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PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca il seguito della discussione del progetto di legge, rinviato alle Camere dal Presidente della Repubblica, d'iniziativa dei deputati Mazzuca; Giulietti; Giulietti; Foti; Caparini; Butti ed altri; Pistone ed altri; Cento; Bolognesi ed altri; Caparini ed altri; Collè ed altri; Santori; Lusetti ed altri; d'iniziativa del Governo; d'iniziativa dei deputati Carra ed altri; Maccanico; Soda e Grignaffini; Pezzella ed altri; Rizzo ed altri; Grignaffini ed altri; Burani Procaccini; Fassino ed altri: Norme di principio in materia di assetto del sistema radiotelevisivo e della RAI-Radiotelevisione italiana Spa, nonché delega al Governo per l'emanazione del testo unico della radiotelevisione.
Ricordo che nella seduta del 29 gennaio si è svolta la discussione sulle linee generali.
PRESIDENTE. Ricordo che sono state presentate le questioni pregiudiziali per motivi di costituzionalità Castagnetti ed altri n. 1, Violante ed altri n. 2, Giordano ed altri n. 3 e Boato ed altri n. 4 (vedi l'allegato A - A.C. 310 ed abb.-D sezione 1).
Avverto che la questione pregiudiziale Castagnetti ed altri n. 1 è stata sottoscritta anche dall'onorevole Bressa.
A norma del comma 4 dell'articolo 40 del regolamento, sulle questioni pregiudiziali avrà luogo un'unica discussione nella quale potrà intervenire, oltre ai proponenti di ciascuno degli strumenti presentati, un deputato per ciascuno degli altri gruppi.
Chiusa la discussione, l'Assemblea deciderà con unica votazione sulle questioni pregiudiziali presentate.
L'onorevole Bressa ha facoltà di illustrare la questione pregiudiziale di costituzionalità Castagnetti ed altri n. 1, di cui è cofirmatario.
GIANCLAUDIO BRESSA. Signor Presidente, l'articolo 21, primo comma, della Costituzione recita: «Tutti hanno diritto di manifestare liberamente il proprio pensiero con la parola, lo scritto ed ogni altro mezzo di diffusione». La chiave di volta sta proprio nella parola «tutti» che apre l'articolo 21. Infatti, una cosa è se il «tutti» si riferisce alle manifestazioni del pensiero senza costi, altra cosa è invece se tale termine è riferito alla manifestazione del pensiero che comporta costi, magari altissimi, come nel caso del fenomeno radiotelevisivo. In questo caso, entra in gioco anche l'articolo 41 della Costituzione e il «tutti» si trasforma in «pochissimi».
Da ciò deriva che il combinato disposto dell'articolo 21 e dell'articolo 41 della Costituzione dà luogo ad una sinergia fatalmente restrittiva del diritto di tutti e straordinariamente favorevole ai pochissimi che, di fatto, possono accedere al mercato dell'informazione.
Per tale motivo, proprio al fine di evitare che il potere politico non fosse un'altra dimensione della ricchezza - come, con una felice sintesi, lo ha definito Ronald Dworkin -, un'autorevole dottrina - i professori Esposito, Crisafulli e da ultimo anche Baldassarre - nonché una consolidata e uniforme giurisprudenza costituzionale argomentano che, nel caso in cui i mezzi economici necessari per poter di fatto esercitare una libertà siano ingenti - e dunque a disposizione di pochissimi -, si pone un principio di trasformazione. Pertanto, ad un sistema fondato sulla libertà individuale di stampa si sostituisce un sistema esomorfo, basato sull'idea dell'istituto «libera stampa», laddove la garanzia della libertà è trasformata in una garanzia del pluralismo, tanto sul piano dei rapporti esterni e delle istituzioni operanti nel settore, quanto sul piano dei rapporti interni alle stesse istituzioni. Questa è una citazione del professor Baldassarre.
Il diritto che sostanzia l'istituto giuridico, ispirato al valore della libertà, non viene più in considerazione come diritto individuale, bensì come valore costituzionale inviolabile. La conversione del valore della libertà nel valore del pluralismo comporta che l'intervento del legislatore assuma una valenza non più soltanto limitativa dei diritti dei singoli, ma soprattutto una valenza positiva, volta a rendere possibile e ad assicurare l'effettivo esercizio di quei diritti in conformità del valore costituzionale.
L'esempio tipico di una siffatta conversione della libertà nel pluralismo, ossia della garanzia di un diritto inviolabile nella garanzia di un istituto giuridico di libertà, è dato dalla sentenza n. 826 del 1988 della Corte costituzionale, la madre di tutte le sentenze in materia, tutta incentrata - cito dalla sentenza - sull'imprescindibile esigenza di un'effettiva tutela del pluralismo dell'informazione, che va difeso contro l'insorgere di posizioni dominanti, o comunque preminenti, tali da comprimere sensibilmente questo valore fondamentale.
Principî questi che hanno, del resto, ispirato il messaggio e il rinvio del testo
della legge alla Camera da parte del Capo dello Stato. E di fronte a tutto questo il Governo e la maggioranza come si comportano? Nel peggiore e, ahimè, nel più prevedibile dei modi: ignorando, nella sostanza, la Costituzione, la giurisprudenza costituzionale e il parere del Capo dello Stato. Ciò avviene non solo attraverso una discutibile interpretazione di quali articoli siano interessati dalle osservazioni presidenziali, ma operando un ulteriore capolavoro legislativo. In Commissione, infatti, questa immaginifica maggioranza è riuscita, trasponendo le norme del decreto-legge nella legge Gasparri, ad abolire tutti i limiti antitrust relativi alle emittenti televisive, tranne quelle del famigerato SIC, che pure erano presenti nella vecchia versione del progetto di legge.
Un esempio aiuta a capire. La legge Gasparri abroga completamente le vecchie regole anticoncentrazione fissate dai commi 1, 6 e 8 dell'articolo 2 della cosiddetta legge Maccanico. La verifica sulla diffusione del digitale è, infatti, affidata all'Autorità e si svolge al di fuori di qualsiasi parametro normativo. Con tutte le abrogazioni, il testo della norma che rimane in vigore, in ordine ai provvedimenti dell'Autorità, è il seguente: l'Autorità, adeguandosi al mutare delle caratteristiche dei mercati, adotta i provvedimenti necessari per eliminare o impedire il formarsi delle posizioni comunque lesive del pluralismo.
Questa è la norma che resterà in vigore. In altre parole, è l'Autorità, da sola, che dovrà stabilire che cosa sia lesivo o meno del pluralismo; però, non si dice quali siano i criteri, quali siano i tempi e le modalità e con quali poteri sanzionatori potrà avvenire tutto questo. L'accertamento non è riferito all'effettivo raggiungimento della popolazione da parte delle nuove reti, ma alla sola copertura delle reti stesse. Non c'è, inoltre, un termine preciso entro il quale l'Autorità deve adottare le deliberazioni in ordine alla violazione dei limiti previsti per le emittenti radiotelevisive, con il rischio, quindi, della prosecuzione a tempo indefinito dell'esercizio delle reti eccedenti tali limiti. Non c'è, altresì, alcun potere sanzionatorio diretto, derivante dall'esito negativo dell'accertamento, da parte dell'Autorità. Complimenti! Questo è un eccellente risultato, oltre al danno anche la beffa! E questo è un grande segnale di autonomia di pensiero, di libertà d'azione, di dignità politica da parte dei parlamentari della maggioranza.
Ma, visto che questa maggioranza è inossidabile a qualsiasi norma costituzionale e alla dottrina e alla giurisprudenza costituzionale, forse è più utile scuotervi rammentando quanto scriveva un poeta, John Milton, a Londra, nel novembre del 1644 ne L'aeropagitica (il primo testo della letteratura europea interamente dedicato alla libertà di stampa e di pensiero). Cito testualmente: è la rivendicazione dell'individuo dall'ottusa stupida conformità, cui perennemente aspira il potere.
Se non volete essere politicamente liberi, siatelo almeno dimostrando di avere la stessa dignità che ebbe John Milton quando scrisse quelle frasi.
Lo so, con voi tutto questo è tempo perso. È anche per questo motivo che noi sosteniamo e voteremo a favore della questione pregiudiziale di costituzionalità Castagnetti ed altri n. 1 presentata su un provvedimento che, a nostro avviso, rappresenta veramente la vergogna di questo Parlamento (Applausi dei deputati dei gruppi della Margherita, DL-l'Ulivo e dei Democratici di sinistra-l'Ulivo).
PRESIDENTE. L'onorevole Soda ha facoltà di illustrare la questione pregiudiziale Violante n. 2, di cui è cofirmatario.
ANTONIO SODA. Signor Presidente, onorevoli colleghi, sappiamo tutti che taluno ha definito «parere dei tecnici del Quirinale» il messaggio del Capo dello Stato, e qualcun altro ha definito «arcaiche e preistoriche sentenze» i moniti della Corte costituzionale. Tuttavia, dalla stessa maggioranza sono emersi inviti a cogliere lo spirito e la lettera del messaggio del Presidente della Repubblica, il quale ha invitato il Parlamento, appellandosi alla coscienza e alla sensibilità di ciascun deputato
e di ciascun senatore, a rendere compatibile la legge sul riassetto del sistema radiotelevisivo con i princìpi sanciti dagli articoli 21 e 41 della Costituzione e con le sentenze della Corte costituzionale, che non sono arcaiche o lontane nel tempo, bensì recentissime.
La prima sentenza richiamata dal Presidente della Repubblica è la n. 466 del 20 novembre 2002.
PRESIDENTE. Onorevoli colleghi, vi prego...
ANTONIO SODA. La ringrazio, signor Presidente.
La sentenza n. 466 del 20 novembre 2002 pone quale imperativo ineludibile per il riassetto del sistema radiotelevisivo il superamento dell'attuale situazione di fatto che impedisce il pluralismo e limita la concorrenza, entrambi presupposti per lo svolgimento della vita democratica, per l'esercizio delle libertà e per la garanzia del diritto di informazione.
La seconda sentenza richiamata è la n. 826 del 1988. Si tratta di una pronuncia fondamentale, con la quale si afferma che il pluralismo esterno richiede la presenza di una pluralità di voci e di una pluralità di offerte di informazione, su cui si forma il diritto del cittadino di conoscere e di esprimersi in tutti i campi della vita civile, pubblica, politica, etica.
Accanto a tali fondamentali sentenze della Corte costituzionale, che si richiamano agli articoli 21 e 41 della Costituzione, vi è la normativa comunitaria, a norma della quale l'assegnazione e l'allocazione delle frequenze devono essere fondate su criteri obiettivi, trasparenti, non discriminatori, proporzionati. Si tratta della direttiva n. 2002/21/CE, in particolare dell'articolo 9; della direttiva n. 2002/20/CE, relativa alle autorizzazioni, in particolare dell'articolo 7; e della direttiva n. 2002/77/CE, sulla concorrenza.
Se si opera una lettura del provvedimento al nostro esame alla luce dei principî costituzionali e delle sentenze citati, nonché della normativa comunitaria in materia, riscontriamo alcuni aspetti confliggenti con tali principî.
In primo luogo, il comma 5 dell'articolo 23, nel disciplinare la licenza di operatore di rete, prevede che essa sia rilasciata, su domanda, ai soggetti che esercitano legittimamente l'attività di diffusione televisiva, sulla base di un generale assentimento. Tale meccanismo legislativo produce la cristallizzazione dell'attuale situazione di fatto, e quindi l'elusione del principio per cui il riassetto del sistema radiotelevisivo e dell'informazione del nostro paese deve essere fondato sul superamento dell'attuale situazione di duopolio.
Invece di superare il duopolio, si legifera per consolidarlo, per cristallizzare l'illegale situazione di fatto che si protrae da decenni nel nostro paese e che ha consegnato i principi del pluralismo dell'informazione al dominio non solo di una società ma di una persona.
Il secondo punto, quello che l'Autorità garante ha definito un'anomalia assoluta nel panorama internazionale, si riferisce al Sistema integrato delle comunicazioni. Pur con le modifiche che sono state apportate e che vengono proposte, la presenza nel sistema in questione di settori non omogenei e non contigui non consente di configurare un mercato rilevante che, secondo la dottrina e il senso comune internazionale, è quel mercato nel quale l'utente, il consumatore dei servizi, ha di fronte una pluralità, di servizi e di prodotti che, avendo la stessa natura, lo stesso contenuto, sono suscettibili di una libera scelta. L'avere inserito nel Sistema integrato delle comunicazioni settori, prodotti e servizi di differente natura, di diverso contenuto, fa venire meno la possibilità stessa di esercitare su quel mercato il controllo e la vigilanza per prevenire ed impedire la posizione dominante. Mi riferisco agli articoli 2 e 15 che, appunto, confliggono con gli articoli 21 e 41 della Costituzione.
Quello che è più irrisorio rispetto al messaggio del Capo dello Stato è il contenuto dei suddetti articoli con riferimento al divieto delle posizioni dominanti. In questi articoli è insito un imbroglio legislativo, che si evince da una loro lettura attenta, per la quale rinvio al testo della
questione pregiudiziale da noi proposta. In altre parole, camminando all'interno di questi inganni nominalistici, il giurista arriva alla seguente conclusione: fermo restando il divieto di posizioni dominanti, nei singoli mercati è soppresso il divieto di tali posizioni. In altre parole, si vuole dettare una norma per prevenire ed impedire le posizioni dominanti, ma nello stesso tempo si abroga tutta la disciplina attraverso la quale il Garante per le comunicazioni può pervenire, con i criteri e gli strumenti assegnatigli, a verificare l'esistenza nel singolo mercato, che viene poi aggregato nel SIC, di una posizione dominante da rimuovere o, peggio, di un abuso da reprimere.
Il quarto profilo di illegittimità che vi segnaliamo è la norma di cui all'articolo 25, comma 4, che prevede una ulteriore proroga dello stato di fatto. Sappiamo che una delle condizioni per attuare una riforma del riassetto radiotelevisivo è la rimozione dell'attuale condizione di duopolio, ossia di quella posizione di illegalità cui facevo prima riferimento. Orbene, con l'articolo 25, comma 4, la situazione di illegalità viene prorogata, per effetto del meccanismo dettato per la complessiva offerta dei programmi televisivi digitali terrestri, oltre l'anno 2005.
In altre parole, quello che si doveva impedire, rimuovere e modificare, alla scadenza ultima fissata dalla Corte costituzionale nel 31 dicembre 2003, con legge viene trascinato fino al 2005. Ho sottolineato all'attenzione dell'Assemblea soltanto quattro aspetti, ma se ne potrebbero segnalare altri. Diversamente da altre occasioni, non farò nessun appello alla coscienza distratta dei colleghi della maggioranza. Ad essi, però, noi, come opposizione, diciamo di continuare pure nella loro distrazione, di continuare pure nel loro colpevole silenzio: metteranno a tacere certamente la loro coscienza, ma non metteranno a tacere la coscienza del paese, che presto li chiamerà a rispondere anche di questa illegittima legge (Applausi dei deputati del gruppo dei Democratici di sinistra-l'Ulivo).
PRESIDENTE. L'onorevole Titti De Simone ha facoltà di illustrare la questione pregiudiziale Giordano n. 3, di cui è cofirmataria.
TITTI DE SIMONE. Signor Presidente, onorevoli colleghi e colleghe, la storia del provvedimento in esame è una storia lunga e difficile, ma estremamente emblematica della cultura e dell'impianto politico di questa maggioranza: per l'ennesima volta nell'ultimo anno e mezzo, noi ci troviamo in quest'aula a discuterne. Voglio sottolineare con forza che ciò avviene dopo l'episodio, quanto mai rilevante e significativo, del rinvio del disegno di legge n. 3184 alle Camere, a norma dell'articolo 74, primo comma, della Costituzione, per una nuova deliberazione, come da messaggio del Presidente della Repubblica del 15 dicembre 2003, un atto istituzionale di cui non sembra abbiate voluto minimamente tenere conto. I rilievi di costituzionalità sottolineati dal Presidente della Repubblica toccano le sentenze della Consulta, la n. 466 del 2002 e la n. 402 del 1994.
Questo provvedimento si è proposto di disciplinare l'intero settore radiotelevisivo. Discutiamo, quindi, di una legge di sistema, che dovrebbe porsi come obiettivo quello di corrispondere all'interesse generale dei cittadini e delle cittadine. Non riteniamo superfluo, proprio in questa sede, sottolineare che stiamo parlando dell'interesse generale di tutte le cittadine e di tutti i cittadini.
Il percorso di tale legge è segnato da sentenze costituzionali, dai richiami dell'Autorità per le garanzie nelle comunicazioni, dal messaggio del Presidente della Repubblica; e oggi siamo qui per l'ultimo - solo in senso temporale - degli appelli ad una revisione del provvedimento: il messaggio di Ciampi, che, nella sua funzione di garante della Costituzione, ha invitato il Parlamento a rivedere il testo in esame in quanto contravviene apertamente al principio fondamentale del rispetto del diritto al pluralismo dell'informazione e alla difesa di spazi televisivi liberi, affinché non siano del tutto sottoposti ad esigenze
di mercato, e con la garanzia di un sistema pubblico che possa assicurare realmente un'informazione equa e non di parte.
Le sentenze costituzionali, le indicazioni dell'Autorità garante, il messaggio del Presidente della Repubblica hanno tutti in comune il richiamo ad un maggior rispetto del pluralismo dell'informazione e alla difesa di spazi televisivi pubblici, nonché all'obbligo del legislatore di contrastare la formazione di posizioni dominanti, come indicano gli articoli 21 e 41 della nostra Costituzione. Si tratta di richiami che voi avete completamente disatteso anche in questo nuovo testo - nuovo si fa per dire -, il cui impianto resta per noi inaccettabile perché cristallizza lo squilibrio di una situazione di fatto con una ulteriore proroga di una condizione di illegalità, ormai diffusa in questo settore - pensiamo alla vicenda dell'occupazione delle emittenze -, in riferimento proprio all'articolo 25, comma 4.
Voi continuate a confondere pluralismo e concorrenza, pensando che una maggiore concorrenza sia garanzia di pluralismo. Così, questa «Gasparri parte seconda», licenziata dalle Commissioni trasporti e cultura della Camera dei deputati, ripropone solo un menzognero lifting (di quelli che, a quanto pare, vanno tanto di moda nella compagine di Governo). Si tratta solo di un falso ed inefficace aggiustamento del Sistema integrato delle comunicazioni, che rappresenta il vero cuore ed il motore della cosiddetta legge Gasparri, senza apportarvi, tuttavia, neanche quelle minime precisazioni e quegli adeguamenti che anche esponenti della vostra maggioranza avrebbero richiesto.
Per noi, ovviamente, non si tratta solo del SIC, anche se il giochetto delle tre carte, con cui avete cercato di far «dimagrire» la portata di tale sistema fantasioso, al fine di tacitare critiche e preoccupazioni al vostro interno, la dice lunga sulla filosofia di fondo che vi guida: ottenere tutto il possibile nel più breve tempo, e senza pagarne lo scotto.
Con il Sistema integrato delle comunicazioni, definito opportunamente un'anomalia nel panorama internazionale del settore radiotelevisivo, voi impedite, di fatto, all'Autorità garante per la concorrenza ed il mercato di verificare la sussistenza di posizioni dominanti o di eccessi in quest'ambito. Voi realizzate questo obiettivo inventandovi un sistema delle comunicazioni che, seppur «dimagrito», include settori non omogenei e diversificati, ma tra loro contigui. Ciò non consente, in primis, al cittadino (soggetto primo sul quale si misurano, concretamente, le condizioni di reale pluralismo ed il diritto all'informazione) di avere una possibilità di scelta reale tra diverse opportunità e diversi servizi. In altri termini, voi «ingabbiate» il pluralismo con un'operazione del tutto anomala ed illegale.
La complessa vicenda dell'approvazione del provvedimento al nostro esame testimonia l'estrema importanza e la rilevanza dell'argomento trattato, che riteniamo fondante e centrale nella definizione di un sistema e di una società che vogliamo democratici, pluralisti e garanti dei diritti di tutti. In tal senso, giudichiamo grave ed indicativa la scelta di limitare la discussione alle parti esplicitamente richiamate nel messaggio del Presidente della Repubblica alle Camere, anche perché in tale messaggio si faceva esplicito riferimento alla necessità di affrontarne complessivamente l'intero impianto. Si tratta di una scelta che consideriamo estremamente limitativa e grave. Non voler cogliere l'indicazione generale e limitare la discussione solo ad alcuni aspetti costituisce una forzatura, compiuta da questa maggioranza, che riteniamo inaccettabile.
Signor Presidente, nella vita di un paese il tema dell'informazione assume, sul terreno della costituzionalità e delle regole democratiche, un'importanza che non può che essere elusa. Abbiamo più volte sottolineato (ed intendiamo ribadirlo nel corso della discussione) che il provvedimento al nostro esame vuole portare, nel settore della telecomunicazione, ad una stretta autoritaria ed al consolidamento di un monopolio che vede intrecciarsi pericolosi conflitti di interesse, in primis quello del Presidente del Consiglio, Berlusconi.
Tutto ciò a discapito della libertà di informazione. Siamo di fronte ad un provvedimento incostituzionale, come sostengono le sentenze della Corte costituzionale ed i rilievi contenuti nel messaggio del Presidente della Repubblica, che, in questa sede, sono stati apertamente elusi.
Ma si tratta anche di un provvedimento politicamente immorale. Esso rischia di distruggere la RAI Spa, sostenendo il monopolio di posizioni forti, senza combattere il gigantesco conflitto di interessi di Berlusconi, ma prevedendo, anzi, meccanismi in grado di aggirare ed ignorare proprio quella posizione dominante e quel conflitto. Si confonde la tutela del pluralismo con la tutela della concorrenza, prevedendo un limitato divieto all'abuso della posizione dominante al posto di uno strutturato divieto all'acquisizione e al mantenimento di posizioni dominanti. Si tratta di situazioni che, già di per sé, minano lo svolgimento di una corretta ed imparziale informazione.
Non è certamente un fatto nuovo la nostra totale contrarietà al provvedimento, che costruisce un sistema dell'informazione incostituzionale - dominato e controllato da grandi gruppi privati e da poteri forti, lontano dalle esigenze dei cittadini - allo scopo di mettere la sordina al sempre più crescente conflitto sociale.
Il campo dell'emittenza richiede, in ragione della particolare diffusività e pervasività del messaggio radiotelevisivo, che il pluralismo - questo il richiamo del Presidente Ciampi - sia oggetto di specifica e forte garanzia. Stiamo parlando, onorevoli colleghi e colleghe, del diritto a ricevere ed a trasmettere informazioni; stiamo parlando del riconoscimento della libertà di espressione proclamata dalla nostra Carta costituzionale!
A noi interessa evidenziare e sostenere il concetto per cui il pluralismo, principio garantito dalla Costituzione, al quale vorremmo tendere, è fondato sulle diverse culture esistenti nella nostra società e sulle culture critiche di fondo. Al contrario, qui si vuole un provvedimento che si propone di annullare il servizio pubblico, privatizzandolo. È un disegno organico, di cui questo progetto di legge di sistema si erge a metafora. La libertà vostra è quella di fare quel che vi pare e, soprattutto, i vostri affari, contro un effettivo pluralismo culturale, contro un pluralismo di società nel sistema di informazione pubblica!
Noi crediamo che sostenere l'importanza di un'azienda pubblica, che corrisponda, nella sua gestione, a determinati principi di fondo, sia conditio sine qua non per garantire l'esistenza del pluralismo informativo. Voi, invece, che fate? Volete la diretta dipendenza dagli ordini del Governo dell'azienda RAI; volete rendere l'azienda pubblica del tutto subalterna alle scelte ed agli indirizzi politici del Governo!
Noi consideriamo questo provvedimento illegittimo, incostituzionale, immorale, perché conferma le posizioni dominanti, concentra le risorse pubblicitarie nell'ambito dei poteri forti, cristallizza in modo illegale l'occupazione di frequenze. Con queste pregiudiziali, noi vi invitiamo a fermarvi e ad esercitare la vostra autonomia, prerogativa del ruolo parlamentare, a salvaguardia della Carta costituzionale. Per parte nostra, noi lo faremo, per tutelare le regole fondamentali di una democrazia effettiva, e non ci fermeremo (Applausi dei deputati del gruppo di Rifondazione comunista)!
PRESIDENTE. L'onorevole Di Gioia ha facoltà di illustrare la questione pregiudiziale Boato n. 4, di cui è cofirmatario.
LELLO DI GIOIA. Signor Presidente, rappresentanti del Governo, onorevoli colleghi, mi auguro che questa discussione sulle questioni pregiudiziali di costituzionalità presentate sul provvedimento rinviato alle Camere con il messaggio del Presidente della Repubblica in data 15 dicembre 2003 non sia solo formale. Ciò non soltanto perché sono state mantenute, nel testo al nostro esame, gravi incompatibilità con i principi affermati dalla giurisprudenza costituzionale, ma anche perché ci troviamo ad affrontare una questione fondamentale per il futuro del paese, da qualsiasi maggioranza esso sia governato.
Il Presidente della Repubblica ha ricordato a tutti noi, deputati di maggioranza e di opposizione, come il principio del pluralismo e la libertà di espressione abbiano un valore costituzionale essenziale e preminente. L'ha fatto, una prima volta, con il messaggio inviato nel luglio del 2002; è stato costretto a farlo, una seconda volta, rinviando questo provvedimento alle Camere.
Purtroppo, la maggioranza, nonostante i distinguo verbali tra i suoi componenti, non ha voluto discutere della sostanza di tale richiamo e si è nuovamente blindata, non accettando un confronto sereno ed a tutto campo con l'opposizione, così com'era da augurarsi su temi di tale delicatezza. Questa vostra perseveranza rischia di creare una profonda frattura nella società civile e tra le maggiori istituzioni dello Stato. Questa maggioranza, invece di affrontare le questioni fondamentali per il paese, con il necessario senso dello Stato, sta cercando in tutti i modi di creare un clima di scontro e di confusione, con l'obiettivo preciso di nascondere il fallimento della propria politica interna ed internazionale.
Finché su questo Governo e su questo Parlamento peserà come un macigno il conflitto di interessi che coinvolge l'attuale Presidente del Consiglio, non si riuscirà a stabilire una normale dialettica tra opposizione e maggioranza e l'approvazione della legge che stiamo discutendo non farà altro che approfondire il solco che ci separa dalla realizzazione di una reale democrazia dell'alternanza.
Non solo non avete voluto ascoltare l'opposizione, ma avete sistematicamente ignorato le osservazioni che tutti i settori dell'informazione, dalle Autorità di garanzia all'Unione europea, dagli editori ai produttori, dagli autori alle organizzazioni sindacali, svolgevano nel merito dei contenuti della cosiddetta riforma Gasparri.
I rappresentanti delle piccole e medie televisioni hanno denunciato la situazione di grave crisi che attraversa il settore, in presenza dell'anomalia di un monopolio mediatico assolutamente senza precedenti e confronti. Hanno rimarcato che, stando alla disposizione della presente legge, si rafforzeranno ulteriormente le barriere all'ingresso nel mercato televisivo nazionale, sia di nuovi soggetti sia di quelli attualmente presenti in posizione marginale.
In poche parole, il controllo totale e dominante esistente oggi nel sistema radiotelevisivo e, quindi, sui ricavi pubblicitari non permette ad alcun imprenditore di entrare nel mercato. Quindi, vi è, non solo il problema scottante del monopolio televisivo, ma anche quello, ancora più grave, del controllo di tutto il sistema che ruota intorno all'informazione. La verità è che questa legge, pur con le parziali ed insufficienti modifiche apportate dopo il rinvio del testo da parte del Presidente della Repubblica alle Camere, non fa altro che continuare a difendere e a rafforzare l'attuale situazione dominante e sbarrare il passo con un'ottica totalmente miope allo sviluppo industriale nel nostro paese, a chiunque voglia entrare nel mercato radiotelevisivo.
Prima, attraverso il SIC, avete tentato di aggirare la sentenza della Corte costituzionale n. 466 del 2002 che, come tutti sappiamo, evidenziava come, rispetto alle situazioni esaminate nella sentenza n. 420 del 1994, la situazione di ristrettezza delle frequenze disponibili per le televisioni in ambito nazionale con tecnica analogica si fosse accentuata, con effetti ulteriormente negativi sul rispetto dei principi del pluralismo e della concorrenza, con aggravamento delle concentrazioni.
Adesso, con le piccole modifiche di maniera, state cercando di aggirare sia la pronuncia della Corte costituzionale sia il rinvio del testo alle Camere da parte del Presidente Ciampi. Questo modo di agire non solo non porterà il nostro paese ad un effettivo pluralismo, ma rischia di ingessare e paralizzare un intero sistema, che ha percezione chiara della confusione che avete creato per difendere gli interessi attuali del Presidente del Consiglio.
Il problema è che non si vogliono accettare le regole, i limiti stabiliti da una vera democrazia economica. Non si vogliano determinare le condizioni minime
per tutelare la concorrenza e il pluralismo in un settore, quello delle comunicazioni, così nevralgico per ogni sistema democratico.
Tornando al merito, avete glissato, ignorato alcune delle eccezioni formulate dal Presidente della Repubblica e su altre avete proceduto con piccole modifiche, pur sapendo che i rilievi formulati alla legge per il loro spessore andavano affrontati.
Sul sistema integrato delle comunicazioni, che, anche per molti colleghi della maggioranza, era ed è indigeribile, non avete voluto ricondurre il testo, così come veniva richiesto dall'Autorità di garanzia, a fattori omogenei. Avete nuovamente ignorato i richiami dell'Autorità garante della concorrenza che ne metteva in luce gli aspetti anomali ed unici.
Per le considerazioni fin qui espresse, riteniamo che il testo confermi la violazione degli articoli 21 e 41 della Costituzione in materia di pluralismo e di libertà di concorrenza e che, pertanto, sia stata elusa la richiesta del Presidente della Repubblica di una nuova deliberazione in ordine alla formazione di posizioni dominanti ed al principio di omogeneità che informa le direttive comunitarie in materia. Riteniamo, altresì, che siano stati totalmente elusi i principi costituzionali fissati dalla giurisprudenza costituzionale, sia con la richiamata sentenza n. 466 del 20 novembre del 2002 sia con la sentenza n. 826 del 1988, in cui si affermava che non si può ritenere garantito il principio del pluralismo qualora una nuova disciplina normativa tuteli prevalentemente gli equilibri consolidati nel sistema televisivo e delle comunicazioni fra polo pubblico e polo privato; mi riferisco anche alla sentenza n. 231 del 1985 nella quale la Corte ha quantificato l'introduzione di limiti di controllo del mercato e delle risorse del mercato pubblicitario, con il fine di utilità sociale cui è vincolata la discrezionalità legislativa in materia.
Voglio concludere, signor Presidente, con un invito rivolto ai colleghi della maggioranza. Abbiamo l'occasione per ricondurre il nostro paese sui binari tracciati dai padri fondatori della Costituzione, che, pur non avendo nulla a che fare con il sistema radiotelevisivo, avevano chiari i principi della libertà e del pluralismo. Non buttiamola al vento, riconduciamo questo paese nell'alveo delle democrazie liberali e democratiche.
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