Resoconto stenografico dell'Assemblea
Seduta n. 424 del 16/2/2004
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Discussione del disegno di legge: S. 2674 - Conversione in legge, con modificazioni, del decreto-legge 24 dicembre 2003, n. 352, recante disposizioni urgenti concernenti modalità di definitiva cessazione del regime transitorio della legge 31 luglio 1997, n. 249 (Approvato dal Senato) (4645) (ore 14,36).

PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca la discussione del disegno di legge, già approvato dal Senato: Conversione in legge, con modificazioni, del decreto-legge 24 dicembre 2003, n. 352, recante disposizioni urgenti concernenti modalità di definitiva cessazione del regime transitorio della legge 31 luglio 1997, n. 249.
Ricordo che nella seduta dell'11 febbraio scorso sono state respinte le questioni pregiudiziali Innocenti ed altri n. 1 e Colasio ed altri n. 2.

(Discussione sulle linee generali - A.C. 4645)

PRESIDENTE. Dichiaro aperta la discussione sulle linee generali.
Avverto che il presidente del gruppo parlamentare dei Democratici di sinistra-l'Ulivo ne ha chiesto l'ampliamento, senza limitazioni nelle iscrizioni a parlare, ai sensi dell'articolo 83, comma 2, del regolamento.
Avverto altresì che le Commissioni VII (Cultura) e IX (Trasporti) si intendono autorizzate a riferire oralmente.
La relatrice per la VII Commissione cultura, onorevole Bianchi Clerici, ha facoltà di svolgere la relazione.

GIOVANNA BIANCHI CLERICI, Relatore per la VII Commissione. Signor Presidente, onorevoli colleghi, il decreto-legge


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che oggi ci accingiamo a convertire in legge, dopo la lettura già effettuata dal Senato, rappresenta un importante passaggio sulla strada della progressiva conversione del sistema radiotelevisivo analogico verso quello digitale. Infatti, il testo normativo costituisce un'ulteriore tappa del cammino incominciato con la legge n. 66 del 2001, approvata nella precedente legislatura, e, al tempo stesso, si pone come risposta ai rilievi mossi dalla Corte costituzionale e alle osservazioni formulate dal Capo dello Stato sulla legge di riassetto del sistema radiotelevisivo.
Non si tratta, infatti, di un decreto di pura e semplice proroga di termini, come quelli ripetutamente votati nelle precedenti legislature da diversi Governi per rinviare scadenze che, qualora non prolungate, avrebbero messo a rischio l'intero settore televisivo. Si tratta, invece, della definizione normativa delle modalità di cessazione del regime transitorio per l'avvio definitivo del digitale terrestre. Le indicazioni che il decreto-legge contiene, infatti, sono finalizzate a favorire l'intervento dell'Autorità per le garanzie nelle comunicazioni, affinché verifichi il sussistere delle condizioni utili a dimostrare l'avvio del digitale terrestre nel nostro paese e a sancire così in modo definitivo un passaggio storico nello stesso sistema radiotelevisivo. È quindi opportuno affrontare nei dettagli il contenuto del decreto-legge in esame per constatare non solo l'urgenza della sua conversione, ma anche la sua necessità per favorire ulteriormente ed accelerare quel processo di innovazione tecnologica che si è già avviato.
Come già accennato, il decreto-legge muove da due istanze autorevoli che hanno evidenziato rilievi ed osservazioni assai precise. La prima riguarda la sentenza della Corte costituzionale del novembre 2002, che indicava la data del 31 dicembre 2003 quale termine ultimo per la cessazione del regime transitorio. La stessa Corte affermava in proposito: «È appena il caso di precisare che la presente decisione, ossia quella di individuare la scadenza di fine 2003 concernente le trasmissioni televisive in ambito nazionale su frequenze terrestri ed analogiche, non pregiudica il diverso futuro assetto che potrebbe derivare dallo sviluppo della tecnica di trasmissione digitale terrestre, con conseguente aumento delle risorse tecniche disponibili».
È, dunque, evidente che il decreto in oggetto accoglie appieno le indicazioni della Corte, proprio perché intende sancire, a seguito della verifica dell'Autorità, l'introduzione di un nuovo assetto, fondato sulla coesistenza fino al 2006 del sistema misto analogico-digitale, chiudendo così definitivamente quella fase transitoria che era invece basata esclusivamente sull'esistenza dell'analogico e facendo leva proprio sull'evoluzione tecnologica e su quell'aumento delle risorse tecniche disponibili che la stessa Corte invoca.
Un secondo riferimento riguarda, invece, l'osservazione del Capo dello Stato sulla legge di riassetto del sistema radiotelevisivo. È opportuno riassumere brevemente tali osservazioni - sostanzialmente due - per la parte di stretta attinenza al presente decreto-legge. La prima riguardava l'eccessivo lasso di tempo assegnato all'Autorità per effettuare la verifica e la seconda invece i provvedimenti e i poteri esercitabili dalla stessa Autorità in caso di verifica negativa. L'accorciamento dai 12 mesi originariamente previsti ai quattro attualmente introdotti, nonché la previsione di poteri assai determinati ed importanti, fino all'ingiunzione di dismissione di aziende, rappresentano proprio la risposta più diretta ed esplicita che il presente decreto-legge fornisce. Dunque, la piena rispondenza al dettato della Corte costituzionale e alle osservazioni del Presidente della Repubblica sono le basi da cui muove il decreto-legge che, lo ricordiamo, è stato varato dal Governo lo scorso fine dicembre e su cui si fonda il presente disegno di legge di conversione.
Vediamo ora i contenuti specifici del provvedimento e le misure in esso contenute. L'articolo 1 prevede le modalità di definitiva cessazione del regime transitorio sulla base di una verifica che, entro il 30 aprile 2004, l'Autorità per le garanzie nelle comunicazioni dovrà effettuare riguardo all'offerta di programmi televisivi digitali


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terrestri. Tale verifica prenderà in esame tre fattori: la quota di popolazione coperta dalle nuove reti digitali; la presenza sul mercato di decoder a prezzi accessibili; la presenza di programmi televisivi anche diversi da quelli già trasmessi su rete analogica. A tal proposito, è significativo sottolineare alcune modifiche che il Senato ha introdotto, anche accogliendo indicazioni provenienti dalle opposizioni, proprio al fine di chiarire ulteriormente la natura degli accertamenti dell'Autorità e per facilitarne il compito. Infatti, al comma 1 è stato precisato che la natura della verifica deve essere contestuale riguardo a tutti e tre i fattori indicati e che deve essere effettuata anche tenendo conto delle tendenze in atto del mercato: quindi, modifiche introdotte proprio per favorire un'analisi dinamica e più incisiva. Allo stesso modo, sempre al comma 1, si è precisato che le nuove reti digitali devono avere una copertura che non sia inferiore al 50 per cento e che la presenza sul mercato di decoder deve essere omogenea sul territorio nazionale.
Si tratta di modifiche non di poco conto sulle quali si è espresso favorevolmente anche il presidente dell'Autorità per le garanzie nelle comunicazioni nel corso dell'audizione effettuata nei giorni scorsi presso le Commissioni congiunte, cultura e trasporti, della Camera.
Vale la pena infine richiamare le disposizioni contenute nel comma 2, che riguardano proprio i poteri assegnati all'Autorità. Richiamandosi esplicitamente al comma 7 dell'articolo 2 della legge n. 249 del 1997, il decreto-legge assegna infatti alla stessa Autorità i più ampi poteri per intervenire al fine di eliminare o impedire posizioni dominanti, giungendo fino alla possibilità di poter disporre di misure che incidano sulla struttura delle imprese imponendo dismissioni di aziende o di rami di aziende.
Come si vede, si tratta di un decreto-legge chiaro, la cui portata ha ricadute sull'intero sistema radiotelevisivo e i cui tempi di applicazione sono estremamente brevi. La convinzione, in attesa dell'approvazione definitiva della legge di sistema, che questo decreto-legge rappresenti un ulteriore passo avanti per l'arricchimento del sistema radiotelevisivo, rifuggendo da qualsiasi ipotesi di impoverimento, ci porta dunque a sostenere la richiesta di conversione in legge da parte di questo ramo del Parlamento (Applausi dei deputati del gruppo di Forza Italia).

PRESIDENTE. Il relatore per la IX Commissione, onorevole Romani, ha facoltà di svolgere la relazione.

PAOLO ROMANI, Relatore per la IX Commissione. Signor Presidente, mi rimetto alla esauriente relazione svolta dall'onorevole Bianchi Clerici.

PRESIDENTE. Ha facoltà di parlare il rappresentante del Governo.

GIANCARLO INNOCENZI, Sottosegretario di Stato per le comunicazioni. Signor Presidente, mi riservo di intervenire in sede di replica.

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Colasio. Ne ha facoltà.

ANDREA COLASIO. Signor Presidente, colleghi, signor sottosegretario, non sfuggirà a nessuno il rilievo politico-istituzionale del provvedimento in discussione. La legge di conversione del decreto-legge 24 dicembre 2003, n. 352, con le significative modifiche apportate al Senato, costituisce senza dubbio alcuno un provvedimento che, pur nella sua contingenza, riveste un valore forte, con una precisa connotazione costituzionale. Con il decreto-legge si vengono infatti a definire normativamente - o meglio, si dovrebbero definire normativamente - i parametri che permetteranno all'Autorità garante per le comunicazioni di accertare se nel nostro sistema politico si sono inverate o meno quelle condizioni che autorizzano a sostenere legittimamente la sussistenza di un sistema pluralistico. È evidente come ci si stia confrontando con temi che sono a dir poco cruciali rispetto alla conformazione ed alla meccanica del nostro sistema politico.


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Il provvedimento in discussione costituisce una norma i cui effetti regolativi e le cui implicazioni di sistema sono suscettibili di forte rilievo costituzionale. Verificare le mutate condizioni ovvero la sussistenza di un reale pluralismo informativo, non significa asseverare unicamente un radicale mutamento di scenario rispetto a quello fotografato nelle diverse sentenze della Corte costituzionale - da ultima la n. 466 del 2002 -, scenario negativamente assunto quale riferimento implicito, del resto, nel messaggio di rinvio alle Camere da parte del Presidente della Repubblica della stessa legge Gasparri. Procedere alla verifica del mutamento di scenario, ovvero dell'effettivo avvenuto arricchimento del pluralismo informativo nel nostro paese e sostenere, quindi, l'avvenuta rimodulazione del suo assetto e della sua configurazione significa infatti affrontare nodi ineludibili che attengono alla fisionomia e al funzionamento della democrazia competitiva nel nostro paese. Da questo intersecarsi di piani, da questo forte intreccio tra logiche di sistemi diversi - ma con aree molto vaste di intersezione - consegue l'evidente forte carico istituzionale e la connotazione costituzionale che questo procedimento incorpora.
Non si sta discutendo banalmente di una norma che definisce i criteri distributivi o regolativi tra interessi divergenti: non saremmo neppure qui a sottolineare il paradosso di una norma che riveste un preciso interesse per il premier: questo è un problema, tutto sommato, contingente (il fatto che sia contingente non significa, sia chiaro, che sia meno grave rispetto all'asserita volontà di sciogliere il conflitto di interessi; ma non è questo il problema di cui si sta parlando oggi). Ci interessa invece capire come si sta affrontando il nodo del pluralismo, nei suoi assetti di struttura e di funzionalità.
Ci interessa capire se, con questo provvedimento, così come oggi da voi delineato, si operi per incrementare il grado di competitività tra gli attori del sistema. È certo emblematico come l'Autorità garante della concorrenza e del mercato abbia dovuto ricordarvi - lo dico ai relatori - i nessi forti tra pluralismo e concorrenza, assunti del resto nella giurisprudenza costituzionale come essenziali, per cui il pluralismo informativo viene declinato in termini di pluralità di voci concorrenti - ripeto: pluralità di voci concorrenti - e di esistenza di una precisa disciplina legislativa idonea ad arginare l'insorgere di posizioni dominanti (non l'abuso, bensì l'insorgere di posizioni dominanti).
È non meno significativo il fatto che la stessa Autorità debba ricordarvi che la tutela del pluralismo informativo rappresenta un obiettivo che trova - e non solo nel nostro ordinamento costituzionale, ma nello spazio giuridico e politico europeo - un preciso riconoscimento e che questo deve - ripeto: deve - essere garantito in primo luogo attraverso gli strumenti di tutela della concorrenza.
È la Commissione europea che vi ricorda, del resto, come il diritto comunitario della concorrenza contribuisca anche ad impedire che il controllo delle società del settore massmediatico si concentri in misura tale da mettere in pericolo la presentazione, attraverso i media, di un'ampia gamma di pareri e opinioni. È la delicatezza della posta in gioco, insomma, che giustifica il fatto che gli strumenti di tutela della concorrenza applicati al mercato televisivo possano essere ritenuti non sufficienti al fine di tutelare il pluralismo informativo.
Per questo, gli strumenti adottati da diversi legislatori nazionali, in ambito europeo e non solo, prevedono misure e vincoli più restrittivi al comportamento delle imprese, proprio in ragione della necessità di garantire un bene (il pluralismo), riconosciuto meritevole di una sorta di tutela rafforzata, rispetto alla quale le sole regole della concorrenza potrebbero essere ritenute, a ragione, insufficienti.
La concorrenza è un presupposto essenziale dello stesso pluralismo. Il mercato deve essere libero, senza barriere all'ingresso per i nuovi entranti, privo di posizioni dominanti e, pertanto, in grado di assicurare una pluralità di voci. Un mercato televisivo aperto, plurale nelle voci,


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rappresenta il prerequisito del pluralismo e di un modello democratico competitivo e poliarchico.
Il grado di apertura ed il tasso di competitività nel mercato televisivo - dunque, nella produzione di quel bene particolare rappresentato dall'informazione - sono indicatori essenziali nel connotare la qualità della democrazia italiana, per avvicinarla a quel modello di democrazia compiuta evocato nel messaggio alle Camere del Presidente della Repubblica.
Ne sarebbe dovuta conseguire grande attenzione rispetto al contenuto di un provvedimento che, nel declinare valori costituzionalmente tutelati (quali la libertà di espressione del proprio pensiero con la parola, lo scritto e ogni altro mezzo di diffusione), enuclea, di fatto, quella che evocativamente può chiamarsi una «costituzione materiale». Dovevate confrontarvi con una grande responsabilità, ma non ne siete stati capaci, e volendo deresponsabilizzarvi, state procedendo con modalità che, di certo, non metteranno - è importante sottolinearlo - l'Autorità per le garanzie nelle comunicazioni nelle condizioni di operare in modo rigoroso e trasparente.
Al riguardo, l'Autorità è stata chiara ed esplicita nel sollecitare il legislatore (ovvero voi, in questo caso) a definire rigorosamente i criteri e le modalità con cui procedere all'accertamento di un mutato contesto, in seguito ad un intervenuto effettivo arricchimento del pluralismo, derivante dall'espansione della tecnica di trasmissione digitale terrestre. Requisito, quest'ultimo, che costituisce l'unica condizione in grado di giustificare il possibile superamento del termine inderogabile del 31 dicembre 2003.
È opportuno, allora, rispondere seriamente alle richieste ed alle perplessità sollevate dalla stessa Autorità per le garanzie nelle comunicazioni nel corso delle audizioni informali svolte in sede di Commissioni riunite. Il presidente Cheli, infatti, ha dichiarato che sussistono incertezze interpretative, che sarebbe opportuno chiarire in sede di conversione del presente decreto-legge.
Si tratta di incertezze a fronte della sussistenza o meno del pluralismo. Voi capite, onorevoli colleghi, che si possono nutrire dubbi su tutto, ma sul pluralismo è un po' problematico. Tali incertezze riguardano sia le condizioni che l'Autorità per le garanzie nelle comunicazioni è chiamata ad accertare, sia i provvedimenti che la stessa Autorità dovrà adottare in caso di accertamento negativo.
Relativamente alla prima condizione, avete provveduto con l'approvazione di un emendamento nel corso dell'esame svoltosi presso il Senato, per cui la soglia del 50 per cento della popolazione diventa parametro oggettivo di riferimento. Il fatto che i parametri vigenti, definiti dalla cosiddetta legge Maccanico, indichino una soglia più alta, pari all'80 per cento della popolazione - coperta o raggiunta, poco importa - quale criterio definitivo di una rete nazionale non pare costituisca per voi un problema: l'Autorità per le garanzie nelle comunicazioni, essendo un'autorità amministrativa, dovrà comunque uniformarsi. Non so se la Corte costituzionale, rispetto al suo giudicato precedente, avrà al riguardo nulla da obiettare.
In via incidentale, vorrei soffermarmi sull'altra modifica apportata dal Senato: la sostituzione, all'articolo 1, delle parole «popolazione raggiunta» con «popolazione coperta». Il segnale «copre»; il «raggiunta» - ed eventualmente, avremmo detto noi, «l'effettivamente raggiunta» - avrebbe avuto ben altro significato. Non è certo una disquisizione semantica, è chiaro, ma si tratta di un significato operativo ai fini dell'accertamento.
Vorrei ribadire che non sarebbe stato un problema se, dopo aver inserito al Senato il criterio della valutazione contestuale dei parametri (ovvero, le parole «accertare contestualmente»), si fosse fatto tesoro delle richieste dell'Autorità per le garanzie nelle comunicazioni, che voleva la specifica definizione, da parte del legislatore, di precisi indici di riferimento in ordine al grado di diffusione dei decoder sul mercato, alla misurazione dell'accessibilità del prezzo e alla valutazione dell'effettività


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dell'offerta al pubblico di programmi diversi da quelli diffusi sulle reti analogiche.
Non è certo banale la motivazione sottesa a questa richiesta di indici, di parametri, di indicatori empirici. Il fatto - dice l'Autorità - è che i poteri di accertamento e sanzionatori conferiti dalla legge alle autorità attengono materie coperte dalla riserva di legge, di cui agli articoli 21 e 41 della Costituzione, in quanto pongono in gioco profili che investono sia la libertà di espressione del pensiero che il diritto di iniziativa privata, nei confronti dei quali, ai sensi di una consolidata giurisprudenza costituzionale, spetta al legislatore indicare criteri idonei a delimitare la discrezionalità del soggetto amministrativo investito del potere di intervento e di sanzione. Proprio quello che voi non fate - ne abbiamo discusso reiteratamente, ma le nostre proposte emendative che andavano in questa direzione non hanno avuto il giusto destino -, lasciando, quindi, sussistere margini di incertezza e spazi interpretativi piuttosto ampi.
Dovevate assumervi precise responsabilità. Non avete voluto farlo. Al contrario, avete sovraccaricato di funzioni improprie l'autorità amministrativa. Di fatto, create solo una situazione funzionale - mi dispiace dirlo - a una tattica dilatoria (non è nemmeno una strategia), elusiva del significato racchiuso nel messaggio del Presidente e dei termini non eludibili riferiti alla fine del periodo transitorio, cui da ultimo si riferisce la Corte costituzionale con la sentenza n. 466 del 2002.
Con le nostre proposte emendative (della Margherita e dei Democratici di sinistra) abbiamo cercato di parametrare le condizioni, riducendo l'incertezza ed eliminando, nei limiti del possibile, la discrezionalità interpretativa.
Non basta, come fa il presidente Romani, sostenere che il mancato recepimento non attiene al merito del provvedimento ma al contesto della situazione e che si tornerà su questi punti nell'esame della proposta di legge Gasparri. La non elusione del giudicato della Corte ed il rispetto istituzionale dovuto nei confronti del messaggio del Presidente della Repubblica imponevano la definizione sin d'ora di criteri diversi oggettivi, trasparenti, verificabili e non discrezionali.
E un criterio oggettivo e trasparente non può certo considerarsi l'evocazione di tendenze in atto nel mercato, un criterio non criterio, non certo oggettivo, suscettibile di interpretazioni le più varie, le più disparate, le più eterogenee.
Vi abbiamo esortato reiteratamente ad «operazionalizzare» il trend, a definirlo con tassi di crescita mensile verificabili empiricamente o, come direbbe il mio amico Adornato, falsificabili, alla Popper. E ancora: come misuriamo l'effettiva offerta al pubblico di programmi diversi da quelli diffusi dalle reti analogiche? Qual è il tasso di copertura effettiva minimale che considerate un prerequisito per il pluralismo? Quanti decoder? Che tasso di copertura dei decoder nelle famiglie? Vi abbiamo sollecitato reiteratamente a darci una risposta. Il sottosegretario ha ricordato i tre milioni di pezzi di silicio richiesti al principale produttore mondiale per il mercato italiano (non so se sia un gran criterio; è un indice sui generis). Sarebbe interessante che, rispetto all'effettività del tasso di copertura, diceste almeno qual è la soglia minima. Se aveste il coraggio di farlo, vi assicuro che passereste alla storia, sareste citati in tutti i libri di diritto costituzionale e sicuramente nei manuali di scienze della politica.
Quanto alle sanzioni, in caso di accertamento negativo, l'Autorità può intervenire sulla base del comma 7 dell'articolo 2 della legge n. 249 del 1997 che, come ben noto, rinvia le procedure deconcentrative al momento del rilascio, del rinnovo delle concessioni e delle autorizzazioni - siamo quindi a metà del 2005 in termini temporali -; si tratta di un'ulteriore surrettizia proroga del regime transitorio, quando, invece, è stata proprio l'Autorità a sollecitare il legislatore a definire, per la chiusura del regime transitorio, un preciso dies ad quem.
In termini sanzionatori, il reale recepimento del messaggio del Presidente avrebbe


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quantomeno dovuto comportare il riferimento ad un'altra disposizione della legge n. 249 del 1997 (cosa che noi abbiamo fatto negli emendamenti). Mi riferisco al comma 7 dell'articolo 3, che prevede che al termine certo e ineludibile del periodo transitorio l'Autorità indichi il termine entro il quale i programmi irradiati dalle emittenti dovranno essere trasmessi esclusivamente via satellite o via cavo.
In definitiva, colleghi, regolare l'assetto e la conformazione del nostro sistema radiotelevisivo dovrebbe significare scrivere regole e procedure, che rivestono un significato tanto più rilevante quanto più si considera il processo di cambiamento, che, piaccia o meno, ha conosciuto la democrazia liberale in Europa e in Italia. Come non vedere quindi lo stretto intrecciarsi di piani tra la genesi dei sistemi liberaldemocratici e la formazione di un'opinione pubblica, come non vedere nella crisi e nella trasformazione del vecchio partito di massa e nell'affacciarsi ormai prepotente nel mercato politico del «kirchmediano» partito pigliatutto una profonda riscrittura della trama dei rapporti intercorrenti tra domanda e offerta politica, tra società e istituzioni.
La centralità costituzionale fondativa del sistema informativo diventa per noi, in sintesi, assoluta. La comunicazione politica, vedete, non è uno dei tanti elementi di contorno, uno dei tanti fattori di gioco di cui si sostanzia il complesso delle regole di una matura democrazia liberale; la comunicazione politica, ovvero l'effettivo pluralismo, molto ben evocato in sede istituzionale, è nell'attuale dispiegarsi della Costituzione materiale italiana un fattore di assoluto rilievo politico e culturale. Se la Costituzione è la struttura, l'informazione e la comunicazione politica sono il sistema nervoso.
Garantire le condizioni di un effettivo pluralismo informativo attiene quindi alle regole generali di una compiuta democrazia moderna. Non è una richiesta delle opposizioni, non è una gentile concessione, è un imperativo categorico, è un prerequisito di sistema. Vorrei ricordare allora ai colleghi liberali nella maggioranza come il principale teorico della democrazia competitiva assumesse l'esistenza di logiche omogenee tra mercato e mercato politico, la competizione tra imprenditori da un lato e tra élite politiche dall'altro: è la competizione politica a garantire e consentire l'innovazione tecnologica e l'innovazione politica.
Dunque, l'opinione pubblica del paese si interroga su come questo vostro decreto-legge affronti con coerenza i nodi della concorrenza, le regole antitrust, il rispetto del pluralismo informativo e - aspetto non meno importante - quel che non meno conta, la correzione delle storture di sistema e la coerenza con un nuovo scenario europeo, nonché come tuteli il formarsi di una libera opinione politica, assunta, secondo noi, quale valore strategico e costitutivo di una democrazia compiuta.
Vorrei dire un'altra cosa che mi sta a cuore. La legge Gasparri e questo decreto-legge, per quanto contingente, avevano un grande significato, perché avrebbero potuto costituire una grande opportunità, avrebbero potuto permettere a questa maggioranza, che non deve mai dimenticarsi di essere figlia di una sorta di vizio genetico, di sciogliere alcune contraddizioni che, di fatto, depotenziano la qualità del nostro sistema democratico. Voi della maggioranza avevate la possibilità, affrontando diversamente questo nodo irrisolto, di normalizzare finalmente il nostro paese. Era una grande occasione che vi si prospettava.
Mi avvio velocemente alle conclusioni. So che non avremo modo, tempo e luogo di discutere più distesamente perché è già quasi annunciato che su questo provvedimento sarà posta una questione di fiducia (questo lo vedremo nel prosieguo del dibattito parlamentare); certamente, se la questione di fiducia sarà posta, questo dimostrerà ancora una volta di più come - ahimè! - i liberali della Casa delle libertà, gli eredi, i presunti eredi di quella grande tradizione, di quella grande eredità cattolico liberale degasperiana, che spesso hanno dimostrato di avere dubbi e perplessità su questa legge, avrebbero avuto nel prosieguo del dibattito la possibilità di dimostrare che non sono dei testimoni di un rito stanco e


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inoperativo, ma dei soggetti politici autorevoli, in grado di porre in modo non negoziabile alcuni valori (il pluralismo informativo è uno di questi valori).
Avremmo avuto piacere che si svolgesse un dibattito franco anche sui criteri metodologici riferiti a questo decreto-legge. Peraltro, credo che il dibattito che vi è stato in questi giorni in Commissione sia stato scevro da pregiudizi.
Queste sono state le nostre considerazioni: se è vero che esistono condizioni di effettivo arricchimento all'interno del mercato televisivo, e quindi, correlativamente, all'interno del pluralismo informativo, allora esistevano anche le condizioni per procedere, con una logica condivisa, alla definizione dei criteri, degli indici di riferimento, degli indicatori empirici che, al di fuori di un contenzioso che vi sarà nel lungo periodo, ci avrebbero permesso di verificare assieme un mutamento dello scenario. Non avete voluto farlo e non credo che vi sarà un grande dibattito in Assemblea.
Penso che questa sia una grande occasione perduta per i colleghi della maggioranza che si riconoscono nei principi e nei valori liberali. Sarebbe stato auspicabile che si procedesse in una direzione diversa e di ciò vi saremmo stati grati, non solo noi come opposizione, ma credo anche il paese. Ad esso, finalmente, sarebbe stata restituita una normalità ed una dignità giuridica ed istituzionale proprio all'interno di quello spazio culturale e giuridico europeo che noi italiani abbiamo concorso a costruire con lo ius publicum, dal quale, come opposizione e come Ulivo, non vogliamo e non possiamo permetterci di restare esclusi.

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Panattoni. Ne ha facoltà.

GIORGIO PANATTONI. Signor Presidente, siamo qui per discutere sul cosiddetto decreto «salva Retequattro». Il titolo altisonante ed importante che è stato attribuito a questo decreto-legge (modalità di definitiva cessazione del regime transitorio della legge 31 luglio 1997, n. 249) sta ad indicare che, alla fine di questa discussione e dopo le valutazioni dell'Autorità per le garanzie nelle comunicazioni, bisognerà prendere una decisione che lo stesso provvedimento considera definitiva. Definitivo vuol dire che o Retequattro continuerà a trasmettere per la vita o andrà sul satellite. Non vi è una terza via, perché non sarebbe definitiva; non vi è una proroga possibile, perché non si tratterebbe di una scelta definitiva. «Definitivo» significa che si chiude una vicenda e ne comincia un'altra.
Il titolo del provvedimento in esame è interessante perché mette in evidenza con quanta decisione la maggioranza e il Governo, questa volta, hanno affrontato tale problema. Noi vorremmo svolgere un'operazione di verità, adoperare un linguaggio semplice e cercare di spiegare agli italiani cosa c'è scritto in questo decreto-legge, qual è il significato delle proposte che vengono avanzate e quali sono le nostre considerazioni al riguardo, affinché gli italiani possano decidere il senso reale, vero e concreto della scelta che questa maggioranza si accinge a compiere.
Il rinvio alle Camere della cosiddetta legge Gasparri ha tolto un pilastro alla costruzione del nuovo sistema televisivo ed ha obbligato il Governo ad adottare un provvedimento per aggirare la sentenza della Corte costituzionale. È chiaro, infatti, che il decreto-legge è una risposta a quella sentenza, la quale stabiliva che al 31 dicembre 2003 Retequattro sarebbe dovuta andare sul satellite: questa era ed è la decisione della Corte costituzionale. La legge inventava un sistema di riferimento diverso che dava risposte anche a questo problema: ora che la legge non c'è più, occorre un decreto-legge.
Secondo questa maggioranza, il decreto-legge risponde alle osservazioni del Presidente della Repubblica contenute nel messaggio di rinvio alle Camere. A nostro avviso, non è così e le modifiche apportate a questo decreto-legge al Senato hanno reso (se fosse possibile) la situazione ancora più confusa ed inaccettabile.
Qual era l'osservazione fondamentale che il Presidente Ciampi ha formulato sulla legge di sistema?


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Sostanzialmente il Presidente della Repubblica ha ricordato che la riforma non produce un effettivo incremento del pluralismo. Questo era il punto di partenza di tutte le considerazioni che successivamente lo stesso Presidente della Repubblica ha sviluppato in una serie di punti. Questo è il parametro rispetto al quale noi dobbiamo giudicare tutti gli interventi operati nel settore radiotelevisivo, compreso quello posto in essere con questo decreto-legge.
Noi abbiamo la sensazione invece che questa maggioranza faccia finta di non aver capito o di non considerare il pluralismo come un valore fondante, oppure faccia finita di non ascoltare il Presidente della Repubblica. Ci sembra che si aggiri il problema con alcune definizioni che sostanzialmente sfiorano l'assurdo ed il ridicolo, quali quella di definizione di rete a copertura nazionale, sulla quale tornerò tra breve; si disegna inoltre un dispositivo di legge indirizzato esclusivamente all'obiettivo di salvare Retequattro. Questa è l'operazione della quale stiamo discutendo: un intervento normativo, attraverso un decreto-legge, compiuto per difendere un'azienda del Presidente del Consiglio dei ministri. Si torna a respirare in questa aula l'aria della legge Cirami, della legge sul reato di falso in bilancio, quella sul rientro dei capitali dall'estero e dei condoni: l'aria di quel malgoverno cui questa maggioranza purtroppo ha abituato gli italiani!
Venendo al merito del provvedimento, perché queste considerazioni non sembrino soltanto di ordine generale, occorre riflettere sulle reti nazionali: per cambiare le carte in tavola, il decreto-legge decide di cambiare la definizione di reti a copertura nazionale. Oggi la legge vigente definisce una rete nazionale quella che copre l'80 per cento del territorio, ossia il 90 per cento della popolazione. Cosa prevede questo decreto-legge? Dal momento che la definizione di «nazionale» sembrava impossibile da realizzare in un lasso di tempo così breve, muta il concetto di «nazionale», prevedendo che una rete venga definita tale se copre il 50 per cento della popolazione, ovvero il 20 per cento del territorio del paese. Pensino gli italiani e decidano loro cosa significa questo concetto di «nazionale» che copre un quinto del territorio del paese! Credo che occorrerà cambiare il dizionario della lingua italiana, laddove per nazionale si intende qualcosa che riguarda la nazione e non un quinto del territorio o la metà della sua popolazione! Peccato che il dizionario è stato appena distribuito urbi et orbi in allegato ai grandi quotidiani ed è già obsoleto, perché il decreto-legge addirittura muta il concetto di «nazionale». Dopo tanto polemica con la Lega Nord Federazione Padana sull'unità «nazionale» e sul fatto di dover stare insieme, oggi si propone per nazionale qualcosa che rappresenta un quinto del territorio o metà della sua popolazione. Si scavalca cioè la Lega Nord Federazione Padana su questi concetti perché fa comodo e perché con questo si riesce a «cucinare» la minestra che serve per salvare Retequattro, in spregio al concetto definito universalmente di «nazionale»; è una forzatura, tuttavia, che deve essere compiuta per far piacere al padrone, e la si fa!
E vengo alla seconda questione: si dice che è sufficiente che il segnale, ovviamente digitale, copra il 20 per cento del territorio nazionale e non che il segnale sia utilizzato dalla popolazione che vive in quel 20 per cento del territorio nazionale (che abbiamo già visto rappresenta un quinto del territorio dell'intero paese).
L'arricchimento del pluralismo è totalmente virtuale e teorico. I cittadini non hanno accesso a quel tipo di informazione, anzi, quest'ultima non esiste proprio. All'obiezione fondamentale del Presidente della Repubblica riguardante l'effettivo arricchimento del pluralismo si risponde che l'arricchimento non c'è. Non è possibile equivocare su tale termine che mi pare estremamente chiaro. Dico ciò perché al 31 dicembre 2003, la data di riferimento della sentenza della Corte costituzionale, nelle case degli italiani di digitale terrestre non vi era traccia. Non vi era una sola


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televisione in grado di ricevere un programma digitale. Altro che arricchimento del pluralismo dell'informazione!
Il decreto-legge dice che l'Autorità per le garanzie nelle comunicazioni deve verificare la condizione di arricchimento del pluralismo. Verificare a quale data? Al 31 dicembre? In corso d'opera? Ad aprile? A marzo? Esiste il concetto di misura senza un riferimento fisico? Si tratta di una misura metrica che va da un punto ad un altro punto, o di una misura temporale? Anche in questo caso, quindi, dovremmo cambiare il dizionario della lingua italiana. Non si tratta di una misura, ma di una stima, di una valutazione, di un pensiero, di un'invenzione, di una simulazione. Non è una misura perché non si sa a cosa riferirla.
Vi è di più: il decreto-legge dice che la misura deve tenere conto delle tendenze in atto nel mercato. In pratica, una misura che di per sé è un valore oggettivo deve tenere conto di una tendenza. A questo punto non è più una misura, ma è un'invenzione! Risulta totalmente evidente che se il futuro della televisione è la televisione digitale, il mercato si muoverà in quella direzione e non nella direzione delle carrozze a cavalli! Quindi, la tendenza è di andare nella direzione del digitale. Allora, che senso ha dire che bisogna misurare la copertura se poi si aggiunge che, tenendo conto delle tendenze in atto sul mercato, tale misura è del tutto superflua? Si invita l'Autorità per le garanzie nelle comunicazioni a dire «sì» qualunque sia la misura al 31 dicembre 2003. È una situazione paradossale! Si manca di rispetto, addirittura, ad un'Autorità indipendente, definendo per legge che le sue misure sono del tutto inutili perché la tendenza del mercato, in qualche modo, risolve il problema.

PRESIDENZA DEL PRESIDENTE PIER FERDINANDO CASINI (ore 15,16)

GIORGIO PANATTONI. Il decreto-legge stabilisce anche che devono esservi programmi diversi da quelli trasmessi con la tecnica analogica. Si tratta di un'operazione molto semplice: basta prendere i programmi trasmessi dalla televisione digitale satellitare, visti da otto-dieci milioni di italiani, metterli sulla televisione digitale terrestre, che non è vista da nessuno, e dire che vi è un arricchimento del pluralismo informativo! Paradossalmente, prendendo un programma visto da otto milioni di persone e mettendolo sulla TV digitale vista da nessuno, si sostiene che, finalmente, vi è un arricchimento del pluralismo informativo. Sfido a convincere di ciò perfino i bambini! Ho già detto in un'altra occasione quale sarebbe la difficoltà, per qualunque esponente di Governo, di spiegare tale concetto in una qualunque scuola: vi è un arricchimento quando si aggiunge alle unità presenti zero... I bambini sono più forti in matematica dei politici e, quindi, ribatterebbero subito che vi è un errore logico.
La maestra lo segnerebbe con la matita blu, mentre la politica accetta questa definizione e tira dritto.
Il decreto dice inoltre che sul mercato nazionale devono essere disponibili i decoder a prezzo ragionevole: sembrerebbe quindi sufficiente che i decoder siano presenti nelle vetrine dei negozi, perché nelle case degli italiani i decoder ancora non ci sono!. Ma, nelle vetrine dei negozi, a quale data devono essere presenti i decoder? Perché se la data è quella del 31 dicembre 2003 (quella prevista dalla sentenza della Corte costituzionale), allora dobbiamo dire che, a quella data, nelle vetrine dei negozi, di decoder non ce n'erano, anche perché non c'era nessuna legge che prevedeva l'acquisto di tali decoder, dal momento che a quella data non c'era la televisione digitale. Questo Governo, infatti, ha fatto fare alla RAI gli investimenti per il digitale senza che vi fosse una legge che lo prevedesse; ha forzato l'azienda pubblica ad effettuare una serie di investimenti, spendendo il denaro dei contribuenti, per dimostrare che vi era una certa copertura al 31 dicembre 2003 al fine di salvare Retequattro. Questo è quello che ha fatto il Governo, ma gli italiani lo hanno capito e lo sanno bene!


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Ma cosa vuol dire costo ragionevole dei decoder? Qual è la peculiarità del sistema digitale rispetto a quello analogico? Qual è l'invenzione? Qual è l'innovazione? È la bidirezionalità, nel senso che il segnale analogico si può solo ricevere e guardare, mentre il segnale digitale si può ricevere, elaborare, restituire e permette anche di colloquiare con chi lo trasmette. Ma, allora, attenzione, perché un decoder che permette la bidirezionalità costa dai 300 ai 500 euro, necessita anche di un'antenna, perché da solo non funziona, e deve essere installato da un installatore di fiducia, il che costa un sacco di soldi. È «ragionevole» il prezzo di tutto questo, per vedere gli stessi programmi che si stanno vedendo in analogico? È ragionevole dire che l'arricchimento passa, in queste condizioni di povertà dell'Italia, attraverso un grande esborso da parte degli italiani? O questa è la solita scelta che premia i ricchi ed esclude i poveri (com'è ovvio che sia, se facciamo una sommaria riflessione)?
Questo decreto-legge, dunque - come mi pare sia estremamente palese -, non sta in piedi, ma deve salvare Retequattro, deve far felici gli italiani, perché - sia ben chiaro - al Presidente Berlusconi non importa nulla di questo decreto: non lo ha discusso, è uscito quando è stato deciso, passeggiava per i corridoi di Palazzo Chigi, si è chiamato fuori dal destino delle proprie imprese; ha solo fatto fare quello che gli serviva.
In conclusione, invitiamo per favore gli italiani, tutti insieme - se siamo onesti -, a non cadere nella trappola della pubblicità che le reti Mediaset hanno fatto di questo argomento, parlando di disoccupazione e del fatto che avrebbero dovuto licenziare 1000 persone. Questi messaggi falsi dovrebbero essere cancellati dalla prassi politica! Perché la televisione digitale, se è vero che moltiplica i programmi e se è vero che aumenta il pluralismo, come voi sostenete, dovrebbe comportare l'assunzione nel sistema televisivo di un sacco di persone e, dunque, indurre una crescita dell'occupazione, anziché una sua riduzione, proprio perché bisogna fare più programmi, bisogna trasmetterne di più, bisogna fare i decoder, bisogna cambiare le televisioni. Dov'è, allora, la disoccupazione che Retequattro sta sbandierando per il mondo? Perché accettate questa falsità e la raccontate agli italiani (insieme al fatto che gli italiani sono diventati ricchi, secondo quanto sostiene il Presidente del Consiglio - sfidando il buonsenso di chiunque -, che dice che è colpa delle massaie se non sanno comprare bene e dicono che i prezzi sono aumentati)?
Dovremmo avere il buon senso di trattare i cittadini per quello che sono e non come fantocci. Smettiamola di raccontare bugie agli italiani, perché non se ne può più! Noi, da parte nostra, crediamo di avere fatto, con molta serenità ma anche con molta durezza, chiarezza sui contenuti del provvedimento in esame: in particolare, abbiamo spiegato agli italiani le misure che lo stesso prevede, il significato che riveste, le bugie che racconta, quali interessi difende e perché, affinché essi possano disporre degli strumenti necessari per decidere bene come votare la prossima tornata elettorale.
Se il Governo dovesse porre la questione di fiducia sul provvedimento in esame, bisognerebbe dire agli italiani che esso, anche se la sua maggioranza dispone di 100 deputati in più, non se la sente di discutere, ma preferisce tagliare corto, ponendo appunto la questione di fiducia. È un'operazione interessante: verrebbe posta la questione di fiducia su un provvedimento che salva una televisione del Presidente del Consiglio. Si chiede agli italiani di dare fiducia a questa maggioranza per salvare una televisione del Presidente del Consiglio: non per operare la riforma del sistema televisivo, non per disegnare il futuro del paese, non per accompagnare l'innovazione tecnologica o, come amate dire, la modernizzazione del paese, ma per salvare una televisione del Presidente del Consiglio!
È un'operazione indecente, inaccettabile e politicamente squalificata. Se dovesse essere posta la questione di fiducia, bisognerebbe davvero dire agli italiani di reagire ad un modo di fare politica che, francamente, deprime non solo i valori per


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i quali ci troviamo in questa sede a discutere, ma anche quel buon senso che fino adesso ha salvato l'Italia da decisioni e da Governi come quello che voi state rappresentando (Applausi dei deputati dei gruppi dei Democratici di sinistra-l'Ulivo e Misto-Verdi-l'Ulivo)!

PRESIDENTE. Non vi sono altri iscritti a parlare e pertanto dichiaro chiusa la discussione sulle linee generali.

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