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PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto l'onorevole Violante. Ne ha facoltà.
LUCIANO VIOLANTE. Presidente, è la prima volta che le opposizioni insieme adottano l'ostruzionismo. Ci sono diverse ragioni politiche di fondo che hanno motivato tale decisione. La prima riguarda la decisione del Governo di porre la fiducia. Il problema è che il Governo e la maggioranza temono il voto segreto. Noi abbiamo scritto al Presidente della Camera contestando l'interpretazione che egli ha dato del contenuto del primo e del secondo comma dell'articolo 1 del decreto-legge, che, secondo gli uffici e secondo il Presidente, conterrebbero disposizioni puramente procedurali. Non è così: abbiamo cercato di dimostrarlo e torneremo sul tema in sede di dichiarazioni di voto finale.
Qual è il senso del dissenso manifestato nel voto segreto nel sistema maggioritario rispetto a quello nel sistema proporzionale? Nella cosiddetta Prima Repubblica il dissenso nel voto segreto serviva sostanzialmente a favorire un cambio di Governo, era uno dei pochi mezzi di cui la maggioranza stessa si serviva per consentire l'avvicendamento tanto del Presidente del Consiglio, quanto dei ministri e dei sottosegretari. Nel sistema maggioritario ciò non è possibile, nel senso che ormai, al di là di quello che è previsto nella Costituzione, nella prassi è invalso il meccanismo che sono i cittadini che scelgono la maggioranza con il voto, e sempre di più questa maggioranza non è mutabile nel corso della legislatura. Oggi il significato del dissenso nel voto segreto è totalmente diverso, in quanto esprime un dissenso politico che non si può esprimere in un modo alternativo. Credo che di questo la maggioranza ed i colleghi responsabili dei gruppi parlamentari di maggioranza, il Governo ed il Presidente del Consiglio dovrebbero prendere atto. Poiché quel dissenso non può avere alcun significato ultroneo rispetto a quello che esprime, evidentemente esiste un malessere profondo nella maggioranza. Questo malessere deriva dal fatto che la fiducia è stata posta perfino sulla legge finanziaria e che la legge Gasparri è dovuta tornare in Commissione.
A proposito della legge Gasparri, vorrei segnalare al Presidente una cosa poco nota. Sul sito del Governo è consultabile un interessante dossier, che però si ferma al momento della sua approvazione. Il cittadino italiano o lo studioso straniero che volesse consultare il sito non sapranno mai che questa legge è stata respinta dal Capo dello Stato; inoltre, come lei sa, la maggioranza ha chiesto che questa legge torni in Commissione perché non era in grado di difenderla in Assemblea. Mi sembra che si tratti di un dato di censura da segnalare.
La seconda questione che voglio porre all'attenzione dei colleghi che sono presenti è che qui si pone un problema di libertà. Innanzitutto, di libertà di manifestazione del pensiero e di libertà di stampa. Noi abbiamo dei dati che ci indicano che l'Italia è l'unico paese nel quale la pubblicità sulla carta stampata è progressivamente diminuita, mentre è proporzionalmente cresciuta la pubblicità alla radio e in televisione. Come è noto, la FIEG sta insistendo affinché vi sia una più equa ripartizione delle risorse pubblicitarie tra televisione e giornali. Lo stesso Presidente del Consiglio, in una dichiarazione resa non molto tempo fa, si pronunciò in modo sprezzante nei confronti della carta stampata. La nostra è una battaglia di libertà anche perché tende a favorire una più equa distribuzione delle risorse pubblicitarie tra televisione e carta stampata.
Un'altra battaglia di libertà riguarda il problema dei condizionamenti sulla RAI. Tutti i capigruppo dell'opposizione della Camera e del Senato il 29 gennaio hanno scritto una lettera all'Autorità per le garanzie nelle comunicazioni segnalando una serie di abusi che si sono verificati in RAI nei confronti della libertà di informazione. Mi riferisco al controllo politico indebito sull'informazione RAI, al veto messo nei confronti di giornalisti come Enzo Biagi, alla costrizione alle dimissioni del vicedirettore del TG 1, Daniela Tagliafico, ad un serie di contestazioni e di pressioni nei confronti del TG 3. Ieri ci è giunta la risposta dell'Autorità per le garanzie
nelle comunicazioni, in cui si comunica l'apertura di una istruttoria sulla base delle denunce presentate dall'opposizione. Spero che questa indagine vada avanti di modo che si possano effettuare alcune correzioni negli indirizzi che sta seguendo la RAI.
Infine, vogliamo denunciare l'uso a fini privati delle funzioni pubbliche. C'è un ultimo caso in ordine di tempo di cui parla Il Tempo di oggi. Il ministro Moratti ha stanziato 220 mila euro a favore di una fondazione presieduta dal presidente della Commissione cultura, Adornato, a condizione che la Commissione cultura dia un parere favorevole. Ora non so bene se il presidente Adornato presiederà quella seduta, se si sia dimesso da presidente della fondazione, se abbia chiesto il contributo al ministro Moratti: ne vorremmo comunque sapere di più prossimamente, perché questo è un altro caso di uso privato delle pubbliche funzioni, che noi contestiamo (Applausi dei deputati del gruppo Democratici di sinistra-L'Ulivo).
PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto l'onorevole Panattoni. Ne ha facoltà.
GIORGIO PANATTONI. Credo che su questo decreto abbiamo ormai detto tutto. Siamo entrati nel merito, abbiamo dettagliato le nostre osservazioni, le nostre proposte, per cui in questo mio intervento non tornerò sui problemi di merito. Credo però che non siamo ancora riusciti a comunicare il senso di angoscia politica che ha assalito noi ed i cittadini italiani al momento della richiesta del voto di fiducia. Credo che la sintesi più efficace di questo stato d'animo l'abbia fatta Staino nella vignetta di ieri sull'Unità, con Berlusconi a trentadue denti che dice: negli affari la cosa più importante è la fiducia. È vero; mi pare che abbia proprio ragione. C'è anche un altro detto che vorrei ricordare: dagli amici mi guardi Dio, come si diceva una volta negli ambienti cattolici quando esisteva ancora la Democrazia Cristiana. Berlusconi, che, come è noto, si ritiene erede di De Gasperi, l'ha imparato bene e ha messo la fiducia contro la propria maggioranza per la propria televisione.
Ci assale però un dubbio su cui vorremmo fare chiarezza. Anche questa volta, mentre il Consiglio dei ministri decideva la fiducia sulla sua televisione, il Presidente del Consiglio è uscito dalla sala? Ha camminato per i corridoi di Palazzo Chigi?
Per evitare quel conflitto di interessi che, a suo avviso, si sarebbe posto se avesse partecipato alla decisione, si è astenuto? È andato via? Può il Governo riferirci al riguardo? Infatti, credo che gli italiani siano molto incerti e vorrebbero chiarezza su tale punto, che ritengo assolutamente fondamentale in quanto tocca uno degli aspetti critici della situazione. Ciò potrebbe riportare un po' di serenità, almeno nei nostri rapporti.
Mi sovviene una bellissima canzone di Dario Fo, che si attaglia molto bene a questa situazione; potrei anche cantarla..., ma preferisco leggerla: «Sempre allegri bisogna stare, il nostro piangere fa male al re». Una bellissima canzone, che poi continua con sequenze molto interessanti. Però, un altro dubbio, ancora più grave, sorge, dubbio che vorrei sottolineare in questa sede. E se la fiducia non bastasse? Se l'Autorità per le garanzie nelle comunicazioni affermasse che non vi sono le condizioni per mantenere Retequattro a terra? Se la Corte costituzionale, al primo ricorso, rimettesse tutto in discussione - cosa, peraltro, estremamente probabile -, che succederebbe?
Vorrei, allora, formulare una proposta alternativa per evitare un tale stress agli italiani, stress che, francamente, sarebbe sostanzialmente insopportabile. Anziché ridurre le tasse (come Berlusconi continua a promettere), anziché incentivare l'evasione sui redditi più alti - pare che Berlusconi lo ritenga giusto in quanto le tasse sono troppo elevate -, suggerirei al Governo di reperire l'equivalente del reddito proveniente dalla pubblicità di Retequattro con una imposta a carico dei contribuenti. Così, si eviterebbe il problema di quella rete televisiva; sarebbe molto più semplice, ed Europa 7 potrebbe
produrre, come è suo diritto. In ipotesi, eventualmente, evitando di fare Il grande fratello, che non mi pare un prodotto culturale di livello.
Sarebbe un passo avanti ed un successo per tutto il paese; la fine di un tormentone che non ci ha fatto dormire (al riguardo, credo possiamo essere tutti d'accordo, maggioranza ed opposizione); questo Governo smetterebbe, per una volta, per così dire, di raccontare bugie. Ciò avverrebbe per il bene di tutti, sia per i canali analogici sia per quelli digitali, senza distinzione di metodo di trasmissione. A mio avviso, con tale proposta, forse, eviteremmo di confrontarci su un tema troppo complicato, che ci vede su posizioni così opposte e che, alla sua origine, ha un problema economico. Risolviamo il problema economico; potremo così varare una riforma della televisione che vada bene al paese in quanto la questione fondamentale sarebbe già stata risolta in un altro modo. Pensiamoci; mi pare uno stimolo abbastanza interessante (Applausi dei deputati del gruppo dei Democratici di sinistra-l'Ulivo).
PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto l'onorevole Carlo Leoni. Ne ha facoltà.
CARLO LEONI. Signor Presidente, con i nostri interventi, noi deputati dell'opposizione stiamo anzitutto denunciando la mostruosità di quanto sta accadendo; un Parlamento ed anche una maggioranza costretti a votare la fiducia per salvare una delle proprietà del Presidente del Consiglio.
Mi auguro che non pochi colleghi della maggioranza sentano il peso della situazione, il peso che grava, soprattutto, sulla indipendenza e sulla libertà di giudizio di ciascuno di loro. Nasce proprio su tale piano la decisione di porre la fiducia. Spaventati da quanto stava accadendo in occasione del voto sugli emendamenti alla cosiddetta legge Gasparri - ritirata in fretta e furia dall'esame dell'Assemblea -, gli uomini del Presidente del Consiglio e lui stesso hanno deciso di porre la questione di fiducia, proprio per una ragione di sfiducia nei confronti della maggioranza e dei deputati del centrodestra. È quanto si può chiamare un ricatto politico.
La circostanza non sorprende in quanto l'idea di un premier che abbia il potere di ricattare la sua maggioranza, il centrodestra la vuole inserire anche nella nuova Costituzione. Il testo di riforma costituzionale all'esame del Senato prevede un rafforzamento dei poteri del Presidente del Consiglio, come se quelli oggi detenuti da tale figura istituzionale non fossero sufficienti. Tra tali ulteriori poteri è compreso quello di sciogliere le Camere nel caso in cui la maggioranza decida di non seguire più lo stesso Presidente del Consiglio. Quindi, si tratterebbe di scrivere nella nuova Costituzione uno strumento di ricatto del premier nei confronti della sua maggioranza. Ora, tutti sanno che solo in Italia, oltre alla Thailandia, un magnate della comunicazione privata governa il paese. Ricordo che il varo della legge sul conflitto di interessi era stato promesso entro i primi cento giorni, mentre ne sono passati mille e ancora la legge non è stata approvata. L'esame è cominciato al Senato, il provvedimento quindi è passato alla Camera e, infine, è tornato al Senato. Se non ricordo male, per una questione di semplice aggiustamento della copertura finanziaria. Una questione, dunque, che al Senato si sarebbe potuta risolvere agevolmente; al contrario, in quel ramo del Parlamento, il provvedimento attende di essere approvato da mesi e mesi. Eppure, per altre misure, sempre ad personam, il Senato ha assistito a diversi blitz della maggioranza: penso alla Cirami e a diversi altri provvedimenti.
Dunque, si teme la legge sul conflitto di interessi. Forse perché quella che dovrebbe essere approvata dal Senato è una legge severa, rigorosa, inflessibile? Tutt'altro; è una legge blanda, ipocrita, anch'essa cucita sulla misura degli interessi del Presidente del Consiglio. Eppure, si teme - non si sa mai - che, eventualmente, qualche parola, qualche inciso contenuto in qualche comma o qualche virgola possano
compromettere il cammino delle leggi che interessano l'imprenditore Silvio Berlusconi.
Le sue aziende prosperano, mentre gli italiani «faticano» ad arrivare alla fine del mese e mentre anche le altre imprese italiane faticano. I dati sulla stagnazione produttiva ci dicono che l'insieme delle imprese italiane è in affanno. Grazie alle leggi costruite, ai provvedimenti esplicitamente messi in campo, le aziende del Presidente del Consiglio, invece, prosperano.
Ora, si sta facendo tutto ciò per aggirare le determinazioni delle più alte autorità dello Stato, per aggirare una sentenza della Corte costituzionale e, inoltre, per aggirare il rinvio alle Camere della cosiddetta legge Gasparri, da parte del Capo dello Stato.
D'altronde, sono di ieri alcune dichiarazioni sconcertanti del Presidente del Consiglio; una vera spinta ai comportamenti illegali. Ancora una volta, il Presidente del Consiglio attacca la Corte costituzionale; ancora una volta fa un appello a non pagare le tasse, lui, Presidente del Consiglio. Anzi, fa qualcosa di più; dice che evadere le tasse è un comportamento altamente morale.
È evidente che la nostra protesta, in queste ore ed in questa Assemblea, è una protesta politica; ma è anche una ribellione di coscienze libere dinanzi ad una prepotenza e ad una forzatura istituzionale. Lo è ancor più perché tale prepotenza e tale forzatura sono al servizio di interessi privati del Presidente del Consiglio.
PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto l'onorevole Bogi. Ne ha facoltà.
GIORGIO BOGI. Signor Presidente, molto è stato detto. Volendo attenersi strettamente all'argomento all'ordine del giorno, si possono fare alcune precisazioni. Mi ha sorpreso, sottosegretario, l'affermazione che non esisterebbero criteri per valutare se le radiofrequenze siano impiegate ottimamente o se, invece, se ne impieghino in eccesso. Devo dire che mi sorprende perché la stessa legge chiede che si impieghino le frequenze in modo che sia ridotto al minimo il numero necessario per coprire il territorio.
D'altro canto, non essendovi mai stata in Italia una reale pianificazione delle frequenze si è sempre registrato l'esistente, ed è notorio che la RAI pianificò la copertura del territorio eccedendo in maniera rilevante nell'impiego. Quindi, credo che potremmo trovare una riserva di frequenze e, se le distribuissimo, aumenteremmo il pluralismo delle presenze.
In secondo luogo, mi sembra chiaro che - per via del decreto-legge che ha focalizzato l'attenzione sui meccanismi di sopravvivenza nell'emissione a terra di Retequattro, per motivi contingenti ma così è stato - si è evidenziato, quasi paradossalmente, che in realtà questo era uno dei veri nodi del problema, quasi che il resto del disegno di legge fosse un suo corollario. In realtà, sto esagerando ma, effettivamente, è quasi così. Inoltre, che cosa hanno fatto il Governo e diversi membri della maggioranza per coprire questo aspetto? Hanno indicato sempre l'automatismo del collegamento fra l'eventuale invio di Retequattro sul satellite e la perdita di pubblicità da parte di RAI 3, il che non è vero. Infatti, la sentenza della Corte mette in evidenza le ripercussioni della cessazione della norma transitoria che consentiva a Retequattro di continuare con le trasmissioni a terra, ripercussioni anche per quanto riguarda il carico pubblicitario in RAI 3, ma la legge n. 249 del 1997 prevede che la RAI presenti un piano di ristrutturazione all'Autorità, ferma restando l'unitarietà del servizio, allo scopo di perseguire nel tempo l'obiettivo di togliere la pubblicità di RAI 3, il che non esclude, data l'unitarietà del servizio pubblico, che possa recuperare questo carico di pubblicità sulle altre reti.
Allora, questo automatismo incessante, fino ad usare da parte dell'opposizione l'espressione di decreto «salva Retequattro» e da parte della maggioranza l'espressione «salva reti», è oggettivamente improprio ed è una comunicazione
difensiva che avvalora il fatto che, in realtà, il provvedimento ha uno dei suoi perni di rotazione intorno al mantenimento di Retequattro a terra. Personalmente, ho sempre espresso l'opinione che non consideravo questo un nodo del riassetto complessivo del sistema di comunicazione. Credo che Retequattro possa anche restare a terra e che il sistema di comunicazione si possa consistentemente riformare. Quello che critico è che per la mancanza nel disegno del Governo di un'ipotesi di sviluppo effettivo del sistema - che, come sappiamo benissimo, è uno dei sistemi più sottofatturati in Europa, addirittura la metà di quello britannico - non si riesca a riallocare nel sistema complessivo della comunicazione un numero di emittenti e di imprenditori che configuri un pluralismo tendenzialmente adeguato all'obiettivo del sistema di comunicazione di una società pienamente democratica.
Mi sembrava utile fare questa precisazione, se non altro per lasciare a verbale delle nostre discussioni che l'automatismo fra l'invio di Retequattro sul satellite e l'abolizione della pubblicità in RAI 3 è certamente arbitrario (Applausi dei deputati del gruppo dei Democratici di sinistra-l'Ulivo).
PRESIDENTE. Ha chiesto parlare per dichiarazione di voto l'onorevole Crisci. Ne ha facoltà.
NICOLA CRISCI. Signor Presidente, signor rappresentante del Governo, onorevoli colleghi, a me sembra singolare ma anche preoccupante che il Parlamento sia costretto a discutere in modo improprio - e, per giunta, di notte ed attraverso l'illustrazione di una quantità enorme di ordini del giorno - di un provvedimento la cui rilevanza istituzionale e i cui riflessi sulla libertà di informazione e sulla stessa qualità della democrazia avrebbero meritato un confronto, magari aspro, ma possibilmente il più ampio. Invece, il Governo - o, meglio, il suo dominus - ha scelto la strada della fiducia, ha imposto a tutti la legge del più forte e con la consueta spregiudicatezza ha chiesto alla sua maggioranza di esprimere in modo palese la fiducia al suo signore, salvando così Retequattro dagli effetti della sentenza della Corte costituzionale sul passaggio dall'etere al satellite e, soprattutto, garantendo gli enormi interessi delle aziende di famiglia del premier.
È incredibile come il gigantesco conflitto di interessi del Presidente del Consiglio sia colpevolmente sopportato dai colleghi della maggioranza, che pure si riconoscono nei valori liberali, colleghi che riescono a dare timidamente voce alla propria coscienza solo attraverso il voto segreto. È preoccupante come una visione proprietaria delle istituzioni stia piegando la coscienza di tanti parlamentari della maggioranza e, nel contempo, stia cercando di svuotare il Parlamento delle sue prerogative costituzionali. Tuttavia, nonostante la potenza mediatica e le enormi risorse finanziarie del Presidente del Consiglio, il paese è in piedi, non si è piegato e in questi anni ha mostrato di saper resistere e di avere ancora la forza e la tensione civile e politica necessarie per costruire un'alternativa credibile ad un Governo che mostra quotidianamente i propri limiti, la propria inadeguatezza e la propria incapacità a far fronte alla difficile situazione del paese stesso.
Una situazione contrassegnata da un declino industriale diffuso, da una stagnazione economica preoccupante, da un crescente impoverimento dei ceti medi, dalla sfiducia verso il futuro, dalla paura di investire i propri risparmi in un sistema creditizio e finanziario poco trasparente ed affidabile, dalla diminuzione della capacità competitiva del sistema produttivo, da un bilancio pubblico che è in equilibrio precario solo grazie ad entrate una tantum rivenienti da inaccettabili condoni e da discutibili ed incerte operazioni di cartolarizzazione. Una situazione difficile, che richiederebbe un impegno straordinario della maggioranza e del Governo, un impegno almeno uguale a quello profuso per approvare le leggi vergogna, come il falso in bilancio, il rimpatrio dei capitali illecitamente
esportati, la Cirami, il lodo Schifani, l'abolizione delle tasse di successione sui grandi patrimoni.
Ma questi provvedimenti riguardavano gli interessi politici ed economici del Presidente ed i suoi amici e, quindi, è naturale che il Parlamento sia stato chiamato ad operare in modo veloce ed efficace, efficacia e rapidità che mancano quando gli interessi sono quelli del paese.
Intanto, continua il rito di una verifica aperta da circa 300 giorni - la cui chiusura viene rinviata di ora in ora, mentre il paese è incerto e sfiduciato - e il Governo, anziché coltivare il confronto, accende ed acuisce in modo irresponsabile lo scontro con i mondi vitali del sapere, dell'economia, della sanità, del lavoro, della produzione e della stessa distribuzione. Un Governo che sembra preferire la divisione alla coesione, che ha chiesto ed ottenuto la fiducia dalla maggioranza in una brutta giornata per la libertà di informazione.
Un Governo però che continua a perdere fiducia nel paese, che aveva creduto alle promesse di Berlusconi e che è sempre più consapevole di essere stato ingannato da un imprenditore capace solo di curare i propri interessi e di rafforzare con ogni mezzo la sua posizione dominante nel settore radiotelevisivo. Avremmo voluto poter contribuire a migliorare il contenuto del provvedimento in discussione, ma, ancora una volta, è prevalsa l'arroganza di un premier che crede poco alla funzione del Parlamento e che preferisce il voto di fiducia al confronto democratico.
Una strana concezione della democrazia. C'è da essere preoccupati? Penso di sì, ma credo anche che il paese saprà resistere e sconfiggere questa destra inaffidabile e incapace (Applausi dei deputati del gruppo dei Democratici di sinistra-l'Ulivo)!
PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto l'onorevole Giulietti. Ne ha facoltà.
GIUSEPPE GIULIETTI. Devo accogliere commosso la generosità del sottosegretario, che comunque ringrazio perché è uno dei pochi rappresentanti del Governo che ha seguito con grande attenzione e dedizione, a prescindere dalle posizioni, questa vicenda.
Vorrei fare un'osservazione. Per quale ragione non avete preparato un percorso di confronto (legge Gasparri, legge sull'editoria, legge sulla fiction), un insieme di provvedimenti che facessero capire che non eravate un servizio d'ordine, ma una forza politica che lanciava a noi una sfida sulla modernità, sulla riorganizzazione? Voi avete perso una grande occasione, e lei lo sa, signor sottosegretario. Proprio gli ordini del giorno presentati confermano che era possibile un percorso diverso, che l'onorevole Bogi ed altri hanno provato ad indicare.
Mi permetto di avanzare una proposta, sulla quale vorrei che rifletteste, anche se so che il vostro margine di autonomia in questa materia è pressoché nullo. Il contesto in cui si inserisce questo provvedimento è assai negativo. Non parlerò del clima di intolleranza; ma che cosa vi costava, rispetto ad un grande giornalista come Enzo Biagi, in queste ore, in questi giorni, dimostrare che eravate una forza aperta, libera, una forza che non ha paura, che non segue liste e che dà un segnale? Come si può mettere un veto, mentre si discute di questi temi, su Ferruccio De Bortoli o su Enzo Biagi? Ragionate! Come si fa a dire che si vuole liberalizzare e, nel contempo, chiudere le teste, le idee? Si ha paura anche delle posizioni moderate di grandi professionisti! Come si può essere credibili in un progetto di apertura del mercato, quando si ha paura persino del mercato delle opinioni?
Le faccio la cronaca di un giorno qualunque, il giorno 10, di quel giorno che doveva essere la festa nazionale del conflitto di interessi. Voi avete posto un voto di fiducia umiliante per chi lo ha pensato ma, nella stessa giornata (la prego di credermi, sottosegretario, perché questo indica un elemento di estremismo proprietario che c'è in alcuni di voi e che non porterà bene al sistema industriale, né alle parti
politiche), il Presidente del Consiglio, mentre lei ed altri cercavate faticosamente almeno di abbassare i toni, cercavate un minimo di stile e di garbo in una vicenda che ha poco stile e poco garbo, si alza, parla di nuovo delle televisioni, attacca i giudici sulle televisioni e rivolge un attacco a testa bassa contro le istituzioni (le ricordo che il primo attacco lo aveva fatto dopo il messaggio del Presidente Ciampi, usando un'espressione francamente irriguardosa, laddove disse, in conferenza stampa, che non aveva letto le osservazioni dei tecnici del Quirinale).
A cosa vi serve questo atteggiamento? Quale tipo di confronto resterà dopo che avrete portato a casa questo «decretino», in senso tecnico e letterale, per qualche settimana? A cosa serve tutto ciò? Ieri, il Presidente del Consiglio urlava, svelando la paura, la debolezza e l'estremismo in questa materia ma, nelle stesse ore, caro sottosegretario (ecco perché ho affermato che si tratta di un provvedimento carico di odio verso le altre aziende), i titoli di Mediaset, all'annuncio della fiducia, sono soliti fino al 3 per cento!
Lei, che conosce bene il mercato, potrebbe rispondermi che si tratta di una grande azienda italiana; io la penso come lei, e sono contento quando un'azienda italiana sale nelle quotazioni e crea ricchezza. Tuttavia, la categoria del legittimo sospetto l'avete creata voi! La non risoluzione del conflitto di interesse e la categoria del legittimo sospetto dovrebbe portarvi a sgominare il solo sospetto che un annuncio politico determini un vantaggio alle imprese del Presidente del Consiglio!
Questo è un problema che riguarda la libera competizione all'interno di un paese: introduce elementi di livore nelle altre imprese italiane. È una grande questione, caro sottosegretario, e non la si può liquidare con delle battute, perché poi, al momento della vostra prossima sconfitta, che cosa faremo? Ragioneremo per battute? Non vi conviene procedere in questo modo!
Allora, io le faccio una proposta: annunciate, contemporaneamente al voto di domani (o quando sarà), che vi impegnate ad «azzerare» la legge Gasparri, a prendere atto che è fallito un progetto, e portate a casa questo ignobile decreto-legge (fate poi quello che volete per Retequattro). Io non sono appassionato su che cosa chiudere: sono appassionato su che cosa aprire! Diteci che viene «azzerata» la legge Gasparri, indicate il percorso legislativo da seguire, apritevi ad un confronto parlamentare, indicate le vie della liberalizzazione del mercato, raccogliete le indicazioni delle imprese e delle forze del lavoro più avanzate! Ma come, nelle stesse ore Berlusconi manda a dire che abrogherà la par condicio perché deve vincere le elezioni? Ma come ci si può confrontare seriamente, caro sottosegretario? Provi ad immaginare un modo di ragionare di questo tipo: voglio la fiducia e cancellerò ogni regola in vista della campagna elettorale!
Provate anche voi a ragionare se non serva avere due schieramenti, in questo Parlamento, liberi da interessi particolari o aziendali, capaci di fare politica e, quindi, di raggiungere mediazioni positive, senza essere subordinati ad un comando di impresa sbagliato, qualunque sia l'impresa. Per questa ragione, vi chiedo un ripensamento, se ne siete capaci, perché si è trattato di una brutta pagina di storia parlamentare.
Mi consenta infine di ringraziare tutte le colleghe e i colleghi dell'opposizione, che non hanno fatto ostruzionismo ma hanno ridato fiato, orgoglio e dignità al Parlamento in una brutta giornata (Applausi dei deputati del gruppo dei Democratici di sinistra-L'Ulivo)!
PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto l'onorevole Zani. Ne ha facoltà.
MAURO ZANI. Signor Presidente, nel chiedere il voto sul mio ordine del giorno, vorrei restare coerente con la premessa che ho fatto, ormai diverse ore fa, nell'illustrarne i contenuti.
Francamente, continuo a percepire toni aspri da parte di diversi miei colleghi. Per
questo, vorrei anch'io unirmi all'illustre schiera di quanti, da tempo, anche loro «inascoltati» invitano a tenere bassi i toni della polemica.
Da ultimo, il ministro dell'interno ci ha rivolto questo invito. Più alti sono i toni - immagino, dell'opposizione - e più di quei toni si nutre o può nutrirsi l'idra del terrorismo politico e della sovversione sociale. Che c'entra, direte voi? C'entra, e tutto fa brodo in questo paese (brodo di cottura, naturalmente)!
D'altro canto, come non citare l'esempio dell'onorevole Presidente del Consiglio che, anche recentemente, ha soavemente sussurrato la sua opinione intorno alla grave questione del comunismo? Mi si tornerà a chiedere che cosa c'entra. C'entra, c'entra anche questo, perché, come ha ribadito il proprietario di Mediaset, il comunismo c'entra sempre! C'è anche quando non si vede, è un pericolo attuale, incombente come le armi di distruzione di massa, si diffonde nell'aria, è miasmo sulfureo di una diabolica influenza: diavoleria da guerra biologica!
Di fronte a tale leggerezza di toni, e andando verso una campagna elettorale che, in mancanza di meglio, sarà condotta ancora e sempre all'insegna della crociata, contro lo spettro del comunismo che, come noto, non ha mai smesso di aggirarsi per l'Europa, neppure dopo la splendida prova del semestre italiano, viene spontaneo anche a noi - anche a me - condurre la nostra - la mia - battaglia politica in modo cavalleresco!
Dunque, nel chiedervi il voto sul mio ordine del giorno, non userò i toni alti dei miei colleghi del centrosinistra, che sono evidentemente quasi tutti, se non tutti, comunisti (Dio li perdoni!). Ho già detto, con la maggiore lucidità di cui ero provvisto ieri sera, che si può comprendere l'amorevole cura con cui la maggioranza della Casa delle libertà, lungo il percorso di questi tre anni di legislatura, ha cercato di salvaguardare, se non di incrementare, il patrimonio del premier.
Certo, è stato un calvario! Lungo la strada, ad ogni crocicchio, poteva celarsi una nuova insidia (la Corte costituzionale, il voto segreto, la Presidenza della Repubblica), mentre bande di predoni dell'opposizione erano pronti all'agguato e all'esproprio, in combutta con la setta delle toghe rosse, discendenti dirette dei beati paoli. Fino a che, persino dentro le solide mura della Casa delle libertà, ha cominciato ad aleggiare qualche dubbio, qualche indecisione, qualche incertezza, comunque, una minore prontezza nel serrare i ranghi di fronte al pericolo incombente. Prova ne sia, la richiesta petulante, reiterata per mesi, di una cosiddetta verifica (e, come si sa, di verifica in verifica si arriva presto al tradimento di fronte al nemico).
Per questo, per aiutare le truppe azzurre a comprendere meglio chi comanda, da un lato, si è concesso - ed è un bel risultato - un Consiglio di gabinetto e, dall'altro, si è riportato l'ordine tra le file sbandate con la fiducia. Certo, la fiducia è una gran cosa. Non solo la fiducia, ma anche la fede. Dunque, l'indicazione della maggioranza è chiara: fiducia e fede, fiducia ora e fede nell'avvenire, sempre!
Così va il mondo, almeno fino alle prossime elezioni.
Nell'attesa, invito la maggioranza a non respingere il mio ordine del giorno senza fornire una spiegazione più esauriente, data la particolare attenzione che esso giustamente pone sulla regione Trentino per ciò che riguarda la diffusione della tecnologia digitale. Ricordate Custoza? Voi direte: che c'entra? Vi dico che c'entra, perché, quando sotto i bastioni del Quadrilatero, Lamarmora veniva battuto, Garibaldi, in camicia rossa, con la sua campagna fulminea liberava il Trentino per consegnarlo all'unità della nazione. Ricordate? Poi vi fu quell'«obbedisco» ed il Trentino rimase sotto il piede austriaco.
Dopo centocinquant'anni, abbiamo da saldare ancora almeno una parte di quel debito. Ecco perché il Trentino. È un'importante occasione, questa, per far arrivare un segnale televisivo chiaro e di buona qualità in quella regione. Sono certo che anche il sottosegretario comprenderà l'alto valore patriottico di un
voto positivo sull'ordine del giorno in esame (Applausi dei deputati del gruppo dei Democratici di sinistra-L'Ulivo).
PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto l'onorevole Adduce. Ne ha facoltà.
SALVATORE ADDUCE. Voglio ringraziare il sottosegretario Innocenzi per la benevola considerazione che ha avuto nei confronti del mio ordine del giorno n. 9/4645/10. Tuttavia, devo dire che non sono soddisfatto dalle valutazioni che ha fin qui espresso sugli ordini del giorno presentati, in quanto esse si discostano notevolmente, nel metodo, dal trattamento che il Governo ha riservato ai pochi emendamenti del centrosinistra. Questo comportamento non è coerente ed è asimmetrico: da una parte, vi è una disponibilità, persino entrando nel merito, a modificare e riformulare gli ordini del giorno, dall'altra, si è voluto dare un colpo di scure sulla discussione degli emendamenti presentati, invocando il voto di fiducia.
Signor sottosegretario, ciò, anche se in piccolo, dimostra quanto sia difficile e complesso valutare la vostra disponibilità e rispondere in modo positivo. Non credo sfugga al sottosegretario che la questione su cui stiamo discutendo non è tanto quella di modificare gli ordini del giorno, ma quella di valutare complessivamente il vostro comportamento intorno ad un tema che sta interessando il nostro paese ormai da tre anni.
Vi eravate impegnati, con la vostra parola d'onore, ad affrontare e a risolvere le questioni che sono alla base della difficoltà che l'Italia sta attraversando in questi anni rispetto al resto d'Europa e del mondo. Non siete stati in grado di affrontare e risolvere questo problema perché esso risiede nella natura stessa della coalizione della Casa delle libertà.
Le voglio citare, signor sottosegretario, un solo odioso episodio. Domenica scorsa, un telegiornale di Rai1, quello delle ore 13, ha totalmente eliminato la notizia dell'evento politico più importante di questa legislatura, cioè la convention, al Palaeur di Roma, della lista Prodi, ovvero dei quattro raggruppamenti delle forze politiche che daranno vita alla lista unitaria per le elezioni europee. Ciò è stato fatto utilizzando un argomento tragico, così dedicando - certo, questo era doveroso - quasi tutto il telegiornale alla tragica scomparsa di Marco Pantani. Ma ciò è stato fatto, a mio parere, in maniera maliziosa, direi malvagia, abolendo totalmente quella che, in quel fine settimana, era la vera grande notizia politica.
Persino in queste ore, con un forte seguito sui mezzi di comunicazione, avete sostenuto che la battaglia che stiamo svolgendo in quest'aula, e che continueremo nelle prossime ore, serve a coprire le difficoltà del centrosinistra sulla vicenda Iraq, sfuggendo in tal modo totalmente alle vostre responsabilità.
Abbiamo affrontato una questione di merito, che riguarda un decreto che grida vendetta ed il metodo che avete utilizzato per farlo passare, anche imponendo alla vostra maggioranza un diktat, che pensavamo non dovesse essere imposto ancora una volta al Parlamento. Ecco perché chiedo che il mio ordine del giorno n. 9/4645/10 venga posto in votazione (Applausi dei deputati del gruppo dei Democratici di sinistra-l'Ulivo).
PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto l'onorevole Zunino. Ne ha facoltà.
MASSIMO ZUNINO. Signor presidente, onorevoli colleghi, rappresentante del Governo, chiedo anch'io che l'ordine del giorno di cui sono primo firmatario venga votato. Questa richiesta è conseguente a quanto è avvenuto in queste ore in Assemblea e all'impegno serio, teso a far sentire all'esterno il grave fatto che si sta perpetuando all'interno della Camera, con cui le opposizioni stanno affrontando questo dibattito.
L'ordine del giorno che ho presentato insieme all'onorevole Chiaromonte ricorda alcuni aspetti essenziali di questa nostra battaglia e pone il problema della necessità della qualità del segnale, che rappre
senta un elemento dirimente per quanto attiene all'effettiva copertura del territorio, e pertanto del reale riconoscimento del diritto di accesso ad una pluralità di offerte e di informative radiotelevisive su tutto il territorio nazionale. Con tale ordine del giorno si chiede al Governo l'impegno (che spero ancora possa essere fatto proprio dalla maggioranza), di effettuare, per quanto di sua competenza e, avvalendosi delle strutture ministeriali preposte, le necessarie verifiche ed ispezioni, volte ad accertare che i segnali televisivi, irradiati in tecnica digitale, siano di qualità buona, secondo la codificazione vigente, e a darne immediata e periodica informazione all'Autorità garante per le comunicazioni e al Parlamento, con particolare riguardo alle aree della regione Sicilia.
È toccato a me che vengo dal nord, precisamente dalla Liguria, presentare un emendamento che riguarda una regione in cui così numerosi sono i parlamentari eletti nella Casa delle libertà. Spero che questo elemento faccia riflettere la maggioranza, visto che si parla di una regione che dovrebbe essere molto cara alla stessa.
Mi pare che così non sia. Dunque, mi fa - ripeto - particolarmente piacere che sia il sottoscritto a parlare della Sicilia, a porre al centro, con tale ordine del giorno, il problema relativo a quest'area del nostro paese.
Il decreto-legge in esame - è stato detto - viene emanato a seguito del messaggio presidenziale che ha rinviato al Parlamento la legge di riforma del sistema radiotelevisivo e della scadenza dei termini, indicati dalla sentenza della Corte costituzionale, relativi all'uso delle frequenze radiotelevisive, nonché della conseguente limitazione del pluralismo del sistema dell'informazione.
Tale concomitanza di fattori (messaggio presidenziale e scadenza del termine indicato dalla sentenza della Corte) avrebbe consentito, come ricordava in precedenza l'onorevole Giulietti, di riaprire un dibattito complessivo su tali temi e di riaprire un confronto serio tra maggioranza ed opposizione, se vi fosse stata, da parte del Governo e del Presidente del Consiglio, la volontà di entrare realmente nel merito di questi temi.
Così non è stato. L'ho ricordato ieri sera, nell'illustrazione del mio ordine del giorno: si è preferito seguire un'altra strada, quella della forzatura. Si è detto che in Assemblea non vi erano le condizioni per affrontare questo dibattito, nei tempi e nei modi previsti. Si è fatto ricorso ad un presunto ostruzionismo da parte dell'opposizione, che non c'è mai stato; ci sono stati, lo ricordiamo, 60-70 emendamenti. Certamente, questi ultimi non erano in numero tale da preoccupare la maggioranza, che dispone di cento voti di differenza e sarebbe stata in grado di gestire il dibattito e, se avesse avuto la coesione necessaria, di portare a termine l'esame del decreto-legge nei tempi necessari per la sua conversione in legge.
Così non è stato. Si e preferita un'altra strada, con la scusa di fare presto e di approvare il decreto-legge nei termini; ma la realtà - va detto ancora una volta - è che questa maggioranza (e lo ha dimostrato con il voto segreto in quest'aula) è divisa su tale argomento e non era in grado di ottenere all'approvazione del provvedimento.
Il clima era tutt'altro che sereno. Pertanto, il voto di fiducia è stato utilizzato per blindare la maggioranza. La questione di fiducia è stata posta su un decreto-legge che salva Retequattro, ossia una rete di proprietà del Presidente del Consiglio e che mette in evidenza, come non mai, il tema del conflitto di interessi, ancora oggi irrisolto.
Siamo convinti - l'ho detto, ieri, concludendo il mio intervento - che ciò sia francamente troppo, troppo per noi, troppo per la maggioranza, ma - pensiamo - troppo anche per la maggioranza degli italiani (Applausi dei deputati del gruppo dei Democratici di sinistra-L'Ulivo).
PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto l'onorevole Bova. Ne ha facoltà.
DOMENICO BOVA. Esprimo il mio apprezzamento al sottosegretario Innocenzi,
per l'accoglimento dell'ordine del giorno che ho presentato assieme al collega Burlando. Tale ordine del giorno riguarda la necessità di assicurare a tutti gli utenti l'accesso all'offerta informativa digitale, distribuendo le risorse in modo equo ed equilibrato su tutto il territorio nazionale.
Il mio apprezzamento al sottosegretario Innocenzi nasce dalla riflessione che, con la sua decisione di accogliere l'ordine del giorno, viene dimostrato in maniera palese che era possibile un diverso approccio ai temi in discussione ed al decreto-legge in esame. Un approccio dialogante, che avrebbe consentito al Parlamento e all'opposizione di contribuire alla definizione di un provvedimento necessario ed importante.
Resta però, sottosegretario Innocenzi, l'amarezza, non verso il suo atteggiamento, che è di grande stile e di grande cortesia, ma verso quello della maggioranza e del Governo. Verso l'atteggiamento che si è voluto in maniera pervicace tenere in quest'aula e che credo non sia esagerato definire sprezzante, irrispettoso nei confronti del Parlamento e delle opposizioni a questo Governo.
Signor presidente, la domanda che spesso ci siamo posti è semplice: perché si è giunti a questo punto? Non era possibile percorrere una strada diversa? Molti colleghi a tale domanda hanno dato motivazioni e risposte acute, intelligenti, originali; ma credo che, oltre alle argomentazioni usate dai colleghi, anche lei, signor Presidente, abbia percepito la forte preoccupazione che esiste nel Parlamento ed in tanti deputati. Tutti noi sentiamo che la vicenda politica italiana sta giungendo ad un punto critico.
Ciò che critico fortemente è il fatto che siamo in presenza di un'ulteriore iniziativa politica da parte del Presidente del Consiglio che tende ad innalzare il livello dello scontro politico nel nostro paese. Uno scontro con il Parlamento, che viene considerato un pesante fardello; uno scontro, e ciò ci preoccupa ancora di più, con le autorità di garanzia, con le iniziative messe in campo, con la Presidenza della Repubblica e con la Corte costituzionale. Un acuto scontro con la magistratura.
PRESIDENTE. Onorevole Bova...
DOMENICO BOVA. Signor presidente, ho già terminato i miei cinque minuti?
PRESIDENTE. Onorevole Bova, avrà ancora occasione di parlare, immagino. Non vorremmo perdere la conclusione del suo ragionamento, però la invito a concludere.
DOMENICO BOVA. Credo che l'ordine del giorno che, assieme al collega Burlando, ho presentato debba essere sottoposto al voto dell'Assemblea, malgrado l'apprezzamento che voglio ulteriormente ribadire al sottosegretario Innocenzi (Applausi dei deputati del gruppo dei Democratici di sinistra-L'Ulivo).
PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto l'onorevole Raffaldini. Ne ha facoltà.
FRANCO RAFFALDINI. Signor Presidente, io, invece, non ringrazio il sottosegretario, il quale ha espresso un parere contrario su un ordine del giorno il cui cuore è al centro di questo provvedimento, che non è un provvedimento come tanti, ma riguarda una materia, l'informazione, che ha una rilevanza costituzionale.
Nella società della comunicazione, quella in cui viviamo, l'informazione è un potere vero e proprio. Più pluralismo, più autonomia sono, dunque, i presupposti indispensabili affinché la qualità stessa della nostra democrazia si avvantaggi.
Senza pluralismo (d'altra parte è anche il monito del Presidente della Repubblica contenuto nel primo e per ora unico messaggio inviato alle Camere) la nostra democrazia rischia non solo di non essere una democrazia moderna, ma di essere azzoppata, ferita, se non addirittura dimezzata.
È con questa consapevolezza che si sarebbero dovuti esaminare i problemi sottesi al provvedimento. Nello specifico
dell'ordine del giorno da me presentato, già dal primo passaggio parlamentare sul decreto-legge vi erano buoni motivi che ci avevano indotto a presentare una questione pregiudiziale di costituzionalità. Adesso, dopo le modifiche apportate al Senato, le ragioni di inquietudine sono aumentate.
Il Senato ha introdotto al comma 1 dell'articolo 1 il periodo seguente: «anche tenendo conto delle tendenze in atto nel mercato». La parola tendenze consente di fatto all'Autorità una discrezione eccessiva nel valutare gli effetti del digitale terrestre sul pluralismo televisivo. È questo il cuore dell'ordine del giorno da me presentato. È come se la maggioranza, con questo emendamento, avesse voluto sostenere che fosse difficile pensare che fra tre mesi il sistema televisivo in Italia potesse diventare pluralista, ma l'antitrust potrebbe accontentarsi di testimoniare che vi è una tendenza in atto. In questo modo Retequattro sarebbe salva.
Se, inoltre, si prendono in considerazione i criteri sulla base dei quali l'Autorità deve pronunciarsi, ecco altri due emendamenti approvati al Senato che testimoniano la volontà della maggioranza di farsi beffa dello spirito e della lettera del Presidente della Repubblica. L'Autorità, infatti, deve verificare la quota di popolazione coperta dalle nuove reti digitali terrestri, non più quindi la quota raggiunta, ma la quota coperta. Insomma, è sufficiente che una televisione lanci un segnale da un ripetitore; se nessuno lo vede, ai fini del pluralismo, secondo la maggioranza, non importa. La copertura, si dice, non deve comunque essere inferiore al 50 per cento della popolazione. Ciò vuol dire che una rete digitale terrestre potrà considerarsi nazionale, e dunque in grado di confrontarsi con le reti analogiche che devono avere una copertura dell'80 per cento del territorio, purché i suoi ripetitori, in teoria, coprano metà della popolazione italiana.
Per il decreto-legge in esame il pluralismo è sufficiente che sia virtuale, che si possa sostenere di averlo messo in campo. Mi pare un recupero delle parti più controverse della cosiddetta legge Gasparri.
PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto l'onorevole Bielli. Ne ha facoltà.
VALTER BIELLI. Io non ringrazio il sottosegretario Innocenzi per una ragione, perché ritengo che questo decreto-legge vada oltre le questioni a cui fa riferimento. In esso ravviso un tentativo molto pericoloso, quello di incidere, attraverso una legge ordinaria, sull'ordinamento costituzionale del paese. Vi è oggi una questione importantissima per una democrazia, che consiste nel permettere ai cittadini di avere quella che chiamo la libertà di informazione. Oggi non abbiamo tale libertà.
Con il provvedimento al nostro esame creiamo le condizioni perché da un duopolio si passi ad un monopolio dell'attuale Presidente del Consiglio. Siamo di fronte ad un fatto molto negativo, che incide pesantemente sulle nostre libertà. Invito la maggioranza a riflettere con grande attenzione, perché, di giorno in giorno, si manifesta concretamente un conflitto di interessi mai risolto nel nostro paese. Avete posto la questione di fiducia e le azioni di Mediaset hanno avuto un innalzamento. Che cosa è ciò, se non un rapporto diretto tra la politica e gli interessi del premier? Che cos'è questo, se non un conflitto di interessi?
Voi della maggioranza criticate noi dell'opposizione perché sosteniamo che vi è un degrado nel paese e forse su un punto avete ragione, cioè sul fatto che in questo paese abbiamo dei primati. Ma sapete quali sono questi primati? Il primo è dato dal fatto che siamo l'unico paese al mondo che compie tale operazione. Da questo punto di vista, siete arrivati primi e bisogna darvene atto. Vi è anche un altro primato, che attiene alla necessità di dire alla gente di essere corretta (forse, non si deve dire onesta). Voi avete introdotto un nuovo primato, per cui il Presidente del Consiglio dice che l'evasione fiscale non è disdicevole.
Il collega Panattoni, in un suo precedente intervento, voleva recitare una canzone. Io non lo faccio per rispetto all'Assemblea, ma provate a pensare alla canzone di Venditti intitolata «In questo mondo di ladri». Vi sembra che da questo punto di vista lanciamo messaggi positivi o negativi? Voi siete riusciti ad ottenere dei primati, ma non vi fanno onore, colleghi della maggioranza.
Per quanto riguarda il merito del decreto-legge, aggiungo un'ultima cosa. Si parla tanto dell'opportunità, che avete dato con il digitale, di avere maggiore informazione. Vede, signor sottosegretario, è come quando si hanno delle macchine da corsa, le si mettono in strada ma non le si rifornisce di benzina. Per offrire opportunità, è necessario avere risorse, che sono date dalla pubblicità. Chi ha in mano la pubblicità? Stranamente, in questo paese è sempre la stessa persona, una persona che sorride quasi sempre, che ha detto che Prodi non è nuovo mentre lui, il Cavaliere, per essere nuovo si fa il lifting!
Con questo decreto-legge non avete fatto un lifting, ma qualcosa di pericoloso per il paese, qualcosa che non serve. Mi auguro che, in tempi brevi, nel paese vi siano le condizioni per cambiare, ed in fretta, perché penso che siamo giunti alla soglia di rischio (Applausi dei deputati del gruppo dei Democratici di sinistra-L'Ulivo).
PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto l'onorevole Magnolfi. Ne ha facoltà.
BEATRICE MARIA MAGNOLFI. Signor sottosegretario, non accetto la riformulazione da lei proposta in merito al mio ordine del giorno n. 9/4645/7. In questo modo sarebbe espunta la parte più importante, quella che contiene il principio di equità, ragione per cui ho presentato tale ordine del giorno.
Capisco per quale motivo non si accetta il principio di equità, perché, per quanto il Governo abbia una visione deformata della situazione del paese (come dimostrano le continue esternazioni del Presidente del Consiglio, secondo il quale siamo tutti più ricchi, gli stipendi sono aumentati e tutto procede bene), vi rendete conto che le famiglie meno abbienti o addirittura quelle povere, che sono sempre di più in Italia, non andranno mai a comprarsi il decoder, neanche con la mancia di 150 euro da parte del Governo. Essi hanno altre priorità. Credo che, se intervistassimo le famiglie italiane e facessimo uno di quei sondaggi che un tempo vi erano tanto cari, ma pare che oggi non vadano più di moda, sarebbe difficile trovare famiglie che dicono che nei loro desideri e bisogni c'è l'acquisto di un decoder. Dunque, questo regalo è solo per le famiglie ricche, che potrebbero comparselo da sole, ma lo fanno tanto più volentieri se il Governo si preoccupa di fargli questo omaggio, che magari consente loro di vedere le partite a casa. Così, potrete dimostrare la propensione all'acquisto di cui parla il decreto-legge in maniera obliqua e sibillina.
Onorevole sottosegretario, ieri il Presidente del Consiglio ha detto che ha posto la questione di fiducia sul decreto in esame per evitare le lungaggini del Parlamento. Non credo che si tratti di lungaggini. Io sono qui dalle 3,30 di questa mattina e sono orgoglioso di portare il mio contributo ad una battaglia che il paese è in grado di cogliere fino in fondo, perché è una battaglia importante. Sono qui non per odio contro Silvio Berlusconi, come direbbe il disco inceppato dell'onorevole Bondi, ma per amore della libertà.
Nella società dell'informazione, la libertà di tutti i cittadini passa per l'appunto attraverso la libertà di informazione, che a sua volta è garantita solo da un sistema completamente pluralista. Lo ha ricordato con fermezza il Capo dello Stato, il Presidente Ciampi, e lo hanno scritto e detto tutti i commentatori liberali e i maestri del pensiero liberale. È l'assillo di tutte le democrazie moderne e noi, squadernato sotto ai nostri occhi e a quelli del paese, abbiamo visto il tentativo affannoso e disperato, di questo Governo e di questa maggioranza, di aggirare tutti i limiti e le regole che garantiscono il pluralismo e la libertà in un quadro corretto di concorrenza.
Il Governo ha proposto la legge Gasparri per aggirare una sentenza della Corte costituzionale; successivamente, ha proposto questo decreto-legge per aggirare il rinvio alle Camere di quella legge da parte del Presidente della Repubblica. Si è inventato l'allargamento del paniere dell'informazione, il cosiddetto SIC, per aggirare il tetto antimonopolio e consentire al monopolista Mediaset di diventare ancora più monopolista. Si è inventato il contributo per i decoder alle famiglie italiane, indipendentemente dal reddito - come dicevo poco fa -, per aggirare i limiti delle due reti televisive. Infine, è dovuto ricorrere al voto di fiducia per aggirare i rischi che con il voto segreto molti deputati della maggioranza esprimessero finalmente il loro dissenso ed il loro disagio.
A forza di aggiramenti, ma potrei direttamente chiamarli raggiri, si può tornare al punto di partenza e, soprattutto, si fa tornare indietro il paese: indietro nella qualità della democrazia, nella libertà di informazione, nello sviluppo, nella coesione sociale, nella sicurezza e nella fiducia. Questo è un paese «indietro tutta» in questo momento, con l'unica eccezione del valore delle azioni Mediaset, che cresce ogni giorno.
Non bastano sei televisioni e dieci giornali per camuffare una realtà così evidente. Non bastano i monologhi fatti da conferenze stampa con i conduttori più stucchevoli e compiacenti, le notizie edulcorate e la censura strisciante e talora conclamata. La realtà vera è più forte di quella virtuale. Direi che il prodotto si vendica della confezione, del marketing ed è più forte del marketing, nonostante l'abilità del venditore.
Di fronte alle preoccupazioni molto serie degli italiani, la propaganda irriducibile è addirittura un boomerang e non potete nemmeno dare la colpa sempre agli altri, al buco del centrosinistra, ai giornalisti che deformano la realtà, ai magistrati, all'euro, a Prodi, e magari alle massaie.
Infine, smettetela di parlare di massaie - vi prego - perché in Italia le donne non si possono considerare più massaie. Non è vero che non leggono i giornali: leggono molti giornali e libri. Vanno al mercato, ma vanno anche al cinema e pensano con la loro testa. Quindi sanno, quando vanno a votare, cosa fare e che cosa voleva dire quel «ghe pensi mi» della propaganda elettorale. Voleva dire semplicemente: penso per me (Applausi dei deputati del gruppo dei Democratici di sinistra-L'Ulivo).
PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto l'onorevole Duca. Ne ha facoltà.
EUGENIO DUCA. Mi dispiace che il Governo abbia espresso un parere contrario sull'ordine del giorno di cui sono firmatario. Mi dispiace perché ci ho lavorato, ma soprattutto per i lavoratori che sono l'oggetto di tale ordine del giorno, il quale, nel dispositivo, impegna il Governo ad individuare e a predisporre tempestivamente, di intesa con le organizzazioni sindacali maggiormente rappresentative dei lavoratori del settore radiotelevisivo, le misure di ammortizzazione sociale e di integrazione salariale che si dovessero rivelare necessarie.
Mi pare obiettivamente che tale richiesta non comportasse un grande impegno, ma soltanto una possibile tutela dei lavoratori interessati da processi di ristrutturazione o da sentenze che la Corte costituzionale ha emesso o emetterà dopo questo decreto.
Mi dispiace per l'atteggiamento negativo del Governo, ma non mi sorprende, perché la tutela dei diritti dei lavoratori non è sicuramente tra i suoi obiettivi. Tant'è vero che in ogni occasione, ad esempio, quando si è parlato di riduzione della pressione fiscale, per i lavoratori questo si è tramutato in un aumento del prelievo sul TFR, cioè sulla liquidazione, del 5 per cento. Ossia, sono state pesantemente messe le mani nelle tasche dei lavoratori, portandogli via decine e decine di milioni. Per quanto riguarda i lavoratori dell'Alitalia, sono due anni che invano chiediamo ammortizzatori sociali per quell'azienda, che è in forte crisi, e il Governo ha pensato bene di presentarci un piano che prevede 2.700 licenziamenti.
Chi difenderà i lavoratori del settore radiotelevisivo? Chi difenderà, ad esempio, quei 700 posti di lavoro non nati, che sono quelli di Europa 7, alla quale il Governo impedisce di lavorare e di trasmettere, benché ci sia una sentenza della Corte costituzionale che stabilisce che dal 1o gennaio 2004 questa rete deve trasmettere? Ma quale odio vi guida nei confronti degli altri imprenditori? Quale odio vi guida nei confronti di quei 700 lavoratori cui voi impedite di lavorare?
Per quale motivo? Uno dei motivi lo conosciamo: è quello che, dal 1o gennaio del 2004 ad oggi, è già entrata indebitamente nelle tasche del Presidente-imprenditore, grazie a questo decreto-legge, che potremmo definire un bel regalo di Natale, la modesta somma di 31 milioni 869 mila euro. Per legge gli avete fatto intascare indebitamente dal 1o gennaio di quest'anno al 18 febbraio, alle ore 7,45, la bellezza di 31 milioni e 869 mila euro.
Nel contempo, state impedendo di trasmettere ad un'impresa che ha vinto una gara e che quindi deve trasmettere, con tutta una serie di arzigogoli ed ora persino con un decreto-legge. Si realizza, quindi, un ennesimo e gravissimo stravolgimento del diritto. In pratica, chi ha perso la gara può continuare tranquillamente a trasmettere; chi l'ha vinta, Europa 7, perde definitivamente tale diritto.
Diritto che, appunto, intanto si trasforma nella mancata creazione di 700 nuovi posti di lavoro. State rubando il futuro a 700 lavoratori e alle loro famiglie! Dicevo che mi dispiace, ma non mi sorprende, così come non mi ha sorpreso che mentre avete proposto la riduzione o l'abbattimento del canone RAI per tutti gli abbonati, ancora una volta avete predicato in un modo e agito in un altro. Infatti, avete già deciso di aumentare il canone ogni anno da oggi al 2006: ancora una volta mettete le mani nelle tasche dei cittadini-utenti e salvaguardate gli interessi consistenti del vostro padrone.
PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto l'onorevole Mazzarello. Ne ha facoltà.
GRAZIANO MAZZARELLO. Prendo atto che il mio ordine del giorno è stato accolto dal Governo, anche se si tratta di uno dei pochissimi che sono stati accolti. Il Governo, anche sugli ordini del giorno, ha continuato a rifiutare ogni confronto che potesse in qualche modo porre riparo ai guasti che questo provvedimento provoca e provocherà nella realtà italiana.
Noi siamo contenti della bella battaglia che stiamo conducendo, perché siamo sicuri che, nonostante che in questa sede voi rifiutiate ogni confronto, dovrete poi rispondere a tante persone, nel paese, che vi porranno delle domande a cui non potrete sfuggire. Vi chiederanno perché continuate a bloccare il Parlamento su leggi come queste, perché altre ce ne sono già state, che guardano solo agli interessi privati del Presidente del Consiglio. Dovrete spiegare perché, quando si devono affrontare i problemi veri delle famiglie, dei lavoratori, degli imprenditori o dei cittadini italiani, allora vi richiamate all'ISTAT, alle torri gemelle, alla crisi internazionale, e via dicendo. E invece, quando dovete decidere su un punto che interessa l'attività privata del Presidente dl Consiglio, tirate fuori un decreto-legge, ponete la questione di fiducia, rifiutate ogni confronto anche all'interno della vostra maggioranza.
Con la nostra battaglia vi stiamo costringendo a rispondere a queste richieste, che dal paese vi verranno poste in maniera ferma. Le risposte che avete fornito fin qui non sono credibili. Avete detto che fate tutto questo per salvare i posti di lavoro di Retequattro. Vogliamo scherzare? Che imprenditore è Berlusconi se, dopo che è intervenuta oltre un anno fa una sentenza dalla Corte Costituzionale che impone il limite massimo tassativo del 31 dicembre 2003, solamente alla vigilia di Natale tira fuori un decreto-legge per prolungare la vita di questa rete televisiva? Quale imprenditore illuminato sarebbe? Solamente alcuni imprenditori italiani potevano pensare di avere questa possibilità. Tutti gli altri operatori economici non possono pensare che, quando si trovano in una situazione di questo tipo, debbono arrivare all'ultimo giorno, non possono pensare di
avere un decreto-legge a loro disposizione o di chiedere un voto di fiducia al Parlamento italiano.
Le vostre motivazioni non sono credibili. Ancor meno siete credibili quando non riuscite a spiegare per quale motivo, al Senato, avete ulteriormente peggiorato questo decreto. Non avete fornito risposte alle obiezioni sollevate dall'antitrust, anzi avete continuato ad ostacolare la possibilità che, di fronte a questo decreto, vi potesse essere una verifica sulla base di idee chiare: avete sostituito semplici parole, avete aggiunto qualche frase, ma avete intorbidito ancora di più le acque rispetto alla prospettiva di una soluzione positiva per il pluralismo dell'informazione del nostro paese.
Ho già ricordato che avete introdotto la famosa frase: «anche tenendo conto delle tendenze in atto del mercato». Voi offrite un parametro assolutamente sfuggente all'Autorità di controllo. Avete introdotto la parola «coperta» piuttosto che quella «raggiunta», cercando di far intendere che è sufficiente che vi sia un emettittore che lanci un segnale, anche se esso non sarà raccolto o visto da nessuno. Avete introdotto la quota del 50 per cento per giudicare nazionali le nuove reti.
Insomma, avete cercato di fornire all'Autorità, che dovrebbe verificare se dopo questo decreto sono rispettati i parametri del pluralismo (parametri su cui stabilire se un meccanismo plurale è stato introdotto nel nostro sistema dell'informazione), parametri ambigui, di copertura di una impostazione inaccettabile. Ecco perché, ripeto, sarete chiamati a rispondere di fronte al paese di queste cose. Sarete chiamati a rispondere a quelle persone che si sentono abbandonate, che sentono che i loro problemi non sono affrontati, che sentono che la loro situazione non è assolutamente considerata. Dovrete spiegare quali sono le ragioni della scelta di un altro provvedimento che risponde solamente agli interessi del Presidente del Consiglio. Ancora una volta accentuate l'anomalia italiana che rende il nostro paese diverso da tutti gli altri paesi avanzati del mondo.
PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto l'onorevole Tolotti. Ne ha facoltà.
FRANCESCO TOLOTTI. Signor Presidente, in questa lunga notte parlamentare ho cercato di fare qualche esercizio di memoria per tenermi sveglio e, tra le varie reminiscenze, mi è venuto alla mente un breve apologo di Fedro che recita: «Ad rivum eundem lupus et agnus venerunt. Superior stabat lupus longeque inferior agnus». Ovviamente, faccio grazia del resto, ma questa favoletta ci invita a riflettere sulle soperchierie dei prepotenti che alterano la verità a scapito dei diritti degli innocenti.
A me pare che il favolista ci fornisca un paradigma utile dell'attuale situazione del sistema dell'informazione televisiva nel nostro paese.
Se ci può essere qualche discussione e qualche difformità di valutazione su cosa debba essere individuato come l'agnello sacrificato alla prepotenza del lupo - potrebbe essere il pluralismo, la correttezza dell'informazione, la libertà stessa -, non vi è invece alcun dubbio quanto all'individuazione del lupo. Vi è, in questo paese, un monopolista arrogante e affetto da sindrome di onnipotenza che, come il lupo di Fedro, è disposto a distorcere la realtà e a fare carte false pur di affermare con protervia il proprio arbitrio. E vi è, purtroppo, una maggioranza parlamentare che accorre al richiamo del padre padrone e, deposte momentaneamente le polemiche ricorrenti (praticamente su tutto), fa quadrato in difesa degli interessi del capo.
Ieri pomeriggio, la maggioranza di centrodestra è ricorsa alla forzatura del voto di fiducia per approvare in maniera blindata un provvedimento, probabilmente preoccupata soprattutto dei dissensi che avrebbero potuto manifestarsi al suo interno (come è avvenuto in occasione delle votazioni sulla legge Gasparri). Ha votato in maniera blindata un decreto-legge che formalmente si propone di disciplinare la transizione verso un sistema dell'informazione televisiva più moderno e più ricco quanto all'offerta ma che in realtà - lo
sappiamo tutti - ha come obiettivo vero la difesa, la tutela e la salvaguardia della possibilità di trasmettere in analogico per una emittente televisiva di proprietà del Presidente del Consiglio. Presidente del Consiglio il cui conflitto di interessi si appalesa sempre più come esuberante e stratosferico. Si tratta di Retequattro, che - lo abbiamo ripetuto in tanti, ma forse giova ancora una volta richiamarlo - una sentenza della Corte costituzionale del 2002 ha imposto di dismettere o di trasferire, come si dice in gergo, sul satellite.
Per aggirare la solare evidenza del disposto della Corte, il centrodestra ha fatto e continua a fare «carte false», appunto come il lupo di Fedro. Per esempio, ha finto di ignorare o di dimenticare (lo richiamava prima il collega Duca) che le frequenze sulle quali Retequattro trasmette sono di spettanza di un'altra emittente che in tutti questi anni si è vista palesemente danneggiata nelle proprie prerogative e nei propri diritti.
Ancora: con una interpretazione disinvolta della sentenza della Corte, il centrodestra ha accreditato la vulgata, purtroppo acriticamente accettata da troppi, secondo la quale, a fare da pendant alla dismissione di Retequattro, vi sarebbe quella di Rai3, individuata come rete pubblica, per così dire, amica della sinistra, nell'evidente intento di lanciare l'avvertimento ricattatorio: morire insieme o stare insieme; simul stabunt, simul cadunt...
PRESIDENTE. Cadent! anche lei, onorevole... la citazione non è corretta; il verbo è al futuro: cadent, non cadunt.
FRANCESCO TOLOTTI. Ha ragione, signor Presidente. L'ora è tarda. Sfruttando le straordinarie potenzialità della comunicazione televisiva, Mediaset ha lanciato una campagna vittimistica, presentandosi come una realtà oggetto di concentrici attacchi comunisti ed evocano scenari drammatici di disoccupazione per i lavoratori di Retequattro. Naturalmente, abbiamo a cuore le sorti dei lavoratori; ve ne è motivo nel nostro paese. Ma ci si deve anche chiedere se la responsabilità di tale situazione non sia di chi non ha provveduto per tempo ad adeguarsi ai disposti della Corte costituzionale.
Insomma, come dimostrano anche i contenuti del decreto, ci pare che si tratti di un provvedimento distorsivo della realtà, a tutela di interessi definiti; chiediamo, perciò, di dare parere favorevole ad ordini del giorno che, se non possono rimediare ai guasti prodotti, auspicano almeno un cambio deciso, una inversione di tendenza nella politica del Governo in materia di comunicazioni. (Applausi dei deputati del gruppo dei Democratici di sinistra-l'Ulivo).
PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto l'onorevole Bonito. Ne ha facoltà.
FRANCESCO BONITO. Signor Presidente, riprendo il mio intervento da dove mi ero interrotto ieri pomeriggio; precisamente, nel punto in cui prevedevo che il dibattito, a margine della questione di fiducia posta dal Governo, sarebbe stato probabilmente oggetto di studio da parte dei costituzionalisti. Ciò essenzialmente per due fondamentali ragioni. In primo luogo, chiarisco quella di più semplice lettura: noi stiamo discutendo di una fiducia posta per approvare un decreto-legge. E già ciò è evento eccezionale ed anomalia istituzionale e costituzionale di non poco conto; soprattutto se porre la fiducia per approvare un decreto-legge diventa azione di Governo sistematica e continua. Non devo ricordare in questa aula parlamentare che, in forza della nostra Costituzione, e in forza di costituzioni moderne, il potere legislativo spetta al Parlamento. Se, eccezionalmente, la Carta costituzionale e le norme supreme dello Stato consentono che la potestà legislativa faccia riferimento al Governo, ciò può e deve accadere soltanto, appunto, in situazioni di eccezionale urgenza. Ma è grave se il potere legislativo, non soltanto viene assunto come proprio dal Governo ma non viene poi sottoposto nemmeno al vaglio del Parlamento secondo quanto previsto dalla Costituzione. Il decreto-legge è atto avente
forza di legge, che viene assunto dall'organo esecutivo e che in questo caso viene semplicemente ratificato, attraverso il voto di fiducia, dal Parlamento. La situazione è delicata e grave sotto l'aspetto istituzionale e costituzionale e tale gravità deve essere ulteriormente sottolineata, attesa la circostanza, di non poco conto, che già in sede di approvazione della legge finanziaria il Parlamento si è visto completamente espropriato del suo «in sé», della sua anima ovvero del potere di fare leggi.
Si tratta di due materie di estrema delicatezza: per un verso, la legge finanziaria, ovvero la programmazione economica nella vita del nostro popolo; per altro verso, una disciplina che attiene al sistema dell'informazione, ovvero ad uno dei momenti strutturali della democrazia di un paese. Per tale ragione, ritengo che i costituzionalisti analizzeranno tale modo di governare e di delineare e disciplinare i rapporti tra potere esecutivo e Parlamento.
In ultimo, ma non ultimo, vi è il seguente aspetto, costituente una ulteriore specificità che rende ancora più grave, se possibile, il quadro istituzionale che mi permettevo di delineare e di sintetizzare. A margine di questo decreto-legge, tutto quanto io ho denunciato avviene per approvare un disposto normativo che si rivolge direttamente agli interessi del Presidente del Consiglio, Presidente del supremo collegio esecutivo previsto dalla Costituzione, che assume la responsabilità politica di quanto viene approvato. In altri termini, il Presidente del Consiglio si arroga un potere legislativo che gli è proprio soltanto in via eccezionale e fa ratificare dal Parlamento e dalla sua maggioranza un «affare» proprio.
Presidente, mi rendo conto che dobbiamo illustrare il nostro pensiero a rate e, quindi, mi riservo di concludere compiutamente il mio ragionamento nel mio terzo ed ultimo intervento (Applausi dei deputati del gruppo dei Democratici di sinistra-l'Ulivo).
PRESIDENTE. Ha chiesto parlare per dichiarazione di voto l'onorevole Ranieri. Ne ha facoltà.
UMBERTO RANIERI. Non è una stravaganza la decisione di questa maratona notturna, ma un aspetto di una battaglia parlamentare che l'opposizione conduce contro la scelta di porre la questione di fiducia su un provvedimento controverso. Dopo quanto è accaduto in questi ultimi mesi, sarebbe stata necessaria una discussione, ma, signor sottosegretario, lei sa che un decreto-legge approvato con un voto di fiducia non favorisce alcuna discussione.
A noi sembra che sia possibile trarre dal comportamento del Governo alcune conseguenze politiche: l'esecutivo teme la propria maggioranza e, del resto, si è giunti a tale decreto quando l'esecutivo è stato costretto a ritirare la legge Gasparri, che rischiava di cadere sotto i colpi dei franchi tiratori.
La verità è che il centrodestra è diviso, e non vale ricordare che anche il centrosinistra ha fatto ricorso in varie occasioni alla richiesta di fiducia perché esso aveva una maggioranza risicata mentre voi avete uno scarto di 100 deputati: quindi, chiedete la fiducia perché la vostra coalizione è scossa da una crisi di tenuta politica.
Il secondo punto che voglio affrontare riguarda la vostra proposta di riassetto globale del sistema televisivo, la cosiddetta riforma Gasparri. Questa riforma non c'è più, e il decreto approvato con il voto di fiducia suona come un de profundis per la legge Gasparri e per qualsiasi sua nuova versione. Signor sottosegretario, lei sa bene che, una volta garantito che Retequattro continui le sue trasmissioni in chiaro, chi si è visto, si è visto; magari, dopo le elezioni se ne riparlerà, ma ho l'impressione che allora avrete altri guai per la testa!
In conclusione, non siete stati in grado di riaprire seriamente la discussione e di sanare il vulnus costituzionale che ha indotto il Capo dello Stato a rinviare la legge Gasparri, alle Camere; per tali motivi, avete ripiegato su un decreto-legge e si potrebbe dire, tanto rumore per nulla!
Intendiamoci, non saremo noi a lagnarci di un simile esito. La legge Gasparri non solo non predisponeva le misure necessarie per tutelare l'effettiva esplicazione del pluralismo di idee e dell'imparzialità e completezza dell'informazione, ma nella sostanza lasciava immutata l'attuale situazione di duopolio e si ispirava ad una sorta di riformismo gattopardesco, cioè cambiare la forma purché la sostanza restasse la stessa. Questo è stato il senso della nostra critica. Non solo la successione del digitale aveva tempi diversi da quelli che il Governo prevedeva, come tutti gli osservatori e gli studiosi hanno riconosciuto, ma soprattutto non spezzava il duopolio RAI-Fininvest.
Il paese ha bisogno di una riforma che muova in questa direzione, ma la verità è che sul delicato tema dell'informazione, della sua libertà e della modernizzazione dell'assetto televisivo italiano non siete riusciti a produrre un progetto convincente. Avete fornito una manifestazione ulteriore di una mediocre capacità di Governo e in voi c'è una difficoltà ad operare in funzione dell'interesse generale del paese. Non vi siete nemmeno posti l'obiettivo di realizzare quello che anche il vostro elettorato attendeva, cioè una moderna, equa ed efficace regolazione del conflitto di interessi. La verità è che, se proseguirete lungo questa strada, non andrete lontano; del resto, avvertite anche voi che l'opinione del paese sul vostro conto è cambiata. Tuttavia, il nostro paese ha bisogno delle riforme, anche della riforma dell'assetto televisivo e dell'informazione vigente, di una sua modernizzazione e di una sua riorganizzazione.
Toccherà al centrosinistra, che ha anche riflettuto criticamente sulle insufficienze della propria politica in questo campo, affrontare tali problemi, e lo farà senza i settarismi e le ristrettezze che vi hanno caratterizzato e che vi porteranno alla sconfitta (Applausi dei deputati del gruppo dei Democratici di sinistra-l'Ulivo).
PRESIDENTE. Ha chiesto parlare per dichiarazione di voto l'onorevole Tidei. Ne ha facoltà.
PIETRO TIDEI. Signor Presidente, signor rappresentante del Governo, sono rimasto un po' amareggiato e sorpreso per il parere negativo che ella ha espresso sul mio ordine del giorno, presentato congiuntamente all'onorevole Bettini, che non chiedeva nulla di particolare né di scandaloso. Voglio limitarmi esclusivamente a ripetere ciò che chiedevamo, cioè un impegno del Governo ad effettuare, per quanto ovviamente di sua competenza, le necessarie verifiche ed ispezioni volte ad accertare che i segnali televisivi irradiati in tecnica digitale fossero classificabili di qualità buona, secondo la codificazione vigente, e a darne informazione all'Autorità per le garanzie nelle comunicazioni e al Parlamento. Quindi, non capisco tutto ciò.
Al di là di questo atteggiamento, credo che la verità, onorevole rappresentante del Governo, sia quella emersa da questa lunga maratona: il decreto-legge in esame, più che un atto legislativo di necessità ed urgenza imposto al Governo da particolari emergenze nazionali, si configura come un atto imposto dal Presidente del Consiglio al paese per risolvere una sua personale emergenza, quella di impedire con ogni mezzo l'esecuzione di una sentenza della Corte costituzionale che gli impone di dismettere o trasferire sul satellite una delle sue reti di emittenza privata.
L'esigenza di questo intervento tampone si è posta al Presidente del Consiglio come conseguenza - è stato già detto e voglio qui ripeterlo - del rinvio alle Camere da parte del Presidente della Repubblica della sua legge sul riordino del sistema radiotelevisivo (impropriamente definita legge Gasparri, perché tutti sanno che non è stato il ministro Gasparri a predisporla), per manifesta incostituzionalità di alcune delle sue norme. Il decreto-legge di cui si chiede la conversione fa seguito al rinvio alle Camere della legge Gasparri, disposto dal Presidente della Repubblica ai sensi dell'articolo 74 della Costituzione, con messaggio motivato del 15 dicembre 2003.
Il messaggio del Presidente Ciampi segnalava i seguenti profili di illegittimità: in
primo luogo, la manifesta violazione della sentenza della Corte costituzionale; in secondo luogo, la mancata previsione di poteri sanzionatori in capo all'Autorità per le garanzie nelle comunicazioni; in terzo luogo, la manifesta violazione del principio del pluralismo nel sistema informativo; in quarto luogo, come conseguenza della segnalata compressione del principio del pluralismo nel sistema informativo, dovuta alla concentrazione della raccolta di pubblicità sul sistema radiotelevisivo a scapito delle possibilità di finanziamento dell'editoria cartacea. Il decreto-legge oggi al nostro esame intenderebbe incidere solo sul primo dei rilievi segnalati nel messaggio presidenziale, ma, se analizzassimo il contenuto del provvedimento in discussione, non si potrebbe che sottolineare la sua incostituzionalità.
Il decreto è, in sé, incostituzionale perché il suo fine è che non accada quel che la Corte costituzionale prescrive. Infine, gli effetti di questo decreto sono quelli di disattendere il giudicato della Corte, ed è esattamente questo l'oggetto di cui discutiamo. Inoltre, è in sé incostituzionale che si vari un decreto-legge il cui unico effetto è che venga disatteso il contenuto precettivo della pronuncia della Corte stessa, ossia quello di liberare una frequenza al 31 dicembre 2003.
Voglio infine ricordare che il decreto-legge in esame non si limita ad assicurare una proroga in attesa del nuovo provvedimento, ma riscrive in modo preciso l'articolo 25 del disegno di legge Gasparri.
Qui, l'ultima considerazione riguarda i requisiti di urgenza. Ritengo che i requisiti di necessità e urgenza invocati per questo decreto-legge, non sussistano, in quanto il messaggio di rinvio del Presidente della Repubblica sulla legge Gasparri conteneva l'esplicita richiesta di una nuova deliberazione del Parlamento in ordine al provvedimento che era stato approvato.
I presupposti quindi di necessità e urgenza non si ravvisano, né sotto il profilo formale, né sotto quello sostanziale, giacché la mancata adozione del decreto non avrebbe determinato alcuna incongruenza o lacuna nel sistema normativo, ma avrebbe semmai imposto l'ottemperanza a quanto stabilito dalla Corte costituzionale medesima.
Infine, l'aver posto la fiducia su questo provvedimento è la dimostrazione definitiva che solo gli interessi privati e non quelli del paese sono alla base del programma di questo Governo e che solo questo tiene insieme la maggioranza.
Concludendo, è per questo che noi ci batteremo, qui come nel resto del paese, contro questo atto arrogante, prepotente, spregiudicato e lesivo dei principi del pluralismo nell'informazione imposto non da un capo di Governo, ma da un imprenditore che ha scambiato l'esecutivo per il consiglio di amministrazione della propria azienda!
PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto l'onorevole Rossiello. Ne ha facoltà.
GIUSEPPE ROSSIELLO. Signor Presidente, onorevoli colleghi, pare che l'interpretazione autentica del detto latino hic Rhodus, hic salta sia la seguente. Anche nell'antichità lo sport non era poi così ingenuo e così bene in salute. Sembra che un atleta avesse millantato di aver saltato oltre i limiti dell'umano, e così, in piazza, il popolo gli chiese di far finta di essere a Rodi e di provare a saltare. Pare che l'atleta non abbia saltato.
Durante l'esame sul disegno di legge Gasparri, ritornato alle Camere dopo i rilievi del Capo dello Stato, con il voto segreto si stava dando qualche segno di vitalità. Poi, abbiamo assistito, ieri, ad una mesta e funerea sfilata, ad una teoria - ho detto - che negava innanzitutto la bugia di un titolo: cessazione del periodo transitorio. Ma quale cessazione? Non c'è cessazione!
Certo, la Consulta aveva stabilito che, al 31 dicembre 2003, Retequattro sarebbe dovuta andare sul satellite. Adesso non sarà così. Di nuovo, un altro periodo transitorio e, nell'oscurità della questione, non sapremo poi come andrà a finire.
Questa maggioranza ha voluto ignorare che, una volta messa nel cassetto la legge
Gasparri, viene eluso il rilievo cardine che la Presidenza della Repubblica aveva mosso su quella riforma in ordine all'impossibilità di operare un reale incremento del pluralismo.
Questo decreto-legge difende Retequattro e, con il voto di fiducia, di fatto, si salva un'azienda del Presidente del Consiglio. Siamo di fronte alle difesa di un interesse privato, una cosa unica al mondo!
Per di più, questo decreto legge pretende di sovvertire i parametri che caratterizzano una rete nazionale, non più l'80 per cento del territorio e il 90 per cento della popolazione, ma il 20 per cento del territorio ed il 50 per cento della popolazione. C'è una nuova rilettura del termine nazionale?
In questo decreto-legge, si dice che l'Autorità per la garanzia nelle comunicazioni deve verificare la condizione di incremento del pluralismo. Quando, mi domando? A Pasqua? A Natale? O meglio nel giorno di un giovedì grasso, non si sa bene di quale anno, per dare magari il senso di una sublime carnevalata! Quando non c'è data precisa, quando non c'è un parametro certo, tutto è aleatorio, anche rispetto ad un sistema digitale che non c'è. Perché non c'è?
Si fa riferimento al concetto di tendenza e la presa in giro diventa ancora una volta gigantesca.
Ancora si minaccia la perdita di mille posti di lavoro. Quale falsità e quale menzogna! Se si andasse nella direzione del digitale, occorrerebbero i decoder bidirezionali, e, se si tiene conto del segnale analogico, cominciamo a un po' discutere quante aziende lavorerebbero, quanti programmi in più ci sarebbero, quanto si trasmetterebbe di più, quante televisioni bisognerebbe cambiare. Penso che, se si andasse verso questa direzione, l'occupazione aumenterebbe.
Quindi, c'è un attacco alle imprese, al lavoro, all'innovazione e al pluralismo. Di fatto, quel sì che la fiducia «cinge gli obbedienti al capo», salva gli interessi di una rete dell'impero. Non è vero, come qualcuno ha avuto modo di dire, che questo tema non interessa il paese. C'è più povertà e c'è più percezione di povertà. Se questo paese fosse diventato più ricco e se la gente avesse toccato con mano una migliore qualità della vita, molto probabilmente si sarebbe perdonato anche questo al Governo e alla maggioranza. Ma la gente che percepisce di essere più povera comprende ancora meglio quanto in quest'aula vengano difesi gli interessi dei più ricchi e del più ricco.
Questa maggioranza ha ascoltatolo lo zufolo di Titiro, si è acquattata sotto l'ordine del capo.
E Melibeo - faccio un'ultima citazione, signor Presidente - maioresque cadunt altis de montibus umbrae, si accinge a vivere una brutta nottata.
Per noi questa è la brutta nottata che sta mandando in esilio la democrazia, il pluralismo ed il senso vero della politica. (Applausi dei deputati del gruppo dei Democratici di sinistra-L'Ulivo).
PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto l'onorevole Sabattini. Ne ha facoltà.
SERGIO SABATTINI. A me dispiace che il Governo non abbia voluto accogliere l'ordine del giorno presentato da me e dal collega Visco, perché la regione Lombardia avrebbe avuto la possibilità di avere un controllo e un accertamento sulla qualità tecnica dei segnali televisivi irradiati in digitale.
Naturalmente è evidente che il Presidente del Consiglio, essendo lombardo, non vuole favorire la sua regione di appartenenza. Questo a dimostrazione di come siano false le valutazioni detrattive verso il Presidente del Consiglio fatte da noi dell'opposizione. Vuole una linea equanime e non vuole controllare in tutto il paese la qualità tecnica dei segnali irradiati in digitale. Questo è importante e ci dice che, in negativo, è equanime e disinteressato. Tutto l'opposto di quanto sia in positivo, visto che invece, quando si tratta di tutelare le proprie proprietà, è molto interessato.
Vedete, questa è una banalità e, come diceva il collega Rossiello, nella conclusione
del suo intervento c'è un problema di notte della democrazia e c'è, secondo me, anche un problema di notte della ragione, che viene sostituita dalla prepotenza, dall'arroganza e anche dal rifiuto dell'intelligenza.
Ritengo, signor Presidente, onorevoli colleghi, che questa scelta compiuta dalla maggioranza, che in qualche misura intende, con qualche esercizio muscolare dato dai numeri, portare a casa questo risultato sulla base del voto di fiducia, dimostra fondamentalmente l'insicurezza del capo della maggioranza. Un capo vero non pone la fiducia, o ce l'ha o non ce l'ha. La fiducia è stata posta per ragioni interne. Vi è un'insicurezza di fondo che è tipica, dal punto di vista psicoanalitico, di chi poi, essendo insicuro, proietta la propria insicurezza all'esterno con atti di pura prepotenza, per verificare, come fanno i bambini e gli adolescenti, chi è più potente; non posso usare un'espressione tecnica, perché la misurazione del fallo è un problema, ma si tratta proprio del fatto di accertare la propria forza e potenza.
Mi rendo conto che parlare di psicoanalisi a proposito di politica, per chi ha conosciuto esperienze drammatiche, è pericoloso, in quanto penso che non si possa mai giudicare l'avversario politico sulla base di un tale criterio, perché poi si finisce come in Urss, dove gli avversari politici finivano nei manicomi. Sostengo, però, che anche questa sia una lettura che dimostra la debolezza e l'insicurezza di fondo. Questa produce atti che hanno, come risvolto oggettivo, la rappresentazione della notte della ragione. Non c'è più senso negli atti se non la forza, per sostenere la propria condizione di potere.
Allora, signor Presidente, se questo è il dato, l'opposizione di questo paese può passare la notte per combattere contro questa scelta ed usare tutti gli strumenti legislativi disponibili. Certo, sappiamo che alla fine noi perderemo questa battaglia, ma c'è da pensare come gli italiani potranno valutare fino in fondo la neutralità, il disinteresse e l'incapacità nel campo di questa maggioranza di guardare davvero a quelli che sono i problemi del nostro paese.
Stiamo facendo un'opera di testimonianza e di sollecitazione rispetto al paese, per capire come siamo messi e quale sia lo stato delle cose e ritengo che le prossime ore siano un tassello, anche se piccolo, per misurare la fondamentale debolezza di questa maggioranza e del suo capo. Non saremmo stati qui, altrimenti. Credo che sia un'opera che valga la pena di mettere in atto per la democrazia, per le istituzioni democratiche parlamentari, ma soprattutto per l'intelligenza e la ragione. (Applausi dei deputati del gruppo dei Democratici di sinistra-l'Ulivo)
PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto l'onorevole Ottone. Ne ha facoltà.
ROSELLA OTTONE. Signor Presidente, onorevoli colleghi, credo che tutti noi ricordiamo quello che disse il Presidente del Consiglio all'inizio della legislatura, facendo riferimento alla manutenzione straordinaria delle abitazioni. Usò questa espressione: «Ognuno è padrone in casa propria».
Per chi, come me, viene da una regione nella quale le relazioni sindacali sono prassi consolidata, dove il fare insieme è ritenuto un'opportunità vantaggiosa per tutte le parti sociali, dove la concertazione rappresenta il livello più alto di confronto, l'espressione del premier ha segnato un passo indietro.
Alla luce dell'esperienza maturata e dei provvedimenti che il Parlamento ha dovuto discutere, con un unico criterio di priorità, quello rappresentato dalla salvaguardia del premier sia sul fronte giudiziario sia su quello dei suoi interessi economici, ci stiamo tutti accorgendo, maggioranza e opposizione, che il Presidente del Consiglio dei ministri ha usato in quella fase il plurale maiestatis. In questo ruolo, però, non gli è sufficiente la maggioranza parlamentare di cui dispone: infatti, ben 40 dei votanti in più di cui ha la facoltà, nella segretezza del voto hanno risposto «no».
ROSELLA OTTONE. Allora, non gli restava che la manifestazione forzosa di assenso attraverso la richiesta della fiducia.
Signor presidente, cari colleghi, gli interventi di tutta l'opposizione, svolti nelle ultime ore in questa fase difficile, hanno bene rappresentato le difficoltà nelle quali sono impantanate moltissime imprese italiane. Famiglie intere improvvisamente vedono crollare le proprie sicurezze, le speranze per il futuro, proprio e dei loro figli.
La tragica vicenda della Parmalat, della quale il Parlamento si sta occupando, ha assunto proporzioni gigantesche; vi è poi la vicenda della Cirio, insieme ad altri eventi negativi, quali il disastro per i risparmiatori che sono stati ingannati, le acciaierie di Terni che minacciano la chiusura, la Ferrania in Val Bormida, con migliaia di lavoratori sulla strada.
Credo sarebbe necessario uno sforzo di tutti noi, maggioranza ed opposizione, per affrontare questa grave situazione, che è pericolosa per l'avvenire di noi tutti. Siamo in presenza di una crisi nazionale inserita in una crisi internazionale. In questa situazione, altri governi rispondono con maggiore determinazione e con proposte che rilanciano l'economia; da noi, invece, si risponde con le invettive nei confronti dell'opposizione.
Credo si possa concordare con una affermazione fatta da un vostro convinto elettore, secondo la quale avete chiesto la fiducia agli italiani per cambiare rispetto al Governo precedente. Si è cambiato l'amministratore delegato; però, l'amministratore delegato non può continuamente accusare i suoi avversari dei mancati risultati. Voi state facendo così, ed è ora di cambiare questo amministratore delegato!
In un quadro di difficoltà economica, le uniche aziende che hanno risultati positivi sono quelle del nostro Presidente del Consiglio: ne siamo tutti lieti, ma chiediamo al Presidente del Consiglio di avere lo stesso comportamento del buon padre di famiglia, come ripete spesso, e quindi, come imprenditore, di contribuire a migliorare i risultati, tutti negativi, delle restanti imprese italiane.
Concludo ricordando che il conflitto di interessi - termine ostico per la maggioranza dei cittadini dall'inizio della legislatura - è oggi improvvisamente chiaro a tutti: il conflitto di interessi non è altro che quello che sta facendo il premier, il quale lavora per garantire i suoi risultati economici a scapito del resto della nazione, profittando della sua posizione.
Vorrei tuttavia ringraziare il rappresentante del Governo qui presente per aver accolto l'ordine del giorno che ho presentato insieme alla collega Pennacchi. È poco, una goccia in mezzo al mare nell'ambito di un provvedimento disastroso (Applausi dei deputati del gruppo dei Democratici di sinistra-l'Ulivo)!
PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto l'onorevole Grignaffini. Ne ha facoltà.
GIOVANNA GRIGNAFFINI. Signor Presidente, potremmo dare un titolo alla vicenda che ci trasciniamo, ormai, da qualche mese: salvate il soldato Fede. La domanda che vorrei porre alla maggioranza ed al Governo è: stiamo davvero salvando il soldato Fede con il decreto-legge in esame? Credo che il primo a sapere che non è così sia proprio il Governo, rappresentato in questa sede dal sottosegretario Innocenzi, che anch'io ringrazio.
Il Governo ha accolto non solo il mio, ma molti ordini del giorno presentati dall'opposizione. Ciò testimonia che, pur in una battaglia di carattere ostruzionistico, vi è un intendimento costruttivo da parte dell'opposizione. Sono stati accolti tanti ordini del giorno dell'opposizione perché, in realtà, questi invitano il Governo a fare quanto avrebbe dovuto fare per poter dire che in Italia si è avviata una fase effettiva di sperimentazione di programmi trasmessi attraverso tecnica digitale terrestre. Molti di tali ordini del giorno, infatti, parlano di segmenti di politica industriale e di incentivi economici per la diffusione
dei decoder o per poter coprire le varie parti del territorio. È come se il Governo riconoscesse che vi era bisogno di fare tale politica. Forse, allora, il Governo sa anche che questo provvedimento tampone, che non durerà nemmeno i tre mesi che ci separano da ora ad aprile, in realtà è uno strumento del tutto inefficace per rispondere alla domanda che l'ha generato.
Penso che il decreto-legge «salvate il soldato Fede» tragga la sua legittimità costituzionale solo dal suo essere inserito contestualmente al disegno di legge Gasparri nel progetto di riordino del sistema radiotelevisivo. Di fatto, in tale decreto-legge si attiva una proroga surrettizia rispetto alla sentenza della Corte costituzionale. La legittimità di tale proroga era stata resa possibile dal fatto che, contestualmente, era in itinere, e si pensava sarebbe stato approvato addirittura prima del decreto in esame, il disegno di legge Gasparri che, quanto meno, si poneva il problema del pluralismo nel sistema dell'informazione. L'avvento del pluralismo nel sistema dell'informazione è, infatti, l'unico elemento che rende possibile dire che la sentenza della Corte, che prevede il limite del 31 dicembre 2003, può considerarsi superata. Non vi sono altri strumenti: non si può né prorogare senza realizzare il pluralismo, né dire che tale pluralismo vi sarà. Bisogna che ci sia!
Se approviamo il decreto-legge in esame e, contestualmente, non approviamo la legge Gasparri modificata nel senso di dare una possibilità reale di introdurre il pluralismo nel sistema, di fatto, fin da domani, il decreto-legge sarà del tutto inefficace. Torniamo alla grande truffa del digitale e nessuno, forse, ha sottolineato abbastanza che la realizzazione del digitale equivale a dire che bisogna liberare risorse e, cioè, frequenze per attivare le nuove tecniche trasmissive.
PRESIDENTE. Onorevole Grignaffini...
GIOVANNA GRIGNAFFINI. Concludo, signor Presidente.
È vero che ci troviamo di fronte alla moltiplicazione dei canali, ma se le frequenze continuano ad essere concentrate in poche mani, di fatto, non abbiamo risolto il problema.
Non si tratta solo di liberare risorse, ma di garantire il pluralismo dal punto di vista dell'accesso (mi riferisco alle modalità trasmissive e all'irradiazione di programmi), che deve essere verificato anche sotto il profilo degli utenti reali. Non basta dire che si può trasmettere: bisogna che i cittadini italiani ricevano concretamente i programmi irradiati in tecnica digitale terrestre.
Finché ciò non accadrà, il provvedimento in esame sarà illegittimo (Applausi dei deputati del gruppo dei Democratici di sinistra-l'Ulivo).
PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto l'onorevole Abbondanzieri. Ne ha facoltà.
MARISA ABBONDANZIERI. Signor Presidente, quando il Governo ha espresso il parere sul mio ordine del giorno n. 9/4645/38 non ero presente in aula. Sul medesimo è stato espresso un parere contrario: al riguardo, sono rimasta molto sorpresa, non fosse altro per i contenuti del decreto-legge. In fin dei conti, il mio ordine del giorno, come altri, impegna il Governo ad effettuare le necessarie verifiche ed ispezioni volte ad accertare che i segnali televisivi irradiati in tecnica digitale siano classificabili di qualità buona, con particolare riguardo alle aree della regione Friuli-Venezia Giulia.
Poiché il Governo non ha accettato il mio ordine del giorno, mi domando come si comporterà l'Autorità per le garanzie nelle comunicazioni rispetto alle previsioni contenute nel decreto-legge. Ieri sera, nel corso del mio intervento, affermavo che non riuscivo nemmeno ad immaginarla svolgere compiti di verifica, sulla base delle disposizioni del decreto-legge, ed il parere espresso dal Governo conferma che il mio dubbio era sacrosanto.
Secondo quanto affermato nei giornali di oggi, il digitale terrestre rischia di bloccarsi, tanto da richiedere il varo di un altro decreto-legge, oltre a quello che vi
accingete ad approvare; il tutto, per effetto di un combinato disposto che deriva dalla non approvazione della legge Gasparri, dalla legge n. 66 del 2001 sulla questione della vendita e dell'acquisto delle frequenze e dal suddetto decreto-legge.
Ormai, ci avete ampiamente abituato al fatto di intricare i vostri desideri con le sentenze della Corte costituzionale, ed in altre occasioni con quelle della Corte di cassazione, nonché all'approvazione di leggi o all'emanazione di decreti-legge per aggirare determinati ostacoli. Per non parlare delle dichiarazioni di fuoco sulla Corte costituzionale e sulla magistratura. È un continuo «vai e vieni» in Parlamento, secondo gli interessi del Primo ministro.
Come può emergere da una lettura approfondita del decreto-legge in esame (l'ho affermato anche in tarda notte), avreste avuto tutto l'interesse a definire i criteri, gli indici di riferimento, gli indicatori empirici dei sistemi di misurazione, perché ciò vi avrebbe, forse, messo al riparo da ulteriori contenziosi. In tal modo, avremmo misurato davvero lo scenario che si sarebbe aperto agli italiani con l'introduzione delle nuove tecnologie. Ma nulla di tutto ciò, perché i provvedimenti devono avere sempre un contenuto vago molto forte, tale da consentire che gli interessi si conseguano nel migliore dei modi.
Ritengo che la posizione in forma sprezzante (il Presidente del Consiglio dei ministri ha usato al riguardo una certa ironia che avrebbe fatto bene a risparmiarsi!) della questione di fiducia da parte del Governo sia la dimostrazione che il Presidente del Consiglio dei ministri, senza le televisioni, non sarebbe nessuno.
Spero di non dover vedere cosa potrà mai pensare su un altro aspetto televisivo, vale a dire sulla messa in discussione della legge sulla par condicio.
Mi auguro che la maggioranza abbia un sussulto di serietà, al fine di sottrarsi ad un ennesimo trattamento sanitario obbligatorio sulla fiducia al Presidente del Consiglio dei ministri (Applausi dei deputati dei gruppi dei Democratici di sinistra-l'Ulivo e della Margherita, DL-l'Ulivo).
PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto l'onorevole Grandi. Ne ha facoltà.
ALFIERO GRANDI. Signor Presidente, le dichiarazioni rese ieri dal Presidente del Consiglio hanno ulteriormente chiarito le ragioni che hanno condotto ad una forzatura con questo decreto-legge e, in particolare, con il voto di fiducia, che ha tagliato di netto ogni possibilità di discussione.
È probabile che, con il voto, riusciate ad approvare definitivamente questo decreto-legge, tuttavia resta ormai chiaro agli italiani e al paese che, con la fiducia e con il voto finale, si cerca di tappare delle falle, di costringere la maggioranza all'unità, come dimostra il rinvio in Commissione della legge Gasparri. E ciò in quanto, in tal modo, il Presidente salva il suo patrimonio, consentendo a Retequattro di continuare a trasmettere; infatti, come dimostrato dall'onorevole Gentiloni, ci sono affari molto diretti come conseguenza di questo atto.
Con il voto di fiducia e con l'approvazione del presente provvedimento, la maggioranza cerca di superare l'appuntamento elettorale di giugno; tuttavia, la sostanza del malessere che attraversa la maggioranza non viene nascosta né dal voto di fiducia né dall'approvazione di questo decreto-legge.
Le difficoltà ad approvare la legge Gasparri ed altri provvedimenti, compreso quello in esame, indicano chiaramente che esiste una sofferenza all'interno della maggioranza, che è una vera e propria promessa di guerra interna fatta ieri dal Presidente del Consiglio ai danni degli alleati.
Del resto, basta osservare quanto successo con il disegno di legge sul conflitto di interessi proposto dall'onorevole Frattini che, in sostanza, costituisce una soluzione alla camomilla, in quanto non risolve il conflitto, ma salva gli interessi del
premier. Eppure, anche questo provvedimento così blando, evidentemente, non assicurava al Presidente del Consiglio e ai suoi interessi di famiglia sufficienti garanzie; infatti, è scomparso dall'ordine del giorno del Senato, non è stato approvato e ci si è accorti che, all'interno di quel provvedimento, vi era una norma che avrebbe impedito, di fatto, la presentazione di questo decreto-legge e il voto di fiducia sullo stesso. Quindi, anche il sistema più blando per affrontare il conflitto di interessi, in realtà, non è in grado di impedire che si apra in modo clamoroso la questione del possesso televisivo.
Vi siete accorti che questo decreto-legge avrebbe avuto difficoltà ad essere convertito in legge e siete ricorsi al voto di fiducia, ma la maggioranza fa un grave autogol, in quanto oggi concede al Presidente del Consiglio di salvare ciò che più gli interessa, vale a dire il suo patrimonio personale. Tuttavia, il Presidente del Consiglio ha già iniziato una grave e pesante campagna mediatica, la cui prima conseguenza non sarà soltanto la battaglia contro l'opposizione, elevando lo scontro e rendendolo molto pesante ed inaccettabile per un paese democratico, ma anzitutto una resa dei conti all'interno della maggioranza, contro gli alleati.
La gravità di questo scontro sta nel fatto che oggi non è più soltanto la magistratura ad essere nel mirino, in quanto ormai è entrata in campo anche la Corte costituzionale, rispetto alla quale non si accetta che emetta sentenze che, tra l'altro, hanno portato all'esigenza di regolare il settore radiotelevisivo. La Corte costituzionale è rea di avere emesso sentenze autonome e di mantenere un'indipendenza; tanto è vero che, nelle dichiarazioni di ieri, il Presidente del Consiglio fa il conto dei magistrati che sarebbero dalla parte del centrosinistra e di quelli che, invece, sarebbero schierati con il centrodestra. Un modo assolutamente sbagliato ed inaccettabile di affrontare i problemi oggetto di discussione e di decisione all'interno della Corte costituzionale.
Quest'atteggiamento compromette in modo grave l'assetto e l'equilibrio dei poteri in uno Stato democratico come il nostro, e crea un problema nei confronti degli alleati. Siamo infatti di fronte, da un lato, come ha detto ieri l'onorevole La Russa, al patetico accontentarsi di limature al testo di quella che dovrebbe essere la base del programma di Governo della seconda parte della legislatura; dall'altro, ad una concorrenza spietata nei confronti degli alleati, che oggi pagano il tributo del voto di fiducia e che pagheranno in modo grave, in termini di voti, al prossimo appuntamento elettorale (Applausi dei deputati del gruppo dei Democratici di sinistra-l'Ulivo).
PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto l'onorevole Carboni. Ne ha facoltà.
FRANCESCO CARBONI. Signor Presidente, il progetto di legge sulla emittenza televisiva e il decreto-legge oggi in esame forniscono, ove ve ne fosse la necessità, una prova ulteriore dell'asservimento cui è costretta l'istituzione parlamentare, con la consapevole collaborazione del Governo e della maggioranza, dal Presidente del Consiglio dei ministri.
Il Governo ha dovuto porre la questione di fiducia poiché il Presidente del Consiglio l'ha imposta al Governo e alla maggioranza per salvaguardare i propri interessi economici e per garantire la sopravvivenza illegittima di una delle aziende di sua proprietà. Con il voto di fiducia il Presidente del Consiglio ha recato consapevolmente offesa ed ha espresso disprezzo costituzionale nei confronti sia della Corte costituzionale in riferimento alla scadenza del regime transitorio e del pluralismo, richiamato nelle decisioni della stessa Corte, sia del Capo dello Stato, ignorando i motivi che lo hanno indotto a rinviare la legge Gasparri alle Camere, sia del Parlamento, perché viene impedito ancora una volta alla maggioranza e all'opposizione di confrontarsi nel merito dei problemi. Ma, soprattutto, ha espresso disprezzo nei confronti del paese, oppresso da problemi economici e sociali prodotti da due anni e mezzo di
Governo di centrodestra ed oggi gratificato dai contributi per l'acquisto dei decoder.
Il Presidente del Consiglio dei ministri respinge ogni responsabilità sull'aumento dei prezzi; ha indicato anche la propria madre come esempio di parsimonia, invitando - così egli ha detto - ad imitarla. Intanto, però, taglia le risorse alla sanità, alla scuola, ai trasporti, all'università e ai servizi. E trova, invece, le risorse per finanziare l'acquisto dei decoder; si preoccupa dei posti di lavoro garantiti da Retequattro, ma nulla fa e soprattutto nulla dice per i lavoratori delle acciaierie di Terni, per quelli di Genova, per quelli dell'Alitalia e per quelli del petrolchimico di Porto Torres dove sono messi in forse quattromila posti di lavoro.
Ci chiediamo: c'era la necessità di un altro esempio di gestione proprietaria della politica, di un altro provvedimento a salvaguardia degli interessi patrimoniali ed economici del premier, dopo quelli che gli hanno garantito l'impunità e la salvezza dai processi? A questo riguardo, ricordo la legge sul falso in bilancio, la legge Cirami, la legge sulle rogatorie e quella sulla sospensione dei processi. Come abbiamo constatato, si tratta di leggi tutte mal fatte, e ciò non solo perché finalizzate all'utilizzo personale. Tale si è palesata anche la legge Gasparri, talché ha dovuto essere ritirata dal solerte ed ubbidiente ministro, impallinato persino dai deputati del proprio gruppo parlamentare.
Oggi, voi colleghi della maggioranza vi accingete ad approvare un provvedimento peggiore di quello che avete ritirato; un provvedimento che attesta un vero conflitto di interessi con il paese. Ci chiediamo, quindi, se c'era la necessità di questo atto, che probabilmente non reggerà all'esame della Corte costituzionale, ammesso che possa essere promulgato dal Capo dello Stato. Intanto, sia il Governo sia la maggioranza sono allo sbando, dopo dieci mesi di crisi e di proclami financo ridicoli, di risse, di insulti fra le forze politiche della maggioranza, di inutili riunioni alla ricerca improbabile di soluzioni sul federalismo e sul governo dell'economia e sulla giustizia.
Questo percorso, che si appalesa sempre più doloroso per il paese che lo sta subendo, è caratterizzato dagli insulti del premier alla magistratura, alle opposizioni, alle istituzioni. In tale quadro politico, il proprietario di Mediaset ritiene prevalenti i propri interessi economici, al punto di imporre la questione di fiducia ad una maggioranza che, nel corso dell'esame del disegno di legge Gasparri, aveva dato prova di non sicuro affidamento.
Ritengo che i colleghi della maggioranza non possano esprimere soddisfazione per essere stati imbavagliati e ridotti all'impotenza istituzionale dal Presidente del Consiglio. Il continuo ricorso ai decreti-legge e alla questione di fiducia non ha giovato e non giova ai parlamentari della maggioranza, i quali potranno dire soltanto di aver servito il Presidente del Consiglio e di essere stati strumento dei suoi disegni falliti di sottrarsi ai processi penali e delle operazioni di salvaguardia dei suoi interessi patrimoniali (Applausi dei deputati del gruppo dei Democratici di sinistra-l'Ulivo).
PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto l'onorevole Angioni. Ne ha facoltà.
FRANCO ANGIONI. Signor Presidente, onorevoli colleghi, il vero scopo del decreto-legge in esame è quello di modificare la par condicio, ovvero le norme sulla parità di accesso ai mezzi di informazione. A parole, tutti, a partire dai vertici istituzionali, hanno sottolineato l'importanza del ruolo che l'informazione gioca nella democrazia. A tale proposito, il Presidente del Senato, Pera, ebbe a dichiarare in una recente circostanza che «il problema della par condicio non si porrebbe se ci fossero tutti editori puri». Tale affermazione può sembrare paradossale. Non sarebbe necessario dedicare altre parole all'argomento, se tale assioma, ovvero la parità di condizioni, fosse reale.
Mi limito ad alcuni esempi per sottolineare l'importanza della questione e la drammaticità della situazione. Al fine di informare i cittadini su norme di particolare
interesse e di particolare valore sociale - ad esempio, la riforma della scuola - e di cercare di esporre i provvedimenti, di indicare le conseguenze derivanti dalla loro applicazione e di prevedere i rimedi per gli eventuali inconvenienti, chi non dispone di mezzi di comunicazione ha necessità di fare ricorso ad assemblee, manifesti, poster, volantinaggi. Coloro, invece, che hanno accesso al mezzo televisivo, a livello nazionale e locale, si riservano pochi minuti nelle ore più opportune, e risolvono in tal modo il problema dell'informazione.
Ma non solo. Alcune emittenti locali, che si rivolgono a poche migliaia di utenti e che sono assolutamente in regola con i permessi e le autorizzazioni, vengono oscurate o zittite con iniziative pretestuose, imposte dagli organi di controllo, che costringono a ricorsi, spese legali, ingiunzioni, udienze e via dicendo. Altro che pluralismo e par condicio! Sono accantonate tutele e prescrizioni costituzionali, a partire dal requisito della straordinaria necessità ed urgenza previsto per l'adozione dei decreti-legge. Tali esigenze di urgenza vengono inventate per giustificare norme di legge di cui non vi sarebbe necessità.
Di fronte a tali macroscopiche trovate, fanno sorridere le querele presentate con spirito di vittimismo da Mediaset nei confronti di quanti «hanno diffuso a mezzo stampa plateali falsità», quando è stato semplicemente affermato che quanto disposto dalla Corte costituzionale e dall'Autorità per le garanzie nelle comunicazioni è rimasto per anni completamente disatteso. Non vengono rispettate le regole che esistono e vengono sancite, con il decreto-legge in esame, norme che favoriranno soltanto chi, di fatto, dispone del monopolio dell'informazione.
Il voto contrario del nostro gruppo parlamentare sul disegno di legge di conversione di questo decreto-legge non può che essere cosciente, preoccupato per gli sviluppi che vi potranno essere proprio a seguito dell'approvazione di queste norme. Ci auguriamo che il Governo, avvalendosi delle strutture ministeriali, che oramai funzionano - purtroppo - solo a comando, effettui le necessarie verifiche ed ispezioni volte ad accertare che i segnali televisivi irradiati in tecnica digitale siano classificabili di «buona qualità», come prevede la norma, secondo la codificazione vigente, e ne dia immediata e periodica informazione all'Autorità per le garanzie nelle comunicazioni e al Parlamento. Almeno questo ci auguriamo che avvenga.
PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto l'onorevole Benvenuto. Ne ha facoltà.
GIORGIO BENVENUTO. Signor Presidente, l'ostruzionismo al quale siamo costretti a ricorrere, per la prima volta nel corso di questa legislatura, tende ad affermare fino in fondo e con decisione i valori del pluralismo.
La politica condotta dal Governo - e questo decreto-legge ne è una ulteriore dimostrazione - tende a rafforzare e consolidare il potere di Mediaset nella comunicazione televisiva nel nostro paese, per realizzare - bisogna sottolinearlo - una forma di addomesticamento delle notizie e per arrivare a una vera e propria manipolazione dei termini del confronto politico e della situazione economica e sociale che noi viviamo.
Voglio ricordare due esempi clamorosi di questa operazione di manipolazione che è condotta, che tende anche ad orientare i bisogni della gente. Il primo è relativo all'inflazione. Ci troviamo di fronte alla valorizzazione e all'affermazione di una nuova politica economica: i prezzi salgono e, secondo il nostro Governo, l'inflazione scende. Potremmo dire che questa è la new economy. Inoltre, si fa un grande chiasso contro l'inflazione: bisogna affrontarla, si mobilitano la Guardia di finanza e i super ispettori tributari, ma - attenzione - non per controllare la politica dei prezzi bensì per spingere il settore del lavoro autonomo ad effettuare il concordato preventivo, termine pudico per riferirsi al condono preventivo.
Si tratta di somme di non poco conto perché il Governo non è riuscito ad incamerare,
o non riesce ad incamerare, partite di bilancio che sono legate al condono preventivo, e anche alle nuove regole per i videogiochi, per una cifra, imponente, che ammonta a circa 8 mila miliardi. Ecco perché si minacciano fuoco e fiamme, fulmini e tempeste: perché non si è in grado di garantire le entrate dello Stato e non si è in grado nemmeno di svolgere una politica contro l'inflazione. Altro che euro! L'inflazione si è impennata proprio quando è partita la politica dei condoni. Le banche, il lavoro autonomo, i commercianti e gli artigiani sono stati, in parte, costretti ad effettuare il condono e, inevitabilmente, una parte delle somme che hanno dovuto spendere in più - che in molti casi sono state loro estorte - sono state trasferite sui prezzi: sono stati colpiti i consumatori.
Altra politica di disinformazione, altra politica con la quale si cambiano le carte in tavola è rappresentata dalle ultime dichiarazioni, che tanto hanno colpito, secondo cui, se le aliquote fiscali sono alte, è giusto evadere le imposte.
Non mi soffermo soltanto su queste affermazioni - che già di per sé sono gravi -, ma ne aggiungo un'altra, perché nella disinvoltura del comportamento fiscale di questo Governo e della sua politica economica, vi sono altre situazioni che gridano vendetta!
PRESIDENTE. Onorevole Benvenuto, la prego di concludere.
GIORGIO BENVENUTO. Concludo, signor Presidente. Non soltanto il Governo rafforza l'impostazione dell'evasione, non soltanto ricorre alla politica dei condoni, ma addirittura concede condoni sulle fatture false e poi permette, a chi ha emesso le fatture false, di avere il pagamento sull'illecito che è avvenuto! Ecco la politica di disinformazione che il Governo continua a condurre ed ecco la politica che noi intendiamo combattere per impedire che il sistema televisivo rappresenti una realtà che non è quella con la quale noi ci misuriamo (Applausi dei deputati del gruppo dei Democratici di sinistra-l'Ulivo).
PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto l'onorevole Rognoni. Ne ha facoltà.
CARLO ROGNONI. Signor Presidente, si vede che chi parla da questi banchi è sfortunato, perché il ministro è sempre al telefono... Spero che senta quello che ho da dire, perché il mio sarà un intervento non generico, ma nel merito del mio ordine del giorno n. 9/4645/30.
Se ho ben capito, poche ore fa il sottosegretario Innocenzi ha espresso un parere negativo sul mio ordine del giorno, un ordine del giorno, signor ministro, che impegna il Governo e il suo ministero a verificare che le trasmissioni digitali siano di buona qualità, siano cioè di livello 4 - come ho spiegato ieri notte, illustrando il mio ordine del giorno -, vale a dire davvero visibili a chi è dotato di un decoder. Credo che dovrebbe essere interesse del Governo, che vuole diffondere il digitale, avere presenti alcuni punti fissi. In primo luogo, sarebbe necessario verificare il numero e la qualità delle frequenze ridondanti e dunque eccedenti, detenute dai due operatori dominanti, RAI e Mediaset, e quindi imporne la restituzione o, in alternativa, l'utilizzo al solo fine della diffusione dei programmi televisivi digitali terrestri. In secondo luogo, si dovrebbe precisare che la copertura della popolazione che l'Autorità deve verificare va considerata in termini non astratti, ma concreti e deve dunque fare riferimento non alla ricevibilità, ma alla effettiva ricezione del segnale da parte degli utenti. Questo è il senso del mio ordine del giorno.
È necessario precisare inoltre che per «effettiva offerta al pubblico», di cui alla lettera c) del primo comma dell'articolo 1 della legge, deve intendersi l'offerta effettivamente fruibile dagli utenti che abbiano acquistato un decoder, di cui si parla alla lettera b) del primo comma. Il rifiuto di accogliere questo ordine del giorno, signor ministro, è secondo me la prova provata che il suo ministero in realtà non è affatto in grado di conoscere neppure lo stato delle frequenze: di chi sono, chi le ha e non dovrebbe averle, chi ne ha troppe, qual è il
livello delle interferenze... Voi autorizzate la compravendita di impianti con le relative frequenze e, in realtà, non si sa neanche chi compra che cosa! Mi risulta, ad esempio, che alla RAI avete assegnato una frequenza su Roma per aiutarla a mettere in campo uno dei suoi multiplex digitali. Peccato che la RAI ha scoperto sulla sua pelle che quella frequenza era abusivamente occupata da altri!
Dico tutto ciò perché vorrei segnalare all'Assemblea come su una delle risorse decisive per chi fa televisione - e cioè la risorsa frequenze - non soltanto non siete in grado di mettere ordine, ma non volete neppure provarci! Vi ricordo quanto ha detto l'Autorità antitrust: l'assenza di un meccanismo centralizzato di allocazione efficiente delle risorse, per la mancata attuazione del piano analogico, e il contestuale processo di accaparramento dello spettro frequenziale, hanno eretto forti barriere all'ingresso nel mercato televisivo nazionale, limitando il numero di reti televisive nazionali in concorrenza. Di fatto, oggi - parola dell'Autorità - solo due operatori televisivi hanno nella propria disponibilità reti a copertura nazionale. Tale circostanza, signor ministro - se lei per un momento smettesse di telefonare, sarebbe utile -, altera strutturalmente il gioco concorrenziale nel mercato a valle della raccolta pubblicitaria televisiva.
Vedo che c'è una totale indifferenza al riguardo, ma il risultato è che, a questo punto, l'ipotesi di aprire il mercato televisivo a nuovi soggetti imprenditoriali non solo è aleatoria, ma è impossibile.
Alla fine, chi fa televisione oggi (dunque, soprattutto il duopolio aziendale RAI-Mediaset, ossia il monopolio politico RAI-Mediaset)...
PRESIDENTE. Onorevole Rognoni, si avvii a concludere.
CARLO ROGNONI. ...occupa una posizione che viene favorita rispetto alle tecnologie del domani, le tecnologie digitali.
Non perdete occasione, signori del Governo, per rafforzare la nostra convinzione che voi non solo non avete alcuna intenzione di aprire il mercato a nuovi imprenditori, ma volete, pervicacemente e spudoratamente, rafforzare il monopolio esistente che, guarda caso, appartiene al leader della vostra coalizione.
Signor rappresentante del Governo, le chiedo pertanto di riconsiderare il parere espresso sul mio ordine del giorno n. 9/4645/30 e la invito a darmi la prova che sbaglio (Applausi dei deputati del gruppo dei Democratici di sinistra-l'Ulivo)!
PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto l'onorevole Susini. Ne ha facoltà.
MARCO SUSINI. Signor Presidente, con il voto di fiducia sul decreto-legge in esame ci siamo trovati di fronte all'ennesima, sfrontata riproposizione di quel conflitto di interessi che, ormai da tempo, mina e corrode il sistema politico e parlamentare del nostro paese. Questa vostra scelta, inoltre, rappresenta un'ulteriore ed arrogante dimostrazione del disprezzo per il confronto e la dialettica parlamentare, che il Governo in modo sistematico manifesta.
Ma tale scelta rappresenta anche un segno evidente di debolezza, ed è altresì il sintomo della paura che questo Governo prova nei confronti della sua stessa maggioranza. Anzi, si tratta di un voto di fiducia che l'esecutivo ha richiesto proprio per mettere il bavaglio alla sua maggioranza e per impedire che avvenisse oggi ciò che è accaduto in quest'aula pochi giorni fa, in occasione dell'esame della cosiddetta legge Gasparri, quando, pur avendo cento deputati in più, ha rischiato il tracollo, tanto è in pezzi questa maggioranza!
Non vi era, dunque, nessuna motivazione d'urgenza per porre la questione di fiducia (perché il decreto-legge scade tra diversi giorni) e non vi era nemmeno nessun atteggiamento ostruzionistico da parte dell'opposizione, la quale, come del resto ha fatto sulla stessa legge Gasparri, ha avanzato poche e sensate osservazioni e proposte, al solo scopo di migliorare il provvedimento e di impedirne l'approvazione.
Tuttavia, evidentemente il terrore vero e proprio che si ripetessero i «mal di pancia» e le «imboscate» manifestati in occasione dell'esame della cosiddetta legge Gasparri ha indotto il Governo a considerare che valeva la pena mettersi al riparo, anche a costo di coprirsi di ridicolo, perché di questo si tratta, cari colleghi! Infatti, la scelta che avete compiuto su questo punto riduce un Parlamento libero al rango di un'Assemblea da «Repubblica delle banane», in cui si vota per favorire un'azienda del premier.
Vorrei allora chiedere ai colleghi del centrodestra che conservano - almeno lo spero - un certo spirito civico ed una certa dignità: ma non vi rendete conto di che razza di segnale state lanciando al paese? Non avete la minima percezione di come un'iniziativa quale quella che avete assunto possa essere vissuta da un paese in declino, stremato dai fallimenti e dall'inanità della politica economica del Governo?
Si tratta, infatti, di un paese che sta sperimentando, tutti i giorni, disagi e tensioni inedite; è un'Italia solcata da un malessere sociale nuovo e diffuso, che ha visto scendere in campo, assieme agli operai delle numerose fabbriche in crisi, gli insegnanti, i medici, i magistrati, le forze di polizia ed i vigili del fuoco. È un paese che, dietro l'ottimismo di cartapesta del Presidente del Consiglio, vede crescere le fasce di povertà, vede aumentare la fila di coloro che non arrivano al 27 del mese e che oggi si sentono nuovamente presi in giro dalle promesse mirabolanti del Capo del Governo (fatte esattamente due anni fa, ma mai attuate).
A questo paese in difficoltà e con il fiato grosso voi rispondete con la richiesta di fiducia. Voi rispondete con la questione di fiducia su un decreto-legge che salva una rete di proprietà del Presidente del Consiglio, la rete condotta da uno dei suoi più cari familiari...
PRESIDENTE. Onorevole Susini...
MARCO SUSINI. ...alterando la concorrenza, danneggiando altre imprese e sbeffeggiando la Consulta ed il Capo dello Stato.
Non avete voluto ascoltare il messaggio del Capo dello Stato e, anzi, lo avete irriso, parlando di suggerimenti tecnici del Quirinale; non avuto voluto ascoltare le autorevoli proposte delle Autorità; non avete voluto confrontarvi con l'opposizione.
PRESIDENTE. Onorevole Susini, dovrebbe concludere.
MARCO SUSINI. Votatevi, dunque, la fiducia, la fiducia ad un Governo allo sbando; tanto, quando sarà il momento, la fiducia ve la toglieranno gli elettori (Applausi dei deputati del gruppo dei Democratici di sinistra-l'Ulivo)!
PRESIDENTE. La ringrazio, onorevole Susini.
Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto l'onorevole Filippeschi. Ne ha facoltà.
MARCO FILIPPESCHI. Signor Presidente, con il voto di fiducia, il Governo ha reso più che mai trasparente al paese come l'Italia soffra di un macroscopico e tentacolare conflitto di interessi. La mancata risoluzione di tale conflitto è la prova di una grave patologia che affligge la nostra democrazia: la stessa che ci rende, ormai, sorvegliati speciali in Europa.
Un imprenditore editore monopolista, preoccupato di prevenire ogni competizione nel settore della comunicazione e della pubblicità, usa il potere politico non soltanto per limitare sfacciatamente il pluralismo dell'informazione, ma anche per impedire la concorrenza e per aggirare, di fatto, i pronunciamenti dell'Alta Corte. E può fare ciò schiacciando la propria maggioranza, della quale non si fida, immiserendo la funzione di tanti parlamentari e del Parlamento.
Dico ciò perché nessun confronto con il passato è possibile riguardo all'impiego del decreto-legge e del voto di fiducia. Mai il Parlamento era stato piegato agli interessi privati di una sola persona! Oggi, gli interessi privati dell'onorevole Berlusconi,
e le risorse mediatiche e finanziarie che ne derivano, sono l'architrave di un patto politico, di un patto di potere fondato sul ricatto politico che il padrone della coalizione esercita permanentemente, snaturando la politica, umiliando le istituzioni e confondendo poteri che, in una democrazia, devono rigorosamente rimanere distinti.
Il contenuto dell'ordine del giorno che ho presentato è aderente al messaggio presidenziale ed alla sentenza della Corte costituzionale. Esso chiede al Governo di razionalizzare e di ottimizzare la diffusione degli impianti di trasmissione radiotelevisiva.
In questa occasione, va fatta almeno qualche considerazione sul carattere e sulla consistenza attuali della maggioranza parlamentare. Premesso che nessuno deve mettere in discussione la piena legittimazione di una maggioranza formatasi attraverso libere elezioni, è bene ricordare come l'alleanza tra il Polo e la Lega nelle elezioni politiche non abbia in alcun caso riportato una maggioranza assoluta dei consensi, né con riferimento alla somma dei voti nei collegi uninominali della Camera e del Senato né per quanto concerne la somma dei voti riportati dai partiti in relazione alla quota proporzionale per l'elezione dei deputati.
Dunque, la forte maggioranza parlamentare non corrisponde ad un altrettanto forte consenso, perché le opposizioni - divise - riportarono la maggioranza assoluta dei voti. Ciò vale a dire che la maggioranza degli italiani non votò Berlusconi né i partiti che lo sostennero. Questa verità elementare non è, comunque, trascurabile e credo che noi dell'opposizione dobbiamo impegnarci a ricordarvelo più spesso, come voi facevate, colleghi della destra, anche con insistenza, nei confronti della maggioranza della XIII legislatura.
Si imporrebbe, dunque, una grande cautela nel vantare, come pure è stato fatto, persino con arroganza, un mandato popolare riguardo alle riforme della Costituzione e alle materie di più grande rilevanza, quali sono quella del sistema giudiziario e dei suoi istituti e quella del sistema dell'informazione.
Oggi, poi, il consenso per la Casa delle libertà è ancora calato: è al minimo, a causa degli insuccessi del Governo, primi fra tutti quelli che hanno penalizzato l'economia del paese e peggiorato di molto la vita delle famiglie e delle imprese, ed a causa delle preoccupazioni provocate dai ripetuti provvedimenti dello stesso tipo di quello che stiamo esaminando, tanto che, ormai, si è affermato il neologismo «leggi-vergogna», convalidato dall'onorevole Berlusconi in un famigerato e spudorato intervento di fronte al Parlamento europeo.
Credo si possa dire che il populismo di Berlusconi ha già perso il suo popolo, a meno che non si pensi di ritrovare il consenso perduto...
PRESIDENTE. Onorevole Filippeschi...
MARCO FILIPPESCHI. ...con forzature illiberali ancora più gravi, con il presidio dell'informazione televisiva, con l'azzeramento delle deboli regole per la par condicio, addirittura con la manomissione delle leggi elettorali e dei tempi delle scadenze elettorali.
La corda è già molto tirata e lo scollamento tra i governi cittadini è evidente. La maggioranza (una maggioranza parlamentare che oggi, nel paese, è diventata, ancor più, minoranza reale) ha molte ragioni per cambiare strada, per non forzare i principi costituzionali, per non cedere a tentazioni pericolose.
È anche con questo spirito che invito i colleghi ad esprimere un voto favorevole sul mio ordine del giorno n. 9/4645/60 (Applausi dei deputati del gruppo dei Democratici di sinistra-L'Ulivo).
PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto l'onorevole Folena. Ne ha facoltà.
PIETRO FOLENA. Signor Presidente, se qualche ora fa avevamo definito un atto di imperio che nascondeva, però, una grande debolezza politica l'imposizione del
voto di fiducia, il «no» a quest'ordine del giorno rappresenta un atto di ottusità. Infatti, onorevoli sottosegretari, è stato detto di «no» all'impegno, da parte del Governo, ad assumere iniziative per razionalizzare la diffusione degli impianti sul territorio, nell'interesse prioritario della salvaguardia della salute delle popolazioni (parliamo dell'inquinamento elettromagnetico, dei disastri al paesaggio).
Solo un'ostinazione politica non comprensibile può negare il problema riguardante il modo in cui questi impianti sono disposti sul territorio. Intendiamoci: alla luce delle dichiarazioni del Presidente del Consiglio di ieri, secondo cui è morale evadere le tasse, capisco che anche l'abusivismo edilizio, la distruzione del paesaggio, impianti di trasmissione posti sul territorio senza alcuna programmazione possano essere considerati atti di amore per la bellezza dell'Italia.
Vorrei ricordare che a dicembre, attraverso un'epica, coraggiosissima, eroica campagna televisiva, da parte di Emilio Fede e di alcuni esponenti del centrodestra era stato paventato il rischio, con la chiusura di Retequattro, della perdita di numerosi posti di lavoro. Ricordo interviste fatte da giornalisti di Mediaset ad altri giornalisti di Mediaset che denunciavano il rischio di perdere il posto di lavoro. Parliamoci chiaro: stiamo parlando della corazzata Mediaset, di un gruppo che ha un fatturato record. L'ha avuto anche negli anni di governo del centrosinistra, a dimostrazione che questi comunisti pericolosi non espropriano alcuno; ma sicuramente, negli ultimi anni, ha potuto godere, oltre che di una certa situazione di mercato, di un'evidente situazione di privilegio determinata dalla posizione del Presidente del Consiglio. Nessun posto di lavoro era a rischio. Un'azienda di questo tipo poteva e potrebbe impiegare tutti gli addetti di Retequattro in tantissime altre attività. Non abbiamo visto, invece, un'attenzione analoga nei confronti di operai e di decine di aziende in crisi. Non abbiamo visto decreti «salva aziende» in crisi. Non abbiamo visto attenzione per i problemi veri del paese, vale a dire i salari bassi della gente che non ce la fa.
Nessuna ostilità preconcetta. Il TG5, per tanti versi, non dico che sia più equilibrato (sinceramente, potrei essere querelato), ma appare meno fazioso e meno subalterno ai voleri del Presidente del Consiglio rispetto al TG1 e al TG2. Tuttavia, la cosa grave è che questo decreto-legge vuole in qualche modo sancire, così come è stato anche con la legge Gasparri, per il momento sepolta in Commissione, una concezione protezionistica, illiberale e chiusa del mercato. Non possiamo nascondere che c'è un peccato originale, che il gruppo di Berlusconi è cresciuto, negli anni Settanta e Ottanta, grazie a protezione e a favori politici. E la chiusura del mercato e l'assenza di libera competizione sono state pagate duramente in termini economici ma soprattutto in termini di libertà di informazione e di raccolta pubblicitaria.
Ebbene, il digitale, questa enorme rivoluzione tecnologica che sta cambiando la comunicazione e la vita di milioni e milioni di persone, rappresenta un propulsore straordinario per l'apertura del mercato e un'occasione - non a caso - di pluralismo e di apertura anche dell'emittenza radiotelevisiva, oltre che (come ho detto prima e come rilevo nel mio ordine del giorno) di revisione degli impianti.
Ebbene, questa rivoluzione è vista dal Governo di centrodestra come un pericolo perché mette in discussione rendite di posizione costruite in un'epoca che a noi appare perfino medievale, quella della televisione analogica.
Pertanto, potete forse batterci con i numeri, e ci batterete sicuramente perché avete i numeri, avete la forza, ma non la ragione. In ogni caso, non potete battere la scienza, la tecnologia, l'innovazione tecnologica, quel digitale che cambia la vita delle persone e che, prima o poi - io credo prima, perché ormai siete minoranza nel paese e perderete le prossime elezioni -, porterà al Governo una classe dirigente capace di fare di questa innovazione tecnologica una grande occasione di libertà,
di pluralismo e di democrazia (Applausi dei deputati del gruppo dei Democratici di sinistra-L'Ulivo).
PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto l'onorevole Maurandi. Ne ha facoltà.
PIETRO MAURANDI. Signor Presidente, siamo obbligati a condurre questa battaglia ostruzionistica sugli ordini del giorno perché è stato impedito al Parlamento di pronunciarsi nel merito e perfino di discutere sul decreto-legge in esame. Naturalmente, ci sono nostri ordini del giorno importanti e significativi, che recepiscono il contenuto dei nostri emendamenti, e ce ne sono altri di chiara impronta ostruzionistica. È chiaro che, in questo clima, durante queste lunghe ore di discussione, i nostri discorsi non passeranno alla storia, ma il Presidente del Consiglio, così ripulito e rifatto di fresco, lui sì che può permettersi discorsi e affermazioni che in qualche modo passeranno alla storia. Le ultime affermazioni sono quelle di ieri, quando ha affermato che l'evasione fiscale dipende da una eccessiva pressione fiscale. Naturalmente, la tesi non è sua: immagino che gliel'abbia suggerita qualche esperto delle isole Cayman. Di suo, il Presidente del Consiglio ha aggiunto, con la consueta finezza e il consueto senso di irresponsabilità, che è morale evadere il fisco: incapace di ridurre davvero la pressione fiscale, non trova di meglio che incitare all'evasione.
Naturalmente, l'idea che l'evasione fiscale dipenda dall'eccessiva pressione fiscale è una balla gigantesca, perché, se fosse vero, l'evasione sarebbe più alta in quei paesi in cui la pressione fiscale è più alta; ed è ben noto che le cose non stanno così, almeno nei paesi a noi vicini per assetto istituzionale e livello di sviluppo: nelle «Repubbliche delle banane» è un'altra cosa!
Un'altra affermazione di Berlusconi è quella secondo la quale la Corte costituzionale emette sentenze diverse o addirittura in contrasto con la volontà popolare. Non so quale sia il seguito di questa affermazione: forse, licenziare i giudici - a qualcuno piacerebbe tanto - e affidare le sentenze direttamente al popolo, magari con un bel referendum. Non so se passeranno alla storia queste affermazioni; se accadrà, non sarà per il grande senso dello Stato che esprimono. Anzi, i soliti maligni sostengono che il Presidente del Consiglio abbia qualche interesse personale da proteggere e da difendere con le sue esternazioni, i suoi decreti-legge, le sue richieste di fiducia. Laddove si denuncia un'eccessiva pressione fiscale, si annida in realtà un patrimonio da difendere; laddove si denuncia la persecuzione dei giudici, costituzionali e non, di centrosinistra, antipopolari, si annidano in realtà leggi incostituzionali fatte a immagine del Presidente del Consiglio e processi che si vogliono evitare.
Tutto ciò accade esattamente con questo decreto-legge, e laddove la maggioranza si affanna a spiegare che esso serve per l'arricchimento del sistema radiotelevisivo - così si è espressa la relatrice all'inizio di questa discussione - si annida la difesa, il consolidamento del duopolio: l'arricchimento c'è, ma non riguarda il sistema radiotelevisivo.
La circostanza che poi chi fa questo gioco si autoproclami liberista si commenta da sola. Allora i nostri ordini del giorno sono tutti importanti, perché sono la testimonianza di una battaglia civile contro la prepotenza, contro lo scempio del diritto e contro lo scempio del sistema radiotelevisivo. È per questo che chiediamo che essi vengano votati ed approvati. Il voto di fiducia su questo decreto-legge non è il primo e non sarà l'ultimo. Due mesi fa ve ne sono stati due sulla manovra finanziaria, non mancheranno nuove occasioni nel prossimo futuro per imporre il silenzio al Parlamento e per neutralizzare eventuali sussulti di dignità della maggioranza. Ma un Governo che ha una maggioranza di cento deputati in più manifesta in questo modo una debolezza che tutti sono in grado di cogliere (Applausi dei deputati del gruppo dei Democratici di sinistra-l'Ulivo).
PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto l'onorevole Giacco. Ne ha facoltà.
LUIGI GIACCO. Signor Presidente, il Parlamento ancora una volta è stato privato della possibilità di discutere delle leggi e tutto questo è dovuto soprattutto al fatto di voler salvaguardare gli interessi economici del Presidente del Consiglio. Voglio ricordare a chi mi ascolta che sono in ballo circa mille e 300 milioni di vecchie lire al giorno e che certamente con ciò non si tende a superare quello che è il duopolio radiotelevisivo e ad allargare il pluralismo.
E pensare che in questi anni ci sono state sulla materia radiotelevisiva interventi e suggerimenti autorevoli. Voglio ricordare il messaggio del Presidente della Repubblica che verteva proprio sul pluralismo dell'informazione come caposaldo della democrazia; gli interventi della Corte costituzionale sulle ripetute violazioni della legislazione vigente e le sentenze della stessa Corte; i richiami del Parlamento europeo volti a superare la situazione di monopolio dell'informazione; gli appelli formulati dall'Autorità garante per la concorrenza ed il mercato.
Il decreto-legge in via di approvazione non accoglie alcuno dei suddetti richiami. Sarebbe stato certamente possibile percorrere un'altra strada, avviando tempestivamente la riconversione, favorendo un passaggio graduale di Retequattro sul satellite ed anche sul digitale terrestre, rispettando così anche i diritti dei nuovi entranti, quali Europa 7 ed altre imprese. E pensare che alcuni emendamenti che oggi abbiamo trasformato in ordini del giorno meritavano almeno una certa considerazione e di essere votati anche da parte dei colleghi della maggioranza che ancora non hanno perso il buonsenso e non sono schierati passivamente a difendere gli interessi di Berlusconi contro quelli di tutti.
L'ordine del giorno da me presentato impegna il Governo a favorire l'arricchimento effettivo del pluralismo televisivo e a sostenere iniziative di razionalizzazione della diffusione degli impianti sul territorio nell'interesse prioritario della salvaguardia della salute delle popolazioni e della tutela del paesaggio. Mi spiace che il sottosegretario abbia espresso parere negativo; la maggioranza preferisce rischiare il ridicolo e la vergogna di apparire fedele esecutrice degli interessi di un'azienda, che produce notevole ricchezza per il capo di questa maggioranza, invece che riportare il pluralismo nel sistema radiotelevisivo.
Allora mi chiedo perché si è posta così attenzione per una impresa patrimonio del Presidente del Consiglio e non c'è altrettanta attenzione per i lavoratori dell'Ilva di Cornigliano, di Taranto, per i lavoratori siderurgici di Terni, per i lavoratori del settore calzaturiero in crisi, per le famiglie che faticano ad arrivare alla fine del mese con i loro salari e stipendi sempre più esigui. Infine, riaffermo come questo decreto salvaguardi gli interessi del Presidente del Consiglio invece di riportare il pluralismo nel sistema radiotelevisivo italiano (Applausi dei deputati del gruppo dei Democratici di sinistra-l'Ulivo).
PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto l'onorevole Mariotti. Ne ha facoltà.
ARNALDO MARIOTTI. Signor Presidente, con questa dichiarazione di voto chiedo all'Assemblea di votare a favore del mio ordine del giorno n. 9/4645/77, che impegna il Governo a razionalizzare la diffusione degli impianti sul territorio della regione Abruzzo. Ciò, per tutelare la salute delle popolazioni, per salvaguardare l'ambiente, ma anche e soprattutto per garantire a tutti i cittadini, anche a quelli residenti nelle zone interne montane, il diritto alla ricezione plurale dei segnali radiotelevisivi.
Onorevoli colleghi, l'andamento dei nostri lavori sta dimostrando (se ve ne fosse stato bisogno) che la questione di fiducia posta dal Governo su questo decreto-legge non ha ragioni tecniche. Se avessimo discusso e votato gli emendamenti presentati dalle opposizioni, avremmo impiegato gli stessi tempi e, anzi, un tempo minore rispetto a quello che stiamo utilizzando in
quest'aula, magari migliorando il testo del decreto-legge.
Ciò significa che il voto sulla questione di fiducia ha impedito la discussione e ci ha costretto a discutere attraverso una serie di ordini del giorno, che non possono modificare certamente il testo ma ci danno la possibilità di far capire ai cittadini italiani cosa sta succedendo in quest'aula e come la maggioranza ed il Governo utilizzino le istituzioni per fini personali. Altro che ragioni tecniche, altro che snellimento dei lavori parlamentari! Il voto sulla questione di fiducia è stato posto per impedire alla maggioranza di ragionare e di esprimersi liberamente.
Noi ci chiediamo - e fatelo anche voi, colleghi della maggioranza - a chi giovi tutto ciò. Certamente, non a questa istituzione parlamentare, che ne esce ancora una volta mortificata ed espropriata del suo ruolo costituzionale. Certamente, non alla dialettica democratica ed al sistema delle garanzie tra gli organi dello Stato di questa Repubblica. Anzi, con il decreto-legge in esame si aggira, come è stato più volte ripetuto, una sentenza della Corte costituzionale, si insulta il Capo dello Stato, il suo messaggio alle stesse Camere sul pluralismo e sulla correttezza nell'informazione e le motivazioni alla base del rinvio alle Camere della legge Gasparri.
Siamo di fronte ad interessi privati del Presidente del Consiglio? Certamente, noi sosteniamo questo. Un dato è certo: in tempi di crescita zero dell'economia e di recessione della produzione industriale, mentre le piccole e medie imprese in tutta Italia annaspano in un mercato sempre più aggressivo, con i distretti industriali in affanno e, quindi, con il rischio di perdere tanti posti di lavoro nei vari sistemi produttivi nazionali, con gli utili aziendali che crollano per la stragrande maggioranza delle imprese italiane, questo decreto-legge ed il vostro voto di fiducia al Governo hanno regalato alla famiglia Berlusconi 163 milioni di euro. Il voto di fiducia espresso ieri dalla maggioranza al Governo Berlusconi ha consentito un rialzo del 3 per cento del titolo Mediaset.
Vorrei ricordare che lo stesso fenomeno si registrò quando la legge Gasparri era al vaglio della Presidenza della Repubblica e le veline di fonte governativa annunciavano la firma imminente del Presidente Ciampi. Poi, come sapete, non è stato così; anzi, il testo è ritornato alle Camere ed oggi è «infognato» perché la maggioranza non riesce ad uscire da quella situazione. Come lo chiamate voi tutto questo? È o non è interesse privato, usando le istituzioni? È o non è conflitto di interessi tra l'essere Capo del Governo e allo stesso tempo proprietario di una delle più grandi imprese, che agisce in regime di monopolio?
Onorevoli colleghi, Berlusconi incassa ed aumenta la sua ricchezza, il pluralismo ed il libero mercato scompaiono e voi, colleghi della maggioranza, fate la parte di chi regge il sacco. Credo che anche di questo dovrete dare conto agli elettori che andranno alle urne il 12 e 13 giugno prossimi.
Oramai, il clima in Italia è cambiato: vi è un'opposizione pronta a prendere le redini di questo paese per trasformarlo e per riportarlo sulla scia della democrazia e del pluralismo (Applausi dei deputati del gruppo dei Democratici di sinistra-l'Ulivo).
PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto l'onorevole Borrelli. Ne ha facoltà.
LUIGI BORRELLI. Signor Presidente, questo decreto-legge ci pone di fronte ad un conclamato e gravissimo caso di conflitto di interessi tra il Presidente del Consiglio e i diritti costituzionali dei cittadini. Un conflitto di interessi sotto gli occhi di tutti, in Italia come negli altri paesi democratici, e che è ben lungi dall'essere superato. Il Presidente del Consiglio Berlusconi si era impegnato a risolverlo, come sappiamo, nei primi cento giorni di Governo: di giorni ne sono passati quasi mille ed il conflitto di interessi del Presidente del Consiglio dei ministri, invece di risolversi o attenuarsi, è addirittura peggiorato. Ne sono testimonianza tutti i provvedimenti di un certo rilievo
approvati attraverso leggi che la società italiana e quella internazionale hanno definito come leggi vergogna: da quello sulla giustizia, alla disciplina del reato di falso in bilancio, fino alla tassa sulle successioni per i più ricchi.
Non vi siete tuttavia accontentati di garantire a Retequattro, con uno strumento straordinario quale il decreto-legge, la possibilità di continuare a trasmettere per via analogica oltre il termine ultimo fissato dalla Corte costituzionale; avete posto anche la questione di fiducia per la conversione in legge di un decreto-legge «appesantito» da modifiche peggiorative apportate dal Senato, come ad esempio l'introduzione della valutazione delle tendenze di mercato e la copertura del cinquanta per cento della popolazione. La verità è che il voto di fiducia è servito ad evitare che qualche proposta emendativa, tra quelle presentate, potesse essere votata a scrutinio segreto e che quella cosiddetta e tetragona maggioranza, si fa per dire, di cui disponete potesse, nel segreto dell'urna, far fare al presente decreto-legge la stessa fine della legge Gasparri due. Altro che questioni tecniche! La verità è che Berlusconi non si fida della sua maggioranza, come anche gli italiani non si sentono più in sintonia e non si fidano del Governo Berlusconi.
Questo provvedimento, approvato attraverso il ricorso alla questione di fiducia, protrae in pratica in maniera indefinita la situazione di indebita concentrazione delle frequenze radiotelevisive e comporta la limitazione del pluralismo del sistema d'informazione come conseguenza incontrovertibile.
Il punto cruciale sul quale si vuole intervenire con l'ordine del giorno presentato e del quale chiedo l'approvazione da parte dell'Assemblea riguarda la verifica delle opportunità offerte dalle nuove tecnologie digitali, vale a dire la possibilità di raggiungere in maniera adeguata un numero considerevole di utenti.
È noto infatti che la qualità del segnale rappresenta un elemento dirimente per l'effettiva copertura del territorio e, di conseguenza, il reale riconoscimento del diritto all'accesso ad una pluralità di offerta informativa radiotelevisiva. Non è sufficiente infatti che sia installato un certo numero di ripetitori, ma occorre che il segnale digitale sia di buona qualità e che l'utente abbia la possibilità di utilizzarlo.
D'altra parte, il fatto che la quota di popolazione coperta dal segnale digitale terrestre non debba essere inferiore al 50 per cento, anziché all'80 per cento, come era previsto dalla legislazione preesistente, crea il rischio che i territori più marginali non siano coperti.
Attraverso l'ordine del giorno da me presentato si vuole richiamare l'attenzione del Governo sull'esigenza che la copertura del segnale digitale terrestre riguardi la maggior parte del territorio e della popolazione e non trascuri i territori montani e marginali come sono per la gran parte quelli della regione Abruzzo.
In conclusione, si chiede al Governo, per quanto di sua competenza ed avvalendosi delle strutture ministeriali preposte, di effettuare le necessarie verifiche ed ispezioni volte ad accertare che i segnali televisivi irradiati in tecnica digitale siano classificabili di qualità buona, secondo la codificazione vigente, nonché di darne immediata e periodica informazione all'Autorità per le garanzie nelle comunicazioni ed al Parlamento (Applausi dei deputati del gruppo dei Democratici di sinistra-l'Ulivo).
PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto l'onorevole Rotundo. Ne ha facoltà.
ANTONIO ROTUNDO. Signor Presidente, onorevoli colleghi, nel chiedere il voto dell'Assemblea sull'ordine del giorno n. 9/4645/33 sottoscritto da me e dall'onorevole Spini, vorrei riprendere il ragionamento dal punto in cui lo avevo interrotto nel mio precedente intervento svolto nella serata di ieri.
Con questo decreto-legge l'arricchimento del pluralismo è totalmente virtuale e teorico.
All'obiezione fondamentale del Presidente della Repubblica riguardante l'effettivo
arricchimento del pluralismo si risponde che l'arricchimento non c'è. Non è possibile equivocare su tale termine che mi pare estremamente chiaro. Dico ciò perché al 31 dicembre 2003, la data di riferimento della sentenza della Corte costituzionale, nelle case degli italiani di digitale terrestre non vi era traccia. Non vi era una sola televisione in grado di ricevere un programma digitale. Altro che arricchimento del pluralismo dell'informazione!
Il decreto-legge stabilisce che l'Autorità per le garanzie nelle comunicazioni deve verificare la condizione di arricchimento del pluralismo. Verificare a quale data? Al 31 dicembre? In corso d'opera? Ad aprile? A marzo? Esiste il concetto di misura senza un riferimento fisico? Si tratta di una misura metrica che va da un punto ad un altro punto, o di una misura temporale? Anche in questo caso, quindi, dovremmo cambiare il dizionario della lingua italiana. Non si tratta di una misura, ma di una stima, di una valutazione, di un pensiero, di un'invenzione, di una simulazione. Non è una misura perché non si sa a cosa riferirla.
Vi è di più: il decreto-legge afferma che la misura deve tenere conto delle tendenze in atto nel mercato. In pratica, una misura, che di per sé è un valore oggettivo, deve tenere conto di una tendenza. A questo punto non è più una misura, ma un'invenzione! Risulta totalmente evidente che se il futuro della televisione è la televisione digitale, il mercato si muoverà in quella direzione e non nella direzione delle carrozze a cavalli! Quindi, la tendenza è di andare nella direzione del digitale. Allora, che senso ha dire che bisogna misurare la copertura, se poi si aggiunge che, tenendo conto delle tendenze in atto sul mercato, tale misura è del tutto superflua? Si invita l'Autorità per le garanzie nelle comunicazioni a dire «sì» qualunque sia la misura al 31 dicembre 2003. È una situazione paradossale! Si manca di rispetto, addirittura, ad un'autorità indipendente, definendo per legge che le sue misure sono del tutto inutili perché la tendenza del mercato, in qualche modo, risolve il problema.
Il decreto-legge afferma, inoltre, che sul mercato nazionale devono essere disponibili i decoder a prezzo ragionevole: sembrerebbe, quindi, sufficiente che i decoder siano presenti nei negozi, perché nelle case degli italiani ancora non ci sono! Tuttavia, nei negozi a quale data devono essere presenti i decoder? Se la data è quella del 31 dicembre 2003 (prevista dalla sentenza della Corte costituzionale), dobbiamo dire che, a tale data, nei negozi di decoder non ce n'erano, anche perché nessuna legge prevedeva l'acquisto di essi, dal momento che a quella data non vi era la televisione digitale.
Questo Governo, infatti, ha fatto fare alla RAI gli investimenti per il digitale senza che una legge lo prevedesse. Ha forzato l'azienda pubblica ad effettuare una serie di investimenti, spendendo il denaro dei contribuenti, per dimostrare che vi era una certa copertura al 31 dicembre 2003, al fine di salvare Retequattro. Questo è quello che ha fatto il Governo, ma gli italiani lo hanno capito e lo sanno bene!
PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto l'onorevole Rugghia. Ne ha facoltà.
ANTONIO RUGGHIA. Signor Presidente, non comprendo, francamente, il motivo per cui il Governo non ha voluto accettare l'ordine del giorno Ventura n. 9/4645/34, di cui sono cofirmatario.
Il decreto-legge in esame, che - come noto - è stato adottato a seguito del messaggio presidenziale di rinvio al Parlamento della legge di riforma del sistema radiotelevisivo e della concomitante scadenza del termine indicato nella sentenza della Corte costituzionale per porre fine alla situazione di indebita concentrazione delle frequenze radiotelevisive, prevede una procedura volta a verificare se le opportunità offerte dalle nuove tecnologie digitali possano consentire la coesistenza di un numero crescente di operatori nazionali
superando l'ormai anacronistico duopolio italiano.
Quindi, ai fini dell'effettiva ricezione dei segnali televisivi in tecnica digitale, il tema della qualità del segnale rappresenta un elemento dirimente per quanto attiene all'effettiva copertura del territorio. Non si comprende, pertanto, perché il Governo, respingendo il nostro ordine del giorno, non voglia effettuare, come noi proponiamo, per quanto di sua competenza e, avvalendosi delle strutture ministeriali, le necessarie verifiche ed ispezioni volte ad accertare che i segnali televisivi irradiati in tecnica digitale siano classificabili di qualità buona, secondo la codificazione vigente, dandone poi immediata e periodica informazione all'Autorità per le garanzie nelle comunicazioni e al Parlamento.
Evidentemente, signor Presidente, non si vuole discutere nel merito del provvedimento. Secondo questa maggioranza, il decreto-legge risponde alle osservazioni del Presidente della Repubblica contenute nel messaggio di rinvio alle Camere. A nostro avviso, non è così e le modifiche apportate a questo decreto-legge da parte del Senato hanno - se possibile - reso la situazione ancora più confusa e inaccettabile. L'osservazione fondamentale avanzata dal Presidente Ciampi è che la riforma non produce un effettivo incremento del pluralismo. Questo era il punto di partenza di tutte le considerazioni, che successivamente lo stesso Presidente ha sviluppato in una serie di punti. Questo è il parametro rispetto al quale dobbiamo giudicare tutti gli interventi operati nel settore radiotelevisivo, compreso quello posto in essere con questo decreto-legge.
Abbiamo la sensazione che la maggioranza faccia finta di non capire il Presidente della Repubblica. Ci sembra che si aggiri il problema, con alcune definizioni che sostanzialmente sfiorano l'assurdo ed il ridicolo, quali quella della rete di copertura nazionale. Si disegna, inoltre, un dispositivo di legge indirizzato esclusivamente all'obiettivo di salvare Retequattro. Questa è l'operazione della quale stiamo discutendo: un intervento normativo, attraverso un decreto-legge, compiuto per difendere un'azienda del Presidente del Consiglio dei ministri.
Si torna a respirare, in quest'aula, l'aria della legge Cirami, l'aria della legge di depenalizzazione del falso in bilancio, quella del rientro dei capitali dall'estero, quella del non risolto conflitto di interessi del premier. Noi non abbiamo nulla contro l'azienda Retequattro, ma nel nostro paese vi sono centinaia di aziende e spesso dobbiamo occuparci di situazioni a rischio di crisi di aziende importanti, che comportano difficoltà per i dipendenti, i quali non sanno quale sarà il loro futuro occupazionale. Ebbene, non abbiamo mai visto questo Governo emanare decreti d'urgenza per salvaguardare quei lavoratori, né tanto meno chiedere su tali provvedimenti il voto di fiducia, in occasione della conversione in legge di eventuali decreti.
La gente deve confrontarsi con centinaia di problemi quotidiani, dal costo della vita alle questioni relative alla sanità e al sociale, dagli scioperi alle agitazioni, persino nel mondo accademico e della magistratura. Nel vostro programma di Governo voi avete una sola priorità, un solo punto programmatico fondamentale, come oggi state dimostrando con questo voto di fiducia: quello di salvare Retequattro, quello di difendere gli interessi personali del Presidente del Consiglio, anteponendoli a quelli del paese.
PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto l'onorevole Capitelli. Ne ha facoltà.
PIERA CAPITELLI. Signor Presidente, onorevoli colleghi, quando si scriverà la storia di questa fase della vita politica italiana, in particolare della vita dell'istituzione fondamentale del nostro paese, il Parlamento, queste giornate, saranno un episodio imbarazzante per l'attuale maggioranza (ammesso che sia ancora una maggioranza vera, impegnata su un programma per il paese). Ve ne sono state altre - non lo dimentichiamo - di giornate come queste: come non ricordare l'affanno con cui, nei primi 100 giorni, la
maggioranza si è affrettata a far approvare l'abolizione della tassa di successione per i grandi capitali, la legge Cirami, la depenalizzazione del falso in bilancio, l'agevolazione del rientro dall'estero dei capitali illecitamente esportati e, successivamente, il lodo Schifani ed altri provvedimenti, che anche i cittadini italiani hanno ben presenti?
In questi giorni, con la votazione della questione di fiducia sul decreto-legge che è stato definito a ragione, in modo un po' elementare, ma efficace e corretto, il decreto «salva Retequattro», si celebra la legittimazione del conflitto di interessi (è un'operazione di salvezza e di legittimazione). Come è stato affermato da più parti, è un voto di fiducia che dovrebbe far vergognare chi lo ha pensato. È un voto di fedeltà, ma non ad un programma a favore dello sviluppo del paese e in vista di maggiore benessere e tranquillità dei cittadini, è un voto di omaggio e di fede al capo.
È vero, fiducia e fede: cosa vi è di male nel celebrare la fede e l'amicizia? Il Governo ha avuto la fiducia ed i cittadini italiani avranno Fede sempre sulla stessa rete!
È un'operazione che affonda nel profondo degli animi, che è storicamente fondata perché si radica proprio in una storia antica che riporta alla devozione dovuta al proprio signore ai tempi del feudalesimo. Forse, si sarebbe potuto andare meno lontano per trovare le proprie radici e per riconoscere la propria identità morale e civile degli italiani. Ma il nostro Governo sa andare fino in fondo, molto in fondo! Il nostro Governo vuole darci sempre qualcosa di più e, perciò, è voluto andare tanto indietro nel tempo e così in profondità per il bene dei suoi cittadini, per riscoprire il valore della fedeltà dovuta e per ritrovare il senso di una spiritualità troppo spesso smarrita.
Sono smarriti i cittadini e, per questo motivo, il Governo interviene con l'operazione fiducia. I cittadini fanno fatica a riconoscersi in questo Governo e, quindi, bisogna aiutarli, anche ispirando loro atti di fede e di spiritualità. Da dove provengono le difficoltà dei cittadini che si agitano, scendono in piazza ed occupano scuole ed università?
Sono forse i cattivi comunisti - è certo colpa loro - ad indurre i cittadini, anziché a scegliere un percorso di spiritualità, a concentrarsi sui propri interessi materiali, sullo stipendio che non percepiscono a fine mese, sull'incertezza occupazionale, sulla scuola dei propri figli (non si capisce più cosa è e cosa sarà), sulla sanità pubblica che offre sempre meno garanzie e servizi (inducendo a rivolgersi al privato ed al sistema assicurativo), sulle grandi opere per il paese che, purtroppo, non vengono compiute, mentre il sistema dei trasporti e delle infrastrutture si dimostra sempre più inadeguato a favorire sviluppo e qualità della vita?
I cittadini cominciano a mettere in dubbio il fatto che tutto ciò che non va nel paese sia da attribuire alle colpe dei comunisti. Non saranno mica uomini di poca fede i cittadini italiani? Noi parlamentari d'opposizione siamo decisamente uomini di poca fede. Non ci fidiamo e vogliamo percorrere tutte le strade per cercare di strappare poca cosa, anche qualche ordine del giorno, ad una maggioranza fino adesso inespugnabile! Ciò potrebbe essere motivo per portare avanti la nostra battaglia.
Il Governo e la maggioranza sono inespugnabili, ma noi porteremo la nostra battaglia fino in fondo, perché si tratta di un provvedimento sbagliato, che non garantisce né la pluralità dell'informazione né lo sviluppo del sistema di informazione stesso. È un provvedimento che codifica un monopolio, quello di un'impresa le cui azioni (come questa mattina ha affermato giustamente, in modo molto documentato l'onorevole Giulietti), ieri hanno avuto un incremento in borsa del 3 per cento (Applausi dei deputati del gruppo dei Democratici di sinistra-L'Ulivo)!
PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto l'onorevole Lumia. Ne ha facoltà.
GIUSEPPE LUMIA. Signor Presidente, colleghi del centrodestra, siete stati costretti
a porre la questione di fiducia su tale provvedimento contro gli interessi dei cittadini ed il Parlamento. A questa manipolazione della fiducia corrisponde la crescita di una forte sfiducia nei confronti del Presidente del Consiglio e del centrodestra. È una sfiducia che si allarga nel paese, che si diffonde in tanti settori, sottoposti a dura prova dalle vostre scellerate scelte (penso alla scuola, alla sanità pubblica, alla giustizia, al mondo del lavoro e delle imprese).
Tuttavia, è una sfiducia che è entrata anche nelle vostre fila; sì, tra di voi, tra i vostri militanti, tra i vostri stessi parlamentari. E ciò è così vero che siete costretti ad occultare i reali motivi del ricorso alla fiducia, non siete in grado di dire agli italiani che impunità ed affari del Presidente del Consiglio sono al di sopra di tutto, stabiliscono la priorità nella vostra agenda politica, sulle scelte del vostro Governo, sui lavori parlamentari, sulla stessa presenza - sempre copiosa - dei membri dell'esecutivo tra i banchi del Governo quando si affrontano le «leggi privilegio».
Siete costretti a raccontare frottole per nascondere che l'impunità e gli affari hanno in voi la priorità assoluta sull'informazione, sull'editoria, sulla televisione; siete privi del benché minimo criterio orientato al bene comune, siete costretti a lacerare le nostre istituzioni, a snaturare il ruolo dei parlamentari e del Parlamento, a contrapporvi alla Presidenza della Repubblica e alla Corte costituzionale.
Siete di centrodestra e dovreste misurarvi con noi sul pluralismo, sull'apertura del mercato, sul rilancio dell'economia e dell'informazione, dovreste dimostrare di essere più bravi di noi a servire il bene comune! Niente, impunità ed affari vi paralizzano e vi allontanano dal paese e dal Parlamento. Bisognerebbe augurarvi buon viaggio, la bussola non è più quella del paese!
Lo potete dire chiaramente, non vale a nulla nasconderlo, ormai il gioco è chiaro: è vero, il re è nudo! Naturalmente, proverete in tutti i modi a nascondere questa triste verità, proverete a dimostrare che la questione di fiducia che avete posto costituisce un fatto tecnico, magari racconterete che in questo caso non sono in gioco gli interessi del Presidente del Consiglio, proverete a dimostrare che siete uniti e che la fiducia non è contro nessuno e non è contro voi stessi, che avete paura di sottoporvi al confronto parlamentare, al voto e, soprattutto, a quello segreto. Proverete, insomma, a raccontare tante frottole, ma ormai il paese sta capendo!
Occorre fornire ai cittadini una risposta forte e chiara, raccontando i fatti e fornendo loro la possibilità di valutare e di apprezzare eventualmente una proposta alternativa - quella nostra - che, attraverso questi ordini del giorno e tutta la nostra progettualità sull'informazione, appare in grado di dimostrare che l'informazione è una grande risorsa democratica, è una grande opportunità, per costruire un paese aperto, in grado di competere e di porre le nostre grandi culture e tradizioni nonché le nostre differenze territoriali in sinergia, in un lavoro comune, per creare coesione, integrazione e la possibilità di stabilire un rapporto fecondo con l'Europa e con il contesto internazionale.
Insomma, siamo impegnati a dire «no» a voi e siamo altrettanto impegnati a creare questo grande progetto di vera fiducia e di sintonia con il paese, che a voi ha ormai voltato le spalle (Applausi dei deputati del gruppo dei Democratici di sinistra-L'Ulivo).
PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto l'onorevole Nieddu. Ne ha facoltà.
GONARIO NIEDDU. Signor Presidente, anch'io chiedo che sia votato il mio ordine del giorno n. 9/4645/80, presentato insieme al collega Nigra, per le ragioni che io stesso ho illustrato qualche ora fa e che, attraverso questo intervento, intendo ricordare. Tra l'altro, questo mio intervento in sede di dichiarazioni di voto mi è utile per completare quello precedente, non concluso per ragioni di tempo.
In particolare, con il presente ordine del giorno impegniamo il Governo a favorire
e a sostenere iniziative di razionalizzazione della diffusione degli impianti sul territorio, nell'interesse prioritario della salvaguardia della salute delle popolazioni e della tutela del paesaggio. Ciò anche attraverso un coinvolgimento del Parlamento, al quale chiediamo sia inviata una relazione bimestrale sullo stato di distribuzione sul territorio degli impianti di trasmissione radiotelevisiva, con particolare riguardo al territorio della regione Puglia (nonostante, com'è facilmente desumibile dal mio modo di parlare, appartenga alla regione Toscana).
L'avvento delle tecnologie digitali, alle quali voi vi siete aggrappati per coprire i veri obiettivi di questo provvedimento, potevano essere, dal mio punto di vista, un'opportunità importante per un reale riordino del sistema e per un corretto risanamento del territorio e, soprattutto, per porsi seriamente il problema del rischio di conseguenze negative sulla salute della popolazione. Ma, per fare questo, sarebbe stato necessario un confronto reale in Parlamento, doveva necessariamente partire da quello che rimane il problema dei problemi, cioè il conflitto di interessi. Voi continuate ad evitare questo confronto e a sfuggire a questo problema, e ciò lo farete fino a quando il paese ve lo consentirà, sebbene ormai i tempi siano sempre più stretti, visto che fra non molte settimane saremo nuovamente in campagna elettorale.
La soluzione del conflitto di interessi apriva la lista delle false promesse fatte agli elettori nel 2001; gli italiani vi chiederanno il conto del famoso contratto sottoscritto con grande impatto mediatico. A quegli elettori non sfuggirà di trovarsi davanti, rispetto al 2001, un Berlusconi molto più ricco grazie alle leggi personali che la sua maggioranza gli ha garantito con atti di prepotenza del tipo di quello che sta avvenendo nel corso di queste ore in Parlamento. Dall'altra parte stanno gli italiani, i quali sono sempre più poveri, sempre meno sicuri, sempre più tassati e con meno scuola pubblica, con meno sanità garantita, con meno soldi in tasca e con un futuro incerto perché pieno di incognite. Su tali questioni il Governo dovrebbe intervenire e proporre soluzioni, almeno un Governo che ha a cuore il futuro del paese.
Come si evince da questi fatti, voi siete un Governo ed una maggioranza che risponde ad un padrone; pertanto, voi rispondete a lui, ai suoi interessi e agli interessi dei suoi amici. Sarà questo il terreno di confronto su cui sarete chiamati a rispondere davanti al paese. Dovrete spiegare le vere ragioni di questo decreto-legge, costruito nei contenuti e nei tempi con il solo obiettivo di salvare Retequattro (un pezzo importante del patrimonio mediatico della famiglia Berlusconi). Dovrete spiegare dove stanno le risposte alle osservazioni contenute nel messaggio presidenziale con il quale il Presidente Ciampi ha rinviato alle Camere la legge Gasparri, e in che modo state garantendo il pluralismo dell'informazione, nonché in che modo state contrastando la formazione di posizioni dominanti, peraltro pesantemente rappresentante in Italia dal Presidente del Consiglio dei ministri.
Noi, con i nostri emendamenti, avevamo tentato di aprire una discussione su questi aspetti ma voi, ponendo la questione di fiducia, ce lo avete impedito; ci abbiamo provato e ci stiamo provando ora attraverso gli ordini del giorno, al fine di far assumere un impegno al Governo. Io stesso ci sto provando con il mio ordine del giorno n. 9/4645/80, sebbene il Governo non lo abbia accettato. Chiedo, pertanto, al Parlamento di correggere la sua posizione e di esprimere su di esso un parere favorevole (Applausi dei deputati del gruppo dei Democratici di sinistra-L'Ulivo).
PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto l'onorevole Olivieri. Ne ha facoltà.
LUIGI OLIVIERI. Signor Presidente, onorevoli colleghi, questa notte ho illustrato, anche per conto del collega Oliverio, l'ordine del giorno n. 9/4645/81, di cui sono cofirmatario, presentato in merito al disegno di legge di conversione del decreto-legge n. 352 del 24 dicembre 2003,
recante disposizioni urgenti concernenti modalità di definitiva cessazione del regime transitorio della legge 31 luglio 1997, n. 249, già approvato, con modifiche, da parte del Senato. Per chi non lo sapesse, in buona sostanza, si tratta del decreto «salva-Retequattro».
Nell'illustrare il contenuto del suddetto ordine del giorno, mi ero permesso di riportare attentamente la concezione che il sottosegretario per le comunicazioni, nella giornata di lunedì 16 febbraio, durante la discussione sulle linee generali, aveva dato del concetto di pluralismo.
Spero che egli abbia la decenza di intervenire successivamente, precisando che quella non è la sua visione ovvero che è una visione parziale, in quanto il pluralismo non può essere la divulgazione di un'impostazione ideologica.
Ma vi è di più. Nelle premesse del decreto-legge in esame riscontriamo l'espressione massima dell'ipocrisia e dell'uso distorto e non conforme all'articolo 77 della Costituzione della decretazione d'urgenza, laddove si fa riferimento al penultimo capoverso del paragrafo 11 delle considerazioni in diritto della sentenza della Corte costituzionale n. 466 del 20 novembre 2002, nel quale si dice che «la data del 31 dicembre 2003 offre margini temporali all'intervento del legislatore per determinare le modalità della definitiva cessazione del regime transitorio di cui al comma 7 dell'articolo 3 della legge n. 249 del 1997».
Dunque, ci chiediamo: in questo periodo, dal momento che, purtroppo per gli italiani, la maggioranza governa da oltre due anni e mezzo, cosa è stato fatto per rispettare la legge n. 249 del 1997? E, soprattutto, cosa è stato fatto per rispettare la chiara indicazione della sentenza della Corte costituzionale n. 466 del 20 novembre 2002, che, tramite l'Autorità per le garanzie nelle comunicazioni, ha fissato il termine al 31 dicembre 2003?
Non è stato fatto assolutamente nulla, perché questo Governo e questa maggioranza avevano ed hanno la volontà di disattendere la decisione della Corte costituzionale e di porre in essere una legge, la legge Gasparri, che opportunamente il Presidente della Repubblica ha rinviato alle Camere con una decisione che vi ha certamente messo in grave difficoltà. Ciò avviene perché probabilmente la concezione del pluralismo che ha il sottosegretario Innocenzi è la stessa concezione del pluralismo che ha la maggioranza, ovvero una contrapposizione di impostazioni ideologiche.
Ma così non è, e non potete non tenere in considerazione tutto ciò. Con l'ordine del giorno da me presentato, intendiamo quanto meno porre in risalto quella che sarà un'ulteriore violazione legislativa, con particolare riferimento alla regione Basilicata (Applausi dei deputati del gruppo dei Democratici di sinistra-L'Ulivo).
PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto l'onorevole Petrella. Ne ha facoltà.
GIUSEPPE PETRELLA. Signor Presidente, intendo in primo luogo comunicarle che poco fa il Presidente del Consiglio ha annunziato di svolgere un nuovo lavoro: il direttore d'orchestra, secondo quanto ha dichiarato a Radio anch'io, trasmissione nel corso della quale sta parlando da circa due ore. Egli, riferendosi a se stesso in terza persona, come usa fare, ha detto che «Silvio Berlusconi si confronterà con i deputati europei, e non sarà là, ma sarà presente come direttore d'orchestra». Ha dunque aggiunto un ulteriore lavoro, quello appunto di direttore d'orchestra, ai numerosi lavori che già svolge. Tuttavia, se l'orchestra che dirigerà in Europa sarà come l'orchestrina del suo Governo che dirige in Italia, i deputati del Parlamento europeo ascolteranno un concerto molto stonato. Comunque, siamo abituati a tutto, anche ad avere un Presidente del Consiglio direttore d'orchestra!
LUIGI GIACCO. Apicella!
GIUSEPPE PETRELLA. Entrando nel merito dell'intervento, mi rivolgo al ministro Gasparri, che da ieri sta attaccato al telefono e non ascolta quello che dicono i
deputati dell'opposizione (Commenti dei deputati del gruppo di Alleanza nazionale).
Voglio dire che è veramente ridicolo che la cosiddetta Casa delle libertà (libertà di evadere le tasse, a partire dal Presidente del Consiglio dei ministri, di ingiuriare la Corte costituzionale o di vedere comunisti ovunque, senza accorgersi che gli ultimi e unici comunisti rimasti li ha assunti a servizio stabile presso di sé), che questo Governo delle libertà respinga un ordine del giorno che impegna il Governo soltanto a favorire e sostenere iniziative di razionalizzazione della diffusione degli impianti sul territorio, nell'interesse prioritario della salvaguardia della salute delle popolazioni e della tutela del paesaggio, nonché a inviare una relazione bimestrale al Parlamento sullo stato di distribuzione nel territorio degli impianti di trasmissione radiotelevisiva, con particolare riguardo al territorio della regione Calabria, una regione del Mezzogiorno.
Ebbene, il Governo respinge questo ordine del giorno nel momento in cui il Cavaliere annuncia, con la sua candidatura alle elezioni europee, un doppio imbroglio, perché tale annuncio significa ingannare gli elettori e prendere in giro le istituzioni europee. E mentre rende nota urbi et orbi la sua nuova discesa in campo, dopo avere - come lui dice - «fatto il tagliando» (per la verità non ben riuscito, almeno dal punto di vista estetico), afferma anche che decenza e decoro imporrebbero a Romano Prodi di dimettersi. Mentre lui annuncia la sua candidatura, pur sapendo che, quale Presidente del Consiglio dei ministri, non potrà fare mai il parlamentare europeo, vuole però che il Presidente della Commissione europea si dimetta, senza che ne abbia annunciata alcuna.
Devo dire che, con l'annuncio di ieri, Berlusconi conferma - ove mai ce ne fosse ancora bisogno - la sua propensione al raggiro politico. Non solo. Non potendo ridurre le tasse, come aveva promesso e sottoscritto, sotto forma di contratto con gli italiani, davanti al suo maggiordomo, nel corso della trasmissione televisiva Porta a porta (altra sua gigantesca truffa politica), questo nostro premier, che grandi paesi come il Guatemala, Togo ed Haiti ci invidiano, ne inventa un'altra delle sue. Dice agli italiani, cioè, che con una pressione fiscale al 50 per cento ognuno si sentirà moralmente autorizzato ad evadere. Il messaggio che ha inviato è chiaro: evadete, evadete, evadete quando vi pare, perché siete moralmente autorizzati a farlo. Ovvero: frodate pure il fisco e, quindi, gli altri italiani perché vi autorizzo moralmente io e perché il ministro Tremonti chiuderà un occhio, anzi, li chiuderà tutti e due e vi regalerà anche un bel condono!
Questa è una grande vergogna, signor Presidente. Se qualsiasi semplice cittadino avesse affermato questo su tutte le reti televisive e su tutti i giornali italiani, penso che, come minimo, gli sarebbe potuto capitare di incorrere in una denuncia per istigazione a delinquere, perché evadere le imposte è un reato. Invece, mentre afferma questo, il Presidente del Consiglio si arricchisce sempre di più con il monopolio televisivo, dato che il ministro Tremonti è il suo commercialista e sa bene come fargli evadere le tasse (Applausi dei deputati del gruppo dei Democratici di sinistra-L'Ulivo)!
PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto l'onorevole Lulli. Ne ha facoltà.
ANDREA LULLI. Chiedo che sia votato il mio ordine del giorno n. 6/4645/72, signor Presidente, nonostante il parere contrario espresso su di esso dal Governo. In verità, avrei chiesto di porlo in votazione anche in un caso diverso, perché noi stiamo combattendo una battaglia civile di libertà per il nostro paese.
I motivi per i quali chiedo la votazione del suddetto ordine del giorno sono i seguenti. Innanzitutto, perché, anche se si tratta di un ordine del giorno parziale, il suo accoglimento ed il suo adempimento da parte del Governo svelerebbero il trucco, cioè l'assenza dei requisiti necessari al rispetto delle soglie antitrust.
In secondo luogo, perché è inconcepibile in un paese moderno, democratico e
liberale che il Presidente del Consiglio adotti un decreto-legge sulla sua azienda e lo faccia approvare con un voto di fiducia, imponendo la «non discussione» al Parlamento, perché come un vecchio padrone delle ferriere non si fida delle proprie maestranze e per questo non lascia nessuna libertà: o si ubbidisce o a casa.
Di fronte a questo, non si esita a mettere in crisi anche le istituzioni. Si aggira il messaggio della Presidenza della Repubblica, non ci si cura delle osservazioni del Garante per la concorrenza, si delegittima la Corte costituzionale perché in qualche modo questi giudici sarebbero stati nominati da un'altra maggioranza: in quanto a cultura democratica e a senso delle istituzioni c'è davvero di che preoccuparsi. La sua mediocrità nell'azione di Governo si collega a una concezione antidemocratica del funzionamento delle istituzioni. Evidentemente, egli pensa all'Italia come a una un'azienda dove si può comandare e non dirigere, quindi punta a non consentire una dialettica e una concordia anche attraverso scontri aspri quando è il caso.
Un grande paese come il nostro non può essere ridotto a questo senza danni morali e certamente materiali. È incredibile come un Presidente del Consiglio, mentre fa votare un suo provvedimento che interessa alla sua azienda, possa in queste ore dichiarare moralmente legittima l'evasione fiscale perché le tasse sono alte. Certo, non ce la fa a ridurle con la propria incapacità di governo e con quella del suo ministro Tremonti e quindi si accontenta di legittimare il fisco. E i lavoratori che guadagnano 850 euro al mese non pagano già troppe tasse? Cosa dovrebbero fare? Chi si trova a pagare un affitto elevato perché non ha una propria abitazione cosa dovrebbe fare? Dovrebbe occupare le case, per avere un diritto civile, umano ad avere un proprio alloggio?
Siamo in presenza di una vergogna nazionale di un Presidente del Consiglio che non esita a vincolare la propria maggioranza per tutelare i propri interessi, disinteressandosi completamente della povera gente e dei problemi del paese, per non parlare poi dell'imprenditoria diffusa: tante parole, tante strizzate d'occhio, ma nella sostanza gli imprenditori vengono lasciati a sè stessi. È veramente una cosa avvilente.
Guardate che oltre a tutto questo quello che ci preoccupa è anche il fatto che non c'è nessuna volontà di modernizzare neppure il sistema dell'informazione. Non solo non si tiene conto del pluralismo all'interno delle reti (perché - lo ripeto - il pluralismo non può essere la concessione qualche minuto in più o in meno a questa o a quell'altra forza dell'opposizione), ma non ci si preoccupa di costruire un pluralismo reale nella proprietà delle aziende. Noi non vogliamo la cessione di Retequattro: noi vogliamo che ci siano altri imprenditori nel settore, perché questo è l'elemento fondante del pluralismo, di una società di mercato e di una società democratica.
PRESIDENTE. Onorevole Lulli, deve concludere.
ANDREA LULLI. Concludo in 30 secondi, signor Presidente.
Per questo motivo, chiedo il voto sul mio ordine del giorno n. 9/4645/72 e per questo continueremo questa battaglia: vi inchioderemo qui perché è bene che il paese sappia che questo Parlamento è vincolato a fare giochi per l'azienda del Presidente del Consiglio (Applausi dei deputati del gruppo dei Democratici di sinistra-L'Ulivo).
PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto l'onorevole Nannicini. Ne ha facoltà.
ROLANDO NANNICINI. Signor Presidente, l'ordine del giorno n. 9/4645/79 presentato insieme alla collega Motta impegna il Governo, su un aspetto fondamentale, da un punto di vista ambientale ma anche sostanziale - perché tutto il decreto-legge si impernia su un futuro mercato, quello digitale -, ad assicurare nel settore delle comunicazioni la fruibilità ai cittadini italiani.
Il Governo lo respinge e, poiché mette sullo stesso piano l'elemento del mercato digitale, lo rende estremamente virtuale. L'esempio che noi possiamo citare è quello delle 12 reti nazionali che, trovandoci ancora nel sistema analogico terrestre, in Italia non riusciamo a vedere, perché sul piano nazionale non tutto il servizio è coperto. Quando la legge Mammì nel 1990 stabilì che il massimo delle reti sul piano nazionale doveva essere un quarto del totale, anche lì si trattava di un numero virtuale - 12 appunto - che portò alle prime autorizzazioni per tre reti nell'ambito privatistico retto da Mediaset. Successivamente, con la legge Maccanico, questa percentuale fu portata al 20 per cento. Quindi, Retequattro non è una concessione, bensì un'autorizzazione nazionale, cioè temporanea.
Oggi, attraverso lo strumento del decreto-legge e, successivamente, con la legge Gasparri, si tenta, attraverso un calcolo molto virtuale del mercato del SIC, di trasformare in concessione Retequattro. La domanda che ci dobbiamo porre è: ma tutti gli imprenditori del settore dell'informazione in Italia avevano possibilità di trasformare l'autorizzazione in concessione? Quanti sono i denari che vengono passati a Mediaset ed al settore che detengono nell'informazione le tre reti italiane? Richiamarsi al pluralismo, in termini di informazione, molte volte può essere giusto. Il TG 5 è stato il primo a dare notizia di questo dibattito, la RAI è completamente appiattita sulle forze di maggioranza e non ha avuto il coraggio nemmeno di far capire agli italiani che qui si sta difendendo la democrazia, sia del mercato sia dell'informazione.
Quindi, ci può essere anche il pluralismo, ma con quale danno, sul piano economico, nel settore imprenditoriale? Noi dobbiamo incoraggiare tanti cittadini che hanno autorizzazioni provvisorie a trasformarle in autorizzazioni definitive, in concessioni, a fare guadagni! Io sono stato sindaco. Ci sono alcune autorizzazioni provvisorie per alcune attività edilizie: dovremmo necessariamente ritornare nei nostri comuni e consigliare di trasformarle in concessioni definitive, perché il valore del loro manufatto e dei loro interventi aumenterà. Ma perché questo Parlamento non deve rispettare la legge madre né i principi del mercato?
Il ministro Buttiglione - che ho visto molto attento durante le audizioni per il caso Parmalat e il caso Cirio - ci ha fatto una battuta che non abbiamo apprezzato: il ministro ha detto che Mediaset è un'azienda sacrificata nell'indirizzo delle istituzioni italiane, ha fatto presente che presso questa azienda vi sono stati 500 interventi della Guardia di finanza ed ha rimpianto che non sia stato fatto altrettanto nei confronti della Parmalat. Si comincia a pensare di essere vittime della legge! Eppure, anche nel settore del latte c'è un mercato per rispettare! Parmalat, dopo una delibera dell'Antitrust, dovette cedere, a causa di strani meccanismi, il pacchetto che aveva acquistato dalla Cirio. Perché nel settore dell'informazione, invece, non si vuole stare nel mercato e rispettare il mercato dell'imprenditoria generale? L'interesse del Presidente del Consiglio è troppo scoperto: questa battaglia non la termineremo mai finché non cambieranno le cose nel nostro paese (Applausi dei deputati del gruppo dei Democratici di sinistra-l'Ulivo).
PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto l'onorevole Albonetti. Ne ha facoltà.
GABRIELE ALBONETTI. Signor Presidente, i colleghi che per conto della maggioranza sono intervenuti ieri per dichiarazione di voto sulla questione di fiducia, hanno magnificato quelle che, a loro dire, sono le innumerevoli qualità e le caratteristiche positive dell'impostazione politica che sostiene il decreto-legge di cui stiamo discutendo e che, del resto, sostiene anche la legge Gasparri.
Si tratta di un ottimo provvedimento, hanno sostenuto i rappresentanti di Forza Italia, della Lega Nord Federazione Padana, di Alleanza nazionale e dell'Unione dei democratici cristiani e dei democratici di centro, che regola e pone un termine
alla transizione del sistema radiotelevisivo, ed offre una via di uscita buona alle situazioni di Retequattro e di RAI 3. Insomma, è un provvedimento che fa del bene, ed è il migliore dei provvedimenti e dei decreti-legge possibili.
Ma allora, la domanda è: perché avete posto la questione di fiducia? Se il provvedimento era così buono, si poteva tranquillamente votarlo con le normali procedure. Infatti, erano state presentate poche proposte emendative, non ostruzionistiche, e molte di esse potevano essere accolte, perché miglioravano il testo del decreto-legge.
Probabilmente, allora, la vera ragione è che il provvedimento non è poi così buono, e che molti di voi, come milioni di italiani, lo pensano; avete avuto quindi timore che quei 98 voti in più, manifestati nella votazione sulla fiducia, potessero svanire nel corso delle votazioni sulle proposte emendative riferite al decreto-legge. In ogni caso, ci troviamo di nuovo di fronte all'imposizione di un voto di fiducia (ormai non si contano più i casi, negli ultimi mesi), ma stavolta ciò che è più grave è che si pone la fiducia su una provvedimento che racchiude in sé la metafora del conflitto di interessi.
Si tratta di un conflitto che attanaglia ormai da più di due anni e mezzo questo paese, e da molto tempo sta annullando ogni funzione ed ogni ruolo dialettico del confronto parlamentare. Badate, onorevoli colleghi, pensiamo che ciò sia un segno non di forza, bensì di debolezza della maggioranza e del Governo. Non dalla forza della maggioranza, ma dal suo progressivo dissolvimento provengono, infatti, tali scelte e tali atti parlamentari. Si tratta di un dissolvimento che trascina nel fango le istituzioni, il rispetto dei principi basilari della democrazia e la distinzione tra interessi privati ed interessi pubblici.
Proprio su questo aspetto, credo inizino ad esserci parti rilevanti della maggioranza che non ci stanno più. Il ritiro e il rinvio della cosiddetta legge Gasparri alle Commissioni ne è un esempio; la fiducia posta sul presente decreto-legge ha rappresentato il timore che ciò potesse accadere, ed allora si risponde «blindando» sia la maggioranza, sia il Governo.
Mi domando, allora, quanto si potrà durare, prima che la mancanza di confronto e discussione porti al crollo politico che vi attende. Voi lo vedete e lo sentite, nel paese e nell'opinione pubblica, e non vi sarà potenza massmediologica e pubblicitaria, né assalto alla par condicio a salvarvi dal giudizio del paese!
Purtroppo, nel crollo della maggioranza e del Governo rischia di essere travolto anche il futuro dell'Italia, cui avete tolto la forza, nonostante vi chiamiate «Forza Italia», e cui avete tolto la speranza e la fiducia, nonostante in campagna elettorale le parole speranza e fiducia siano state sparse a piene mani, e su questo abbiate vinto le elezioni...
PRESIDENTE. Onorevole Albonetti, si avvii a concludere.
GABRIELE ALBONETTI. Concludo, signor Presidente.
Non avete più fiducia e non date più fiducia: avete e date solo Fede! L'unica fiducia che vi resta è una procedura parlamentare di cui state abusando e per questo motivo il paese vi sta guardando come marziani e vi giudicherà duramente (Applausi dei deputati del gruppo dei Democratici di sinistra-l'Ulivo)!
PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto l'onorevole Pisa. Ne ha facoltà.
SILVANA PISA. Signor Presidente, nel presentare l'ordine del giorno Pinotti n. 9/4645/83, di cui sono cofirmataria, volto alla mera tutela delle condizioni di salute dei cittadini ed alla salvaguardia del territorio, abbiamo sfidato la maggioranza a dimostrare, qualora lo avesse accettato, di non legiferare solamente per la difesa degli interessi privati del Presidente del Consiglio.
Ma tale ordine del giorno - che rappresenta l'unica possibilità che avete consentito alla dialettica parlamentare, e già
ciò la dice lunga sulla «blindatura» che effettuate quando si tratta di difendere gli interessi familiari del padrone di Mediaset - non è stato accettato dal Governo e qualsiasi illusione dell'esistenza di un pur blando interesse generale nel presente decreto-legge è svanita.
In questa occasione, infatti, misuriamo la distanza siderale del Palazzo - di cui la maggioranza di destra è responsabile - dai problemi quotidiani dei cittadini, perché il presente decreto-legge non riveste un carattere né di urgenza, né di necessità.
Retequattro, passando sul satellite, non dovrebbe, per questo, chiudere ed i posti di lavoro non sarebbero, quindi, a rischio; anzi, altri soggetti ed altra concorrenza - tra virgolette - potrebbero rientrare in gioco. Ad esempio, potrebbe farlo Europa 7 che, finora, ha visto sequestrate le frequenze da Retequattro.
Ma le liberalizzazioni vanno bene a casa degli altri, non a casa propria! In quest'ultimo caso è più conveniente la concentrazione monopolistica anche perché, essendo la campagna elettorale alle porte, ogni rete deve essere arruolata al servizio del candidato europeo capolista che, poi, è sempre il Presidente del Consiglio, il quale ne userà fino in fondo per tentare di convincere che nel paese tutto va nel migliore dei modi per merito suo!
Già si prevede che, in previsione delle elezioni europee, lo stesso Presidente del Consiglio intenda introdurre quella che, stanotte, definivo l'impar condicio. Stamattina, nella trasmissione televisiva «Tv 7», il senatore di Forza Italia Malan sosteneva che agire nello spazio televisivo in misura proporzionale al numero dei voti - l'impar condicio, appunto - è prassi in molti paesi europei, ma ha dimenticato di aggiungere - peccato di omissione! - che, in quei paesi, non esiste la possibilità che il Capo del Governo sia proprietario di tre reti televisive, la famosa anomalia italiana che rappresenta una vergogna per il nostro paese.
Ed è singolare che questo Governo segua gli Stati Uniti in imprese sciagurate ed insensate, non condivise dal paese, come l'invio dei nostri soldati in Iraq, rendendosi responsabile dei rischi gravi a cui essi sono sottoposti, e non consideri che, per la democrazia americana, sarebbe impensabile che il Capo del Governo controllasse, di fatto, il 90 per cento dell'informazione televisiva!
Ma ormai è chiaro: la Casa delle libertà tutela solo le libertà del Presidente del Consiglio e del suo clan. I cittadini, che non sono solo pubblico di utenti o di consumatori, anche perché ci sono pochi soldi per consumare, questo l'hanno capito bene: da elettori, nel voto amministrativo dello scorso giugno, hanno dimostrato di pensarla diversamente e lo confermeranno nel giugno prossimo (Applausi dei deputati dei gruppi dei Democratici di sinistra-L'Ulivo e della Margherita, DL-L'Ulivo).
PRESIDENTE. La ringrazio, onorevole Pisa.
Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto l'onorevole Stramaccioni. Ne ha facoltà.
ALBERTO STRAMACCIONI. Signor Presidente, dal complesso degli ordini del giorno che abbiamo presentato, vorrei chiedere un voto favorevole in particolare su quelli che impegnano il Governo ad effettuare le necessarie verifiche volte ad accertare che i segnali televisivi in tecnica digitale siano classificabili di buona qualità.
Abbiamo chiesto e chiediamo queste verifiche poiché il disegno di legge di conversione del decreto-legge, sul quale ieri è stata posta la fiducia, decide di cambiare la definizione di reti a copertura nazionale, prevedendo che una rete venga definita tale se copre il 50 per cento della popolazione, ovvero il 20 per cento del territorio nazionale. Si introduce, in tal modo, una ben ardita innovazione nel concetto di rete nazionale, al solo scopo di salvare Retequattro, l'emittente del gruppo Mediaset del Presidente del Consiglio Berlusconi.
Per questa via non si arricchisce di certo il pluralismo televisivo, la cui mancanza rischia, ogni giorno di più, di compromettere i caratteri fondamentali del
nostro sistema politico e democratico. Questa è una preoccupazione, diffusa nel paese, che solo il centrodestra sembra non avvertire e che, peraltro, è confermata autorevolmente dalla Corte costituzionale e dal Presidente della Repubblica nel messaggio di rinvio alle Camere della stessa legge Gasparri.
Con il decreto-legge al nostro esame non si discute, quindi, di una norma che definisce, più o meno tecnicamente, i criteri distributivi o regolativi del sistema delle comunicazioni, quanto, piuttosto, di una questione di particolare valore democratico, che determina il rapporto tra pluralismo e concorrenza, così come, d'altronde, è stato ricordato dall'Autorità garante della concorrenza e del mercato.
Tale Autorità ha ricordato, soprattutto al centrodestra, come la tutela del pluralismo informativo sia un obiettivo irrinunciabile per il nostro ordinamento costituzionale. Un principio, quello del pluralismo informativo, da ribadire, quindi, con una precisa disciplina legislativa adatta innanzitutto ad arginare l'insorgere di posizioni dominanti nel settore che, come tutti sappiamo, ci sono e sono rappresentate dalle emittenti di proprietà del Presidente del Consiglio, all'origine di un perdurante e macroscopico conflitto di interessi.
Ancora una volta l'attenzione alle questioni del pluralismo, della concorrenza e della legislazione antitrust è venuta meno e queste tematiche sarebbero potute e dovute essere, invece, particolarmente care ad uno schieramento politico che si autodefinisce liberale.
Ma, purtroppo, ancora una volta, così non è stato, come così non è stato nelle precedenti «leggi vergogna», e gli interessi personali del premier hanno finito con il prevalere su quelli più generali dell'intero paese. Si è persa, quindi, un'altra occasione per un serio confronto democratico su una questione così rilevante.
L'ennesimo voto di fiducia di ieri ha fatto prevalere la logica del padre padrone della coalizione che, purtroppo, può ancora disporre, ma solo a voto palese, del consenso di più di cento parlamentari di uno schieramento diviso, in perenne polemica e verifica al suo interno, mentre i problemi economici e sociali del paese si aggravano e si colpisce l'autonomia e la credibilità delle istituzioni che, come le assemblee parlamentari, si vorrebbero silenti ed asservite. Anche per questo, dunque, per la dignità dei parlamentari e per il rispetto del principio democratico del pluralismo nel sistema informativo, chiediamo di votare a favore dei nostri ordini del giorno.
PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto l'onorevole Quartiani. Ne ha facoltà.
ERMINIO ANGELO QUARTIANI. Signor Presidente, l'ordine del giorno che sostengo con questa dichiarazione di voto è fondato sul convincimento che il decreto-legge del Governo, il cui obiettivo sarebbe quello di far cessare il regime transitorio negli assetti proprietari nel mercato televisivo in regime di duopolio televisivo, in realtà prolunghi nel tempo la transizione infinita del sistema televisivo nazionale nelle condizioni di blocco chiuso che lo caratterizza, in spregio ad ogni regola antitrust.
Con questo decreto non cambierà nulla. In particolare, non verrà applicata la sentenza della Corte costituzionale per cui Retequattro, dal 31 dicembre dello scorso anno, sarebbe dovuta andare a trasmettere via satellite, risolvendo, in tal modo, una stortura evidente del mercato televisivo e del pluralismo dell'informazione, ossia garantendo parità di accesso, apertura del mercato televisivo.
Il decreto è il modo in cui il Governo risponde alle osservazioni del Presidente della Repubblica e lo fa commettendo un grave errore nel merito, ma l'errore si trasforma in grave lesione della democrazia, in quanto, su questo decreto, è gravata la posizione del voto di fiducia, un affronto al Parlamento al quale è stata sottratta la voce e negato il potere di discutere nel merito di un passaggio tanto importante e delicato per il nostro sistema dell'informazione e per la nostra democrazia.
Dato che l'informazione e il grado del suo pluralismo, della sua democraticità, della disponibilità di accesso è un tratto fondamentale di tutte le democrazie occidentali, a noi del centrosinistra, a noi dell'Ulivo, compete, dunque, in queste ore, di esplicitare con nettezza, di rendere chiaro che il comportamento del Governo produce meno pluralismo nell'informazione televisiva, venendo meno alle osservazioni contenute nel testo del rinvio alle Camere della legge Gasparri da parte del Presidente della Repubblica, anzi, stravolgendole anche rispetto alle precise ingiunzioni della Corte costituzionale.
Tutti sappiamo che la legge Gasparri, rinviata dal Presidente Ciampi, stravolgeva l'attuazione della sentenza della Corte tramite l'introduzione di norme «salva Retequattro» tendenti a produrre un volume superiore di affari del polo Mediaset e del sistema duopolistico televisivo nazionale nel campo delle pubblicità.
Quali erano a queste norme? Erano quelle che hanno precostituito il paravento del digitale e quelle del cosiddetto Sic. Anche il decreto si rifà al digitale, al punto che ha affidato all'Autorità la verifica che la tecnica di trasmissione sia diffusa almeno nel 50 per cento della popolazione; dopodiché Retequattro sarà salva; intanto continua a trasmettere. È chiaro che siamo di fronte ad una forzatura, ad uno strappo, che incide pesantemente, compromettendo la bontà del circuito radiotelevisivo nazionale. Peraltro, il 50 per cento della copertura si riferisce ad una media nazionale, è una potenzialità, perché non fa riferimento giocoforza nemmeno al 50 per cento di diffusione dei decoder adatti alla ricezione del segnale. È solo disponibilità di segnale, dunque, solo costi per la televisione pubblica e guadagni per l'altra polarità televisiva privata. È dunque una norma questa di cui discutiamo che esclude la gran parte dei territori e dei cittadini che abitano nel nostro paese, quelli delle isole minori, quelli che vivono in montagna, quelli che abitano nelle realtà e nei luoghi meno accessibili, nei comuni distanti dalle grandi conurbazioni, che sono la gran parte dei comuni italiani. Dunque, è tutto il contrario di una norma che garantisca libertà. Il decreto, anzi, produce diseguaglianza, ingiustizia, disparità di trattamento dei cittadini di fronte alla possibilità di fruire di un servizio informativo che abbia valore pubblico e generale, producendo anche disparità di trattamento tra i diversi attori nel mercato.
PRESIDENTE. Onorevole, la prego di concludere.
ERMINIO ANGELO QUARTIANI. Mi lasci concludere, signor Presidente. Come facciamo anche con i nostri emendamenti, cerchiamo di intervenire e di bloccare questa deriva, proponendo una nuova norma rivolta alla totalità degli utenti, senza discriminazioni di territorio, di collocazione geografica o, peggio ancora, di condizioni economiche dei singoli e delle famiglie. Non così fa la Casa della libertà che ormai da tempo, ma da oggi ancora di più, agli occhi dell'opinione pubblica appare non più riferibile alle libertà, ma sempre più casa di proprietà del Presidente del Consiglio e dei suoi interessi economici e patrimoniali, in contrasto con gli interessi generali del paese e della nazione (Applausi dei deputati del gruppo dei Democratici di sinistra-L'Ulivo).
PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto l'onorevole Nicola Rossi. Ne ha facoltà.
NICOLA ROSSI. Signor Presidente, sono molto lieto di poter riprendere oggi il filo del ragionamento interrotto ieri. Ieri parlavamo delle conseguenze di questo decreto e questa mattina vorrei in particolare soffermarmi sulle conseguenze dal punto di vista delle regole del mercato. Con questo decreto sostanzialmente noi produciamo alcune conseguenze credo particolarmente sfavorevoli. Esistono, allo stato attuale, dei concorrenti di alcune reti televisive che vantano da tempo diritti sanciti anche dalla magistratura e aspettano di poter entrare nel mercato televisivo. Naturalmente questo non è possibile
finché continuiamo a prorogare un regime transitorio, che sembra durare all'infinito, con decreti come quello che abbiamo davanti. La questione non riguarda solo una rete in particolare, ma anche tutta la congerie di televisioni locali che amerebbero avere uno spazio, che viene loro negato. Quindi, la prima conseguenza di questo decreto è che si tengono fuori i concorrenti dal mercato. Ce n'è tuttavia una seconda. Credo che con questo decreto si impedisca al mercato degli assetti proprietari di lavorare come sarebbe opportuno. Qui è interessante la relazione che corre tra il caso che abbiamo di fronte, in particolare il caso Mediaset, che riguarda le reti Mediaset, e il caso Parmalat. Ci sono delle somiglianze che, a prima vista, appaiono abbastanza sorprendenti, ma che naturalmente non vanno assolutamente sopravvalutate. Faccio un esempio. Nel caso Parmalat sono acclarati alcuni problemi relativi alla compilazione delle scritture contabili, nel caso Mediaset in passato c'è stato il sospetto che problemi simili potessero essere intervenuti, così come tanto in un caso quanto nell'altro vi è un'attività calcistica parallela che in un caso e nell'altro ha dato adito a dei sospetti.
Naturalmente, questo parallelo non va assolutamente né ingigantito né preso sul serio. Qui il punto è un altro: Mediaset è certamente un'azienda molto florida, diversamente da quanto apprendiamo per Parmalat. Allora, la domanda che dobbiamo porci è la seguente: perché mai, essendo un'azienda florida, il Presidente non ha provveduto a fare ciò che sarebbe stato del tutto ovvio, ossia cedere la rete, in particolare Retequattro, metterla sul mercato e liberarsene? Ciò non solo per permettere al mercato di funzionare come dovrebbe, ma anche e soprattutto per liberare la politica ed il Parlamento, con un gesto di straordinaria eleganza istituzionale, dalla fastidiosa incombenza di dover discutere, a scadenze regolari, provvedimenti come quello in esame.
Vi è poi un terzo elemento che riguarda le regole del mercato. Con questo decreto-legge è evidente che si adottano due pesi e due misure. Infatti, ad una pronuncia della magistratura, si risponde con un decreto-legge per consentire che determinate situazioni vengano poste in salvo.
Ebbene, al riguardo, potrei portare un esempio veramente molto concreto concernente un caso che si sta verificando in questi giorni in Puglia. Una pronuncia della magistratura, assolutamente rispettabile e, presumibilmente, molto fondata, ha stabilito che le concessioni per le attività estrattive in alcune zone particolarmente pregevoli dal punto di vista ambientale della Puglia vengano annullate addirittura con effetto per il passato: ciò significa mettere in ginocchio l'intera attività estrattiva pugliese.
Allora, mi domando cosa possano mai pensare i piccoli e medi imprenditori del settore estrattivo e delle cave pugliesi quando osservano la clamorosa discrepanza fra quanto accade nel caso delle aziende del Presidente del Consiglio e quanto avviene, invece, nel caso che li riguarda più da vicino.
Quindi, dal punto di vista delle regole del mercato - concludo, signor Presidente - il decreto-legge non potrebbe essere peggiore e, in buona sostanza, si comprende il motivo per cui è stata posta la questione di fiducia. Esso, infatti, sintetizza il programma della Casa delle libertà: l'attenzione ad interessi non collettivi, l'interferenza con le regole di mercato, il trattamento diseguale di situazioni uguali. Se vi fosse stato un provvedimento su cui porre la questione di fiducia per questo Governo, sarebbe stato certamente questo.
PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto l'onorevole Battaglia. Ne ha facoltà.
AUGUSTO BATTAGLIA. Signor Presidente, già ieri molti di noi si chiedevano quale fosse la ragione per cui il Governo attribuisse tanta urgenza a questo tipo di provvedimento, un provvedimento che ha come tema gli interessi del Presidente del Consiglio, e come mai il Governo non prestasse adeguata ed analoga attenzione e
non trovasse le ragioni per dichiarare la massima urgenza con riferimento ad una serie di questioni che, invece, riguardano gli italiani.
Già ieri facevo riferimento (non ho potuto concludere il mio intervento per ragioni di tempo) a ciò che sta accadendo in questi giorni a tanti pensionati. Questi ultimi si vedono recapitare dall'INPS e dall'INPDAP cartelle in cui vi è il prospetto di quanto hanno percepito a titolo di pensione nel corso del 2003 e quanto riceveranno nel corso del 2004. Confrontando le cifre, moltissimi pensionati hanno riscontrato che nel 2004 percepiranno somme inferiori a quelle percepite nel 2003. Convinti che si tratti di un errore dell'INPS o dell'INPDAP, si sono recati agli sportelli degli enti previdenziali per chiedere spiegazioni e correggere l'errore; i funzionari dell'INPS e dell'IPDAP, prendendo in mano le cartelle e scorrendo il prospetto, hanno spiegato loro che sono aumentate le tasse su tali trattamenti pensionistici e che le stesse sono talmente elevate da riassorbire non solo il 2,5 per cento in più riconosciuto per l'aumento del costo della vita, ma anche che erodere una parte della pensione del 2003. Questi pensionati hanno constatato amaramente che, a fronte di un aumento dei prezzi (che per i beni fondamentali raggiunge il 6, 7, 8, 9 per cento), nel 2004 riceveranno una pensione inferiore rispetto a quella del 2003 e, quindi, saranno indubbiamente più poveri.
Mi meraviglio che, a fronte di un fenomeno così preoccupante e grave, partiti come Alleanza Nazionale presenti in Parlamento - primi firmatari esponenti di spicco dello stesso partito - proposte di legge nelle quali «agganciano» la pensione alle ultime retribuzioni, in palese contrasto con quanto lo stesso partito vota nell'ambito del Governo per quanto riguarda la riforma delle pensioni, che va in tutt'altra direzione.
Partiti come Alleanza Nazionale, che fa delle pensioni un suo terreno di impegno, ignorano questi fenomeni e non hanno la sensibilità, considerate le responsabilità di Governo in capo al Vicepresidente del Consiglio Fini e a ministri importanti, di porre all'attenzione dell'esecutivo il problema di migliaia e migliaia di pensionati che si sono visti «tagliare» le pensioni dal ministro Tremonti. Stupisce che tale partito si impegni invece con grande alacrità e fervore per l'adozione di un provvedimento che non risponde alle esigenze dei cittadini italiani, che hanno a cuore altri problemi, ma palesemente a quelle della famiglia del Presidente del Consiglio, la quale, in palese contrasto con leggi e sentenze della Corte costituzionale, pretende di portare avanti un assetto illegale del sistema radiotelevisivo. Ciò che è grave è che da tali questioni, come quella dei pensionati che segnalavo, il sistema televisivo sia distante.
Concludendo, noi non troviamo nell'ambito dei grandi talk show e delle trasmissioni più seguite alcun riferimento alle questioni che ho richiamato. La televisione tende a dare del paese un'immagine falsata, tutto intento a rispondere a telequiz nei quali si possono vincere ingenti somme; noi sappiamo che non è quella la vera immagine del paese. La vera immagine del paese è quella di migliaia e migliaia di pensionati che non ce la fanno ad arrivare alla fine del mese! La vera immagine del paese è quella di tante famiglie che si stanno impoverendo e che non trovano ascolto da parte del Governo, né vedono assumere provvedimenti seri e decisi che possano in qualche modo risolvere o alleviare la loro situazione di grave difficoltà (Applausi dei deputati del gruppo dei Democratici di sinistra-l'Ulivo)!
PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto l'onorevole Carli. Ne ha facoltà.
CARLO CARLI. Signor Presidente, onorevoli colleghi, sono passate poche ore dal mio ultimo intervento e quanto sostenuto da me e da altri colleghi intervenuti prima di me circa l'esistenza di un insostenibile conflitto di interessi da parte del Presidente del Consiglio dei ministri ha avuto una conferma totale. Dalla lettura dei quotidiani di stamattina si può apprendere
che il voto di fiducia sul decreto-legge che salva Retequattro ha fatto guadagnare tre punti percentuali alle aziende Mediaset, con un guadagno stimato all'incirca in 163 milioni di euro.
Mi sembra che la notizia non abbia bisogno di alcun commento: in questa Assemblea si è votato, anzi voi della maggioranza avete votato, un decreto-legge che non soltanto lede i principi costituzionali del pluralismo e della pluralità dell'informazione, ma non tiene conto delle sentenze della Corte costituzionale e dei ripetuti i messaggi inviati dal Presidente della Repubblica, tutelando soprattutto gli interessi personali del Presidente del Consiglio, padre padrone di questa maggioranza.
Se questo non bastasse, le affermazione del Presidente del Consiglio dimostrano il pieno disprezzo per le istituzioni democratiche e costituzionali del nostro paese. Il diritto di dissentire e il diritto di manifestare le proprie libere opinioni - diritti che a voi colleghi della maggioranza sono negati dal vostro padre padrone e che dovrebbero essere garantiti in questo Parlamento -, vengono ridotti dal Presidente del Consiglio ad inutili lungaggini parlamentari.
Se lo scopo era quello di denigrare il ruolo dell'opposizione e dell'istituzione parlamentare, Berlusconi ci è riuscito; se pensava in questo modo di zittire la nostra voce, sappia invece che ha sollevato il nostro sdegno ed ottenuto il risultato opposto.
Non è la prima volta che il Governo svilisce il ruolo del Parlamento. Non è la prima volta che con la richiesta di fiducia avete cercato di mascherare le vostre divisioni interne. Siete allo sbando! Il Presidente del Consiglio si sente mancare il terreno sotto i piedi e cerca di mettere a posto i suoi affari personali.
Coloro che combatterono per la libertà sessant'anni fa ci permettono oggi di esercitare il diritto al dissenso, garantito nelle istituzioni democratiche e repubblicane nate dalla Resistenza e dalla guerra di liberazione dal nazifascismo. Noi veniamo da questa tradizione alta e democratica, che è dalla parte del pluralismo e non ha paura delle voci fuori dal coro. Voi fate leggi ad personam, salvate gli interessi del Presidente del Consiglio ed epurate le voci fuori dal coro. Come dimenticare l'esclusione dalle reti pubbliche di giornalisti come Michele Santoro ed Enzo Biagi che conducevano trasmissioni di successo che erano una ricchezza per la RAI? Anche in quel caso vi furono due risultati in un solo colpo: da una parte, si eliminavano due professionisti che avevano anche il coraggio di criticare le scelte del Governo; dall'altra, si favorivano gli indici di ascolto dalle reti private dal Presidente del Consiglio.
Sembra proprio che ad una cultura della legalità si stia sostituendo una cultura dell'illegalità. Lo dimostrano le leggi per evitare i processi al premier ed ai suoi amici, i processi non fatti dalla magistratura ma alla magistratura, i decreti a favore delle televisioni del premier, le leggi per affossare la scuola pubblica, i condoni per premiare chi non ha pagato le tasse. Non stupisce, dunque, che dal premier arrivi l'invito ad evadere le tasse se il cittadino le giudica troppo alte. Tanto, vi sarà presto un condono! A tale visione si dà una giustificazione morale sinceramente inaccettabile da chiunque, tanto più se arriva dal Capo del Governo.
Nei giorni scorsi il Presidente del Consiglio ha tracciato anche il bilancio di un paese in salute, quando l'economia stenta ed i salari non crescono al ritmo dei prezzi. Forse, il Presidente del Consiglio aveva in mente il beneficio personale che avrebbe ricevuto dal decreto-legge che salva Retequattro a dispetto delle sentenze della Corte costituzionale e delle parole del Presidente della Repubblica.
Siamo in campagna elettorale. Ebbene, questa volta gli italiani non ci cascheranno. Non permetteremo che la nostra voce sia soffocata. Non permettiamo che il dibattito parlamentare sia ridotto ad una lungaggine burocratica da sopportare (Applausi dei deputati del gruppo dei Democratici di sinistra-L'Ulivo)!
PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto l'onorevole Raffaella Mariani. Ne ha facoltà.
RAFFAELLA MARIANI. Signor Presidente, è vero, gli affari sono affari! Mai come in questo caso, la conversione in legge del decreto-legge «salva Retequattro», la frase è sacrosanta. Tutto il resto sono dettagli. Con un po' di frasi fatte, il controllo dei mezzi di informazione, qualche argomento pretestuosamente sollevato in queste ore dalla maggioranza, si è convinti che, anche questa volta, il paese non capirà, si dimenticherà, ridurrà la questione al consueto scontro maggioranza-opposizione. Non è così, non è più così!
Oggi all'esterno vi è attenzione a cose molto più concrete, ma anche all'azione del Governo, che non riesce ad innescare la marcia per lo sviluppo e la crescita del paese, non riesce a garantire più nulla se non condoni, instabilità, insicurezza, caos. Oggi le promesse e gli slogan si offrono in termini di allentamento delle regole, di destrutturazione di un sistema che, pur se con difetti, garantisce equità.
Tuttavia - ripeto -, tutti hanno compreso che qui non ce n'è per nessuno. Sono solo pochi coloro che approfittano - e quanto è vero, in questo caso! - dell'azione del Governo Berlusconi. D'altronde, è di poche ore fa la licenza ad evadere concessa dal Presidente del Consiglio, che considera moralmente comprensibile che si rinunci al peso della tassazione. Cosa resterà di tutto questo disfattismo? Macerie. Temiamo per il nostro paese.
Quali coerenti risposte è possibile che diano gli altri eminenti ministri appartenenti alla vostra maggioranza? Cosa possiamo dire a tutti coloro che si appellano ai loro rappresentanti per vedere tutelate le loro prerogative? Conosciamo il ritornello, ormai, e lo conoscono anche gli elettori.
Vedete, dopo la terza legge finanziaria le scuse non reggono più. L'ordine del giorno Paola Mariani n. 9/4645/76, di cui sono cofirmataria, impegna il Governo a favorire la razionalizzazione della diffusione degli impianti sul territorio, nell'interesse prioritario della salvaguardia della salute della popolazione e della tutela del paesaggio. Anche su tale tema è forte l'interesse dei cittadini, che si organizzano e tutelano i loro diritti attraverso la costituzione di comitati ed il coinvolgimento di enti locali. Siete riusciti a creare disordine anche sulla regolamentazione di tale sistema che tanto sta a cuore ai nostri concittadini.
Sin dal decreto ministeriale n. 381 del 1998 furono fissati - dal Governo di centrosinistra - limiti di esposizione più bassi di tutta Europa, ma poi, con legge n. 36 del 2001 sull'inquinamento elettromagnetico e successivamente con il decreto Gasparri, in attuazione della legge obiettivo, si è rimessa in discussione tutta la pianificazione nazionale, sottraendo ai comuni e alle regioni la titolarità. Ha poi provveduto la Corte costituzionale, ormai come di consueto, a bloccare tale provvedimento che, ormai è noto, aveva ben altri risvolti e rispondeva ad interessi ben più concreti di quello aleatorio della salute dei cittadini.
La sentenza della Corte costituzionale n. 307 del 2003 ripartisce le competenze tra Governo centrale, che si occupa della salute dei cittadini, ed enti locali e regioni, per il profilo urbanistico; ma è singolare che proprio la Corte debba riconoscere (e ciò accade sempre più spesso) il ruolo degli enti locali e delle regioni. Altro che federalismo! Altro che devoluzione! Tutto ciò conferma che nessuno, fra le forze politiche della maggioranza, ha altro interesse che non quello di assecondare i voleri e gli interessi del capo, anche quando ciò significa rinnegare battaglie, slogan, principi. Altro che innovazione tecnologica e modernizzazione del paese! Ci si riduce a questo: i fondi stanziati in finanziaria per i decoder, di cui si parla nel decreto al nostro esame, sono maggiori dei fondi stanziati per l'innovazione tecnologica. Questo spieghiamolo alle imprese, ai nostri ricercatori, alle università. E tutto il nostro orgoglio, tutta la nostra creatività, tutta la nostra capacità di far marciare questo paese ad una velocità superiore?
Crediamo che questo sia ormai, veramente, un atteggiamento che gli elettori potranno valutare serenamente, nonostante sia sempre più limitata la possibilità di discuterne sui mezzi di informazione. E i prossimi appuntamenti elettorali ci permetteranno di verificare fino in fondo fino a che punto gli elettori lo hanno compreso, anche se noi siamo sicuri che essi lo abbiano compreso perfettamente (Applausi dei deputati dei gruppi dei Democratici di sinistra-L'Ulivo e della Margherita, DL-L'Ulivo).
PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto l'onorevole Bellini. Ne ha facoltà.
GIOVANNI BELLINI. Signor Presidente, onorevoli colleghe e colleghi, ho saputo pochi minuti fa che il Governo non ha accettato il mio ordine del giorno n. 9/4645/42. Francamente, ritengo che questo comportamento del Governo vada assolutamente denunciato, perché è incredibile che il Governo non accetti un ordine del giorno che intende porre un rimedio, seppur parziale, ad una grave lacuna esistente all'interno del decreto al nostro esame: il problema di come si possano aiutare i telespettatori italiani a ricevere il nuovo segnale digitale terrestre. È incredibile che il Governo dica «no» su un tema così importante, perché l'estensione del segnale del digitale terrestre è un elemento fondamentale per determinare il pluralismo dell'informazione nel nostro paese. È ancora più grave che il Governo dica «no» all'idea che si debba poi accompagnare l'estensione del digitale terrestre ad un'effettiva verifica da parte dell'Autorità. In fondo (guardando anche i resoconti delle sedute delle Commissioni di merito), questo era lo stesso suggerimento che veniva dall'Autorità, che aveva avanzato queste stesse proposte nell'audizione svoltasi nel settembre del 2003. L'Autorità ha infatti affermato che è effettivamente fondamentale che si determini un controllo della qualità del segnale e della sua estensione, proprio sulla base con cui calcolare quel 20 per cento dei canali irradiati, perché è l'effettiva ricezione da parte degli utenti del segnale televisivo digitale l'elemento di fondo che qualifica la riforma tecnologica che andiamo ad operare e non la mera copertura, come invece voi vi ostinate a dire nel decreto-legge al nostro esame.
La mera copertura, infatti, non rappresenterà mai la verità, così come non corrisponderà a verità il fatto che voi, con il decreto-legge in esame, vogliate conseguire altri interessi: non si tratta, infatti, solo di perseguire l'interesse dell'ammodernamento del sistema informativo nel nostro paese, ma di coprire quello del Presidente del Consiglio.
Il Presidente del Consiglio, con il provvedimento in esame, che molti hanno definito «salva Retequattro», in realtà salva la proprietà, soprattutto le frequenze su cui trasmette Retequattro, che spettano ad altri. È una rete che ha vinto una concessione, ma non può iniziare a trasmettere. Questa è la verità! Il fatto che voi salviate gli interessi del Presidente del Consiglio significa (qualcuno ha fatto conti precisi) che lo stesso guadagnerà, in seguito a questo decreto-legge, 163 milioni di euro. Ieri, quando avete posto ed ottenuto il voto di fiducia, i titoli di Mediaset in borsa sono aumentati del 3 per cento.
Siamo costretti a ricorrere alla pratica dell'ostruzionismo per la difesa del pluralismo dell'informazione, contro la manipolazione della stessa, anche quella politica che si svolge in questa sede (si dice, per esempio, che non vi è inflazione, mentre tutti si accorgono che non è possibile comprare le stesse cose di un anno fa agli stessi prezzi, perché sono aumentati del 20, del 30 o del 50 per cento), e quella manipolazione incredibile sulla base della quale avete affermato, sia in campagna elettorale sia successivamente, che il vostro intento ed operato era quello di ridurre le tasse.
In realtà, a fronte della promessa di riduzione delle tasse, vi è stata ieri la dichiarazione del Presidente del Consiglio di non pagare le tasse! È questa l'ultima trovata del Presidente Berlusconi: pagare meno tasse! Anzi, è moralmente giustificato
evaderle! È incredibile che dal Governo provenga un segnale di tal genere, che si pone contro le istituzioni e le denigra.
È un segnale bruttissimo, perché proviene da chi dovrebbe dare il buon esempio e approvare buone leggi, facendole rispettare, mentre invece opera solo ed esclusivamente nell'obiettivo - sempre lo stesso - di aggirare le regole, a vantaggio di pochi.
Questo è il motivo per cui riteniamo sbagliata la politica del Governo ed un errore questo decreto-legge. La nostra opposizione, il nostro ostruzionismo si pone a vantaggio della democrazia nel nostro paese (Applausi dei deputati del gruppo dei Democratici di sinistra-L'Ulivo)!
PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto l'onorevole Nigra. Ne ha facoltà.
ALBERTO NIGRA. Signor Presidente, onorevoli colleghi, il Presidente della Repubblica, come noto, non ha controfirmato il provvedimento sul riassetto del sistema televisivo.
Il decreto-legge in discussione, sul quale ieri è stata posta la questione di fiducia, era stato immaginato come un decreto-ponte, ma rischia, alla luce di quanto avvenuto proprio in quest'aula poche settimane fa, di essere un provvedimento di lunga durata.
Il messaggio del Presidente della Repubblica, come noto, si concentrava sui punti salienti del provvedimento di riassetto del sistema televisivo, laddove lamentava che il medesimo non rispettava la sentenza della Corte costituzionale n. 826 del 1998, che poneva come imperativo la necessità di garantire il massimo di pluralismo esterno onde soddisfare, attraverso la pluralità di voci concorrenti, il diritto del cittadino all'informazione.
Nel messaggio del Presidente della Repubblica era stabilito che, nell'ambito dei principi fissati dalla richiamata giurisprudenza della Corte costituzionale, si è mosso il messaggio inviato alle Camere il 23 luglio 2002, per quanto riguarda - cito testualmente - la concentrazione dei mezzi finanziari, il Sistema integrato delle comunicazioni, assunto dalla legge in esame come base di riferimento per il calcolo dei ricavi dei singoli operatori di comunicazione che potrebbe consentire, a causa della sua dimensione, a chi detenga il 20 per cento, di disporre di strumenti di comunicazione, in misura tale da dar luogo alla formazione di posizioni dominanti.
Il richiamo del Presidente della Repubblica si è concentrato anche sulla raccolta pubblicitaria, sempre facendo riferimento alla sentenza della Corte costituzionale n. 231 del 1985.
Definire la legge Gasparri una «legge gattopardo», come è stato fatto da numerosi giornali nei giorni scorsi, non è sicuramente un'affermazione azzardata. Ciò in quanto il disegno di legge di conversione del presente decreto-legge si muove su due fronti: da un lato, esso stabilisce una soglia del 20 per cento per quanto riguarda le autorizzazioni per la diffusione di programmi televisivi (soglia da applicare nell'attuazione del piano di assegnazione delle frequenze televisive), che si basa sul passaggio dalla tecnica analogica a quella digitale e, dall'altro, pone uno sbarramento del 20 per cento sulla raccolta pubblicitaria, ma definendo in maniera molto evasiva, generica ed imprecisa lo strumento attraverso il quale questa percentuale dovrebbe essere individuata.
Quindi, sostanzialmente, non vengono meno i vincoli, sia di legge sia di fatto, che impediscono che il disegno di legge accantonato - non a caso anche con il voto di una parte consistente della maggioranza di questa Camera - non sia rispettato. Mi riferisco ai vincoli sul numero dei canali televisivi che, certo, potranno fruire dell'estensione al digitale, ma senza che ciò possa significare in tempi brevi l'accesso ad un vero e proprio pluralismo, nonché ai vincoli sul fatturato, laddove con il SIC si rischia di ottenere una situazione formalmente corretta, ma sostanzialmente scorretta. E da ciò derivano, tra l'altro, anche le forti critiche rivolte dal mondo dell'editoria.
I dati sono noti: RAI e Mediaset hanno raccolto nel 2001, ad esempio, il 90,7 per cento degli ascolti, raccogliendo la maggior parte del mercato pubblicitario e sottraendone gran parte non solo a qualunque altra emittente televisiva, ma anche alla carta stampata (unico caso in Europa).
Tra l'altro - come è stato già affermato - l'introduzione del digitale costituisce sicuramente un fatto tecnologicamente importante, tuttavia i tempi e la transizione con i quali esso potrà divenire uno strumento di massa sono lunghi. Dunque, transizione lunga e rischi elevati sono due termini sui quali occorrerebbe ragionare.
Per questa ragione, i nostri ordini del giorno - l'unico strumento disponibile dopo la posizione della questione di fiducia - cercavano di migliorare questo provvedimento, cosa che invece non è stata resa possibile dall'atteggiamento e dalla prepotenza parlamentare di questo Governo (Applausi dei deputati del gruppo dei Democratici di sinistra-L'Ulivo).
PIERO RUZZANTE. Chiedo di parlare sull'ordine dei lavori.
PRESIDENTE. Ne ha facoltà.
PIERO RUZZANTE. Signor Presidente, le pongo solo una questione relativa all'interpretazione dell'articolo 30 del nostro regolamento, nel quale si prevede che non possano essere convocate le Commissioni parlamentari finché la seduta dell'Assemblea è in corso. Siccome mi è stato segnalato che vi sono state alcune convocazioni, chiedo al Presidente di sconvocare tutte le Commissioni in quanto, da un momento all'altro, si potrebbe passare al voto.
PRESIDENTE. Onorevole Ruzzante, innanzitutto gli uffici procederanno ad una verifica e, in secondo luogo, le faccio rilevare che, secondo una prassi costante, in mancanza di votazioni in Assemblea le Commissioni restano convocate.
PIERO RUZZANTE. Presidente, non sappiamo a che ora si vota, si potrebbe cominciare in qualsiasi momento!
PRESIDENTE. Mi comunicano in questo momento che tutte le Commissioni sono state sconvocate.
Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto l'onorevole Vigni. Ne ha facoltà.
FABRIZIO VIGNI. Signor Presidente, dispiace - anzi, appare francamente incomprensibile - che il Governo non abbia accettato il mio ordine del giorno n. 9/4645/29.
Infatti, attraverso il voto di fiducia, non solo l'esecutivo ha impedito di discutere e perfino votare un solo emendamento, ma adesso respinge anche ordini del giorno - come quello di cui sono firmatario - ispirati al buonsenso.
Il decreto-legge che la Camera sta esaminando (emanato a seguito del messaggio presidenziale di rinvio al Parlamento della legge di riforma del sistema radiotelevisivo e della concomitante scadenza del termine indicato nella sentenza della Corte costituzionale per porre fine all'intollerabile situazione di concentrazione delle frequenze radiotelevisive e di limitazione del pluralismo nell'informazione), prevede anche una procedura volta a verificare se le opportunità offerte dalle nuove tecnologie digitali possano consentire la coesistenza di un maggior numero di operatori nazionali.
Ebbene, se è vero che nel nuovo sistema di trasmissione radiotelevisiva, offerto dalle nuove tecnologie digitali, si rende possibile un programma di razionalizzazione della presenza degli impianti di telecomunicazione nel territorio consentendo anche una migliore tutela dell'ambiente e dei possibili rischi per la salute della popolazione, non si capisce perché il Governo non abbia accettato il mio ordine del giorno n. 9/4645/29, che impegna il Governo a favorire e sostenere iniziative di razionalizzazione della collocazione degli impianti di telecomunicazioni nel territorio.
A questo proposito, desidero ricordare che l'attuale Governo ha già prodotto alcuni danni, tenuto conto che aveva ricevuto in eredità dal precedente esecutivo gli strumenti per governare e risolvere il
problema della localizzazione di tali impianti nel territorio in maniera rispettosa dell'ambiente e della salute dei cittadini e in modo da garantire, al tempo stesso, l'efficacia del servizio e l'efficienza della rete di telecomunicazione. Faccio riferimento sia alla legge n. 36 del 2001 (la legge quadro sulla protezione dalle esposizioni a campi elettrici, magnetici ed elettromagnetici), il cui articolo 8 assegnava alle regioni ed ai comuni competenza in materia di pianificazione, localizzazione e autorizzazione degli impianti, sia al decreto ministeriale n. 381 del 1998, che fissava limiti di esposizione e valori di attenzione tra i più cautelativi a livello europeo ed internazionale, ma capaci di consentire la realizzazione sull'intero territorio nazionale delle reti di telecomunicazioni.
Cosa è successo dopo? È successo che il Governo, anziché applicare coerentemente questi strumenti legislativi, li ha rimessi in discussione; in particolare, con la legge Gasparri, che aveva soppresso i poteri delle regioni e degli enti locali sulla base di una logica di deregulation che avrebbe riportato ad un far west delle antenne e, preso da un eccesso di zelo, evidentemente per compiacere i gestori del settore, ha finito per creare danni agli stessi gestori, provocando una situazione di accesa conflittualità con gli enti locali e con i cittadini. Per fortuna, è intervenuta poi la sentenza della Corte costituzionale che ha bocciato per eccesso di delega la legge Gasparri ed ha ripristinato una corretta situazione in ordine alle competenze delle regioni e degli enti locali.
In ragione di questi fatti, non si capisce perché oggi il Governo dica «no» al mio ordine del giorno che, ripeto, ha come obiettivo quello di utilizzare le nuove tecnologie in un modo da consentire l'installazione degli impianti di telecomunicazione nel territorio in modo rispettoso per l'ambiente e per la salute dei cittadini (Applausi dei deputati del gruppo dei Democratici di sinistra-L'Ulivo).
PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto l'onorevole Sciacca. Ne ha facoltà.
ROBERTO SCIACCA. Signor Presidente, insieme alla collega Abbondanzieri ho presentato l'ordine del giorno n. 9/4645/38, con il quale si impegna il Governo ad effettuare, per quanto di sua competenza - avvalendosi delle strutture ministeriali preposte -, le necessarie verifiche ed ispezioni volte ad accertare che i segnali televisivi irradiati in tecnica digitale siano classificabili di qualità buona, secondo la codificazione vigente, e a darne immediata e periodica informazione all'Autorità per le garanzie nelle comunicazioni e al Parlamento, con particolare riguardo alle aree della regione Friuli-Venezia Giulia.
Questo mio ordine del giorno si inserisce in un pacchetto di ordini del giorno che riguardano i più svariati argomenti relativamente al tema che stiamo affrontando; tali ordini del giorno non hanno soltanto natura ostruzionistica, ma concernono cose molto concrete e realizzabili che il Governo, nel momento in cui decide di porre la questione di fiducia, non vuole assolutamente prendere in considerazione.
D'altra parte, come è stato già ricordato, il provvedimento in esame riveste un significato particolare, addirittura vitale, per questa coalizione che è guidata da Silvio Berlusconi, proprietario di Retequattro, che non ha mai voluto risolvere il conflitto di interessi e, di conseguenza, potremmo dire coerentemente, svolge la funzione di governo guardando alla tutela degli interessi delle sue proprietà.
ROBERTO SCIACCA. Ciò che colpisce è che gli alleati di Berlusconi non si preoccupano di limitare questi atteggiamenti così platealmente legati agli interessi diretti del Presidente del Consiglio. Anzi, fanno quadrato e si presentano in aula a votare la fiducia in modo compatto, senza alcuna vergogna.
Nell'elettorato e fra i cittadini italiani, compresi quelli che hanno votato per il centrodestra, dal momento che tali atteggiamenti sono sempre più eclatanti e vergognosi, il consenso sta diminuendo - il Presidente del Consiglio lo sa bene, poiché è particolarmente attento ai sondaggi - e c'è una parte consistente dell'elettorato del centrodestra che oggi non voterebbe più per Silvio Berlusconi.
Il provvedimento in esame si inserisce in una sequela di iniziative del Governo che hanno riguardato fondamentalmente gli interessi del Presidente del Consiglio, per quanto concerne non soltanto il conflitto di interessi, ma anche i problemi di carattere giudiziario. Si tratta di questioni che andranno certamente verificate nelle aule dei tribunali, ma allo stato attuale non siamo nelle condizioni di poter giudicare il Presidente del Consiglio perché si dichiara che il Presidente del Consiglio non può essere giudicato. Nel contempo, questo Governo impegna le proprie energie per continuare a tutelare i propri interessi.
Alcuni colleghi hanno già posto in evidenza come, sulla base di calcoli eseguiti non da noi ma da esperti, il decreto-legge in esame non solo tuteli gli interessi di Retequattro, che è di proprietà del Presidente del Consiglio, ma aumenti anche il valore delle azioni e il volume d'affari. Come abbiamo ribadito in numerose occasioni, occorre separare la politica dagli affari. Abbiamo assunto la scelta dell'ostruzionismo - anche nel corso della notte, si tratta di una scelta difficile e faticosa da portare avanti - in quanto riteniamo sia opportuno per il bene del paese mettere in evidenza, rimarcare e sottolineare che questo Governo è un Governo che ha fallito sul piano dell'economia...
PRESIDENTE. La ringrazio, onorevole Sciacca.
Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto l'onorevole Bettini. Ne ha facoltà.
GOFFREDO MARIA BETTINI. Signor Presidente, onorevoli colleghi, il mio ordine del giorno n. 9/4645/44 chiede una verifica della qualità del segnale in tecnica digitale. Tuttavia, la premessa dell'ordine del giorno ribadisce la contrarietà al decreto «salva Retequattro» in esame. Tale netta contrarietà, espressa da tutta l'opposizione, deriva dal fatto che, a nostro avviso, il decreto costituisce l'ultima grande prepotenza portata avanti da un Governo che, in questa fase, mi pare alquanto disperato.
Il Governo non ha voluto ascoltare il richiamo altissimo del Presidente della Repubblica sulle esigenze di un effettivo pluralismo nel campo dell'informazione. Ha proposto una legge brutta e di parte, come la cosiddetta legge Gasparri. Per via della opposizione che è cresciuta anche al suo interno, ha dovuto rinviare in Commissione questa brutta legge volta a proteggere gli interessi del premier. In mancanza, ha dovuto imporre un decreto legge che ha il solo scopo di salvare un'impresa di proprietà dello stesso Primo ministro e, infine, per paura di un nuovo dissenso nella maggioranza, sta imponendo con la posizione della questione di fiducia la conversione in legge di questo stesso decreto.
Questo è davvero troppo, cari colleghi, questa è una brutta storia. È esagerata anche per chi istiga il popolo - come ha fatto il Presidente del Consiglio, a mio avviso, in queste ore - a non rispettare le leggi per potere più agevolmente non rispettarle egli stesso. Questa condotta così dissennata sta logorando anche la fiducia e il consenso delle vostre file. La stanchezza deriva dal vedere un paese fermo, più povero, così pieno di problemi sociali ed il suo Governo che, invece di impegnarsi per cercare di risollevare una situazione che ha contribuito così ampiamente a determinare, si accanisce in una serie di provvedimenti che hanno il solo scopo di favorire ristrette élite, piccoli o grandi interessi consolidati, imprese o peripezie giudiziarie del premier. La stanchezza ormai è talmente diffusa che, in forme diverse, investe settori della maggioranza che non se la sentono più di legarsi, a tutti costi, a tutte le avventure.
Sono sicuro, signor Presidente, onorevoli colleghi, che questa stanchezza, in Italia, si stia trasformando in una reazione democratica. Ed allora, grazie a questa reazione democratica, le bugie non basteranno più e credo che la stessa maggioranza ed il Governo dovranno pagare politicamente, come è inevitabile, un conto salato (Applausi dei deputati dei gruppi dei Democratici di sinistra-L'Ulivo e Margherita, DL-L'Ulivo).
PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto l'onorevole Cialente. Ne ha facoltà.
MASSIMO CIALENTE. Già molti interventi precedenti hanno sottolineato il senso politico del decreto legge di cui si sta discutendo la conversione in legge, ancor più, il significato vero del voto di fiducia, al quale il Governo ha dovuto fare ricorso nella giornata di ieri. Questo decreto-legge evita a Retequattro di sottostare ad una sentenza della Corte costituzionale che non l'avrebbe costretta a interrompere le trasmissioni, come si tenta di far credere, ma l'avrebbe semplicemente trasferita dal sistema analogico al sistema satellitare. Questo perché la frequenza che attualmente occupa spettava ad un'altra emittente, che aveva vinto la gara e che, per questo motivo, aveva già effettuato numerosi investimenti.
Il senso politico, dunque, è che in questo paese non vi sono più le regole del mercato e della concorrenza leale che si esercita nel rispetto delle leggi e delle regole; quindi, non vi sono più diritti. Il significato di fondo, però, è che il Governo, ponendo il voto di fiducia, ha manifestato, minaccioso, tutta la sua sfiducia nei confronti dei parlamentari della sua maggioranza. Chiamandoli a passare, ad uno ad uno, dinanzi alla Presidenza della Camera per esprimere il proprio voto, il padre padrone di questo centrodestra esige il «sì», un «sì» destinato unicamente a difendere i suoi interessi e i suoi guadagni.
Il conflitto di interessi, già così umiliante per l'Italia, per tutta una serie di leggi ad hoc destinate a risolvere i problemi giudiziari dell'onorevole Berlusconi e dei suoi soci in affari, si è palesato oggi minaccioso, deciso e dichiarato su un tema delicatissimo, quello del pluralismo dell'informazione. Minaccioso perché, con questo voto, l'onorevole Berlusconi, che accarezza l'idea di cancellare la legge sulla par condicio - è notizia di ieri - e che attacca la Corte costituzionale, avverte soprattutto i parlamentari della maggioranza che c'è un uomo solo al comando, un solo padrone, che sta curando i suoi interessi fino in fondo. Infatti, Mediaset, insieme a Fininvest sono le uniche imprese, in questo periodo difficile per il paese, i cui profitti aumentano grandemente.
Questo Parlamento, il Parlamento di un grande paese democratico, in tal modo non può discutere serenamente di ciò che oggi è garanzia della reale democrazia, cioè l'informazione e il suo pluralismo. Non so come interpretare, signor ministro Gasparri, le affermazioni da lei rese ieri alla stampa (mi riferisco a una notizia di agenzia delle ore 19).
Lei ha parlato di una maggioranza che ha dato prova di chiara compattezza; io credo che lei stesse prendendo in giro gli italiani, o forse voleva fare una battuta ironica. Infatti, a fronte di questa maggioranza ieri così compatta, ricordo bene il suo pallore e il suo sguardo smarrito quando, 15 giorni fa, il suo disegno di legge, che io ritengo vergognoso per gli interessi del paese e della democrazia italiana, è sopravvissuto in quest'aula, dove ella dovrebbe contare su una maggioranza di 100 voti, per appena 2 voti. Credo che quella occasione di voto segreto - quella sì - sia stata la chiara dimostrazione di quali sentimenti attraversano questa maggioranza
Ritengo che il voto di ieri sia preoccupante, così come questo decreto-legge, perché oltre a sottrarre frequenze all'azienda Europa 7 inventa un pluralismo dell'emittenza che dovrebbe essere certificato dall'Autorità per le garanzie nelle comunicazioni con parametri ridicoli, quali la copertura potenziale di nuove reti digitali almeno per il 50 per cento della
popolazione (mentre noi poniamo, con i nostri ordini del giorno, il problema della qualità del segnale di digitale) o, peggio ancora, attraverso un'analisi delle tendenze in atto nel mercato. Io chiedo cosa voglia dire «tendenze in atto nel mercato»: quale è la garanzia di legalità, di un parametro misurabile, di una regola certa di questa definizione, tale da poterla inserire in un articolo di legge?
Inoltre, perché nel momento in cui si è redatto questo decreto-legge non si è risposto alla domanda del presidente dell'Autorità per le garanzie nelle comunicazioni, Enzo Cheli, che in Commissione trasporti ha chiesto, nel caso verifica che l'Autorità deve compiere rispetto a quanto previsto nel decreto-legge dovesse dare un esito negativo, quali sanzioni si dovranno applicare? Ebbene, nessuna, perché questo è un gioco di furbi e furbetti, al di là di ogni legalità.
A questo punto, credo che la verità sia che, con questo decreto-legge e con le modalità di voto della questione di fiducia, è cambiato da ieri qualcosa nel paese, nel rapporto tra esso e questa maggioranza. Infatti, di fronte a un momento difficile, che oggettivamente...
PRESIDENTE. Onorevole Cialente, deve concludere.
MASSIMO CIALENTE. ...sta attraversando il paese, con gravi tensioni e preoccupazioni, l'onorevole Berlusconi ha gettato una maschera che nessuna chirurgia plastica riesce più a tenergli sul viso ed ha sprezzantemente dichiarato come oggi sino in fondo, in Italia, ogni scelta (Applausi dei deputati del gruppo dei Democratici di sinistra-L'Ulivo)...
PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto l'onorevole Martella. Ne ha facoltà.
ANDREA MARTELLA. Signor Presidente, un autorevole editorialista oggi ci ricorda sulle pagine de Il Corriere della Sera, in risposta ad un nostro collega, che se il disegno di legge Frattini sul conflitto di interessi fosse stato approvato definitivamente, non due anni e mezzo fa, ma qualche settimana fa, oggi il Presidente del Consiglio non avrebbe potuto porre la questione di fiducia sul decreto «salva Retequattro», dal momento che tale voto di fiducia sarebbe stato in palese contrasto con l'articolo 3, comma 1, di quel disegno di legge, che prevede, all'articolo 6, comma 8, proprio per questo pesanti sanzioni.
Ancora Paolo Mieli ci ricorda che è passato molto tempo da quando il premier aveva pubblicamente preso l'impegno di risolvere il conflitto di interessi. Aveva detto che l'avrebbe risolto in 100 giorni, ma da allora di giorni ne sono passati più di mille, quasi mille dall'inizio della legislatura, più di 850 da quando il disegno di legge Frattini è stato depositato in Parlamento, oltre 200 da quando la Camera dei deputati ha licenziato quel testo per la seconda volta, più di 130 da quando lo stesso è stato definitivamente approvato dalla Commissione affari costituzionali del Senato. Tuttavia, ancora non si intravede il traguardo: anzi, quel provvedimento è sparito dal calendario dei lavori del Senato. Oggi, a posteriori, possiamo capirne le ragioni.
Eppure, per questa maggioranza ci sono voluti solamente 129 giorni per approvare la legge Cirami, 93 giorni per approvare la legge sulle rogatorie internazionali e, 69 giorni per il lodo Schifani. L'ex direttore de Il Corriere della Sera definisce ancora la mancata approvazione del provvedimento sul conflitto di interessi una vera e propria indecenza.
Io sono convinto che l'indecenza stia continuando e si stia rafforzando e che quest'enorme conflitto di interessi sia davvero l'asse portante, l'idea, la leva che muove tutta l'attività del Governo di centrodestra, che però ormai ha svelato tutti gli inganni, ha tradito tutti gli impegni, ha messo in evidenza tutto il proprio fallimento e, tuttavia, continua a vendere qualche inganno e adesso anche a consigliare l'istigazione a delinquere, con le dichiarazioni rilasciate dal Presidente del Consiglio ieri. Siccome si vende il sogno di abbassare le tasse, ma si sa che le tasse non
potranno essere abbassate, si dice tranquillamente: evadete, perché tanto poi non mancherà il condono di turno che riuscirà a sanare questa evasione. Però non riuscirà a sanare, ancora una volta, la violazione dell'etica pubblica.
Vorrei dire, infine, al ministro Gasparri, che purtroppo non vedo più in aula...
ALESSIO BUTTI. È stato qui fino alle 3 stanotte!
ANDREA MARTELLA. ...che egli in questa vicenda fa proprio una figuraccia e che il suo nome di ministro, semmai verrà ricordato, verrà ricordato per essere stato il protagonista di una delle pagine più nere di questo periodo, per una legge che è stata rinviata dal Capo dello Stato, per una legge che non verrà mai approvata dalla Camera dei deputati e, oggi, per questo decreto-legge «truffa», che elude il messaggio del Presidente della Repubblica, aggira il senso della sentenza della Corte costituzionale e non tiene conto delle dichiarazioni dell'Autorità per le garanzie nelle comunicazioni.
Si tratta di una legge che uccide la democrazia e il pluralismo e che affossa la libertà, regalando però contemporaneamente 163 milioni di euro all'azienda del Presidente Berlusconi. Un bel regalo certo, un regalo che i deputati della maggioranza di centrodestra, un po' obbligati e molto meno convinti, hanno fatto al Presidente del Consiglio che, del resto, ha chiuso la verifica - sempre che l'abbia aperta e sempre che l'abbia conclusa - ricattandoli ed anche un po' irridendoli. Oggi, con questo bel regalo, egli entra fino in fondo nella campagna elettorale, volendo mettere in gioco la propria persona, anche se ormai si è capito che gli italiani stanno scoprendo tutti questi inganni e che la fiducia nei suoi confronti si sta sempre più deteriorando. I nostri ordini del giorno sono importanti anche per questo, sono un segnale di civiltà contro questa arroganza e questa prepotenza. Sono queste le ragioni per cui chiediamo che l'Assemblea li approvi (Applausi dei deputati del gruppo dei Democratici di sinistra-L'Ulivo).
PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto l'onorevole Gasperoni. Ne ha facoltà.
PIETRO GASPERONI. Signor Presidente, non ripeterò quanto già evidenziato durante l'illustrazione del mio ordine del giorno n. 9/4645/66, volto ad ottenere dal Governo almeno l'impegno a favorire i processi di razionalizzazione degli impianti sul territorio, al fine di tutelare la salute dei cittadini e il paesaggio. E che paesaggio, signor Presidente, dal momento che questo ordine del giorno richiama l'attenzione del Governo sulla stupenda regione della Valle d'Aosta ed è stato presentato da un deputato proveniente da una regione altrettanto bella, qual è quella delle Marche.
Ovviamente questo processo di decongestionamento e risanamento del territorio da brutti e nocivi impianti è favorito dall'avvento delle tecnologie digitali. Ebbene, con un po' di stupore nell'ascoltare i pareri espressi dal Governo sugli ordini del giorno, apprendo che, anche su questo mio ordine del giorno, è stato espresso un parere negativo. Sì, signori del Governo, ammetto il mio stupore e la mia incredulità, anche perché quello degli ordini del giorno è stato il solo strumento di confronto parlamentare che abbiamo avuto a disposizione, tutto ciò che ci è stato concesso in questa vicenda così importante. Per la verità, devo dire che forse noi deputati dell'opposizione non dobbiamo poi lamentarci più di tanto, perché in definitiva siamo stati forse più fortunati dei nostri colleghi della maggioranza, dal momento che noi almeno abbiamo potuto presentare ordini del giorno e intervenire su questi, mentre loro sono stati ridotti al silenzio totale, e su tutto.
Silenzio e mortificazione: è questa la condizione in cui si sta tentando di ridurre il Parlamento ed il confronto democratico che in esso viene esercitato.
Che dire, poi, delle dichiarazioni, ripetute anche ieri sera ai telegiornali, del ministro Gasparri, che francamente sono davvero un po' sconcertanti e stupefacenti? Ancora ieri sera, infatti, il ministro
ribadiva il concetto per cui la posizione della questione di fiducia è un fatto tecnico e il Governo Prodi l'ha utilizzata ben più di quanto stia attualmente facendo il Governo Berlusconi.
Non solo, dunque, si nega il vero obiettivo del ricorso alla fiducia, non solo la si pone su un decreto-legge costruito su misura per difendere gli interessi del Presidente del Consiglio, come è stato ampiamente evidenziato e dimostrato nel corso della discussione (anche riportando dati dai quali emerge la convenienza economica che sta maturando anche in queste ore), ma si tira in ballo il raffronto con le questioni di fiducia poste dal Governo Prodi sotto il punto di vista quantitativo, omettendo, tuttavia, il contesto nel quale tale esecutivo era costretto a ricorrere alla fiducia su una quantità enorme di decreti-legge, che si protraevano da anni e che dovevano essere convertiti. Ciò dal momento che l'intervenuta sentenza della Corte costituzionale ne impediva la reiterazione.
Si trattava di ben altro contesto, dunque, ed il tentativo furbesco di operare un raffronto tra due contesti così diversi è davvero miserevole e puerile.
PRESIDENTE. Onorevole Gasperoni, la invito a concludere.
PIETRO GASPERONI. Concludo, signor Presidente.
Altri esponenti della maggioranza hanno tentato di accreditare l'idea che il presente decreto-legge traduca la volontà espressa dal Presidente della Repubblica, con il rinvio alle Camere della cosiddetta legge Gasparri. In conclusione, tuttavia, vorrei dire solo che, con questo decreto «salva-Retequattro», si salva certamente tale rete, ma sappiate che i cittadini, ingannati da tutte le vostre false promesse, vi puniranno severamente, e ciò sarà il loro giusto compenso rispetto alle tante illusioni che avevate sparso a piene mani (Applausi dei deputati del gruppo dei Democratici di sinistra-L'Ulivo)!
PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto l'onorevole Fluvi. Ne ha facoltà.
ALBERTO FLUVI. Signor Presidente, è incredibile come il Governo rifiuti anche un minimo di confronto - direi una sorta di confronto a latere - sugli ordini del giorno presentati, non accettando neanche il mio ordine del giorno n. 9/4645/62, ragionevole e certamente non rivoluzionario. Ma è quanto passa il convento, ed è con questo che ci dobbiamo confrontare.
Ieri notte, intervenendo nell'illustrazione degli ordini del giorno, ho domandato ai colleghi della maggioranza come fosse possibile accettare l'imposizione del voto di fiducia su un provvedimento che riguarda palesemente l'azienda del Presidente del Consiglio, i suoi interessi economici e la libertà di informazione.
Noi vi stiamo dicendo che non è possibile, e ve lo diremo ancora, utilizzando tutto il tempo che abbiamo a disposizione in questa Assemblea, ricorrendo anche a strumenti estremi ed inusuali, quali appunto l'ostruzionismo. Continueremo a dirlo ancora anche nel paese, convinti come siamo di trovare interlocutori attenti non solo in quei pericolosi comunisti di cui parla spesso il Presidente del Consiglio, ma anche nell'opinione pubblica moderata, in quella parte di opinione pubblica autenticamente liberale che vive questi passaggi come una vera e propria, autentica prepotenza.
Stupisce che esponenti moderati della coalizione - penso ai colleghi dell'Unione dei democratici cristiani e dei democratici di centro ed allo stesso gruppo di Alleanza nazionale, partito radicato sul territorio - non abbiano niente da dire, subiscano in silenzio e non percepiscano l'insofferenza che cresce nel paese.
Ritenete forse sufficiente che i vostri leader rilascino, ogni tanto, qualche dichiarazione sopra le righe, qualche dichiarazione da mettere a disposizione dei militanti, degli elettori, per tacitarne gli umori? Io credo che ciò non sia sufficiente, cari colleghi, quando sono in gioco valori fondanti di ogni democrazia. Quello dell'informazione
è un argomento delicato - lo sapete come e meglio di me - che va affrontato con cura, con cautela, in quanto investe direttamente il tema della democrazia. Ma questa considerazione, vera in sé, assume un significato diverso e più pregnante in un paese come il nostro, l'Italia, in cui il Presidente del Consiglio assomma in sé, direttamente od indirettamente, una potenza mediatica sconosciuta nelle altre democrazie occidentali.
Non solo Berlusconi è proprietario di tre reti Mediaset, non solo egli controlla le tre reti RAI, non solo la famiglia del premier è proprietaria di quotidiani e periodici, ma ha il controllo anche della stragrande maggioranza delle risorse pubblicitarie disponibili: controlla, in sostanza, la benzina che è in grado di accendere, di far girare e di spengere il motore dell'informazione!
Colleghi, non è un caso - e vi inviterei a riflettere su ciò - che l'unico messaggio alle Camere del Presidente della Repubblica abbia riguardato il tema dell'informazione, del pluralismo dell'informazione come sale della democrazia. Nelle moderne democrazie, il tema dell'informazione è forse quello che, più di altri, fa la differenza...
PRESIDENTE. Onorevole Fluvi...
ALBERTO FLUVI. ...e che qualifica il concetto stesso di democrazia. Esso fa la differenza perché orienta le scelte ed il consenso; fa la differenza perché è mezzo per la formazione delle coscienze.
Concludo dicendo che solo attraverso un confronto libero delle idee si forma la coscienza critica dei cittadini. Ecco perché, approvando questo provvedimento, vi assumete una grande responsabilità, in Parlamento e di fronte al paese (Applausi dei deputati del gruppo dei Democratici di sinistra-L'Ulivo)!
PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto l'onorevole Maran. Ne ha facoltà.
ALESSANDRO MARAN. Signor Presidente, onorevoli colleghi, non sfugge a nessuno, credo, che un decreto-legge approvato sulla base di un voto di fiducia di certo non favorisce la discussione necessaria - comunque necessaria - per sanare quel vulnus costituzionale che ha indotto il Quirinale a rinviare la legge Gasparri alle Camere. Anzi, a ben guardare, un'approvazione siffatta suona come un de profundis per la legge Gasparri e per qualsiasi nuova versione emendata della stessa. Infatti, una volta garantito che Retequattro continuerà le sue trasmissioni in chiaro, alla fine, chi si è visto, si è visto! Questo almeno fino alle elezioni: i conti, soprattutto quelli all'interno della maggioranza, si faranno, in ogni caso, dopo di esse.
Il risultato è che resta insoddisfatta la necessità di offrire una risposta al giudicato costituzionale che ci chiede una legge che riporti il pluralismo nel sistema televisivo. Colleghi, il settore televisivo presenta, in Italia, caratteri strutturali non riscontrabili in nessun altro paese. Oltre il 90 per cento dell'audience è raccolto dai primi due gruppi - più che in qualsiasi altro paese europeo -, ciascuno dei quali vanta tre reti. Inoltre, l'attuale maggioranza di Governo controlla direttamente, attraverso la proprietà, o indirettamente, attraverso l'influenza politica sulla televisione pubblica, tutte le principali reti nazionali. In queste condizioni, la difesa del pluralismo nel settore televisivo non può che affidarsi a due strumenti complementari e necessari. Il primo è stato richiamato dal Presidente Ciampi nel suo messaggio alle Camere ed è di natura regolatoria, ossia passa attraverso la difesa del ruolo di servizio pubblico della RAI, che non può essere organo di una sola parte politica, e l'utilizzo di regole e di controlli che devono riguardare l'insieme dei canali, pubblici e privati, poiché, dall'equilibrio di tutti questi, dipende l'effettivo pluralismo dell'informazione.
Il secondo fronte è rappresentato dalla promozione della concorrenza nel settore televisivo. Questo richiede di mettere mano agli assetti strutturali oggi così concentrati. Fino a quando vi saranno due gruppi multicanale ciascuno dotato di tre
reti, le prospettive per nuovi operatori che vogliano imporsi al pubblico sono minime, come testimonia la storia di Telemontecarlo e di La7.
A più riprese, il ministro delle comunicazioni, onorevole Gasparri, ha sostenuto che gli attuali assetti concentrati sono destinati a cambiare con l'avvio della televisione digitale, che consentirà di trasmettere molte decine di canali nazionali. In realtà, la concentrazione non è dovuta alla scarsa disponibilità dei canali, ma alle dinamiche di competizione tra le reti che determinano pochi grandi vincitori. In tutti i paesi, esistono numerosi canali nazionali, ma gran parte dell'audience è raccolta da un numero molto limitato di reti e la ragione è legata alla natura della competizione nel settore televisivo. Il circuito virtuoso che promuove il successo di una rete è fatto di alti costi e di alti ricavi e questo porta a concentrare gran parte delle risorse in poche reti, lasciando ai concorrenti una quota minore di proventi pubblicitari con cui non è possibile finanziare un palinsesto di successo. L'esistenza di gruppi multicanale peggiora ulteriormente le prospettive per i concorrenti più piccoli. Quindi, anche nell'era della televisione digitale, le grandi reti generaliste manterranno un ruolo chiave, mentre i nuovi canali potranno ambire tuttalpiù a nicchie minoritarie di telespettatori.
Questo è lo scenario che si sta prospettando negli Stati Uniti, dove la discesa dell'audience dei grandi network (oggi attorno al 50 per cento) si accompagna alla presenza di un numero molto elevato di canali, ciascuno dei quali raccoglie frazioni, piccole, minime, di telespettatori.
Nella prospettiva del pluralismo, l'unico modo per assicurare un numero sufficiente di canali indipendenti risiede nella limitazione del numero delle licenze per ciascun gruppo. Con una licenza per gruppo potremo, in prospettiva, arrivare a 5 o 6 operatori diversi; con due licenze per gruppo, potremo almeno aspirare ad un mercato con tre diversi operatori.
In questa prospettiva, anche la presenza di una televisione pubblica con tre reti andrebbe messa in discussione. I contenuti e le funzioni che si rifanno effettivamente alla finalità di servizio pubblico possono essere ampiamente coperti, come accade in altri paesi, da una sola rete, mentre le altre reti pubbliche, così come una parte di quelle di Mediaset, potrebbero essere privatizzate, cedute a nuovi operatori. Solo in questa prospettiva sarebbe accettabile allentare i vincoli di partecipazione tra gruppi televisivi e carta stampata, per fare emergere nuovi gruppi editoriali che sviluppino un'attività multimediale.
Il fatto è che il principale obiettivo della legge Gasparri, quello di rispondere alla fondamentale esigenza di pluralismo e di imparzialità dell'informazione, resta un obiettivo da raggiungere. Da qui nascono gli ordini del giorno che abbiamo proposto per cercare di sottolineare quest'esigenza e per rendere chiara e nota al paese un'esigenza fondamentale, nonché anche allo scopo di sanare quella che rimane, a nostro modo di vedere, una vera e propria indecenza (Applausi dei deputati del gruppo dei Democratici di sinistra-L'Ulivo).
PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto l'onorevole Rava. Ne ha facoltà.
LINO RAVA. Signor Presidente, sono giornate lunghe e sicuramente sarebbe meglio che le stesse (dirò successivamente perché ciò non è possibile) fossero spese dal Parlamento per affrontare i pressanti problemi che attanagliano la società italiana, in primis quello dei conti pubblici ed il loro rapido smottamento per previsioni e scelte sbagliate del Governo che già, in moltissime occasioni, abbiamo avuto modo di denunciare.
A questo proposito, è semplicemente ridicolo quanto è stato affermato ieri dal premier sulla riduzione delle tasse, che naturalmente è prevista, come molte volte succede per i provvedimenti annunciati dal premier, per un futuro più o meno prossimo, magari per un breve periodo, magari giusto a cavallo di qualche elezione.
Ho utilizzato l'aggettivo «ridicolo», perché non voglio pensare, invece, ad un
progetto teso a smantellare lo Stato sociale, perché delle due l'una: o si mantiene un adeguato gettito fiscale, abbassando le tasse con una progressiva riduzione delle aree di privilegio, di evasione e di elusione, o si devono tagliare i servizi nei confronti dei cittadini (sanità, scuola, trasporti e pensioni), trasformando radicalmente l'organizzazione sociale, introducendo la logica del più forte e dell'elargizione caritatevole.
Purtroppo, però - e così il ridicolo si trasforma in dramma - la logica che emerge anche da questo decreto è proprio questa: sono Presidente del Consiglio, ho potere e allora difendo quanto è mio, a prescindere dagli interessi generali. È evidente che una logica siffatta può avere successo solo in un clima di intimidazione, a cui per fortuna qualcuno anche nella maggioranza inizia a rispondere con una palese insofferenza.
Dicevo all'inizio che sarebbe meglio poter utilizzare questo tempo per discutere dei tanti problemi che, anche grazie agli errori del Governo, affliggono gli italiani, ma è evidente che, quando vengono messi in discussione i principi di democrazia, i principi di libertà, tra i quali la libertà dell'informazione è un cardine fondamentale, quando vengono disattese le indicazioni delle più alte istituzioni dello Stato, quando - non per la prima volta - la politica viene piegata agli interessi di chi è potente, è necessaria una risposta altrettanto forte e decisa, proprio la risposta che l'opposizione sta dando in queste ore con grande decisione.
La logica di potere e di prevaricazione è confermata anche dal giudizio negativo sul mio ordine del giorno n. 9/4645/21, che parte proprio dalla genesi del decreto-legge emanato a seguito del messaggio presidenziale e della sentenza della Corte costituzionale, entrambi tesi a garantire un vero pluralismo nell'informazione. Peccato che questi autorevoli provvedimenti delle più alte istituzioni dello Stato siano stati completamente disattesi, prima con la legge Gasparri e oggi con questo dannoso decreto. Dannoso non solo per il pluralismo dell'informazione - già molti colleghi hanno avuto modo di evidenziarlo con nettezza -, ma per tutto il sistema radiotelevisivo nazionale. Anche su questo, probabilmente, ci sarebbe da fare una riflessione profonda.
Si parla della difesa di mille posti di lavoro, ma non si tiene conto di quello che doveva essere il processo di transizione, già previsto nella sentenza della Corte costituzionale e completamente disatteso, e non si considera quanti sarebbero, se si facesse un lavoro serio sulle nuove tecnologie, gli sviluppi possibili per l'occupazione. Per tutelare gli interessi immediati di un'azienda, si penalizza nella sostanza la possibilità di sviluppo di un settore importantissimo. Il limite del 50 per cento di copertura della popolazione stravolge le regole attuali per il riconoscimento di operatore nazionale e, al tempo stesso, non garantisce che i cittadini possano realmente accedere al servizio.
Il mio ordine del giorno vuole superare questa impasse e, naturalmente, il parere contrario su di esso ribadisce ancora una volta quella logica dell'arroganza e della difesa degli interessi propri che ho sottolineato all'inizio del mio intervento (Applausi dei deputati del gruppo dei Democratici di sinistra-L'Ulivo).
PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto l'onorevole Chianale. Ne ha facoltà.
MAURO CHIANALE. Signor Presidente, colleghi, il parere contrario del Governo nell'ordine del giorno n. 9/4645/50 del collega Cazzaro, da me sottoscritto, costituisce la prova documentata della originale ed innovativa posizione che la maggioranza sta assumendo su questo tema e attuando con questo decreto-legge. È il paradosso che caratterizza un po' tutta l'azione del Governo.
MAURO CHIANALE. Una volta era il gruppo Fininvest che invocava il pluralismo
per farsi spazio nel mercato televisivo, oggi che di spazi ne ha fin troppi, compresi quelli pubblici, preferisce l'involuzione.
Questo decreto si segnala per il suo nucleo centrale, che è quello di assicurare il mantenimento dell'assetto radiotelevisivo attuale, anziché provvedere ad introdurre una normativa idonea a consentire l'ingresso di nuovi soggetti. Gli editori, per bocca della FIEG e del presidente della federazione editori Luca Cordero di Montezemolo, hanno sparato a zero su questo decreto.
L'espediente a cui si ricorre è un po' grottesco: identificare un mercato rilevante di proporzioni enormi; le quote cui ciascun operatore può attingere sono altissime e, quindi, prosciugano tutte le risorse che vi possono essere sul mercato, impedendo che soggetti terzi possano entrarvi.
La gravità sta proprio in questo perverso meccanismo. Mi spiego: se i tetti vengono fissati su un mercato così largo, sarà difficile, ad esempio, che gli editori della carta stampata non siano penalizzati. Con questo scherzo, in sostanza, viene preclusa ogni forma di pluralismo a favore degli interessi di parte. Il caso di scuola sul conflitto di interessi dimostra come la democrazia possa soccombere con questo decreto-legge.
Il Governo è presieduto da un imprenditore oligopolista nel campo radiotelevisivo e con questo provvedimento si vuole elevare quasi alla dignità di crisma legislativo il conflitto di interessi. Questo conflitto è contro l'interesse dei più, è contro l'interesse degli italiani.
Certo, vi preoccupate di dare una risposta agli italiani che aspettano di comprare il decoder a prezzi accessibili, ma quanti sono?
Quando, prima della rivoluzione francese, tutta la nobiltà viveva nella edulcorata Versailles e pensava convinta che il mondo vero fosse quello (qui faccio riferimento al mondo virtuale che immaginate o conoscete, quello dei decoder, per capirci), da quel mondo dorato, alla disperazione del popolo che chiedeva il pane che non c'era, si rispondeva, per voce di Maria Antonietta, «date loro delle brioche». Agli italiani che chiedono lavoro, sostegno alle politiche della casa e della famiglia e sicurezza noi daremo i decoder.
Non potete continuare a stare fuori dal mondo, perché il mondo non vi riconosce più. Volete mettere metaforicamente la testa sul ceppo: fatelo, ma il «tanto peggio, tanto meglio» non appartiene alla nostra cultura, anche perché ogni vostra azione e, anzi, ogni vostra non azione sui temi economici, sul carovita, sulle crisi industriali si ripercuote sugli italiani, che pagano duramente le vostre inettitudini.
Chi non arriva a fine mese, chi è senza stipendio da mesi, come i dipendenti dello stabilimento Finmek della mia città, non pensa al decoder. Al «va tutto bene, madama la marchesa» non ci crede più nessuno. La propaganda sulla potenza interna è divenuta quasi ridicola e si sta ritorcendo contro di voi. Il voto di fiducia è una debolezza che vi costerà cara, se il vostro obiettivo è creare una gabbia mediatica da quarto potere per far apparire quello che non è.
Chiudetevi nella vostra Versailles e aspettate, ma mi rivolgo a chi tra di voi ragiona con la propria testa (ve ne sono tanti e vi sono tante persone per bene): ribellatevi prima che la vostra testa cada definitivamente. Avrete il conforto di Fede, ma per il vostro bene materiale, al di là della politica, e per il bene generale degli italiani rimandate a mai questo momento, non approvando questo decreto-legge (Applausi dei deputati del gruppo dei Democratici di sinistra-L'Ulivo).
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