Resoconto stenografico dell'Assemblea
Seduta n. 384 del 5/11/2003
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Nell'anniversario delle manifestazioni di Trieste del 1953 (ore 13,12).

ROBERTO MENIA. Signor Presidente, chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

ROBERTO MENIA. Signor Presidente, vorrei intervenire per ricordare il cinquantesimo anniversario dei caduti per Trieste italiana nel novembre 1953. Il 5 ed il 6 novembre del 1953 sei italiani di Trieste cadevano sotto il piombo straniero inglese, immolando la loro vita per la causa del ritorno di Trieste alla madrepatria. La rivolta di quei giorni nacque per un tricolore strappato; il tricolore d'Italia, in quei giorni, assurgeva a valore emblematico e rappresentava il solo riferimento, il più ambito, il più prezioso e commovente, la patria, l'orgoglio, l'identità di cittadini e di uomini liberi.
Trieste viveva allora un'angosciosa situazione storica e politica (si era formata


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all'indomani dell'ultimo conflitto): l'occupazione della città da parte degli angloamericani, la precedente violenta sopraffazione titina, l'incombere delle conseguenze di un ingiusto Trattato di pace che la voleva separata dall'Italia, confinandola in un assurdo territorio libero, la condizione di una città ancora contesa.
L'ordine del generale inglese Winterton di rimuovere il tricolore dalla facciata del palazzo comunale proprio il 4 novembre, data simbolo dell'unità nazionale, scatenò la reazione di giovani e di anziani, di uomini e donne, di studenti e di operai. Una città intera si unì nella rivolta a difesa del tricolore e del diritto della città a tornare all'Italia.
Cadevano assieme, legati da un comune amore di patria, Pierino Addobbati (14 anni), figlio di un medico di Zara, deportato a Dachau per i suoi sentimenti antinazisti; Francesco Paglia, universitario, bersagliere volontario nella Repubblica sociale, deportato a Borovnica in Iugoslavia; Nardino Manzi, studente di 15 anni, esule da Fiume (a mani nude contro le carabine degli inglesi). Anche un padre di famiglia, Saverio Montano, di Bari, la cui figlia telegraferà alla madre, dicendo: Papà è morto da eroe in piazza Unità. Vi sono anche due marittimi: il cinquantunenne Erminio Bassa ed il più anziano di tutti, Antonio Zavadil (65 anni).
I martiri del novembre del 1953 rappresentano un patrimonio prezioso per Trieste e sono testimoni incontestabili della sua profonda italianità. Il loro sacrificio ha costituito la necessaria premessa perché il 26 ottobre del 1954, a distanza di un anno, Trieste ritornasse all'Italia e l'Italia ritornasse a Trieste. Furono uomini che fecero rivivere in pieno ventesimo secolo stati d'animo, lotte e sacrifici di un rinnovato Risorgimento e possono a buon titolo essere considerati gli ultimi martiri del nostro Risorgimento. Anche per questo, non possono essere eroi dimenticati di un lontano lembo d'Italia, ma patrimonio della nazione tutta.
Mi sia concesso, quindi, di auspicare qui di fronte al Parlamento italiano che il Presidente della Repubblica accolga la richiesta, che proviene dal più antico sodalizio patriottico di Trieste, la Lega nazionale, affinché nel cinquantesimo anniversario del loro sacrificio si conceda la medaglia d'oro alla memoria dei sei triestini caduti per la patria il 5 ed il 6 novembre del 1953 (Applausi).

ROBERTO DAMIANI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà per un minuto di tempo, non di più.

ROBERTO DAMIANI. Signor Presidente, vorrei associarmi pienamente alle parole dell'onorevole Menia.

ETTORE ROSATO. Signor Presidente, chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà per un minuto.

ETTORE ROSATO. Signor Presidente, vorrei associarmi anch'io alle parole dell'onorevole Menia, ricordando questi fatti così importanti nella storia della nostra città di Trieste, ma anche per il nostro paese. Oggi, dopo cinquant'anni, possiamo guardare in maniera diversa la nostra storia, pensando che una zona, che non è più di confine, tra pochi mesi diventerà la patria di una grande euroregione che comprenderà la Slovenia, la Croazia e i tutti paese che si avvicinano ad entrare nell'Unione europea con gradualità.
Pensiamo quindi ad un futuro che sarà diverso anche per quell'area che oggi è ancora una area di confine (Applausi dei deputati del gruppo della Margherita, DL-l'Ulivo).

ALESSANDRO MARAN. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

ALESSANDRO MARAN. Signor Presidente, onorevoli colleghi, vorrei associarmi a quanto detto, ricordando che tra pochi mesi, anche fisicamente, nella vicina città


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di Gorizia verrà abbattuta la barriera di confine che separa le due città, quella di Gorizia e di Nova Gorica; con questo, la nuova area tornerà ad essere non più il baluardo dell'Occidente, area periferica segnata dai contrasti e dalle tragedie del '900, ma la piattaforma per proiettarsi verso la nuova integrazione europea, diventando non soltanto cittadini italiani, ma anche i cittadini d'Europa (Applausi dei deputati del gruppo dei Democratici di sinistra-l'Ulivo).

PRESIDENTE. Onorevoli colleghi, i fatti evocati dal collega Menia richiamano alla nostra memoria il dramma di tanti italiani che vissero la sorte di Trieste, dove alla guerra seguirono due diverse e sanguinose occupazioni straniere per mano delle quali i nostri connazionali ebbero a subire le atrocità dei campi di sterminio e delle foibe.
I cittadini di Trieste, colpiti duramente nei loro affetti e nella loro dignità, aspiravano sinceramente ad un'Italia libera ed unita, ed in quel sincero anelito trovarono la ragione profonda le manifestazioni del novembre del 1953. È stata scritta in quei giorni un'altra pagina drammatica della nostra storia recente, che ha visto il sacrificio di uomini innocenti.
Oggi - e credo che tutti conveniamo su questo - possiamo onorare la memoria di quegli uomini con serenità e senza pregiudizi ideologici, forti del patrimonio comune dei valori della democrazia, della libertà e della giustizia che lega tutti gli italiani nel patto della Costituzione repubblicana. Grazie.

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