono le ragioni di un voto contrario, di una battaglia politica che conduciamo con coerenza a difesa dei diritti di libertà di informazione nel nostro paese (Applausi dei deputati del gruppo della Margherita, DL-L'Ulivo).

PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto l'onorevole Giachetti. Ne ha facoltà.

ROBERTO GIACHETTI. Signor Presidente, non penso che questi dieci minuti, così come i dieci minuti utilizzati da tutti i miei colleghi dell'opposizione, che hanno preso la parola in questi giorni, cambieranno la storia di questo paese; tuttavia, ritengo che questi dieci minuti, che ci sono consentiti per intervenire in questo dibattito, siano un contributo che ciascuno di noi ha il diritto ed il dovere di fornire, per una battaglia che solo qualche istante fa il collega Cento ha giustamente definito di libertà.
Sono dieci minuti che molti di noi (lei, signor Presidente, così come tutti i funzionari che diligentemente ci assistono in queste ore notturne e diurne di prolungato dibattito su questo argomento) trascorrono nella notte o nelle primissime ore del mattino.
Si tratta di minuti durante i quali, nonostante tutto, siamo costretti a parlare per una volontà pervicace di questo Governo: avremmo meritato un'attenzione diversa. Ritengo che, affrontando argomenti come quello all'ordine del giorno, sarebbe stato utile comunque consegnare al paese e a tutti i cittadini un'informazione puntuale, con più spazio e attenzione ma sempre con il dovuto rispetto per le valutazioni delle due parti.
In queste ore, signor Presidente, registriamo sostanzialmente un monopolio della televisione, pubblica e privata, nelle mani del Governo e della maggioranza che, a randellate, definisce in un modo piuttosto che in un altro questa nostra iniziativa e, nell'ambito di questa totalizzante presenza della maggioranza, a conferma di un evidente conflitto di interessi, nella fattispecie, del Presidente del Consiglio, vengono date alcune «noccioline» di informazione per quanto riguarda l'opposizione, spesso, peraltro, con argomentazioni spezzate fra loro e, quindi, deviate dal senso proprio delle nostre parole e dei nostri messaggi (magari intervallate con una serie di altri argomenti che nulla hanno a che fare con questo dibattito), al fine di poter dimostrare che la sinistra è divisa.


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La ragione per cui ci troviamo, oggi, a discutere di questo argomento dimostra, in modo plastico, come, in realtà, le divisioni - nonostante le cene notturne e le colazioni mattutine del Presidente del Consiglio con i segretari di partito -, soprattutto relativamente all'argomento di cui ci occupiamo, sono tutte interne alla maggioranza. Essa è stata messa a tacere con il voto di fiducia per evitare che su questo decreto-legge si manifestasse lo stesso malumore - uso un eufemismo - che si è manifestato in occasione della discussione del disegno di legge Gasparri seconda versione, quello, cioè che avrebbe dovuto contenere le modifiche volute dal Capo dello Stato e che, come ho ricordato anche nel mio intervento di ieri, è stato rimpacchettato e rispedito in Commissione perché, in Assemblea, una serie di brividi sono passati sulla schiena del ministro Gasparri e della maggioranza in occasione di una decina di voti segreti nei quali la maggioranza è stata battuta non soltanto per qualche voto (nonostante la maggioranza, come è noto, in quest'aula, in particolare, abbia oltre cento deputati di scarto). Ma il disegno di legge Gasparri - che aveva almeno il merito di rispondere in maniera complessiva alle indicazioni del Presidente della Repubblica con le quali il primo disegno di legge Gasparri, l'originario, era stato rinviato alle Camere - a causa delle divisioni all'interno della maggioranza, è divenuto ostaggio di una verifica interminabile (e, io credo, non terminata) ed è stato rispedito in Commissione. Questa triste sorte non è toccata solo a questo disegno di legge, signor Presidente. Soltanto la settimana scorsa la maggioranza dei rinvii, la maggioranza così compatta, la maggioranza così coesa, la maggioranza così determinata a governare, nel giro di due giorni ha dovuto rimpacchettare e rinviare in Commissione altre due proposte di legge. La prima è quella riguardante i fondi per le vittime del terrorismo sulla quale, a parole, erano tutti assolutamente d'accordo, tutti assolutamente convinti, salvo il fatto che, come ormai accade in maniera piuttosto rituale in quest'aula, il presidente della Commissione si è dovuto alzare per chiedere il rinvio in Commissione perché ancora non era stata fatta una quadratura all'interno della maggioranza. Non diversa sorte è toccata al provvedimento riguardante la concessione della grazia, la cosiddetta legge Boato, con una piccola differenza: solo grazie al pronto intervento dei commessi in quest'aula è stata evitata una colluttazione, ciò a stigmatizzare l'afflato, l'amicizia, l'unità che lega i partiti e i membri della maggioranza. La rissa, e non La Russa, che si è verificata in quest'aula in occasione dei pareri espressi dal relatore Taormina sulla legge Boato, ha portato il coordinatore di Alleanza nazionale ad uno scambio di complimenti con il relatore Taormina all'insegna di «mascalzone». Questo è il quadro dell'unità nel quale si svolge il dibattito interno alla maggioranza e, chiaramente, con questi chiari di luna non c'è dubbio, si capisce perfettamente, per quale ragione il Governo abbia dovuto decidere di mettere la mordacchia a tutti i deputati, di mettere il silenziatore e di placare un dissenso che, certamente, si sarebbe manifestato perché, anche su questo provvedimento, sarebbe stato possibile chiedere il voto segreto su alcuni emendamenti.
L'onorevole Vito ci ha spiegato, tre giorni fa, che la ragione per la quale questo dibattito non poteva svolgersi durante il giorno, con tempi umani, era che si trattava di una fiducia tecnica perchè l'attività del Governo - attività così rilanciata anche nelle ore scorse dal Presidente del Consiglio che ha illustrato la nuova strategia del Governo (anche in vista della campagna elettorale) - è centrata, anzitutto, sul perno della comprensione, del comunicare comprensione agli elettori, vicinanza, prossimità al sentimento dei cittadini e degli elettori, incoraggiando e dando comprensione a coloro che, di fronte al sistema di tassazione del nostro paese, farebbero bene ad evadere il fisco. Ora, signor Presidente, non voglio dire che l'aliquota superiore al 50 per cento sia stata portata da questo Governo ma, sicuramente - e questa è certamente la realtà - la famosa riduzione promessa in campagna elettorale (così come la soluzione


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del conflitto di interessi), che il Governo aveva dichiarato sarebbe divenuta realtà nel giro di breve tempo, non si è realizzata e tutte le persone che il Presidente del Consiglio invita ad evadere il fisco perché ingiusto, non hanno visto concretizzarsi le promesse e le grandi iniziative governative per ridurre la pressione fiscale. Anzi, il Presidente del Consiglio va in televisione e spiega che, di fronte a questa ingiustizia, in fondo è lecito evadere il fisco, salvo poi che lo stesso Governo magari fa un altro piccolo condono fiscale perché qualcuno ha dato ragione (magari più di uno) al Presidente del Consiglio ed ha pensato di evadere il fisco e di portarsi un po' di capitali all'estero. Infine, con la finanza creativa del ministro Tremonti il cerchio si chiude: si fa un bel condono fiscale e così la politica del Governo, in tutta la sua ampiezza, si delinea e raggiunge il suo compimento.
Signor Presidente, è del tutto evidente che quelle del presidente Vito erano parole in libertà perché, in realtà, noi siamo qui a discutere questo provvedimento con questi tempi non perché ci siano molti altri provvedimenti del Governo o perché l'opposizione abbia creato un blocco, ma semplicemente perché, come ho dimostrato, alcuni provvedimenti sono stati rinviati in Commissione, dato che il dibattito all'interno della maggioranza non è maturo, e soltanto perché si voleva fare una forzatura e umiliare.
Ho parlato poco del conflitto di interessi perché, purtroppo, c'è poco da dire. Era la prima promessa del Presidente del Consiglio in campagna elettorale; l'avrebbe risolta, diceva, in cento giorni; ne sono passati oltre mille e il provvedimento giace al Senato, ne viene richiesta la calendarizzazione, ormai da giorni, dai capigruppo dell'opposizione ma, in maniera ostinata, la maggioranza respinge la richiesta e si prosegue in una situazione di conflitto di interessi e, se mi è consentito dirlo, si garantiscono, invece, gli interessi del Presidente del Consiglio con provvedimenti blindati e chiaramente incostituzionali.

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