Resoconto stenografico dell'Assemblea
Seduta n. 360 del 23/9/2003
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TESTO AGGIORNATO AL 24 SETTEMBRE 2003

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Seguito della discussione del disegno di legge: Conversione in legge del decreto-legge 19 agosto 2003, n. 220, recante disposizioni urgenti in materia di giustizia sportiva (4268) (ore 17,55).

PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca il seguito della discussione del disegno di legge: Conversione in legge del decreto-legge 19 agosto 2003, n. 220, recante disposizioni urgenti in materia di giustizia sportiva.
Ricordo che nella seduta di ieri si è conclusa la discussione sulle linee generali.

(Esame dell'articolo unico - A.C. 4268)

PRESIDENTE. Passiamo all'esame dell'articolo unico del disegno di legge di conversione (vedi l'allegato A - A.C. 4268 sezione 3), nel testo delle Commissioni (vedi l'allegato A - A.C. 4268 sezione 4).
Avverto che le proposte emendative presentate sono riferite agli articoli del decreto-legge, nel testo delle Commissioni (vedi l'allegato A - A.C. 4268 sezione 5).
Avverto altresì che è stata presentata una proposta emendativa all'articolo unico del disegno di legge di conversione (vedi l'allegato A - A.C. 4268 sezione 6).
Avverto che la I Commissione (Affari costituzionali) ha espresso il prescritto parere che è distribuito in fotocopia (vedi l'allegato A - A.C. 4268 sezione 1).
Avverto altresì che la V Commissione (Bilancio) ha espresso il prescritto parere, che è distribuito in fotocopia (vedi l'allegato A - A.C. 4268 sezione 2).
Naturalmente, onorevoli colleghi, avranno luogo diverse votazioni nella giornata di oggi.
Passiamo agli interventi sulle proposte emendative riferite agli articoli del decreto-legge, nel testo delle Commissioni.
Ha chiesto di parlare l'onorevole Mancini. Ne ha facoltà.

GIUSEPPE PETRELLA. Non c'è neanche un membro del Governo (Vivi commenti dei deputati dei gruppi dei Democratici di sinistra-l'Ulivo e della Margherita, DL-l'Ulivo)!


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PRESIDENTE. Ci vuole il Governo. Se qualcuno del Governo c'è, batta un colpo...
Onorevoli colleghi, scusate, credo che fossero fisiologicamente usciti. Ora c'è l'onorevole Pescante.
Prego, onorevole Mancini.

GIACOMO MANCINI. Signor Presidente, nel momento in cui l'Assemblea si appresta ad esaminare il cosiddetto decreto salva calcio ritengo giusto evidenziare come la regola aurea che governa il sistema del calcio poggi sul fondamento che chi fa più gol vince. Quindi, le partite ed i campionati vengono decisi dalle prodezze degli attaccanti e dai salvataggi dei portieri, così come sono rilevanti le mosse tattiche degli allenatori. Tutt'al più, può succedere che siano determinanti, come lo sono state, le cosiddette questioni di centimetri che hanno portato ad annullare gol regolari.
Questo avviene in tutti i paesi, sia in quelli ricchi, sia in quelli poveri. Avviene quando a giocare sono le cosiddette compagini dilettanti, ma deve avvenire anche quando a competere per un titolo siano le società quotate in borsa. Questa deve essere la regola, ma da quando governa il nostro paese l'onorevole Berlusconi in Italia non è più così. Ciò determina una perdita di credibilità nel sistema del calcio a causa dello stravolgimento dei campionati e del fatto che le classifiche vengono falsate da avvenimenti che non incidono sull'andamento della competizione sportiva all'interno del rettangolo di gioco.
I fatti avvenuti quest'estate, purtroppo, non sono un'eccezione, ma la regola. Nel 2002, per la prima volta, i campionati di calcio non sono iniziati regolarmente, ma hanno avuto uno slittamento di due domeniche, di 15 giorni. È successo anche quest'anno, quando il campionato di serie A è iniziato senza che si conoscesse il numero delle retrocessioni dalla serie A alla serie B, e le promozioni dalla serie B alla serie A.
La serie B non è invece iniziata in tempo: il campionato è partito solo dopo un lungo ed estenuante braccio di ferro tra i presidenti delle società, la Lega e la Federazione. Puntuali, invece, sono state - e questa è una novità di cui gli italiani devono ringraziare la compagine di Governo, in particolar modo il Presidente del Consiglio - le bugie espresse da Berlusconi. L'anno scorso il Presidente del Consiglio, in pieno agosto, aveva solennemente dichiarato che la squadra di cui è proprietario mai e poi mai avrebbe acquistato il difensore della Lazio Alessandro Nesta, cosa che, invece, poi è puntualmente avvenuta. Quest'anno, invece, il Presidente del Consiglio, dalla sua villa in Sardegna, ha fatto sapere al nostro paese in maniera solenne che la politica mai sarebbe entrata nel sistema del calcio. Anche ciò è stato puntualmente contraddetto.
Tuttavia, mentre la contraddizione della prima affermazione, quella cioè relativa all'acquisto di un calciatore importante, rientra nel rapporto tra il Presidente del Consiglio e l'etica - che (come gli italiani hanno imparato) è un rapporto assai traballante e conflittuale -, la contraddizione della seconda affermazione ha, invece, per oggetto il decreto che stiamo esaminando. Quest'ultimo rappresenta una vera e propria vergogna per il fatto che, attraverso la sua approvazione e, successivamente, a causa delle decisioni che esso ha comportato, ogni regola è stata cancellata, ogni classifica è stata stravolta e le graduatorie e così i piazzamenti delle singole squadre sono stati riscritti non dai punti ottenuti in classifica, ma dall'introduzione di elementi che avrebbero dovuto, invece, essere distanti dal mondo del calcio, quali ad esempio quello dei bacini di utenza e quello degli imprecisati meriti sportivi.

PRESIDENZA DEL VICEPRESIDENTE FABIO MUSSI (ore 18,02)

GIACOMO MANCINI. Con questo decreto, signor Presidente e signor sottosegretario, è stato introdotto un principio, sul quale è importante riflettere, perché esso ha una certa utilità: il principio secondo il quale nei confronti della giustizia sportiva deve essere garantita una


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certa indipendenza. Però, poi, il passo successivo a questa enunciazione di principio è stato quello di premiare la prima società che aveva invece derogato - superando la giustizia sportiva e rivolgendosi alla giustizia amministrativa - alla regola che oggi viene introdotta. Questo è un elemento sul quale si fonda ed intende dispiegarsi la nostra azione critica nei confronti del provvedimento in esame.
Il motivo di questa contraddittorietà si fonda sul fatto che, al contrario di ciò che ha detto il Presidente del Consiglio - la bugia alla quale poc'anzi facevo riferimento -, con questo provvedimento la politica è entrata nel mondo del calcio. Ed è stata appunto la politica a far salvare una squadra. Non si spiegherebbe in maniera diversa il fatto che il coordinatore di un importante partito della coalizione di centrodestra abbia subordinato il voto favorevole a questo provvedimento al fatto che venisse salvata una squadra della serie B (come puntualmente è, infatti, avvenuto). Sono state, quindi, falsate le classifiche e sono stati introdotti elementi, che avrebbero dovuto invece essere distanti dal mondo e dal sistema del calcio.
Mi esprimo in maniera accalorata per il fatto che queste scelte politiche, oltre a far perdere credibilità all'intero sistema, hanno inciso negativamente anche sulle sorti della città che ho l'onore di rappresentare in questo Parlamento. Anche ciò, ha un significato che è propriamente politico, perché mentre da una parte il coordinatore di un partito importante della maggioranza di Governo faceva sentire la sua voce, dicendo in maniera chiara, forte e perentoria che il suo partito avrebbe votato il provvedimento soltanto se il Catania fosse stato ripescato, dall'altra, il ministro delle comunicazioni, che è un ministro importante, eletto nella regione Calabria, nulla ha fatto per far sì che anche il Cosenza venisse incluso nell'elenco delle squadre che si sarebbero dovute ripescare nel campionato cadetto.
Ciò è grave e rappresenta, ancora una volta, l'inefficienza della classe di Governo prodotta dalla regione Calabria, che lascia un alone di mistero sul provvedimento e, più precisamente, in ordine alle sorti della squadra del Cosenza.
Non si è ancora capito per quale motivo vi sia stata l'esclusione, non si è ancora capito quale sia stato il reale motivo per cui il Cosenza non disputa più il campionato di serie B. Si è parlato di una situazione debitoria pesante, ma i giornali sono pieni di situazioni debitorie altrettanto pesanti; si è fatto riferimento alla vicenda giudiziaria che vede inquisito l'ex presidente della squadra del Cosenza, anche se è doveroso osservare come quella vicenda giudiziaria, iniziata più di sei mesi fa, non abbia ancora prodotto nemmeno la richiesta di rinvio a giudizio da parte della procura che indaga.
Insomma, si tratta di un punto importante sul quale occorre far luce e che il Governo con il suo comportamento e con il varo di questo decreto-legge non ha in nessun modo contribuito a chiarire. Invece, il dato che non sfugge ai cittadini è che, attraverso questo provvedimento, vi è stata ancora una volta un'ingerenza pesante di alcuni settori della maggioranza per tutelare interessi che invece dovevano essere tutelati soltanto nel rispetto del verdetto del campo.
In conclusione - signor Presidente, signor sottosegretario -, questo decreto-legge non ha alcun contenuto innovativo. Gli italiani ormai sono abituati al fatto che il Governo ha introdotto una perdita sempre più rilevante del rispetto della legalità e delle regole; si è iniziato con le cosiddette «leggi vergogna», approvate rapidamente, si proseguirà con l'approvazione dei condoni edilizi e oggi si continua con la proposizione - e ritengo con l'approvazione - di questo provvedimento, che premia l'Italia dei furbi e che non tutela i meriti, che premia chi viola le norme e le regole - anche quelle più elementari, quelle che devono essere rispettate sui campi di gioco - e che invece non tutela i diritti acquisiti.
Per questi motivi, ritengo si debba assumere un atteggiamento fortemente


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critico nei confronti di questo provvedimento (Applausi dei deputati del gruppo dei Democratici di sinistra-l'Ulivo).

PRESIDENTE. Vorrei salutare monsignor Bruno Musarò, arcivescovo e nunzio apostolico in Madagascar, presente in tribuna (Applausi).
Ha chiesto di parlare l'onorevole Carboni. Ne ha facoltà.

FRANCESCO CARBONI. La discussione generale di merito per la conversione in legge del decreto-legge n. 220 del 2003 sulla giustizia sportiva avviene, evidentemente, in un momento per lo sport italiano che da difficile è divenuto tragico.
È già accaduto altre volte ma, tuttavia, mai come ora l'azione del Governo appare lontana, quasi non consapevole della gravità complessiva nella quale si trova lo sport italiano ed il calcio in particolare, del malessere sociale dal quale spesso muovono i problemi, dell'inadeguatezza della classe dirigente federale e societaria, mossa solo da interessi commerciali e da finalità che sono evidentemente, conclamatamente, estranee allo sport, della valorizzazione, purtroppo, degli aspetti mediatici deteriori che svolgono gli organi radiotelevisivi di diffusione ed i giornali.
C'è troppa tensione, troppi (e troppo grandi) interessi, troppe pressioni di gruppi economici mediatici i quali hanno trasferito caos organizzativo e violenza anche nelle espressioni non professionistiche, sconvolgendo, purtroppo, anche la pratica dello sport minore.
Gli organismi dirigenti, del CONI, delle federazioni, si sono dimostrati assolutamente incapaci di affrontare e gestire questi problemi, facendo prevalere interessi di gruppi e di parti, suscitando tensioni nelle organizzazioni societarie e in vasti e vari strati della società.
Questo è il terzo provvedimento che il Governo emana in materia. Il primo, come sappiamo, ha costituito un gradito dono per le società professionistiche, privilegiandole rispetto alle altre società di capitale che operano in altri settori.
Si è connotato quel decreto con un atto arbitrario ed illegittimo che ha violato i principi comunitari, talché il provvedimento è stato censurato sotto vari profili.
Il secondo provvedimento sulla violenza negli stadi, quello con finalità repressive, nulla ha prodotto, poiché gli stadi producono altri morti ed ancora maggiore violenza pur avendo introdotto il principio incostituzionale sulla estensione del fermo di polizia.
Ora, contrariamente ai programmi del Presidente del Consiglio (ma questa non è una novità poiché il Presidente Berlusconi ha regolarmente smentito le proprie dichiarazioni vanificando talora anche le improbe fatiche interpretative dell'onorevole Bondi), il Governo (la politica della maggioranza) entra nel calcio e fa classifica.
Vi è un altro conflitto di interessi: prima il Presidente del Consiglio ha spalmato i debiti del presidente del Milan, ora contribuisce con l'onorevole La Russa, per la parte che gli compete e che ha svolto, a salvare il Catania, a riesumare la Fiorentina, ad introdurre ulteriore illegittimità in un mondo tanto difficile quale quello del calcio professionistico.
A breve, probabilmente, determinerà per decreto la classifica dei marcatori o deciderà, per decreto, le sanzioni disciplinari che dovranno essere comminate per le attività nel campo.
Nel merito - è stato detto e lo ribadiamo - il decreto risente di queste premesse e si connota per i suoi forti profili di incostituzionalità che noi abbiamo cercato di eliminare grazie ai nostri emendamenti, in particolare quelli soppressivi, a cominciare dall'articolo 1 in cui, in particolare, è sicuramente troppo incerta la definizione (che invece è necessaria) del confine tra la competenza della giurisdizione ordinaria e quella del giudice sportivo, per proseguire con l'articolo 3, che è generico e svuota, nella sua genericità, qualsiasi profilo di giurisdizione del giudice ordinario, fino all'articolo 4, laddove si indica il TAR del Lazio quale unico giudice amministrativo a livello nazionale, introducendo un foro speciale, quindi con forti profili di incostituzionalità.


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Mediante i nostri emendamenti, abbiamo cercato di rimediare alle storture presenti nel decreto e combatteremo perché questo decreto, che rappresenta un ulteriore ingerenza - la terza - nel mondo dello sport, venga modificato e si riveli in qualche modo confacente ai princìpi costituzionali.

PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare l'onorevole Rusconi. Ne ha facoltà.

ANTONIO RUSCONI. Signor Presidente, onorevoli colleghi, è difficile trovare oggi parole non inutili, non fragili, non inconsistenti per poter parlare di sport avendo davanti agli occhi la tragedia di Avellino. Quindi, mi sembra opportuno, a nome del mio gruppo ma - penso - a nome dell'intera Assemblea, porgere sentimenti di solidarietà alla famiglia del tifoso deceduto ieri e anche alle forze dell'ordine, aggredite da veri e propri delinquenti che non meritano il titolo di tifosi.
Ritornando al provvedimento in oggetto, non si può non premettere in quale clima esso sia nato e motivato da quali urgenze. Anzitutto, di fatto, il decreto-legge, per ammissione di autorevoli esponenti della stessa maggioranza - si citava prima, ad esempio, l'onorevole Ignazio La Russa -, è frutto di un accordo di Governo, per permettere ad alcune squadre di partecipare ad un campionato per il quale non avevano ottenuto merito sportivo. Lo stesso autorevole personaggio della maggioranza di Governo, in quella occasione, aveva chiesto le dimissioni del presidente Carraro, il quale a sua volta era stato rassicurato dal Presidente del Consiglio in persona.
Allora, vorrei rivolgermi al sottosegretario, onorevole Pescante, di cui conosciamo la competenza e la lunga presenza nel mondo dello sport: quando, in questo provvedimento, parliamo di autonomia dello sport, dopo quello che abbiamo affermato, dopo quello che abbiamo sentito, che valore diamo alle parole «autonomia dello sport»? Lo dico con grande preoccupazione, perché è gravissimo il dato di un'interferenza palese di autorevoli esponenti della maggioranza e dello stesso Governo in materia sportiva, tale da lasciare il dubbio al cittadino tifoso - e, dovrei aggiungere, ad autorevoli opinionisti dello sport - se sia più opportuno avere buoni atleti o adeguate amicizie politiche. Questa scelta ha determinato una confusione tale da bloccare per molto tempo il regolare inizio del campionato di serie B e, di fatto, ha ridimensionato l'autonomia della Federazione gioco calcio e ne ha delegittimato il presidente e gli organi federali.
Dunque, pur migliorato in Commissione, il testo merita il titolo di «papocchio» con cui la stampa sportiva lo accolse per la scarsa credibilità. E, allora, vi è necessità di chiedere al Governo di assumere un impegno certo, anche in termini temporali, per affrontare organicamente la disciplina dell'ordinamento sportivo. Non si può, nel mondo dello sport, continuare a prendere provvedimenti sulla base dell'urgenza e dell'emotività, rincorrendo la situazione senza la volontà di affrontare un progetto organico.
Di fatto, si è concessa al CONI la possibilità di agire in deroga all'ordinamento sportivo, con l'atto di ripescare tre squadre che erano retrocesse e la Fiorentina, forse per una crisi di coscienza, essendo l'unica società che non si era salvata in tempo grazie al provvedimento spalma debiti, su cui il professor Monti, nei giorni scorsi, ha espresso opinioni molto interessanti. Vorrei fare riferimento ad un'ultima decisione: quella dell'interpretazione sul pagamento dell'IVA sui diritti della Coppa Campioni, quasi mancasse a questo paese un ennesimo esempio di conflitto di interessi. Altri, per il mio gruppo, interverranno sul tema specifico della scelta dei giudici e su una logica e auspicata terzietà della stessa.
Siamo, dunque, di fronte ad un Governo interventista che, dalla riforma del CONI in poi, di fatto, calpesta l'autonomia dello sport italiano e fa dell'urgenza mal regolamentata un metodo di lavoro. La conclusione amara che purtroppo devo avanzare in questi giorni, in cui il dibattito politico vaga tra il disegno di legge Gasparri


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ed il condono edilizio, è che questo Governo sbaglia a premiare chi non rispetta le regole nell'edilizia, nella fiscalità, nella giustizia e, da ora, anche nello sport (Applausi dei deputati dei gruppi della Margherita, DL-l'Ulivo e dei Democratici di sinistra-l'Ulivo).

PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare l'onorevole Merlo. Ne ha facoltà.

GIORGIO MERLO. Signor Presidente, debbo dire che sono un po' perplesso ad intervenire il giorno dopo i clamorosi incidenti di Avellino e soprattutto dopo il disastro che questo governo del calcio, figlio legittimo del Governo del paese, ha provocato in queste ultime settimane. Lo dico perché le vicende legate al campionato di serie B, sottosegretario Pescante, non possono essere semplicemente delegate alla incapacità cronica di chi dirige il settore del calcio - e mi riferisco a Franco Carraro -, non possono essere semplicemente appaltate al CONI, che ha semplicemente ratificato un'indicazione che voi avete dato e che a sua volta la Federcalcio ha applicato, ma sono figli di un nongoverno del settore calcistico che avrà pure qualche padre, qualche responsabile. Allora, mi permetto di dire, come già ieri è stato affermato da molti colleghi, come Mosella, Milana e Burtone, che gli avvenimenti che stanno capitando e gli stessi pericolosi avvenimenti che tagliano orizzontalmente la nostra penisola - mi riferisco in particolare alle vicende delle violenze sui campi da gioco e fuori - sono anche la conseguenza diretta di chi in questi due anni si è limitato a fare delle promesse, a indicare delle buone intenzioni, senza farle seguire da atti concreti. Lo dico perché ho la sensazione che noi abbiamo perso una grande occasione per disciplinare lo sport e soprattutto per introdurre qualche elemento concreto di governo del pianeta calcio. In altre parole, ci si è limitati all'emergenza e, purtroppo, a consolidare - questa è la nostra opinione - una situazione di sostanziale oligopolio del mercato e della situazione del calcio. Poche persone, poche società, hanno finito per creare una situazione di sostanziale oligarchia del calcio. Ci sono pochi proprietari, tutti gli altri si limitano ad osservare.
Allora, noi non possiamo non registrare che con questo provvedimento si aggravano i problemi del calcio. Con questo decreto-legge non siamo riusciti, non siete riusciti ad intervenire sugli organi di controllo dei bilanci. Soprattutto, con questo provvedimento, voi rischiate di consolidare gli interessi dei grandi proprietari: altroché parlare di autonomia dello sport rispetto alla politica.
Rispetto a che quello che è capitato con le società di serie B e agli incidenti di questi giorni, che spero, come tutti speriamo, siano circoscritti e finiscano con Avellino - ma sabato notte abbiamo registrato incidenti, purtroppo i più gravi ad Avellino, anche in altre due grandi realtà - va detto che questa è la conseguenza di una situazione di nongoverno che rischia di aggravarsi domenica dopo domenica. Infatti, le vicende legate a delle corsie preferenziali che voi avete indicato non sono finite sabato scorso, ma perdurano ed è inutile che allora il ministro degli interni dica che le gare sospette, che le partite pericolose vanno sospese. Ogni domenica nel campionato di serie B ci sono almeno quindici partite sospette, ci sono almeno, sottosegretario Pescante, venti punti dolenti. Cosa facciamo? Chiudiamo il campionato di serie B? Non lo possiamo fare. Armiamo i campi di calcio? Non è possibile. Militarizziamo le città, blocchiamo i trasporti pubblici? Cosa si può fare se non rincorrere l'emergenza, come voi proponete? In ciò, secondo me, consiste il limite maggiore di questo provvedimento: nel non aver voluto affrontare questo problema con le dovute maniere.
Quando il Vicepresidente del Consiglio, onorevole Fini, in tempi non sospetti, ha indicato per nome e cognome un responsabile di questa situazione, nella persona del presidente della Federazione italiana giuoco calcio, voi non siete stati capaci di sollevarlo dall'incarico. Se non mandate via il massimo responsabile, è inutile poi che ci crogioliamo sul malcostume che


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caratterizza il mondo del calcio. Abbiate il coraggio di allontanare Franco Carraro e di indicare una persona che il mondo del calcio, all'unanimità, ha già indicato: Gianni Rivera. Lo abbiamo già affermato, da questi banchi. Voi non lo volete e non perché sia stato deputato del centrosinistra. Non lo volete perché, probabilmente, Gianni Rivera individua un modo di essere, nel calcio, alternativo a quello predicato e praticato dal signor Carraro e dal signor Galliani. Allora, se tutto ha una coerenza, cominciamo a fare i nomi e i cognomi di chi è responsabile, di chi ha creato questo malcostume e questo nongoverno e di chi, adesso, non riesce più a governare gli effetti collaterali che tutto ciò ha provocato. Certamente, il ministro Pisanu ha ragione quando afferma che ora occorre rincorrere l'emergenza. Tuttavia, su questo tema noi pretendiamo una risposta concreta. Non è soltanto il responsabile dell'ordine pubblico che può metterci una toppa.
Sul tema dell'autonomia dello sport rispetto alla politica, direi che sarebbe opportuno stendere un velo pietoso. Lo affermo affinché sia il Presidente del Consiglio a ribadire che occorre una perfetta autonomia dello sport dalla politica, in questo caso, tra il calcio la politica. Mi sembra sia un fatto grave. Noi ricordiamo ancora quando, all'indomani di una importante partita, lo stesso Presidente del Consiglio, soprattutto per il ruolo che allora rivestiva, pronunciò una battuta sprezzante nei confronti di un commissario tecnico, determinandone il sollevamento dall'incarico. Al di là di questo fatto contingente, abbiamo la sensazione che voi, con questo provvedimento, l'autonomia dello sport dalla politica l'abbiate non soltanto violata ma cancellata. Le conseguenze le possiamo verificare quotidianamente. È inutile, allora, predicare la responsabilizzazione delle società di calcio e, poi, non far seguire a queste indicazioni atti conseguenti, respingendo anche gli emendamenti migliorativi che noi abbiamo proposto.
Un ulteriore aspetto che intendo trattare sarà al centro del dibattito su questo provvedimento, come ieri ha ricordato, con puntualità, il collega Burtone. Questo decreto-legge, infatti, anche se ha consentito di superare alcuni errori che la federazione voleva commettere, alla fine ha sbloccato l'inizio delle gare. È vero, non lo possiamo negare, ma è stato, comunque, il frutto di un compromesso che ha, come centralità, la riconferma di un esasperato principio di autonomia dell'ordinamento sportivo rispetto all'ordinamento giuridico della Repubblica che, pertanto, non tiene assolutamente conto della valenza pubblicistica di specifici aspetti dell'attività sportiva. Noi riteniamo, invece, che debba essere ribadito che le attività delle federazioni sportive, a volte, su alcune materie, presentano profili di rilevanza pubblicistica che non possono essere oggetto di riserva dell'ordinamento sportivo e che devono essere sottoposti, comunque, al controllo del giudice amministrativo. Il tentativo della Federazione italiana giuoco calcio, invece, in questo caso confortata dal Governo, è stato sempre e rimane quello di creare uno Stato nello Stato, nel quale le regole sono applicate arbitrariamente, secondo i casi. Infatti, l'ordinamento sportivo federale, pur essendo dotato di una propria autonomia, non è disgiunto dall'ordinamento statuale. Secondo noi, esso vive all'interno dell'ordinamento statuale ed è tenuto a rispettare i principi e le regole posti nell'interesse pubblico generale per la corretta ed ordinata organizzazione della vita e della attività federali.
È un provvedimento che comunque presenta troppi aspetti che non consentono di affrontare i problemi del calcio. Molti colleghi lo hanno ripetuto e non voglio riprendere le loro argomentazioni: la prima scelta da compiere, e credo che la sua sensibilità di uomo dello sport oltre che di rappresentante del Governo dovrebbe essere spiccata in tal senso, è quella di «raddrizzare» i conti delle società e di recuperare un minimo di saggezza contabile. Non possiamo dimenticare quello che è cominciato all'inizio del campionato di serie A: significativa in tal senso è l'iniziativa che vuole essere introdotta


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da parte dell'UEFA per le squadre che parteciperanno nel prossimo anno alle competizioni europee. Le indicazioni che vengono fornite dall'UEFA potrebbero e dovrebbero essere estese a tutte le società di serie A e di serie B, perché si parla giustamente di certificazione di bilancio e della necessità di azzerare i debiti nei confronti del fisco e degli enti previdenziali da parte dei tesserati. Si parla inoltre opportunamente dell'abbattimento dei costi e di un tetto per gli ingaggi.
Vi è quindi la necessità di avere club più trasparenti che devono essere controllati, quelli quotati in borsa dalla Consob, ma anche da Bankitalia, considerato che le banche determinano grandi flussi finanziari nei riguardi dei club professionistici.
Infine, un'ultima considerazione: al di là delle, a volte, strumentali polemiche sulla Federazione italiana giuoco calcio e sulla composizione dei campionati di serie A e di serie B, occorre prendere atto che il calcio italiano non aveva mai toccato un livello così basso di credibilità e così alto di ingovernabilità.
Cerchiamo di porre un argine prima che la situazione precipiti ancor di più e prima che ogni domenica diventi un poderoso problema di ordine pubblico nel nostro paese. Questo è frutto di un non governo e di un lassismo del mondo del calcio che rischia di contagiare anche altri segmenti della nostra società (Applausi dei deputati del gruppo della Margherita, DL-l'Ulivo).

PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare l'onorevole Alberta De Simone. Ne ha facoltà.

ALBERTA DE SIMONE. Signor Presidente, onorevoli colleghi, credo che quando arriveremo al voto finale per la conversione in legge di questo decreto-legge sarà necessario avere almeno il pudore di modificare il titolo. Occorrerà chiamarlo decreto-legge non sulla giustizia sportiva, bensì sulla ingiustizia sportiva, ovvero su come rendere lecito ciò che non lo è, su come la politica invada un campo che non le è proprio e su come essa avalli una pratica per cui squadre che non avevano raggiunto, attraverso le proprie competizioni sportive le classifiche che dovevano avere, vengono legittimate con deroghe di qualsiasi tipo e genere, come quelle società che avrebbero dovuto disputare lo spareggio e trovarsi quindi in serie C, non disputano lo spareggio e si trovano in altre categorie. Per quale ragione sento di dover denunciare tutto questo? Perché tutto questo crea l'idea, anche nello sport, che non si compete liberamente, non si guadagna con il merito, ma che è possibile vincere servendosi del basso mercato della politica. Questo è un concetto che devasta l'idea dello sport che è diffusa in questo paese. Ho visto che molti colleghi, intervenendo in questo dibattito, hanno fatto riferimento a quanto accaduto sabato sera ad Avellino. Si è trattato di una cosa non degna di un paese civile, assolutamente indecente ed intollerabile: una cosa che avviene come controcanto e come risultato della tanta pubblicità fatta sulle leggi preventive contro la violenza negli stadi.
Vorrei dire con molta pacatezza a questo Parlamento che lo stadio di Avellino esiste dal 1978, ha ospitato le partite di serie A, durante il terremoto del 1980 ospitò le baracche dei terremotati e gli alloggi provvisori e mai, da quando esiste, ha visto sul proprio terreno una violenza come quella che è stata arbitrariamente perpetrata sabato! Francamente, sono ipocrite le dichiarazioni di solidarietà, perché invece ciò che si deve fare è ricercare le responsabilità...

PRESIDENTE. Mi scusi, onorevole De Simone. Se i colleghi che si trovano vicino ai banchi del Governo potessero allontanarsi per consentire al Governo di ascoltare...
Prego, onorevole De Simone.

ALBERTA DE SIMONE. Chiedo al Governo: come mai 300 teppisti armati possono entrare nello stadio scavalcando, senza biglietto, armati di tenaglie di ferro, di catene, di passamontagna di lana (mentre la temperatura è superiore ai 30 gradi centigradi), provvisti di bastoni, di colli di


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bottiglia rotti, sfasciare i bagni e armarsi con pezzi di ceramica? Dove sono stati gli errori? Come hanno potuto tre pullman pieni di questi delinquenti, camorristi organizzati, partire da Napoli non soltanto senza biglietto, ma armati in quel modo e arrivare alle porte dello stadio?
Ho avuto modo di vedere i poliziotti pallidi, colpiti da tutti i lati; sono andata a trovare il vicequestore, il quale, dopo essere collassato a terra a causa di un leggero infarto, è stato colpito a mazzate. Ed ora devo dire, a voce alta, che la tifoseria irpina, che costituiva i due terzi, ha piegato le braccia ed è stata ferma di fronte ad una provocazione continua ed inaudita: se quella tifoseria avesse reagito, sarebbe scoppiata la guerriglia e non ci sarebbe stato soltanto un morto!
Esprimo certamente un gran dolore per quel ragazzo di 19 anni, che ha imitato i delinquenti che prima di lui avevano scavalcato il muro ed erano scivolati su quella tettoia, su cui proprio la sua ingenuità lo ha indotto a saltare. Ma deve essere chiaro che chiunque in quei venti minuti abbia tentato di portare aiuto a quel ragazzo, siano essi poliziotti o volontari delle ambulanze della misericordia, è stato picchiato mentre cercava di raggiungere il ragazzo a terra! Chiunque tentava di avvicinarsi veniva picchiato, ferito, forse ucciso e forse quel ragazzo è stato ricoverato troppo tardi.
Vorrei anche dire che questo Parlamento ha una Commissione per l'infanzia, grande fregio del nostro Parlamento. La popolazione irpina usa ancora andare allo stadio con i bambini piccoli. Nella tribuna di secondo livello, quella a prezzo più economico, c'erano troppi padri e madri con in braccio bambini di due, tre anni che, quando sono stati sparati i lacrimogeni, piangevano ed urlavano terrorizzati. Io lo so per esperienza diretta, per aver avuto la sorte di condividere con le madri irpine quel panico, perché i miei figli, come i loro figli, erano nella curva di fronte! Questa è civiltà?
Vorrei dire cosa penso di tutto questo. Penso che lo sport più amato dagli italiani sia stato venduto alla logica del guadagno (la partita si fa alle 9 di sera perché devono guadagnare le pay TV!), penso che il calcio sia stato svenduto all'interesse di pochi che ci speculano sopra, senza capire il sentimento di quanti, in questa Italia, fanno i muratori o gli operai, però vogliono mangiare gli spaghetti e andare a vedere la partita con i loro figli, e andarci tranquilli, come si va ad un momento di festa.
Questo ha contaminato la coscienza civica del nostro paese. Non ci sono leggi sull'ordine pubblico che possano essere efficaci. Infatti, quei poliziotti dovevano essere armati come i soldati in Iraq per farcela contro quella banda di delinquenti! Non è questo che si vuole, ossia la militarizzazione. No! Bisogna restituire lo sport al sereno e pacifico godimento, contrastando la logica dei condoni, la logica per cui si decidono per decreto-legge classifiche e vittorie, la logica del «tutto svenduto», in questo paese, per denaro e per arricchimento, alle Tv e alle pay TV. Non è possibile che del calcio italiano si faccia questa strage! Discutere una disciplina del calcio significa, in un Parlamento libero, partire da cosa deve essere il calcio in questo paese, perché, oggi, è contaminato dagli affari, dall'intromissione della politica; è contaminato, perché non è al servizio della gente, di coloro che attendono la domenica (perché hanno solo la domenica come giornata di riposo; gli altri sei giorni lavorano) per godersi la partita, ma è al servizio di chi ci deve guadagnare sopra e speculare. Tutto questo deve finire.
Se in una provincia come la mia, considerata immune da camorra e da violenza, si è potuto verificare ciò, vuol dire che il malcostume sta invadendo il paese e noi siamo dalla parte di quelle mamme, di quei bambini, di quelle famiglie che, per due euro, per dieci euro, comprano il biglietto una settimana prima dell'evento sportivo, per vivere un momento di relax e non un momento di inferno, come quello che si è verificato ad Avellino.
Poco fa, abbiamo parlato del disegno di legge Gasparri, altro provvedimento al servizio dei padroni delle TV private. Parleremo


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del disegno di legge finanziaria e dibatteremo di produttività del paese, di costo della vita, forse di welfare, ma non abbiamo mai parlato a sufficienza di cosa sia la coscienza civica di questo paese! Dal Parlamento possono uscire provvedimenti che consentano agli italiani di vivere in un mondo sereno e non in un mondo inquinato dalla logica dell'affare, del denaro e del «tutto è possibile».
Come è possibile che, oggi, ci sia stato un solo arresto? Mi chiedo: uno solo? In trecento hanno partecipato a quella distruzione! Andate a vedere com'è ridotto lo stadio: in quella curva è scoppiata la guerra. Ne è stato individuato uno. Allora, vi è una responsabilità da parte di chi ha fatto partire i pullman da Napoli armati. Ci sono responsabilità da parte di chi non è riuscito a prendere le misure e le contromisure necessarie a non fare entrare questi delinquenti a disturbare la vita tranquilla di una città e di una provincia che si fregiano e si onorano della propria civiltà, che hanno un'antica tradizione montanara e collinare cui teniamo molto. Ma c'è anche la beffa di un solo arresto. E gli altri dove sono, pronti a fare gli stessi misfatti altrove?
Non dico ciò contro qualcuno e tanto meno contro i napoletani, ma perché è interesse dei napoletani che osservano la legge e che sono per bene che non vi sia più tolleranza nei confronti di queste nicchie di criminalità e di violenza intollerabili.
È inutile parlare, o fregiarsi, di politiche nei confronti del sud quando accadono queste cose a scapito di giovani, di ragazzi e, soprattutto, di bambini!
Mi auguro, quindi, che, dopo i fatti gravissimi di cui vi ho voluto parlare, vi sia un ripensamento: un ripensamento sulle leggi che non hanno contrastato nulla - ed un'imitazione, semmai, di ciò che si è fatto in Inghilterra (mi dicono che, negli stadi, vi sono persino i musei per far stare tranquilli i tifosi) e dell'efficacia di quelle leggi -, un ripensamento su questi provvedimenti e sulla faciloneria che li ispira.
Soprattutto, mi auguro che vi sia una restituzione di austerità alla politica. Una politica di austerità e di sobrietà è quella che, non permettendo che il calcio venga asservito alle logiche della speculazione e del guadagno di pochi, siano essi le società o le pay TV, si pone l'obiettivo di farlo ritornare ad essere uno sport per gli italiani semplici, per gli italiani perbene che ne vogliono godere in tranquillità. Grazie (Applausi dei deputati dei gruppi dei Democratici di sinistra-l'Ulivo e Misto-Comunisti italiani).

PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare l'onorevole Bellillo. Ne ha facoltà.

KATIA BELLILLO. Signor Presidente, signor rappresentante del Governo, ho avuto ed ho la fortuna - non so, forse, in questo caso, la sfortuna - di essere anche dirigente di una federazione del CONI. Sono, infatti, membro del consiglio nazionale della federazione pugilistica. Proprio da lì, lavorando insieme ai miei colleghi, alle tante ed ai tanti responsabili delle associazioni che operano nel territorio, ho potuto comprendere come lo sport in Italia sia in crisi.
Colgo, quindi, l'occasione di questo intervento per ragionare su questo decreto-legge in materia di giustizia sportiva adottato dal Governo non solo per dichiarare la contrarietà del mio gruppo, dei Comunisti italiani, ma anche per svolgere un ragionamento, signor sottosegretario, sul problema dello sport in Italia.
Sicuramente, lo sport è in crisi in Europa e nel mondo, ma in modo particolare in Italia. Forse, bisognerebbe andare a rivedere quanto è successo in questo ultimo decennio, come le regole del mercato, appropriandosi della cultura e dell'etica che erano proprie dello sport, ne hanno azzerato il valore sociale. Il mercato ha messo le mani sulle attività sportive. Il mercato decide, appunto, di sponsorizzare le attività, le specialità che tirano di più, come si suol dire, e la maggioranza dello sport cosiddetto minore vive una situazione di angoscia quotidiana. I vari responsabili sul territorio mandano avanti le attività facendo leva sulla grande passione e sull'attaccamento alle discipline alle quali sono spesso vocati.


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Vorrei ricordare al sottosegretario ed ai colleghi parlamentari che nel 2004 si svolgeranno, ad Atene, i giochi olimpici. Sicuramente, quella del prossimo anno è un'occasione importante. Essa ci offrirà l'opportunità mediatica per parlare finalmente di sport e, soprattutto, per il necessario recupero dei valori di tale attività.
Perché? Perché oggi questi valori sono offuscati da scandali, da corruzioni finanziarie, da doping, minacciati da un eccesso di commercializzazione dello spettacolo sportivo che naturalmente sta snaturando la vera funzione sociale ed educativa dello sport. E ancora, presidente Adornato e sottosegretario, vorrei ricordare che il 2004 è stato dichiarato l'anno europeo dell'educazione attraverso lo sport; mi sembra che lei sottosegretario, intervenendo ieri, abbia proposto una conferenza. Ecco allora io credo che forse sarebbe opportuno definire percorsi anche alla Camera dei deputati, nel Parlamento italiano, per lavorare magari attraverso un forum, non solo per contribuire a preparare una proposta d'azione comunitaria su questi temi, ma anche per ridare certezze rispetto a questa importante attività della vita in Europa, ma soprattutto in Italia, per ridare forza allo sport, per ridare allo sport anche il suo ruolo educativo. Infatti, di fronte alle deviazioni commerciali che stanno minacciando, addirittura hanno già inquinato lo sport professionale, azzerando lo sport dilettantistico e lo sport per tutti, di fronte al fatto che queste deviazioni commerciali appannano l'immagine dello sport, noi abbiamo il compito, il dovere morale di recuperare i veri ideali dello sport.
La collega Alberta De Simone ha fatto un intervento che io sottoscrivo, vero, reale, su quello che è accaduto ad Avellino, umiliando una città importante del nostro Mezzogiorno, ma anche una città ricca di cultura, di civiltà, però intanto quel giovane ragazzo è morto, e, mentre accade tutto questo, noi abbiamo l'impressione che il Governo non sa fare altro che inseguire l'emergenza. Lo hanno già ripetuto i colleghi: con tutti i provvedimenti che sono stati portati avanti via via nel corso dell'anno non si risponde invece alla richiesta pressante dei cittadini, che sono tifosi, ma sono anche sportivi, a quella richiesta pressante di giustizia, di equità. Ma di fatto, anche con questo decreto e con tutti i decreti e con tutti gli atti legislativi che sono stati proposti del Governo e approvati a maggioranza in quest'Assemblea, in realtà voi volete salvaguardare soltanto gli interessi dei proprietari, e naturalmente il vostro orientamento viene ribadito anche in questo settore. I potenti, i ricchi, devono essere salvaguardati e i deboli, coloro che hanno le proprie passioni e si spendono per le proprie passioni devono naturalmente subire. Allora la verità è che il calcio professionistico ha di fatto in qualche modo creato le grandi difficoltà all'interno del CONI e le grandi difficoltà in cui versano tutte le attività specialistiche sportive delle federazioni federate al CONI. Il calcio professionistico sempre di meno sembra una sport.
Sottosegretario Pescante, onorevoli colleghi, desidero anche ricordare, dato che non si tratta di un problema secondario, che fra qualche anno ci saranno 500, o forse anche di più, calciatori disoccupati; dobbiamo anche sapere che è vero che tra questi calciatori ve ne sono molti, contesi dalle società di calcio non soltanto italiane, che sono veramente miliardari, ma ve ne sono molti altri per i quali la realtà non è così. Molti club già ora non pagano i contributi e molti giocatori rischieranno di non percepire nemmeno la pensione. Ma allora quando parliamo di calcio, parliamo ancora di sport oppure parliamo di altro? Basterà la passione per questa attività a non far morire il calcio nel nostro paese? Quello che sta accadendo ormai da due anni è abbastanza chiaro: siamo costretti a subire la battaglia sui diritti televisivi e quest'anno, come ha scritto qualche arguto giornalista, abbiamo avuto anche l'avvocato arrampicatore di cavilli. La novità è che ormai il risultato della gara non conta più perché esso può essere stravolto da un tribunale o da una norma varata dal Governo.


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La politica per me e per tanti come me è altro, e cioè la capacità di definire i percorsi che permettano la mediazione anche di interessi e soprattutto la civile convivenza per il cambiamento in positivo. La verità è che invece con questo modo di comportarsi si vuole aiutare chi è più potente, cioè i proprietari.
Dino Zoff, un grande del calcio italiano, una persona di cui sempre ho avuto grande stima, rilasciando qualche settimana fa un'intervista ad un settimanale, ha dichiarato che sa perfettamente, e con lui tanti altri campioni delle generazioni passate, che se avesse giocato in questo periodo avrebbe sicuramente guadagnato dieci volte di più; tuttavia, ha anche aggiunto di aver posto sempre al primo posto l'etica. Ed infatti, questo campione, questa persona seria, questa persona nobile, è fuori dal giro perché ha criticato il sistema e non ha accettato di essere chiamato «indegno» da Silvio Berlusconi. L'etica viene considerata un concetto da Jurassic Park, qualcosa di vecchio e di antico; e qualcuno quando sente campioni come Zoff o altri parlare di etica e riproporre un comportamento etico all'interno dello sport e, quindi, del mondo del calcio ride solo a sentirne parlare.
Ormai si esaspera tutto e si esagera in tutto, e non si riesce a resistere al ricatto commerciale. Io credo, sottosegretario Pescante, che si debba cominciare a dire basta ai mercanti, ai trucchi, ai debiti; dovrebbero giocare soltanto le squadre di società i cui conti sono in regola, e soprattutto dovrebbero iniziare tutte da uno stesso livello in modo che a tutte siano garantite pari opportunità.
Ma dobbiamo farlo, e dobbiamo farlo subito, se vogliamo difendere il calcio e se vogliamo veramente restituirlo ai giocatori e, soprattutto, agli sportivi, al pubblico e ai tifosi, i quali, come ha affermato in precedenza la collega Alberta De Simone, sono le nostre famiglie, i nostri lavoratori, la nostra gente. Essi hanno bisogno di un gioco che sia effettivamente sportivo e non inquinato, anche quello, dall'egoismo del mercato e dalle regole terribili ed indecenti imposte dai mercati.
Vedete, credo che gli sponsor abbiano travolto tutto e che abbiano comprato, assieme alle magliette e ai pantaloncini, anche l'anima dei nostri atleti, e forse anche quella della nostra gente. Pensate che nel calcio, come nella politica, in questi ultimi dieci anni è veramente cambiata anche l'etica e la morale generale; nel calcio, come nella politica, i giocatori - come molti che fanno politica - solo qualche decennio fa ragionavano con la passione e con il cuore, e svolgevano la loro attività atletica perché ci credevano, e perché volevano, per l'appunto, anche offrirsi, in qualche modo, ai tifosi e agli sportivi.

PRESIDENTE. Onorevole Bellillo...

KATIA BELLILLO. E come chi faceva politica...

PRESIDENTE. Il tempo a sua disposizione è finito, onorevole Bellillo.

KATIA BELLILLO. Solo per me vale il rispetto del tempo, scusi?

PRESIDENTE. No, no, vale per tutti!

KATIA BELLILLO. Non sono neanche dieci minuti che parlo...

PRESIDENTE. No, lei ha parlato per 15 minuti e 10 secondi!

KATIA BELLILLO. Allora sto concludendo, signor Presidente, grazie!
Come dicevo, difficilmente i giocatori lasciavano la società e i politici lasciavano il proprio partito; erano legati alla maglia e la gente sentiva che la propria passione per lo sport veniva ricambiata: e che nella politica la rappresentanza veniva garantita: e l'atmosfera era quasi sempre positiva, in campo e fuori.
Ma oggi non c'è passione, si vuole vincere a tutti i costi, sempre, tra le squadre ricche, tra i ricchi, e tutti gli altri fuori dal giro! La differenza di risorse economiche si riflette sui risultati, e molti spesso spendono soldi che non hanno


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incassato! Dunque, non accadrà mai più che squadre come Verona, Cagliari o Sampdoria possano vincere lo scudetto! Io sono juventina, ma devo dire, purtroppo, che spesso sono proprio le grandi squadre, che hanno più soldi, quelle che vinceranno, e questo la gente lo sa, ed è stanca!
Questo provvedimento, allora, è sbagliato, e si configura come un'intrusione nello sport professionistico, senza peraltro tentare di risanare una situazione indecente; anzi, il Governo ha esteso l'autonomia delle dirigenze nazionali del calcio, consentendo, così, l'introduzione...

PRESIDENTE. Onorevole Bellillo...

KATIA BELLILLO. ... di deroghe ed anche l'applicazione di norme in deroga: questo atto è incostituzionale (Applausi dei deputati del gruppo Misto-Comunisti italiani)!

PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare l'onorevole Preda. Ne ha facoltà.

ALDO PREDA. Signor Presidente, signor sottosegretario, credo che la conversione del presente decreto-legge sulla giustizia sportiva ci induca tutti a fare due riflessioni, e ritengo che ambedue le riflessioni siano pertinenti, soprattutto dopo quanto è avvenuto nel mondo del calcio in questi ultimi mesi.
Una prima domanda che tutti si pongono, e che credo venga prima di questo decreto-legge e delle osservazioni da muovere a questo provvedimento, è la seguente: ci sono ancora valori etici nello sport e, soprattutto, in questo fenomeno sportivo che è il calcio? Ciò perché questo tocca e coinvolge aspetti di ordine politico e morale, aspetti relativi alla violenza che in questa sede sono stati denunciati, e non solo a causa dei fatti recenti.
Credo vi sia un problema generale, relativo ai valori che dà questa società, o meglio ai disvalori che offre questo fenomeno del calcio professionistico e che questo sport rischia di trasmettere. Non si tratta di valori etici e sociali, e credo che questa affermazione sia, in questo momento, più che pertinente.
Tuttavia, vi sono interessi economici delle società, vi sono interessi economici concreti legati al mercato e agli stipendi dei calciatori, vi sono interessi economici gestiti male, vi sono truffe (non si sa, alla fine, imputabili a chi), vi sono profitti ottenuti sempre e ad ogni costo.
Questo ce lo ripetiamo - ed è giusto farlo - soprattutto di fronte agli episodi di grave violenza con i quali quest'anno è iniziato il campionato di calcio. Dobbiamo rientrare in un modello culturale di valori ed è in questo quadro che dobbiamo esprimere solidarietà alle famiglie colpite dagli eccessi di violenza.
Vi è, poi, un secondo aspetto meno importante ma che deve essere ugualmente sottolineato e riguarda le problematiche sollevate da questo decreto-legge. Questo provvedimento è stato adottato di fronte ad un'emergenza, di fronte a situazioni che il governo del calcio non è riuscito a governare, di fronte al rischio che il campionato non avesse inizio. E se il campionato non avesse avuto inizio, sarebbero stati messi a rischio elevati interessi economici. Questo decreto-legge è stato adottato, quindi, nell'ambito di una certa logica dovuta all'emergenza di fronte a questi fatti.
Tuttavia, il provvedimento in esame non affronta il vero tema che è quello della revisione della giustizia sportiva, quello dei controlli sui bilanci delle società, quelle quotate in borsa (e questo è grave) ed anche quelle non quotate in borsa. Il provvedimento non affronta il problema di una maggiore trasparenza verso le società ma anche verso le organizzazioni dei tifosi molte volte troppo supportate in vari modi dalle stesse società. Esso non affronta il problema dell'uso e dello sfruttamento dei diritti televisivi, introduce norme sbagliate, inopportune, illegittime e di dubbia costituzionalità.
Correttamente, il collega Filippo Mancuso ha definito questo decreto-legge con poche parole, affermando che lo stesso denota una superficialità di terminologia, una superficialità di assetti normativi e di proclamazioni. Forse, questo è il giudizio


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più giusto e corretto nei confronti di questo decreto-legge. Allora, dobbiamo porci una domanda: cosa facciamo?
Non credo che con questo provvedimento - lo ha riconosciuto anche il sottosegretario - abbiamo risolto i problemi del calcio nel nostro paese. Nei mesi scorsi siamo stati vicini ad un'esplosione. Alcuni presidenti di società, sia di serie A sia di serie B, hanno presentato pesanti denuncie: pochi ne hanno tenuto conto e non ne ha tenuto conto il governo del calcio. Le false fideiussioni hanno denunciato un sistema vigente da anni e credo che abbiano procurato un grave scandalo; non si conosce il colpevole (probabilmente, tra alcuni mesi non ne parleremo).
Gli organi federali hanno preso decisioni che hanno favorito qualcuno e danneggiato altri. Sono state danneggiate società di serie B, di serie C1 e C2; non si è tenuto conto dei meriti sportivi, ma solo di equilibri territoriali o politici.
Potrei continuare, però credo che sia da mettere in risalto come questo modello non crei esempi per i giovani. Questo è un modello falso e sbagliato che si propone alla società e agli appassionati di calcio. Credo che questo modello non possa fermare la violenza che avviene negli stadi e che, anche recentemente, si è verificata nei nostri stadi non solo con qualche grave lutto, ma in una condizione ormai generalizzata. I nostri stadi oggi sono zona franca, dove le forze dell'ordine sono preoccupate, dove gli addetti delle forze dell'ordine rischiano di subire anch'essi la violenza. Ci vuole ben altro!
Non basta ricordare, come ha fatto il sottosegretario Pescante, che i nostri club stanno ottenendo risultati positivi a livello europeo: ciò non significa che il nostro calcio sia sano. Credo che tale memento non sia opportuno davanti a tutto quello che è avvenuto durante l'estate ed in questi ultimi giorni.
Credo sia da denunciare che vi è un governo del calcio fortemente inadeguato ed insufficiente. Purtroppo, non è finita perché nelle prossime settimane e nei prossimi mesi gli effetti collaterali a quanto avvenuto ci saranno e saranno pesanti per la nostra società. Credo che dobbiamo anche denunciare come la politica abbia calpestato, in questi ultimi mesi, l'autonomia dello sport.
Riteniamo che ci voglia un momento di concertazione ampia, di ampia consultazione al fine di predisporre una legge quadro che contenga i principi per una disciplina organica, che ripensi con serietà all'intero settore, che valorizzi l'autonomia dello sport professionistico, che tenga conto dei valori e dell'importanza sociale, ma anche di quella economica, di tale sport in questo momento.
La sensazione è che questo non possa essere, che questo non lo si voglia. Lo sport è in crisi, ma non basta denunciarlo. Per risanare tale settore e per uscire dalla crisi bisogna intervenire in modo organico, bisogna riscoprire la funzione sociale di questo sport ed i valori che esso rappresenta. La riforma senza valori, probabilmente, non serve. Bisogna accompagnarla riscoprendo i valori dello sport che non sono solo economici, non sono solo quelli di un libero mercato senza regole, ma sono relativi alla persona umana, sono nel rispetto delle persone. Infatti, alla fine, anche il calcio è fatto di persone con diritti e doveri che devono essere rispettati. Oggi così non è, e questo è il fatto più preoccupante (Applausi dei deputati del gruppo dei Democratici di sinistra-l'Ulivo).

PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare l'onorevole Burtone. Ne ha facoltà.

GIOVANNI MARIO SALVINO BURTONE. Signor Presidente, onorevoli colleghi, il decreto-legge in discussione è legato alla travagliata fase che ha vissuto il mondo del calcio italiano in questa lunga estate. Per motivi di sintesi, ma anche per chiarezza, riprenderò alcune questioni che considero centrali per il dibattito e che sono state alla base delle polemiche consumatesi all'interno della comunità calcistica italiana.
In primo luogo, tutto ha inizio dall'irregolare partecipazione alla gara Catania-Siena di un calciatore di quest'ultima squadra. In secondo luogo, vi è stata la


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decisione della CAF, l'ultimo organo di istanza della giustizia sportiva, di assegnare, per l'errore commesso dal Siena, il risultato di 3-0 al Catania con conseguente permanenza del club etneo nel campionato di serie B. In terzo luogo, il paradossale intervento successivo, mai verificatosi in precedenza, della Corte federale di annullamento della decisione della CAF e di retrocessione del club calcio Catania in serie C 1. Infine, la presentazione da parte della società etnea di un ricorso al TAR che ha riconosciuto subito la permanenza della squadra catanese, anche in soprannumero, nel campionato di serie B 2003-2004 senza determinare, però, danno per altre squadre con la sottolineatura dell'intangibilità della decisione di ultima istanza della CAF.
Ho voluto fare questa ricostruzione puntuale dei fatti per dire che quanto avvenuto non è stato determinato da una società di calcio, ma dal presidente della federazione calcistica e dai responsabili della giustizia sportiva.
Costoro, con una serie di sentenze discutibili e di grossolani errori - riteniamo alcuni commessi in malafede - hanno portato alcuni responsabili di club calcistici a superare la clausola compromissoria e a ricercare giustizia negli organi della giurisdizione amministrativa. Pertanto, lo scontro si è realizzato tra chi, ipocritamente, più volte ha parlato di salvare l'autonomia della giurisdizione sportiva e chi, invece (la società, i tifosi, la città), ha cercato di evitare l'ennesima ingiustizia.
Voglio opportunamente ricordare, anche come parlamentare della città di Catania, che la squadra del Catania è stata radiata, dieci anni fa, dai campionati professionistici per aver presentato con un solo giorno di ritardo le fideiussioni; peraltro, fideiussioni vere e non «taroccate», come è stato dimostrato quest'anno per altre squadre, che non hanno subito gli stessi effetti e le stesse conseguenze che subì all'epoca la squadra del Catania.
Sarebbe bastato, quindi, un poco di buonsenso e meno arroganza da parte dei vertici federali, che a tratti hanno avuto anche atteggiamenti ritorsivi, minacciosi ed intimidatori, nei confronti di alcune istituzioni e dell'intera comunità. In queste condizioni di pieno caos abbiamo assistito anche ad un tentativo grossolano da parte del Presidente del Consiglio di difendere il proprio fido collaboratore Galliani, presidente della Lega calcio, e Carraro, presidente della Federcalcio. L'impegno che sollecitava il Presidente del Consiglio, cioè un invito perentorio verso il mondo politico a fare in modo di lasciare separati sport e politica, ci è parso, come dicevo, grottesco, perché veniva rivolto da un Presidente del Consiglio che ha sempre messo conflitti di interessi in tutte le materie che lo hanno interessato. Così anche nel calcio, perché sappiamo che il Presidente del Consiglio non può parlare di separare il calcio dalla politica, visto che oltre ad essere Presidente del Consiglio è anche presidente di una squadra di calcio. Ricordiamo ancora una sua battuta, qualche anno fa, a Rimini, quando egli parlò - quasi volendo simulare l'uomo di Stato - della necessità di calmierare i costi nel mondo del calcio, mentre all'indomani diede il via ai propri dirigenti per acquistare un calciatore, che sappiamo in quella stagione di mercato venne supervalutato e supercomprato.
Riteniamo allora che si sia trattato di un invito assolutamente improprio. Peraltro, subito dopo, il Presidente del Consiglio ha cambiato - come ci ha abituato più volte - atteggiamento, linea. Ha cambiato rotta di 180 gradi, probabilmente preoccupato di ciò che stava avvenendo per l'ordine pubblico e per l'influenza sulla propria immagine. Così il Consiglio dei ministri ha varato un decreto-legge che ha determinato, soprattutto all'interno delle forze della maggioranza, un comportamento particolare, che vogliamo sottolineare: una sorta di corsa a legittimare pseudo meriti. Abbiamo visto il coordinatore di Alleanza nazionale, l'onorevole La Russa, subito marcare l'appartenenza verso una squadra, verso una tifoseria, verso una città. Riteniamo si tratti di un intreccio maldestro tra politica, sport e territorio; un senso del peggiore localismo


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che ha di fatto reso ancora più difficile la condizione del calcio italiano. Noi abbiamo rigettato questo tentativo strumentale e questo interesse alla continuità tra calcio e politica.
Se ci siamo battuti - e lo abbiamo fatto - è perché non volevamo concessioni, perché non volevamo subire arroganze, perché volevamo legalità e che, nei confronti del Catania calcio, non si applicassero norme anomale, utilizzate ad hoc per penalizzare una squadra ed una città. Quindi, abbiamo tentato di fornire il nostro contributo per avviare in maniera serena i campionati, per evitare traumi e scontri.
Dunque, questo decreto-legge, anche se alla fine ha evitato alcuni errori che la federazione voleva compiere nei confronti di alcune squadre e ha sbloccato l'inizio delle gare, è senza dubbio frutto di un compromesso che ha quale aspetto centrale la riconferma di un esasperato principio di autonomia dell'ordinamento sportivo rispetto all'ordinamento giuridico della Repubblica e che, pertanto, non tiene per nulla conto della valenza pubblicistica di specifici aspetti dell'attività sportiva. Occorre invece ribadire che l'attività delle federazioni sportive, a volte e su alcune materie, presenta profili di rilevanza pubblicistica, che non possono essere oggetto di riserva dell'ordinamento sportivo e che vanno comunque sottoposti al controllo del giudice amministrativo.
Quindi, questo decreto-legge, anche se ha risolto il problema dei campionati, anche se ha determinato il superamento di alcune ingiustizie, presenta ancora sotto il profilo tecnico-organizzativo gravi problemi che ci portano ad affermare che, in fondo, può essere considerato un palliativo, una toppa.
Noi, più responsabilmente, riteniamo sarebbe stato più opportuno porsi i problemi complessi presenti nell'organizzazione del mondo del calcio, che è divenuto sempre più un'industria corrosa - lo ripetiamo - dal conflitto di interessi, dal lassismo delle federazioni. Infatti, un clima di capitalismo selvaggio rischia di trasformare lo sport più seguito dagli italiani in un grande business, in cui il gioco e il piacere vengono soppiantati dai profitti, in cui le società sono diventate aziende, in cui vincere un campionato non è soltanto una questione che appartiene alla gloria sportiva, alla felicità dei tifosi, ma diventa sempre più un collegamento con il fatturato, con le quotazioni in borsa.
Il nuovo calcio, quindi, rischia di essere drogato da giochetti finanziari speculativi, da faccendieri spregiudicati. La prima cosa da fare è dunque quella di raddrizzare i conti delle società, recuperando un minimo di saggezza contabile. Significative in tal senso sono le iniziative che saranno introdotte in primavera dall'organizzazione calcistica europea (la UEFA): la necessità della certificazione di bilancio; l'azzeramento dei debiti; l'abbattimento dei costi con tetti di ingaggio nonché la necessaria presenza di club più trasparenti, sottoposti al controllo della Consob - nel caso di club quotati in borsa - e della Banca d'Italia, visti gli ingenti flussi finanziari che dalle banche affluiscono ai club.
Infine, vorrei svolgere ancora alcune considerazioni. La Lega nord, in Commissione, ha preteso l'inserimento nell'articolo 2 del comma 2-bis, che contiene una norma volta ad escludere dalle scommesse e dai concorsi pronostici di squadre controllate da uno stesso proprietario. Questa norma è già vigente - lei lo sa, signor sottosegretario - nei regolamenti ed è limitata a squadre che partecipano allo stesso campionato. Condividiamo tale disposizione nei termini in cui viene applicata oggi, mentre ci sembrerebbe sbagliata un'eventuale estensione con riferimento a squadre che militano in categorie diverse. In questo caso, non se ne comprenderebbe il significato.
Perché se così fosse, se si intendesse bloccare la proprietà per squadre che concorrono in campionati diversi, si metterebbe in crisi - lo sappiamo tutti - innanzitutto la gestione di alcune società che militano in alcuni campionati e che hanno residenza nelle aree del Mezzogiorno.


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Queste squadre non avrebbero la possibilità di operare cambi dirigenziali facili. Infatti, la crisi economica che vive il Mezzogiorno è confermata anche in questo settore! Le squadre meridionali che militano in campionati professionistici sono di proprietà di soggetti imprenditoriali esterni a quelle realtà e non credo che sarebbe semplice trovare delle alternative.
Certamente, sappiamo che si tratta di una sorta di colonizzazione anche da parte di alcune rappresentanze imprenditoriali nei confronti del Mezzogiorno ma la condizione è questa e intendo affermare queste cose perché faccio appello innanzitutto ai parlamentari del sud, che seguono e hanno seguito queste vicende, affinché essi sappiano che se dovesse rimanere nel testo questa norma, ad essere penalizzate saranno innanzitutto le società calcistiche del Mezzogiorno.
Infine, al di là delle strumentali polemiche sulla FIGC e la composizione dei campionati di serie A e serie B, bisogna prendere atto del fatto che il calcio italiano non aveva mai toccato un livello così basso di credibilità: la dirigenza federale si è dimostrata inadeguata!
Questi dirigenti sono gli stessi che hanno vissuto la vicenda del doping, dei passaporti falsi, delle retrocessioni e, quindi, delle fideiussioni.
Sappiamo che, nel mondo del calcio (dello sport in generale), bisogna innanzitutto giudicare partendo dai risultati: i risultati sono questi e ne debbono prendere atto, anzi, ne deve prendere atto innanzitutto il presidente Carraro, il quale ha avuto in alcuni momenti un atteggiamento inqualificabile: un presidente che, ipersfiduciato dalle squadre di serie A e serie B, con arroganza si avvita alla propria poltrona! Lo ha già affermato il collega Merlo ma intendo ripeterlo.
Per il futuro è necessario un commissariamento super partes.
Ci sono uomini di prestigio nel mondo del calcio, che potrebbero sicuramente attuare una gestione migliore anche rispetto alle sfide che appartengono al futuro (Applausi dei deputati del gruppo della Margherita, DL-l'Ulivo e dei Democratici di sinistra-l'Ulivo).

PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare l'onorevole Santino Adamo Loddo. Ne ha facoltà.

SANTINO ADAMO LODDO. Signor Presidente, onorevoli colleghi, sottosegretario Pescante, avverto un certo imbarazzo nel prendere la parola su questo provvedimento alla luce di quanto è avvenuto nei giorni scorsi e della tragedia che si sta consumando ad Avellino.
Intendo essere solidale con la collega De Simone la quale mi ha preceduto e ha parlato non solo in qualità di illustre parlamentare ma anche come mamma. Sottoscrivo totalmente quanto detto, così come esprimo lo stesso apprezzamento per le parole del collega Burtone sulle problematiche dello sport.
A seguito della tragedia che si è consumata ad Avellino, vi è imbarazzo perché è difficile discutere di questi argomenti estrapolandoli dalla realtà nella quale viviamo ma è impossibile non discutere di ciò che avviene del mondo del calcio senza ricordare le cose che abbiamo fatto, che ci siamo detti e quelle che avete detto voi.
Ricordo ciò che è stato affermato in Commissione nei giorni scorsi: su questo decreto-legge, l'atteggiamento del Governo e dei relatori è di limitarsi ad un intervento tecnico per l'avvio dei campionati; è l'ennesima occasione persa per discutere di sport, del calcio in particolare e di ciò che non funziona in questo importante settore della vita sociale (ma, vorrei aggiungere, anche di una certa cultura del nostro paese)!
È un'occasione sciupata. Continuate nelle vostre posizioni. Continuate. E dire che abbiamo ragione. Le illustrerò successivamente. In ogni caso, dite che interverrete, qualora - è questa la novità degli ultimi minuti - tali interventi rientrino nei termini della delega ricevuta dal Governo. Se ciò non accadrà, cari relatori, non se ne farà niente. Sorge, allora, il dubbio che, in realtà, anche questa volta non si intenda


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intervenire e si voglia continuare a considerare il calcio qualcosa che, pur visto da molti, appartiene a pochi.
In premessa, non posso non formulare un messaggio di solidarietà nei confronti della famiglia del ragazzo napoletano. Non posso non solidarizzare con quei ragazzi - non abbiamo visto le immagini televisive? Certo che le abbiamo viste -, inseguiti da una folla inferocita, presi a sprangate e a calci di fronte all'intera opinione pubblica nazionale ed internazionale. La mia solidarietà va anche alle forze dell'ordine, che hanno subito la stessa angheria di una violenza grave ed assurda. Questo non è più sport. È una vera guerriglia.
A questo punto propongo ciò che ha detto un grande personaggio quando era sottosegretario per l'interno. Mi riferisco all'illustre senatore a vita, Presidente emerito della Repubblica, Luigi Scalfaro. Egli disse: tutte le società di calcio devono pagare da sé per la propria sicurezza, assumendo personale specializzato, come fanno tutte le altre società e le banche. Quindi, non vedo il motivo per cui non debbano farlo le società di calcio. Non deve essere il cittadino a pagare di tasca propria. E il personale delle forze dell'ordine venga utilizzato per altri compiti, per la prevenzione e per la tutela della persona, per l'intera collettività e non soltanto per lo sport. Bene ha fatto il presidente del Cagliari calcio, Cellino - mi onoro di essere un suo corregionale -, perché è l'unica persona che ha tenuto testa, naturalmente anche con tutti gli altri personaggi di serie B, oggi detti, nobilmente, cadetti da parte dell'opinione pubblica. E bene ha fatto un altro illustre ...

GIULIO CONTI. Sei un ultrà tu!

SANTINO ADAMO LODDO. Parlo di tutti gli altri presidenti. Però, voglio parlare anche di Zola, che è rientrato in Italia, nella nostra Sardegna, per cercare di (Commenti)...

PRESIDENTE. Onorevoli colleghi. Non facciamo le tifoserie, però!

SANTINO ADAMO LODDO. Sto dicendo che Zola ha fatto bene a rimarcare che le società di calcio attingono i loro professionisti dalle società minori, dai vivai. Quindi, ecco per quale motivo spero che, assieme agli altri di serie B - come ho detto poc'anzi -, venga menzionato (Commenti del deputato Giulio Conti) ...amici della maggioranza, avviamo una riflessione seria: non si può più andare negli stadi, perché si rischia di venire travolti ed ammazzati. L'avete già visto. Non è il primo caso. Ricordo anche il famoso carabiniere a Genova (Applausi dei deputati del gruppi della Margherita, DL-l'Ulivo e dei Democratici di sinistra-l'Ulivo).

PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare l'onorevole Cialente. Ne ha facoltà.

MASSIMO CIALENTE. Signor Presidente, onorevoli colleghi, signor sottosegretario Pescante, il calcio è uno sport bellissimo, che accompagna la vita di gran parte di noi e dei nostri concittadini, che vede milioni di ragazzi praticanti nelle squadre dilettantistiche - ma, forse, tutti noi, appena possibile, cerchiamo di tirare due calci ad un pallone -, che detta i tempi delle domeniche e, spesso, delle settimane, che anima le chiacchiere al bar, che provoca gli entusiasmi per un gesto atletico e la rabbia per un risultato andato male o per un gol sbagliato. Ebbene, da alcuni anni, il mondo del calcio sta subendo una mutazione genetica: si sta cancellando il valore sportivo, che appare sfuocato e che, forse, ritroviamo soltanto nel gesto atletico di un calciatore. L'aspetto sportivo ha un interesse relativo.
Si è trasformato sempre più in uno show, in un business, in un grande affare. Le cause sono tante, ma emerge il dato di un processo che ha visto il calcio divenire forse il vero cuore dell'affare delle pay TV, il grande affare delle TV commerciali: ricordiamo come, in fondo, nasce il grande fenomeno Mediaset, con un Mundialito e una crisi del Governo Craxi. Questo processo non è stato guidato e non è stato assistito, soprattutto in questi ultimi tempi, ed oggi noi viviamo le conseguenze di tutto ciò.


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Società indebitate con bilanci falsi, acquisti folli di calciatori fuori bilancio, tutta una serie di abusi e non abusi più o meno sanati da qualche legge approvata da questo Parlamento, i rapporti interni della Federcalcio dettati solo da interessi economici, scontri di interessi violenti sui diritti televisivi, cordate di presidenti di società l'una contro l'altra armata, pochi grandi club ormai raccolti nel sogno di una lega professionistica, non dettata oggi dai valori sportivi - lo sappiamo tutti - ma solo da quello che si ritiene essere il potenziale pubblico e quindi la potenziale domanda da parte delle pay TV: quindi una lega delle grandi città, delle città con tanti emigrati sparsi per il mondo, mentre le squadre provinciali, che possono essere anche brave, capaci di esprimere un bel gioco e di fare una sana politica societaria, saranno destinate ad un altro tipo di calcio. Si tratta di un mondo ormai ingovernabile, privo di regole non dico sportive e di lealtà, ma persino - signor sottosegretario lei lo sa quanto me - del rispetto delle stesse norme federali del calcio, come anche di quello dell'ordinamento delle società per azioni vigente in questo paese.
Un mondo a sé, ormai un olimpo, che non risponde di niente e di nessuno, che rivendica la sua autonomia. Ricordate, colleghi, a metà del mese di luglio come da parte della Federcalcio si rivendicava l'autonomia rispetto ai TAR e rispetto a tutto: un'autonomia però strana, perché poi ogni tanto si bussa a soldi, con la vergogna del decreto spalma debiti - che ora è al vaglio della Commissione europea perché sospettato, rispetto alle norme comunitarie, di essere un illecito intervento -, bussa a pareri del Ministero dell'economia e delle finanze per quanto riguarda l'IVA sulle partite giocate in coppa UEFA, come è stato recentemente per la squadra del Presidente del Consiglio, oppure si fa risolvere i problemi dal Governo come è successo con questo decreto-legge. Ricordo benissimo, ho seguito con molta attenzione, la vicenda del calcio e della Federcalcio di questo periodo. Si diceva «fuori la politica dallo sport»: sono passati pochi giorni ed è arrivato questo decreto-legge che sconvolge il mondo del calcio. Ne ha sconvolto i valori, i rapporti, quel patto che comunque, cari colleghi, è sempre esistito e resiste e che vediamo anche quando i ragazzini giocano in un cortile, in un campetto, in una piazzetta, dove si accertano poche regole: non si tocca con la mano, non si fa punizione, il portiere può prendere la palla con le mani, non l'attaccante, e vince chi fa un gol in più. In altre parole, il risultato è il campo: tutto questo ormai è sconvolto. Sono entrate in campo altre logiche, non si ritornerà più come prima.
Da oggi questo è cambiato rispetto ad altre logiche: si sono composti altri interessi o, signor sottosegretario, si sono dovuti comporre altri interessi. I ripescaggi, a mio avviso, strani - al di là del gloriosi colori di qualche squadra ripescata -, lasciano pensare che si sia reso necessario andare quasi a compensare cose successe prima, a tacitare eventi accaduti prima, nel momento in cui sono emerse le irregolarità gravissime che si sapevano. Forse alcune scelte non sono state dettate dall'idea di recuperare qualche squadra che ha molto pubblico e che si auspica prima o poi che vada in questa lega professionistica: no, è stato fatto così forse perché erano successe cose inenarrabili prima, quando qualcuno pagava e qualcuno no rispetto ai debiti e così via.
Non è bello quello che affermo ma si tratta di una sensazione che provo da un po' di tempo. Credo che questo Governo stia intaccando profondamente uno dei gangli vitali del nostro paese. Apportando qualcosa di negativo, getta ombre sui sentimenti profondi del paese, sugli stessi valori alla base di un patto che ci lega tra noi, che ci ha legato in questi anni e lega ciascuno di noi allo Stato, sulla Resistenza, sulla nostra storia, sull'assetto istituzionale, sul rapporto tra le istituzioni, sulla solidarietà, sul concetto stesso di uguaglianza, in questo paese, su quanto si è costruito nella sanità, sulla scuola e sui diritti al lavoro. Oggi, è toccato anche al calcio, a questo patto che esisteva e che ci vedeva litigare per un calcio di rigore o un


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calcio di punizione non concessi. Poi, tutto passava: ci si divideva rispetto ai colori ma, spesso, si trattava di chiacchiere, di un modo di prendersi in giro. Tutto questo non c'è più. Anche questo, come tante altre cose, esce intaccato, rovinato e, direi, anche sporcato. Questo è accaduto al calcio e si tratta di una storia molto brutta, di un fallo a gamba tesa, sanzionabile con l'espulsione e la squalifica per molto tempo.
Tuttavia, c'è un aspetto che voglio sottolineare, signor sottosegretario. Nel mese di agosto abbiamo assistito all'esplosione di uno scandalo gravissimo nella storia del calcio, che ha un nome ben preciso: Covisoc. È stata scoperchiata una pentola maleodorante, più che un nido di vipere, un nido di animali più piccoli, quelli che si usano per andare a pesca. So che lei è uomo di sport e io la stimo per questo. Però, onorevole Pescante, come può venire in questa sede, a difendere questo decreto, di fronte a questa vergognosa vicenda della Covisoc, quando c'è chi sapeva, con 36 ore di anticipo rispetto alla sera del 31 agosto scorso, in cui si è riunito il consiglio federale, che c'erano fideiussioni false, denunciate da un revisore dei conti della lega di serie C - come risulta dagli organi di stampa - il quale si era precipitato a Roma per avvertire dell'esistenza di alcuni problemi. Si è fatto finta di nulla.
Ebbene, non siamo qui a chiedere teste. Non spetta a noi. Noi crediamo nell'autonomia dello sport. Noi non chiediamo commissariamenti perché crediamo ancora che lo sport abbia una sua autonomia. Ma è possibile, signor sottosegretario, che questo mondo, questo gruppo di uomini al di sopra di ogni regola, non abbia sentito il dovere di chiedere le dimissioni almeno di una tra le persone che sapevano, tra i vertici della Covisoc o tra i vertici della Federcalcio, come gesto di rispetto nei confronti di milioni di sportivi e di questo ramo del Parlamento che, oggi, sta discutendo di questo decreto?
Credo che sarebbe stato un atto dovuto. Purtroppo, la mancanza di esso getta una luce sinistra. Credo che, purtroppo, anche in questo momento, anche in questo settore, marginale rispetto a temi gravissimi dei quali abbiamo discusso poc'anzi, come il disegno di legge Gasparri, esista un gravissimo conflitto di interessi che riguarda il nostro Presidente del Consiglio. Non mi riferisco alla circostanza che egli è il presidente del Milan, una squadra simpatica per la quale, quando gioca in campo internazionale, molti di noi tifano convintamente. La verità è un'altra: esiste, ormai, un intreccio di complicità, di interessi, di storie, di fideiussioni false o non arrivate in tempo, di contributi ENPALS non pagati. Tutti sanno e si parla, o non si parla, a seconda di questa rete di interessi, di chi può e di chi non può. In questa rete c'è anche lo stesso Presidente del Consiglio, che forse è stato uno degli artefici di questi problemi. Credo che proprio questa sia una tra le ragioni per le quali, difficilmente, con questo Governo si potrà intervenire in un settore come quello dell'intero CONI nel cui ambito, oggi, numerosi sono gli sport in crisi. Assistiamo a divisioni, separazioni e a disavventure come quelle del tennis, rispetto alle quali siamo impotenti, di fronte a questo scontro di cordate.
Una mancanza di capacità di gestire lo sport italiano, facendone anche un momento nel quale molti giovani possano riconoscersi, soprattutto nella sua funzione educativa. Come pensate che chi ha figli in giovane età che fanno sport viva la visione di queste vicende che sporcano lo sport e soprattutto il calcio?
Mi avvio a conclusione dicendo ciò che ha richiamato un esponente del centrosinistra molto più autorevole di me: credo che dovremo fare un grande lavoro per ridefinire questo settore, come tanti altri più importanti, quali l'industria, la sanità e la scuola.
Credo tuttavia, e lo dico con la stima che nutro nei suoi confronti, che con questo decreto-legge si sia intaccata la credibilità di questo mondo, che difficilmente potrà essere reintegrata.
Se il CONI e la Federcalcio non troveranno il coraggio di individuare uomini validi, amati e rispettati, non ne usciremo. La notte terribile che è scesa sullo stadio


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Partenio di Avellino, con quelle scene orribili che hanno ferito tutti gli italiani, rappresenta anche una conseguenza di questa perdita di ogni valore dello sport. È difficile richiamarsi al senso dello sport quando si sentono i commentatori dire che bisogna parlare di pallone giocato, quando poi sappiamo cosa c'è dietro (Applausi dei deputati del gruppo dei Democratici di sinistra-l'Ulivo)!

PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare l'onorevole De Franciscis. Ne ha facoltà.

ALESSANDRO DE FRANCISCIS. Signor Presidente, signor rappresentante del Governo, onorevoli colleghi, prendendo la parola anche a nome dei miei colleghi del gruppo Misto-UDEUR-Popolari per l'Europa, vorrei farlo leggendo, insieme con voi, un commento pubblicato oggi sulla prima pagina del principale quotidiano del Mezzogiorno d'Italia, Il Mattino, a firma di una delle intelligenze più vive ed attente del nostro Mezzogiorno, Bruno Forte. Egli scrive oggi: «Davanti alla morte di Sergio, il ragazzo caduto sabato sera dagli spalti dello stadio di Avellino prima della partita con il Napoli, lo sgomento è pari al bisogno di silenzio, di pudore e di prossimità a quanti lo hanno amato, di preghiera. Occorre però anche riflettere su quanto è avvenuto in quello stadio subito dopo l'incidente che ha spezzato la sua giovane vita, affinché la sua morte non risulti vana e possa aiutare tanti giovani come lui a pensare e a scegliere. Se mi avevano commosso le parole dei suoi amici, che mescolavano strazio e speranza, fede e desiderio di vivere, mi hanno invece ferito nel profondo le parole dell'ultrà che ha colpito i poliziotti e dice di averne goduto e di non provarne rimorso».
Da questo inizio, Forte sviluppa un ragionamento nel quale paragona l'incidente di sabato ad Avellino ad una lunga giornata che chiudeva invece tre giorni di lavoro tra i giovani amanti e amici della filosofia, che si erano tenuti nella settimana della filosofia a Modena, con le conclusioni che io riprenderò alla chiusura del mio intervento.
Mi ha colpito questo modo di presentare la questione drammatica di sabato scorso, ed unisco il cordoglio e la solidarietà del mio gruppo a quelli espressi dai colleghi dei diversi gruppi intervenuti questa sera, perché ho l'impressione che quello che è accaduto la scorsa estate, con il decreto-legge proposto dal Governo nei giorni intorno a ferragosto, analogamente a tante altre questioni che da questi banchi abbiamo sollevato in questi due anni di legislatura, mostri un oggettivo strabismo, una sorta di ragionevole schizofrenia nei comportamenti del Governo presieduto dall'onorevole Berlusconi.
Infatti, qui adesso stiamo iniziando la discussione sulla conversione in legge di un decreto-legge presentato nei giorni immediatamente a ridosso di ferragosto - e, per le questioni che diremo nel merito e che sono già state dette, di discutibile o perlomeno di opinabile approccio -, nella stessa estate che nel paese si è caratterizzata come l'estate degli incendi, ancorché legati naturalmente ad una ondata di caldo eccezionale, l'estate che ha mostrato tutta intera la inadeguatezza delle risorse energetiche del nostro paese e in cui il paese ha vissuto per la prima volta il morso doloroso dell'inflazione (che di fatto continua ad aumentare anche dopo i mesi estivi).
Come dicevo, c'è questa costante schizofrenia nei comportamenti del Governo, il quale, da una parte, ha rinfacciato più volte all'opposizione di non fare interventi propositivi, nascondendo invece la realtà - basterebbe seguire tutta la ricca e abbondante documentazione parlamentare per vedere che, nel lavoro delle Commissioni e di quest'Assemblea, l'opposizione invece è sempre prodiga di suggerimenti e di indicazioni perché vuole collaborare - e, dall'altra, sceglie, in questo difficile esercizio, che è un'arte, del governo, di cedere poi di tanto in tanto alla tentazione di cambiare le regole del gioco.
Credo, infatti, che il decreto-legge che stasera è al nostro esame per la sua conversione in legge riproponga all'attenzione del paese - sicuramente di quest'Assemblea - una questione di fondo: la


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costante tentazione di cambiare le regole durante la partita. Se questo poi si applica allo sport, sottosegretario Pescante, e allo sport più amato dagli italiani, che è il calcio, lei capisce che quella che oggi ha raccolto in quest'aula nei primi interventi non è un'opposizione pregiudiziale, quanto piuttosto il dare voce - e siamo in Parlamento - ad una sincera e fondata preoccupazione.
Io non sono una persona che abitualmente pratica lo sport; non ho bisogno di ricercare il favore delle tifoserie e dunque lo sanno i miei amici in privato, lo condivido con voi in quest'aula. Ma non v'è dubbio che, come ogni italiano, io segua lo sport, ami lo sport, pensi e abbia sempre pensato che lo sport sia un elemento fondamentale nell'educazione dei giovani (cosa in cui peraltro mi sono irrobustito in oltre 20 anni di pratica pediatrica, di pratica clinica al servizio dell'età evolutiva). Un fatto è certo: se si stabiliscono le regole del gioco e si inizia un cimento sportivo, non c'è nulla di più diseducativo, non c'è nulla di più distruttivo che cambiare le regole.
Ora, noi abbiamo visto questo - era l'assunto da cui partivo - su una serie di temi fondamentali nella vita del paese. Il sottosegretario Pescante, entrato da poco a far parte del Governo, avrà sicuramente apprezzato nei primi mesi di questa legislatura la scoperta, ad esempio, di un tentativo di cambio delle regole in materia economica nel nostro paese. Come molti italiani che hanno seguito la televisione, egli avrà sentito parlare ad un certo punto di un buco, di un buco enorme, di una voragine che fortunatamente in questi due anni - avrà notato - non è più stata imputabile nientemeno che a scellerate azioni di governo, ma che invece era una interpretazione soggettiva unilaterale dei dati economici.
La stessa tentazione, avrà notato il sottosegretario Pescante, è venuta quando, poco meno di un anno fa, davanti a certi dati dell'ISTAT che non sembravano convincere, qualcuno ha avuto la geniale idea - dalla sua parte, dalla parte del Governo - di provare anche a cambiare un po' le regole della statistica, per fare in modo che se ad un certo punto uno è più basso di un metro, diciamo che il metro non è più un metro ma è 90 centimetri, e quella persona di 90 centimetri sarà alta un metro. La stessa cosa, sottosegretario Pescante, sta avvenendo in queste ore per le pensioni, perché mentre da una parte, in qualunque sistema pensionistico - sicuramente in quelli occidentali - tutto il sistema si regge sulla fiducia e sulla collaborazione tra le generazioni, senza mai mettere in discussione ciò che si è conquistato, come lei ben sa in queste ore si sta pensando di giocare - e si sta giocando - la partita sulle pensioni, modificando le regole del gioco ancora una volta.
Ora, in questo agosto, l'agosto torrido della crisi energetica, degli incendi, dell'inflazione che comincia a morsicare le famiglie italiane, il Governo doveva esercitare con senso di responsabilità quella che appunto è l'arte difficilissima del governo e cioè il dovere di entrare in qualche modo a regolare la questione che stava oggettivamente uscendo dagli argini. Ma davanti alla necessità - e poi dirò qualcosa nel merito - di dire comunque una parola (e siamo al 20 di agosto, un periodo che solitamente si distingue per non essere il periodo della massima produttività di atti governativi e legislativi nel nostro paese), ecco ancora una volta la tentazione invincibile di mettere uno zampino anche nelle regole.
Faccio esplicito riferimento al comma 5 dell'articolo 3 - su cui torneremo durante l'esame delle singole proposte emendative -, nel quale, mentre si assume, comunque, un'opzione (opinabile quanto si vuole, ma comunque si esercita legittimamente la responsabilità del Governo), si introduce qualcosa (molti e più competenti di me si sono diffusamente soffermati su ciò) riguardante la possibilità di dire: considerato che c'è una situazione straordinaria, modifichiamo le regole. Dunque, il messaggio che arriva, non solo ai tifosi che, in varia maniera, più o meno colorata, si sono espressi dopo il decreto-legge del 20 agosto, ma anche ai giovani di questo paese, a tutta la collettività nazionale,


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è che viene meno una regola certa che almeno io, che non ho mai praticato professionalmente o agonisticamente il calcio, ho sempre conosciuto, ossia che, al termine di ogni partita, sia pure ai tempi supplementari, sia pure ai calci di rigore, un fatto è certo: si sa chi ha vinto e chi ha perso.
Dopo il 20 agosto, si è scoperto che chi aveva perso (mi riferisco alla retrocessione in altri gironi o in altri campionati, non in quello di prima fascia, quello della serie A), di fatto, si ritrova ripescato. Ma - lo ripeto - altri più bravi e più competenti di me hanno parlato di ciò.
Il fatto che alcune squadre retrocesse siano state promosse mentre si entrava in questioni di merito che attengono alla giustizia sportiva ha determinato (questo, secondo me, è il dato politicamente, eticamente e moralmente più rilevante di questa discussione), nel paese e in tutti quelli che hanno sempre creduto o credono nelle regole e nel gioco dello sport, una delusione che ha effetti diseducativi, valoriali e morali che, secondo me, sono difficilmente sanabili.
D'altra parte - e qui vengo al merito del provvedimento -, anche l'approccio del Governo alla questione della giustizia sportiva è opinabile, perché, nel momento in cui è stata fatta una scelta, ossia quella di lasciare tutta intera alla giustizia sportiva la competenza delle questioni sportive, si è determinata la seguente situazione: le sanzioni disciplinari sportive, in qualche modo, si configurano come una pena nei confronti della quale il cittadino sportivo o l'ente sportivo o la società sportiva non può tutelare i propri diritti soggettivi in nessun altro modo che non in quello.
Questo decreto-legge, in sostanza, stabilisce che gli sportivi tesserati presso le società sportive debbano limitarsi, per disposizione di legge speciale, ad adire solo gli organi di giustizia dell'ordinamento sportivo, comprimendo (naturalmente ad opinione di chi legge, dunque, mi assumo piena responsabilità) il diritto alla tutela giurisdizionale che è un principio fondamentale del nostro ordinamento generale; ciò è perfettamente coerente, signor sottosegretario (lo dico perché vedo il sottosegretario scuotere la testa) con quanto avete fatto. Infatti, mentre normavate in tema di giustizia sportiva, ipso facto in ipsa re, avete modificato le regole del gioco, chiamando in serie B squadre un po' più sbilenche che non erano riuscite a rimanere in serie B. A chi ci si appella? C'è un decreto-legge che stiamo per convertire in legge e si è parlato di situazioni straordinarie.
Più volte, ci è stato detto: basta con i processi, pensiamo a giocare al calcio, viva lo sport, dimentichiamo tutte le beghe. Ma dietro questa apparenza - che, peraltro, condivido pienamente e sono certo che anche la mia parte politica la condivide pienamente -, il decreto-legge nasconde un pericolo ancora più grave dell'emergenza che tenta di affrontare, ossia (è emerso dal dibattito di questa sera) che il mondo dell'economia sportiva, il mondo già citato delle fideiussioni, delle garanzie reali e fittizie - sulle quali, finora, nonostante lo sforzo di tante Commissioni di inchiesta e di tanti scandali, nessuno che io sappia, almeno a leggere i quotidiani di oggi, sta indagando, forse la giustizia ordinaria che sta indagando su certe garanzie e fideiussioni - il mondo dei bilanci societari, dei contratti di acquisto e di vendita, dei contratti dei lavoratori (parlo anche dei diritti dei lavoratori dipendenti delle società sportive, dei diritti della loro salute), il grande mondo dello sport rimanga, signor sottosegretario, segregato nel mondo ristretto della giustizia sportiva, senza consentire a chi lo voglia di tutelarsi presso il giudice naturale, chiedendo quella giustizia che, di solito, ad ogni altro cittadino nel paese è data.
È come se, dal 20 agosto 2003, nella torrida estate in cui il paese ha mostrato di non avere risorse energetiche, in qualche modo si sia anche detto - ope legis - che vi è tutto un mondo, di fatto tra lo spettacolo e gli affari, nel quale la giustizia ordinaria non deve entrare.
Ancorché non faccia parte di quel numero di politici, o di persone impegnate in politica, che parla della ossessione berlusconiana, come cittadino e come uomo


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accorto che vive la vita del paese, non mi sfugge che il Presidente del Consiglio dei ministri, Capo di questo Governo e capo del partito di maggioranza relativa, della maggioranza che governa, vive la propria esperienza imprenditoriale anche nel mondo del calcio e che, in questo modo - anche in questo modo -, ha trovato una maniera per tutelare con urgenza alcuni interessi pubblici o privati, non necessariamente suoi personali, ma sicuramente del mondo che egli conosce e nel quale egli opera, con ricadute, purtroppo, su tutti quelli che hanno creduto o credono nello sport.
Mi avvio alla conclusione, signor Presidente, recuperando il contributo che ho già citato, comparso sul principale quotidiano del Mezzogiorno, Il Mattino di Napoli. Attraverso il paragone che tratteggia in maniera forte i fatti di stupida, inspiegabile, ingiustificabile violenza accaduti ad Avellino domenica scorsa e questa massa di giovani e meno giovani che hanno vissuto, a Modena, per tre giorni, la passione di un dibattito per pensare, si appalesa, in sostanza, l'immagine di un paese diviso tra pensanti e non pensanti. Credo sia responsabilità del Governo - e sono certo che nel Governo siedono uomini e persone responsabili - quella di aiutare il paese...

PRESIDENTE. Onorevole De Franciscis...

ALESSANDRO DE FRANCISCIS. ... che fa fatica a pensare a fare lo sforzo di pensare.
Allora, dietro lo sport, dietro questo decreto-legge che la Camera si appresta a convertire in legge, dietro tutto il dibattito che ci ha inchiodati per un mese e mezzo, questa scorsa estate, distraendoci ancora una volta, come, peraltro, è precipuo compito del circus mediatico al quale siamo ormai condannati, vi è la speranza che la discussione di queste prossime ore possa servire ad un ripensamento. Se tale ripensamento, tale ravvedimento, fatto per essere tutti più propensi a pensare non dovesse avere successo ...

PRESIDENTE. Onorevole De Franciscis...

ALESSANDRO DE FRANCISCIS. ... dovrei unirmi a quanti, prima di me, hanno detto che tutta la nostra speranza, allora, è quella che, tornati al Governo, possiamo lavorare meglio di quanto, nonostante la vostra buona volontà, che però non è sufficiente, avete potuto fare voi.

PRESIDENTE. Grazie, onorevole De Franciscis.
Se nessun altro chiede di parlare sulle proposte emendative...

PAOLO SANTULLI, Relatore per la VII Commissione. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

PAOLO SANTULLI, Relatore per la VII Commissione. Signor Presidente, desidero fare alcune precisazioni, atteso che abbiamo ascoltato tantissimi interventi che, naturalmente, hanno molto poco parlato di questo decreto-legge e che, invece, si sono riferiti genericamente ad una serie di questioni che noi anche vogliamo trattare, vogliamo comprendere, vogliamo sottolineare, ma che riteniamo di dover spostare in altra sede.
Ho la necessità di chiarire alcune questioni. Ho sentito parlare molto, in questa fase del dibattito, della situazione di Avellino. Ne abbiamo parlato anche noi, però non è possibile criminalizzare anche da questi banchi alcune tifoserie. Ad Avellino, si è trattato, essenzialmente, di teppisti che non hanno niente a che vedere con lo sport. Anche se tali teppisti, probabilmente, erano napoletani, sicuramente non si trattava di tifosi napoletani. Questo lo dobbiamo dire perché i tifosi napoletani li conoscono tutti: sono quelli che, per anni, hanno seguito con passione il calcio.
Inoltre, desidero osservare, signor Presidente, con riferimento alle questioni trattate, che, rispetto a questo decreto-legge, si è parlato di un'invasione della politica nello sport. Ma ...


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PRESIDENTE. Onorevole Santulli, la sua pensavo fosse una precisazione breve, in realtà si tratta di una replica. Lei piuttosto dovrebbe dare il parere sugli emendamenti.

PAOLO SANTULLI, Relatore per la VII Commissione. Il parere è contrario su tutte le proposte emendative presentate però, signor Presidente, mi riservo di riprendere questa discussione in un altro momento.

PRESIDENTE. Avrà occasione nel corso della discussione sugli emendamenti.

PRESIDENTE. Il Governo?

MARIO PESCANTE, Sottosegretario di Stato per i beni e le attività culturali. Il parere è conforme a quello espresso dal relatore.

AURELIO GIRONDA VERALDI, Relatore per la II Commissione. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

AURELIO GIRONDA VERALDI, Relatore per la II Commissione. Signor Presidente, anche io volevo dare la mia opinione sui pareri. Il parere è contrario su tutti gli emendamenti soppressivi. Sugli altri con i quali si propongono delle riforme c'è l'invito al ritiro, altrimenti il parere è contrario.

PRESIDENTE. Quindi i due relatori hanno pareri diversi. Questo è un caso abbastanza inedito.

PAOLO SANTULLI, Relatore per la VII Commissione. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

PAOLO SANTULLI, Relatore per la VII Commissione. Presidente, sono d'accordo con il collega Gironda Veraldi. In sostanza c'era qualche emendamento sul quale noi avevamo concordato l'invito al ritiro, sono stato io che ho anticipato i pareri. Preciso che siamo d'accordo.

PRESIDENTE. Potreste indicarmi di quali emendamenti c'è l'invito al ritiro? Spero con il consenso dell'altro relatore.

AURELIO GIRONDA VERALDI, Relatore per la II Commissione C'è l'invito al ritiro degli emendamenti Pisapia 2.3, Milana 2.7, degli articoli aggiuntivi Pisapia 2.01, Pisapia 2.02, Pisapia 2.03, Lolli 2.04, degli emendamenti Pisapia 3.6 e Giancarlo Giorgetti 3.4, dell'articolo aggiuntivo Guido Giuseppe Rossi 3.01 e dell'emendamento Guido Giuseppe Rossi Dis. 1.1, altrimenti il parere è contrario.

PRESIDENTE. Il Governo conviene anche su questa seconda versione?

MARIO PESCANTE, Sottosegretario di Stato per i beni e le attività culturali. Sì, signor Presidente.

ANTONIO BOCCIA. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

ANTONIO BOCCIA. Signor Presidente, ai fini del resoconto della seduta le chiedo di riassumere il parere espresso dal relatore.

PRESIDENTE. Il relatore ha invitato i presentatori al ritiro delle seguenti proposte emendative: Pisapia 2.3, Milana 2.7, Pisapia 2.01, 2.02 e 2.03. Lolli 2.04, Pisapia 3.6, Giancarlo Giorgetti 3.4, Guido Giuseppe Rossi 3.01 e Dis. 1.1. Per queste proposte emendative, nel caso in cui l'invito al ritiro non venga accolto, il parere del relatore è contrario.

ANTONIO BOCCIA. Chiedo di parlare sull'ordine dei lavori.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.


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ANTONIO BOCCIA. Signor Presidente, lei ha fatto una sintesi dei due pareri espressi dai relatori oppure ha scelto uno dei due pareri?

PRESIDENTE. Ho chiesto il consenso dell'altro relatore su questa versione.

ANTONIO BOCCIA. Quindi, questa è la versione definitiva dei pareri.

PRESIDENTE. Sì, quella convenuta, onorevole Boccia.
Il seguito del dibattito è rinviato ad altra seduta.

ANTONIO SERENA. Chiedo di parlare per una precisazione.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

ANTONIO SERENA. Signor Presidente, intervengo per segnalarle che nell'ultima votazione, effettuata a scrutinio segreto, risulta erroneamente espressa la mia astensione. Desidero ora precisare che non era mia intenzione astenermi, ma che avrei voluto esprimere un altro tipo di voto.

PRESIDENTE. Sta bene, la Presidenza ne prende atto. Le segnalo tuttavia, onorevole Serena, che nelle votazioni a scrutinio segreto non vi è indicazione del tipo di voto che viene espresso.

ANTONIO SERENA. Per la verità, Presidente, l'astensione viene indicata.

PRESIDENTE. Ho capito, onorevole Serena. Lei figura come astenuto, invece voleva esprimere un voto diverso.

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