Allegato B
Seduta n. 334 del 3/7/2003


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INTERROGAZIONI PER LE QUALI È PERVENUTA RISPOSTA SCRITTA ALLA PRESIDENZA

AMICI, LEONI e LABATE. - Al Ministro dell'interno. - Per sapere - premesso che:
l'Azienda Sanitaria locale Latina, in esecuzione della deliberazione 1202 del 24 settembre 2002, ha indetto una licitazione privata «per l'affidamento del servizio di guardiania e controllo non armato degli edifici e delle aree di pertinenza dell'Ospedale Santa Maria Goretti di Latina»;
l'importo presunto annuo della gara ammonta a euro 774.685,35 annui per sette anni consecutivi del servizio;
nel capitolato speciale d'oneri della licitazione privata si specifica (articolo 4 - commissione di aggiudicazione) che «l'Azienda ASL di Latina si riserva di nominare nella Commissione di aggiudicazione esperti di sua fiducia, anche estranei all'Amministrazione e di determinare il compenso degli stessi che sarà a totale carico della ditta aggiudicataria»;
la stampa locale (ad esempio sulla cronaca del quotidiano Il Tempo del 10 novembre 2002) ha riferito delle proteste per l'anomala procedura e per i riflessi sull'occupazione nel settore;
le pubbliche amministrazioni in Italia hanno finora ottemperato a quanto previsto dalla legge laddove si è trattato di affidare servizi di guardiania e controllo, anche non armato e dunque sono ricorsi e ricorrono ai servizi degli istituti di vigilanza privata sottoposti alla supervisione del Prefetto;
il capitolato d'appalto non prevede alcuna conseguente tipizzazione del profilo delle imprese partecipanti, violando così l'obbligo di legge di avvalersi per i servizi richiesti di quei soggetti abilitati ai sensi del richiamato articolo 134 del citato testo unico -:
quali iniziative di propria competenza il ministro interrogato intenda assumere.
(4-04661)

Risposta. - In merito alla questione in discorso, la prefettura-UTG di Latina ha riferito che l'azienda sanitaria locale della provincia di Latina ha indetto una licitazione privata - con avviso pubblicato su diversi quotidiani nazionali - per l'affidamento in appalto del servizio di «... guardiania e controllo non armato ...» del presidio ospedaliero «S. Maria Goretti» e per la progettazione, installazione e gestione di un sistema di teleallarme e video sorveglianza nonché della relativa sala operativa.
A seguito della pubblicazione del citato bando di gara gli istituti di vigilanza «Provincia di Latina S.r.l.» e «Metropol Latina», autorizzati nella medesima provincia, hanno lamentato che, pur essendo i servizi oggetto della gara tipicamente di vigilanza privata, nel bando in questione non viene specificato che le imprese partecipanti devono essere in possesso della licenza
ex articolo 34 Testo Unico delle leggi di pubblica sicurezza e autorizzate ad operare nell'ambito della provincia di Latina dal prefetto.
Peraltro, secondo gli esponenti, la circostanza che il servizio di vigilanza sia previsto in forma non armata costituirebbe solo un «
escamotage» per eludere la vigente legislazione.
Al riguardo, rilevato preliminarmente che non pare vi siano margini d'intervento per l'autorità di pubblica sicurezza rispetto


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al bando di gara, sulla questione si possono comunque svolgere alcune considerazioni di carattere generale.
Effettivamente la circostanza che il servizio di vigilanza venga disimpegnato in forma disarmata non rileva ai fini della legislazione di pubblica sicurezza. Infatti, ciò che connota l'attività di vigilanza privata è la volontà del proprietario dei beni di far custodire e tutelare gli stessi da guardie particolari giurate, indipendentemente dalle modalità d'esecuzione del servizio; tant'è che questo ministero, con apposita circolare dell'11 luglio 1988, ha precisato che la vigilanza dei beni può essere espletata da personale munito del titolo
ex articolo 138 Testo Unico delle leggi di pubblica sicurezza anche in forma disarmata.
Ciò detto laddove si volesse ritenere che l'azienda sanitaria locale citata con il termine «guardiania» intenda riferirsi ad un servizio di mero portierato, resta il fatto che l'appalto in questione prevede anche la realizzazione e la gestione di un sistema centralizzato d'allarmi e di video sorveglianza.
In proposito si deve osservare che l'attività di sorveglianza sul patrimonio altrui condotta attraverso apparati tecnologici costituisce una vera e propria forma di vigilanza privata (cosiddetta teleallarme) assoggettata, pertanto, al dettato dell'articolo 134 del Testo Unico delle leggi di pubblica sicurezza.
Infatti, come ha osservato il Consiglio di Stato nel parere n. 1363 del 16 gennaio 1976, l'operatore addetto alle apparecchiature di gestione è partecipe, attraverso il mezzo tecnico, di una vera e propria attività di vigilanza sui beni e deve essere munito della qualifica di guardia particolare giurata.
Dalle argomentazioni sopra esposte risulta evidente che i servizi oggetto dell'appalto in parola potranno essere svolti solo da imprese autorizzate, ai sensi dell'articolo 134 del Testo Unico delle leggi di pubblica sicurezza, dal prefetto della provincia di Latina.
Di tale problematica e della specifica questione dell'inconciliabilità del bando di gara con la vigente legislazione di Pubblica sicurezza l'Azienda sanitaria in questione è stata resa edotta dalla prefettura-UTG di Latina.
Tuttavia, è necessario tener presente che il rispetto per l'autonomia organizzativa dell'ente locale non può spingere l'autorità statale territoriale a ingerirsi nello svolgimento di alcune attività di stretta attinenza all'autonomia sopracitata.
Infine, bisogna considerare che, al di là dei profili di merito della specifica vicenda, va osservato che la figura dell'impresa incaricata della multiforme attività di vigilanza per conto di terzi, prodotta in tempi relativamente recenti dalla evoluzione del mercato dei servizi, necessita di una disciplina giuridica maggiormente in linea con la evoluzione medesima.
Perciò, anche al fine di superare le incertezze e le controversie testimoniate dalla stessa giurisprudenza in materia, è maturata l'esigenza di un aggiornamento legislativo, che contempli specificamente lo svolgimento di servizi di custodia e portierato svolta per conto di terzi da imprese di servizi, come ipotesi distinta dalla prestazione di servizi di vigilanza per mezzo di guardie particolari giurate.
La questione è stata all'attenzione di un gruppo tecnico di lavoro, costituito presso il ministero dell'interno, con l'obiettivo di predisporre un disegno di legge di modifica delle disposizioni vigenti in materia di vigilanza privata.
Tale gruppo ha di recente ultimato il proprio lavoro e ha predisposto un disegno di legge in materia di «sicurezza sussidiaria» che è stato esaminato dal Consiglio dei ministri nella riunione del 21 marzo 2003 e verrà, quanto prima, presentato in Parlamento per essere esaminato assieme ai diversi progetti di legge d'iniziativa parlamentare già presentati.
Il Sottosegretario di Stato per l'interno: Antonio D'Alì.

BALDI. - Al Ministro dell'interno, al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio. - Per sapere - premesso che:
nella notte tra il 20 ed il 21, gennaio 2003, l'impianto dell'ovovia dell'Abetone è


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stato distrutto da un incendio, per cui stanno indagando le autorità competenti;
l'incendio del suddetto impianto di risalita costituisce un danno ambientale ed economico dalle proporzioni rilevanti per la montagna pistoiese;
le prime indagini condotte dalle autorità competenti sembrano indicare la possibilità di un attentato;
tale episodio disturba la tranquillità di una zona che vive principalmente sul turismo generato dalla fruizione della montagna;
l'ovovia, quale moderno impianto di risalita, permetteva il regolare funzionamento della stazione sciistica specie nel periodo di alta stagione invernale -:
se il Ministro dell'interno non intenda assumere urgenti misure a tutela dell'ordine pubblico volte ad evitare il ripetersi di gravi episodi del tipo di quello verificatosi all'Abetone;
se il Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio non intenda adottare, con urgenza, ogni iniziativa utile, di propria competenza, per salvaguardare il patrimonio ambientale della montagna pistoiese, messo in pericolo dall'incendio.
(4-05127)

Risposta. - Gli accertamenti svolti sull'incendio che la notte del 21 gennaio 2003 ha devastato una «ovovia» nel comune di Abetone ne fanno ritenere praticamente certa la natura dolosa.
L'incendio ha causato la distruzione di tutte le cabine nel deposito, nonché il danneggiamento del solaio di copertura della stazione e la parziale distruzione del sistema meccanico di movimento dell'impianto.
Nelle vicinanze della stazione colpita è stata rinvenuta una rivendicazione scritta, tracciata con vernice verde, del seguente tenore:
«Fuoco ai distruttori - Marco libero».
Verosimilmente, la scritta era riferita al noto anarchico svizzero Marco Camenisch, estradato nell'aprile 2002 nel suo paese d'origine, dove sta scontando una condanna a 12 anni di carcere per una serie di gravi reati, tra i quali il concorso aggravato in una serie di attentati di matrice eco-terroristica, nonché tentato omicidio, ricettazione e furto.
Inoltre, la mattina del 23 gennaio è stata recapitata all'Ansa di Firenze una lettera scritta a mano, il cui autore, anonimo, nel rivendicare l'attentato, inneggiava agli attacchi contro
«chi trasforma la montagna in denaro distruggendola impunemente» e solidarizzava, appunto, con Marco Camenisch, nei confronti del quale è in atto da mesi una vasta campagna internazionale di solidarietà negli ambienti anarchici.
Il 31 gennaio una lettera dello stesso contenuto, pure scritta a mano, è stata recapitata al quotidiano
«La Nazione».
L'attentato si inquadra in un contesto di azioni criminali, per molti versi simili, che si sono registrate nei giorni dal 20 al 22 gennaio 2003 in varie località toscane.
Il 20 gennaio 2003, nel comune di Carrara, in località S. Lucia, è stato fatto esplodere un ordigno collocato sotto un ripetitore per servizi internet, di proprietà di una società di telefonia; il gesto è stato rivendicato con una lettera, analoga a quella di cui si è appena detto, e che pure esprimeva solidarietà con il citato anarchico svizzero.
Il 21 gennaio 2003, a Marina di Pietrasanta (LI), è stato dato alle fiamme un ripetitore di telefonia mobile Wind, mentre nelle vicinanze sono state rinvenute scritte murarie inneggianti a noti esponenti anarchici, tra i quali, ancora, Marco Camenisch.
Infine, il 22 gennaio 2003, a Rosignano Marittimo (LI), è stato dato fuoco ad un altro ripetitore di telefonia mobile Wind e sono state danneggiate le condutture a cielo aperto di acqua dolce e salata che servono lo stabilimento chimico della «Solvay».
Su tutti gli episodi riferiti sono in corso indagini coordinate dalle autorità giudiziarie competenti, per individuarne i responsabili, mentre un esame specifico è stato svolto anche in sede di riunioni tecniche di coordinamento delle Forze di polizia delle province interessate.
Pur prendendo atto della assoluta imprevedibilità di atti del genere e del numero


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elevatissimo dei possibili obiettivi in tutta la regione, per di più non limitati alle sole località montane, sono stati sensibilizzati i responsabili delle Forze dell'ordine delle stesse province affinché siano allertati tutti i dispositivi di sicurezza e siano, nel contempo, intensificate le attività investigative ed informative necessarie ad individuare gli autori di simili gesti ed impedirne di nuovi.
Per quanto concerne l'incendio della «ovovia» dell'Abetone, la spesa prevista per la ristrutturazione dell'impianto (acquisto nuove cabine, posa nuovi cavi e ripristino del solaio di copertura rimasto danneggiato) e per la sua messa in sicurezza, secondo un calcolo eseguito dallo stesso comune, ammonta a quasi 5 milioni di euro.
Già in un incontro svoltosi l'indomani dell'attentato nella sala consiliare del comune interessato, con la presenza del Ministro dell'ambiente, del sottosegretario alla difesa, senatore Francesco Bosi, di altri parlamentari locali, del vice presidente della giunta regionale, nonché dei sindaci dei comuni vicini e di altri rappresentanti di istituzioni locali, erano state gettate le basi per un'azione sinergica volta a rilanciare, anche attraverso interventi di carattere straordinario, le attività turistiche dell'Abetone, che costituiscono il fattore trainante dell'economia montana dell'area.
A questo riguardo, il ministero dell'ambiente e tutela del territorio ha già concesso al comune di Abetone un contributo di 200 mila euro per il ripristino ambientale, ossia per lo smaltimento dei rifiuti e del materiale tossico accumulati in conseguenza dell'incendio, mentre il ministero delle attività produttive sta verificando la possibilità di ulteriori finanziamenti per attrezzature tecnologiche.
Il Sottosegretario di Stato per l'interno: Alfredo Mantovano.

BELLILLO. - Al Ministro dell'interno. - Per sapere - premesso che:
l'interrogante aveva già presentato un atto di sindacato ispettivo, rivolto al Ministro dell'ambiente ed al Ministro delle attività produttive (interrogazione n. 4-01923 del 20 gennaio 2002), in riferimento alla situazione di grave disagio ambientale che si è venuta a creare nel comune di Alviano (Terni) per il trattamento di materiali di rifiuto da parte della ditta ICI;
la prefettura di Terni aveva già invitato, in data 9 gennaio 2002, l'amministrazione comunale di Alviano a vietare alla ditta in oggetto la prosecuzione dell'attività, in assenza della prescritta autorizzazione regionale;
nei primi giorni del maggio 2002, un'operazione giudiziaria intrapresa dalla magistratura di Viterbo ha portato alla denuncia di 60 persone cui è stato contestato il delitto di associazione a delinquere in seguito al ritrovamento in due cave, una a Graffignano in provincia di Viterbo, ed una ad Alviano in provincia di Terni, di rifiuti tossici pericolosi, con grave rischio di inquinamento ambientale delle sorgenti di Ramici e del fiume Tevere;
malgrado l'intervento della Magistratura risulterebbe, da segnalazioni dei residenti, che prosegue lo scarico di materiali non identificati nella cava di Alviano;
la ditta ICI ha chiesto al comune di Alviano, ed ottenuto, una nuova concessione per la costruzione di un impianto di lavorazione di rifiuti speciali, per una quota di 100.000 tonnellate l'anno;
i lavori di costruzione della nuova struttura sono già iniziati, suscitando grave allarme nella popolazione, preoccupata per la vicenda che interessa l'impianto già esistente e per il traffico insostenibile per la viabilità locale che comporterebbe l'attivazione del nuovo impianto;
malgrado varie e ripetute sollecitazioni, il sindaco non ha ritenuto opportuno intraprendere alcuna iniziativa -:
quali ulteriori iniziative, nell'ambito della propria competenza, il Ministro interrogato intenda adottare in merito alla vicenda descritta.
(4-03112)


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Risposta. - In merito a quanto rappresentato sulla presunta situazione di grave disagio ambientale venutasi a creare nel comune di Alviano, si rappresenta quanto segue, sulla base degli elementi forniti dall'Ufficio territoriale del governo di Terni.
La ditta «I.C.I.», che tratta il materiale di rifiuto nel comune di Alviano, ha stipulato, in data 29 giugno 1999, una convenzione con il predetto comune per l'estrazione di inerti in località Ramici, ed ha ottenuto in data 20 settembre 2001 la concessione edilizia n. 19 per la costruzione di un opificio per la produzione di manufatti in calcestruzzo.
A tutt'oggi non risulta avviata la produzione, poiché la ditta non ha ancora ottenuto la relativa autorizzazione da parte della regione Umbria.
Tuttavia, dagli accertamenti espletati è emerso che continua l'accantonamento di rifiuti in cava, sulla cui natura l'amministrazione provinciale si è impegnata ad effettuare le necessarie verifiche, ai sensi dell'articolo 20 del decreto legislativo 22/1997.
Si fa riserva di comunicare l'esito delle predette operazioni non appena sarà reso noto.
Non si ha notizia, altresì, di alcun provvedimento con il quale la magistratura abbia disposto la sospensione dell'attività della società di scarico di rifiuti.
Il Sottosegretario di Stato per l'interno: Antonio D'Alì.

BERTOLINI. - Al Ministro dell'interno. - Per sapere - premesso che:
l'incendio che ha distrutto, nella notte tra il 20 e il 21 gennaio 2003, l'impianto dell'ovovia dell'Abetone, pare sia stato causato da un attentato dinamitardo;
tale grave episodio ha causato allarme in tutto il comprensorio dell'Appennino Tosco Emiliano;
essendo l'economia del comprensorio, per la maggior parte, incentrata sul turismo, si rischia di avere ripercussioni anche sulle comunità adiacenti -:
se ritenga che possa sussistere il concreto pericolo che ci possano essere ulteriori atti di violenza nelle zone del comprensorio montano, anche nel versante emiliano;
se non intenda assumere urgenti misure a tutela dell'ordine pubblico, per evitare che possano verificarsi nuovamente episodi di tale gravità.
(4-05171)

Risposta. - Rispondendo all'interrogazione parlamentare in discorso, si comunica che gli accertamenti svolti sull'incendio che la notte del 21 gennaio 2003 ha devastato una «ovovia» nel comune di Abetone ne fanno ritenere praticamente certa la natura dolosa.
Tra l'altro, nelle vicinanze della stazione colpita è stata rinvenuta una rivendicazione scritta, tracciata con vernice verde, del seguente tenore:
«Fuoco ai distruttori - Marco libero».
Verosimilmente, la scritta era riferita al noto anarchico svizzero Marco Camenisch, estradato nell'aprile 2002 nel suo Paese d'origine, dove sta scontando una condanna a 12 anni di carcere per una serie di gravi reati, tra i quali il concorso aggravato in una serie di attentati di matrice eco-terroristica, nonché tentato omicidio, ricettazione e furto.
Inoltre, la mattina del 23 gennaio è stata recapitata all'Ansa di Firenze una lettera scritta a mano, il cui autore, anonimo, nel rivendicare l'attentato, inneggiava agli attacchi contro
«chi trasforma la montagna in denaro distruggendola impunemente» e solidarizzava, appunto, con Marco Camenisch, nei confronti del quale è in atto da mesi una vasta campagna internazionale di solidarietà negli ambienti anarchici.
Il 31 gennaio una lettera dello stesso contenuto, pure scritta a mano, è stata recapitata al quotidiano
«La Nazione».
L'attentato si inquadra in un contesto di azioni criminali, per molti versi simili, che si sono registrate nei giorni dal 20 al 22 gennaio in varie località toscane.


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Il 20 gennaio, nel comune di Carrara, in località S. Lucia, è stato fatto esplodere un ordigno collocato sotto un ripetitore per servizi internet, di proprietà di una società di telefonia; il gesto è stato rivendicato con una lettera, analoga a quella di cui si è appena detto, e che pure esprimeva solidarietà con il citato anarchico svizzero.
Il 21 gennaio, a Marina di Pietrasanta (Livorno), è stato dato alle fiamme un ripetitore di telefonia mobile Wind, mentre nelle vicinanze sono state rinvenute scritte murarie inneggianti a noti esponenti anarchici, tra i quali, ancora, Marco Camenisch.
Infine, il 22 gennaio, a Rosignano Marittimo (Livorno), è stato dato fuoco ad un altro ripetitore di telefonia mobile Wind e sono state danneggiate le condutture a cielo aperto di acqua dolce e salata che servono lo stabilimento chimico della «Solvay».
Su tutti gli episodi riferiti sono in corso indagini coordinate dalle Autorità giudiziarie competenti, per individuarne i responsabili, mentre un esame specifico è stato svolto anche in sede di riunioni tecniche di coordinamento delle Forze di polizia delle province interessate.
Pur prendendo atto della assoluta imprevedibilità di atti del genere e del numero elevatissimo dei possibili obiettivi in tutta la regione, per di più non limitati alle sole località montane, sono stati sensibilizzati i responsabili delle Forze dell'ordine delle stesse province affinché siano allertati tutti i dispositivi di sicurezza e siano, nel contempo, intensificate le attività investigative ed informative necessarie ad individuare gli autori di simili gesti ed impedirne di nuovi.
Per quanto concerne l'incendio della «ovovia» dell'Abetone, la spesa prevista per la ristrutturazione dell'impianto (acquisto nuove cabine, posa nuovi cavi e ripristino del solaio di copertura rimasto danneggiato) e per la sua messa in sicurezza, secondo un calcolo eseguito dallo stesso comune, ammonta a quasi 5 milioni di euro.
Già in un incontro svoltosi l'indomani dell'attentato nella sala consiliare del comune interessato, con la presenza del Signor Ministro dell'ambiente, del sottosegretario alla difesa senatore Francesco Bosi, di altri parlamentari locali, del vice presidente della Giunta regionale, nonché dei sindaci dei comuni vicini e di altri rappresentanti di Istituzioni locali, erano state gettate le basi per un'azione sinergica volta a rilanciare, anche attraverso interventi di carattere straordinario, le attività turistiche dell'Abetone, che costituiscono il fattore trainante dell'economia montana dell'area.
A questo riguardo, il ministero dell'ambiente e della tutela del territorio ha già concesso al comune di Abetone un contributo di 200 mila euro per il ripristino ambientale, ossia per lo smaltimento dei rifiuti e del materiale tossico accumulati in conseguenza dell'incendio, mentre il ministero delle attività produttive sta verificando la possibilità di ulteriori finanziamenti per attrezzature tecnologiche.
Il Sottosegretario di Stato per l'interno: Alfredo Mantovano.

DORINA BIANCHI. - Al Ministro dell'interno, al Ministro della giustizia. - Per sapere - premesso che:
nei giorni scorsi sono stati eseguiti, nei comuni di Crotone, Cutro, Isola Capo Rizzuto, Petilia Policastro, sedici ordini di custodia cautelare in carcere nell'ambito di un'operazione contro un'organizzazione dedita al traffico di sostanze stupefacenti, alle estorsioni, detenzione e porto illegale di armi;
l'operazione, coordinata dalla direzione distrettuale antimafia di Catanzaro, è stata denominata Ri-Scacco in quanto rappresenta il seguito del maxi blitz portato a termine nel dicembre 2000 contro gli affiliati alle cosche di Cutro e Isola Capo Rizzuto;
nello stesso giorno in cui è stata portata a termine tale inchiesta, è avvenuto a Isola Capo Rizzuto un duplice omicidio in cui sono morti due uomini già coinvolti nell'operazione antimafia «Scacco Matto»;
secondo quanto emerso dalle prime indagini, l'agguato potrebbe collegarsi ad una vendetta maturata negli ambienti


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della 'ndrangheta crotonese a seguito degli ultimi arresti -:
quali iniziative intenda il Ministro al più presto assumere per porre fine a questa guerra esplosa da ormai diversi anni tra le varie cosche del crotonese e garantire una maggiore sicurezza dei cittadini che vivono in quelle zone;
quali siano i motivi per cui, pur essendo state condotte diverse indagini da parte della Commissione Antimafia, non sia stato ancora adottato alcun provvedimento nei confronti del comune di Isola Capo Rizzuto indagato per mafia.
(4-05378)

Risposta. - In merito alla questione oggetto dell'interrogazione e sulla base delle comunicazioni pervenute da parte della prefettura-UTG di Crotone si riferisce che l'episodio criminoso, cui si fa riferimento nell'atto di sindacato parlamentare, ha formato oggetto di apposita riunione di coordinamento delle forze di polizia, alla quale hanno anche preso parte i vertici della magistratura inquirente del distretto giudiziario.
Nella circostanza è emerso che l'azione delittuosa, che giunge dopo un periodo di tranquillità protrattosi per quasi due anni (l'ultimo omicidio commesso nel predetto comune, risale al 15 maggio 2001), si inquadra, almeno secondo le prime risultanze investigative, nel contesto del confronto armato, in atto da tempo, tra due cosche locali (il
clan Arena, da una parte, e quello Nicoscia dall'altra).
Ad Isola Capo Rizzuto, infatti, sono attive le cosche della 'ndrangheta Nicoscia ed Arena, che gestiscono vari traffici criminali, primo fra tutti quello degli stupefacenti.
Soprattutto in tale settore risultano contatti con gruppi criminali internazionali e con elementi della criminalità organizzata pugliese, per il rifornimento di eroina e cocaina proveniente dall'Albania.
In passato i Nicoscia erano affiliati agli Arena, ma, a seguito degli arresti che hanno colpito quest'ultima famiglia, hanno assunto una propria autonomia operativa e sviluppato legami con altre famiglie locali, come quella dei Campicchiano, fino ad entrare in aperto e sanguinoso conflitto con quel gruppo.
A tale conflitto vanno ricondotti alcuni gravi fatti di sangue, come gli omicidi di Francesco Arena (2 marzo 2000), di Rosario Campicchiano (15 maggio 2001), di Gaetano De Meco (13 luglio 2001) e di Vincenzo Scerbo (16 febbraio 2002), nonché il duplice omicidio al quale l'interrogazione fa cenno, di due pluripregiudicati appartenenti ai Nicoscia, rinvenuti uccisi l'8 febbraio 2003 nei pressi del ristorante «La Rete» di Isola Capo Rizzuto.
In tale contesto va inserito anche il successivo omicidio, perpetrato il 4 marzo 2003 a Cropani Marina, di un altro pluripregiudicato ritenuto vicino alla cosca Arena e legato da rapporti di parentela ad alcuni affiliati alla stessa.
Secondo gli investigatori, quindi, i due fatti criminosi non sarebbero da collegare alla recente operazione di polizia denominata «Riscacco», ma, come già accennato, alla violenta ripresa della lotta tra le due cosche, per la conquista della supremazia sul territorio.
Per quanto riguarda la cennata operazione di polizia giudiziaria, si informa che essa si è conclusa con l'arresto, su richiesta della procura antimafia di Catanzaro, di 16 persone, tutte appartenenti al clan capeggiato dal boss Nicolino Grande Aracri, ritenute responsabili di associazione mafiosa, traffico di stupefacenti, estorsioni ed altri reati.
L'operazione ha seguito quella analoga condotta nell'anno 2000, denominata «Scacco Matto», che portò all'arresto di 54 mafiosi appartenenti ai clan di Isola Capo Rizzuto e Cutro.
Per quanto attiene al dispositivo di prevenzione generale, si precisa che i servizi di controllo del territorio nel comune di Isola Capo Rizzuto sono svolti dai militari della locale stazione dei carabinieri, che dispone, attualmente, di 14 unità di personale.
La stazione, che assicura la presenza di una pattuglia a bordo di un'autovettura per ciascun turno di servizio nell'arco della giornata, è supportata, in caso di necessità,


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da pattuglie radiomobili della compagnia dei carabinieri del capoluogo, distante da quel centro una quindicina di chilometri, nonché, per l'espletamento delle indagini in materia di criminalità organizzata, dal Reparto operativo del comando provinciale dell'Arma.
Inoltre, periodicamente vengono disposti specifici servizi di controllo del territorio con l'impiego di reparti di rinforzo provenienti da altre province, anche con l'obiettivo di giungere all'individuazione dei rifugi nei quali le organizzazioni criminali custodiscono le armi ed i veicoli rubati utilizzati per le azioni di fuoco.
Così, nel mese di febbraio 2003, a seguito degli omicidi cui si è fatto cenno, pattuglie del reparto prevenzione crimine «Calabria» hanno affiancato il personale della Squadra mobile della locale questura in una vasta azione di «setacciamento», con l'istituzione di numerosi posti di blocco, nel corso dei quali si è proceduto all'identificazione di 173 persone ed al controllo di 119 veicoli; nella circostanza, sono state inoltre effettuate perquisizioni domiciliari, le cui risultanze sono all'esame degli inquirenti.
Analoghe operazioni sono state svolte dai carabinieri, con l'impiego di oltre 50 militari appartenenti ai reparti territoriali, alle strutture investigative del comando provinciale e della compagnia del capoluogo, nonché alla compagnia di intervento operativo del battaglione «Toscana».
In generale, secondo dati forniti dalla citata stazione dei carabinieri nel comune in questione si è riscontrata, nel 2002, una diminuzione del numero complessivo dei delitti denunciati pari al 26,5 per cento (346 casi nel 2001, 254 nel 2002), con un decremento significativo, tra gli altri, dei furti (125 nel 2001 e 110 nel 2002, pari al 12 per cento in meno) e degli incendi dolosi (13 nel 2001 e 4 nel 2002, pari al 12 per cento in meno).
Nel raffronto tra i due anni, si registra un forte aumento del numero delle persone denunciate all'autorità giudiziaria dai militari della stessa stazione (99 persone nel 2001 e 145 nel 2002).
Tali attività si inquadrano in una strategia di più ampio respiro tesa ad assicurare un monitoraggio costante degli affiliati alle cosche, avvalendosi degli strumenti previsti, tra l'altro, dall'articolo 31 del testo unico delle leggi di pubblica sicurezza e dall'articolo 27 legge n. 55/1990 in materia di perquisizioni personali e domiciliari.
Per quanto riguarda l'ultimo punto dell'interrogazione, com'è noto, il Consiglio dei ministri, accertato lo stato di grave condizionamento e la diffusa penetrazione nell'Amministrazione comunale di Isola di Capo Rizzuto da parte della criminalità organizzata, nella riunione del 2 maggio 2003, ha deliberato lo scioglimento di quel consiglio comunale, ai sensi dell'articolo 143 del decreto legislativo 18 agosto 2000, n. 267, recante il testo unico delle leggi sull'ordinamento degli enti locali.
Il relativo decreto è in corso di pubblicazione sulla
Gazzetta Ufficiale.
Il Sottosegretario di Stato per l'interno: Antonio D'Alì.

BIELLI e SCIACCA. - AI Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro dell'interno, al Ministro della difesa. - Per sapere - premesso che:
sulla stampa e in particolare nel giornale Liberazione sono stati pubblicati documenti, nei giorni scorsi, in cui si rileva che il Ministero della difesa nel 1978 - in data 2 marzo - avrebbe affidato ad un aderente dell'organizzazione clandestina Gladio - tale Antonio Arconte - (nome in codice G-71) di consegnare ai suoi superiori di Beirut un'autorizzazione a prendere contatto con i movimenti di liberazione del Medio Oriente per ottenere collaborazione e informazioni utili alla liberazione dell'ex Presidente della DC onorevole Aldo Moro;
ma il sequestro Moro ebbe luogo in data successiva, il 16 marzo 1978, quindi 14 giorni dopo che il Ministero della difesa aveva predisposto quei documenti;
gli interroganti si chiedono come sia stato possibile tutto questo e se i servizi


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segreti sapessero in anticipo del progetto brigatista di via Fani;
i misteri del caso Moro dopo oltre 24 anni da quel tragico 16 marzo 1978 sembrano crescere e si affiancano a tanti altri episodi che non hanno trovato mai risposte credibili;
gli interroganti si chiedono inoltre che cosa ci facesse in via Fani, il giorno del sequestro il colonnello del Sismi Camillo Guglielmi, che negando l'evidenza aveva dichiarato di essersi recato a pranzo - alle ore 9 del mattino e non invitato - a casa di un collega che abitava in una via adiacente al luogo dell'eccidio; e che cosa aveva spinto la struttura segreta dentro la SIP, legata al SISMI, e mettersi in allarme in data 15 marzo 1978, proprio il giorno prima del rapimento;
e ancora i 39 bossoli ritrovati sul selciato di via Fani erano ricoperti da una speciale vernice e che quel particolare tipo di proiettile fosse in dotazione a forze statali militari non commerciali, non ha mai trovato risposta convincente -:
se risultino veritieri i documenti apparsi su Liberazione;
se attestino tali documenti non solo l'esistenza della struttura Gladio, ma anche il rapporto tra detta struttura e i nostri servizi segreti;
se sul caso Moro esistano nuovi documenti e informazioni e quale sia l'opinione del Governo.
(4-02966)

Risposta. - Il servizio per le informazioni e la sicurezza militare, nel confermare che non disponeva di alcuna notizia preventiva circa il sequestro dell'onorevole Moro, ha precisato che nulla risulta in atti, relativamente all'ordine che il ministero della difesa avrebbe impartito il 2 marzo 1978, a tale Antonio Arconte, di consegnare ai suoi superiori a Beirut una autorizzazione a prendere contatto con i movimenti di liberazione del Medio Oriente per ottenere collaborazione ed informazioni utili alla liberazione dell'onorevole Aldo Moro.
La vicenda evocata dagli interroganti potrebbe originare da un documento pubblicato da Antonino Arconte, su un sito internet statunitense, tratto dal proprio libro
«L'ultima missione».
Al riguardo, il Sismi ha svolto un accurato approfondimento del contenuto di tali documenti, anche attraverso la consultazione di tutte le amministrazioni (undici tra dicasteri ed organismi esterni al servizio) evocate direttamente o indirettamente dal testo ed ha potuto accertare che, tra l'altro:
a) è da escludere che l'Arconte sia appartenuto al Sismi o sia stato oggetto di interesse da parte del servizio per il suo reclutamento nella disciolta Stay Behind;
b) non sono emersi riscontri che avvalorino quanto asserito dall'autore, mentre risultano «palesemente falsi» e/o «visibilmente modificati» documenti particolarmente significativi pubblicati dall'Arconte;
c) il Sismi, in particolare, non ha mai utilizzato stampati «ordine a distruzione immediata» quale quello in data 2 marzo 1978, cui fanno riferimento gli interroganti.

Pertanto, rimane valido quanto già rappresentato nella relazione che il Sismi predispose sulla base degli specifici quesiti posti dalla «Commissione parlamentare d'inchiesta sulla strage di Via Fani e sul sequestro e l'assassinio di Aldo Moro», ove si afferra che «... nel periodo antecedente la strage di Via Fani non risulta che il Sismi abbia mai raccolto elementi che potessero far in qualche modo prevedere l'insorgere della vicenda Moro, sia sotto il profilo dell'acquisizione di informazioni su possibili e dirette azioni terroristiche e sia dal punto di vista dell'esistenza di semplici minacce ed avvertimenti nei confronti del parlamentare...».
Non sono, poi, emerse ulteriori evidenze utili a rispondere al quesito relativo alla presenza del colonnello Guglielmi in via Fani, all'atto del sequestro dell'onorevole Moro. Inoltre, dalle verifiche opportunamente esperite all'epoca, si evince che - contrariamente a quanto dichiarato dall'ex appartenente al Sismi, il carabiniere Ravasio,


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dalle cui rivelazioni trae origine la vicenda - il colonnello Guglielmi, alla data del sequestro Moro, non risultava in forza al servizio. La posizione dell'ufficiale è stata, comunque, oggetto di richiesta da parte dell'autorità giudiziaria, riscontrata dal servizio.
In merito alla vicenda relativa ai bossoli rinvenuti in via Fani, la questione è stata sollevata, in data 11 gennaio 1991, durante lo svolgimento, presso la Camera dei deputati, di interpellanze parlamentari che hanno suscitato il primo dibattito pubblico sulla operazione «Gladio».
Nella circostanza - facendo riferimento alla perizia balistica a suo tempo effettuata nel primo procedimento del caso Moro, nella quale si rilevava la somiglianza tra i suddetti bossoli e quelli normalmente forniti a «forze statali militari non commerciali (
rectius convenzionali)» - si adombravano collegamenti tra detti bossoli ed il tipo di munizionamento inserito nei così detti Nasco, ovvero i depositi nascosti di armi e munizionamento di provenienza di Gladio.
Il Sismi a seguito di specifica richiesta, fornì alla procura della Repubblica di Roma elementi sul munizionamento dei Nasco e sulla provenienza dello stesso, di cui, in seguito, si è ampiamente occupato il Copasis, significando che non potevano sussistere ipotesi di identità fra le due tipologie di materiali di munizionamento considerati.
In ultimo, si sottolinea che il Sismi ha fornito, alle varie Autorità giudiziarie che nel tempo hanno avanzato specifiche richieste relative alla vicenda Moro, ogni elemento utile all'accertamento della verità. Inoltre, nel 1998, ha messo a disposizione dell'Autorità politica un elenco di tutti gli atti inerenti alla vicenda non esibiti in precedenza, perché non richiesti.
Il Ministro della difesa: Antonio Martino.

BORRIELLO. - Al Ministro dell'interno. - Per sapere - premesso che:
il carabiniere e/o il poliziotto di quartiere sono già operativi dal 18 dicembre 2002 -:
se intenda assumere iniziative volte a consentire l'istituzione del succitato servizio nella città di Celano (L'Aquila), ed eventualmente in quali tempi.
(4-05412)

Risposta. - Rispondendo all'interrogazione parlamentare in discorso, si comunica che la sperimentazione del nuovo modulo operativo del «poliziotto e carabiniere di quartiere», al momento, è prevista soltanto nelle città capoluogo di provincia e, pertanto, non è in programma relativamente alla città di Celano.
La sperimentazione, avviata il 18 dicembre 2002 in 28 comuni, è stata successivamente estesa ad altri 24 nel mese di gennaio 2003 e, attraverso successive fasi, è previsto l'interessamento di tutti i capoluoghi entro il prossimo mese di maggio.
La gradualità dell'introduzione del servizio, il suo carattere ancora sperimentale e la limitazione ai soli capoluoghi di provincia dipendono dal fatto che il poliziotto ed il carabiniere di quartiere costituiscono una figura professionale nuova, formata in modo specifico e munita di attrezzature particolari, che svolgerà compiti di controllo del territorio con modalità operative qualitativamente innovative.
Non si tratta, infatti, della mera introduzione di pattuglie a piedi aggiuntive a quelle a bordo di autovetture, ma di operatori in grado di conoscere a fondo le dinamiche che interessano la sicurezza del territorio nel quale operano, perciò in grado di dialogare positivamente con i cittadini, di fornire loro un aiuto anche di tipo informativo, di ottenerne la fiducia e la collaborazione, sviluppando inoltre utili sinergie con gli enti locali e con le figure rappresentative della stessa collettività.
L'obiettivo è, dunque, quello di formare operatori che sappiano diventare parte della stessa comunità nella quale operano, costituendo, al suo interno, un rassicurante punto di riferimento, che permetta una presenza delle forze di polizia sul territorio più capillare e vicina ai cittadini.
Il Sottosegretario di Stato per l'interno: Alfredo Mantovano.


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BOVA. - Al Ministro dell'economia e della finanze. - Per sapere - premesso che:
il complesso Enpam di Reggio Calabria è stato venduto alla Società Icras s.r.l. con sede in Roma senza concedere agli inquilini il diritto di prelazione;
l'Enpam ha goduto di contributi pubblici -:
a che prezzo sia stato venduto il complesso Enpam di Reggio Calabria;
quali siano stati i criteri adottati nella vendita del complesso;
per quali motivi agli inquilini del complesso non sia stato concesso il diritto di prelazione.
(4-01627)

Risposta. - Con riferimento all'interrogazione in discorso, l'ENPAM ha fatto presente quanto segue.
L'Ente ha deliberato, in data 28 ottobre 1999, la vendita dell'immobile di Reggio Calabria mediante una procedura pubblica di gara con offerte segrete.
Il bando relativo alla gara è stato pubblicato sulla stampa.
Poiché la suddetta gara è andata deserta, è stata decisa la vendita in blocco del complesso immobiliare ad un soggetto imprenditoriale che aveva, precedentemente, già manifestato interesse all'acquisto.
Il corrispettivo della vendita è stato pari a 6.500.000.000 di vecchie lire.
Per quanto riguarda il diritto di prelazione, l'Enpam ha precisato che esso spetta agli inquilini solo in caso di vendita frazionata. Inoltre, l'Ente, in quanto privatizzato, non è destinatario delle leggi n. 662 del 23 dicembre 1996 e n. 488 del 23 dicembre 1999 che disciplinano le dismissioni immobiliari degli enti Pubblici.
Il Ministro del lavoro e delle politiche sociali: Roberto Maroni.

BRICOLO. - Al Ministro dell'interno. - Per sapere - premesso che:
la comunità cinese residente nella città di Milano è composta, secondo i dati ufficiali, da circa diecimila persone;
alcune zone della città di Milano, (quali via Canonica, via Paolo Sarpi, piazzale Lagosta, via Corsieri, eccetera), si sono trasformate negli ultimi anni in una specie di Chinatown, brutta copia di quella newyorkese;
i cittadini italiani abituati ad un tasso di natalità pari a zero, restano certamente perplessi nel constatare il numero in continua crescita dei nati nella comunità cinese stanziatasi a Milano;
dato però certamente più allarmante e inquietante è il numero irrisorio dei morti;
si consideri a titolo esemplificativo che nel 1997 vi sono stati 143 nati e soltanto 1 morto, nel 1999 227 nati e solo 4 morti, nel 2000 280 nati e 3 morti (nessuno dei quali residente a Milano), e nel 2002 294 nati ed 1 morto;
seguendo una elementare legge naturale la proporzione tra i nati e i morti appare, quantomeno, dubbia;
è logico che stiamo parlando di una comunità composta da persone molto giovani e che è «notorio» considerare i cinesi un popolo molto longevo, però i dati di cui sopra appaiono palesemente paradossali;
la preoccupazione che logicamente scaturisce da un'analisi attenta della situazione, in esame, è che si possa nascondere sotto un fatto curioso, qualcosa di diverso;
la forbice tra la fantascienza e la scienza è spesso molto ridotta, quando si tratta di analizzare il genio criminale dell'uomo;
il primo pensiero, che non è detto che sia quello giusto, è credere che i morti vengano eclissati, fatti sparire e/o nascosti e non denunciati alle autorità, al fine di


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poter falsificare i permessi di soggiorno per i nuovi immigrati clandestini -:
se il ministro sia a conoscenza dei fatti esposti e se non ritenga doveroso mettere in atto degli scrupolosi controlli ed accertamenti al fine di tranquillizzare l'opinione pubblica su un fatto, quantomeno, curioso.
(4-03988)

Risposta. - Rispondendo all'interrogazione in discorso, si comunica che, effettivamente, negli ultimi anni, a fronte del progressivo, costante incremento del numero delle persone di nazionalità cino-popolare residenti a Milano (passate dalle 3079 del 1993 alle 10.271 del 2001), si è riscontrato un limitatissimo numero di decessi nell'ambito di quella comunità: 6 nel 1998, 4 nel 1999, 3 nel 2000, 8 nel 2001 n. 2 nel decorso anno, fino al mese di novembre.
L'indubbia anomalia di tali dati ha indotto il prefetto di Milano ad organizzare, il 14 novembre 2002, un apposito incontro con il console generale aggiunto della Repubblica popolare cinese e con alcuni esponenti della comunità cinese, cui ha preso parte altresì il dirigente del competente Settore del comune di Milano, al fine di individuare plausibili motivazioni del fenomeno.
A giudizio del diplomatico, la situazione descritta trova giustificazione nell'età anagrafica dei cittadini cinesi residenti nel capoluogo lombardo, in maggioranza molto giovani, mentre i più anziani, generalmente, fanno rientro in patria per l'ultima parte della loro vita. Il motivo di tale scelta sarebbe di carattere religioso: a Milano, infatti, non esistono templi del buddismo (culto prevalente fra gli immigrati da quel paese asiatico) presso i quali celebrare i riti funebri.
Sembra, peraltro, che di frequente costoro non riconsegnino alla frontiera il permesso di soggiorno, rendendo impossibile stabilire se le persone fisiche siano decedute o meno in Italia.
Altro motivo addotto dal console è la circostanza che molti cinesi hanno ottenuto la cittadinanza italiana, venendo, di conseguenza, ricompresi nelle statistiche anagrafiche e di stato civile degli italiani.
Su tale punto, i dati del comune evidenziano che, nel 2000, la cittadinanza è stata acquisita da 50 cinesi, scesi a 15 nel 2001.
Il prefetto ritiene, comunque, che le argomentazioni svolte non appaiano sufficienti a spiegare un fenomeno tanto costante, ed ha preannunciato nuovi incontri di approfondimento nei prossimi mesi.
Si segnala, ad ogni modo, che, nel corso delle attività investigative condotte dai carabinieri, non sono scaturiti, neppure indirettamente, elementi tali da far ritenere l'esistenza di fenomeni inquietanti riconducibili alla scomparsa di cinesi non denunciati alle autorità.
Quanto alla problematica dell'utilizzo di permessi di soggiorno, regolarmente rilasciati a cittadini cinesi, da parte di loro connazionali in posizione irregolare, la polizia di Stato ha condotto specifiche indagini fra il 1999 ed il 2002; la più rilevante di tali inchieste, denominata «E-Meng», ha portato alla richiesta di 50 ordinanze di custodia cautelare in carcere.
Si precisa altresì che l'ufficio immigrazione della questura di Milano, proprio per evitare la sostituzione di persone nei permessi di soggiorno, procede puntualmente a verificare se agli atti vi siano istanze di rinnovo con fotografie diverse da quelle degli effettivi titolari dell'autorizzazione.
Peraltro, il rilevamento delle impronte, digitali, obbligo introdotto con la legge 20 luglio 2002, n. 189, è finalizzato anche a fronteggiare il fenomeno in questione.
Il Sottosegretario di Stato per l'interno: Alfredo Mantovano.

BULGARELLI. - Al Ministro per l'innovazione e le tecnologie, al Ministro per la funzione pubblica e il coordinamento dei servizi di informazione e sicurezza. - Per sapere - premesso che:
l'adozione di software libero e open-source, e di formati di documenti e dati che seguano standard pubblici e non proprietari, e una grande occasione per i


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singoli cittadini, le aziende e, soprattutto, per le pubbliche amministrazioni. La qualità, stabilità, robustezza dei prodotti open-source è ormai proverbiale in applicazioni server ed è ormai divenuta incontestabile anche in quelle di tipo desktop. La sua crescente adozione da parte di molte imprese ne è la ulteriore conferma;
un'intera comunità mondiale di persone che partecipa allo sviluppo e al collaudo del software libero, garantisce inoltre che questo non esegua «sottobanco» operazioni diverse da quelle per le quali è pubblicamente utilizzato. Un pericolo da non sottovalutare nell'era della connessione permanente ad internet e quando siano in gioco dati sensibili;
la disponibilità del codice sorgente permetterebbe infine alle singole amministrazioni di poter avviare progetti di adattamento del software alle proprie specifiche esigenze, senza dover ogni volta ricominciare da capo o affidarsi al rilascio di arbitrarie nuove versioni come nel caso delle applicazioni di tipo «office»; senza contare che l'adozione di software libero sarebbe inoltre fonte di risparmi elevatissimi (si pensi solo a quello che si conseguirebbe rinunciando ai costosissimi pacchetti di MS Office, peraltro assolutamente instabili, voracissimi divoratori di risorse hardware, vettori di ogni virus, e assolutamente sostituibili con analoghe suite open-source);
di conseguenza appare deprecabile e, sotto il profilo meramente tecnico, incomprensibile la consuetudine di affidare dati, informazioni e documenti a formati di files proprietari di cui è tecnicamente complesso e giuridicamente illegale conoscere le modalità con cui vi sono codificati, che obbligano chi legge questi files ad utilizzare gli stessi identici programmi usati da chi li ha scritti, e che possono, in linea di principio ma anche di fatto, contenere informazioni ulteriori a quelle coscientemente inserite. Tutto ciò è inammissibile per le informazioni scambiate con altri soggetti e ancor più per quelle informazioni destinate al pubblico più largo;
l'adozione di formati pubblici nello scambio e pubblicazione di informazioni e l'adozione preferenziale di software libero e a codice aperto è dunque una grande occasione di avanzamento democratico, di sviluppo delle libertà, di affrancamento dallo strapotere dei pochi, noti, monopoli del settore e sarebbe dunque auspicabile che, almeno nel campo della pubblica amministrazione, questa divenisse la scelta preferenziale -:
se non ritenga opportuno, per le ragioni esposte sopra, sollecitare l'adozione di software open-source in tutto il comparto della pubblica amministrazione.
(4-04325)

Risposta. - Le potenzialità dell'open source e i vantaggi dell'impiego di tale modello di sviluppo del software all'interno dei sistemi informativi della pubblica amministrazione sono da tempo oggetto di studio da parte degli analisti del settore IT; attualmente sono argomento di discussione della Commissione per il software a codice sorgente aperto - «open source» - nella pubblica amministrazione, appositamente istituita con mio decreto del 31 ottobre 2002, il cui compito è quello di valutare le opportunità che si aprono per le Pubbliche Amministrazioni di utilizzare i sistemi open-source.
La problematica in oggetto è molto più complessa della semplice scelta tra prodotti software proprietari e prodotti tecnologicamente alternativi di tipo open source; essa comprende più in generale la questione dell'efficienza dell'amministrazione nell'uso dei mezzi informatici, della proprietà dell'informazione, della sicurezza, del pluralismo, della libera competizione, dello sviluppo del sistema paese.
Premettendo che l'analisi della tematica merita comunque ulteriori approfondimenti, si può comunque affermare quanto segue:
a) nel contesto attuale, la pubblica amministrazione ha il compito di assicurare l'interoperabilità dei sistemi e delle applicazioni informatiche, in modo da esporre in modo unitario i propri servizi,


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usando la rete o altre forme di comunicazione; inoltre ha il compito di gestire informazioni appartenenti ai cittadini, assicurando il rispetto della confidenzialità e della sicurezza di tali informazioni. Per svolgere efficacemente tali compiti appare necessario sia l'adozione di formati aperti per lo scambio dei dati, sia la conoscenza completa dei prodotti software impiegati per la gestione e la diffusione dei dati stessi. Entrambe le necessità elencate rendono, in linea di massima, preferibile l'impiego di software open source rispetto al software di tipo proprietario, o comunque impongono vincoli sui prodotti impiegati, quali ad esempio il rispetto di standard aperti o l'accesso al codice sorgente, almeno in lettura, per effettuare verifiche e controlli di sicurezza;
b) l'impiego di soluzioni open source, in linea generale, può porre le amministrazioni in posizione di vantaggio nei confronti dei fornitori di software e di servizi IT, perché consente una molteplicità di offerte, e dunque favorisce la concorrenza. È evidente come vada evitato il rischio che grandi fornitori di software proprietario, in virtù dell'unicità della loro offerta, godano di una posizione dominante nei confronti delle amministrazioni, e siano in grado di condizionarne le scelte tecnologiche o il budget, ad esempio imponendo una strategia di aggiornamento dei prodotti software, oppure modificando senza preavviso la politica commerciale e i modelli di licenza. Sotto questo profilo, ed in linea di principio, l'impiego di prodotti open source consente un rapporto più flessibile tra le amministrazioni e i fornitori, e generalmente favorisce i piccoli venditori di servizi, con maggiore radicamento territoriale, rispetto ai grandi produttori di software multinazionali;
c) con riferimento all'aspetto economico della problematica, in progetti di sistemi informativi con forte connotazione di distribuzione risulta particolarmente conveniente la libertà di installazioni multiple tipica del modello open source (ad esempio, nella licenza GPL, chi acquista un software può installarlo in un numero indefinito di copie). Tuttavia questo vantaggio non è legato necessariamente all'open source: è ipotizzabile un modello di vendita per licenza opportuno anche per il software proprietario, che limiti il costo totale per le licenze a una certa soglia, e che eviti dunque il rischio di una crescita incontrollata delle spese;
d) esaminando la struttura della spesa della Pubblica Amministrazione italiana nel settore IT (fonte Aipa: rilevazione consuntivo 2001), si rileva che il 61 per cento circa della spesa annuale per il software consiste in sviluppo e manutenzione di applicazioni custom, contro il 39 per cento che viene speso in licenze e servizi di manutenzione di pacchetti commerciali (software di base, d'ambiente, d'infrastruttura eccetera). Dunque, per ottenere un significativo contenimento dei costi, non è ragionevole limitarsi a ipotizzare l'adozione di software open source nell'area dei pacchetti commerciali, ma occorre intervenire anche nell'area delle applicazioni custom, il che significa soprattutto favorire il riuso di software già sviluppato per un'amministrazione e la diffusione (gratuita) di tale software ad altre amministrazioni, anche applicando la normativa già esistente (articolo 25 della legge 340/2000).

Inoltre, il Governo in carica non intende minimamente scoraggiare l'utilizzazione dell'open source, ovvero la possibilità di utilizzare e di sviluppare, con il consenso degli interessati, programmi disponibili sul mercato, gratuitamente o a costi contenuti, anziché acquistare prodotti coperti da brevetto. Questo orientamento si salda, del resto, con un indirizzo già tracciato in precedenza. Infatti il sistema operativo Linux su macchine server, pur non essendo ampiamente diffuso, è già da anni presente in varie realizzazioni della pubblica amministrazione. Il Governo, infatti, ha già dimostrato di non avere alcuna preclusione in proposito; un esempio concreto dell'orientamento sopra delineato è rappresentato dal sito web del dipartimento per l'innovazione e le tecnologie che si avvale di un sistema operativo libero, così come il portale dello stesso Governo.


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Si fa riserva di rendere noti appena disponibili i risultati conseguiti dalla commissione per il
software open source; sulla base di tali risultati le amministrazioni, nella loro autonomia, suffragate da idonee valutazioni sotto il profilo tecnico-economico, potranno prendere le decisioni più idonee per lo sviluppo dei propri sistemi informativi.
Il Ministro per l'innovazione e le tecnologie: Lucio Stanca.

BULGARELLI. - Al Ministro dell'interno. - Per sapere - premesso che:
in data 30 novembre 2002 una delegazione di cui faceva parte l'interrogante si recava presso il Centro di permanenza temporanea «Regina Pacis» di San Foca (Lecce) per verificare le condizioni di permanenza di numerosi cittadini extracomunitari ivi ospitati;
il primo dato riscontrato dalla delegazione riguardava le condizioni di estremo sovraffollamento in cui versavano gli immigrati, circa 185 di varie nazionalità (soprattutto pakistani, marocchini, cinesi, cingalesi, indiani, srilankesi), ammassati in stanze di 15 metri quadri che ospitavano, sistemate su numerosi letti a castello, almeno 12 persone ognuna; i locali erano inoltre sprovvisti di finestre o avevano finestre sbarrate e quindi inaccessibili; molti degli extracomunitari incontrati protestavano inoltre per le intollerabili condizioni igieniche in cui, generalmente, versavano materassi e lenzuola; per quanto concerne poi l'igiene personale, i migranti lamentavano il fatto di avere a disposizione acqua calda per soli 15 minuti al giorno e di non poter usufruire di acqua potabile, tanto da dover essere costretti ad acquistare, per bere, acqua minerale;
la delegazione raccoglieva poi numerose lamentele per l'assenza di spazi per la socializzazione e per l'assistenza sanitaria del tutto inadeguata fornita agli ospiti del «Regina Pacis» -:
quali misure ritenga di disporre in seguito a quanto esposto in premessa;
se non ritenga opportuno avviare un'inchiesta approfondita volta ad accertare le complessive condizioni di permanenza all'interno della struttura «Regina Pacis» e la loro compatibilità con il rispetto dei diritti umani e civili degli extracomunitari ivi soggiornanti.
(4-04874)

BULGARELLI. - Al Ministro dell'interno. - Per sapere - premesso che:
in data 30 novembre 2002 una delegazione di cui faceva parte l'interrogante si recava presso il Centro di permanenza temporanea Regina Pacis di San Foca (Lecce) per verificare le condizioni di permanenza di numerosi cittadini extracomunitari ivi ospitati;
nel corso di tale visita, la delegazione raccoglieva numerose testimonianze degli extracomunitari che lamentavano l'assoluta mancanza di assistenza giuridica e l'impossibilità, per molti di loro, di illustrare le motivazioni che li avevano portati ad entrare clandestinamente nel nostro territorio; molti di essi, infatti, sbarcati in Sicilia, internati ad Agrigento e quindi trasferiti nella struttura Regina Pacis di Lecce, provenivano da zone di conflitto, dove avevano perso sia la casa che molti membri del loro nucleo familiare, e, pur avendo intenzione di chiedere asilo presso il nostro Governo, non avevano avuto l'opportunità di inoltrare tale richiesta per la mancanza di qualunque forma di assistenza, a partire dalla presenza di interpreti che potessero raccogliere le loro testimonianze ed assisterli sul piano legale; molti di loro, infatti, coglievano l'occasione della presenza della delegazione presso la struttura Regina Pacis per presentare domanda d'asilo;
erano presenti all'interno della struttura Regina Pacis molti migranti da tempo soggiornanti - alcuni da molti anni - in territorio italiano, dove svolgevano attività lavorative di vario tipo; nonostante essi fossero all'interno del Regina Pacis da alcuni mesi, non erano stati messi al corrente dal personale del centro della


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possibilità di regolarizzare la loro posizione aderendo alla «sanatoria» prevista dalla legge in materia di immigrazione e asilo recentemente entrata in vigore, che avrebbe permesso loro di ottenere la sospensione o la revoca del provvedimento di espulsione; alcuni, come nel caso di quattro cittadini cinesi, erano addirittura provvisti della fotocopia della ricevuta della domanda di sanatoria ma l'iter per la regolarizzazione non era stato completato a causa dell'impossibilità per loro - trattenuti presso la struttura del Regina Pacis - di espletare il resto delle pratiche; alcuni lavoratori stranieri erano infine trattenuti al Regina Pacis perché fermati in occasione di controlli casuali mentre erano in attesa del rinnovo del contratto di collaborazione coordinata -:
se non ritenga che l'impossibilità per molti cittadini extracomunitari presenti presso la struttura Regina Pacis di inoltrare la richiesta di asilo per la mancanza di personale con funzione di interprete e di operatori addetti all'assistenza legale non si configuri come una violazione della Dichiarazione dei Diritti dell'Uomo, della Convenzione delle Nazioni unite sullo status di rifugiato e di altre norme di diritto comunitario, come la Convenzione di Palermo contro il Crimine Organizzato, firmata da 118 paesi, tra i quali l'Italia, che stabilisce che gli immigrati vadano in primo luogo considerati come soggetti bisognosi di tutela e protezione e vada ad essi garantita la possibilità di richiedere asilo presso i paesi di approdo;
se non ritenga che l'impossibilità per molti migranti presenti presso la struttura Regina Pacis di usufruire delle procedure di regolarizzazione - per mancanza di informazione a riguardo o per carenza di assistenza legale - si configuri come violazione della vigente normativa in materia di immigrazione e asilo.
(4-04884)

BULGARELLI. - Al Ministro dell'interno. - Per sapere - premesso che:
in data 30 novembre 2002 una delegazione di cui faceva parte l'interrogante si recava presso il centro di permanenza temporanea Regina Pacis di San Foca (Lecce) per verificare le condizioni di permanenza di numerosi cittadini extracomunitari ivi ospitati;
nel corso di tale visita, la delegazione raccoglieva numerose testimonianze degli extracomunitari su presunte violenze cui molti di loro sarebbero stati sottoposti in più di una occasione ad opera di operatori civili in servizio presso la struttura in oggetto; tali operatori avrebbero abitualmente in dotazione bastoni;
nel corso del sopralluogo effettuato la delegazione ha avuto l'opportunità di incontrare alcuni extracomunitari, in particolare di nazionalità marocchina, che il 22 novembre 2002 avevano tentato la fuga dal Regina Pacis e che erano poi stati ricondotti all'interno della struttura da personale civile che ivi prestava servizio; essi raccontavano di essere stati portati a piccoli gruppi, dopo il loro tentativo di fuga dal centro Regina Pacis, all'interno di un locale e duramente percossi con bastoni di legno e calci con anfibi da alcuni operatori del centro; inoltre un altro cittadino marocchino riferiva di essere stato ammanettato ed esposto nudo l'intera notte nel cortile del centro e un suo connazionale riferiva di essere stato percosso nei locali del dormitorio, alla presenza di tutti i suoi compagni, come ulteriore forma di umiliazione;
gli extracomunitari presentavano lividi, tumefazioni, punti di sutura ed alcuni di loro avevano arti fasciati o ingessati; gli extracomunitari sostenevano di essere stati malmenati una volta ripresi e che in più di un'occasione operatori interni alla struttura erano ricorsi a percosse e sevizie, oltre che a minacce e intimidazioni, nei loro confronti; risulta all'interrogante, inoltre, che al fine di nascondere l'accaduto e in previsione della visita della delegazione, undici magrebini coinvolti nel tentativo di fuga, alcuni dei quali feriti, sarebbero stati precipitosamente rimpatriati -:
se non ritenga opportuno avviare immediatamente indagini tese ad appurare la


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veridicità delle affermazioni rilasciate dagli extracomunitari ai membri della delegazione a riguardo della presenza di operatori civili che ricorrerebbero abitualmente all'uso della violenza; in particolare, se risponda al vero che in occasione del tentativo di fuga effettuato in data 22 novembre 2002, numerosi degli extracomunitari catturati furono violentemente percossi da operatori del Regina Pacis.
(4-05379)

Risposta. - Rispondendo alle interrogazioni parlamentare in discorso, si comunica che, secondo quanto riferito dalla prefettura-UTG di Lecce, gli immigrati ospitati nel centro, visitato dall'interrogante il 30 novembre 2002, erano 185, al di sotto della capienza massima fissata nel numero di 230. Gli ospiti erano sistemati nei locali adibiti ad alloggi con la possibilità di fruire liberamente, nei periodi consentiti, delle aree comuni, consistenti in zone ricreative e spazi aperti.
All'interno del centro risultavano al momento trattenuti 57 cittadini pakistani provenienti dalla questura di Crotone, già muniti di decreto di respingimento e trattenimento nel centro medesimo, secondo la normativa vigente.
Nel corso della visita, i cennati extracomunitari hanno sottoscritto un documento il cui testo, in lingua italiana, evidenziava l'intenzione di chiedere asilo politico, denunciando di non averlo potuto fare prima, all'atto dell'arrivo in Italia e presso lo stesso centro «Regina Pacis»".
Personale dell'ufficio immigrazione della questura di Lecce regolarizzava, successivamente, la cennata procedura, senza che si verificasse alcun tipo di impedimento all'esercizio di detto diritto.
Si specifica, altresì, che la locale questura non ha adottato provvedimenti di allontanamento dal territorio nazionale nei confronti di cittadini stranieri aventi in corso la procedura di regolarizzazione.
Si fa presente, peraltro, a chiarimento di quanto evidenziato dall'onorevole interrogante, che l'erogazione dell'acqua calda e di quanto necessario per l'igiene personale viene assicurata dal personale addetto alla gestione del centro, mentre la pulizia dei locali viene effettuata a seguito di apposito contratto di appalto da azienda specializzata del settore. Le condizioni igienico-sanitarie della struttura vengono comunque certificate periodicamente dalla ASL LE/1.
L'acqua minerale, in varie confezioni, viene normalmente fornita durante i pasti e gratuitamente a tutti. Presso il centro è altresì in funzione tutti i giorni, nell'arco delle 24 ore, un presidio sanitario dell'ASL composto da un medico e da personale infermieristico, che assicura l'assistenza sanitaria in genere, ed ogni tipo di intervento immediato, anche d'urgenza. Nel caso in cui venga riscontrata dallo stesso sanitario la necessità di sottoporre l'ospite a cura o interventi di natura specialistica, lo stesso viene accompagnato presso i presidi di zona.
All'ospite straniero, così come previsto dalla carta dei diritti e doveri del centro, è garantito il materiale informativo necessario per facilitare i rapporti con le autorità consolari del proprio paese per l'esercizio del diritto di difesa nel procedimento di convalida del decreto di trattenimento.
Viene, altresì, offerta agli interessati la possibilità di consultare gli elenchi degli avvocati iscritti all'ordine della provincia di Lecce e di quelli iscritti nell'apposito elenco per l'assistenza legale a spese dello Stato, accedendo, secondo le modalità previste dalle norme, al gratuito patrocinio.
L'esercizio di difesa è inoltre assicurato agli ospiti anche attraverso il servizio legale del C.I.R. (Consiglio Italiano per i Rifugiati) ed i legali convenzionati con lo stesso Centro «Regina Pacis».
In merito all'episodio citato specificatamente nell'interrogazione n. 4-05379, si riferisce che, secondo quanto comunicato dalla prefettura-UTG di Lecce, il 22 novembre scorso quaranta stranieri di origine maghrebina, trattenuti presso il centro di permanenza temporanea ed assistenza «Regina Pacis» di San Foca, hanno tentato la fuga, ma sono stati intercettati dai carabinieri addetti al servizio di vigilanza; nella circostanza, solo tre stranieri sono riusciti a fuggire.


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Nel corso del tentativo di fuga, tre carabinieri e alcuni cittadini marocchini hanno riportato lievi ferite.
A distanza di alcuni giorni dall'episodio, 17 stranieri del gruppo, tutti di nazionalità marocchina, hanno presentato denuncia alla locale autorità giudiziaria, sostenendo di aver subito maltrattamenti.
Al riguardo, la procura della Repubblica di Lecce ha svolto indagini, non ancora concluse.
Alla scadenza del periodo di trattenimento degli stranieri presso il centro di permanenza citato, avendo la stessa Procura dichiarato la sussistenza di esigenze investigative tali da rendere opportuna la presenza degli stranieri in Italia, allo scopo di rendere possibile l'esperimento degli incidenti probatori, la questura di Lecce ha proceduto al rilascio di un permesso di soggiorno per motivi di giustizia.
Su un piano generale, per quanto concerne i centri di permanenza temporanea, si ricorda che, in base alla legge 6 marzo 1998, n. 40, nota come legge Turco-Napolitano sull'immigrazione, che sul punto è stata solo parzialmente modificata dalla legge 30 luglio 2002, n. 189, la cosiddetta Fini-Bossi, chi entra clandestinamente, a meno che non abbia i requisiti per l'asilo o non vi siano fondati motivi umanitari, va allontanato dal territorio nazionale con il riaccompagnamento nel paese di provenienza. Per fare questo è, però, indispensabile accertare l'identità del clandestino, perché sia certa, di conseguenza, la provenienza dell'interessato e lo Stato di provenienza non ponga ostacoli alla riammissione. L'indagine, che viene svolta caso per caso, punta altresì a far emergere eventuali altri elementi significativi, per garantire al meglio tutte le posizioni che le normative internazionali tutelano. Questi accertamenti richiedono del tempo, durante il quale chi è entrato clandestinamente deve essere posto nelle condizioni di non dileguarsi.
A questa funzione provvedono i centri di permanenza temporanea, senza i quali coloro che, al di fuori dei confini europei, desiderano entrare in Italia potrebbero farlo liberamente, senza rispettare alcuna regola e senza limiti riguardanti le condizioni soggettive dell'extracomunitario (disponibilità a lavorare, precedenti penali, pericolosità), con la conseguenza che nessun clandestino verrebbe espulso e che, anzi, andrebbe eliminata la stessa nozione di clandestinità. È un'opinione rispettabile, che ha l'unico limite di non essere condivisa né dal Governo né dal Parlamento italiani, i quali hanno deciso diversamente, e non solo questo Governo e questo Parlamento, ma anche quelli della precedente legislatura. Proponendo la legge Turco-Napolitano e approvandola, il Governo e il Parlamento, allora a maggioranza di centrosinistra, hanno, infatti, predisposto ed approvato anche il sistema delle espulsioni, il meccanismo che consente il riaccompagnamento nei paesi di provenienza e, quindi, la costituzione dei centri di permanenza temporanea.
Si ricorda, inoltre, che a fronte della difficoltà di identificare con certezza una parte dei clandestini nel termine di trenta giorni, previsto dalla legge n. 40 del 1998, la legge n. 189 del 2002 ha esteso la durata massima della permanenza a sessanta giorni. Si tratta della durata massima, perché l'identificazione può andare in porto anche dopo pochi giorni, sicché la permanenza nel centro cessa e il clandestino viene riaccompagnato nello Stato di appartenenza.
Se, invece, il problema riguarda non la stessa esistenza dei centri di permanenza bensì le condizioni di trattamento al loro interno, chiunque, visitando i centri di permanenza italiani e i centri analoghi presenti in altri Stati dell'Unione europea, potrà constatare che quelli italiani garantiscono standard di vita oggettivamente rispettosi della dignità delle persone ospitate e, peraltro, nettamente superiori a quelli degli altri paesi. È assolutamente impropria l'assimilazione dei centri di permanenza temporanea a strutture di detenzione. I centri non hanno alcuno scopo afflittivo e al loro interno non vi è un regime carcerario. Non sono istituti di pena ma strutture il cui perimetro esterno è vigilato dalle forze di polizia e al cui interno vi sono libertà di movimento e spazi ricreativi. Nel centro Regina Pacis, per esempio, vi sono


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un campo di calcetto e una sala TV cinematografo. I loro ospiti possono colloquiare con l'esterno ed è possibile ricevere la visita, oltre che dei propri legali, dei propri familiari.
La concezione e le modalità di istituzione dei centri di permanenza temporanea corrispondono ad una trasparente e coerente politica di Governo del fenomeno dell'immigrazione, condivisa e definita concordemente con gli altri partner dell'Unione europea.
Il Sottosegretario di Stato per l'interno: Alfredo Mantovano.

BUTTI e TABORELLI. - Al Ministro della difesa. - Per sapere - premesso che:
attualmente il Comando provinciale dei carabinieri di Como è ubicato in una struttura, costruita nel 1939, di proprietà dell'amministrazione provinciale di Como;
tale struttura risulta essere decisamente insufficiente a soddisfare le esigenze del Comando, sia in ordine alla volumetria di interni che quanto concerne gli spazi esterni;
in data 8 ottobre 2001 il Comando provinciale dei carabinieri di Como ha chiesto il trasferimento presso la dismessa caserma «Venini» di Como, ex sede del distretto militare;
recentemente, dopo reiterate richieste degli interroganti, lo stato maggiore della difesa, d'accordo con lo stato maggiore dell'esercito ha espresso parere favorevole alla cessione della caserma «Venini» all'arma dei carabinieri;
l'amministrazione provinciale di Como, alla ricerca di nuovi spazi, attende di riacquisire la propria struttura sede dell'attuale comando dei carabinieri;
la spesa ipotizzata per la ristrutturazione della caserma «Venini» sarebbe di circa 5 milioni di euro -:
se non sia il caso di sollecitare il trasferimento del comando provinciale dei carabinieri di Como come evidenziato in premessa, alla luce delle oggettive difficoltà nelle quali operano i carabinieri di Como, più volte denunciate dagli interroganti e non ulteriormente prorogabili;
se non sia il caso di finanziare rapidamente la ristrutturazione della caserma «Venini» per consentire tale trasferimento.
(4-06281)

BUTTI e TABORELLI. - Al Ministro della difesa. - Per sapere - premesso che:
la caserma «de Cristoforis» localizzata a Como e un tempo sede del 23 battaglione fanteria «Como» ospita attualmente in una ridottissima parte dell'ampia e non utilizzata struttura quel che resta del vecchio distretto militare di Como (circa 30 soldati);
la caserma molto ampia e in discreto stato di manutenzione ospitava un tempo due compagnie di reclute ed un plotone comando ed ora è relegata a «cattedrale nel deserto» -:
quali siano, alla luce delle recenti dismissioni operate dall'esercito italiano, i progetti per quella prestigiosa e strategica struttura;
se non sia il caso di valutarne la totale o parziale dismissione in relazione alla esigenza, manifestata dagli enti locali territoriali, di nuovi spazi da adibire ad altre funzioni.
(4-06282)

BUTTI, TABORELLI, PALMIERI e RIZZI. - Al Ministro della difesa. - Per sapere - premesso che:
a Como la prestigiosa caserma «De Cristoforis» ha ospitato per decenni il centro addestramento reclute del 23 BTG Fanteria «Como» suddiviso in due compagnie di reclute ed un plotone comando;
dopo lo scioglimento del battaglione l'enorme e prestigioso stabile risulta occupato


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da pochi militari del distretto militare di Como -:
quale sia l'orientamento dell'Amministrazione della difesa rispetto alla sottoscrizione di un accordo di programma, ai sensi delle vigenti norme, per una diversa destinazione ad uso pubblico dell'area su cui insiste la caserma, atteso che quest'ultima risulta quasi del tutto inutilizzata tant'è che come specificato in premessa ospita poche decine di soldati che potrebbero trovare favorevole allocazione in altre strutture presenti nell'ambito del territorio del Comune di Como.
(4-06283)

Risposta. - Si risponde contestualmente alle interrogazioni in discorso in quanto tutte attinenti a problematiche relative ad infrastrutture militari di Como.
Per una migliore comprensione della situazione relativa alle questioni poste dagli onorevoli Butti e Taborelli con l'interrogazione n. 4-06281, è necessario premettere che le infrastrutture impiegate per l'accasermamento delle Forze di polizia, dislocate sul territorio per esigenze di tutela dell'ordine e della sicurezza pubblica, rientrano nelle competenze del Ministero dell'interno.
Pertanto, ai fini del trasferimento della caserma «Venini» del Comando Provinciale dei carabinieri di Como, occorre che detta infrastruttura transiti dalla disponibilità della difesa a quella dell'interno.
Al riguardo, il decreto del Presidente 13 luglio 1998 n. 367, recante norme per la semplificazione dei procedimenti di presa in consegna dei beni immobili patrimoniali dello Stato, prevede che l'amministrazione pubblica che non utilizzi, in tutto o in parte, un immobile assegnato in uso governativo, sia tenuta a darne comunicazione all'ufficio del territorio per la riconsegna all'Amministrazione finanziaria.
Sarà, quindi, compito di quest'ultima, una volta che il bene si sia reso disponibile, provvedere ad una sua diversa utilizzazione o destinazione.
Ciò premesso, si conferma che l'Arma dei carabinieri aveva formalizzato all'Amministrazione militare, nel marzo 2002, il proprio interesse all'acquisizione della caserma «Venini» di Como, già sede del distretto militare e dell'Ufficio leva.
L'Amministrazione, da parte sua, aveva specificato che l'immobile non sarebbe stato più utilizzato dall'esercito a partire dal secondo semestre 2002, data entro la quale doveva essere ultimato il trasferimento del distretto militare presso la caserma «De Cristoforis», anch'essa situata nella città lariana.
Successivamente, il 6 settembre 2002, sono state date le conseguenti disposizioni sia alla direzione generale della leva, affinché disponesse lo sgombero dei locali della caserma «Venini», sia alla direzione generale dei lavori e del demanio, perché attivasse le procedure tecnico-amministrative per la dismissione dell'immobile a favore del ministero dell'interno per esigenze dell'Arma dei carabinieri.
In data 5 dicembre 2002, la citata direzione generale dei lavori e del demanio ha segnalato alla filiale di Milano dell'agenzia del demanio la dismissibilità della struttura in questione, per il successivo trasferimento al ministero dell'interno. Contestualmente, la stessa direzione generale, al fine di accelerare le procedure di dismissione, ha dato disposizioni al reparto infrastrutture territoriale di prendere i necessari accordi per l'avvio del previsto iter tecnico-amministrativo.
Al riguardo, si precisa che con verbale di dismissione datato 20 febbraio 2003, il cespite in argomento è definitivamente transitato all'amministrazione finanziaria.
Per quanto attiene, invece, alla concessione dei finanziamenti necessari alla ristrutturazione del manufatto, essa potrà avere luogo solo quando sarà ultimato il trasferimento della titolarità del bene.
Con riferimento, poi, a quanto chiesto in merito alla caserma «De Cristoforis», con le interrogazioni n. 4-06282 e n. 4-06283 degli onorevoli Butti, Taborelli, Palmieri e Rizzi, si deve osservare, alla luce di quanto già illustrato, che essendo la sola infrastruttura militare utilizzabile dal distretto militare di Como, è ancora attuale l'interesse al suo impiego per i fini istituzionali della difesa e, pertanto, allo stato non può


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essere presa in considerazione alcuna ipotesi di dismissione a favore degli enti locali.
La problematica, tuttavia, potrebbe essere riesaminata allorquando sarà definita la situazione infrastrutturale dell'Esercito derivante dall'applicazione del modello interamente professionale, di cui alla legge 14 novembre 2000, n. 331, nel caso in cui l'immobile dovesse risultare non più utile ai fini istituzionali della difesa.
Il Ministro della difesa: Antonio Martino.

CALZOLAIO. - Al Ministro degli affari esteri. - Per sapere - premesso che:
il decreto-legge n. 103 del 2000 sancisce la parità di trattamento retributivo del personale a contratto, sia presso le ambasciate e consolati che presso gli Istituti italiani di cultura (Itc);
fino ad oggi molti contrattisti non hanno ricevuto nemmeno gli arretrati dell'anno 2001 maturati a seguito dei primi minimi aumenti salariali equiparativi previsti dai nuovi contratti, con decorrenza 12 maggio 2001;
da ben dieci mesi i dipendenti vengono impropriamente retribuiti con soli acconti;
per il semplice computo delle singole retribuzioni sarebbe bastato - in questo unico e specifico caso - delegare il calcolo retributivo ai singoli consolati che detengono tutta la documentazione necessaria -:
quali misure si intendano assumere per porre rimedio a questa situazione imbarazzante poco giustificabile e lesiva dei diritti del personale interessato e se si intenda, considerando i trattamenti retroattivamente maturati, corrispondere al danno subito riconoscendo il diritto alle compensazioni previste in caso di ritardato pagamento anche se non imputabile all'Amministrazione.
(4-02580)

Risposta. - Il 2001 è stato il primo anno di piena applicazione della riforma introdotta dal decreto legislativo 7 aprile 2000, n. 103, che ha radicalmente razionalizzato e semplificato l'impianto giuridico ed amministrativo del settore del personale a contratto assunto da ambasciate, consolati ed istituti italiani di cultura. Il 12 maggio 2001, infatti, è scaduto il termine di legge per la ridefinizione degli schemi contrattuali precedentemente vigenti - determinatisi sulla base della successiva stratificazione di leggi - a due soli contratti tipo: quello di legge locale per ogni paese e quello di legge italiana, unico per tutta la rete degli uffici all'estero.
Immediatamente dopo lo scadere del termine citato, l'amministrazione ha disposto un piano organico di rivalutazione delle basi retributive del personale a contratto in 115 paesi, con decorrenza 1o giugno (per 19 sedi prioritarie) e 1o luglio. Ciò in applicazione dell'articolo 157 del citato decreto legislativo, il quale sancisce che la retribuzione va determinata in modo omogeneo per Paese e per mansioni. Tale piano ha coinvolto circa 1850 impiegati, prevedendo incrementi delle retribuzioni base dal 5 per cento al 4 per cento.
I principi ispiratori di questa operazione sono stati in linea con quanto disposto dalla riforma:
a) la riduzione e, laddove possibile, l'eliminazione delle sperequazioni retributive preesistenti, a parità di mansioni nello stesso paese di servizio;
b) il riconoscimento del mancato adeguamento delle retribuzioni, in alcuni casi per molti anni, al diminuito potere di acquisto delle retribuzioni stesse, con riguardo particolare ai Paesi con elevato tasso di incremento del costo della vita.

Di particolare rilievo è anche la circostanza che, tramite il piano sopra delineato, si è ottenuta la perfetta armonizzazione delle basi retributive del personale a contratto in servizio, rispettivamente presso ambasciate e consolati e presso gli istituti italiani di cultura.
Infine, allo scopo di meglio corrispondere ai principi sanciti dalla riforma, è stata già disposta la corresponsione di emolumenti


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con effetto retroattivo, a saldo del mancato aumento sin dal 1o gennaio 2001.
Tale ultima operazione consente di completare il complesso ed articolato piano di revisione degli aspetti economici, in aggiunta a quelli giuridici, a seguito del profondo rinnovamento dell'intero settore condotto nel corso del biennio 2000/2001.
Va segnalato, inoltre, che le disponibilità del capitolo 2502 si sono rivelate inferiori al fabbisogno per il 2001 e che per finanziare le richieste degli importi concernenti le spettanze del personale degli istituti di cultura, prima che intervenissero le determinazioni dei nuovi contratti stipulati con il personale dopo l'entrata in vigore del Decreto Legislativo 103/2000, si è dovuto ricorrere ad un'integrazione di bilancio che è stata definita alla fine del mese di dicembre 2001.
Non si è, pertanto, potuto procedere alla corresponsione degli aumenti intervenuti dopo il 13 maggio, data di sottoscrizione dei contratti nuovi.
Al fine di ottemperare alle sopra citate esigenze, l'8 maggio 2001 è stata avanzata richiesta d'assestamento sul capitolo 2502 pari a lire 4.563.760.000, provvedendo ad una contestuale compensazione del capitolo 2761, pari a lire 1 miliardo. Tale assestamento è stato concesso, anche se non per l'intero importo, solo nel dicembre 2001 ed erogato, quindi, nel 2002.
Il Sottosegretario di Stato per gli affari esteri: Mario Baccini.

CASTAGNETTI. - Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro delle politiche agricole e forestali. - Per sapere - premesso che:
il Tar del Lazio, con sentenza dell'8 aprile 2003, ha accolto il ricorso di sei Commissari straordinari di altrettanti Istituti di ricerca e di sperimentazione afferenti al Ministero delle politiche agricole e forestali, in virtù della quale sentenza gli stessi Commissari, annullati i provvedimenti impugnati, sono titolati a riprendere immediatamente le loro funzioni;
il Capo dipartimento della qualità dei prodotti agroalimentari e dei servizi, con una sua nota ufficiale dell'11 aprile 2003 indirizzata ai sei Istituti, nel richiamare la sentenza di cui sopra, ha impartito precise disposizioni al fine di vietare che i Commissari reintegrati possano avere accesso agli istituti ai quali sono temporaneamente preposti, invitando altresì i dirigenti competenti a «vigilare al fine di evitare che siano posti in essere eventuali comportamenti pregiudizievoli» della posizione dell'Amministrazione -:
se, accertati i fatti esposti in premessa, il Governo non ritenga il comportamento del Capo Dipartimento viziato per eccesso di potere e in contrasto con i principi costituzionali fondamentali che governano l'azione amministrativa e quali iniziative valuti pertanto opportune adottare per sanare tale situazione.
(4-06145)

Risposta. - Si risponde su delega della Presidenza del Consiglio dei ministri.
Con riferimento a quanto rappresentato nell'interrogazione in oggetto si fa presente che, a seguito delle sentenze del TAR Lazio, l'amministrazione ha chiesto all'Avvocatura generale dello Stato di proporre appello avverso le stesse con contestuale istanza di sospensione.
L'udienza innanzi al Consiglio di Stato, relativa alla richiesta di sospensiva, si è svolta il 9 maggio 2003.
Al momento, le ordinanze non sono state ancora formalmente trasmesse dall'Avvocatura all'amministrazione.
Quanto alle note, datate 11 aprile 2003, con le quali i commissari straordinari in carica interessati sono stati invitati a proseguire nell'esercizio delle funzioni loro conferite, si fa presente che le stesse sono state inviate al fine di garantire la continuità dell'azione amministrativa nelle more dello svolgimento della procedura giurisdizionale.
Il Ministro delle politiche agricole e forestali: Giovanni Alemanno.

CENTO. - Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali, al Ministro dell'economia e


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delle finanze. - Per sapere - premesso che:
in ogni provincia d'Italia esistono a norma del Contratto Nazionale Collettivo dell'edilizia Enti paritetici quali le Casse edili, le Scuole edili, i comitati territoriali paritetici, costituiti da Cgil, Cisl, Uil e Ance/Confindustria;
tali enti gestiscono ingenti risorse economiche attraverso automatiche trattenute sulla busta paga di tutti i lavoratori edili;
tali risorse dovrebbero essere unicamente destinate alla assistenza dei lavoratori ed alla formazione professionale in tema di sicurezza del lavoro -:
quali iniziative intendano intraprendere per garantire la massima trasparenza di utilizzo di queste risorse a favore dei lavoratori e delle imprese e attivare verifiche sull'attività di questi enti;
se non ritengano opportuno intraprendere iniziative normative finalizzate a garantire una migliore gestione della attività di questi enti.
(4-02336)

Risposta. - In ordine all'interrogazione indicata in discorso, con specifico riferimento alle Casse Edili, si fa presente quanto segue.
Le Casse Edili, come è noto, sono istituti contrattuali nel senso che sono state create, a suo tempo, dall'autonomia collettiva come strutture di natura privatistica a composizione paritetica le quali, tramite i contributi versati dalle imprese, provvedono alla erogazione sia di prestazioni relative al trattamento economico e normativo dei lavoratori, sia di prestazioni di varia natura legate all'anzianità professionale.
Infatti, essendo il settore dell'edilizia caratterizzato dall'episodicità dei rapporti di lavoro nonché dalla mobilità dei lavoratori stessi, anziché versare di volta in volta agli operai determinate aliquote della retribuzione (legate al trattamento economico per ferie, festività ecc.), è stato ritenuto più agevole e vantaggioso accantonare dette aliquote presso un soggetto di natura privata (Casse edili) obbligato, a sua volta, a versarle periodicamente ai lavoratori.
La contrattazione collettiva del settore edile non è unitaria. Si consideri al riguardo che le Federazioni di settore aderenti ai sindacati dei lavoratori sottoscrivono contratti separati con le diverse organizzazioni imprenditoriali. La mancanza di collegamento fra le Casse edili produce gravi danni ai lavoratori del settore; essendo, infatti, la prestazione riferita ai periodi di iscrizione a ciascuna Cassa edile il passaggio del dipendente da un sistema all'altro può impedire la maturazione del diritto dell'interessato nei confronti della Cassa edile di provenienza.
La diversità dei sistemi di Casse edili e il rilievo sociale dei problemi conseguenti in tema di reciprocità, hanno reso dunque necessario l'intervento del legislatore.
Questo si è attuato con la disposizione dell'articolo 37 della legge n. 109/1994 (legge quadro in materia di lavori pubblici) che promuove la sottoscrizione di un protocollo d'intesa fra le parti sociali interessate per l'adeguamento della gestione delle Casse edili, al fine di favorire i processi di mobilità dei lavoratori facenti capo alle diverse fonti contrattuali esistenti nel settore, con il conseguente riconoscimento della reciprocità degli accantonamenti alle rispettive Casse.
Pertanto, al fine di realizzare il consenso tra le parti è stato sottoscritto il 18 dicembre 1998 un protocollo tra l'ANCE, le Organizzazioni sindacali e le Organizzazioni degli artigiani che, tra l'altro, regolamenta le condizioni e le modalità operative della «reciprocità».
Infine, poiché il citato protocollo d'intesa si presentava, peraltro, come un accordo complessivo che andava ben oltre le intese sulla «reciprocità», nel successivo verbale di accordo del 9 settembre 1999 è stata estrapolata la sola normativa sulla reciprocità contenuta nel citato documento del 18 dicembre 1998.
Il Ministro del lavoro e delle politiche sociali: Roberto Maroni.


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CENTO. - Al Ministro della salute. - Per sapere - premesso che:
esistono su tutto il territorio italiano strutture sanitarie di competenza delle Aziende sanitarie locali che si occupano della lungodegenza di persone con disturbi psichici provenienti da ex manicomi;
dette strutture, tra le quali, a quanto risulta all'interrogante e secondo un servizio televisivo che sarebbe andato in onda sulla rete televisiva reatina, vi sarebbe per esempio la Rsa di via Riposati di Rieti, non sono minimamente adeguate e predisposte per la «cura» della salute dei degenti ivi presenti, perché carenti sia strutturalmente (scale senza protezioni eccetera) sia a livello igienico, per la carenza di pulizia dell'ambiente e per la completa assenza di assistenza da parte degli operatori sanitari nei confronti dei loro pazienti;
dette strutture, anche se pubbliche, chiedono una retta abbastanza alta ai famigliari dei pazienti che, disperati, si vedono costretti a pagare nonostante l'inadeguatezza della struttura -:
se sia a conoscenza dei fatti e quali provvedimenti intenda intraprendere, di comune accordo con gli enti locali competenti, per predispone un monitoraggio nazionale sul funzionamento di tali strutture per la tutela della salute dei pazienti stessi che hanno il diritto di continuare a vivere una vita dignitosa.
(4-05201)

Risposta. - Innanzitutto si fa presente che a livello centrale è demandata la funzione di indirizzo e coordinamento, mentre alle Regioni spetta il compito di controllare e monitorare tutte le strutture sanitarie situate nel proprio territorio, sia pubbliche che private, mediante le aziende sanitarie locali.
Si ricorda a tal fine che una qualunque struttura che debba esercitare un'attività sanitaria deve essere prima autorizzata e accreditata dalla regione di appartenenza, come peraltro previsto dagli articoli 8-
bis, 8-ter, 8-quater e 8-quinquies del decreto legislativo 19 giugno 1999, n. 29 («Norme per la razionalizzazione del Servizio sanitario nazionale, a norma dell'articolo 1 della legge 30 novembre 1998, n. 419»).
Per i requisiti minimi richiesti alle strutture per l'esercizio delle attività sanitarie, si rimanda al decreto del Presidente della Repubblica 14 gennaio 1997 («Approvazione dell'atto di indirizzo e coordinamento alle regioni e alle province autonome di Trento e Bolzano, in materia di requisiti strutturali, tecnologici ed organizzativi minimi per l'esercizio delle attività sanitarie da parte delle strutture pubbliche e private»).
Sulla questione l'ufficio territoriale di governo di Rieti interpellato dal ministero della salute, ha inviato la seguente nota:
«Secondo quanto comunicato dal direttore generale dell'Azienda sanitaria locale di Rieti, l'interrogazione dell'onorevole Cento nasce da una visita da parte di esponenti dell'associazione di volontariato "Cittadinanza attiva" e di alcuni consiglieri dell'amministrazione provinciale e comunale presso la comunità alloggio di via Riposati».
Gli stessi verso le ore 13,00 del giorno 30 dicembre 2002 si presentavano presso detta struttura e si qualificavano come operatori di «servizi sociali» che venivano «a fare gli auguri ai ricoverati».
I presìdi del dipartimento di salute mentale sono aperti da tempo al volontariato e a chiunque voglia con la propria opera ed il proprio impegno collaborare con il personale del dipartimento in un'azione tesa a facilitare l'integrazione, la socializzazione ed il recupero dei pazienti ricoverati.
In relazione a questa prassi da tempo consolidata, gli infermieri in servizio consentivano ai visitatori l'ingresso nella comunità alloggio.
Questi ultimi, appena entrati, cominciavano a filmare, con attrezzature amatoriali, strutture, pazienti ed operatori.
Gli operatori informavano della visita il dirigente medico, al momento in altra sede, dottor Scafati, il quale invitava gli stessi a voler uscire dalla struttura, cosa che avveniva verso le ore 13,30.
I pazienti attualmente ricoverati nella comunità alloggio di via Riposati fino al giugno 2002 erano ospitati nelle vecchie


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strutture fatiscenti e degradate dell'ex ospedale psichiatrico provinciale, la cui chiusura fu disposta dall'Autorità giudiziaria.
Si riportano di seguito le testuali espressioni del direttore generale dell'azienda A.S.L.:
«Il passaggio verso la struttura di via Riposati ha rappresentato quindi un grosso salto qualitativo sia sotto il profilo del miglioramento del comfort alberghiero che di quello del reinserimento dei pazienti nel più ampio contesto sociale.
Gli stessi, che fino al momento della chiusura dell'
ex ospedale provinciale non avevano acquisito nemmeno le più elementari abilità (alimentarsi e vestirsi autonomamente, utilizzare i servizi igienici, ecc.), infatti, hanno potuto fruire di una serie di iniziative fino a ieri sconosciute, come gite ed escursioni in località turistiche con consumazione dei pasti in ristoranti a diretto contatto con il resto della popolazione».

Entrando poi nel merito dell'interrogazione, il direttore generale della A.S.L: dottor Galbiati puntualizza quanto segue:
«1. la struttura di via Riposati non è una RSA ma una Comunità alloggio;
2. non vi sono carenze strutturali tali da compromettere la cura della salute dei degenti e che comunque si sta provvedendo ad alcune migliorie, di minore portata, tese a rendere ancora più adeguata la struttura alle esigenze di questi ultimi;
3. non è esatto che la Comunità alloggio abbia carenze di ordine igienico-sanitario e che vi sia assenza di assistenza da parte degli operatori sanitari nei confronti dei pazienti. Al contrario, gli stessi sono seguiti in maniera più che adeguata ed i locali della struttura non sono da ritenersi nella maniera più assoluta lacunosi sotto il profilo igienico-sanitario;
4. la stessa, essendo pubblica, è a completo carico del Servizio sanitario locale e non richiede alcuna retta a carico dei familiari dei pazienti».
Il Sottosegretario di Stato per la salute: Antonio Guidi.

CENTO. - Al Ministro della giustizia, al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. - Per sapere - premesso che:
da lunedì 10 febbraio 2003 i lavoratori impegnati nel Servizio di manutenzione del nuovo palazzo di giustizia di Napoli e delle «sedi esterne» sono costretti a scioperare per difendere il loro posto di lavoro;
la recente convenzione tra il ministero della giustizia e l'organismo pubblico denominato Consip (quest'ultimo gestirà la fornitura di materiali e soprattutto le gare di appalto per il servizio manutenzione da riservare, su tutto il territorio italiano, alle molteplici sedi distaccate del ministero) ha affidato alla Romeo gestione impianti (Ente privato che gestisce anche il patrimonio Immobiliare del comune di Napoli) la gestione per la manutenzione e la sicurezza di ascensori, impianti elettrici in generale eccetera in tutti gli edifici del ministero della giustizia (tribunali, procure eccetera) presenti nel centro-sud dell'Italia;
da anni l'ufficio speciale del N.P.G. di Napoli ha sempre garantito, nei capitolati d'appalto, i livelli occupazionali dei lavoratori già da molti anni impegnati nella sicurezza e nell'operatività dell'intera cittadella giudiziaria di Napoli;
a tutt'oggi la Romeo gestione impianti, nonostante varie sollecitazioni anche da parte dei sindacati coinvolti, sfugge al confronto con i lavoratori che chiedono giustamente di sapere del loro futuro lavorativo ed economico -:
se il ministro interrogato sia a conoscenza dei fatti e se questi corrispondano al vero;
se non ritenga necessario aprire un tavolo di concertazione tra la Romeo gestioni, i lavoratori suddetti e i sindacati interessati affinché si possa trovare una soluzione che garantisca e tuteli il posto di lavoro di queste persone che hanno acquisito una ventennale esperienza e che hanno da sempre garantito la sicurezza di


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ascensori, impianti elettrici e idraulici eccetera in tutte le sedi di Napoli del ministero di giustizia.
(4-05591)

Risposta. - Con riferimento all'interrogazione in discorso, si rappresenta che il decreto-legge 16 dicembre 1993, n. 522, convertito dalla legge 11 febbraio 1994, a 102 ha istituito e disciplinato l'Ufficio speciale per la gestione e manutenzione degli uffici giudiziari di Napoli, che sin dal 1994 ha esercitato le proprie attribuzioni affidando a diverse imprese specializzate, selezionate per mezzo di indagini di mercato, la prestazione di servizi di manutenzione distinti per natura del settore.
I relativi contratti venivano stipulati con durata annuale, con possibilità di rinnovo per un ulteriore periodo di pari durata. Alla scadenza di alcuni di essi nel periodo compreso tra il 31 dicembre 2001 ed il 12 gennaio 2002, per il rinnovo dei contratti si è dovuto tener conto delle disposizioni di cui all'articolo 26 della legge 23 dicembre 1999, n. 448 e della conseguente disciplina applicativa emanata dal Ministero dell'economia e delle finanze, con le quali è stata introdotta l'obbligatorietà per le amministrazioni statali di acquistare i beni ed i servizi necessari alla propria attività istituzionale affidando alla Consip S.p.a. il compito di individuare gli aggiudicatari delle forniture statali, distinti secondo una ripartizione in lotti del territorio nazionale.
L'Ufficio speciale, quindi, prendeva contatto con l'impresa affidataria per il lotto territoriale 6 Campania-Puglia-Molise ed iniziava l'istruttoria, acquisendo da tale impresa il cosiddetto «Piano Dettagliato» per la gestione globale.
La valutazione di tale documento da parte dei tecnici dell'Ufficio speciale ha richiesto tempi lunghi a causa della notevole estensione del progetto adeguata alla complessità e vastità del suo oggetto. All'esito di essa, in attesa del conferimento degli appositi fondi, si passava alla fase di adesione alla convenzione e, nel contempo, le maestranze fino ad allora impegnate nella manutenzione degli edifici iniziavano una serie di azioni di protesta, chiedendo garanzie sul mantenimento del posto di lavoro in caso di avvicendamento nella titolarità dell'affidamento del servizio.
L'affidatario ha sempre assicurato disponibilità in tal senso, sia per le vie brevi che con nota formalmente inoltrata all'Ufficio Speciale, e l'Amministrazione ha sempre reso edotte le organizzazioni sindacali di tale disponibilità, da ultimo nella riunione presso l'Ufficio territoriale del governo di Napoli del 24 ottobre 2002, indetta a seguito dell'annuncio di un calendario di astensioni dal lavoro del personale dipendente delle imprese nella misura di quattro ore per turno dal 27 ottobre al 15 novembre 2002.
L'azione di protesta iniziava come previsto, ma grazie all'opera di mediazione dell'ufficio speciale, i manifestanti sospendevano l'astensione, scongiurando i disagi che ne sarebbero quindi derivati. Però a seguito della ulteriore riunione del 30 ottobre 2002 presso l'U.T.G. di Napoli, nella quale si riscontrava la mancata partecipazione dei rappresentanti della Consip, le agitazioni riprendevano senza preavviso il 31 ottobre 2002, lasciando l'intero nuovo palazzo di giustizia privo di illuminazione.
Tali agitazioni determinavano la totale sospensione delle attività, contrariamente a quanto prospettato nelle precedenti comunicazioni sindacali, nelle quali si prevedeva l'astensione di 4 ore per turno.
Un ulteriore incontro dell'Ufficio speciale con le organizzazioni sindacali vedeva queste ultime in posizione di totale preclusione a qualsiasi forma di dialogo, tale da rendere ingestibile ogni mediazione.
Infatti, le già fornite rassicurazioni sul mantenimento del posto di lavoro, non potevano essere confermate in termini di certezza assoluta, trovandosi il conferimento dell'affidamento in fase istruttoria.
Ulteriori azioni di protesta, reiterate nel febbraio 2003, rendevano necessario l'intervento della commissione di garanzia per l'attuazione dello sciopero nei servizi essenziali, al quale seguiva la precettazione dei lavoratori da parte dell'U.T.G. di Napoli.
Anche i presidi straordinari ridotti per le eventuali emergenze, predisposti dalle ditte su richiesta dell'Ufficio speciale, venivano


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in alcuni casi disertati dagli stessi lavoratori incaricati di farne parte.
Nel frattempo, in data 3 febbraio 2003, venivano assegnati i fondi per la copertura finanziaria degli oneri derivanti dall'affidamento del servizio di gestione globale e veniva convocata per il 13 febbraio 2003 la riunione conclusiva che avrebbe dovuto portare alla predisposizione dell'ordinativo di fornitura.
Senonché, in tale sede il rappresentante dell'associazione temporanea d'imprese aggiudicatarie poneva inopinatamente una serie di condizioni non previste dalla Convenzione ed estremamente penalizzanti per l'amministrazione, che impedivano di formalizzare l'ordinativo ed imponevano di rimettere la questione al vaglio della Consip, secondo quanto stabilito dalla Convenzione. Mentre l'ufficio speciale manteneva i contatti con la stessa Consip, considerati gli aspetti di pressante urgenza e pericolosità della situazione, le organizzazioni sindacali, preso atto della perdurante indeterminazione della questione, annunciavano un ulteriore periodo di astensioni dal servizio dal 13 al 15 marzo 2003.
Allo stato, si è in attesa di riscontro da parte della Consip per una soluzione del problema nei termini concordati, o, in alternativa, per una declaratoria di presa d'atto della impossibilità di aderire alla Convenzione per la manifesta preclusione dell'assuntore a rispettare quanto in essa previsto.
Si precisa, infine, che in passato l'Ufficio speciale aveva inserito nel «Capitolato speciale di appalto dei servizi di manutenzione ordinaria delle strutture edili del nuovo palazzo di giustizia e della procura della Repubblica di Napoli» una clausola secondo la quale «l'impresa aggiudicatrice era obbligata ad assumere il personale, per numero e livelli retributivi, già dipendente della precedente impresa appaltatrice».
Per ovvie ragioni, non è stato possibile inserire tale clausola nella convenzione Consip, e, tra l'altro l'Associazione costruttori edili Napoli - ACEN, aveva a suo tempo invitato l'Ufficio speciale ad eliminare la predetta clausola dal capitolato speciale, in quanto contrastante con il regime normativo vigente in materia, richiamando anche un parere espresso sull'argomento dall'Autorità per la vigilanza sui lavori pubblici.
Il Ministro della giustizia: Roberto Castelli.

CIANI. - Al Ministro dell'interno. - Per sapere - premesso che:
il giorno 21 dicembre 2002, alle ore 11 partiva un treno da Roma Termini direzione Torino Lingotto, con a bordo circa ottanta persone tifose della squadra della Roma per assistere all'incontro di calcio Torino-Roma che si sarebbe effettuato alle ore 20,30 dello stesso giorno;
la quasi totalità del gruppo avrebbe comprato il biglietto per l'accesso allo stadio non appena arrivati a Torino, presso il botteghino dello stadio delle Alpi;
le suddette persone durante il viaggio Roma-Torino non hanno mai commesso atti per cui sarebbero stati eventualmente perseguibili dalla legge e giustificatamene bloccati alla stazione di Torino;
tutti questi viaggiatori erano in possesso del biglietto della tratta Roma-Torino;
non appena arrivati alla stazione ferroviaria di Torino Lingotto sarebbero stati accolti da agenti del reparto mobile della polizia di Stato e carabinieri in tenuta antisommosse;
sarebbero stati bloccati nel piazzale antistante la suddetta stazione, controllati nei documenti e immobilizzati nello stesso piazzale per circa 4 ore (dall'arrivo del treno ore 19 fino alle ore 23) senza dare nessun tipo di motivazione per tale provvedimento -:
se si intenda verificare quali indicazioni siano state impartite alle forze dell'ordine affinché si possa fare chiarezza sull'episodio.
(4-05110)

Risposta. - Rispondendo all'interrogazione presentata dall'onorevole si comunica che nella giornata precedente l'incontro di


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calcio Torino-Roma si è tenuta, presso il ministero dell'interno, una riunione operativa per organizzare, con tutti i soggetti interessati compresi i rappresentanti di Trenitalia e dell'Associazione sportiva Roma calcio, il servizio di ordine pubblico.
Durante tale riunione si è ribadita la necessità di far osservare tutte le direttive vigenti in materia e, in particolare, si è ribadito il divieto della vendita dei biglietti di ingresso allo stadio - per il settore riservato alla tifoseria ospite - il giorno dell'incontro, presso le biglietterie dello stadio, nonché la necessità del possesso del titolo di viaggio per gli spostamenti in treno.
Tali direttive discendono da una norma del settembre 1999 emanata dalla Federazione italiana gioco calcio e sono state ribadite anche dalla circolare della medesima Federazione n. 14 del 9 agosto 2002.
Le decisioni adottate nella riunione tecnico-operativa del 20 dicembre s.a. sono state largamente pubblicizzate sia dalla società Roma calcio, tramite i propri canali d'informazione, che dal Dipartimento della pubblica sicurezza del ministero dell'interno che, al riguardo, ha diramato un comunicato - successivamente reso pubblico da molti organi d'informazione locali - in cui si ribadiva l'impossibilità di acquistare, a Torino, il biglietto d'ingresso allo stadio per il settore ospiti.
Si è comunque predisposto, per il giorno 21 dicembre 2002, un idoneo dispositivo di pre-filtraggio presso la stazione ferroviaria di Torino Lingotto, ove era previsto l'arrivo di supporters romanisti, al fine di verificare, in maniera capillare, che questi ultimi fossero già in possesso di regolare biglietto d'ingresso allo stadio.
Al termine del controllo dei 170 tifosi giunti alla stazione di Torino Lingotto, circa 50, regolarmente in possesso di biglietto, sono stati accompagnati, debitamente scortati, allo stadio, mentre i restanti 120, tutti sprovvisti di regolare biglietto, sono stati, nel pieno rispetto della legalità, identificati sul posto.
I controlli sono terminati alle ore 23,00 circa, momento in cui i tifosi sono stati accompagnati alla stazione di Torino Porta Nuova per ripartire alla volta di Roma, unitamente ai tifosi che avevano regolarmente assistito alla partita.
La scelta della Federazione italiana di non vendere biglietti il giorno della partita ai tifosi della squadra ospite, pienamente condivisa e recepita da questa amministrazione, discende dalla necessità di controllare preventivamente i tifosi in ordine alla titolarità del biglietto d'ingresso, prima del loro arrivo allo stadio, per evitare contatti tra opposte tifoserie e prevenire eventuali incidenti.
Il Sottosegretario di Stato per l'interno: Alfredo Mantovano.

CIMA e ZANELLA. - Il Ministro degli affari esteri. - Per sapere - premesso che:
nella Plaza de Mayo di Buenos Aires in Argentina, da oltre vent'anni, ogni giovedì, le «madri e le nonne di Plaza de Mayo» manifestano chiedendo giustizia per le migliaia di cittadini desaparecidos;
il 26 settembre 2002, al corteo settimanale si sono aggiunti esponenti e militanti degli organismi per la difesa dei diritti umani, associazioni sociali, sindacali e di partito, per protestare per l'attentato subito qualche giorno prima dalla signora Estella Carlotto, presidente delle «Nonne di Plaza de Mayo», associazione di donne argentine che dai tempi della dittatura militare si batte contro l'impunità e il processo dei colpevoli in tutte le sedi nazionali ed internazionali, e tutt'oggi è attiva per ricercare i figli delle vittime dei militari che sottratti alle loro famiglie di origine, furono spesso «adottati» illegittimamente dai carnefici dei genitori;
la signora Carlotto è stata oggetto di un attentato da parte di sconosciuti che hanno sparato diversi colpi d'arma da fuoco contro la porta della sua abitazione; tutto ciò a sole 48 ore dalla diffusione di un documento della commissione per la memoria, al quale lei ha aderito, che denuncia l'utilizzo da parte della polizia argentina, degli stessi metodi della passata dittatura come la recente uccisione di due piqueteros


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(gruppi organizzati di disoccupati) da parte di alcuni poliziotti durante la violenta repressione di una loro manifestazione;
al corteo del 26 settembre 2002 sono seguite altre manifestazioni di solidarietà verso la signora Carlotto e altri membri della commissione, oggetto anch'essi di violente intimidazioni, e di protesta contro il ricorso sistematico alla violenza per reprimere il dissenso politico, che spinge l'Argentina nel terrore e nel caos;
questi vili atti mirano ad intimidire gli esponenti della commissione per la memoria e a bloccare definitivamente le attività delle associazioni di donne argentine che dai tempi della dittatura militare si battono per la democrazia, la libertà e la verità in quel Paese;
non sono ancora noti gli esecutori e i mandanti di tali attentati -:
se il Governo voglia farsi interprete delle preoccupazioni dello Stato italiano, chiedendo al Governo argentino che vengano adottate tutte le misure necessarie di protezione nei confronti della signora Carlotto, degli altri aderenti all'associazione nonne di Plaza de Mayo e dei membri della commissione per la memoria e che siano compiuti tutti gli sforzi necessari per trovare i responsabili e i mandanti di tali gravissimi atti.
(4-04125)

Risposta. - Il Governo italiano è a conoscenza dei gravi fatti avvenuti lo scorso 20 settembre 2002, quando diversi colpi di arma da fuoco sono stati esplosi da un'auto in corsa fortunatamente senza conseguenze, contro l'abitazione della signora Carlotto, presidente delle «Abuelas de Plaza de Mayo», mentre dormiva in casa.
L'episodio è avvenuto due giorni dopo la presentazione da parte della «Commissione provinciale per la memoria», di cui la signora Carlotto fa parte, di un documento che denuncia i metodi usati dalla polizia della provincia di Buenos Aires.
Fin dalle ore immediatamente successive all'episodio, la signora Carlotto, ha ricevuto numerosi attestati di solidarietà da parte di esponenti politici e membri del Governo nazionale fra cui il Ministro di giustizia, sicurezza e diritti umani Alvarez e il Ministro del lavoro Camano, che dimostrano la sensibilità dell'opinione pubblica e della classe politica argentina in merito alla questione del rispetto dei diritti umani e alla tutela dei gruppi che ne promuovono l'osservanza.
Per quanto concerne poi l'azione svolta dal nostro paese, si segnala che già nel corso della giornata successiva all'episodio in questione, l'ambasciatore italiano a Buenos Aires si è recato a casa della signora Carlotto per manifestarle la solidarietà del Governo italiano e successivamente, il 22 settembre 2002, ha telefonato alla signora per trasmetterle il personale messaggio di solidarietà del Presidente della Repubblica, che ha incontrato la signora Carlotto in occasione della sua ultima visita in Argentina.
Inoltre, è stata ufficialmente resa nota al sottosegretario di Stato alla politica estera ambasciatore Fernando Putrella la preoccupazione del Governo italiano in merito alla sicurezza della signora Carlotto. A questo proposito è stata assicurata la massima attenzione e trasparenza nella gestione della vicenda in questione.
Le succitate iniziative, anche per il loro elevato valore simbolico, testimoniano il grande interesse italiano per l'attività svolta dall'associazione delle donne di Plaza de Majo e per la sicurezza dei relativi membri, con cui peraltro l'ambasciata italiana in loco intrattiene un costante dialogo.
In attesa che le locali autorità giudiziarie preposte alle indagini accertino le responsabilità del caso, si rileva che, come assicurato dal Governatore della provincia di Buenos Aires, subito dopo l'atto intimidatorio alla signora Carlotto è stata prontamente fornita una scorta personale composta da quattro agenti di polizia.
Il Sottosegretario di Stato per gli affari esteri: Mario Baccini.

COSENTINO. - Al Ministro dell'interno. - Per sapere - premesso che:
il comune di Teverola in Provincia di Caserta è interessato da profonde mutazioni


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a tratti abnormi, che ne hanno profondamente intaccato l'assetto urbanistico, accentuando le problematiche sociali già gravemente minate dalla circostanza che lo stesso fa parte di un agglomerato territoriale - quello dell'Agro Aversano - caratterizzato da problemi di micro e macrocriminalità già tristemente noti;
da un pò di anni a questa parte una serie impressionante di omicidi e di altri gravi reati sia stata di fatto consumata sul territorio: vedi anche l'assassinio di stampo camorristico del custode comunale nel giugno 2000 e l'attentato incendiario nel novembre 2001 dell'autovettura del sindaco, che hanno creato di conseguenza nel tessuto sociale del comune di Teverola quello «strappo» che sembra all'origine dell'attuale, incontrollabile situazione sociale e amministrativa;
per lo straordinario sviluppo urbanistico di Teverola sopra riferito si è venuto a creare un giro vertiginoso di affari che oramai ha superato decine e decine di milioni di euro. È notorio che è la presenza dei flussi economici che costituisce forte ed irresistibile richiamo per le attività criminali, ed è ritenuto che sia la sede comunale l'oggettivo crocevia di interessi ed affari su cui far luce per conoscere l'humus che lumeggia l'attuale situazione;
da due anni a questa parte è stato rilasciato dall'ufficio tecnico comunale di Teverola un numero impressionante di concessioni edilizie (quasi 250 all'anno), pur essendo lo strumento urbanistico vigente, il programma di fabbricazione, adottato nel lontano 1974, palesamente inadeguato a disciplinare l'assetto urbanistico territoriale. Nonostante ciò il Comune di Teverola sembra essere diventato «l'Eldorado» edilizio dell'Agro Aversano, tant'è che il tumultuoso sviluppo demografico è essenzialmente dovuto a siffatta circostanza;
il giorno precedente le ultime elezioni amministrative, celebrate in Teverola il 16 aprile del 2000, furono rilasciate e consegnate a domicilio dall'ufficio tecnico comunale n. 45 concessioni edilizie;
sono state rilasciate negli anni 2000 e 2001 una decina di concessioni per lottizzazioni edilizie, per lotti interclusi, senza che le stesse siano state inviate per la necessaria approvazione alla provincia di Caserta e senza che siano state effettuate le opere di urbanizzazione primaria, come prescritto dalla legge Regionale della Campania 14 del 1982, di modo che sono stati edificati interi agglomerati di ville ed appartamenti in zone senza strade, fognature, luce, acqua;
il 31 ottobre 2000 la maggioranza consiliare con delibera consiliare n. 24 approvava una variante al programma di fabbricazione per l'individuazione di un'area da destinare ai piani di insediamenti produttivi (P.I.P), dando immediata esecutività all'atto, motivando che bastava la sola approvazione da parte del consiglio comunale per procedere nello stesso tempo anche all'espletamento del bando di, gara per l'affidamento in concessione dei lavori, per circa 40 miliardi delle vecchie lire, cercando di affidarli all'unica ditta prequalificata. I consiglieri comunali di opposizione attraverso un esposto alla procura della Repubblica di Santa Maria C.V. e al prefetto di Caserta del novembre 2001, denunciavano siffatta procedura in palese violazione della legge regionale 14 del 1982 che regola la materia urbanistica, costringendo la maggioranza consiliare a fare marcia indietro ed oggi dopo due attestazioni di pubblicazione di variante di strumento urbanistico non conformi, finalmente a distanza di circa otto mesi è avvenuta la regolare pubblicazione, avendo già da sei mesi l'amministrazione bandita la gara di affidamento in concessione dei lavori;
il commissario ad acta per il piano regolatore generale e R.E. architetto Martino Avella nominato dalla provincia di Caserta, dopo una prima approvazione di bozza di Piano non provvedeva per diversi anni a presentare il nuovo strumento urbanistico, permettendo così che l'ufficio


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tecnico del comune rilasciasse centinaia di concessioni edilizie non sempre conformi allo strumento urbanistico vigente;
i consiglieri comunali di opposizione provvedevano ripetutamente a denunciare, al prefetto di Caserta, alla procura della Repubblica di Santa Maria C.V. e alla stampa questo enorme numero di concessioni edilizie di dubbia conformità rilasciate dal comune di Teverola anche e soprattutto sugli standard urbanistici, sui suoli agricoli nel centro storico soggetto a vincolo;
il commissario ad acta per il piano regolatore generale architetto Martino Avella, probabilmente pressato - ad avviso dell'interrogante - dalle suddette denuncie, convoca i tecnici addetti alla redazione del P.R.G. e li intima di consegnare il nuovo strumento urbanistico in un mese esatto e precisamente entro il 6 aprile 2002; lo stesso commissario ad acta poi, per motivi sconosciuti qualche giorno prima della scadenza prefissata per la consegna del P.R.G. revoca l'incarico ai tecnici progettisti e affida l'incarico di redazione del piano regolatore generale al dirigente dell'ufficio tecnico, il quale da una parte continua nell'affannata corsa al rilascio di centinaia di concessioni edilizie secondo il vecchio strumento urbanistico vigente e contemporaneamente dall'altra prepara il nuovo piano regolatore generale successivamente, visto che la commissione dei tecnici regolarmente nominata alla redazione del piano regolatore generale consegna il piano regolatore il 5 aprile 2002, come stabilito, e viste le continue e precise denuncie avanzate dalla opposizione al prefetto di Caserta, l'architetto Avella, si ravvede e revoca con un altro deliberato l'incarico all'ufficio tecnico del comune di Teverola, ristabilendo così di fatto lo stato giuridico iniziale;
il commissario ad acta del piano regolatore generale finalmente a circa tre mesi dalla sua consegna, adotta il 19 giugno 2002 il piano regolatore generale e RE del comune di Teverola, emendandolo con un'osservazione dell'ufficio tecnico del comune che prevede l'inserimento totale della zona P.I.P. oggetto di tanta contestazione;
questa totale comunità d'intenti tra il commissario ad acta del piano regolatore generale di Teverola architetto Martino Avella e il dirigente dell'ufficio tecnico dello stesso comune e per esso l'amministrazione comunale ha portato ha decidere i tempi di redazione, presentazione ed adozione del piano regolatore generale, vincolando e condizionando il tutto al palese inserimento nella zonizzazione del territorio comunale di una zona PIP che il dirigente tecnico e l'amministrazione comunale, in violazione di tutte le norme urbanistiche vigenti, da circa due anni stanno cercando di realizzare ad uso e costume proprio senza salvaguardare l'interesse dell'intera comunità;
i consiglieri comunali di opposizione hanno più volte denunciato alle autorità competenti i fatti sopra elencati, senza avere a distanza di circa otto mesi un riscontro di effettivo interessamento da parte delle stesse -:
se non ritenga che nei fatti descritti si ravvisino gli estremi per l'applicazione dell'articolo 141 del testo unico delle leggi sull'ordinamento degli enti locali.
(4-04155)

Risposta. - In merito agli aspetti attinenti l'attività urbanistica del comune di Teverola, si rappresenta quanto segue, sulla base degli elementi forniti dall'ufficio territoriale del governo di Caserta.
I fatti evidenziati nel presente atto di sindacato ispettivo, sono stati oggetto di diversi esposti presentati da alcuni consiglieri comunali di opposizione, i quali lamentavano, in sostanza che l'amministrazione comunale di Teverola aveva adottato, con deliberazione di c.c. nr. 24 del 31 ottobre 2000, una variante al programma di fabbricazione per l'individuazione di un'area da destinare a piani di insediamenti produttivi (P.I.P.) senza rispettare quanto previsto dalla normativa in materia di


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strumenti urbanistici ed, in particolare, le prescrizioni della legge regionale n. 14 del 1982.
Veniva poi contestato che, nell'ambito di una procedura ritenuta illegittima, l'Amministrazione avesse approvato, con deliberazione di c.c. nr. 32 del 1o ottobre 2001, il progetto preliminare del citato P.I.P. ed indetto, con bando di gara pubblicato il 18 dicembre 2001, una licitazione privata per la progettazione definitiva ed esecutiva, costruzione e gestione del piano.
Con nota del 22 gennaio 2002, l'Ufficio territoriale del governo di Caserta invitava il sindaco di Teverola a riflettere sull'opportunità di procedere con la gara predetta, considerati, anche, i costi che sarebbero potuti derivare da un eventuale contenzioso con i partecipanti ad una procedura concorsuale non fondata su atti certi, mentre, con altra nota del 23 febbraio 2002, richiedeva elementi informativi circa l'iter seguito dall'Amministrazione nell'adozione degli atti prodromici alla citata licitazione privata.
Il sindaco di Teverola, con nota del 6 marzo 2002, riscontrando le citate prefettizie, trasmetteva una relazione del dirigente dell'ufficio tecnico comunale con la quale si confermava la legittimità degli atti adottati dal comune, ritenendosi, contrariamente a quanto lamentato dagli esponenti, che la variante al programma di fabbricazione per l'individuazione dell'area P.I.P. non avesse creato insediamenti abitativi e che fosse possibile, per l'Amministrazione, approvare un piano P.I.P. ancor prima dell'approvazione dello strumento urbanistico generale che doveva prevederlo.
Essendo pervenuti ulteriori esposti, l'Ufficio territoriale del governo di Caserta, con nota del 13 maggio 2002, richiedeva alla provincia di conoscere le determinazioni assunte, nell'ambito delle proprie attribuzioni, in merito agli atti posti in essere dal comune relativamente alla procedura in argomento.
La provincia, con nota del 4 settembre 2002, comunicava di aver disposto, con delibera del Consiglio provinciale nr. 55 del 25 luglio 2002, la restituzione al comune della più volte citata variante al programma di fabbricazione per il piano P.I.P., in quanto la stessa era stata pubblicata dal comune secondo l'iter previsto per il caso di approvazione di un piano esecutivo di uno strumento urbanistico vigente e non - come sarebbe stato, invece, necessario - secondo la procedura prevista per l'approvazione di una variante ad uno strumento urbanistico generale.
Con nota del 4 ottobre 2002, il prefetto di Caserta richiedeva al sindaco elementi informativi in merito ai provvedimenti adottati in seguito alla citata deliberazione del Consiglio provinciale.
Inoltre, in diversi esposti, i consiglieri comunali d'opposizione già interessati alla questione del P.I.P. ponevano l'accento sulla vicenda inerente l'adozione del piano regolatore generale di Teverola, per la quale era stato incaricato un Commnissario
ad acta che, secondo quanto asserito dagli esponenti, dopo aver revocato la commissione di tecnici convenzionali con il comune - che aveva consegnato in data 5 aprile 2002 il piano - aveva provveduto ad incaricare della sua redazione il dirigente dell'U.T.C., salvo poi revocargli tale incarico, riaffidandolo alla precedente commissione di tecnici. Veniva altresì segnalato che l'Ufficio tecnico comunale aveva proceduto, intanto, al rilascio di concessioni edilizie su suoli individuati come zone A, B e C dal vigente programma di fabbricazione.
Con successiva lettera del 27 settembre 2002, l'Ufficio territoriale del governo di Caserta richiedeva alla provincia elementi informativi circa l'operato del predetto commissario
ad acta. Al riguardo si rappresenta che l'Ufficio territoriale del governo di Caserta, con nota del 5 febbraio 2003, ha trasmesso la documentazione inviata dal comune di Teverola e dalla provincia di Caserta.
Per quanto concerne il comune di Teverola, il Sindaco, nella nota del 9 dicembre 2002 indirizzata al prefetto di Caserta si è riportato alla relazione del dirigente dell'Area Tecnica, che ha confermato la legittimità dell'operato proprio e dell'amministrazione comunale relativamente all'adozione della variante al programma di fabbricazione (P.d.F.).


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Per quanto attiene, invece, alla vicenda dell'adozione del Piano regolatore generale, la provincia di Caserta con nota del 12 dicembre 2002 ha trasmesso i chiarimenti forniti dal commissario
ad acta, che ha comunque sostenuto come il proprio operato sia stato legittimo, nonché correttamente, apportato l'emendamento disposto in sede di adozione del Piano regolatore generale, in relazione ai poteri derivatigli dall'incarico conferito.
In merito alla vicenda nel suo complesso va peraltro evidenziato che dopo la riforma del titolo V della Costituzione, in considerazione sia delle nuove formulazioni degli articoli attinenti le autonomie sia della
ratio stessa della modifica costituzionale, la possibilità di intervento del competente Ufficio territoriale del governo nei confronti dell'attività dei comuni, a meno che non si riscontrino le situazioni previste dall'articolo 141, comma 1 lettera a) del Testo unico 267/2000, può essere orientata essenzialmente ad un'azione di stimolo e di richiesta di approfondimento, atteso che non possono essere in alcun modo formalmente contestate od annullate le decisioni assunte dagli enti esponenziali delle autonomie.
Nel modificato ordinamento costituzionale il rapporto fra Ente locale e Stato assume, infatti, una connotazione nuova.
Quando il novellato articolo 114 della Costituzione stabilisce che la Repubblica è costituita dai comuni, dalle provincie, dalle città metropolitane, dalle regioni e dallo Stato, il legislatore pone questi enti in posizione paritaria e, se un primato deve riscontrarsi, esso è da attribuirsi all'ente più prossimo al cittadino che, non a caso, è citato nominalmente per primo nel nuovo testo normativo.
Tale nuova configurazione porta a ridimensionare il ruolo «sostitutivo» e "repressivo" dell'ente maggiore ed a limitarlo a pochi casi specifici, connotati da una particolare gravità.
Non è un caso che la riforma del Titolo V della Costituzione abbia specificamente disciplinato, nel nuovo articolo 120 della Costituzione, i casi in cui il Governo centrale può sostituirsi all'azione dell'ente locale, o paralizzarne la normale vita istituzionale.
In attesa di una revisione ulteriore del Testo unico n. 267 del 2000, alla luce della riforma costituzionale che è ad esso successiva, si ritiene di dover interpretare in maniera restrittiva i casi in cui lo Stato possa intervenire nella vita istituzionale degli enti locali e limitarli alle situazioni realmente patologiche.
Il Sottosegretario di Stato per l'interno: Antonio D'Alì.

COSSA e MARRAS. - Al Ministro dell'interno. - Per sapere - premesso che:
il centro di Sant'Antonio di Santadi è una frazione del comune di Arbus (Ca) che versa in una situazione di singolare isolamento, distando, come percorrenza stradale, 35 chilometri dal comune di appartenenza, 32 chilometri dal Comune di Terralba 18 chilometri dal comune di San Nicolò Arcidano, 30 chilometri dal comune di Guspini;
le strade di collegamento con tali centri sono pericolose e dissestate per lunghi tratti;
nella località di Sant'Antonio non è presente alcuna infrastruttura o servizio pubblico (farmacia, guardia medica, carabinieri, uffici postali e scuole);
la strada che passa attraverso il ponte della peschiera di Marceddì, alternativa alla normale rete viaria e, per quanto di sezione assai ridotta, in condizioni migliori, riduce a 13 i chilometri di distanza dal comune di San Nicolò Arcidano ed appena a 9 i chilometri di distanza da Terralba;
tale ponte è stato recentemente chiuso al traffico per i non autorizzati;
in conseguenza di tale chiusura gli abitanti di Sant'Antonio di Santadi sono costretti a raggiungere, per le necessità quotidiane altri centri più distanti, percorrendo strade più dissestate;


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il sovrapporsi delle competenze di diversi comuni, di due Amministrazioni Provinciali (Cagliari ed Oristano) e della Capitaneria di Porto rende difficoltosa la soluzione del problema;
il protrarsi della situazione di disagio sta creando negli abitanti di Sant'Antonio di Santadi un grave malessere che rischia di degenerare in un problema di ordine pubblico -:
se non ritenga opportuno intervenire presso le autorità competenti affinché adottino con sollecitudine i provvedimenti necessari alla risoluzione del problema.
(4-02873)

Risposta. - Il problema sollevato dagli onorevoli interroganti appare di difficile soluzione in quanto l'Assessorato ai lavori pubblici - Servizio infrastrutture della mobilità e opere pubbliche della provincia di Cagliari - competente per materia - è intervenuto sostenendo che la struttura oggetto dell'interrogazione non potrà essere resa equivalente ad una strada così come previsto dalle vigenti disposizioni in materia (decreto ministeriale n. 5 del 5 novembre 2001).
Tale decisione ha reso superflua l'effettuazione delle prove di carico per la verifica della tollerabilità della suddetta opera, così come convenuto in una riunione presso la provincia di Cagliari espressamente dedicata alla questione e per la cui esecuzione l'ufficio del Genio civile delle opere marittime aveva dichiarato la propria disponibilità con nota n. 4840 del 26 giugno 2002.
Alla luce di quanto sopra restano confermate le indicazioni a suo tempo fornite dal suddetto Assessorato e ribadite dalle competenti Autorità statali (Ufficio circondariale marittimo di Oristano e dell'agenzia del demanio - sezione staccata di Oristano - di un traffico veicolare caratterizzato da sole urgenze ed emergenze.
Le amministrazioni comunali interessate hanno assunto l'impegno di fornire l'elenco degli utilizzatori dello sbarramento per transiti «di emergenza».
Le stesse amministrazioni, responsabili anche della gestione del traffico, si erano già dichiarate disponibili a garantire idonea segnaletica, l'apposizione di sistemi di direzione del traffico, e il controllo attraverso agenti della polizia municipale.
Alla luce degli eventi riferiti, rientrando la materia nella piena disponibilità dell'ente locale la questione non può in alcun modo essere risolta «d'autorità» da questa Amministrazione senza che un qualsiasi intervento si configuri come indebita ingerenza nell'autonomia organizzativa e decisionale di enti che la Costituzione ha dotato di poteri e di prerogative sufficientemente ampie per poter completamente disporre delle proprie sfere decisionali.
Il Sottosegretario di Stato per l'interno: Antonio D'Alì.

CUCCU. - Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. - Per sapere - premesso che:
da notizie apparse sulla stampa risulta che l'Anas, nel piano di importanti interventi sulla rete stradale deliberato nei giorni scorsi, non ha ritenuto di dover prevedere dei fondi per il definitivo, e più volte promesso, completamento della strada statale 131 «Carlo Felice» della Sardegna;
la «Carlo Felice» è l'unica grande arteria dell'isola - la Sardegna purtroppo è ancora priva di autostrade - ed ormai da anni è praticamente un cantiere aperto con sempre maggiori rischi per gli automobilisti;
oltre infatti alla pericolosità del tratto stradale - privo di piazzole d'emergenza, di svincoli per l'inversione di marcia, con infidi incroci a raso e muretti di cemento a comparsa improvvisa - gli automobilisti devono «sopravvivere» a ruspe e cantieri, continue deviazioni e lavori in corso ad intermittenza;
i cittadini sardi sono ormai stanchi del continuo lassismo con cui vengono gestiti gli eterni lavori e per questo è rinato il «Comitato per la 131» che già


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all'inizio degli anni 90 mise in atto delle azioni di protesta per sensibilizzare le istituzioni -:
se risponda al vero la notizia secondo cui la Sardegna sarebbe rimasta esclusa dai piani di intervento sulla rete stradale italiana elaborati dall'Anas;
se non ritenga urgente, e non più prorogabile, un intervento non solo per stanziare dei fondi per il completamento e la messa in sicurezza della strada statale 131 «Carlo Felice» ma anche per garantire che i lavori siano terminati in tempi certi e ragionevolmente brevi, dando al contempo ai cittadini sardi un forte segnale che cancelli quella che, ad avviso dell'interrogante, si configura come una radicata sensazione di lassismo - politico e burocratico - con cui sono stati finora gestiti gli eterni «lavori in corso» in una strada che sta diventando una maledizione.
(4-05490)

Risposta. - In riferimento all'interrogazione in discorso, si forniscono i seguenti elementi di risposta.
L'Anas S.p.A, cui sono state richieste informazioni, premette di continuare a gestire l'intera viabilità statale isolana di complessivi chilometri 3.057 circa, in quanto per quanto riguarda la regione Sardegna, il decreto legislativo 112/98 non ha ancora trovato definitiva applicazione.
In tale ambito, la statale n. 131 «Carlo Felice» rappresenta l'arteria principale che svolge un ruolo intermodale di rilevanza. Pertanto, sulla stessa sono impegnate gran parte delle risorse finanziarie ed umane della società stradale al fine di realizzarne l'ammodernamento.
I lavori attualmente in corso su tale arteria, con finanziamenti a valere sui fondi del Quadro comunitario di sostegno (Q.C.S.), sono i seguenti:
a) adeguamento e sistemazione della sede stradale ricompressa fra i chilometri 47+500 e 78+500, per un importo totale pari a euro 121.500.000; i lavori ormai completati si estendono per circa 18 chilometri a cui si aggiungeranno i 12+500 chilometri di prossima apertura al traffico e gli ultimi 500 metri relativi al costruendo ponte sul rio «Mogoro»;
b) i lotti compresi fra i chilometri 78+500 e 88+500 e fra i chilometri 88+500 e 93+500 sono stati appaltati, per un importo complessivo di euro 62.600.000 circa;
c) il lotto compreso fra i chilometri 93+500 e 99+500, per un importo complessivo di euro 49.860.000 è in fase di appalto;
d) il lotto compreso fra i chilometri 99+500 e 109+500, per un importo complessivo di euro 35.380.000 è in fase di approvazione e finanziamento.

L'Anas riferisce, inoltre, che i lavori di prossima esecuzione sono i seguenti:
a) per i lotti ricompresi fra i chilometri 23+500 e 47+500 e 109+500 e 146+500, sono stati redatti i progetti definitivi e per gli stessi è in corso la procedura di valutazione di impatto ambientale (V.I.A.) presso il competente ministero dell'ambiente. Il tratto che va dal chilometro 41+000 a 47+600 ha trovato copertura finanziaria nell'ambito del piano triennale 2002-2004;
b) per il lotto dal chilometro 146+500 al 209+500, è stato predisposto il progetto di massima e lo studio di impatto ambientale al fine di essere sottoposto alle procedure previste dalla «legge obiettivo»;
c) il tratto Sassari Porto Torres è in via di ultimazione mediante l'appalto, già espletato, dell'ultimo lotto.

La società stradale in ultimo fa conoscere che, atteso l'inserimento della S.S. 131 fra le infrastrutture strategiche nazionali, la copertura finanziaria è individuata con le modalità e nei termini di cui alla legge n. 443/2001«legge obiettivo».
Il Viceministro delle infrastrutture e dei trasporti: Ugo Martinat.


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CUSUMANO. - Al Ministro dell'interno. - Per sapere - premesso che:
nel comune di Casteltermini (Agrigento) in data 25 novembre 2001 è stato eletto sindaco il signor Caltagirone Antonio, esponente politico di Forza Italia, ed è stata formata una amministrazione comunale con la partecipazione diretta delle forze politiche della «Casa delle libertà» (FI, CCD, CDU e AN);
a seguito di una crisi politico-amministrativa si è determinata una spaccatura all'interno della coalizione di centro-destra con le dimissioni di tutti gli assessori comunali;
come da inquietanti notizie pubblicate in prima pagina e nella cronaca di Agrigento sul Giornale di Sicilia del 28 novembre 2002, a seguito del rimpasto politico-amministrativo effettuato dal sindaco si è verificata una rissa con aggressione fisica a danno di esponenti politici locali;
così come riportato dall'articolo del Giornale di Sicilia, è stata presentata denuncia all'Arma dei carabinieri e il sindaco è stato ricevuto dal prefetto in un vertice del comitato per l'ordine pubblico e la sicurezza -:
quali provvedimenti di ordine pubblico si intendano adottare a tutela dell'incolumità degli esponenti politici del comune di Casteltermini, affinché episodi come quello descritto non abbiano più a ripetersi.
(4-05200)

Risposta. - Rispondendo all'interrogazione parlamentare in discorso, sulla base degli elementi forniti dal prefetto di Agrigento si comunica che, in seguito alla crisi determinatasi in seno alla giunta municipale di Casteltermini, il sindaco, il 26 novembre 2002, ha costituito un nuovo esecutivo, sostituendo gli assessori precedentemente dimessisi.
Nella serata dello stesso giorno, all'interno di una rivendita di tabacchi, ha avuto luogo una accesa discussione, poi degenerata in rissa, fra un ex assessore e un consigliere comunale transitato nel gruppo di opposizione e alcuni esponenti della nuova maggioranza.
Questi ultimi hanno anche presentato formale denuncia-querela, per aggressione, al Comando della locale stazione carabinieri, che il 14 dicembre 2002 informava della vicenda la Procura della Repubblica presso il tribunale di Agrigento.
L'episodio, sintomatico della situazione di conflittualità creatasi all'interno del consiglio comunale, non ha avuto ripercussioni sul piano dell'ordine pubblico, anche perché da parte del presidente del consiglio comunale e del sindaco, è in atto un tentativo di riconciliazione tra le persone coinvolte nei fatti.
Inoltre, il prefetto, al termine di una riunione, già programmata, di coordinamento tecnico delle Forze di polizia, tenutasi il 27 novembre 2002 presso l'Ufficio territoriale del governo di Agrigento, ha avuto un apposito incontro con il sindaco di Casteltermini, rappresentandogli la viva esigenza che il dibattito politico sia sempre condotto su un normale piano dialettico.
Il Sottosegretario di Stato per l'interno: Alfredo Mantovano.

de GHISLANZONI CARDOLI. - Al Ministro degli affari esteri. - Per sapere - premesso che:
Villa San Michele in Anacapri (Napoli), di proprietà del Regno di Svezia, sede della Fondazione Axel Munthe, sotto le cure della Sovrintendente e vice Console signora Ann-Marie Kjellander ha goduto, negli ultimi anni, di uno straordinario risalto, valorizzandosi in tal modo Anacapri e l'intera isola di Capri;
Villa San Michele è ai primi posti tra i luoghi ricchi d'arte e di memorie più visitati dell'intera Campania, dopo Pompei, Ercolano, Paestum, la Reggia di Caserta ed il museo archeologico di Napoli, ed è, pertanto, un patrimonio che ha bisogno di cure attente, di vigilanza e di presenza costante;
la recente decisione della Fondazione Axel Munthe di rimuovere la signora Kjellander


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ha suscitato notevoli perplessità e malumore nella popolazione dell'isola di Capri, nei suoi amministratori ed in tutte le persone che hanno avuto modo di apprezzare l'opera della signora Ann-Marie Kjellander -:
se non ritenga di significare al Governo svedese l'apprezzamento per l'operato del vice Console presso la fondazione e la preoccupazione per una sua eventuale rimozione in ragione del timore che possa essere pregiudicata l'importante opera della fondazione stessa per la tutela del patrimonio culturale dell'isola.
(4-03911)

Risposta. - La signora Ann-Marie Kjellander cittadina svedese, sovrintendente alla Fondazione Axel Munte, ha rivestito l'incarico di vice console onorario del Regno di Svezia in Anacapri (Villa San Michele) con circoscrizione limitata all'isola, dal 26 novembre 1996 al 25 novembre 2001.
La designazione e l'avvicendamento di funzionari, siano essi di ruolo che onorari che rappresentano uno Stato all'estero, fa parte della potestà esclusiva dello Stato inviante, non avendo lo Stato ricevente che la possibilità di negare l'Exequatur.
Nel caso del vice console onorario, signora Kjellander, non è stato successivamente richiesto dalle Autorità svedesi il rinnovo dell'Exequatur.
Tale decisione - come ha avuto modo di sottolineare l'Ambasciata di Svezia a Roma - non diminuirà comunque la grande cura e attenzione che sono state in passato rivolte dalle Autorità di Stoccolma alla gestione e alle attività di «Villa San Michele».
Il Sottosegretario di Stato per gli affari esteri: Mario Baccini.

DEIANA. - Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro dell'economia e delle finanze, al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. - Per sapere - premesso che:
il giorno 3 luglio oltre un migliaio di inquilini della Fondazione Enasarco hanno manifestato con forza il loro rifiuto della proposta di rinnovo dei contratti;
le lettere inviate alle prime 3700 famiglie con contratto in scadenza nel 2001 contenevano, oltre alla disdetta del contratto, anche una proposta di rinnovo pari a 10.000 lire a metro quadro indipendentemente se si abita al centro o in estrema periferia o se l'immobile è senza o con l'ascensore;
la richiesta della Fondazione Enasarco inoltre, prevedeva un termine perentorio (sessanta giorni) per la risposta da parte del conduttore;
le unità immobiliari di proprietà dell'Enasarco ammontano a circa 18.000 di cui 15.000 a Roma e una parte dei conduttori sono pensionati e lavoratori monoredditi;
le organizzazioni sindacali degli inquilini hanno in corso una trattativa con l'Enasarco allo scopo di raggiungere un accordo nell'ambito dei contratti agevolati della legge n. 431 del 1998;
i comitati inquilini e le organizzazioni sindacali hanno proposto che l'accordo contenga una clausola di salvaguardia dei conduttori con redditi medio bassi e canoni riferiti all'accordo stipulato con gli enti previdenziali pubblici;
è indubbio che la legge n. 431 del 1998 presenta difficoltà applicativa in quanto è ancora insufficiente la dotazione delle agevolazioni fiscali e il mantenimento di una detrazione forfettaria del 15 per cento per chi affitta a canone libero non aiuta, cosi come i comuni dovrebbero ulteriormente ridurre l'impatto dell'ICI per coloro che si collocano nell'ambito del contratto concertato con i sindacati inquilini -:
quali azioni intendano intraprendere nei confronti dell'Enasarco affinché si collochi nell'ambito del canale concertato;
quali azioni intendano intraprendere affinché la Fondazione Enasarco recepisca


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le proposte dei sindacati inquilini e dei comitati inquilini di arrivare ad un accordo che, tra l'altro, preveda canoni riferiti a quelli stabiliti per gli enti previdenziali pubblici e la clausola di salvaguardia per i redditi medio bassi;
se non ritengano necessario dare maggiore impulso al canale dei canoni concertati della legge n. 431 del 1998 abolendo la detrazione forfettaria del 15 per cento per i proprietari che affittano con canone e a libero mercato e al contempo elevando dal 40 per cento al 50 per cento la detrazione fiscale reale per coloro che affittano a canone concordato con i sindacati inquilini.
(4-00221)

Risposta. - Con riferimento all'interrogazione indicata in discorso, la fondazione Enasarco ha fatto presente quanto segue.
A seguito di un confronto avviato con le OO.SS. dell'inquilinato il consiglio di amministrazione dell'Enasarco ha approvato l'Accordo, nazionale del 6 novembre 2001 intervenuto con le Organizzazioni Sindacali Sunia, Sicet, Uniat, Unione Inquilini, Assocasa, Federcasa, Ania per l'applicazione dell'articolo 2, comma 3, della legge 431/1998, nonché l'accordo territoriale per l'area metropolitana di Roma intercorso con le stesse OO.SS.
I punti rilevanti possono individuarsi: nel notevole abbattimento del canone proposto prima dell'Accordo; nell'aver recepito proposte più favorevoli per le cosiddette «fasce sociali»; nell'aver attivato un tavolo concertativo e conciliativo per eventuali problemi di interesse generale riferiti al rapporto contrattuale; nell'aver previsto la possibilità di favorire cambi di alloggi fra conduttori; nell'aver concordato di ristipulare contratti alle nuove condizioni con gli inquilini che avevano sottoscritta, nell'anno 2001, contratti di locazione alle precedenti condizioni; nell'aver concesso agli inquilini la facoltà di richiedere una rateizzazione di dodici mesi, senza interessi, delle somme dovute a titolo di arretrati; nell'aver concordato uno «scaglionamento» degli aumenti in due anni, oltre una data soglia.
La fondazione ritiene, quindi, di aver operato con ogni possibile equità, nel difficile perseguimento di un giusto equilibrio fra le esigenze di bilancio e di redditività del proprio patrimonio immobiliare e le esigenze di non gravare sugli inquilini.
Il Ministro del lavoro e delle politiche sociali: Roberto Maroni.

DELL'ANNA. - Al Ministro dell'economia e delle finanze, al Ministro per la funzione pubblica. - Per sapere - premesso che:
il comitato per le pensioni privilegiate ordinarie è deputato a fornire alle pubbliche amministrazioni pareri sulla dipendenza da causa di servizio in merito alle pratiche per la concessione di pensioni privilegiate e trattamenti di equi indennizzi;
il numero di tale pratiche è notevole e già l'acquisizione al protocollo e l'assegnazione di un numero d'ordine avviene con mesi di ritardo, rispetto alla data di arrivo delle stesse;
allo stato attuale tra il giorno della spedizione delle richieste da parte delle amministrazioni e quella della presa in esame da parte del suddetto comitato trascorrono più di due anni, con la conseguenza che i pareri arrivano quando i dipendenti interessati non sono più in servizio o sono addirittura deceduti -:
quali provvedimenti il Governo intenda assumere, per ovviare a tali gravi carenze, a cominciare da quella relativa al ritardo nell'acquisizione al protocollo per finire a quella relativa all'istruttoria e soprattutto se per il suddetto consesso e per gli uffici ad esso annessi vigono le disposizioni di cui alla legge 7 agosto 1990, n. 241, recante nuove norme in materia di procedimento amministrativo ed in particolare quelle contenute negli articoli 16 e seguenti della stessa.
(4-04603)

Risposta. - Con l'interrogazione cui si risponde si chiede di conoscere quali iniziative si intendano adottare per dare funzionalità


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ed operatività all'attività svolta dal comitato per la verifica delle cause di servizio, già Comitato per le pensioni privilegiate ordinarie, a seguito del trasferimento dell'Ufficio di segreteria dalla Presidenza del Consiglio dei ministri a questa Amministrazione, ai sensi dell'articolo 10 del decreto legislativo 30 luglio 1999, n. 303.
Al riguardo, si premette, innanzi tutto, che il citato decreto legislativo non ha previsto una fase transitoria che assicurasse il passaggio delle consegne tra il personale che ha prestato servizio in tale Ufficio e il nuovo personale e che la maggior parte dei dipendenti ha optato di rimanere nei ruoli della Presidenza del Consiglio dei ministri, ai sensi dell'articolo 11 del medesimo decreto legislativo.
Tale situazione ha causato la perdita dell'80 per cento delle risorse esistenti, che si sono ridotte, al 1o ottobre 2000, da 93 a 18 unità.
Il successivo decreto del Presidente della Repubblica n. 461 del 2001 ha stabilito un organico massimo di 70 unità, il quale, però, è stato effettivamente assegnato all'Ufficio a decorrere dal mese di luglio 2002.
Va segnalato, altresì, che è stato necessario istruire il nuovo personale oltre che nell'uso del sofisticato sistema informatico, anche in materia pensionistica e nel campo della medicina legale.
L'attività, pertanto, è ripresa dapprima a cadenza ridotta con una o due adunanze a settimana e, dal mese di settembre 2002, l'Ufficio, pur avvalendosi di un organico inferiore rispetto al passato, è riuscito ad organizzare 5-6 adunanze settimanali ed a trattare mensilmente circa 4.000 fascicoli, assicurando l'evasione dello stesso numero di pratiche del periodo antecedente la riforma del decreto legislativo n. 303 del 1999.
Anche l'
iter relativo alla restituzione dei pareri avviene nei termini di 15 giorni dalla delibera del Comitato, come previsto dalle citate disposizioni.
Giova precisare, comunque, che in attuazione dell'articolo 13 del decreto del Presidente della Repubblica 29 ottobre 2001, n. 461, questa Amministrazione ha avviato un progetto di completa reingegnerizzazione informatica, che consente l'acquisizione e la restituzione dei fascicoli in via telematica.
Per quanto concerne, invece, lo smaltimento delle pratiche arretrate, lo stesso decreto del Presidente della Repubblica n. 461 del 2001, oltre al nuovo Comitato, prevede l'istituzione di comitati stralcio. Tali comitati, costituiti con decreto del Ministro dell'economia e delle finanze del 14 marzo 2003, registrato alla Corte dei conti, potranno attivare nuove modalità operative, assicurando una maggiore snellezza ai procedimenti in corso.
Pertanto, pur condividendo che la fase di passaggio della struttura dalla Presidenza del Consiglio dei ministri a questa amministrazione abbia causato delle difficoltà operative, tuttavia le iniziative assunte hanno già portato al ripristino dell'efficienza dell'organismo.
Con riferimento, infine, alla legge n. 241 del 1990, recante norme in materia di procedimento amministrativo e di diritto di accesso ai documenti amministrativi, tenuto conto di quanto sopra esposto, soggiunge che l'attività in questione è stata specificamente regolamentata dal decreto del Presidente della Repubblica n. 349 del 1994 e successivamente dal decreto del Presidente della Repubblica n. 461 del 2001.
Il Sottosegretario di Stato per l'economia e per le finanze: Manlio Contento.

DELMASTRO DELLE VEDOVE. - Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. - Per sapere - premesso che:
l'Enav spa sembra continuare, ignorando i rilievi della Corte dei conti, nella discutibile politica di massiccio utilizzo dello strumento delle consulenze, a fronte della risoluzione del rapporto di lavoro con alcuni dirigenti, l'Enav spa ne ha assunto quasi il doppio;
taluno di essi sembra godere di benefici aggiuntivi alla retribuzione, quali la


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locazione di un alloggio al residence Aldovrandi di Roma per un importo mensile di oltre 4.000 euro;
sembra continuare senza problemi la politica degli appalti e delle commesse con procedure diverse da quelle della gara ad evidenza pubblica;
si ipotizza di procedure invece a consistenti tagli di personale ad altra specializzazione, quale è quello dei controllori di volo, rispetto ai quali non si può certo parlare di eccedenze di organico atteso l'imponente numero di ore di lavoro straordinario che sono costretti a svolgere;
ad oggi la commissione trasporti della Camera dei deputati non conosce ancora il contenuto del piano industriale della società, né il contratto di programma e di servizio, sicché non si conoscono le politiche per la sicurezza delle operazioni di volo, l'orario ed i carichi di lavoro, la formazione del personale operativo ed il piano di internalizzazione dei servizi tecnici;
i controllori del traffico aereo e tutto il personale operativo che opera nell'assistenza al volo debbono trovare, da parte della società, la massima considerazione, dipendendo, dalle condizioni di lavoro, anche la sicurezza del trasporto aereo -:
se la situazione lavorativa dei controllori di volo che, a quanto risulta all'interrogante, sono costretti a molte ore di straordinario, sia ritenuta compatibile con la primaria necessità di garantire la sicurezza del trasporto aereo;
se risponda a verità che l'Enav spa continua nelle politiche delle consulenze e nelle modalità non pubbliche degli appalti;
se il Ministero vigilante non ritenga di dover energicamente intervenire per esigere il rispetto di modalità di gestione adeguate al principio ed alla finalità della sicurezza del trasporto aereo.
(4-04292)

Risposta. - In merito alle problematiche evidenziate con l'interrogazione in discorso sono stati richieste informazioni all'Enav che riferisce quanto segue.
Il numero delle ore di straordinario effettuato dal personale dell'ente e, in particolare, quello dei controllori del traffico aereo, è costantemente monitorato per presidiare al massimo le condizioni di sicurezza in cui deve operare il personale.
Alcuni eccessi di ore di straordinario che, in passato, si sono registrati complessivamente per determinati impianti, sono dovuti a situazioni di non equilibrio tra la forza di lavoro necessaria e quella effettivamente disponibile, sia tra impianti, sia tra presenze notturne e diurne nell'ambito dello stesso impianto.
Tali squilibri hanno trovato adeguata soluzione con l'intesa formalizzata nel verbale di accordo del 7 dicembre 2002, firmato da sigle sindacali (Cgil, Cisl, Uil, Ugl, Sacta, Assivolo, Quadri, Anpac e Up), che rappresentano, comunque, la maggioranza del personale. Pertanto, nonostante i reiterati tentativi di Enav di pervenire ad un'intesa unitaria che coinvolgesse anche le restanti organizzazioni sindacali, l'Ente medesimo ritiene di fondamentale importanza il citato accordo in quanto consente la standardizzazione delle condizioni di impiego del personale operativo CTA (Controllore del traffico aereo) e EAV (Esperti di assistenza al volo) nei circa 40 impianti territoriali, modificando e omogeneizzando le configurazioni operative e le turnazioni del personale nel rigoroso rispetto degli standard di sicurezza.
Oltre a tale risultato, l'accordo consente, altresì, l'abbattimento di circa il 25 per cento dello straordinario, già a partire dall'anno 2003, senza nocumento economico per le categorie interessate. Ciò, in quanto con il successivo accordo del 31 gennaio 2003, l'Enav ha stabilito che gran parte delle somme inerenti all'abbattimento delle prestazioni di straordinario verranno, comunque, corrisposte al personale operativo andando ad incrementare la voce retributiva del «super minimo professionale».
L'Ente rappresenta, inoltre, che dal punto di vista degli organici detto accordo, a livello nazionale, non riduce il fabbisogno di personale, se non per poche unità tra gli


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esperti di assistenza al volo, senza influire negativamente sul numero dei controllori di volo.
A riprova di ciò c'è appunto la conferma, prevista nello stesso accordo, di assumere entro il 2003 gli attuali 140 «borsisti» e l'attivazione di una nuova ricerca apparsa a dicembre 2002 sui principali quotidiani, per la selezione di altri borsisti da avviare alla formazione di CTA.
I dirigenti del servizio del traffico aereo «promossi» dall'Enav hanno, a ragione, ritenuto necessario imprimere maggiore incisività di azione e, quindi, di responsabilità nel settore operativo. La nuova organizzazione ha comportato, a detta dell'Ente, l'assunzione di più ampie e complesse funzioni per alcuni dirigenti con provate e inconfutabili capacità professionali, apprezzate e riconosciute non solo nel contesto aziendale ma, anche, in ambito di organizzazioni internazionali (ICAO, Eurocontrol, eccetera). Non risulta che i citati dirigenti siano stati in passato contrari al processo di efficientamento e standardizzazione delle posizioni operative, dal momento che, in qualità di responsabili di strutture attinenti ai servizi del traffico aereo, hanno avanzato sull'argomento apposite proposte sin da quando è emersa la annosa problematica di che trattasi.
L'Ente pone in evidenza, invece, come le proprie relazioni industriali siano, da sempre, connotate da grande complessità, in presenza di ben 13 organizzazioni sindacali che spesso al tavolo delle trattative si trovano in posizione conflittuale tra loro, ciò comportando un notevole aumento dei tempi tecnici occorrenti per la chiusura delle trattative stesse, sicuramente non imputabile alla società.
La potenzialità di Enav sottolinea ancora quest'ultimo - di gestire un maggior numero di voli, rispetto al passato, è connessa all'evoluzione tecnologica resa possibile grazie ai significativi investimenti in atto ed all'incremento di produttività del lavoro che si realizza con il migliore impiego e la più efficiente distribuzione del personale. Tale potenzialità va, tuttavia, correlata e valutata nel contesto di uno scenario molto più complesso costituito dalla capacità globale dei vari sistemi aeroportuali, nell'ambito dei quali l'Ente opera con l'obiettivo di gestire il maggior numero di voli nel rispetto degli standard di sicurezza.
Per quanto concerne il
«black out» di alcune frequenze operative avvenuta il giorno 22 novembre 2002 l'Enav rappresenta che alle 11.52Z (ore 12.52 locali), presso la sala operativa di Roma ACC si avviava un fenomeno di perdita progressiva di alcune di tali frequenze operative, sia in trasmissione che in ricezione. Effettuate le prime verifiche tecniche che hanno portato all'immediata individuazione della causa del degrado in un malfunzionamento del sottosistema multifonico e considerando che il fenomeno andava progressivamente allargandosi ad altre frequenze, il presidio tecnico presente presso Roma ACC provvedeva, alle ore 11.58Z (ore 12.58 locali), all'attivazione del nodo multifonico di riserva.
Pertanto, il parziale degrado tecnico occorso al sistema TLC di Roma ACC ha avuto una durata complessiva di sei minuti ed una caratterizzazione progressiva e non simultanea comportando, di fatto, un impatto operativo di entità limitata.
Le cause tecniche all'origine dell'evento, sulla base degli accertamenti effettuati congiuntamente alla società conduttrice del sistema ed in collaborazione con il manutentore, sono addebitabili ad un errato comportamento del
software interno al sottosistema multifonico rispetto al quale la società costruttrice sta provvedendo all'emissione di una versione aggiornata del software.
Durante l'evento sopradescritto, l'operatività delle comunicazioni radio del centro è stata anche assicurata attraverso l'impiego del sistema radio pluricanale di emergenza che ha funzionato regolarmente contribuendo ad assicurare continuità al servizio di gestione del traffico aereo senza necessità di chiusura di alcun settore operativo.
È stato posto in evidenza che l'architettura del sistema principale, comunque, prevede già di per sé una duplicazione di componenti sia
hardware sia software, secondo un concetto di sistema primario e


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secondario. Tale configurazione ha consentito di minimizzare gli impatti operativi dell'avaria registrata, a riprova della consistenza ed adeguatezza funzionale dell'intero sistema.
A ciò si aggiunge la disponibilità di un altro sistema indipendente denominato «sistema radio pluricanale di emergenza», impiegato presso gli ACC nazionali, il cui obiettivo funzionale è quello di garantire ulteriori margini di sicurezza in quegli spazi dove la dinamica del traffico ha caratteristiche peculiari ed è connessa con gli arrivi e partenze da e per gli aeroporti a maggior traffico.
Il Ministro delle infrastrutture e dei trasporti: Pietro Lunardi.

DELMASTRO DELLE VEDOVE. - Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, al Ministro degli affari esteri. - Per sapere - premesso che:
l'Italia partecipa alla realizzazione del CEATS, Centro di Controllo d'Area, con sede a Vienna, unitamente ad Austria, Slovenia, Croazia, Ungheria, Repubblica Ceca, Repubblica Slovacca e Bosnia Herzegovina;
il nuovo Centro di Vienna è chiamato a gestire anche lo spazio aereo del nord-est italiano;
l'Italia dovrebbe contribuire con il 20 per cento dello spazio aereo complessivo, con risorse finanziarie pari almeno al 16 per cento del totale (circa 51 milioni di euro), con «ritorni» del tutto trascurabili sia dal punto di vista economico che dal punto di vista occupazionale, con la certezza - invece - di una consistente perdita occupazionale, economica e di competitività tra gli altri fornitori di servizi del traffico aereo europei;
le attuali correnti di traffico, in costante aumento nel nord-est italiano, rischiano di essere pericolosamente spostate verso i Balcani con conseguente danno anche per il traffico che interessa la dorsale adriatica e quindi il sud del Paese, a partire dall'ACC di Brindisi;
la gestione dello spazio aereo superiore delegata al CEATS avrà inoltre serie ripercussioni anche nella gestione degli spazi aerei inferiori e, quindi, nella gestione di aeroporti nazionali quali Venezia, Bologna, Verona, Treviso, Trieste, Firenze, Brindisi;
se, al fine di salvaguardare l'interesse nazionale, non ritengano di dover abbandonare il progetto CEATS, ampiamente superato, sensibilizzando in tale direzione l'ENAV Spa, insensibile e debole ad avviso dell'interrogante anche su questo versante, la cui rilevanza è evidentissima in una visione strategica dell'operatività degli impianti aeroportuali nazionali.
(4-05036)

Risposta. - In riferimento all'interrogazione indicata in discorso gli uffici rappresentano preliminarmente che l'Italia ha aderito all'accordo Ceats (Central European Air Traffic System) in data 27 giugno 1997 insieme ad altri sette paesi di Eurocontrol con la firma di un apposito protocollo diplomatico.
L'obiettivo principale di Ceats è quello di unificare il controllo del traffico negli spazi aerei superiori nell'ambito di un'unica organizzazione multinazionale che si articola su vari centri di produzione dei servizi.
Sulla base della citata Convenzione del 1997, i membri di Ceats quindi decisero di unificare il controllo degli spazi aerei superiori nel centro di Vienna (allo stato in corso di costruzione), la simulazione del traffico nel centro di Budapest e la formazione dei controllori nel centro di Forlì.
Le valutazioni che precedettero l'adesione italiana ai Ceats Furono positive, sia sotto il profilo della efficienza e sicurezza del sistema sia per i possibili ritorni industriali dell'operazione.
A distanza di quasi sei anni dalla firma dell'accordo, si pone in evidenza che la filosofia che ha ispirato l'accordo Ceats, non solo non è stata messa in discussione, ma anzi è stata approvata dalla stessa Unione Europea che la ha applicata nell'ambito dei nuovi regolamenti sul
Single Sky.


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Difatti, l'assunto dell'Unione europea è che, nell'attuale fase cli integrazione dell'Europa, per rendere più efficiente la navigazione aerea, gli spazi aerei superiori debbano essere ridisegnati senza tenere conto dei confini nazionali.
Il processo che si sta determinando sulla base della nuova normativa comunitaria porta quindi alla razionalizzazione ed alla riduzione dei centri di controllo degli spazi aerei superiori, mediante accorpamenti degli attuali centri nazionali in nuovi centri internazionali.
In questo settore, l'Italia ha precorso i tempi e, già dal maggio 2000, l'Ente nazionale per l'assistenza del volo ha avviato il processo di razionalizzazione dello spazio aereo superiore concentrando a Ciampino le due FIR
(Flight Information Region) di Milano e di Roma.
A prescindere, quindi, dalla partecipazione a Ceats, che sostanzialmente riproduce il modello di Maastricht, il sistema di controllo del traffico aereo in Europa si sta rapidamente modificando e si evolverà ulteriormente con l'entrata in vigore delle norme comunitarie sul «cielo unico» il cui principale obiettivo è proprio quello di unificare gli spazi aerei in «blocchi funzionali» a prescindere dall'esistenza delle frontiere nazionali.
In tali condizioni è evidente che una richiesta di rinegoziare l'accordo Ceats si porrebbe in controtendenza con le linee prevalenti in Europa.
Pertanto, al fine di raggiungere l'obiettivo della razionalizzazione del servizio e della riduzione dei costi è indispensabile che i vari fornitori di servizi di controllo del traffico aereo (in Italia Enav) riorganizzino conseguentemente i propri servizi in modo da riutilizzare le risorse rese disponibili a seguito della concentrazione di più centri.
Nel caso in cui, invece, sulla base di considerazioni nazionalistiche o a seguito di spinte sociali, gli impianti non venissero adeguatamente riutilizzati si rischierebbe di avere una situazione di evidente inefficienza ad altissimi costi in cui i nuovi centri internazionali si verrebbero ad aggiungere a quelli esistenti anzicchè rimpiazzarli.
Occorrerà quindi vigilare per evitare l'eventualità di tali situazioni nei vari Paesi interessati.
In merito alla interrelazione fra i servizi di controllo degli spazi aerei superiori e quelli per gli spazi aerei inferiori, il problema esiste già nell'attuale situazione ed è direttamente proporzionale con il livello di frammentazione dello spazio aereo. Infatti, come è dimostrato dall'esperienza, anche a seguito della concentrazione su Ciampino delle funzioni precedentemente attribuite all'ACC (
Air Control Center) di Milano, l'aggregazione dei servizi per vaste aree funzionali aumenta il livello di efficienza, migliora la gestione dei flussi di traffico ed eventuali problemi relativi ai flussi in arrivo o partenza dagli aeroporti sottostanti devono essere risolti in termini di adeguamento della capacità disponibile.
Altra questione, completamente diversa, è quella del rispetto degli accordi. Su questo punto ed in particolare per l'istituzione a Forlì di un Centro di formazione unico per tutti i controllori di Ceats Eurocontrol ha fornito ampie assicurazioni.
Per quanto riguarda gli aspetti economici, l'intero progetto è stato riesaminato in modo da contenerne al massimo i costi. Peraltro, il contributo dei
partners di Ceats si qualifica come una forma di anticipo che, comunque, dovrà essere recuperato a carico dell'utenza durante il periodo di gestione del piano.
In conclusione, quindi, la partecipazione italiana a Ceats oggi più che mai, mantiene una sua validità strategica coerente con le nuove logiche comunitarie e, alla luce dei chiarimenti e degli impegni assunti da Eurocontrol, essa consentirà lo sviluppo sia delle strategie dei nostri fornitori di servizi che della nostra industria.
Il Ministro delle infrastrutture e dei trasporti: Pietro Lunardi.

DELMASTRO DELLE VEDOVE. - Al Ministro della giustizia. - Per sapere - premesso che:
il signor Mario Caputo è stato alle dipendenze del Ministero della giustizia sino alla data del 31 dicembre 1999;


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il rapporto di lavoro è cessato per dimissioni volontarie dall'impiego;
su propria domanda il medesimo è stato riassunto in data 12 marzo 2001 ed attualmente presta servizio presso il tribunale di Biella;
egli ha diritto alla liquidazione della pensione per il periodo 1 gennaio 2000-11 marzo 2001 ed ha già inoltrato un vano sollecito -:
se non ritenga di dover provvedere senza ulteriore indugio alla liquidazione della pensione, in favore del signor Mario Caputo, per il periodo 1 gennaio 2000-11 marzo 2001.
(4-05723)

Risposta. - Il signor Mario Caputo, nato a Postiglione (Salerno) il 1o febbraio 1938, collaboratore di cancelleria in servizio presso questa Amministrazione dal 1o aprile 1976, ha rassegnato le dimissioni dall'impiego, con contestuale diritto al trattamento di quiescenza, con decorrenza dal 1o gennaio 2000.
In data 10 novembre 1999 il competente Ufficio ministeriale ha trasmesso il trattamento provvisorio di pensione a favore del suddetto alla sede Inpdap di Vercelli, territorialmente competente per la corresponsione.
Con P.D.G. del 2 marzo 2001 il signor Mario Caputo è stato riammesso in servizio ed assegnato al tribunale di Biella, ove ha assunto possesso il 12 marzo 2001.
In data 8 aprile 2003 è stato predisposto il trattamento definitivo di pensione per il periodo 1o gennaio 2000-11 marzo 2001 ed in pari data è stato trasmesso all'ufficio centrale del bilancio per il successivo inoltro alla Corte dei Conti, per il previsto riscontro di legittimità.
Il trattamento definitivo ha comportato un incremento del trattamento provvisorio nella misura del 4,4 per cento.
Il Ministro della giustizia: Roberto Castelli.

DI GIOIA. - Al Ministro dell'interno, al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio. - Per sapere - premesso che:
nella città di Foggia, senza che vi sia nessun controllo da parte degli organi predisposti, si stanno realizzando tutta una serie di opere abusive sia in termini di trasformazioni volumetriche che di nuove costruzioni;
questa situazione, in assenza dell'approvazione di un piano regolatore, rischia di determinare, al di là degli abusi di legge, un ulteriore deterioramento della città sia per quanto riguarda i servizi sia per la stessa sicurezza, in alcuni casi, degli edifici;
sembra superfluo ricordare, a pochi giorni dall'evento sismico che ha colpito in parte anche la città di Foggia, quanto sia pericoloso continuare, magari aspettando qualche provvidenziale condono, a costruire nuove opere abusive senza che nessuna autorità locale o dello Stato faccia nulla per fermare questo fenomeno in continua crescita -:
se, attesi gli effetti devastanti prodotti dal cresciuto abusivismo, non si intenda intervenire, in quale modo e in che tempi, per porre fine al fenomeno dell'abusivismo edilizio che rischia, ogni giorno di più, di deteriorare in maniera definitiva le risorse del nostro Paese e delle nostre città.
(4-04558)

Risposta. - Con riferimento all'interrogazione in discorso, si risponde per la parte di competenza.
Preliminarmente si ritiene di dovere evidenziare che la questione posta dall'interrogante riguarda, in modo specifico, aspetti di carattere urbanistico che rientrano nei compiti istituzionali dell'Assessorato regionale urbanistica e del comune di Foggia, anche in relazione al controllo edilizio del territorio.
Invece, per i profili afferenti la sicurezza sismica degli edifici, la legge n. 64/74 ed i decreti ministeriali applicativi impongono di depositare il progetto presso l'ufficio del genio civile, allo scopo di effettuare i controlli sulle strutture.
Relativamente, poi, all'accertamento delle violazioni per abusivismo edilizio, si fa presente che l'ufficio del genio civile ha redatto, a seguito di denuncie da parte della


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locale polizia municipale, circa 2000 verbali di accertamento a partire dall'anno 1991.
Anche la locale questura ha concluso approfondite indagini in materia di appalti pubblici e di edilizia pubblica e privata.
Su quest'ultimo argomento, la procura della Repubblica presso il tribunale di Foggia ha promosso l'azione penale nei confronti del sindaco di Foggia, di tecnici comunali, di tecnici privati e di imprenditori.
Nell'ambito di una delle indagini esperite dalla questura, sono stati arrestati un ingegnere e un geometra, ritenuti responsabili, in concorso fra loro, di falsità ideologica commessa da pubblico ufficiale, in ordine alla realizzazione di due manufatti, uno destinato ad ufficio e l'altro a casa di riposo.
È da sottolineare infine che, a seguito dell'adozione del nuovo piano regolatore, il comune di Foggia ritiene che alcune violazioni urbanistiche riscontrate potrebbero essere sanate.
Il Sottosegretario di Stato per l'interno: Antonio D'Alì.

FISTAROL, PANIZ e SANDI. - Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. - Per sapere - premesso che:
la legge finanziaria n. 449 del 1997 ha dato facoltà all'Anas di aumentare il canone d'accesso alle strade statali fino al 150 per cento con semplice proprio atto;
l'ANAS in data 4 agosto 1998 ha provveduto ad incrementare nella misura massima il canone dovuto;
con successivo provvedimento del 18 ottobre 2001 l'Anas ha provveduto a determinare i canoni dovuti dai concessionari dei diritti d'accesso per l'anno 2002, incrementando ulteriormente l'ammontare del canone da versare;
a seguito di tali provvedimenti i canoni di accesso sono stati aumentati in misura tale da suscitare le proteste da parte dei cittadini interessati;
la tassa sui passi carrai era stata riconsiderata anche dal decreto legislativo 15 novembre 1993 n. 507, che aveva statuito la intassabilità dei cosiddetti accessi «a raso», anche se poi la stessa norma è stata abrogata dalla legge 28 dicembre 1995 n. 549;
non pare equa, per l'uso temporaneo di suolo pubblico, l'imposizione di un canone di importo maggiorato esponenzialmente rispetto al valore effettivo della superficie usata;
la contraddizione è evidente proprio nella norma che impone, per ogni metro lineare di accesso di civile abitazione, il canone minimo di base uguale allo stesso valore iniziale di un metro quadro di superficie è stato valutato, per il 2001 in 5,16 (confronta tab. B1. punto B1 Gazzetta Ufficiale n. 253 del 28 ottobre 2002 pagina 24);
il canone così determinato, che poi viene indicizzato, moltiplicato per vari coefficienti dovuti per farraginose tipologie predeterminate e applicato alla effettiva superficie occupata calcolata sulla distanza del confine di proprietà dalla carreggiata stradale, raggiunge cifre a volte iperboliche;
senza tener conto che a volte la superficie a base d'imposta era stata oggetto di esproprio, ovvero si è determinata per rettifiche stradali operate dall'Anas;
la tassa, infine, non viene illustrata nel bollettino postale trasmesso per il pagamento;
in particolare gli aumenti hanno colpito alberghi, ristoranti, esercizi commerciali, attività artigianali, industriali, che, oltre a pagare sulla base di un diverso coefficiente rispetto alle case di abitazione, subiscono un sovrapprezzo dovuto alle particolari disponibilità di parcheggi necessari per la loro attività e rischiano la chiusura in quanto la somma richiesta (qualche esercizio ha ricevuto una bolletta pari a euro 10.000,00) è esorbitante per esercizi commerciali già penalizzati, in quanto situati in territorio montano;
in particolare vanno sottolineate le percentuali d'aumento dei canoni rispetto all'anno precedente (fino a dieci e più volte);


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occorre intervenire presso l'ANAS, essendo gli aumenti relativi al canone di accesso ingiustificati e di rilevante entità -:
se non ritenga, il Ministro interrogato: invitare l'Anas a sospendere l'obbligo di pagamento delle bollette relative ai canoni di accesso dell'anno di riferimento 2002, che hanno la scadenza entro i primi giorni di febbraio;
invita l'Anas a riesaminare i criteri di determinazione dei canoni di accesso per l'anno 2002, in modo da ridurre l'entità delle somme richieste a tale titolo;
se non intenda, infine, riconsiderare complessivamente la materia, anche attraverso opportune iniziative normative per renderla più equa e meno penalizzante per gli utenti nei prossimi anni.
(4-05349)

Risposta. - In merito alle problematiche evidenziate con l'atto ispettivo indicato in discorso l'Anas S.p.A ha fatto conoscere che i canoni percepiti per la concessione o autorizzazione a privati di accessi su strade statali hanno natura di corrispettivi economici dovuti in relazione all'utilità ed al vantaggio derivante all'utente e non si configurano come forme di imposizione fiscale.
Il canone, infatti, è determinato in relazione al vantaggio economico che ricava il titolare della licenza di accesso sulla base dell'uso del passaggio sulla strada. Esso sarà anche proporzionato all'estensione dell'accesso e quindi al numero di transiti veicolari.
Il canone è determinato inoltre dalla incidenza che l'accesso ha direttamente sulla strada in relazione alla quale è concesso. Infatti, l'accesso che si affaccia lungo una strada statale ha come conseguenza la maggiore usura di quel tratto stradale, causata dalle fermate dei veicoli e dal loro transito in entrata ed in uscita dall'accesso stesso.
In relazione alla determinazione degli importi la società stradale rappresenta che l'articolo 55, comma 23 della legge n. 449 del 1997, ha disposto che le entrate proprie dell'Anas, derivanti dai canoni dei corrispettivi dovuti per le concessioni e le autorizzazioni fossero adeguate, entro il 31 dicembre 1998, ai criteri previsti dal nuovo codice della strada (articolo 27, comma 8).
Il citato articolo ha inoltre previsto che le entrate in questione venissero aggiornate ogni anno con delibera del consiglio di amministrazione, poi inviata al ministero delle infrastrutture e dei trasporti per la relativa approvazione.
In sede di primo adeguamento dei canoni in questione l'aumento richiesto a ciascun titolare di concessione o autorizzazione poteva arrivare sino al 150 per cento del corrispettivo dovuto. Ciò in quanto il legislatore ha riconosciuto l'inadeguatezza dei vecchi canoni, rimasti invariati dal 1990, data di emanazione dell'ultimo decreto ministeriale in materia di canoni per licenza di accesso in genere e pubblicità. Per altre tipologie, gli importi dei canoni risalgono ad epoca ancora più remota; ad esempio quelli relativi ad impianti elettrici sotterranei risultavano invariati dal 1948. Va anche considerato che i canoni applicati dall'Anas S.p.A. prima dell'entrata in vigore della citata legge n. 449 del 1997 sono stati quelli aggiornati sugli indici ISTAT secondo un'analisi costi-benefici ormai inadeguata rispetto allo sviluppo urbanistico e sociale che ha condotto in taluni casi all'urbanizzazione di strade in precedenza extraurbane.
Per quanto attiene la legittimità della determinazione dei canoni stessi, l'Anas precisa che il relativo provvedimento viene regolarmente approvato, prima della pubblicazione sulla
Gazzetta Ufficiale, dal vigilante ministero delle infrastrutture e dei trasporti.
Inoltre, la legittimità dell'operato della società trova autorevole conferma nella giurisprudenza del Consiglio di Stato dalla quale risulta altresì riconosciuta l'ampia discrezionalità di cui in materia gode l'Anas. Così con la sentenza n. 5483/2000, secondo cui «... a tenore del citato articolo 55 comma 23, della legge n. 449/97, le entrate proprie dell'Anas derivanti dai canoni e dai corrispettivi dovuti per le concessioni e le autorizzazioni di cui all'articolo 18 comma 1, del decreto del Presidente


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della Repubblica 21 aprile 1995, n. 242, sono adeguate ai criteri del decreto legislativo 30 aprile 1992 e successive modificazioni, entro il 31 gennaio 1998 ed aggiornate ogni anno. Il citato articolo 18, comma 1, annovera, infatti, tra i mezzi finanziari che costituiscono entrate dell'Anas, i proventi derivanti da canoni dovuti per concessioni ed autorizzazioni. In proposito va ricordato l'articolo 27 del codice stradale, che, pienamente riferendo il criterio di determinazione della somma dovuta per l'uso o l'occupazione delle strade e delle loro pertinenze ad una logica di mercato in cui il concedente operi per la massimizzazione della propria rendita di posizione - dispone che nel determinare la misura della somma si ha riguardo alle soggezioni che derivano alla strada o autostrada... e al valore economico risultante dal provvedimento di autorizzazione o concessione e al vantaggio che l'utente ne ricava. La normativa di riferimento ha inteso demandare proprio ad un automatico equilibrio, che il libero mercato di per sé crea, l'individuazione del canone più redditizio per l'Anas».
Nello stesso senso, rileva sempre la società stradale, con sentenza 3062/2001 il Consiglio di Stato ha ritenuto che «... deve essere riconosciuta all'ANAS la più ampia discrezionalità nella determinazione dei canoni concessori».
Il Viceministro delle infrastrutture e dei trasporti: Ugo Martinat.

FOTI. - Al Ministro dell'interno. - Per sapere - premesso che:
il regio decreto-legge 1158 del 1923 (convertito dalla legge n. 473 del 1925) prevede che le «amministrazioni municipali, qualora intendano mutare il nome di qualcuna delle vecchie strade o piazze comunali, dovranno chiedere e ottenere preventivamente l'approvazione del ministro dell'istruzione pubblica per il tramite delle competenti soprintendenze ai monumenti»;
la successiva legge n. 1188 del 1927 ha introdotto l'obbligo dell'autorizzazione prefettizia, sentita la locale società storica, per la denominazione di nuova strade, vietando l'intitolazione a persone che siano decedute da meno di dieci anni. Tale intitolazione riguarda non solo le strade e le piazze pubbliche, ma anche monumenti, lapidi «o altro ricordo permanente». Si fa eccezione per talune categorie, in parte desuete (membri della famiglia reale, caduti in guerra o per la causa nazionale) in parte ancora del tutto valide (le «persone che abbiano benemeritato della nazione»): in quest'ultimo caso, però, occorre che la deroga sia utilizzata dal ministro dell'interno -:
se e quali iniziative intendano assumere, affinché, per il tramite dei prefetti, sia assicurato il rispetto delle predette norme.
(4-04349)

Risposta. - In merito a quanto rappresentato, si evidenzia che la materia della toponomastica, così come rammentato dall'interrogante, è disciplinata, per quanto attiene alle competenze dell'amministrazione dell'interno, dalla legge 23 giugno 1927, n. 1188, la quale attribuisce ai prefetti l'autorizzazione all'intitolazione di strade, piazze e monumenti a persone che siano decedute da oltre dieci anni ed assegna al Ministro dell'interno la facoltà di consentire la deroga al divieto di intitolazione dei suddetti luoghi pubblici a persone che non siano decedute da almeno dieci anni, ove abbiano benemeritato nei confronti della nazione.
Dette disposizioni sono da reputarsi vigenti anche dopo la riforma del Titolo V della Costituzione, introdotta dalla legge costituzionale 18 ottobre 2001, n. 3.
L'articolo 117 novellato della Costituzione riserva, infatti, alla competenza esclusiva dello Stato la legislazione in materia di anagrafi, nel cui ambito è da ritenersi compresa la toponomastica, atteso che essa costituisce oggetto di espressa disciplina dell'articolo 41 - rubricato adempimenti ecografici - del decreto del Presidente della Repubblica 30 maggio 1989, n. 223, recante il regolamento anagrafico della popolazione residente.


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In tal senso, si assicura che, nell'esercizio della funzione statale di vigilanza in materia di anagrafi e stato civile, continua ad essere garantito il puntuale rispetto della normativa di cui alla legge n. 1188/1927.
Il Sottosegretario di Stato per l'interno: Antonio D'Alì.

FOTI. - Al Ministro della giustizia. - Per sapere - premesso che:
a termine degli articoli 50 del decreto legislativo n. 274 del 2000 e 72, lettera a), del regio-decreto n. 12 del 1941 gli iscritti al secondo anno della scuola di specializzazione per le professioni legali possono far richiesta alle competenti procure della Repubblica affinché vengano loro delegate le funzioni di pubblico ministero nei procedimenti davanti al giudice di pace e al tribunale monocratico;
ai vice procuratori onorari, cui vengono delegate le udienze dibattimentali, viene conferita un'indennità pari a 98 euro per udienza;
parrebbe equo che anche agli specializzandi di cui in premessa sia riconosciuto il diritto al percepimento dell'indennità di cui godono i vice procuratori onorari -:
se non ritenga, previo attento e approfondito esame della materia, di adottare le opportune iniziative affinché possa essere concesso anche agli studenti iscritti al secondo anno della scuola di specializzazione per le professioni legali, che svolgono nelle udienze dibattimentali le funzioni di pubblico ministero su delega del procuratore della Repubblica, la speciale indennità conferita a termini dell'articolo 4 del decreto legislativo 28 luglio 1989, n. 273 ai vice procuratori onorari.
(4-04802)

Risposta. - La previsione contenuta nell'articolo 50, lettera a), del decreto legislativo 28 agosto 2000, n. 274, consente ai laureati in giurisprudenza che frequentano il secondo anno della scuola biennale di specializzazione per le professioni legali di svolgere le funzioni di pubblico ministero nei procedimenti penali dinanzi ai giudici di pace.
Si tratta di previsione che deve essere collocata nel contesto di riferimento, costituito dalla normativa istitutiva delle scuole di specializzazione, all'interno della quale essa rappresenta lo strumento individuato dal legislatore per realizzare uno dei momenti di formazione pratica degli specializzandi, previa stipula di convenzioni tra, l'università e sedi giudiziarie.
La
ratio della norma risulta quindi del tutto peculiare, con la conseguenza che non può essere utilmente richiamata, al fine di verificarne la estensibilità, la disciplina vigente per i vice procuratori onorari addetti all'ufficio del giudice di pace, con riferimento alla previsione della corresponsione di indennità ai sensi dell'articolo 4 del decreto legislativo 28 luglio 1989, n. 273.
Il Ministro della giustizia: Roberto Castelli.

FOTI. - Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro dell'interno. - Per sapere - premesso che:
con deliberazione della giunta regionale della Lombardia 6 aprile 2001 - n. 7/4190 - veniva approvato l'aggiornamento del piano degli interventi straordinari per il ripristino delle infrastrutture pubbliche danneggiate, per la rimozione del pericolo e per la prevenzione del rischio diretti a fronteggiare i danni conseguenti agli eventi alluvionali e i dissesti idrogeologici dei mesi di ottobre e novembre 2000 e del piano stralcio degli interventi urgenti e indifferibili;
detta delibera traeva origine da quanto disposto dal decreto del Presidente del Consiglio dei ministri del 18 ottobre 2000 con il quale veniva esteso al territorio della regione Lombardia la dichiarazione dello stato di emergenza;
tra gli interventi previsti a livello di priorità, dalla predetta delibera regionale, vi era la ricostruzione del ponte e la


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riparazione della strada Mantovana nel comune di Pieve Porto Morone (Pavia) per la cui realizzazione veniva assegnato al comune stesso un finanziamento di 371.848,97 euro, giusta la comunicazione inviata a detto ente dal dirigente dell'unità organizzativa territorio e urbanistica della regione Lombardia;
con la predetta nota il comune di Pieve Porto Morone veniva invitato a procedere con sollecitudine all'esecuzione dei predetti interventi -:
se intendano per il tramite della locale prefettura accertare se vengano frapposti immotivati ritardi per dar corso all'esecuzione delle opere di cui sopra, indifferibili ed urgenti, dalla cui omessa realizzazione può derivare grave nocumento alla popolazione nel caso di nuove esondazioni.
(4-05109)

Risposta. - Con riferimento all'atto di sindacato ispettivo indicato in discorso, nel quale l'interrogante chiede di conoscere il piano degli interventi straordinari per il ripristino delle infrastrutture pubbliche danneggiate, per la rimozione del pericolo e per la prevenzione del rischio diretti a fronteggiare i danni conseguenti agli eventi alluvionali verificatisi nei mesi di ottobre e novembre 2000, con particolare riferimento alla ricostruzione del ponte ed alla riparazione della strada «Mantovana» nel comune di Pieve Porto Morone (Pavia), si fa presente quanto segue.
A seguito della dichiarazione dello stato di emergenza di cui al decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri del 18 ottobre 2000, è stata emanata l'ordinanza di protezione civile n. 3090 del 27 ottobre 2000, successivamente integrata e modificata, nella quale, con l'articolo 1, comma 1, è specificato che le regioni devono adottare il piano degli interventi straordinari relativi al superamento della situazione emergenziale tenendo conto che la «priorità nell'attuazione degli interventi deve essere attribuita al ripristino delle infrastrutture essenziali danneggiate».
La citata ordinanza prevede, inoltre, che il suddetto piano di interventi, ai sensi del comma 2 del medesimo articolo, sia sottoposto alla presa d'atto del Dipartimento della protezione civile.
Per quanto concerne il ripristino della cosiddetta «strada mantovana» si rende noto che tale intervento è stato inserito nel terzo Piano stralcio redatto dalla regione Lombardia, del quale il Dipartimento della protezione civile ha preso atto il 16 settembre 2002 e che per la ricostruzione del ponte e la riparazione della strada è previsto un onere pari a 371.848,97 euro.
Per ciò che riguarda il rispetto dei tempi per l'esecuzione dell'opera, la già citata ordinanza 3090/2000 stabilisce che l'ente attuatore deve provvedere all'affidamento dei lavori entro 150 giorni (considerata la proroga di 60 giorni di cui all'articolo 6, comma 1, dell'ordinanza n. 3175/2002) dalla data di presa d'atto, e che deve ultimarli entro i successivi 12 mesi.
Infine si fa presente che per l'attuazione delle opere necessarie per le finalità di cui all'ordinanza 3090/2000 e seguenti modificazioni ed integrazioni, la dichiarazione dello Stato di emergenza relativa all'evento alluvionale è stata prorogata fino al 31 dicembre 2003.
Il Ministro per i rapporti con il Parlamento: Carlo Giovanardi.

GALLO, AMORUSO, MAGGI e GIRONDA VERALDI. - Al Ministro dell'interno. - Per sapere - premesso che:
l'articolo 227 del testo unico sull'ordinamento degli enti locali (decreto legislativo n. 267/2000) al comma 2 dispone che entro il 30 giugno di ogni anno il consiglio delibera il rendiconto relativo all'esercizio finanziario dell'anno precedente;
il consiglio provinciale di Bari veniva convocato per il 28 giugno 2002 con all'ordine del giorno il punto relativo all'approvazione del rendiconto dell'esercizio finanziario 2001;
la seduta veniva aggiornata ad altra data;


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alla data del 30 giugno 2002 non era depositata, agli atti del consiglio provinciale, la documentazione relativa al suddetto rendiconto e cioè il conto del bilancio, l'elenco dei residui, la relazione illustrativa della giunta provinciale, il conto del tesoriere e la relazione del collegio dei revisori dei conti;
sempre alla data del 30 giugno la giunta provinciale non aveva ancora deliberato alcun atto relativo al rendiconto dell'esercizio finanziario 2001 della provincia di Bari -:
se il Ministro non ravvisi le condizioni per lo scioglimento del consiglio provinciale di Bari così come previsto dall'articolo 141, comma 1, lettera c), di cui al testo unico degli enti locali (decreto legislativo n. 267/2000).
(4-05955)

Risposta. - Con l'interrogazione indicata in discussione l'interrogante pone all'attenzione del Governo la mancata predisposizione e conseguente approvazione nel giugno 2002, da parte del Consiglio provinciale di Bari, del rendiconto di gestione relativo all'esercizio finanziario dell'anno precedente, chiedendo se in tale comportamento non si ravvisino le condizioni per lo scioglimento del consiglio stesso.
In proposito si fa presente che, comunque, tale approvazione è stata effettuata con delibera n. 31 del 23 luglio 2002.
Si precisa innanzitutto che la mancata approvazione, entro il 30 giugno di ogni anno, - termine peraltro non perentorio - da parte di comuni e province del rendiconto dell'esercizio finanziario dell'anno precedente, non comporta come conseguenza la dissoluzione del Consiglio provinciale o Comunale, secondo l'ordinamento vigente.
Il decreto legislativo 267/2000, infatti, circoscrive lo scioglimento dei Consigli provinciali e comunali a casi specifici, espressamente individuati dal legislatore, di particolare gravità, che limitano l'intervento dello Stato nella vita istituzionale degli enti locali alle situazioni realmente patologiche e che nel corso del Consiglio provinciale di Bari non sono state riscontrate.
Si ricorda, a tal proposito, la mancata approvazione del bilancio di previsione nei termini (articolo 141, comma 1) e la mancata adozione, entro il trenta settembre di ciascun anno, dei provvedimenti di riequilibrio di bilancio (articolo 193, comma 4).
Premesso quanto sopra, diversamente da quanto ritenuto dall'interrogante, non si ravvisano le condizioni per lo scioglimento del consiglio comunale ai sensi dell'articolo 141, comma 1, del testo unico degli enti locali.
Il Sottosegretario di Stato per l'interno: Antonio D'Alì.

GENTILONI SILVERI e VERNETTI. - Al Ministro dell'interno. - Per sapere - premesso che:
nel comune di Nizza Monferrato ha sede dal 1881 un distaccamento dei vigili del fuoco volontari;
tale distaccamento opera con professionalità e con grande capacità operativa anche nei comuni limitrofi e che tale distaccamento si è messo in particolare evidenza per la tempestività in occasione dell'alluvione del 1994 e dell'evento sismico dell'agosto 2002;
risulta, da notizie apparse sulla stampa, imminente la firma del decreto che istituirà in Canelli un distaccamento dei vigili del fuoco misto -:
quali siano i motivi per i quali si è deciso di istituire un distaccamento dei vigili del fuoco misto in Canelli, visto che il soccorso in tale zona è assicurato dalla presenza delle sedi volontarie di Nizza Monferrato e di Santo Stefano Belbo;
se la duplicazione del servizio non rischia di diventare uno spreco di risorse e un disincentivo al volontariato locale;
se, in un'ottica di contenimento della spesa pubblica, sia opportuna l'istituzione della nuova sede e non già il rafforzamento operativo di quelle esistenti e già attive.
(4-04212)


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Risposta. - Per garantire alla popolazione un servizio di soccorso più efficiente è in corso di attuazione il progetto denominato Soccorso Italia in 20'- di durata pluriennale - finalizzato all'attivazione di 292 nuovi distaccamenti dei vigili del fuoco sul territorio, tra i quali soprattutto quelli volontari. L'obiettivo specifico è quello di assicurare interventi di soccorso entro venti minuti dall'allertamento del «115» ad altri 6 milioni di abitanti, in aggiunta ai 46 milioni già serviti nel predetto termine.
Nell'ambito di tale progetto, con decreto ministeriale in data 6 febbraio ultimo scorso, è stato formalmente istituito presso il comune di Canelli un distaccamento dei vigili del fuoco volontario.
L'istituzione di tale sede è stata disposta in accoglimento di reiterate istanze dell'amministrazione comunale e risponde alle esigenze della zona interessata, tenuto conto dello sviluppo industriale, della natura dei luoghi, della distanza da altre sedi di servizio antincendio.
Si è ritenuto di attivare nel caso di specie un distaccamento di tipo volontario, anziché misto o permanente, anche tenendo presente l'esigenza di contenere gli oneri a carico del bilancia dello Stato. Sull'amministrazione dell'interno graveranno, infatti, le spese connesse all'impiego ed all'equipaggiamento del personale volontario e quelle per le attrezzature ed i mezzi, rimanendo le altre a carico dell'ente locale interessato.
Il Sottosegretario di Stato per l'interno: Maurizio Balocchi.

GHIGLIA. - Al Ministro dell'interno. - Per sapere - premesso che:
l'algerino Faud Salih, clandestino e pluricarcerato, è stato condannato per direttissima a luglio 2002 per il reato di spaccio e, recentemente, ha avuto la possibilità di allontanarsi dall'ospedale dove era stato ricoverato;
la legge cosiddetta «Fini-Bossi» ha modificato il testo unico di cui al decreto legislativo n. 286 del 1998 e ha previsto che della emissione del provvedimento di custodia cautelare o della definitiva sentenza di condanna ad una pena detentiva nei confronti di uno straniero proveniente da Paesi extracomunitari viene data tempestiva comunicazione al questore ed alla competente autorita consolare al fine di avviare la procedura di identificazione dello straniero e consentire, in presenza di requisiti di legge, l'esecuzione della espulsione subito dopo la cessazione del periodo di custodia cautelare o di detenzione -:
per quale motivo, nonostante esistessero tutti i requisiti per l'applicazione della legge Fini-Bossi, non sia stata eseguita l'espulsione dello straniero e non sia stato neppure a tale fine disposto il suo piantonamento in ospedale;
quali provvedimenti intenda adottare al fine di garantire una corretta applicazione della legge Fini-Bossi.
(4-05048)

Risposta. - Rispondendo all'interrogazione parlamentare in discorso si comunica, sulla base degli elementi forniti dal prefetto di Torino, che Faud Salih, pluripregiudicato di nazionalità marocchina (e non algerina), era Stato aggredito e ferito da un altro pluripregiudicato algerino, di nome Koali Ardi, e da due complici.
Il principale autore del ferimento, responsabile di vari reati, è Stato arrestato dalle Forze dell'ordine ed è detenuto presso il carcere «Le Vallette» di Torino, mentre sono in corso le indagini per rintracciare e catturare i due complici, nonché per accertare le cause dell'evento, maturate, comunque, nell'ambito di un traffico di stupefacenti.
Per le ferite riportate, Faud Salih era stato ricoverato presso l'ospedale Molinette di Torino, dove era oggetto di vigilanza diretta, solo per la sua sicurezza, negli orari di apertura al pubblico.
Per ben due volte quest'ultimo si è allontanato dal nosocomio, a suo dire per paura di ritorsioni da parte di connazionali, venendo sempre rintracciato.
Successivamente è stato inserito dai servizi sociali del comune di Torino presso


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una comunità di recupero di tossicodipendenti, dalla quale pure si è allontanato.
Attualmente è ricoverato presso una comunità del gruppo Abele in provincia di Alessandria.
Nei suoi confronti non è stato possibile procedere alla espulsione poiché la Procura della Repubblica, il 9 gennaio 2003, ha negato il nulla-osta, richiesto dall'articolo 13, comma 3 del Testo Unico n. 286 del 1998 sull'immigrazione, come riformulato dall'articolo 12 della legge n. 189 del 2002, in quanto persona offesa nel procedimento penale instauratosi a carico dell'aggressore.
Quanto ai provvedimenti assunti per garantire una corretta applicazione della legge cosi detta Bossi-Fini, si assicura che sono state diramate puntuali circolari esplicative e che tale applicazione viene costantemente monitorata dal dipartimento della pubblica sicurezza.
Il Sottosegretario di Stato per l'interno: Alfredo Mantovano.

GIACHETTI. - Al Ministro dell'interno. - Per sapere - premesso che:
nella giornata di lunedì 24 marzo 2003 si è svolta a Roma, presso l'Altare della Patria, una breve cerimonia non ufficiale presieduta dal presidente della provincia di Roma Moffa, alla quale sarebbero stati presenti il presidente della regione Lazio Storace, oltre all'assessore provinciale di AN Clarke;
tale cerimonia, secondo quanto riportato dall'agenzia Ansa, sarebbe consistita nella deposizione di una corona di alloro, simbolo di riparazione, a detta del presidente Moffa, per l'«oltraggio» che sabato 22 marzo 2003 gli attivisti di Greenpeace avrebbero compiuto innalzando uno striscione raffigurante il presidente del Consiglio con un elmetto;
tale evento non rientra nel programma di celebrazioni previste da protocolli ufficiali, ma invece si configura ad avviso dell'interrogante, come iniziativa autonoma e con chiara connotazione politica di due presidenti di comune appartenenza partitica, per di più collocata nel pieno della campagna elettorale per le elezioni provinciali di Roma e promossa dal presidente della provincia di Roma, guarda caso candidato alle prossime elezioni;
dalle notizie di stampa apparse, alla cerimonia avrebbe presenziato il prefetto di Roma, Emilio Del Mese;
parrebbe all'interrogante esservi stata una grave violazione delle funzioni istituzionali di competenza del Prefetto stesso che, partecipando ad una iniziativa che all'interrogante appare di chiara matrice politica, si sarebbe di fatto schierato con uno dei competitori alle prossime elezioni provinciali romane -:
se risponda al vero che nel corso della cerimonia di lunedì 24 marzo 2003, effettivamente sia stato presente il Prefetto della Capitale;
quali siano i motivi, in tal caso, che hanno spinto il prefetto a partecipare ad un'iniziativa politica, promossa da esponenti di partito ancorché ricoprenti con funzioni istituzionali, venendo meno all'indifferibile obbligo per un funzionario dello Stato di tenere distinto il suo ruolo istituzionale dalle proprie simpatie politiche;
se il Ministro interrogato non intenda procedere alla immediata rimozione del prefetto dall'incarico assegnatogli nella città di Roma, anche in relazione alle delicate funzioni che spettano alla Prefettura nella gestione della campagna elettorale, che sarebbero evidentemente compromesse nella loro credibilità.
(4-05869)

Risposta. - La vicenda citata dall'onorevole interrogante trae origine dall'esposizione, nella giornata del 22 marzo 2003, di uno striscione di protesta contro la guerra sull'Altare della Patria, atto compiuto da alcuni componenti del movimento «Green Peace».
L'indomani, il presidente dalla provincia di Roma ha comunicato al prefetto l'intenzione di recare l'omaggio di una corona d'alloro al Sacello della Patria, unitamente al presidente della regione Lazio e al sindaco di Roma.


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Considerato il carattere istituzionale della cerimonia il prefetto di Roma ha ritenuto di aderire.
Il Sottosegretario di Stato per l'interno: Antonio D'Alì.

ALFONSO GIANNI. - Al Ministro dell'interno, al Ministro per i beni e le attività culturali. - Per sapere - premesso che:
dal 1995 nel comune di Curno (Bergamo) è presente un Centro di preghiera dell'Unione delle comunità islamiche, in cui si trovano a pregare cittadini di fede musulmana;
la presenza di tale Centro favorisce l'integrazione del cittadini extracomunitari e assicura il rispetto del dettato costituzionale sulla libertà di culto;
l'attuale sindaco di Curno ha deciso, con motivazioni a parere dell'interrogante inconsistenti, di emanare un'ordinanza con la quale vieta l'utilizzo dello stabile come luogo di culto (in quanto lo stabile sarebbe destinato a magazzino);
l'Unione delle comunità islamiche si è rivolta al Prefetto chiedendo una proroga e, eventualmente, la possibilità di avere dal comune di Curno un altro stabile da adibire al medesimo scopo;
l'attuale sindaco si è dichiarato contrario anche a reperire uno stabile alternativo;
la precedente Amministrazione aveva autorizzato l'Unione delle comunità islamiche ad utilizzare lo stabile come luogo di culto;
non esisterebbero problemi di sicurezza e precarietà dello stabile, utilizzato fin dal 1995, come addotto dal sindaco di Curno, tali da motivare un provvedimento di chiusura;
a giudizio dell'interrogante tale comportamento del sindaco viola apertamente il dettato costituzionale sulla libertà di religione, negando ai cittadini musulmani di ritrovarsi per professare liberamente il proprio credo religioso;
con il suo comportamento il sindaco alimenta a giudizio dell'interrogante il pregiudizio, il razzismo e la xenofobia;
viceversa un sindaco, quale capo dell'amministrazione comunale e ufficiale di Governo, è tenuto ad assicurare il diritto di tutte le persone a professare liberamente il loro credo e ciò è necessario se si vuole costruire una reale convivenza multietnica, multireligiosa e multiculturale -:
quali iniziative i Ministri interrogati intendano assumere per assicurare alla comunità islamica di Curno il diritto alla libertà di culto sancito dalla Costituzione della Repubblica italiana, e garantire sui territorio le condizioni di dialogo e civile convivenza tra diverse culture e fedi religiose.
(4-01236)

Risposta. - La vicenda, segnalata dall'interrogante, è seguita con costante attenzione dal prefetto di Bergamo che ha organizzato diversi incontri con i rappresentanti dell'unione delle comunità islamiche e con le autorità locali per trovare una soluzione al problema nel rispetto della libertà di culto, costituzionalmente garantita, e tutelando, nel contempo, la pubblica incolumità, nell'interesse dei cittadini.
Com'è noto, infatti, il sindaco di Curno aveva vietato lo svolgimento di riunioni di preghiera o assemblee all'interno dello stabile ubicato in via Manzù n. 2 ed adibito a centro di preghiera in quanto l'immobile risultava privo delle necessarie misure di sicurezza in relazione a tale utilizzazione, peraltro difforme rispetto all'originaria destinazione urbanistica.
Attualmente, sulla base di notizie fornite dalla prefettura-UTG di Bergamo, risulta che, in seguito alla risoluzione del contratto di locazione, l'immobile non risulta più nella disponibilità del sodalizio religioso islamico.
Il sindaco di Curno si è impegnato a valutare possibili soluzioni alternative.
Del resto la stessa legge 9 maggio 1992, n. 20, della regione Lombardia, stabilisce


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che la regione ed i comuni concorrono alla realizzazione di attrezzature di interesse comune destinate al servizio di culto, individuate sulla base delle esigenze locali e delle istanze avanzate dalle confessioni religiose.
Tale esigenza deve essere valutata in fase di formazione o revisione dei piani urbanistici, prevedendo, specificamente, le aree destinate ad accogliere gli immobili per il culto. In ogni caso, è opportuno che l'eventuale scelta di un luogo alternativo venga concordata nel rispetto dei diritti di tutti i cittadini.
Su un piano più generale, invece, si rammenta che la politica del ministero dell'interno è volta a sollecitare la conoscenza e la cultura delle diversità nonché il rispetto e la comprensione reciproca; essa è tesa, altresì, a dare voce a tutte le realtà religiose.
Sotto tali aspetti si evidenzia l'attività - presso la direzione centrale degli affari dei culti del dipartimento per le libertà civili e l'immigrazione - dell'osservatorio sulle libertà religiose e di uno specifico gruppo di studio con il compito di approfondire la conoscenza delle problematiche correlate ai flussi migratori nel nostro paese, con particolare riferimento alla presenza di appartenenti alla confessione islamica.
In tale contesto si colloca il disegno di legge recante norme sulla libertà religiosa e abrogazione della legislazione sui culti ammessi (Atto Camera n. 2531), attualmente all'esame della I Commissione della Camera dei deputati, che costituisce il primo grande passo verso il superamento della impostazione tradizionale della religione di Stato.
Sulla base delle disposizioni in esso contenute il Governo, nel rispetto delle intangibili libertà individuali e collettive deve infatti tutelare la libertà di culto in forma individuale o associata, ma non può tuttavia esimersi dall'accertare la natura di ogni associazione per evitare eventuali coinvolgimenti con gruppi di matrice violenta e terroristica.
Il Sottosegretario di Stato per l'interno: Antonio D'Alì.

GIUSEPPE GIANNI e DE LAURENTIIS. - Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, al Ministro dell'economia e delle finanze. - Per sapere - premesso che:
la IX Commissione della Camera dei deputati, con una risoluzione approvata il 25 settembre scorso, ha impegnato il Governo alla nomina di un Consiglio di amministrazione per l'Enav, in sostituzione dell'attuale amministratore unico;
si è consolidata in Enav la tendenza «all'impiego dei controllori del traffico aereo con quantità orarie di lavoro eccedenti i limiti imposti contrattualmente in ragione della tutela della sicurezza» -:
se risponda al vero che in continuità con l'operato della gestione precedente, che fu valutato negativamente al punto di portare alla revoca del Consiglio di amministrazione da parte del Governo, l'attuale amministratore perseveri nell'impiego del personale operativo, ed in particolare dei controlli del traffico aereo, per quantità non solo eccedenti il normale orario di lavoro, ma - addirittura - in grave superamento dei limiti di lavoro straordinario posti a salvaguardia non solo della loro incolumità psico-fisica ma anche dell'utenza del trasporto aereo;
i dirigenti del servizio del traffico aereo, promossi proprio dall'attuale amministratore, mentre autorizzerebbero ed anzi obbligherebbero il personale a lavoro in straordinario, avanzerebbero un piano di riduzione delle posizioni operative in totale contrasto con quanto gli stessi dirigenti proponevano nei precedenti incarichi ricoperti;
l'affermazione dell'avvocato Varazzani secondo cui «con gli uomini e le attrezzature» attuali l'Enav può gestire "quasi il doppio» del traffico considerato che il personale è sovraccarico di lavoro e che le attrezzature sono afflitte da continue avarie, l'ultima delle quali ha provocato il black-out delle frequenze verificatosi a Roma ACC lo scorso 22 novembre;


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qualora tutto ciò risponda al vero cosa si intenda fare per recuperare una situazione che compromette la sicurezza del trasporto aereo.
(4-04709)

Risposta. - In merito alle problematiche evidenziate con l'interrogazione indicata in discorso, sono state richieste informazioni all'Enav che riferisce quanto segue.
Il numero delle ore di straordinario effettuato dal personale dell'ente e, in particolare, quello dei controllori del traffico aereo, è costantemente monitorato per presidiare al massimo le condizioni di sicurezza in cui deve operare il personale.
Alcuni eccessi di ore di straordinario che, in passato, si sono registrati complessivamente per determinati impianti, sono dovuti a situazioni di non equilibrio tra la forza di lavoro necessaria e quella effettivamente disponibile, sia tra impianti, sia tra presenze notturne e diurne nell'ambito dello stesso impianto.
Tali squilibri hanno trovato adeguata soluzione con l'intesa formalizzata nel verbale di accordo del 7 dicembre 2002, firmato da sigle sindacali (Cgil, Cisl, Uil, Ugl, Sacta, Assivolo, Quadri, Anpac e Up), che rappresentano, comunque, la maggioranza del personale aziendale. Pertanto, nonostante i reiterati tentativi di Enav di pervenire ad un'intesa unitaria che coinvolgesse anche le restanti organizzazioni sindacali, l'Ente medesimo ritiene di fondamentale importanza il citato accordo in quanto consente la standardizzazione delle condizioni di impiego del personale operativo Cta (Controllore del traffico aereo) e Eav (Esperti di assistenza al volo) nei circa 40 impianti territoriali, modificando e omogeneizzando le configurazioni operative e le turnazioni del personale nel rigoroso rispetto degli standard di sicurezza.
Oltre a tale risultato, l'accordo consente, altresì, l'abbattimento di circa il 25 per cento dello straordinario, già a partire dall'anno 2003, senza nocumento economico per le categorie interessate. Ciò, in quanto con il successivo accordo del 31 gennaio 2003, l'Enav ha stabilito che gran parte delle somme inerenti all'abbattimento delle prestazioni di straordinario verranno, comunque, corrisposte al personale operativo andando ad incrementare la voce retributiva del «super minimo professionale».
L'Ente rappresenta, inoltre, che dal punto di vista degli organici detto accordo, a livello nazionale, non riduce il fabbisogno di personale, se non per poche unità tra gli esperti di assistenza al volo, senza influire negativamente sul numero dei controllori di volo.
A riprova di ciò c'è appunto la conferma, prevista nello stesso accordo, di assumere entro il 2003 gli attuali 140 «borsisti» e l'attivazione di una nuova ricerca apparsa a dicembre 2002 sui principali quotidiani, per la selezione di altri borsisti da avviare alla formazione di Cta.
I dirigenti del servizio del traffico aereo «promossi» dall'Enav hanno, a ragione, ritenuto necessario imprimere maggiore incisività di azione e, quindi, di responsabilità nel settore operativo. La nuova organizzazione ha comportato, a detta dell'Ente, l'assunzione di più ampie e complesse funzioni per alcuni dirigenti con provate e inconfutabili capacità professionali, apprezzate e riconosciute non solo nel contesto aziendale ma, anche, in ambito di organizzazioni internazionali (Icao, Eurocontrol, eccetera). Non risulta che i citati dirigenti siano stati in passato contrari al processo di efficientamento e standardizzazione delle posizioni operative, dal momento che, in qualità di responsabili di strutture attinenti ai servizi del traffico aereo, hanno avanzato sull'argomento apposite proposte sin da quando è emersa la annosa problematica di che trattasi.
L'Ente pone in evidenza, invece, come le proprie relazioni industriali siano, da sempre, connotate da grande complessità, in presenza di ben 13 organizzazioni sindacali che spesso al tavolo delle trattative si trovano in posizione conflittuale tra loro, ciò comportando un notevole aumento dei tempi tecnici occorrenti per la chiusura delle trattative stesse, sicuramente non imputabile alla Società.
La potenzialità di Enav, sottolinea ancora quest'ultimo, di gestire un maggior numero di voli, rispetto al passato, è connessa all'evoluzione tecnologica resa possibile


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grazie ai significativi investimenti in atto ed all'incremento di produttività del lavoro che si realizza con il migliore impiego e la più efficiente distribuzione del personale. Tale potenzialità va, tuttavia, correlata e valutata nel contesto di uno scenario molto più complesso costituito dalla capacità globale dei vari sistemi aeroportuali, nell'ambito dei quali l'Ente opera con l'obiettivo di gestire il maggior numero di voli nel rispetto degli standard di sicurezza.
Per quanto concerne il
black out di alcune frequenze operative avvenuta il giorno 22 novembre 2002 l'Enav rappresenta che alle 11.52Z (ore 12.52 locali), presso la sala operativa di Roma ACC si avviava un fenomeno di perdita progressiva di alcune di tali frequenze operative, sia in trasmissione che in ricezione. Effettuate le prime verifiche tecniche che hanno portato all'immediata individuazione della causa del degrado in un malfunzionamento del sottosistema multifonico e considerando che il fenomeno andava progressivamente allargandosi ad altre frequenze, il presidio tecnico presente presso Roma ACC provvedeva, alle ore 11.58Z (ore 12.58 locali), all'attivazione del nodo multifonico di riserva.
Pertanto, il parziale degrado tecnico occorso al sistema TLC di Roma ACC ha avuto una durata complessiva di sei minuti ed una caratterizzazione progressiva e non simultanea comportando, di fatto, un impatto operativo di entità limitata.
Le cause tecniche all'origine dell'evento, sulla base degli accertamenti effettuati congiuntamente alla società conduttrice del sistema ed in collaborazione con il manutentore, sono addebitabili ad un errato comportamento del
software interno al sottosistema multifonico rispetto al quale la società costruttrice sta provvedendo all'emissione di una versione aggiornata del software.
Durante l'evento sopradescritto, l'operatività delle comunicazioni radio del Centro è stata anche assicurata attraverso l'impiego del sistema radio pluricanale di emergenza che ha funzionato regolarmente contribuendo ad assicurare continuità al servizio di gestione del traffico aereo senza necessità di chiusura di alcun settore operativo.
È stato posto in evidenza che l'architettura del sistema principale, comunque, prevede già di per sé una duplicazione di componenti sia
hardware sia software, secondo un concetto di sistema primario e secondario. Tale configurazione ha consentito di minimizzare gli impatti operativi dell'avaria registrata, a riprova della consistenza ed adeguatezza funzionale dell'intero sistema.
A ciò si aggiunge la disponibilità di un altro sistema indipendente denominato «sistema radio pluricanale di emergenza», impiegato presso gli ACC nazionali, il cui obiettivo funzionale è quello di garantire ulteriori margini di sicurezza in quegli spazi dove la dinamica del traffico ha caratteristiche peculiari ed è connessa con gli arrivi e partenze da e per gli aeroporti a maggior traffico.
Il Ministro delle infrastrutture e dei trasporti: Pietro Lunardi.

GIORDANO. - Al Ministro dell'interno. - Per sapere - premesso che:
fin dal suo insediamento il consiglio provinciale di Catanzaro si trova in una situazione debitoria pregressa;
da una ricognizione si evince che l'entità presunta dei debiti è rilevante, ma che, negli atti che vengono sottoposti sistematicamente all'approvazione del Consiglio, o la somma è sottostimata, o, addirittura, omessa;
in due anni di discussione le opposizioni hanno cercato, in ogni modo, di convincere la Giunta ed il Consiglio nella sua interezza che, rispetto alla questione dei debiti fuori bilancio, dovevano essere assunti impegni seri e concreti per superare quelle difficoltà oggettive che comportano all'Ente un aggravio rilevante di spese annue ed un contenzioso legale senza limiti;
la Giunta provinciale prima e la maggioranza consiliare successivamente hanno


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dimostrato con il loro atteggiamento di voler, invece, continuare sulla scia del passato, approvando un bilancio che omette la situazione dei debiti pregressi. Eppure, quanto già sancito dal decreto-legge n. 77 del 1995, viene ribadito nel T.U.E.L. decreto-legge n. 267 del 2000, che, all'articolo 193 comma 2 ed all'articolo 194 commi 1, 2 e 3, stabilisce (senza deroga alcuna) come intervenire amministrativamente per superare la difficoltà economica in essere -:
quali iniziative di propria competenza intenda mettere in atto nei confronti dell'amministrazione provinciale di Catanzaro.
(4-04522)

Risposta. - In merito alla situazione debitoria pregressa in cui - sin dal suo insediamento - si è venuto a trovare il consiglio provinciale di Catanzaro ed in merito, altresì, alle iniziative che si ritiene di adottare per sanare tale difficoltà economica, si fa presente quanto segue.
Come è noto, dopo l'approvazione della legge costituzionale 18 ottobre 2001, n. 3, recante «modifiche al Titolo V della parte seconda della Costituzione» il rapporto fra Ente locale e Stato assume una connotazione nuova.
Quando il nuovo articolo 114 della Costituzione stabilisce che la Repubblica è costituita dai comuni, dalle province, dalle città metropolitane, dalle regioni e dallo Stato, il legislatore pone questi enti in posizione paritaria e, se una priorità deve riscontrarsi, essa è da attribuirsi, innanzitutto, all'ente più prossimo al cittadino che, non a caso, è citato nominalmente per primo nel nuovo testo normativo e poi, via via, agli altri ad iniziare dalla provincia, ente intermedio.
In detto nuovo assetto istituzionale risulta, altresì, essere stato completamente caducato il sistema di controllo preventivo di legittimità sugli atti degli enti locali, permanendo al ministero dell'interno, entro limiti restrittivi, la funzione di controllo sugli organi dei medesimi enti.
Per chiarire i dubbi interpretativi conseguenti alla riforma prevista dalla richiamata legge costituzionale 18 ottobre 2001, n. 3, è stato approvato dal Senato della Repubblica il disegno di legge n. 1545, ora Atto Camera n. 3590, contenente «Disposizioni per l'adeguamento dell'ordinamento della Repubblica alla legge costituzionale 18 ottobre 2001, n. 3». Il disegno di legge in argomento prevede, all'articolo 7, comma 7 che la Corte dei conti, ai fini del coordinamento della finanza pubblica, verifichi il rispetto degli equilibri di bilancio da parte degli enti locali e che, secondo i principi del controllo collaborativo, accerti, tra l'altro, la sana gestione finanziaria degli enti locali ed il funzionamento dei controlli interni.
Tuttavia, ove a seguito di atti od omissioni si ravvisi l'insorgere di un danno patrimoniale ingiusto nei confronti di una pubblica amministrazione, le eventuali responsabilità sono accertate dalla Corte dei conti a seguito di procedure d'ufficio od a seguito di denunce circostanziate, secondo la normativa vigente.
Ciò posto e tenuto conto che il principio dell'autonomia costituzionale garantita agli enti locali si traduce in libertà di autodeterminazione del proprio indirizzo politico ed amministrativo, gli interventi del Governo verso i poteri locali nella sfera della gestione amministrativa non possono che poggiare su basi consensuali e collaborative, nel rispetto della loro piena autonomia.
Il Sottosegretario di Stato per l'interno: Antonio D'Alì.

GROTTO, BULGARELLI e LION. - Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio. - Per sapere - premesso che:
l'affondamento della Nicole, una nave da 2.406 tonnellate di stazza, lunga 118 metri e Costruita nel 1966, ripropone con forza il problema delle cosiddette «carrette del mare», che continuano a solcare un mare chiuso come l'Adriatico;
la nave, che è affondata a due miglia al largo di Numana, davanti alla costa del


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Conero, ha liberato in mare 3.100 tonnellate di feldspato e un carico di gasolio che ha creato una chiazza larga un paio di miglia e lunga 30 metri;
la capitaneria di porto di Ancona ha comunicato che non ci sarebbe il pericolo di una catastrofe ecologica per le spiagge della riviera del Conero poiché il feldspato è un minerale che si trova in natura e che di conseguenza non sarebbe inquinante, mentre il gasolio, prodotto petrolifero trattato, tende ad evaporare;
la preoccupazione tra i cittadini e gli operatori turistici della zona è, nonostante queste rassicurazioni, molto elevata;
la Nicole era partita da un porto turco ed era diretta a Porto Levante e l'affondamento, dai primi rilievi, sarebbe stato determinato da una grave carenza strutturale della nave;
sulle «carrette del mare», dopo l'ultimo disastro ecologico davanti alle coste della Spagna, si è riaperto un dibattito forte nell'intera Europa e, va ricordato, che la stessa Comunità europea ha più volte richiesto che siano previste, in caso di disastro, dure sanzioni penali per l'armatore, per il proprietario del carico e per la società di classificazione della nave -:
quali siano i risultati dell'inchiesta amministrativa in merito all'affondamento della nave Nicole e quali i danni effettivamente prodotti dai materiali, dalla stessa, liberati in mare;
se non si ritenga che, nonostante l'aumento delle ispezioni e dei controlli sulle navi, sia necessario attivarsi ulteriormente tenuto conto, oltretutto, delle particolari caratteristiche dei nostri mari;
se non si ritenga necessario, visto che la nave era diretta a Porto Levante e che l'affondamento sarebbe potuto avvenire in un'area più vicina alla destinazione finale, di attuare, per quanto riguarda l'intero bacino del Delta del Po (di cui non è necessario ricordare la delicatezza dell'ecosistema), un severo monitoraggio sulle procedure di sicurezza, controllo ed intervento al fine di predisporre, per il futuro, misure più efficaci e programmi di prevenzione più meticolosi;
se non ritenga il Governo opportuno varare un provvedimento d'urgenza per impedire il transito, nei nostri mari, di navi obsolete con carichi inquinanti o pericolosi;
se non ritenga il Governo che sia necessario arrivare, velocemente, alla ratifica delle direttive europee in materia (Erika 1 e Erika 2) che determinerebbero, oltretutto, la possibilità di iniziare un percorso di rottamazione ed incentivazione alla rottamazione degli scafi pericolosi.
(4-05226)

Risposta. - In merito alle problematiche evidenziate con l'interrogazione indicata in discorso, sono state richieste informazioni al Comando generale del Corpo delle capitanerie di porto che rappresenta quanto segue.
L'inchiesta sommaria avviata dalla competente capitaneria di porto di Ancona a seguito del sinistro di che trattasi si è conclusa in data 1o aprile 2003.
A tal riguardo, si riportano di seguito le conclusioni cui è pervenuta la citata Autorità marittima, nell'ambito di detta inchiesta sommaria.
Le cause del sinistro sono da attribuire sia alla non corretta caricazione dell'unità, con pescaggio oltre i limiti imposti dalle istruzioni sulla stabilità della nave, sia alla navigazione in condizioni meteomarine avverse.
La responsabilità del sinistro è da ascrivere a colpa nautica del comandante della nave, Nokhrin Anatoli per:
a) negligenza, per aver caricato la nave facendole assumere pescaggi superiori a quelli consentiti;
b) imperizia ed imprudenza per aver intrapreso la navigazione in condizioni di stabilità ed assetto precarie e con avverse condizioni meteomarine;
c) imprudenza, per aver sottovalutato l'emergenza determinatasi sin da due giorni


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prima dell'affondamento della nave e per non aver tentato di trovare riparo in un porto rifugio;
d) negligenza, imperizia ed imprudenza per non aver dichiarato l'emergenza in atto e per aver rifiutato l'assistenza della motovedetta della guardia costiera di Ancona.

Gli atti e le conclusioni dell'inchiesta sommaria saranno sottoposti al vaglio della commissione all'uopo incaricata di procedere ad inchiesta formale da parte della direzione marittima di Ancona.
Per quanto concerne i danni effettivamente prodotti dai materiali presenti nelle stive del cargo, viene riferito che dalla relazione predisposta in data 7 febbraio 2003, dall'agenzia regionale per la protezione ambientale delle Marche, è emerso che «non sono evidenziabili alterazioni tali da discostarsi dai normali parametri analitici di indici ambientali e di inquinamento che risultano dai monitoraggi periodici eseguiti dalla predetta A.R.P.A.M.».
A tal riguardo, viene riferito che la zona di mare interessata viene pressocché quotidianamente ispezionata dalle dipendenti motovedette alla ricerca, finora sempre negativa, di eventuali tracce di inquinamento.
Il Comando generale del corpo delle capitanerie di porto, dal canto suo, al fine di un più compiuto inquadramento dell'intero contesto in cui la comunità internazionale ha ritenuto necessario intervenire nella prospettiva di dover assicurare e garantire un più efficace ed efficiente sistema di vigilanza e controllo del rispetto degli standard di sicurezza della navigazione e sicurezza dei trasporti marittimi, fa presente che l'Italia è firmataria del
Memorandum di Parigi 1982, in forza del quale gli Stati contraenti si sono impegnati a visitare il 25 per cento delle navi straniere, scalanti i propri porti. I criteri con cui selezionare le navi tengono conto del risultato di precedenti ispezioni, della tipologia della nave e del rischio intrinseco della stessa nonché della bandiera di appartenenza.
La Comunità europea, con la direttiva 95/21/CE, del 19 giugno 1995 ha reso tale accordo uno strumento comunitario con il quale perseguire con sempre maggiore efficacia l'obiettivo della lotta alle navi «substandard».
A seguito del disastro Erika sono state varate ancora nuove disposizioni, note come «Pacchetti Erika» tra i cui obiettivi vi sono il rafforzamento e l'implementazione dell'attività ispettiva da svolgere su determinate categorie di navi ed il divieto di accesso ai porti comunitari a quelle unità ritenute particolarmente insicure. Tale disposto normativo (direttiva 2001/106/CE del 19 dicembre 2001) dovrà essere recepita dagli Stati dell'Unione entro il 23 luglio del corrente anno.
Una delle principali novità sarà la messa al bando, vale a dire il divieto di operare nei porti comunitari, delle navi oggetto di ripetuti fermi nel corso degli ultimi anni, battenti una delle bandiere ricomprese nella «black list», vale a dire quelle con un'alta percentuale di detenzioni.
Detta lista redatta sulla base delle informazioni fornite dal Paris Memorandum understanding of Port State Control e desumibile dal database comunitario Equasis, è finalizzata, da una parte a stimolare gli armatori e gli Stati in «black list» ad intraprendere le misure necessarie per riportare le unità entro standard di sicurezza soddisfacenti e, dall'altra, acchè gli operatori non valorizzino navi incluse nel citato elenco.
Dalla data di recepimento della citata direttiva 2001/106/CE, da parte dei singoli Stati, le navi della lista saranno bandite dai porti. A tal riguardo, l'Italia ha predisposto per tempo tutti gli strumenti per poter recepire tale direttiva con largo anticipo rispetto alla data fissata.
Il comando generale del corpo delle capitanerie di porto fa conoscere che, nel più generale contesto degli obiettivi assunti dell'Unione Europea per rafforzare la sicurezza marittima e la prevenzione dall'inquinamento marino, nonché alla luce delle conclusioni del Consiglio dei ministri dei trasporti dell'Unione europea nell'apposita seduta tenutasi a Bruxelles il 5 e 6 dicembre 2002, è stata predisposta dalla Commissione europea una modifica del Regolamento


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CE n. 4178/2002 sul doppio scafo che prevede il divieto di accesso ai porti per le petroliere monoscafo che trasportano prodotti petroliferi pesanti, nonché un calendario ulteriormente accelerato per il ritiro delle navi monoscafo e un programma di sorveglianza speciale per le navi cisterna di età superiore a 15 anni.
Tale proposta sarà attuata e resa esecutiva, prevedibilmente, nel giugno 2003.
Alcune delle misure contenute nel regolamento comunitario saranno anticipate in Italia con il decreto adottato da questa amministrazione di concerto con quella del ministero dell'ambiente e della tutela del territorio, n. 6T del 21 febbraio 2003, pubblicato sulla
Gazzetta Ufficiale del 5 marzo 2003 n. 53.
Con tale provvedimento ministeriale, nel rispetto dei principi di diritto internazionale sanciti nella Convenzione delle Nazioni unite sul diritto del mare fatta a Montego Bay il 10 dicembre 1982, ratificata e resa esecutiva in Italia con legge 2 dicembre 1994, n. 689, sarà vietato «l'accesso ai porti, ai terminali off-shore e alle zone di ancoraggio nazionali delle navi cisterna a scafo singolo di qualsiasi nazionalità di età superiore ai quindici anni e di portata lorda superiore alle 5000 tonnellate che trasportano combustibile pesante, oli usati, greggio pesante, bitume e catrame».
Detto Comando generale fa conoscere, inoltre, che dal 1o luglio 2003 tutto il traffico di merci pericolose, tra cui gli idrocarburi, in Adriatico sarà sottoposto a stretto monitoraggio in virtù dell'accordo internazionale Adriatic traffic promosso dall'Italia, al quale hanno aderito anche Albania, Croazia, Slovenia, e Jugoslavia e che l'IMO (International Maritime Organisation) ha approvato nel dicembre scorso.
Per quanto riguarda il sistema di
Port State Control viene riferito che lo stesso risulta pienamente funzionante e qualificatamente efficiente tant'è che nel 2002 l'Italia è risultato, per il quarto anno consecutivo, il paese di gran lunga più attivo sia per il numero di navi ispezionate che per numero di navi fermate, come risulta da uno stralcio dell'Annual report del Paris MOU relativo agli anni 1999/2002 che si allega alla presente relazione.
Quanto alla prospettata necessità di «attivarsi ulteriormente tenuto conto, oltretutto, delle particolari caratteristiche dei nostri mari» in aggiunta all'attività ispettiva e di controllo, riferisce l'Autorità marittima che tale obiettivo sarà raggiungibile a breve con la realizzazione del sistema di controllo del traffico marittimo VTS (Vessel Traffic Services).
Tale realizzazione in Italia è stata prevista e parzialmente finanziata dalla legge 23 dicembre 1996, n. 647, a seguito della quale il ministero delle infrastrutture e dei trasporti ha stipulato col raggruppamento temporaneo d'imprese di cui è mandataria l'Alenia Marconi System S.p.A. il contratto rep. 101 in data 29 luglio 1999 per la progettazione esecutiva del sistema nazionale integrato per il controllo del traffico marittimo e per le emergenze in mare (VTS nazionale), nonché per la realizzazione solo di una prima
tranche, a causa dell'indisponibilità all'epoca di tutti i fondi allo scopo necessari, riservando il completamento del sistema a successivi atti negoziali.
Detto sistema, la cui progettazione esecutiva è già nella disponibilità del ministero delle infrastrutture e trasporti e del quale è al momento in corso la realizzazione della prima
tranche, è caratterizzato da un'architettura di notevole complessità e richiede, come requisito imprescindibile per il funzionamento, l'installazione di sistemi di rilevazione, di comunicazione e di scambio dati in siti situati in prossimità dell'intera linea di costa nazionale, nonché la messa a punto del software e la preparazione del personale della gestione operativa dei sistemi.
Nella prima tranche di realizzazione del sistema nazionale è stata inserita l'intera area del Mar Adriatico settentrionale (coste delle regioni Friuli-Venezia Giulia e Veneto). Nella stessa
tranche è stata inserita altresì l'area del canale d'Otranto e del mare Adriatico meridionale (coste della Puglia).
Il contratto di esecuzione prevede, preliminarmente, la realizzazione di un centro


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pilota, individuato nella sede di Bari, presso il quale svolgere la sperimentazione funzionale ed operativa del sistema in modo da estendere al resto dei centri di controllo italiani le risultanze del predetto lavoro di sperimentazione.
Nel VTS Nazionale è inserita altresì la realizzazione della rete nazionale del sistema d'identificazione automatica per le navi AIS (Automatic Identification System), previsto come dotazione obbligatoria (con applicazione graduale entro il 2004) a bordo delle navi passeggeri e da carico soggette a convenzione Solas.
Detto sistema consentirà la trasmissione automatica dei dati di navigazione e del carico trasportato dalle navi alle stazioni riceventi a terra, che saranno ubicate presso i centri di controllo VTS e tra le navi medesime, con capacità di rappresentazione su idonei sistemi, sia a terra che a bordo, del quadro di situazione delle unità partecipanti presenti nell'area.
Il Ministro delle infrastrutture e dei trasporti: Pietro Lunardi.

JANNONE. - Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. - Per sapere - premesso che:
da decenni la provincia di Bergamo, nodo di transito e di sviluppo economico ed industriale fondamentale non solo nell'ambito della regione Lombardia, bensì dell'intera nazione, lamenta un'anacronistica carenza di intrastrutture ed accusa un notevole ritardo nella realizzazione di reti per la mobilità di merci e persone «da e per» il medesimo territorio provinciale;
gli indicatori sulla dotazione di infrastrutture di trasporto, elaborati scientificamente da analisi effettuate da specializzati istituti di ricerca (segnatamente nel presente documento si fa riferimento alle tesi elaborate dall'Istituto Tagliacarne ed allo studio realizzato da Confindustria-Federlombardia del luglio 2000), mettono in evidenza una situazione critica in relazione alla dotazione di infrastrutture per il trasporto, in particolare nello squilibrio fra domanda ed offerta;
relazionando l'offerta ed i recenti investimenti viabilistici realizzati nella provincia di Bergamo con alcuni indicatori di domanda, emerge come detti indici si contestualizzino nella media nazionale - qualora si consideri l'offerta complessiva in rapporto alla superficie -, si dimezzino - qualora si consideri l'offerta complessiva in rapporto alla popolazione e con il livello di sviluppo -, decadendo, fino ad un quarto, qualora il raffronto avvenga con la struttura industriale;
la penalizzazione della provincia di Bergamo, il cui territorio è pesantemente coinvolto dal traffico in attraversamento - con una crisi che si è acuita da oltre un decennio, dopo l'apertura ai mercati dell'Europa dell'Est - è attestata inequivocabilmente da una graduatoria che, in relazione agli investimenti per le opere pubbliche, la posiziona al sesto posto rispetto alle nove province lombarde;
i massimi squilibri ed i deficit più intensi toccano, con pesanti e negative ricadute sul comparto economico, finanziario e produttivo, la rete autostradale e stradale che gravita su Bergamo ed il suo territorio;
in particolare, sulla A4, lungo la direttrice Milano-Brescia, arteria pulsante dell'intera Nazione, transitano in attraversamento mediamente 250 mila veicoli al giorno, con una criticità di 6 ore al giorno ed una percorribilità media di 26km/h e che previsioni attendibili stimano, per il 2010, una velocità media di percorrenza di 20km/h;
detta criticità coinvolge anche la rimanente rete stradale provinciale, ove transitano mediamente 230 mila veicoli al giorno e su cui si registra nelle ore di punta un tasso di utilizzo superiore del 20 per cento alla capacità ottimale di sopportazione della rete, con particolare riferimento alla strada statale Briantea e ad altre strade che superano-specificamente alcuni tratti della Padana Superiore e


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della strada statale 42, detta «Del Tonale e della Mendola» - del 50 per cento le potenzialità di sicurezza della strada;
in questo quadro si innestano altresì le gravi carenze dell'offerta e del servizio ferroviario dal momento che la linea ferroviaria Bergamo-Milano, a fronte di una movimentazione impressionante per volumi di passeggeri e di introiti, presenta un'antistoricità strutturale - esaustivamente testimoniata dai tempi di percorrenza che nel 2002 risultano essere identici, se non addirittura superiori, a quelli impiegati nel 1942 - per ovviare alla quale si invoca da tempo un ammodernamento ed il quadruplicamento delle linee;
non si prospettano, allo stato attuale, reali possibilità di incrementare in modo significativo il trasporto delle merci, proprio quando i limiti posti in alcune nazioni europee al transito dei veicoli merci minacciano la capacità di esportazione, mentre Bergamo realizza un terzo del suo valore aggiunto da merci vendute sui mercati esteri;
in previsione del raddoppio del Traforo del Gottardo per il 2017 che imporrà di smaltire ogni giorno 2.850 tonnellate di merci in aggiunta alle attuali quantità, si ipotizza un aumento del transito di quasi 6 mila mezzi pesanti al giorno;
in attesa della realizzazione, in tempi necessariamente lunghi, dell'interporto di Montichiari (in provincia di Brescia) dovrà considerarsi di prioritaria importanza, anche per il Nord Est del Paese la funzionalità dell'aeroporto di Orio al Serio il quale, pur raccogliendo un significativo 11 per cento della quota di traffico aereo regionale, non presenta tuttavia possibilità di particolare sviluppo strutturale per la vicinanza ai centri abitati;
in tale contesto diviene una priorità assoluta, per quanto riguarda la ricettività e la capacità dei nodi viari di Bergamo capoluogo, la conclusione delle opere in corso ed il completamento dell'Asse Interurbano, delle Tangenziali sud ed est, della Seriate-Nembro-Albino, delle varianti della Val Brembana, nonché il potenziamento della strada statale del Tonale ed altresì la realizzazione della 4 corsia dell'A4, opera quest'ultima che aumentando la capacità di transito del 20 per cento diviene indispensabile per la sopravvivenza del sistema in attesa della nuova rete;
oltre al completamento delle sopraccitate intrastrutture, il nuovo assetto viabilistico, di fondamentale importanza, per Bergamo e provincia si fonda sulla realizzazione di quattro assi strutturali portanti: la Pedemontana, la Bre.Be.Mi, l'Alta Capacità e la Pedegronda Ferroviaria, opere i cui tempi di realizzazione coprono un arco temporale che va dai 5 ai 15 anni e che, risultando essere assolutamente indispensabile il rispetto di questa stringente tempistica, si rende necessario, in ragione della criticità dell'area, sostenere investimenti minori a sostegno delle tre infrastrutture viarie in progetto;
nell'ambito della delibera CIPE attuativa della «Legge Obiettivo» per il triennio 2002/2004, l'asse pedemontano, presenta risorse limitate, pari al 12,6 per cento dell'intero ammontare degli stanziamenti mentre nella citata delibera sono state fatte rientrare nell'ambito dell'asse pedemontano opere che non sembrano essere strategiche o comunque assolutamente improcrastinabili, rendendo in tal modo ancor più precaria la fattibilità della Pedemontana lombarda;
constatata la crescente gravità del deficit dell'offerta di mobilità della provincia di Bergamo e del complesso della rete regionale, si rende auspicabilmente necessario un patto tra tutti i soggetti direttamente o indirettamente interessati a rilanciare la governance del territorio -:
quali misure ed interventi il Ministro intenda adottare per risolvere i gravi problemi in premessa, tali che consentano, definendo con criteri univoci le priorità d'intervento, di procedere alla non più procrastinabile realizzazione della 4 corsia dell'A4, di avviare con congruo margine d'anticipo opere a sostegno delle grandi


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infrastrutture lombarde menzionate in premessa, di dare avvio all'ammodernamento e quadruplicamento della linea ferroviaria Bergamo-Treviglio, di dotare con congrui finanziamenti la realizzazione della Pedegronda;
attesa l'incidenza e la rilevanza delle problematiche suesposte in relazione alla sicurezza delle migliaia di automobilisti interessati all'economia del trasporto su gomma e su ferro ai margini di competitività delle aziende coinvolte, alla sicurezza degli utenti, ai costi umani e sociali dei sinistri e in generale alla qualità di vita di tutti i cittadini lombardi, quali misure siano attualmente allo studio per promuovere l'economicità del trasporto su ferro e fornire adeguati incentivi alla logistica.
(4-02645)

Risposta. - In merito alle problematiche evidenziate con l'atto ispettivo indicato in discorso, si rappresenta quanto segue.
Per quanto attiene la viabilità autostradale, l'Anas ha fatto conoscere che la Società autostrade ha in corso di redazione il progetto preliminare per l'ampliamento a 4 corsie, oltre quella di emergenza, della autostrada A/4 «Milano Est-Bergamo».
Nell'elaborazione del progetto la società di progettazione Spea ha rilevato notevoli difficoltà tecnico-esecutive per rendere la piattaforma autostradale da ampliare conforme alle nuove «Norme funzionali e geometriche per la costruzione delle strade» emanate con decreto ministeriale 5 novembre 2001.
L'Anas riferisce che tale situazione ha reso necessario la richiesta di deroga tecnica al consiglio superiore dei lavori pubblici, prevista dal 2o comma dell'articolo 13 del decreto legislativo 30 aprile 1992, n. 285 «Nuovo codice della strada» e prevista anche nell'articolo 2 del citato decreto ministeriale.
Allo stato attuale la società autostrade, dopo essersi attivata per ottemperare alla richiesta di documentazione integrativa al progetto da parte del citato organo consultivo, è in attesa delle valutazioni che quest'ultimo vorrà emettere.
La società medesima assicura che la redazione del progetto preliminare potrà essere completata dalla società di progettazione a seguito dell'acquisizione di tali valutazioni.
Quanto al trasporto ferroviario, Ferrovie dello Stato S.p.A. ha comunicato che i criteri ispiratori per la realizzazione dei potenziamenti delle linee e degli impianti ferroviari sono supportati da idonee analisi preliminari sul livello di traffico acquisibili a fronte dei previsti incrementi di potenzialità. In questa visuale tecnico-economica, generalmente adottata dalla società di trasporto, si inserisce la definizione del piano degli investimenti elaborato dal gestore dell'infrastruttura, a cui compete la responsabilità di eseguire la realizzazione degli interventi incrementali della rete ferroviaria, sia di tipo infrastrutturale che di quello tecnologico, oltre che a provvedere all'ordinaria manutenzione della stessa.
Nell'area bergamasca, il quadro generale degli interventi previsti nei vigenti contratti di programma, sottoscritti tra questa Amministrazione e la FS S.p.A, è riassumibile nella seguente serie di potenziamenti in essa ricadenti:
a) quadruplicamento del tratto Pioltella-Treviglio della linea Milano-Venezia: il progetto è finalizzato alla realizzazione dell'innesto nel nodo di Milano del sistema A.C. Milano-Venezia, ottenendo contemporaneamente con il nuovo assetto la possibilità di inserire le relazioni regionali da e per Cremona/Bergamo;
b) raddoppio della linea Seregno-Bergamo e raddoppio della linea Bergamo Treviglio (interventi finanziati dal contratto di programma 1994-2000 e dal 3o Addendum): l'insieme dei due interventi viene a costituire un itinerario di gronda per il traffico merci proveniente dal valico del Gottardo, in modo tale da evitare l'attraversamento del nodo di Milano da parte dei treni merci diretti agli scali di Milano e verso il quadrante orientale del Nord-Est.

Ferrovie dello Stato comunica, inoltre, che per quanto riguarda la riorganizzazione degli scali merci e delle strutture impiantistiche


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a servizio del settore logistico, nell'ambito di realtà fortemente urbanizzate, è opportuna una concertazione con gli enti locali preposti alla pianificazione e programmazione del territorio, finalizzata ad integrare i previsti incrementi di offerta attesi dall'impresa di trasporto con le esigenze delle amministrazioni locali di utilizzare opportunità di sviluppo urbanistico e ricucitura del territorio cittadino.
Tali problematiche e, in particolare, quelle riferite alla logistica merci nell'area bergamasca, sono state esaminate nel corso di una serie di specifici incontri, svoltisi con il comune di Bergamo durante il 2001, che alla fine di settembre dello stesso anno si sono concretizzati con la sottoscrizione di un protocollo d'intesa tra il comune di Bergamo e la RFI S.p.A per «la riqualificazione della stazione di Bergamo connessa con lo sviluppo del trasporto ferroviario dell'Area bergamasca». Il suddetto protocollo risulta finalizzato ad individuare, d'intesa con l'amministrazione comunale, un programma di dismissione e valorizzazione di aree ferroviarie, collocate nell'ambito della stazione di Bergamo. In base allo stesso Accordo, un apposito gruppo di lavoro misto definirà la fattibilità tecnico-economica e quella temporale degli interventi proposti.
Ferrovie dello Stato riferisce, infine, che nell'ambito del piano delle priorità degli investimenti della RFI S.p.A. è ricompreso lo studio di fattibilità per il collegamento ferroviario di Bergamo per l'aeroporto di Orio al Serio. Lo studio dovrà prendere in considerazione l'integrazione dei servizi con l'aeroporto suddetto con quelli previsti da Bergamo per Milano/Malpensa, definendo il modello di esercizio e, in connessione con il raddoppio della linea Bergamo-Treviglio, la realizzazione di tale collegamento permetterà l'inserimento in rete dei principali aeroporti lombardi (Malpensa, Linate ed Orio al Serio), contribuendo così alla vocazione di Malpensa ad essere un «Hub» del Sud Europa ed una fondamentale infrastruttura per l'Italia Settentrionale.
Il Viceministro delle infrastrutture e dei trasporti: Ugo Martinat.

KESSLER, BONITO, SPINI, INTINI, FANFANI, PISTELLI e CALZOLAIO. - Al Ministro degli affari esteri. - Per sapere - premesso che:
il 1 luglio 2002 è entrato in vigore lo statuto della Corte penale internazionale; per l'inizio dell'autunno è prevista la prima riunione dell'assemblea degli Stati-parte che dovrà provvedere ad importantissimi adempimenti, adottando gli strumenti legali che consentiranno alla Corte di entrare in attività;
l'assemblea degli Stati-parte dovrà, altresì, procedere all'elezione dei giudici della Corte, a norma dell'articolo 36 dello statuto, il quale prevede che i candidati debbano avere:
i)
una competenza riconosciuta nell'ambito del diritto penale e della procedura penale così come l'esperienza necessaria del processo penale, sia in qualità di giudice sia in quella di procuratore o avvocato o simili; oppure avere una competenza riconosciuta nell'ambito del diritto internazionale, come il diritto internazionale umanitario ed una grande esperienza in una professione giuridica che presenti un interesse per il lavoro giudiziario della Corte;
l'Italia ha avuto un ruolo politico assai importante nella storia della Corte penale internazionale, avendo ospitato a Roma la Conferenza che il 17 luglio 1998 ha approvato lo statuto che l'ha istituita. È indispensabile che il nostro Paese, avendo già ratificato lo statuto, non si trovi impreparato in vista di queste scadenze e che adotti rapidamente tutte le iniziative istituzionali necessarie;
spetterà al Parlamento approvare le norme per l'adattamento dell'ordinamento interno. È particolarmente urgente ora che si provveda alla designazione di un candidato italiano alle cariche di giudice o di procuratore;
particolarmente importante, per l'autorevolezza della candidatura, appare il fatto che essa sia il frutto di un'ampia consultazione del mondo accademico, giudiziario


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e professionale interessato e che essa sia largamente condivisa anche dal Parlamento, tenendo anche conto del fatto che lo Statuto di Roma, all'articolo 36 stabilisce ancora che «I candidati ad un seggio della Corte possono essere presentati da ogni Stato-parte al presente statuto, secondo la procedura di presentazione alle più alte funzioni giudiziarie nello Stato in questione -:
quali siano le iniziative che il Ministro intenda assumere per la selezione e la proposta di una candidatura italiana per le cariche di procuratore e di giudice della Corte penale internazionale.
(4-03581)

Risposta. - L'Italia attribuisce grande importanza alla Corte penale internazionale, nella convinzione che occorra dare vita ad un organismo di giurisdizione tendenzialmente universale, con il compito di perseguire i più gravi reati contro l'umanità.
L'Italia annunciò - in occasione dell'Assemblea degli Stati parte dello statuto di Roma - la decisione di presentare la candidatura di un giurista italiano alla carica di giudice, in vista delle elezioni che hanno avuto luogo a New York nel febbraio 2003 per la selezione dei 18 giudici della Corte (cui si aggiungono le cariche di procuratore e di vice procuratore).
La designazione del candidato italiano al seggio di giudice della Corte penale internazionale, è avvenuta secondo la procedura indicata nel decreto del ministero degli affari esteri 8 luglio 2002, attuativo dell'articolo 36, comma 4, lettera
a), dello statuto della Corte penale internazionale.
Il candidato designato è stato il professor Mauro Politi, ordinario di diritto internazionale presso la facoltà di giurisprudenza dell'università di Trento.
Il professor Politi unisce, alla lunga esperienza accademica e di magistrato, quella diplomatica avendo per molti anni ricoperto l'incarico di esperto giuridico della rappresentanza presso le Nazioni Unite a New York. In tale veste egli ha partecipato ai negoziati preparatori della Corte penale internazionale, alla conferenza diplomatica di Roma del luglio 1998 ed ai lavori successivi della commissione preparatoria.
Tali elementi, uniti all'autorevole competenza ed al riconosciuto prestigio scientifico del professor Politi, hanno indotto il Governo italiano a sostenere la sua candidatura, nella convinzione che si dovesse puntare su una personalità conosciuta nell'ambito del sistema delle Nazioni Unite e dotata di forte visibilità internazionale, in particolare a New York dove ha avuto principalmente luogo l'azione di sostegno a favore del candidato italiano.
Il coerente comportamento della nostra delegazione all'ONU, unitamente ad un forte sostegno costantemente ribadito nel corso delle votazioni del gruppo latinoamericano, ha portato al successo il professor Politi, che è stato eletto giudice il 7 febbraio 2003. Determinante per raggiungere questo obiettivo è stata anche la tenace campagna svolta tanto a New York quanto a Roma, con la collaborazione della rete diplomatica. Questo successo testimonia l'impegno del nostro paese nel campo dei diritti umani, ed il grande prestigio di cui l'Italia gode nel sistema delle Nazioni Unite.
La presentazione di una candidatura italiana al seggio di giudice della Corte penale internazionale ha logicamente comportato che non sia stata presentata alcuna candidatura per la carica di procuratore della Corte.
Il Sottosegretario di Stato per gli affari esteri: Mario Baccini.

ANNA MARIA LEONE. - Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro della giustizia, al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. - Per sapere - premesso che:
in atto esistono l'albo professionale dei ragionieri e periti commerciali, sorto per contenere i suddetti professionisti muniti di diploma di scuola media superiore che fino al 1996 non avevano superato alcun esame di Stato, e l'albo dei dottori commercialisti che include professionisti muniti di laurea universitaria in economia


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e commercio che, previo praticantato, hanno superato un esame di Stato ai sensi dell'articolo 33 della Costituzione;
gli ordinamenti professionali di entrambe le professioni sono dell'anno 1953, perciò ormai obsoleti, atteso che in questi ultimi 50 anni il mercato richiede prestazioni sempre più specialistiche e con studi universitari seri e cospicui;
il legislatore italiano in armonia con quello europeo ha stabilito che ormai per accedere alla professione economica-giuridica-contabile è indispensabile la laurea e gli esami di Stato, essendo insufficiente il solo diploma;
il solo, albo professionale sorto per contenere laureati è in merito solo quello dei dottori commercialisti, al cui interno ovviamente dovranno continuare a iscriversi i laureati (sia triennali che quinquennali);
anziché prendere atto che l'albo dei ragionieri, così come il titolo di studio conseguente, era ad esaurimento, si è tentato di creare una duplicazione dell'albo già esistente dei dottori commercialisti, consentendo che nell'albo dei ragionieri e periti commerciali si iscrivessero laureati (ciascun soggetto munito di laurea è un dottore, non più un ragioniere);
ciò nonostante è palese ed evidente che, in via di fatto, gli iscritti all'albo dei ragionieri sono in numero esiguo anno per anno; viceversa l'albo dei dottori commercialisti aumenta di migliaia di unità all'anno, il che si riversa evidentemente e sensibilmente anche sulle rispettive Casse di previdenza e assistenza, privatistiche e quella dei ragionieri non può soddisfare il pagamento delle pensioni di anzianità;
in atto esistono circa 51.600 iscritti all'albo dei dottori commercialisti e circa 40.000 iscritti all'albo dei ragionieri, la quasi totalità di questi ultimi muniti del solo diploma di scuola media superiore;
da qualche tempo si discute della unificazione degli albi suddetti, argomento questo che, se trova unanimità di consenso nei ragionieri diplomati, lacera costantemente la categoria dei dottori commercialisti che ha visto (19 giugno 2002) il cambio al vertice (Serao è stato sostituito con Tamborrino) e con un referendum sottoposto alla base degli iscritti, i cui esiti sono stati fatti propri dal Consiglio nazionale dei dottori commercialisti all'unanimità con deliberazione ufficializzata al Governo, si è resa disponibile ad una unica professione economica denominata di dottore commercialista a condizioni - tutte inderogabili che i ragionieri con il loro titolo siano allocati in separata sezione/elenco, siano concesse prerogative ai dottori commercialisti, siano inclusi i revisori contabili in separata sezione, siano fatti salvi i diritti acquisiti dalle rispettive casse di previdenza;
i ragionieri, viceversa, insistono nel richiedere anche il titolo di «commercialista» che il decreto del Presidente della Repubblica 1067 del 1953 concede in esclusiva ai dottori nella denominazione - nomen iuris - di dottore commercialista; nel richiedere un Albo unico con allocazione dei diplomati senza esame di Stato nella stessa sezione e nello stesso elenco dei dottori commercialisti laureati quadriennali e quinquennali e con esame di Stato e perciò in sezione superiore ai laureati triennali, richiesta che configura, di fatto, la estinzione del titolo e della professione di ragioniere con il conferimento di decine di migliaia di lauree honoris causa con evidenti macroscopiche violazioni di norme legali e morali; nella richiesta della fusione anche delle Casse di previdenza onde garantirsi il futuro pensionamento di tutti i ragionieri mercè una Cassa Unica e cioè, di fatto, con i versamenti contributivi dei dottori commercialisti la cui Cassa di previdenza, peraltro, ha quasi raddoppiato con deliberazione del 30 novembre 2001 il prelievo contributivo, con grave difficoltà degli iscritti, soprattutto le giovani generazioni;
tutto ciò inoltre costituirebbe una grave beffa dei praticanti dottori commercialisti che dopo aver acquisito una laurea, dopo un triennio di tirocinio, dopo il


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superamento di un esame di Stato, si vedrebbero inclusi ed equiparati in tutto e per tutto nell'albo assieme ai ragionieri diplomati ai quali dovranno garantire titolo, prerogative professionali e pensioni di pertinenza dei professionisti laureati;
peraltro da parte di esponenti affiché istituzionali dei dottori commercialisti è già stato annunciato lo sciopero della fame ove si addivenisse alla proposta di unificazione paritetica;
nel periodo aprile 2001 - e ciò nel corso del cosiddetto «progetto Rossi» sulla unificazione degli Albi (periodo nel quale si è verificata una propensione del vertice del Consiglio nazionale dei dottori commercialisti pro-fusione) - il presidente del Consiglio nazionale dei ragionieri ha fatto obbligo a tutti gli iscritti di versare un contributo straordinario di lire 100.000 pro capite (con una raccolta complessiva dunque di quasi 4 miliardi);
con il decreto-legge 10 giugno 2002, n. 107, si è consentito l'accesso alla professione di ragioniere ai laureati triennali e quinquennali, «clonando» così la professione di dottore commercialista;
è stata notificata, nell'ambito della opposizione alla unificazione degli Albi condotta da parte dei dottori commercialisti, diffida al Governo e alla Cassa di previdenza dei dottori commercialisti a procedere alla fusione sotto pena di violazione costituzionale e di azione a tutela;
inopinatamente, il Consiglio Nazionale Dottori Commercialisti, il 18 settembre 2002, sconfessando la volontà della base (settembre/ottobre 2001) recepita dal Consiglio Nazionale medesimo con deliberato del 7 novembre 2001 comunicato al Governo, quindi sconfessando se stesso, d'accordo con i Ragionieri, ha reso un parere al Governo che costituisce cancellazione di tutte le condizione imposte dalle Assemblee degli iscritti e l'adesione incondizionata ai desiderata dei ragionieri;
il Ministero della Giustizia ha predisposto uno schema di disegno di legge sull'Albo unico che, ad avviso dell'interrogante, costituisce violazione palese di norme costituzionali, di legittimità e di giustizia;
il Consiglio Nazionale Dottori Commercialisti a maggioranza si è limitato a «prendere atto» dello schema predetto penalizzante per la categoria;
alcuni Sindacati di categoria e membri della istituzione hanno diffidato il Consiglio Nazionale a difendere e tutelare la categoria documentando le illegittimità costituzionali, di legittimità e di merito dello «schema di disegno di legge Vietti», con un documento giuridico-politico notificato anche al Governo-:
se sia vero che in detto schema di disegno di legge Vietti - come era già avvenuto nello schema di disegno di legge presentato tempo fa in Consiglio dei ministri e «congelato» - sia previsto il titolo di titolo di «commercialista» sia per dottori che per ragionieri;
se sia vero che i ragionieri muniti di semplice diploma verrebbero inclusi - o da subito o previo un periodo transitorio - nella stessa sezione nello stesso elenco, con gli stessi diritti degli attuali dottori commercialisti muniti di laurea ed esame di Stato e dunque in sezione addirittura superiore ai laureati triennali, con ciò configurandosi violazione degli articoli 3 e 33 della Costituzione;
se sia vero che non verrebbero concesse prerogative ai dottori commercialisti, ma, eventualmente, ad entrambe le differenti categorie professionali;
se sia vero che stia valutando di procedere anche alla unificazione delle Casse di previdenza che, in quanto proprietà privata sotto tutela costituzionale, non possono essere fuse col semplice assenso del Consiglio di Amministrazione, ma necessitano del consenso di tutti gli aventi diritto, quindi di tutti gli iscritti alle Casse, il tutto con violazione degli articoli 18, 36, 38 e 42 della Costituzione;
quali siano gli intendimenti e le proposte del Governo per evitare che un


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«problema sociale» venga da uno Stato di diritto inammissibilmente e ingiustamente posto a carico di una categoria professionale.
(4-05433)

Risposta. - Con riferimento all'interrogazione in discorso indicata, si rappresenta che il progetto di riforma della professione economico contabile, approvato dal Consiglio dei ministri nella seduta del 14 febbraio 2003, con il titolo di «delega al Governo per l'istituzione dell'ordine dei dottori commercialisti e degli esperti contabili», è stato presentato in data 5 marzo 2003 alla Camera dei Deputati (C. 3744).
Il Ministro della giustizia: Roberto Castelli.

LION, BULGARELLI, PECORARO SCANIO, BOATO, CENTO, GALEAZZI, ABBONDANZIERI, ALBERTINI, CIMA, ZANELLA, CEREMIGNA, BUEMI, INTINI, VILLETTI, PAPPATERRA, COSSA, NICOLOSI, MOLINARI, GROTTO, CUSUMANO, MAZZUCA POGGIOLINI e ALFONSO GIANNI. - Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro degli affari esteri, al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio, al Ministro dell'interno. - Per sapere - premesso che:
nella mattina del 27 gennaio 2003 la nave Nicole di 2.406 tonnellate di stazza, lunga 118 metri e fabbricata nel 1966, è affondata due miglia a largo del porto di Numana. La Nicole trasportava 3.100 tonnellate di feldspato e 64 tonnellate di gasolio che stanno filtrando in mare ed hanno già creato una chiazza al momento larga circa due miglia e lunga 40 metri;
la zona interessata dall'inquinamento è di fronte al Parco del Conero, una delle zone naturali e ambientali più importanti della riviera Adriatica, ma soprattutto meta annuale di migliaia di turisti;
nelle ore precedenti l'affondamento l'imbarcazione è stata avvicinata da una motovedetta della Capitaneria di porto, insospettita dal fatto che la nave viaggiava sottocosta, nessun controllo diretto è stato però effettuato;
la Nicole ha subito nell'ultimo anno 8 ispezioni, da parte delle autorità portuali Russe, Greche e Slovene;
dai risultati delle ispezioni si evince che mentre le autorità portuali Russe e Slovene hanno riscontrato alcune deficienze, le autorità Greche hanno trovato la nave sempre in buone condizioni, nonostante i controlli fossero effettuati a poche settimane di distanza e sia precedentemente che successivamente le ispezioni effettuate nei porti Russi e Sloveni avevano riscontrato deficienze;
soltanto nella giornata del 28 gennaio 2003 è arrivata sul luogo del disastro la motonave Castalia, proveniente da Ortona, attrezzata per risucchiare il gasolio rimasto nella stiva della Nicole -:
quali urgenti iniziative intendano assumere i Ministri competenti per scongiurare ulteriori e pericolosi incidenti in un mare particolarmente delicato quale l'Adriatico;
per quale motivo la Capitaneria di Porto non abbia provveduto ad un ispezione a bordo della Nave, al momento dell'invio della motovedetta a largo di Numana, in acque territoriali italiane, limitandosi ad accettare le poco credibili assicurazioni dell'equipaggio;
se non si ritenga opportuno varare un provvedimento d'urgenza per impedire il transito di navi obsolete con carichi inquinanti all'interno della zona economica esclusiva italiana;
se non si ritenga di dover concordare con gli stati transfrontalieri un protocollo per garantire e salvaguardare il mare Adriatico dai rischi di inquinamento, che per la sua particolare conformazione di mare chiuso in un mare chiuso, causerebbero conseguenze drammatiche, sia sul piano ambientale che economico;
quali passi intenda fare il Governo italiano per ottenere spiegazioni dal Governo greco circa le inspiegabili discrepanze


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che, a quanto risulta agli interroganti, risulterebbero nei rapporti di ispezione della nave Nicole;
per quale motivo in un porto grande come quello di Ancona, vicino peraltro ad una raffineria, quella di Falconara, non siano presenti mezzi navali idonei per intervenire in analoghe situazioni di emergenza, dal momento che la motonave attrezzata per il risucchio del gasolio è dovuta venire da Ortona.
(4-05238)

Risposta. - In merito alle problematiche evidenziate con l'interrogazione indicata in discorso, sono state richieste informazioni al comando generale del corpo delle capitanerie di Porto il quale rappresenta, preliminarmente, quanto rilevato dalla competente capitaneria di porto di Ancona.
Nel pomeriggio di domenica 26 gennaio 2003 la sala operativa della capitaneria di porto di Ancona, non appena ricevuta intorno alle ore 16.00 la notizia da parte dell'ufficio di polizia di frontiera di Ancona della presenza nelle acque antistanti il porto di Numana di una motonave, disponeva subito l'invio sul luogo della dipendente motovedetta della capitaneria 861, con il compito di investigare le ragioni per le quali il mercantile in questione si trovasse ancorato a circa 1,5 miglia dal porto di Numana, non essendone stato previsto l'arrivo nel porto di Ancona.
La locale autorità marittima fa presente che, nel corso dell'attività di controllo svolta dalla motovedetta dalle ore 17.00 alle ore 19.00, non è emerso nessun chiaro elemento che potesse far ritenere l'unità in procinto di affondare. Purtuttavia, il comandante della motovedetta dopo aver acquisito i dati relativi alla nave ed al carico, ha più volte chiesto al comandante della nave, via radio, se vi fossero problemi a bordo e se avesse bisogno di assistenza. Questi, per tutta risposta, assicurava l'insussistenza di problemi di sorta, rifiutando decisamente ogni aiuto. Tale comportamento ingenerava, nel personale della motovedetta, una rassicurante valutazione della situazione in atto. In tale circostanza, quindi, riferisce la capitaneria di porto di Ancona, non vi erano motivi per dubitare delle parole del comandante del cargo posto che, per prassi marinara consolidata oltre che per elementare buon senso, chiunque abbia un problema di sicurezza in mare ha tutto l'interesse a chiedere assistenza e di approfittare dei soccorsi che gli vengono offerti.
Il comando generale del corpo delle capitanerie di porto dal canto suo, al fine di un più compiuto inquadramento dell'intero contesto in cui la comunità internazionale ha ritenuto necessario intervenire nella prospettiva di dover assicurare e garantire un più efficace ed efficiente sistema di vigilanza e controllo del rispetto degli standard di sicurezza della navigazione e sicurezza dei trasporti marittimi, fa presente che l'Italia è firmataria del
memorandum di Parigi 1982, in forza del quale gli Stati contraenti si sono impegnati a visitare il 25 per cento delle navi straniere, scalanti i propri porti. I criteri con cui selezionare le navi tengono conto del risultato di precedenti ispezioni, della tipologia della nave e del rischio intrinseco della stessa nonché della bandiera di appartenenza.
La Comunità europea, con la direttiva 95/21/CE, del 19 giugno 1995 ha reso tale accordo uno strumento comunitario con il quale perseguire con sempre maggiore efficacia l'obiettivo della lotta alle navi «substandard».
A seguito del disastro Erika sono state varate ancora nuove disposizioni, note come «Pacchetti Erika» tra i cui obiettivi vi sono il rafforzamento e l'implementazione dell'attività ispettiva da svolgere su determinate categorie di navi ed il divieto di accesso ai porti comunitari a quelle unità ritenute particolarmente insicure. Tale disposto normativo (direttiva 2001/106/CE del 19 dicembre 2001) dovrà essere recepita dagli Stati dell'Unione entro il 23 luglio del corrente anno.
Una delle principali novità sarà la messa al bando, vale a dire il divieto di operare nei porti comunitari, delle navi oggetto di ripetuti fermi nel corso degli ultimi anni, battenti una delle bandiere ricompresse nella
black list, vale a dire quelle con un'alta percentuale di fermi.


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Detta lista redatta sulla base delle informazioni fornite dal
Paris Memorandum Understanding of Port State Control e desumibile dal database comunitario Equasis e finalizzata, da una parte, a stimolare gli armatori e gli Stati in «black list» ad intraprendere le misure necessarie per riportare le unità entro standard di sicurezza soddisfacenti e, dall'altra, acché gli operatori non valorizzino navi incluse nel citato elenco.
Dalla data di recepimento della citata direttiva 2001/106/CE, da parte dei singoli Stati, le navi della lista saranno bandite dai porti. A tal riguardo, l'Italia ha predisposto per tempo tutti gli strumenti per poter recepire tale direttiva con largo anticipo rispetto alla data fissata.
Il Comando generale del corpo delle capitanerie di porto fa conoscere che, nel più generale contesto degli obiettivi assunti dell'Unione europea per rafforzare la sicurezza marittima e la prevenzione dall'inquinamento marino, nonché alla luce delle conclusioni del Consiglio dei ministri dei trasporti dell'Unione europea nell'apposita seduta tenutasi a Bruxelles il 5 e 6 dicembre 2002, è stata predisposta dalla Commissione europea una modifica del Regolamento CE n. 4178/2002 sul doppio scafo che prevede il divieto di accesso ai porti per le petroliere monoscafo che trasportano prodotti petroliferi pesanti, nonché un calendario ulteriormente accelerato per il ritiro delle navi monoscafo e un programma di sorveglianza speciale per le navi cisterna di età superiore a 15 anni.
Tale proposta sarà attuata e resa esecutiva, prevedibilmente, nel giugno 2003.
Alcune delle misure contenute nel Regolamento comunitario saranno anticipate in Italia con il decreto adottato da questa amministrazione di concerto con quello del ministero dell'ambiente e della tutela del territorio, n. 6T del 21 febbraio 2003, pubblicato sulla
Gazzetta Ufficiale del 5 marzo 2003 n. 53.
Con tale provvedimento ministeriale, nel rispetto dei principi di diritto internazionale sanciti nella Convenzione delle Nazioni Unite sul diritto del mare fatta a Montego Bay il 10 dicembre 1982, ratificata e resa esecutiva in Italia con legge 2 dicembre 1994, n. 689, sarà vietato «l'accesso ai porti, ai terminali
off-shore e alle zone di ancoraggio nazionali delle navi cisterna a scafo singolo di qualsiasi nazionalità di età superiore ai quindici anni e di portata lorda superiore alle 5000 tonnellate che trasportano combustibile pesante, oli usati, greggio pesante, bitume e catrame».
Detto Comando generale fa conoscere, inoltre, che dal 1o luglio 2003 tutto il traffico di merci pericolose, tra cui gli idrocarburi, in Adriatico sarà sottoposto a stretto monitoraggio in virtù dell'accordo internazionale Adriatic Traffic promosso dall'Italia, al quale hanno aderito anche Albania, Croazia, Slovenia, e Jugoslavia e che l'IMO
(International Maritime Organisation) ha approvato nel dicembre 2002.
Per quanto riguarda il sistema
Port State Contral viene riferito che lo stesso risulta pienamente funzionante e qualificatamente efficiente, tant'è che nel 2002 l'Italia è risultato per il quarto anno consecutivo il paese di gran lunga più attivo sia per il numero di navi ispezionate che per numero di navi fermate, come risulta da uno stralcio dell'Annual Report del Paris MOU relativo agli anni 1999/2002, che si allega alla presente relazione.
Quanto alla necessità di attivarsi ulteriormente tenuto conto, oltretutto, delle particolari caratteristiche dei nostri mari, in aggiunta all'attività ispettiva e di controllo, l'autorità marittima riferisce che tale obiettivo sarà raggiungibile a breve con la realizzazione del sistema di controllo del traffico marittimo VTS
(Vessel Traffic Services).
Tale realizzazione in Italia è stata prevista e parzialmente finanziata dalla legge 23 dicembre 1996, n. 647, a seguito della quale il ministero delle infrastrutture e dei trasporti ha stipulato col raggruppamento temporaneo d'imprese di cui è mandataria l'Alenia Marconi System S.p.A. il contratto rep. 101 in data 29 luglio 1999 per la progettazione esecutiva del sistema nazionale integrato per il controllo del traffico marittimo e per le emergenze in mare (VTS nazionale), nonché per la realizzazione solo di una prima
tranche, a causa dell'indisponibilità all'epoca di


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tutti i fondi allo scopo necessari, riservando il completamento del sistema a successivi atti negoziali.
Detto sistema, la cui progettazione esecutiva è già nella disponibilità del ministero delle infrastrutture e trasporti e del quale è al momento in corso la realizzazione della prima tranche, è caratterizzato da un'architettura di notevole complessità e richiede, come requisito imprescindibile per il funzionamento, l'installazione di sistemi di rilevazione, di comunicazione e di scambio dati in siti situati in prossimità dell'intera linea di costa nazionale, nonché la messa a punto del
software e la preparazione del personale della gestione operativa dei sistemi.
Nella prima
tranche di realizzazione del sistema nazionale è stata inserita l'intera area del mare Adriatico settentrionale (coste delle regioni Friuli-Venezia Giulia e Veneto). Nella stessa tranche è stata inserita altresì l'area del canale d'Otranto e del mare Adriatico meridionale (coste della Puglia).
Il contratto di esecuzione prevede, preliminarmente, la realizzazione di un centro pilota, individuato nella sede di Bari, presso il quale svolgere la sperimentazione funzionale ed operativa del sistema in modo da estendere al resto dei centri di controllo italiani le risultanze del predetto lavoro di sperimentazione.
Nel VTS Nazionale è inserita altresì la realizzazione della rete nazionale del sistema d'identificazione automatica per le navi AIS
(Automatic Identification System), previsto come dotazione obbligatoria (con applicazione graduale entro il 2004) a bordo delle navi passeggeri e da carico soggette a convenzione Solas.
Detto sistema consentirà la trasmissione automatica dei dati di navigazione e del carico trasportato dalle navi alle stazioni riceventi a terra, che saranno ubicate presso i centri di controllo VTS e tra le navi medesime, con capacità di rappresentazione su idonei sistemi, sia a terra che a bordo, del quadro di situazione delle unità partecipanti presenti nell'area.
Il Ministro delle infrastrutture e dei trasporti: Pietro Lunardi.

LION. - Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. - Per sapere - premesso che:
a dieci giorni dal naufragio della nave «Nicole», secondo notizie apparse sugli organi di informazione, il 5 febbraio 2003 un cargo, non meglio identificato, in navigazione davanti al porto di Numana ha rischiato un altro affondamento, proprio perché si stava dirigendo verso il tratto di mare occupato dal relitto della «Nicole»;
solo pochi istanti prima della collisione una motovedetta della Capitaneria di porto interveniva per impedire al cargo di proseguire sulla rotta che l'avrebbe portato al naufragio;
quella zona di mare, a poco più di un miglio dalla costa è al di fuori di qualsiasi rotta abituale di navigazione, mentre il cargo in questione avrebbe dovuto navigare in acque internazionali, quindi oltre 12 miglia dal punto della mancata collisione -:
quale sia il nome, la tipologia e il contenuto del cargo bloccato dalla motovedetta prima dell'inevitabile collisione;
per quale motivo il cargo in questione navigava sotto costa in quella zona di mare;
quali provvedimenti urgenti intenda prendere il Governo per scongiurare in futuro ulteriori rischi per lo spazio marittimo vicino al Parco del Conero e in generale nel delicatissimo mare Adriatico;
per quale motivo ancora non si sia ancora provveduto a rimuovere il relitto della «Nicole» che risulta evidentemente essere un potenziale pericolo per la navigazione;
se non si ritenga opportuno provvedere al più presto ad assumere adeguate iniziative per impedire il transito di navi pericolose e obsolete nel mare Adriatico e in particolare nel tratto antistante il Parco del Conero.
(4-05413)

Risposta. - In merito a quanto evidenziato con l'atto ispettivo cui si risponde,


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sono state richieste informazioni al comando generale del corpo delle capitanerie di porto che ha rappresentato quanto segue.
Alle ore 10,10 del giorno 5 febbraio 2003, il titolare dell'ufficio locale marittimo di Numana informava che, nella zona di mare antistante l'omonimo porto, era presente una nave da carico identificata quale la motonave «Loukhi».
In tale area è stata interdetta alla navigazione una zona di mare del raggio di 500 metri dal relitto semiaffiorante della motonave «Nicole» affondata, come da ordinanza della capitanerie di porto di Ancona n. 05/2003 in data 27 gennaio 2003.
La predetta autorità marittima locale ha reso noto di aver informato con fonia in lingua inglese, alle ore 10.20, per il tramite della propria sala operativa, la motonave Loukhi della presenza del relitto semi affiorante e della ordinanza di cui sopra.
A seguito della comunicazione del Comandante della predetta imbarcazione, relativa a problemi ad un motore, con previsto ripristino della piena funzionalità entro uno o due ore e, in considerazioni delle condizioni meteo marine non favorevoli, veniva disposta l'uscita in mare della motovedetta SAR CP 861 per assistenza ed eventuale soccorso.
È stato riferito che la zona di mare in questione non è di abituale navigazione per le motonavi ma questa non è vietata, a parte la interdizione di cui all'ordinanza citata. Tuttavia, tale zona ha rappresentato un utile ridosso per il ripristino della dichiarata momentanea difficoltà ad uno dei propulsori occorsa all'imbarcazione di che trattasi.
Il cargo in questione, intercettato e assistito e non bloccato dalla motovedetta CP 861, è risultato essere appunto la Motonave «Loukhi», di bandiera russa, TSL 3952, nominativo internazionale ULCV, IMO Code 8872540, partita dal Porto di Rostov e diretta a Porto Marghera con un carico di 4.840 tonnellate di grano (elementi verificati tramite sistema informatico).
Alla luce dei fatti, quindi, il Comando generale del Corpo delle Capitanerie di porto dichiara che non è stata mai rischiata alcuna collisione con il relitto semiaffiorante della Motonave «Nicole».
Inoltre, la Capitaneria di porto di Ancona ha informato delle circostanze di cui sopra le direzioni marittime di transito lungo la rotta dell'unità (Ravenna e Venezia) e la motonave Loukhi, tenuto conto dei problemi tecnici successivamente risolti e della modesta velocità assunta di quattro o cinque nodi, è stata scortata da motovedette del Corpo, ai soli fini precauzionali e di assistenza, al limite della zona marittima anche in considerazione delle già citate condizioni meteo marine non favorevoli. Difatti, nel prosieguo della navigazione la predetta motonave risulta essere stata monitorata dalle autorità marittime di Ravenna e di Venezia fino all'approdo di Porto Marghera.
Per quanto concerne la rimozione del relitto della motonave «Nicole», il citato comando generale informa che l'autorità marittima locale ha esperito apposita indagine conoscitiva tra ditte specializzate in recuperi marittimi che si è conclusa con l'acquisizione di quattro offerte che sono attualmente in corso di valutazione.
Il Comando generale del Corpo delle Capitanerie di porto, al fine di un compiuto inquadramento dell'intero contesto in cui la comunità internazionale ha ritenuto necessario intervenire nella prospettiva di dover assicurare e garantire un più efficace ed efficiente sistema di vigilanza e controllo del rispetto degli standard di sicurezza della navigazione e sicurezza dei trasporti marittimi, fa presente che l'Italia è firmataria del
Memorandum di Parigi 1982, in forza del quale gli Stati contraenti si sono impegnati a visitare il 25 per cento delle navi straniere, scalanti i propri porti. I criteri con cui selezionare le navi tengono conto del risultato di precedenti ispezioni, della tipologia della nave e del rischio intrinseco della stessa, nonché della bandiera di appartenenza.
La Comunità europea, con la direttiva 95/21/CE, del 19 giugno 1995 ha reso tale accordo uno strumento comunitario con il quale perseguire con sempre maggiore efficacia l'obiettivo della lotta alle navi
«substandard».


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A seguito del disastro Erika sono state varate ancora nuove disposizioni, note come «Pacchetti Erika» tra i cui obiettivi vi sono il rafforzamento e l'implementazione dell'attività ispettiva da svolgere su determinate categorie di navi ed il divieto di accesso ai porti comunitari a quelle unità ritenute particolarmente insicure. Tale disposto normativo (Direttiva 2001/106/CE del 19 dicembre 2001) dovrà essere recepita dagli Stati dell'Unione entro il 23 luglio 2003.
Una delle principali novità sarà la messa al bando, vale a dire il divieto di operare nei porti comunitari, delle navi oggetto di ripetuti fermi nel corso degli ultimi anni, battenti una delle bandiere ricompresse nella
«black list», vale a dire quelle con un'alta percentuale di fermi.
Detta lista, redatta sulla base delle informazioni fornite dal
Paris Memorandum Understanding of Port State Control e desumibile dal database comunitario Equasis, è finalizzata, da una parte a stimolare gli armatori e gli Stati in «black list» ad intraprendere le misure necessarie per riportare le unità entro standard di sicurezza soddisfacenti e, dall'altra, a far si che gli operatori non valorizzino navi incluse nel citato elenco.
Dalla data di recepimento della citata direttiva 2001/106/CE da parte dei singoli Stati, le navi della lista saranno bandite dai porti. A tal riguardo, l'Italia ha predisposto per tempo tutti gli strumenti per poter recepire tale direttiva con largo anticipo rispetto alla data fissata.
Il comando generale del corpo delle capitanerie di porto fa conoscere che, nel più generale contesto degli obiettivi assunti dell'Unione europea per rafforzare la sicurezza marittima e la prevenzione dall'inquinamento marino, nonché alla luce delle conclusioni del Consiglio dei Ministri dei trasporti dell'Unione europea nell'apposita seduta tenutasi a Bruxelles il 5 e 6 dicembre 2002, è stata predisposta dalla Commissione europea una modifica del Regolamento CE n. 4178/2002 sul doppio scafo che prevede il divieto di accesso ai porti per le petroliere motoscafo che trasportano prodotti petroliferi pesanti, nonché un calendario ulteriormente accelerato per il ritiro delle navi motoscafo e un programma di sorveglianza speciale per le navi cisterna di età superiore a 15 anni.
Tale proposta sarà attuata e resa esecutiva, prevedibilmente, nel giugno 2003.
Alcune delle misure contenute nel regolamento comunitario sono state anticipate in Italia con il decreto adottato dal ministero infrastrutture e trasporti, di concerto il Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio, n. 6T del 21 febbraio 2003, pubblicato sulla
Gazzetta Ufficiale del 5 marzo 2003 n. 53.
Con tale provvedimento ministeriale, nel rispetto dei principi di diritto internazionale sanciti nella Convenzione delle Nazioni unite sul diritto del mare fatta a Montego Bay il 10 dicembre 1982, ratificata e resa esecutiva in Italia con legge 2 dicembre 1994, n. 689, sarà vietato «l'accesso ai porti, ai terminali off-shore e alle zone di ancoraggio nazionali delle navi cisterna a scafo singolo di qualsiasi nazionalità di età superiore ai quindici anni e di portata lorda superiore alle 5000 tonnellate che trasportano combustibile pesante, oli usati, greggio pesante, bitume e catrame».
Il Comando generale fa conoscere, inoltre, che dal 1o luglio 2003 tutto il traffico di merci pericolose in Adriatico, tra cui gli idrocarburi, sarà sottoposto a stretto monitoraggio in virtù dell'accordo internazionale
Adriatic Traffic promosso dall'Italia, al quale hanno aderito anche Albania, Croazia, Slovenia, e Jugoslavia e che l'Imo (Iternational Maritime Organisation) ha approvato nel dicembre 2002.
Per quanto riguarda il sistema di
Port State Control viene riferito che lo stesso risulta pienamente funzionante e qualificatamente efficiente tant'è che nel 2002, l'Italia è risultato per il quarto anno consecutivo, il Paese di gran lunga più attivo sia per il numero di navi ispezionate che per numero di navi fermate, come risulta da uno stralcio dell'Annual Report del Paris MOU relativo agli anni 1999/2002.
Quanto alla necessità di attivarsi ulteriormente, tenuto conto, oltretutto, delle particolari caratteristiche dei nostri mari, in aggiunta all'attività ispettiva e di controllo,


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l'autorità marittima riferisce che tale obiettivo sarà raggiungibile a breve con la realizzazione del sistema di controllo del traffico marittimo VTS (Vessel Traffic Services).
In Italia tale realizzazione è stata prevista e parzialmente finanziata dalla legge 23 dicembre 1996, n. 647, a seguito della quale il già Ministero dei trasporti ha stipulato col raggruppamento temporaneo d'imprese di cui è mandataria l'Alenia Marconi System S.p.A. il contratto rep. 101 in data 29 luglio 1999 per la progettazione esecutiva del sistema nazionale integrato per il controllo del traffico marittimo e per le emergenze in mare (VTS nazionale), nonché per la realizzazione solo di una prima tranche, a causa dell'indisponibilità all'epoca di tutti i fondi allo scopo necessari, riservando il completamento del sistema a successivi atti negoziali.
Detto sistema, la cui progettazione esecutiva è già nella disponibilità del Ministero delle infrastrutture e trasporti e del quale è al momento in corso la realizzazione della prima tranche, è caratterizzato da un'architettura di notevole complessità e richiede, come requisito imprescindibile per il funzionamento, l'installazione di sistemi di rilevazione, di comunicazione e di scambio dati in siti situati in prossimità dell'intera linea di costa nazionale, nonché la messa a punto del
software e la preparazione del personale della gestione operativa dei sistemi.
Nella prima tranche di realizzazione del sistema nazionale è stata inserita l'intera area del Mar Adriatico settentrionale (coste delle regioni Friuli-Venezia Giulia e Veneto). Nella stessa tranche è stata inserita altresì l'area del canale d'Otranto e del mare Adriatico meridionale (coste della Puglia).
Il contratto di esecuzione prevede preliminarmente, la realizzazione di un centro pilota, individuato nella sede di Bari, presso il quale svolgere la sperimentazione funzionale ed operativa del sistema in modo da estendere al resto dei centri di controllo italiani le risultanze del predetto lavoro di sperimentazione.
Nel VTS nazionale è inserita altresì la realizzazione della rete nazionale del sistema d'identificazione automatica per le navi AIS
(Automatic Identification System), previsto come dotazione obbligatoria (con applicazione graduale entro il 2004) a bordo delle navi passeggeri e da carico soggette a convenzione Solas.
Detto sistema consentirà la trasmissione automatica dei dati di navigazione e del carico trasportato dalle navi alle stazioni riceventi a terra, che saranno ubicate presso i centri di controllo VTS e tra le navi medesime, con capacità di rappresentazione su idonei sistemi, sia a terra che a bordo, del quadro di situazione delle unità partecipanti presenti nell'area.
Il Viceministro delle infrastrutture e dei trasporti: Mario Tassone.

LO PRESTI. - Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro della giustizia. - Per sapere - premesso che:
è previsto il riconoscimento della causa di servizio e/o dell'equo indennizzo nel caso in cui il dipendente riporti infermità durante lo svolgimento del proprio lavoro;
il riconoscimento della causa di servizio e la relativa liquidazione sono stabiliti dal comitato, di verifica per le cause di servizio, già comitato per le pensioni privilegiate;
il decreto legislativo n. 303 del 1999 ha disposto il trasferimento dell'ufficio di segreteria del comitato di verifica per le cause di servizio dalla Presidenza del Consiglio dei ministri al ministero dell'economia e delle finanze;
i dipendenti già in servizio presso il comitato hanno esercitato, in maggioranza, l'opzione per il ruolo della Presidenza del Consiglio, privando così l'ufficio dell'esperienza maturata dal personale;
in conseguenza di ciò, le riunioni settimanali del comitato sono state ridotte da otto a due;


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ulteriori difficoltà sono derivate dalle lunghe procedure di emanazione dei provvedimenti di rinnovo biennale dei membri del comitato, previsti dalla legge vigente, essendo la precedente nomina scaduta il 24 giugno 2000;
i lavori del comitato hanno, in conseguenza, subito un fermo totale dell'attività dal luglio 2000 al febbraio 2001, data di ricostituzione del nuovo organismo;
il 29 ottobre del 2001 è stato emanato, con decreto del Presidente della Repubblica n. 461, il Regolamento per la semplificazione dei procedimenti per il riconoscimento della dipendenza delle infermità da causa di servizio, per la concessione della p.p.o. e dell'equo indennizzo, nonché per il funzionamento e la composizione del comitato per le pensioni privilegiate ordinarie;
in base a tale regolamento, le domande, sia pendenti all'atto della costituzione del nuovo Comitato che successive, devono essere trattate nel termine massimo di dodici mesi e il Presidente del Comitato deve adottare gli opportuni provvedimenti organizzativi e disporre la ripartizione dei carichi di lavoro;
fino all'agosto di quest'anno, l'Ufficio di segreteria del Comitato comunica che ancora confida di poter accelerare i tempi di trattazione delle numerosissime pratiche e non fornisce alcuna indicazione dei provvedimenti e delle iniziative per dare soluzione alla vicenda, con la conseguenza che migliaia sono le pratiche da esaminare, con inammissibili ritardi che aggravano il disagio dei cittadini che attendono il giusto risarcimento -:
quali provvedimenti urgenti intenda adottare per rendere funzionante ed operativo il lavoro del predetto Comitato al fine di garantire la sollecita evasione delle domande arretrate.
(4-03886)

Risposta. - Si chiede di conoscere quali iniziative si intendano adottare per dare funzionalità ed operatività all'attività svolta dal comitato per la verifica delle cause di servizio, già comitato per le pensioni privilegiate ordinarie, a seguito del trasferimento dell'ufficio di segreteria dalla Presidenza del Consiglio dei Ministri a questa amministrazione, ai sensi dell'articolo 10 del decreto legislativo 30 luglio 1999, n. 303.
Al riguardo, si premette, innanzi tutto, che il citato decreto legislativo non ha previsto una fase transitoria che assicurasse il passaggio delle consegne tra il personale che ha prestato servizio in tale ufficio e il nuovo personale e che la maggior parte dei dipendenti ha optato di rimanere nei ruoli della Presidenza del Consiglio dei Ministri, ai sensi dell'articolo 11 del medesimo decreto legislativo. Tale situazione ha causato la perdita dell'80 per cento delle risorse esistenti, che si sono ridotte, al 1o ottobre 2000, da 93 a 18 unità.
Il successivo decreto del Presidente della Repubblica n. 461 del 2001 ha stabilito un organico massimo di 70 unità, il quale, però, è stato effettivamente assegnato all'Ufficio a decorrere dal mese di luglio 2002.
Va segnalato, altresì, che è stato necessario istruire il nuovo personale oltre che nell'uso del sofisticato sistema informatico, anche in materia pensionistica e nel campo della medicina legale.
L'attività, pertanto, è ripresa dapprima a cadenza ridotta con una o due adunanze a settimana e, dal mese di settembre 2002, l'ufficio, pur avvalendosi di un organico inferiore rispetto al passato, è riuscito ad organizzare 5-6 adunanze settimanali ed a trattare mensilmente circa 4.000 fascicoli, assicurando l'evasione dello stesso numero di pratiche del periodo antecedente la riforma del decreto legislativo n. 303 del 1999.
Anche l'iter relativo alla restituzione dei pareri avviene nei termini di 15 giorni dalla delibera del comitato, come previsto dalle citate disposizioni.
Giova precisare, comunque, che in attuazione dell'articolo 13 del decreto del Presidente della Repubblica 29 ottobre 2001, n. 461, questa amministrazione ha avviato un progetto di completa reingegnerizzazione


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informatica, che consente l'acquisizione e la restituzione dei fascicoli in via telematica.
Per quanto concerne, invece, lo smaltimento delle pratiche arretrate, lo stesso decreto del Presidente della Repubblica n. 461 del 2001, oltre al nuovo comitato, prevede l'istituzione di comitati stralcio. Tali comitati, costituiti con decreto del Ministro dell'economia e delle finanze del 14 marzo 2003, registrato alla Corte dei conti, potranno attivare nuove modalità operative, assicurando una maggiore snellezza ai procedimenti in corso.
Pertanto, pur condividendo che la fase di passaggio della struttura dalla Presidenza del Consiglio dei ministri a questa amministrazione abbia causato delle difficoltà operative, tuttavia le iniziative assunte hanno già portato al ripristino dell'efficienza dell'organismo.
Il Sottosegretario di Stato per l'economia e per le finanze: Manlio Contento.

LOSURDO, FATUZZO, FRANZ, LA GRUA, ONNIS, PATARINO e VILLANI MIGLIETTA. - Al Ministro delle comunicazioni, al Ministro delle politiche agricole e forestali, al Ministro per gli italiani nel mondo. - Per sapere - premesso che:
il precedente Governo ha avviato una serie di convenzioni tra il Ministero delle politiche agricole e forestali ed alcune reti televisive per la promozione dei prodotti agroalimentari italiani, demandando la stipula degli atti amministrativi all'Ismea, ente pubblico economico sottoposto alla vigilanza del ministero;
tra queste figura una convenzione per l'importo di lire 1.500.000.000, la cui elaborazione è stata avviata circa un anno or sono, tra la società Rai Trade, consociata Rai, e l'Ismea, relativa a venti puntate di una trasmissione di promozione dei prodotti agroalimentari italiani da diffondersi in tutto il mondo sulla rete Rai International e trenta videocassette da realizzarsi contestualmente e da inserirsi nel catalogo video di Rai Trade, oltre a due trasmissioni speciali;
il progetto è stato presentato alla società Rai Trade dal consorzio «vedute d'insieme», società consortile a responsabilità limitata, con sede in Roma, specializzata nel settore della produzione televisiva, editoria e comunicazione, che è stato incaricato della realizzazione;
come è noto Rai International copre un bacino di utenza potenziale, con esclusione dell'Europa, di circa un miliardo di persone, con ascolti, per alcuni programmi, consistenti in decine di milioni di persone, e pertanto appare pienamente giustificabile e congruo il costo sostenuto per una così ampia promozione dei prodotti italiani in tutto il mondo;
solo pochissimi giorni prima dall'insediamento del Governo attualmente in carica, dopo un anno di istruttoria e dopo che i relativi contratti tra Rai Trade e Ismea erano stati regolarmente firmati, registrati e resi operativi, con un tempestivo scambio di corrispondenza tra Rai Trade e la direzione dell'Ismea si è concordato, a totale insaputa di Rai International ed in deroga al contratto, di realizzare come da accordi il numero di puntate previste ma di effettuarne l'emissione negli spazi televisivi di Rai Educational anziché su Rai International, destinando cioè un programma ideato per gli italiani all'estero ad una emissione sugli spazi di una rete in chiaro, che trasmette su Raiuno e Raitre, solo in Italia, in orari notturni e con ascolti ovviamente insignificanti ai fini di qualsiasi promozione commerciale, il tutto dopo che Rai Trade ha speso e garantito per un anno il nome di Rai International per richiedere al ministero un elevato finanziamento da destinarsi poi altrove -:
se corrisponda al vero quanto risulta all'interrogante secondo cui l'amministratore del consorzio «Vedute d'insieme» sia anche contrattualizzato come consulente della direzione di Rai Educational, ed in quale delle due vesti, appaltatore o appaltato, egli abbia partecipato, in palese conflitto


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di interessi, alle numerose riunioni presso l'Ismea volte alla stipula del contratto ed al successivo trasferimento dello stesso su Rai Educational;
se la decisione di trasferire un così ingente contratto sulla rete Rai Educational sia stata viziata dall'incarico professionale rivestito presso questa rete dell'amministratore del consorzio «Vedute d'insieme», realizzatore operativo del progetto;
chi abbia autorizzato una società quale Rai Trade, competente statutariamente solo della commercializzazione di videocassette o prodotti analoghi, a farsi carico contrattualmente di una produzione televisiva fino a divenirne persino parte contraente con un ente ministeriale, incarico questo competente esclusivamente alle rispettive reti televisive per il tramite degli uffici Rai preposti;
quali iniziative intenda avviare il ministero delle comunicazioni per garantire un impiego corretto dei fondi stanziati ed una opportuna e necessaria promozione dei prodotti agroalimentari all'estero.
(4-01209)

Risposta. - Si fa presente che non rientra tra i poteri del Governo quello di sindacare l'operato della Rai per la parte riguardante la gestione aziendale che, come è noto, rientra nelle competenze del consiglio di amministrazione della società stessa che opera, in materia di programmazione televisiva, tenendo conto delle direttive e dei criteri formulati dalla Commissione parlamentare per l'indirizzo generale e la vigilanza dei servizi radiotelevisivi.
Tuttavia, non si è mancato di interessare, in merito a quanto rappresentato dall'interrogante, la medesima Rai la quale ha riferito quanto segue.
Effettivamente l'Ismea (istituto per gli studi sul mercato agricolo) aveva a suo tempo presentato - su indicazione del Ministero delle politiche agricole - un progetto congiunto con Rai
International e Rai Trade per la promozione dell'agricoltura e dei prodotti tipici nazionali.
Poiché, tuttavia, in un secondo momento Rai
International aveva significato di voler soprassedere al progetto stesso in quanto erano venuti a mancare i necessari spazi in palinsesto, Rai Trade decideva di non sottoscrivere la Convenzione in precedenza approvata dal citato ministero e dall'Ismea e presentava agli stessi una nuova e diversa proposta unitamente a Rai Educational.
In proposito la Rai ha recentemente portato a conoscenza che il progetto in parola non ha avuto seguito e, nel sottolineare che, allo stato, non ci sono previsioni di possibili sviluppi, ha precisato che la società «Vedute d'Insieme» era associata a Rai
International nel progetto inizialmente presentato da Rai International stessa, mentre il progetto congiunto Rai International-Rai Trade non faceva comunque riferimento alla società «Vedute d'Insieme».
Secondo quanto riferito dalla concessionaria, risulta inoltre che la società «Vedute d'insieme», inserita nell'Albo fornitori della Rai, ha un contratto di consulenza con Rai
Educational per lo sviluppo del piano marketing del progetto IDEA per la creazione di una banca dati dei Musei italiani; è stato altresì comunicato che nessun incarico è stato conferito all'Amministratore della stessa società.
Per quanto riguarda infine Rai
Trade, ha precisato che tale società ha come oggetto, tra l'altro, «...la produzione e lo scambio, in Italia e all'estero, di beni e servizi relativi a programmi radiofonici e televisivi e loro fissazioni su qualunque supporto materiale a prodotti audiovisivi di qualsiasi tipo e contenuto (per esempio: sport, film, fiction, ecc.) e a diritti di utilizzazione economica dei suddetti...», come previsto dall'articolo 41 dello Statuto.
Il Ministro delle comunicazioni: Maurizio Gasparri.

MALGIERI. - Al Ministro degli affari esteri. - Per sapere - premesso che:
ai sensi della legge n. 401 1990 che disciplina il funzionamento degli Istituti italiani di cultura all'estero, il Ministro


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degli affari esteri ha la facoltà di nominare come direttori dei più importanti Istituti delle personalità di particolare prestigio, cosiddette di «chiara fama»;
nelle scorse settimane sono stati riportati da tutti i giornali, italiani e stranieri, i gravi episodi verificatesi nelle sedi di alcuni Istituti diretti da direttori per «chiara fama», che hanno nuociuto all'immagine del nostro Paese, e che sono stati strumentalmente utilizzati in ambienti stranieri per polemiche faziose e pretestuose contro il nostro Governo;
è stato da più parti sollecitato, per tutti i direttori per «chiara fama», un serio riesame atto a verificare se essi siano effettivamente in possesso dei requisiti di idoneità a ricoprire il delicato incarico di direttore di un Istituto italiano di cultura all'estero e se siano in linea con i nuovi indirizzi di politica culturale formulati dal Governo;
il 21 febbraio 2002 è apparso un articolo sul quotidiano inglese The Independent, poi riportato dalla stampa italiana, contenente un «appello degli intellettuali inglesi» affinché il dottor Mario Fortunato, direttore dell'Istituto italiano di cultura di Londra per «chiara fama» venga confermato nel suo incarico;
a tale appello, dopo pochi giorni ne è seguito un altro dello stesso tenore firmato da alcuni intellettuali italiani -:
se non ritenga che questi «appelli» costituiscano una inopportuna pressione sul Governo italiano che deve decidere se rinnovare o meno l'incarico al dottor Fortunato;
se il Governo non intenda rivedere l'istituto stesso dei direttori per «chiara fama» e in ogni caso i requisiti e le procedure di nomina a tale incarico;
se il Governo non intenda procedere al più presto ad una attenta disamina dei titoli accademici e letterari che hanno portato alla nomina del dottor Fortunato, nonché dei risultati da questi conseguiti alla guida dell'Istituto italiano di cultura di Londra.
(4-02435)

Risposta. - Il dottor Mario Fortunato fu nominato, in data 1o giugno 2000, Direttore dell'Istituto italiano di cultura di Londra, ai sensi dell'articolo 14 della Legge 401/90 (chiara fama).
L'incarico, di durata biennale, è scaduto il 31 maggio 2002. Alla luce dei risultati conseguiti dal dottor Fortunato e dei rapporti informativi dell'Ambasciata d'Italia a Londra il decreto di rinnovo, già firmato dall'Onorevole Ministro degli affari esteri, è attualmente in corso di perfezionamento presso il ministero dell'economia e delle finanze. Il nuovo mandato del dottor Fortunato terminerà, pertanto, in data 31 maggio 2004, senza possibilità di ulteriore rinnovo.
In merito ai risultati conseguiti dal dottor Fortunato presso l'Istituto italiano di cultura di Londra, il Ministero degli affari esteri ha acquisito la prevista relazione finale sull'operato svolto al termine del primo biennio di incarico, accompagnata dalle valutazioni della locale Ambasciata. Da entrambi i documenti non emergono elementi negativi.
Al riguardo, inoltre, non emergono possibili valutazioni negative relative alla programmazione culturale condotta dal Direttore in questione, sulla base delle relazioni presentate in allegato ai Bilanci preventivi e consuntivi dell'Istituto di Cultura, agli atti della Direzione Generale competente del Ministero degli Affari Esteri.
Il Sottosegretario di Stato per gli affari esteri: Mario Baccini.

MALGIERI. - Al Ministro degli affari esteri. - Per sapere - premesso che:
la legge n. 401 del 1990 stabilisce la possibilità per il Ministro degli affari esteri di nominare come direttori dei più importanti Istituti italiani di cultura delle personalità cosiddette di «chiara fama»;
i direttori degli istituti italiani di cultura per «chiara fama», nominati a


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tale incarico di natura dirigenziale, ai sensi, oltre che dalla legge n. 401 del 1990, del decreto del Presidente della Repubblica n. 18 del 1968, sono tenuti agli stessi obblighi degli altri funzionari dello Stato all'estero ed, in particolare, devono offrire una visione oggettiva ed imparziale della nostra realtà culturale;
nelle scorse settimane sono stati riportati da tutti i giornali italiani e stranieri i gravi episodi verificatisi nella sede dell'Istituto italiano di cultura di Parigi, diretto dal dottor Guido Davico-Bonino, dove noti scrittori italiani hanno rilasciato, in un contesto ufficiale, pesanti dichiarazioni che hanno gravemente leso l'immagine dell'Italia, del suo Governo e delle sue istituzioni accusate di antidemocraticità;
analoghi avvenimenti si sono verificati presso l'Istituto italiano di cultura di Berlino, parimenti diretto da una personalità di «chiara fama», Ugo Perone;
simili episodi vengono amplificati e strumentalizzati nei vari Paesi dalla stampa locale, per alimentare faziose polemiche ai danni del nostro Paese -:
quali provvedimenti abbia adottato o intenda adottare nei confronti dei direttori degli istituti italiani di cultura sopra menzionati;
se il Governo, alla luce di quanto accaduto, non ritenga opportuno rivedere i criteri di nomina dei direttori per «chiara fama» e provvedere ad una valutazione del loro operato, per verificare se essi abbiano raggiunto gli obiettivi fissati per il loro incarico dirigenziale;
se si intenda procedere alla sostituzione di quanti tra essi non rispondano ai requisiti di idoneità all'incarico o non abbiano conseguito gli obiettivi summenzionati;
se non intenda invitare gli ambasciatori e i consoli generali, che hanno il dovere di vigilare sulle attività degli istituti italiani di cultura, a far rispettare, anche ai direttori per «chiara fama», gli obblighi di imparzialità ed obiettività che competono a tutti i funzionari pubblici.
(4-02437)

Risposta. - In merito alla vicenda dell'Istituto di cultura di Parigi, ho provveduto a richiedere elementi di informazione direttamente all'Ambasciata d'Italia e al responsabile dell'Istituto italiano di cultura a Parigi, professor Guido Davico Bonino.
Da quanto riferito dall'allora Ambasciatore d'Italia in quella Sede, non è emersa alcuna precisa responsabilità da parte dei Direttori coinvolti in eventi che hanno dato luogo a critiche, apparentemente strumentali, da parte della stampa locale.
In particolare, non è emerso alcun contatto ufficiale tra l'Istituto italiano di cultura di Berlino e la proiezione del filmato sul G8 di Genova, tantomeno un coinvolgimento diretto del professor Ugo Perone, responsabile dell'Istituto, in ordine alle dichiarazioni riportate.
Pertanto, pur non essendo stati presi provvedimenti di alcun genere nei confronti dei Direttori di cui sopra, è stata tuttavia chiarita ed evidenziata, per le vie brevi, la delicatezza del ruolo istituzionale da loro ricoperto.
In merito alla valutazione degli obiettivi raggiunti, anche per i Direttori di «chiara fama» è previsto l'invio di una relazione d'accompagnamento, allegata ai Bilanci preventivi e consuntivi annuali degli Istituti di Cultura da loro diretti.
Ai suddetti Direttori è, altresì, richiesta una relazione finale sul proprio operato al termine sia del primo che dell'eventuale secondo biennio di incarico.
La scelta dei Direttori di «chiara fama» e la valutazione del loro operato, così come l'eventuale rinnovo dell'incarico biennale, sono di stretta pertinenza politica, in base a quanto previsto dalla normativa vigente.
Le Rappresentanze diplomatico-consolari di riferimento degli Istituti di Cultura svolgono attività di vigilanza sull'operato dei Direttori ed inviano, a tal fine, una relazione d'accompagnamento al Bilancio preventivo prodotto dagli stessi Istituti, con cui inquadrano la programmazione culturale proposta nell'ambito della situazione


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locale e delle linee della politica estera del Paese.
Le suddette rappresentanze, inoltre, inviano una relazione finale sull'operato dei Direttori, ed intervengono, anche formalmente, nei confronti degli Istituti di Cultura per assicurare il necessario ed opportuno coordinamento, pur nel rispetto dell'elevato grado di autonomia riconosciuto ad essi dalla legge.
Il Sottosegretario di Stato per gli affari esteri: Mario Baccini.

MANTOVANI. - Al Ministro degli affari esteri. - Per sapere - premesso che:
l'impresa familiare Zanon, che diventerà una delle principali nella produzione di piastrelle e rivestimenti di ceramica in Argentina, si è installata nella provincia di Neuquén durante l'epoca della dittatura militare, quando Josè Martinez de Hoz era Ministro dell'economia;
la ditta Zanon era altresì proprietaria del parco giochi Italpark, chiuso dopo la morte di una bambina per mancanza di sicurezza delle infrastrutture;
circa due anni fa la fabbrica di ceramica, inizia ad avere problemi ed i signori Zanon, proprietari dell'impianto, licenziarono 100 lavoratori oltre ad imporre riduzioni salariali ai rimanenti. I lavoratori denunciarono il tentativo di svuotamento della fabbrica;
la provincia di Nequen ha dato assistenza economica all'impresa con un sussidio di 5 milioni di dollari nonostante la situazione non fosse cambiata. Va detto che questo non era il primo sussidio ricevuto da parte del governo provinciale;
dato il mancato pagamento dei salari, i lavoratori entrarono in sciopero per 34 giorni, ottenendo alla fine il pagamento degli stessi. Ma poco dopo i proprietari iniziarono a non pagare nuovamente i salari ed i lavoratori, organizzati nel sindacato de Obreros y ceramistas de Neuquen (Soecn) decisero di occupare la fabbrica;
gli avvocati del Centro professionale per i diritti umani che assistono i lavoratori presentarono al giudice una accion de amparo (ricorso di protezione) chiedendo la condanna dell'impresa per «serrata»;
nel frattempo i lavoratori decisero di dare continuità alla produzione utilizzando una moderna linea di montaggio unica nel paese. Come risposta, i proprietari fecero sospendere le forniture di gas, provocando lo spegnimento dei forni;
il 31 ottobre 2001 il giudice Maria Rivero de Taiana emise una sentenza contro l'impresa ordinando il sequestro del 40 per cento dello stock di magazzino per pagare i salari dei lavoratori che nel frattempo erano sopravvissuti grazie alla solidarietà della popolazione. I signori Zanon si rifiutarono di accettare la decisione del giudice e mantennero la chiusura della fabbrica;
a fine novembre licenziarono tutti i lavoratori presentando ai tribunali una richiesta preventiva di fallimento. Da parte loro i lavoratori continuarono a produrre e l'ulteriore tentativo della Zanon di far sospendere le forniture di gas si trasformò per loro in un boomerang, in quanto i giudici scoprirono allacciature illegali alla rete di fornitura;
il 7 maggio 2002 la Corte suprema di giustizia conferma la sentenza in secondo grado condannando l'impresa per la chiusura degli impianti trattandosi di una «serrata padronale offensiva»;
alla fine di maggio 2002, i dipendenti della Zanon firmarono un accordo con l'università del Comahue, con sede a Neuquen, per l'assistenza tecnica dell'università ed ebbero l'offerta di una comunità mapuche (popolazioni autoctone) di utilizzare delle cave che si trovano nelle loro terre, per ottenere i materiali necessari alla produzione, la cui vendita si stava realizzando con successo;
un gruppo di banche facenti capo a Credit Suisse avrebbe l'intenzione di comprare lo stabilimento Zanon, così come già


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avvenuto in altre occasioni e l'azione dei lavoratori ne avrebbe impedito la vendita;
i signori Zanon, di origini italiane, chiesero ed ottennero l'appoggio dell'ambasciata italiana in Argentina. Il consigliere economico e commerciale Pierluigi Velardi, inviò una lettera al giudice nella quale si esprimeva la preoccupazione per «l'occupazione abusiva della fabbrica da parte di alcuni attivisti». Il diplomatico affermava altresì che la situazione «poteva compromettere l'insieme degli investimenti di origine italiana» nel paese;
dopo una manifestazione dei lavoratori e dei loro avvocati ed un incontro di una loro delegazione con il signor Velardi, quest'ultimo ha reso pubblica una nuova lettera al giudice in cui si afferma tra l'altro che: «Dopo l'incontro con i rappresentanti dei lavoratori dell'impresa Ceramica Zanon, nei quali si sono chiariti molti punti sulla situazione attuale della suddetta società, considero necessario rivedere la posizione espressa nella lettera a lei inviata il 26 aprile, che deve considerarsi nulla visto che è stata redatta in base ad informazioni incomplete»;
ma le pressioni giudiziarie per sloggiare lo stabilimento non sono certo cessate. Oltre a queste, vi sono state altre pressioni. In particolare: minacce di morte ai dirigenti sindacali, il rapimento (per fortuna temporaneo) di due operai ad opera di persone con il volto coperto da un cappuccio che, dopo averli derubati dei soldi delle vendite della settimana da ripartire tra i lavoratori, li hanno abbandonati a distanza dell'abitato, non senza aver proferito minacce che facevano riferimento all'occupazione della fabbrica -:
se il Governo era a conoscenza dell'intervento di pressione dell'ambasciata nei confronti della magistratura argentina;
quali iniziative intenda intraprendere presso il Governo argentino al fine di ottenere il rispetto dei diritti politici e sindacali dei lavoratori dell'impresa «Ceramica Zanon».
(4-03486)

Risposta. - Il Gruppo Zanon che fa capo alla famiglia Zanon, originaria del Pavese, opera in Argentina dal 1960 ed è attivo nel campo dell'industria della ceramica dal 1975, anno della fondazione di Ceramica Zanon, azienda che ha inaugurato la sua prima linea di produzione nel 1980 per poi attraversare un periodo di costante crescita, fino a divenire, per fatturato e manodopera impiegata, una delle principali realtà produttive della regione di Neuquen.
All'inizio del 2000 la presentazione di un piano di ristrutturazione comportante la riduzione del 20 per cento della manodopera impiegata è stato all'origine di un crescente conflitto fra proprietà e lavoratori, conclusosi con l'occupazione degli impianti da parte di attivisti del Sindicato de Obreros y Ceramistas de Neuquen (Soecn) nell'ottobre 2001.
Nelle more dell'esecuzione della sentenza di sgombero pronunciata dalla competente Corte penale provinciale, è intervenuta la sentenza del giudice del lavoro Elizabeth Riverso de Taiana che, accogliendo l'istanza presentata dai lavoratori, ha condannato l'impresa per serrata padronale offensiva e decretato il pagamento dei salari arretrati mediante i ricavati della vendita forzosa delle giacenze di magazzino sottoposte a sequestro.
Gli assetti padronali hanno rifiutato l'esecuzione della sentenza, decidendo il 26 novembre 2001, la chiusura definitiva dello stabilimento con il licenziamento di tutto il personale presentando una richiesta preventiva di fallimento. Il 30 novembre 2001 gli stessi hanno poi richiesto di accedere a Concordato Preventivo.
Nel frattempo la proprietà ha presentato un nuovo ricorso in sede penale, contro l'occupazione dell'impianto e la vendita illegale dei beni prodotti.
L'11 marzo 2002 il curatore fallimentare, su richiesta del giudice penale provinciale, ha inoltrato al giudice fallimentare richiesta di sollecito alle autorità giudiziarie e amministrative della Provincia di Neuquen per ottenere lo sgombero dell'impianto, la sua piena disponibilità e la cessazione della vendita illegale di prodotti.


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Infine il 7 maggio 2002 la Corte suprema di giustizia del Neuquen si è pronunciata confermando la condanna a carico dell'impresa Zanon per serrata padronale offensiva e la conseguente nullità assoluta dei provvedimenti di licenziamento a carico dei dipendenti.
L'Ambasciata italiana a Buenos Aires, sollecitata dal Presidente della società Luigi Zanon, si è rivolta al locale Ministero degli affari esteri, nonché al giudice fallimentare (German Paez Castaneda) investito del caso, auspicando una pronuncia definitiva da parte dell'autorità giudiziaria che contribuisse alla soluzione della vicenda e al ristabilimento della certezza del diritto.
L'iniziativa in questione - fondata su quanto appreso dai titolari dell'impresa e sulle informazioni raccolte in alcuni ambienti giudiziari - va inquadrata nella consueta, legittima azione di tutela, dei capitali italiani investiti nel Paese che viene regolarmente condotta dalla nostra Missione diplomatica.
Anche grazie a questa iniziativa, con cui si è voluto manifestare a tutti i livelli l'interessamento da parte italiana alla vicenda in parola, è stato possibile, a seguito dell'incontro avvenuto il 24 maggio con i rappresentanti dei lavoratori dell'impresa Zanon, venire in possesso di ulteriori importanti elementi in merito alla vicenda che, contribuendo a chiarire il quadro generale, hanno suggerito un riesame della nostra posizione come espresso nella successiva corrispondenza intervenuta con il giudice Castaneda.
La vicenda va peraltro letta nella più ampia prospettiva della delicata congiuntura economica argentina e dell'attenzione che si vuole riservare ai nostri investitori che, con spirito di solidarietà e in linea con la politica di incoraggiamento della presenza imprenditoriale italiana perseguita dal Governo, decidono di mantenere la loro attività
in loco nonostante il continuo deterioramento delle condizioni del mercato locale.
Per quanto attiene, infine, gli episodi di violenza menzionati nel testo dell'interrogazione, essi appaiono ascrivibili al clima di profonda tensione sociale che attraversa il Paese a seguito della crisi economica degli ultimi mesi, mentre nulla allo stato attuale, lascia pensare che i lavoratori dell'impresa Zanon (come dimostrato dalla succitata sentenza ad essi favorevole pronunciata dalla Corte Suprema di Giustizia il 7 maggio u.s.) non trovino adeguata tutela nell'ambito del sistema giuridico argentino.
Il Sottosegretario di Stato per gli affari esteri: Mario Baccini.

MASSIDDA. - Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. - Per sapere - premesso che:
il 13 dicembre 1994, congiuntamente alla firma dell'ipotesi di Contratto Collettivo Nazionale di Lavoro degli autoferrotranvieri, veniva stilato un verbale d'intesa con il quale il Governo Berlusconi, nella persona del Ministro del Lavoro, si impegnava, tra l'altro, a sopprimere il Fondo Speciale degli autoferrotranvieri e a valorizzare gli anni di Fondo speciale pari a 0,25 per cento;
il decreto-legge n. 92 del 29 marzo 1995, contrariamente agli impegni assunti dal Governo Berlusconi, non riconosce più ad ogni autoferrotranviere la valorizzazione dello 0,25 per ogni anno di anzianità contributiva presso il Fondo speciale;
l'ipotesi di Ccnl era stata raggiunta dopo tre anni di vacanza contrattuale ed un lungo, inconcludente periodo di serrata trattativa, sbloccata solo dalla mediazione del Ministro del Lavoro e conclusasi con l'impegno sopra ricordato, il quale portava alla soluzione dei gravissimi problemi previdenziali della categoria;
la suddetta ipotesi contrattuale, pur evidenziando un costo contrattuale inferiore ai contenuti dell'Accordo del 23 luglio 1993 e pur non prevedendo aumenti economici per gli anni 1992 e 1993, veniva ugualmente approvata dai lavoratori proprio perché si dava il giusto peso alle loro posizioni contributive;
il mancato rispetto degli impegni aveva determinato lo stato di agitazione


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della categoria con la conseguente effettuazione di una serie di scioperi -:
se non ritengano opportuno di soddisfare urgentemente le aspettative degli autoferrotranvieri, concernenti la valorizzazione degli anni di Fondo speciale pari a 0,25 per cento.
(4-00338)

Risposta. - La disciplina del trattamento previdenziale del personale autoferrotranviario è contenuta nel decreto legislativo 414/96 che, in attuazione dei criteri direttivi stabiliti dall'articolo 1, comma 70, della legge n. 549/95, ha previsto la soppressione, a decorrere dal 1o gennaio 1996, del Fondo speciale autoferrotranvieri e la confluenza degli iscritti nel Fondo pensioni dei lavoratori dipendenti, in coerenza con i principi informatori della legge n. 335/95 ed in particolare con quanto disposto dall'articolo 2, commi 22 e 23.
Pare quindi inattuabile la valorizzazione dello 0,25 per cento dei periodi contributivi nel soppresso Fondo, che, comunque, pare opportuno ricordare, relativamente alle anzianità maturate fino al 31 dicembre 1994, hanno una aliquota di rendimento del 2,5 per cento, superiore, quindi, rispetto al 2 per cento di cui possono godere i lavoratori comuni.
Il Ministro del lavoro e delle politiche sociali: Roberto Maroni.

MASTELLA, OSTILLIO, LUIGI PEPE, CUSUMANO, PISICCHIO, POTENZA, MONTECUOLLO e MAZZUCA POGGIOLINI. - Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro dell'interno. - Per sapere - premesso che:
in vista dei prossimi impegni elettorali per le amministrative del 25 e 26 maggio 2003;
alla luce della disparità di valutazione nell'ammissione delle liste elettorali presentante in Friuli Venezia-Giulia, per cui alcune liste sono state ammesse mentre altre, con uguali requisiti, sono state respinte -:
se non ritengano, pur nella autonomia della regione friulana, di dare un criterio interpretativo sul numero di firme che debbono corredare la presentazione delle liste.
(4-06334)

Risposta. - Nella regione Friuli-Venezia Giulia, a seguito dell'abrogazione mediante referendum della legge regionale che disciplinava l'elezione del Consiglio Regionale, avvenuta il 29 settembre 2002, si applica, in virtù del disposto di una norma costituzionale transitoria che riguarda, tra l'altro, anche quella regione, la legge statale 23 febbraio 1995, n. 43 concernente «Nuove norme per la elezione dei consigli delle regioni a statuto ordinario».
Pertanto, prima di affrontare la vicenda sollevata dall'interrogante si reputa opportuno fornire il quadro normativo generale di riferimento che, in difformità alle disposizioni costituzionali vigenti, continua ad essere affidato alla normativa statale.
L'articolo 1, comma 3, ultimo periodo, di detta legge stabilisce che «in sede di prima applicazione della presente legge, il numero minimo delle sottoscrizioni previsto, per le liste regionali, ... e, per le liste provinciali, ... è ridotto alla metà».
Il successivo comma 12 disciplinava, inoltre, i termini di presentazione delle liste dei candidati portandoli, sempre in sede di prima applicazione della legge, a tempi più ravvicinati alle elezioni e precisamente dal 30o-29o giorno antecedente la votazione al 26o-25o giorno antecedente la votazione medesima.
Come è noto, peraltro, le liste elettorali debbono essere presentate, ai sensi degli articoli 8 e 9 della legge n. 108 del 17 febbraio 1968, alla cancelleria del tribunale nella cui giurisdizione è il comune capoluogo della provincia e gli eventuali ricorsi avverso l'eliminazione di liste o di candidati sono proposti presso la Corte di appello del capoluogo della regione ove è costituito l'Ufficio centrale regionale.
Venendo alla situazione specifica sollevata dalla S.V. On.le, l'orientamento della regione Friuli-Venezia Giulia e quello della Corte di Appello di Trieste, che funge da Ufficio centrale regionale, nonché dei tribunali


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di Trieste, Gorizia e Tolmezzo, che fungono da Uffici centrali circoscrizionali, è nel senso che le prossime elezioni amministrative non siano da considerarsi momento di prima applicazione della legge, essendo ormai la stessa in vigore da oltre otto anni.
Di diverso avviso sono i tribunali di Udine e Pordenone che sostengono la tesi della vigenza della suddetta norma in quanto trattasi di prima applicazione nel territorio della Regione Friuli-Venezia Giulia.
Tale diverso orientamento, sulla base di notizie acquisite in via informale, ha comportato un difforme atteggiamento valutativo ai fini della regolarità della presentazione delle liste per l'elezione del Consiglio Regionale.
In ordine al criterio interpretativo sul numero di firme che debbono corredare la presentazione delle liste, si è dell'avviso che la norma transitoria che parla di «prima applicazione» abbia già consumato i suoi effetti, sulla base della considerazione che la stessa ha già trovato applicazione in occasione della elezione dei Consigli delle Regioni a statuto ordinario, tenutesi nella primavera del 1995.
Nelle successive elezioni regionali dell'anno 2000, infatti, detta norma transitoria non ha più trovato applicazione.
Appare evidente che, argomentando «a contrariis», si verificherebbe una ipotesi di reviviscenza della predetta norma transitoria.
Detto questo, si precisa che l'avviso sopraesposto è stato già fornito agli operatori elettorali e, quindi, anche ai predetti organi giudiziari mediante diffusione di appositi opuscoli informativi che, come di consueto, sono predisposti da questa Amministrazione prima di ogni consultazione elettorale.
Appare superfluo rammentare, tuttavia, che l'avviso di questo Ministero, in qualsiasi forma espresso, non può avere carattere vincolante nei confronti delle autonome decisioni degli organi giudiziari cui la legge affida, in materia elettorale, precisi compiti di garanzia.
Il Ministro dell'interno: Beppe Pisanu.

MATTARELLA. - Al Ministro per le pari opportunità. - Per sapere - premesso che:
il Dipartimento per le pari opportunità ha promosso, ai sensi dell'articolo 18 del Testo unico sull'immigrazione (decreto legislativo n. 286 del 1998), il numero verde nazionale sulla Tratta attivo dal luglio 1998;
obiettivo di tale servizio è quello di offrire un supporto alle vittime della tratta e di contribuire conseguentemente alla lotta contro il traffico di esseri umani finalizzato allo sfruttamento sessuale;
tale servizio è stato articolato a livello regionale od interregionale con due differenti reti locali impegnate rispettivamente a ricevere le telefonate smistate dal centralino nazionale e ad intervenire per garantire alle donne vittime della prostituzione l'affrancamento dagli sfruttatori e l'applicazione dei benefici previsti dall'articolo 18 del Testo Unico;
al numero verde, attivo 24 ore su 24, sono pervenute dal luglio 2000 al settembre 2001 oltre 75.000 chiamate, alle quali sono seguiti diversi interventi di reinserimento realizzati dalle strutture di accoglienza;
nel corso dei mesi il numero verde ha realizzato una serie di reti territoriali di intervento, anche con l'ausilio delle forze dell'ordine e dei servizi sociali;
per tale servizio è prevista la scadenza del 31 dicembre 2001 e nessuna indicazione è ancora venuta dal Ministero competente sulla prosecuzione del servizio -:
se sia intenzione del Ministro interrogato promuovere la prosecuzione del servizio.
(4-01624)

Risposta. - In riferimento all'interrogazione in discorso e al quesito relativo alla


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prosecuzione del servizio del numero verde sulla tratta degli esseri umani a scopo di sfruttamento sessuale, si comunica che il servizio del numero verde è in funzione senza soluzione di continuità dalla data di attivazione.
Infatti, il contratto stipulato con la Telecom per l'attivazione del centro di accoglienza telefonica con numero verde centrale, che scadeva in data 31 dicembre 2001, è stato prorogato per il tempo necessario all'espletamento della gara europea per aggiudicare il servizio.
A seguito dell'esperimento della gara, il servizio è stato affidato alla società RTI Atesia, il relativo contratto scadrà in data 30 aprile 2005 (ai sensi della disciplina vigente alla data della pubblicazione del bando, il contratto è rinnovabile).
Le convenzioni con gli enti locali (regioni, province, comuni) per la gestione della postazione telefonica territoriale sono state rinnovate fino al 30 giugno 2003 e si prevede di prorogarle fino al 30 aprile 2005, data della scadenza del contratto relativo alla gestione della postazione centrale.
Il Ministro per le pari opportunità: Stefania Prestigiacomo.

MENIA. - Al Ministro della giustizia. - Per sapere - premesso che:
la città di Trieste, con il suo territorio, si sta rivelando sempre più zona «sensibile» alle problematiche afferenti l'ordine pubblico e la criminalità, in particolare quella transnazionale, al riguardo basterebbe pensare ai numerosi arresti e sequestri afferenti il traffico di droga e di armi, oppure la vergognosa tratta di nuovi schiavi, tant'è che la stessa procura distrettuale antimafia, attraverso diverse opportune esternazioni sugli organi di informazione, in particolare del suo capo ufficio, dottor Nicola Maria Pace, nonché dei vari sostituti, alcuni dei quali sono andati sempre più specializzandosi sui reati afferenti l'immigrazione clandestina ed alle organizzazioni di tipo mafioso che la realizzano, si sono ipotizzati significativi rischi di commissione di reati gravissimi, non ultimo anche quello di possibili espianti di organi umani per il mercato dei trapianti, utilizzando come «cavie» poveri disgraziati extracomunitari entrati illegalmente nel nostro Stato;
ogni qualvolta le operazioni investigative della procura distrettuale antimafia e/o della procura ordinaria colpiscono il segno, conseguentemente si realizzano nuovi copiosi ingressi di persone arrestate per gravissimi reati presso la locale struttura penitenziaria della casa circondariale di Trieste, talché quest'ultima, pensata probabilmente per un tipo di utenza ristretta di basso o medio livello si trova, costantemente, a gestire e governare una popolazione detenuta fortemente variegata, sempre più straniera e di religione musulmana, e per questo non conosciuta negli aspetti più profondamente criminologi, perché non precedentemente «testata» come quella locale e italiana in genere, in quanto i pregiudicati indigeni hanno sempre una loro storia che può, attraverso gli archivi penitenziari e delle forze dell'ordine, essere scorsa;
Trieste è sede di corte d'appello e di Tribunale di sorveglianza, giocoforza per cui la maggior parte dei detenuti ristretti in regione e anche oltre questa, sono tradotti presso il carcere della città giuliana per presenziare ai diversi gradi del processo e ai riti di sorveglianza, talché questa ulteriore circostanza determina, ancora una volta, un turnover di detenuti e un sovraffollamento della struttura penitenziaria predetta;
già da diversi anni i procuratori generali, nella loro relazione annuale, all'apertura dell'anno giudiziario, hanno lanciato un accorato allarme sullo stato di forte penuria di personale di polizia penitenziaria, sia maschile che femminile, che contraddistingue la casa circondariale di Trieste dove, sembrerebbe, ormai risulta essere prassi consolidata che nei turni notturni, ad esempio, non più di mezza dozzina o poco più di agenti sono tenuti a sorvegliare un numero soverchiante di detenuti, oltre i 220-230, con la concreta preoccupazione che, semmai a


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causa di un imprevisto piantonamento ospedaliero d'urgenza, il numero di agenti si riduca ulteriormente, con gravissimi rischi per la tenuta dell'ordine e della sicurezza del carcere e anche la direzione del carcere, con sempre maggiore frequenza, ha lanciato in tal senso un allarme, nella speranza di vedere significativamente soddisfatta l'esigenza, pubblica, fondamentale di rimpinguare seriamente la forza degli organici effettivi e presenti;
il carcere di Trieste, più di una volta, è stato interessato da manifestazioni di protesta collettiva, e ciononostante, grazie all'impegno dei suoi agenti e degli operatori penitenziari tutti, la situazione non è mai, fortunatamente, degenerata in atti di violenza verso chicchessia o verso beni dell'amministrazione -:
se non sia il caso di provvedere, con somma urgenza, all'assegnazione di un congruo numero di agenti di polizia penitenziaria, sia di sesso maschile che femminile, presso il carcere di Trieste, che risulta, da come hanno affermato anche alcune organizzazioni sindacali, le ultime in ordine di tempo la CISL-FP e l'UGL, estremamente insufficiente, determinando il serio rischio che possa, improvvisamente, sfuggire di mano la situazione alla direzione, agli agenti e a quanti sono deputati ad assicurare l'ordine e la serena convivenza;
se l'Amministrazione penitenziaria a livello centrale abbia suggerito, nell'attesa di nuove auspicabili assegnazioni di personale, eventuali soluzioni tampone e se abbia ritenuto di sensibilizzare la locale prefettura o gli altri organismi delle forze dell'ordine presenti, in particolare per affrontare in sicurezza i rischi che possono derivare dalla così sproporzionata presenza, nelle fasce orarie notturne, tra i detenuti e gli agenti effettivamente in servizio;
se l'Amministrazione penitenziaria, a livello ministeriale, abbia pensato e previsto al più presto di potenziare anche il numero di agenti in servizio presso il nucleo locale traduzioni e piantonamenti, oggi costantemente rinforzato da agenti sottratti dai servizi interni (con soppressione di posti di servizio importanti, quali quello delle sentinelle armate, della sorveglianza dei colloqui dei detenuti con avvocati e/o magistrati e/o altri operatori penitenziari), al fine di soddisfare le esigenze di giustizia (traduzioni di detenuti su tutto il territorio nazionale, partecipazione degli imputati ai processi, accompagnamenti presso gli ospedali, piantonamento dei ricoveri ospedalieri, accompagnamento di detenuti minori, traduzione per gli arresti domiciliari, notifiche di atti giudiziari, eccetera);
se non sia opportuno anche assegnare un numero maggiore di educatori per adulti, posto che risulta vi lavorino soltanto 2 educatori su una popolazione detenuta che supera ordinariamente, le 220-230 unità e dove operano soltanto due ragionieri ove un tempo ce ne erano almeno 3, con un solo direttore penitenziario e un collaboratore di istituto penitenziario, mentre almeno un altro di quest'ultimo profilo sarebbe necessario;
se non sia il caso che lo stesso dipartimento dell'amministrazione penitenziaria indichi alla direzione della casa circondariale di Trieste, ma lo stesso varrebbe per le altre carceri, quali sono i posti di servizio h.24 inderogabili, talché sia chiaro per tutte le Direzioni, i sindacati del personale di polizia penitenziaria e gli stessi agenti, quali vadano necessariamente «coperti», anche al fine di evitare il sorgere di «guerre tra i poveri», posto che ogni posto fisso da presidiare per 24 ore comporta un utilizzo minimo di 7 persone (4 per turni di sei ore, oltre che 1 per i congedi ordinari, 1 per le malattie, 1 per i riposi settimanali).
(4-02387)

Risposta. - Con riferimento all'interrogazione in oggetto indicata, si rappresenta che il personale della casa circondariale di Trieste ammonta a n. 124 unità, a fronte delle 159 previste in organico.
La competente Direzione generale del Dipartimento dell'amministrazione penitenziaria ha provveduto ad inviare, presso


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detta sede, 3 unità in occasione delle assegnazioni del 73o corso di formazione per allievi agenti.
Per quanto concerne la problematica della «copertura» dei posti di servizio, è noto che le esigenze di sicurezza non consentono di scendere al di sotto di dati livelli minimi; tuttavia, assicurati questi, ciascuna Direzione, di concerto con le organizzazioni sindacali, può concordare una diversa distribuzione dei presidi.
Per quanto concerne le problematiche dell'area educativa e di quella organizzativa si rappresenta, che pur consapevoli delle difficoltà operative che la carenza di tali figure determina, non è possibile, allo stato, potenziare l'organico dell'istituto, le cui esigenze saranno tenute in debita considerazione non appena potranno essere disposte nuove assunzioni di personale.
Si ritiene opportuno sottolineare che, in tal senso, si è già provveduto a segnalare al Dipartimento della Funzione Pubblica la necessità di avviare le procedure concorsuali per 557 posti dei profili professionali dell'area C1, in deroga al divieto di assunzione a tempo indeterminato attualmente vigente.
Nelle more, inoltre, sono state intraprese iniziative straordinarie quali procedimenti di mobilità ed assunzioni temporanee per la copertura di ulteriori 279 posti.
Il Ministro della giustizia: Roberto Castelli.

MESSA, RICCIO, LA STARZA, MEROI, ZACCHEO, ZACCHERA, CIRIELLI, FOTI, AIRAGHI, ALBONI, GIORGIO CONTE, NESPOLI, CORONELLA, ARRIGHI, MAGGI, BELLOTTI, DELMASTRO DELLE VEDOVE, GHIGLIA, PATARINO, VILLANI MIGLIETTA, PEZZELLA, SCALIA, FRANZ e BRIGUGLIO. - Al Ministro dell'interno. - Per sapere - premesso che:
il giorno 12 novembre 2001 il prefetto di Roma, con nota prot. 14668/1335/2000, inviava al comune di Guidonia Montecelio una nota in forza della quale, sollecitato da alcuni consiglieri comunali dell'opposizione, comunicava che un consigliere comunale di maggioranza, eletto nelle fila della casa delle Libertà, verserebbe in condizione di incompatibilità in quanto assessore esterno presso il piccolo comune di Sant'Angelo Romano;
il prefetto ricavava tale sua convinzione dal «combinato disposto» dell'articolo 47, terzo comma, del decreto legislativo 267 del 2000 e dell'articolo n. 65, secondo comma, della medesima legge e comunicava di restare in «attesa di conoscere le determinazioni assunte al riguardo»;
l'esponente, quale consigliere comunale del comune di Guidonia Montecelio rappresentava al prefetto dal un lato che il nostro ordinamento non consentiva interpretazioni estensive delle cause di ineleggibilità e incompatibilità in quanto tassativamente previste dalla legge, da un altro lato che il consiglio comunale aveva a suo tempo convalidato l'elezione del consigliere ed infine che l'articolo n. 70 del decreto legislativo 267 del 2000, riservava al solo giudice ordinario la cognizione di tali questioni, giudice ordinario al quale sia il prefetto, sia ogni avente diritto, poteva ben rivolgersi;
il legislatore peraltro recependo nell'articolo n. 64 del decreto legislativo 267 del 2000 della legge n. 81 del 1993 «Incompatibilità tra consigliere comunale, provinciale e assessore» ha inteso aggiungere nel titolo la precisazione «nella rispettiva giunta», con ciò volendo eliminare ad avviso dell'interrogante qualsiasi dubbio in proposito;
con ulteriore nota del 5 dicembre 2001 prot. 14668/1135/2000, il capo di gabinetto del prefetto, senza rispondere all'esponente, chiedeva perentoriamente al presidente del consiglio comunale di conoscere le determinazioni assunte dal comune con riferimento alla prima nota prefettizia «con la quale è stata rilevata la condizione di incompatibilità del consigliere Umberto Di Pietro», quasi che possa essere il prefetto a rilevare una condizione di incompatibilità;


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di più: il prefetto medesimo in data 27 novembre 2001 scriveva al sindaco di Sant'Angelo Romano, comune presso il quale il Di Pietro svolge la funzione di assessore esterno e, allo scopo di rafforzare l'ipotesi di incompatibilità, affermava che tale posizione sarebbe stata conforme al consolidato orientamento giurisprudenziale, citando a sproposito una sentenza della Corte di Cassazione (2490/2000) che invece riguarda proprio la fattispecie opposta e cioè l'incompatibilità tra la carica di consigliere ed assessore nella stessa giunta e non già, come pare far capire il prefetto, il caso di consigliere comunale ed assessore esterno in due enti differenti -:
se un prefetto possa intervenire nei modi e termini sopra descritti in materia di incompatibilità ovvero se, come allo scrivente pare più verosimile, tale funzione spetti solo al giudice ordinario ex articolo 70 del decreto legislativo 267 del 2000;
se il comportamento del prefetto di Roma possa ritenersi conforme alla legge ovvero si tratti di una indebita intrusione nei poteri spettanti al consiglio comunale ed, in seconda istanza, al giudice ordinario.
(4-01653)

MESSA. - Al Ministro dell'interno. - Per sapere - premesso che:
in data 12 dicembre 2001 l'esponente presentava unitamente ad altri ventitré deputati l'interrogazione 4-01653 relativa al comportamento degli uffici del prefetto di Roma che, in linea con un'azione di sindacato ispettivo di un senatore, inopinatamente e senza alcun fondamento giuridico, tentavano di causare la decadenza di un consigliere comunale del comune di Guidonia Montecelio;
a tale interrogazione, nonostante il tempo trascorso e nonostante fosse stata sottoscritta da ventiquattro deputati, l'esponente non ha mai ricevuto risposta;
risulta all'interrogante che in data 13 febbraio 2003 il prefetto di Roma richiedeva informazioni al comune di Guidonia in merito ad una interrogazione presentata dal medesimo senatore solo il 30 gennaio precedente, peraltro su una vicenda assolutamente nota alla prefettura ed anche in questo caso relativa ad una ipotesi di decadenza di un consigliere comunale di maggioranza, in forza di una interpretazione non condivisibile delle norme di legge ed a favore di un soggetto nei cui confronti pendono giudizi penali e civili con richiesta di danni da parte del comune -:
se risponda al vero quanto risulta all'interrogante e per quali motivi non sia stato dato, invece, seguito all'interrogazione n. 4-01653 citata in premessa.
(4-05534)

Risposta. - La questione sollevata dall'interrogante riguarda una situazione di incompatibilità derivante dal combinato disposto degli articoli 47, commi 3 e 4, e 65, comma 2, del decreto legislativo n. 267 del 2000, di un consigliere del comune di Guidonia Montecelio, in provincia di Roma, che ricopre anche la carica di assessore presso il comune di S. Angelo Romano, sito nella stessa provincia.
Tale situazione è stata evidenziata, nel novembre del 2001, dal Prefetto di Roma sia al comune di Guidonia Montecelio sia a quello di S. Angelo Romano, sulla base di un orientamento applicativo confermato anche dalla giurisprudenza.
La legge n. 81 del 1993 (e ora il citato testo unico approvato con decreto legislativo n. 267 del 2000) attribuisce al sindaco un ampio potere nella scelta e nella nomina dei componenti la giunta comunale, chiamati a collaborare con lui alla realizzazione degli indirizzi generali di governo; e che il provvedimento di nomina degli assessori non è soggetto ad alcun sindacato da parte del consiglio, al quale spetta discutere e approvare le proposte programmatiche del sindaco, senza alcuna possibilità di controllo e interferenza nella nomina degli assessori.
La stessa legge, attribuendo al sindaco il citato potere, ne ha, al contempo, delimitato l'ambito di esercizio, stabilendo che la nomina


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degli assessori non facenti parte del consiglio deve essere effettuata «fra i cittadini in possesso dei requisiti di compatibilità ed eleggibilità alla carica di consigliere» (articolo 23, comma 3, della legge n. 81 del 1993, ora articolo 47, comma 3, del decreto legislativo n. 267 del 2000).
Pertanto, poiché ai sensi del comma 2 dell'articolo 65 del decreto legislativo n. 267 del 2000 la carica di consigliere comunale è incompatibile con analoga carica presso altro comune, deve ritenersi che, ai sensi del combinato disposto degli articoli 47, commi 3 e 4, e 65, comma 2, del decreto legislativo n. 267 del 2000, non possa essere nominato assessore, anche esterno, chi già ricopre la carica di consigliere presso un altro comune.
Tornando ai quesiti posti dall'interrogante, si rileva che l'iniziativa del Prefetto di Roma va inquadrata nell'ambito della specifica prerogativa prevista dall'articolo 70 del citato testo unico che attribuisce allo stesso la facoltà di promuovere l'azione rivolta alla decadenza dalla carica di sindaco, presidente della provincia, consigliere comunale, provinciale o circoscrizionale.
In ragione di ciò, il rappresentante del Governo ha ritenuto opportuno, ispirandosi al principio di leale collaborazione interistituzionale, porre all'attenzione degli enti territoriali interessati una situazione che avrebbe potuto causare ripercussioni in ordine alla vita istituzionale di quegli enti.
Successivamente, il Consiglio comunale di Guidonia Montecelio, con la deliberazione consiliare n. 119 del 28 dicembre 2001, esercitando la sua piena autonomia, ha respinto la mozione presentata dall'opposizione sulla verifica della citata ipotesi di incompatibilità e ha legittimamente deciso di rinviare ogni ulteriore determinazione all'esito dell'eventuale giudizio «che qualunque interessato potrà promuovere ai sensi dell'articolo 70 del decreto legislativo n. 267 del 2000».
Il Sottosegretario di Stato per l'interno: Antonio D'Alì.

MESSA. - Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. - Per sapere:
se corrisponda al vero che corte dei conti, abbia fatto rilevare la «posizione dominante» della società Autostrade e la mancata effettuazione di «investimenti obbligatori»;
in caso di risposta affermativa, quali iniziative siano state assunte in merito dall'ente nazionale per le strade per assicurare il rispetto di tali obblighi;
se non intenda accertare eventuali responsabilità, circa il mancato o carente controllo sull'attività svolta dalla società Autostrade, da parte dell'ANAS.
(4-04703)

Risposta. - L'Anas S.p.A. ha fatto conoscere che, relativamente alla asserita posizione dominante della Società Autostrade nel settore autostradale ha già fornito chiarimenti e precisazioni al Magistrato della Corte dei conti delegato al controllo Anas.
L'Anas precisa che le attività di controllo e di vigilanza di competenza della società attengono esclusivamente al rapporto concessorio in essere, restando esclusi i profili che sono e restano di carattere societario, come tali regolati e sanzionati dal codice civile e dalle autorità di regolazione a ciò preposte:
Antitrust, Autorità garante per le telecomunicazioni, Autorità per la vigilanza sui lavori pubblici, Consob, alle quali, pertanto, le singole operazioni vanno comunicate e dalle quali si ottengono, con apposite deliberazioni, o il parere favorevole ovvero la specifica sanzione.
All'Anas compete, infatti, l'attività di vigilanza e controllo sulle concessionarie autostradali, in attuazione delle norme di legge che regolano l'Anas stessa e l'attività delle società e degli accordi dedotti nelle convenzioni.
A tal fine, l'Anas ha emanato la circolare n. 5442 in data 15 novembre 2000 che disciplina in maniera puntuale ed analitica gli obblighi posti a carico delle concessionarie al fine di consentire l'esercizio della vigilanza e dei controlli di competenza, anche ai sensi dell'articolo 19 della legge 136/99.


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Detta circolare impone alle concessionarie obblighi di comunicazione riferiti agli aspetti del rapporto concessorio con cadenza trimestrale, per fornire tutti gli elementi per un controllo puntuale ed attento ed un monitoraggio costante finalizzato all'osservanza degli obblighi convenzionali di tutte le società concessionarie.
Le attività di vigilanza e di controllo dell'Anas si esplicano, in via generale, attraverso l'emanazione di direttive alle società concessionarie con le quali si disciplinano gli obblighi a carico delle società stesse, al fine di consentire l'esercizio del potere-dovere di controllo.
Inoltre, l'Anas designa propri componenti nei collegi sindacali e/o consiglieri di amministrazione; all'interno, quindi, degli organi societari. Per coordinare l'attività dei componenti di nomina Anas in seno ai collegi sindacali o al consiglio di amministrazione, è stato istituito, fin dal 1997, l'Ufficio affari societari presso la Direzione centrale autostrade e trafori. Detto ufficio ha compiti di coordinamento, informazione, verifica ed emanazione di istruzioni e/o direttive oltre che di segnalazione dei fatti di rilievo.
Allo scopo, ogni componente Anas in seno ai predetti organi societari ha l'obbligo di comunicazione preventiva e di relazione all'esito delle riunioni collegiali e, comunque, di informativa costante e puntuale; informativa che, in particolare, concerne i lavori previsti nei piani di manutenzione attraverso l'esame e l'istruttoria, in linea tecnica, dei medesimi da parte degli Uffici speciali autostrade cui compete anche, con le modalità e nei limiti previsti dagli strumenti convenzionali, la verifica
in loco.
Si fa, infine, presente che, a seguito del decreto legge 138/2002, convertito in legge 178/2002, l'Ente Nazionale delle Strade è stato trasformato in società per azioni concessionaria della rete autostradale e stradale di interesse nazionale. La convenzione di concessione che regola i rapporti tra Ministero delle infrastrutture e trasporti e Anas S.p.A. prevede, comunque, un accresciuto potere di controllo e vigilanza da parte del Ministero sulle attività della società stradale a garanzia della volontà del Governo dell'effettivo conseguimento degli obiettivi di natura pubblicistica assegnati all'Anas.
Il Viceministro delle infrastrutture e dei trasporti: Ugo Martinat.

MESSA. - Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. - Per sapere:
se non ritenga oltremodo oneroso l'aumento del pedaggio, di circa il 30 per cento, dell'autostrada A/24 Roma-L'Aquila;
se non ritenga che tale aumento penalizzi in particolare gli automobilisti dell'hinterland tiburtino che utilizzano il tratto Tivoli-Roma quale alternativa, a pagamento, alla sempre più congestionata ex strada statale tiburtina;
quali iniziative intenda attivare per riportare gli aumenti nella media di quelli applicati sulla rete autostradale nazionale;
se non ritenga opportuno verificare la possibilità di liberalizzare il tratto dell'A/24 compreso tra Tivoli e Roma diventato, in pratica, un'arteria urbana alternativa alla viabilità locale.
(4-05019)

Risposta. - In riferimento all'interrogazione in discorso, si forniscono i seguenti elementi di risposta comunicati dall'Anas S.p.A.
In data 29 novembre è stato pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale il bando di gara per l'affidamento, a mezzo licitazione privata, della concessione di gestione delle autostrade A24 e A25. Tale concessione è stata aggiudicata il 1o ottobre 2001 all'A.T.I Autostrade Spa-Toto Spa. La Convenzione prevede, tra l'altro, notevoli investimenti finalizzati al miglioramento degli
standard di sicurezza e della qualità del servizio offerto agli utenti. Per garantire la realizzazione di questo programma ed assicurare l'equilibrio economico del piano finanziario la società aggiudicataria ha offerto in sede di gara un incremento tariffario, legato al parametro X della formula del price cap


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per i primi tre anni di concessione, pari al 50 per cento a partire dal gennaio 2002. Tale incremento tariffario è risultato inferiore rispetto alle offerte presentate da altri concorrenti, che prevedevano incrementi tariffari oscillanti tra l'83 e l'85 per cento.
Al fine di salvaguardare la continuità del servizio ed il rispetto dei contenuti tecnici, economici e finanziari dell'offerta presentata in sede di gara, è stato quindi convenuto di fissare alla data del 1o gennaio 2003 il passaggio al nuovo concessionario della gestione delle autostrade A24 e A25 facendo decorrere il primo anno di concessione dal 2003.
Pertanto, rispetto alle tariffe applicate fino al 31 dicembre 2002, con il 1o gennaio 2003 si è registrato un incremento dovuto al tasso di inflazione programmata per lo stesso anno, al parametro X della formula del
price cap ed all'applicazione dei sovraprezzi dovuti per legge allo Stato, oltre che dall'IVA. In ogni caso, confrontando le tariffe unitarie distinte per classi applicate sulle autostrade A24 e A25 dal 1o gennaio 2003 con le tariffe applicate da altre autostrade con medesime caratteristiche di montagna emerge che le prime risultano inferiori in media del 40 per cento.
Il Viceministro delle infrastrutture e dei trasporti: Ugo Martinat.

MESSA, MAGGI, CORONELLA, BELLOTTI, RICCIO, CARRARA e ARRIGHI. - Al Ministro dell'interno, al Ministro per la funzione pubblica, al Ministro della giustizia. - Per sapere - premesso che:
nell'agosto del 2001 in forza di una sentenza della Corte di Appello di Roma, conforme alla precedente pronuncia del Tribunale di Roma, il Consiglio Comunale di Guidonia Montecelio dichiarava il consigliere comunale Domenico De Vincenzi decaduto dalla carica per accertata incompatibilità, contestualmente provvedendo a surrogare nella carica e nelle funzioni il primo dei non eletti nella persona del signor Giancarlo Pascucci e tale delibera non veniva mai impugnata dall'interessato;
successivamente sulla scorta della modifica legislativa che escludeva tra le cause di incompatibilità la mera costituzione di parte civile in procedimento penale non ancora definito, la Corte di Cassazione, cui nelle more si era rivolto il De Vincenzi impugnando la sentenza della Corte di Appello dichiarava non più incompatibile il De Vincenzi;
da qui si apriva una diatriba tutta tecnica e politica tra coloro che sostenevano che dalla sentenza della Cassazione dovesse automaticamente discendere l'estromissione del Pascucci a suo tempo subentrato al De Vincenzi e coloro che invece sostenevano che, non essendo mai stata impugnata la delibera di consiglio che aveva stabilito il subentro del primo dei non eletti, quest'ultimo non potesse essere dichiarato decaduto a favore del De Vincenzi senza una specifica pronuncia di un giudice di merito al quale ben poteva rivolgersi chi ne avesse avuto interesse;
in data 30 dicembre 2002, dopo diverse riunioni andate deserte il consiglio comunale, a scrutinio segreto, votava contro la proposta di decadenza del Pascucci e di reintegro del De Vincenzi;
nelle more era divenuto cosa giudicata la sentenza del Tribunale Civile di Roma n. 5735/02 che accertava e dichiarava «la falsità della delibera di giunta n. 1655 del 30 novembre 1989, pubblicata il 9 aprile 1990, siccome non proveniente dalla giunta municipale del comune di Guidonia Montecelio ordinandone la cancellazione totale» contenente una variazione di bilancio in entrate per lire 1.500.000.000;
sulla base di tale falsa delibera, cui risultava aver partecipato come vice sindaco il De Vincenzi, quest'ultimo nei mesi immediatamente successivi, personalmente aveva disposto pagamenti a terzi non aventi titolo, per svariate centinaia di milioni dell'epoca, così cagionando all'ente danni di rilevante entità;
la giunta comunale, dunque con delibera 274/2002, acquisito un parere da un


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legale esterno, deliberava di promuovere una azione risarcitoria nei confronti del De Vincenzi;
sul quotidiano Il Messaggero di Roma, nelle pagine dedicate all'area metropolitana dei giorni 22, 27 e 28 gennaio 2003, è dato ampio e particolareggiato risalto ad una indagine della Guardia di Finanza di Tivoli sul comune di Guidonia Montecelio sulla vicenda sopra rappresentata;
in detti articoli, non smentiti dagli investigatori, si parla di persone indagate per non aver disposto la riammissione in consiglio comunale del De Vincenzi nonostante il fatto (smaccatamente falso, ad avviso dell'interrogante) che la Cassazione ne avesse disposto l'immediato reintegro, di delibere di consiglio comunale sulle quali si starebbe indagando perché potrebbero essere nulle a seguito della mancata riammissione del De Vincenzi, di indagini per abuso di ufficio e di indagati che sarebbero convocati, peraltro senza difensore, negli uffici della Guardia di finanza di Tivoli;
ciò che lamenta l'interrogante è la divulgazione di certo pilotata di notizie che dovrebbero rimanere allo stato riservate e che invece, opportunamente veicolate e commentate attraverso gli organi di informazione, generano preoccupazione tra dipendenti ed amministratori, i quali ultimi si vedrebbero addirittura sindacare dagli investigatori nella libertà di voto e di coscienza e si vedono rappresentare chissà quali catastrofiche conseguenze per non aver votato il reintegro del De Vincenzi (ma è forse la Guardia di finanza di Tivoli a dover interpretare una sentenza della cassazione o non piuttosto un giudice di merito cui il diretto interessato si sarebbe guardato bene di rivolgersi);
il tenore degli articoli richiamati non consente di nutrire dubbio alcuno sul fatto che le notizie siano state fornite da ambienti vicini agli investigatori: non si spiegherebbe altrimenti il fatto che il giornale abbia addirittura potuto anticipare il giorno e l'orario delle convocazioni delle persone informate sui fatti, fornendo particolari tecnici sulle ipotesi di reato perseguite dalla Guardia di finanza di Tivoli;
sul punto appare peraltro gravissimo ed intollerabile all'interrogante il fatto che la Guardia di finanza di Tivoli, anziché indagare sulla famigerata delibera dichiarata falsa con sentenza passata in giudicato del Tribunale di Roma, scelga invece di indagare su chi abbia «osato» richiedere i danni subiti dall'ente a persona per anni ritenuta «intaccabile»;
ad avviso dell'esponente il fatto che la Guardia di finanza di Tivoli pare ritenere di poter sindacare la libertà e l'autonomia di un consiglio comunale, favorendo ancorché forse inconsapevolmente la divulgazione del contenuto di indagini riservate, intimorendo nei fatti dipendenti ed amministratori, ipotizzando (prima di rappresentarli ad un giudice) reati inesistenti e sfiorando addirittura un conflitto di attribuzioni, può determinare, come è già accaduto per come appresso si dirà, una crisi istituzionale per il comune di Guidonia ove gli amministratori non hanno più la serenità per poter svolgere il mandato ricevuto dai cittadini;
ciò che peraltro è ancor più intollerabile è rappresentato dal fatto che gli organi di informazione affermano che la Guardia di finanza di Tivoli, (e ciò per il vero pare assai improbabile) anziché attendere una eventuale ed improbabile sentenza di un giudice civile od amministrativo che annulli la delibera del consiglio comunale (evidentemente invisa a molti interessati), anticipi tale futuribile giudizio terrorizzando amministratori e dipendenti sulle possibili conseguenze di atti in futuro eventualmente dichiarati nulli;
la pubblicità data alle indagini e le notizie riportate dai giornali (si ripete non smentite dagli investigatori) sembrano all'interrogante costituire una inammissibile pressione al consiglio comunale tesa a far rientrare per chissà quale motivo il De Vincenzi nonostante il Consiglio sia di diverso parere e nonostante la sussistenza di ulteriore gravissimo motivo di incompatibilità, sul quale a giorni dovrà nuovamente pronunciarsi il consiglio;


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peraltro già nel febbraio e marzo del 2001 una violentissima campagna di stampa orchestrata sul Messaggero e sui periodici locali Tiburno e Nord Est, divulgava l'esistenza di una indagine della medesima Guardia di finanza di Tivoli (per quanto è dato sapere poi conclusa con un nulla di fatto), fornendo particolari e paventando immediati arresti, tanto da causare le dimissioni immotivate di tre assessori (un medico, un ingegnere ed un commercialista) preoccupati da quelle notizie mai smentite dagli investigatori e causando una crisi istituzionale di qualche mese -:
se non intenda procedere ad un'inchiesta amministrativa per accertare eventuali responsabilità disciplinari per la divulgazione delle notizie esposte in premessa;
se non si intenda emanare una circolare interpretativa volta a chiarire, nel caso di sentenza che accerti la mancata incompatibilità di un consigliere comunale già dichiarato incompatibile, le modalità per il suo eventuale reintegro nell'ipotesi nella quale nel frattempo altro consigliere gli sia subentrato con delibera di consiglio comunale non impugnata nei termini;
quale sia la sorte delle delibere assunte dal Consiglio comunale;
se il voto del consiglio comunale sulla reintegra sia censurabile dal giudice penale.
(4-05259)

Risposta. - In merito al mancato reintegro di un amministratore del comune di Guidonia Montecelio (RM) Domenico De Vincenzi - dichiarato decaduto dalla carica con sentenza del Tribunale di Roma confermata in appello e successivamente annullata dalla Corte di Cassazione - si rappresenta che lo stesso era stato dichiarato incompatibile a seguito della costituzione di parte civile del Comune in un procedimento penale instaurato nei suoi confronti, ai sensi dell'allora vigente articolo 3 n. 4 della legge n. 154 del 1981 e quindi, con delibera del Consiglio Comunale, era stato surrogato con il primo dei non eletti della medesima lista, signor Giancarlo Pascucci.
In sede di ricorso per Cassazione, la Suprema Corte, a seguito della novella dell'articolo 3 della legge n. 75 del 2002, cassando la citata sentenza della Corte d'appello, ha successivamente dichiarato l'insussistenza, nei confronti del De Vincenzi, della predetta causa di decadenza.
Al riguardo si ritiene di evidenziare che in presenza della intervenuta sentenza della Corte di cassazione, la quale, decidendo nel merito, «ha escluso la decadenza del De Vincenzi dalla carica di Consigliere del comune di Guidonia Montecelio», la decisione del Consiglio non può che essere vincolata all'adozione degli adempimenti consequenziali alla predetta sentenza, senza alcun margine di discrezionalità. Si rileva, infatti, che la Corte di Cassazione, in materia elettorale, giudica anche nel merito, con emissione di immediata declaratoria eseguibile dall'autorità amministrativa (nella fattispecie il Consiglio Comunale), la quale ha l'obbligo di uniformarsi.
Sulla questione la Prefettura di Roma - UTG, ispirandosi al principio di leale collaborazione interistituzionale, ha richiamato l'attenzione dell'Amministrazione sull'obbligo di conformarsi al giudicato della Suprema Corte, richiamando l'attenzione, in caso di inadempienza, su di una situazione che avrebbe potuto causare ripercussioni sulla vita istituzionale dell'ente stesso.
Per quanto riguarda la presunta ulteriore causa di incompatibilità segnalata, sopravvenuta alla decisione della Corte di cassazione, si evidenzia che, per il radicarsi della pendenza della lite, occorre che il rapporto processuale sia costituito fra le parti e che quindi sia intervenuto un atto di citazione regolarmente notificato alla controparte. Inoltre, le cause di incompatibilità, siano esse originarie o sopravvenute, non comportando l'automatica decadenza possono essere sanate in ogni tempo; è stato quindi rilevato che le stesse devono essere contestate secondo la procedura definita dall'articolo 69 del Decreto Legislativo 267/2000.
Alla luce di quanto sopra, si ritiene che l'ulteriore causa di incompatibilità prospettata


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non possa impedire l'esecuzione della richiamata sentenza della Corte di cassazione.
Riguardo l'indagine condotta dalla Guardia di Finanza si rappresenta che nei mesi di novembre e dicembre u.s. il consigliere comunale in questione ha presentato, presso il Comando Compagnia di Tivoli, due denunce scritte nei confronti di ignoti, concernenti il suo mancato reintegro in seno al Consiglio comunale di Guidonia Montecelio (Roma), per inottemperanza della sentenza emessa dalla Corte di cassazione.
Le denunce venivano inoltrate alla locale autorità giudiziaria che conferiva al Comandante del citato reparto specifica delega di indagini. Nell'esecuzione di tali attività delegate sono stati formalmente convocati alcuni amministratori e dipendenti del Comune in argomento in qualità di persone informate sui fatti e non di indagati al fine di consentire l'esatta ricostruzione delle circostanze lamentate in denuncia.
Tutte le notizie apparse nell'ambito della campagna di stampa concernente i fatti sono state puntualmente rappresentate all'autorità giudiziaria procedente che non ha riscontrato alcunché di anomalo.
Riguardo poi alla condotta tenuta dal comune di Guidonia si evidenzia, per completezza di informazioni, che con nota in data 18 febbraio 2003, il Presidente del Consiglio comunale ha fornito alcuni chiarimenti, sostenendo che, per tre volte, l'argomento della surroga del Consigliere Giancarlo Pascucci con il De Vincenzi è stato posto all'ordine del giorno del Consiglio, ma per due volte è mancato il numero legale ed al terzo consiglio, in seconda convocazione, la proposta di surroga è stata respinta a maggioranza dei voti, con delibera n. 86/2002.
In merito, lo stesso Presidente ha precisato che in tale ultima seduta ben diciassette consiglieri comunali si sono allontanati dall'aula (tra questi l'intera opposizione), consentendo, di fatto, che la proposta venisse respinta.
La maggioranza consiliare nella circostanza ha ritenuto che la sentenza della Cassazione che, in forza dello
jus superveniens, ha escluso la decadenza del De Vincenzi (nonostante penda nei confronti dello stesso un procedimento penale per gravi reati contro la Pubblica Amministrazione e relativa costituzione di parte civile da parte del comune di Guidonia) non sia da sola sufficiente a consentire, senza una specifica pronuncia di un giudice di merito, di dichiarare la decadenza del Consigliere Comunale Giancarlo Pascucci, a suo tempo legittimamente subentrato al De Vincenzi con delibera 60 del 7.9.2001, mai impugnata dall'interessato.
Come già detto non si concorda con tale orientamento, dal momento che il quadro interpretativo della materia risulta esaustivamente definito sulla base della richiamata giurisprudenza.
Il Sottosegretario di Stato per l'interno: Antonio D'Alì.

MINNITI. - Al Ministro dell'interno. - Per sapere - premesso che:
le cronache testimoniano con sempre maggiore frequenza un preoccupante intensificarsi, nella città di Reggio Calabria, di intimidazioni ed attentati, cosa, del resto, già emersa con forza nelle recenti audizioni della Commissione parlamentare antimafia;
episodi di natura criminosa si susseguono con impressionante frequenza e costituiscono grave danno non solo alla economia e alla libertà di impresa, ma alla stessa convivenza civile e alla sicurezza dei cittadini, come è fra l'altro testimoniato dalla autorevole presa di posizione della conferenza episcopale calabrese;
l'ultimo di tali episodi, una bomba fortunatamente inesplosa, ai danni dell'istituto diagnostico diretto dal dottor Lamberti Castronuovo assume una particolare gravità. Esso prende di mira, infatti, un centro diagnostico medico di altissima qualificazione, che dà lavoro a più di un centinaio di persone ed è diretta da un imprenditore noto in città non solo per le sue qualità professionali e manageriali, ma anche per il suo impegno civile e amministrativo


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a favore di Reggio Calabria e del suo sviluppo -:
quali iniziative immediate il Governo intenda assumere per il potenziamento della capacità di intervento degli apparati dello Stato per il controllo del territorio nella città di Reggio Calabria, al fine di ripristinare, accettabili condizioni di serenità tra gli imprenditori e di sicurezza per i cittadini.
(4-04174)

Risposta. - Rispondendo all'interrogazione parlamentare presentata, si comunica che il 9 ottobre 2002 è stato rinvenuto a Reggio Calabria, davanti all'ingresso dell'Istituto Clinico De Biasi s.r.l., un rudimentale ordigno esplosivo il quale, nonostante l'accensione della miccia a lenta combustione che ha provocato il danneggiamento della porta, è rimasto inesploso.
Titolare dell'Istituto è il dottor Eduardo Lamberti Castronuovo, già Assessore comunale nella precedente amministrazione cittadina, medico ed editore di una rete televisiva locale.
La Squadra mobile di Reggio Calabria che sta svolgendo le indagini del caso, pur senza trascurare alcuna ipotesi investigativa, non esclude che il fatto delittuoso possa essere riconducibile a matrice estorsiva.
L'episodio si colloca nel contesto di un effettivo incremento del numero di atti intimidatori mediante attentati dinamitardi ed incendiari nella provincia reggina, passati dai 180 del 2001 ai 196 del 2002 e collegati, prevalentemente, al fenomeno delle estorsioni.
La recrudescenza di tale fenomeno è posta dagli investigatori in collegamento con la criminalità organizzata locale, il cui radicamento nel territorio tende ad occupare spazi sempre più diffusi, al fine di incrementare i traffici illeciti e condizionare anche le scelte degli amministratori locali.
L'azione di contrasto rispetto al fenomeno degli attentati notturni in danno di commercianti ed esercizi pubblici reggini ha indotto le Forze di polizia ad intensificare i controlli nei confronti di appartenenti alle cosche locali, sui quali sono in corso mirate investigazioni.
Va evidenziato che l'impegno investigativo ha prodotto apprezzabili risultati che hanno portato, nel mese di gennaio, all'arresto di tre persone ritenute responsabili del reato di associazione a delinquere finalizzata all'estorsione ed all'usura e, nell'intero ambito regionale, all'arresto di diverse decine di affiliati alle locali organizzazioni mafiose dedite soprattutto, alle estorsioni.
Particolare impulso è stato dato all'attività di prevenzione che a Reggio Calabria ha visto raddoppiare il numero delle volanti ed un'intensificazione dell'attività di controllo con il sostegno dei Reparti di prevenzione crimine.
Sono stati attuati, inoltre, alcuni interventi di aggiornamento tecnologico, come la realizzazione della nuova Sala operativa della Questura, con interconnessione con le sale operative delle altre Forze di polizia, l'attivazione della radiolocalizzazione delle autovetture e del sistema di videoconferenza.
Sempre sotto il profilo della prevenzione generale, sono stati adottati numerosi strumenti di programmazione negoziata con l'Amministrazione locale, gli Enti economici e l'imprenditoria locale, finalizzati a sostenere lo sviluppo economico della provincia anche con misure di tutela della sicurezza pubblica.
Ciò premesso, non si può non rilevare che il forte radicamento della criminalità organizzata nel territorio reggino costituisce, nonostante il positivo impegno delle Forze di Polizia e della Magistratura, un dato di perdurante allarme sociale.
Le autorevoli prese di posizione della «Conferenza episcopale calabrese» sul fenomeno mafioso e sul rischio di un «abbassamento di attenzione», testimoniano il crescente disagio sociale derivante dalle precarie condizioni di sicurezza che, storicamente, interessano la città.
Le problematiche della sicurezza nel capoluogo sono state affrontate il 23 gennaio scorso dal Comitato per l'ordine e la sicurezza pubblica di Reggio Calabria, al quale lo scrivente ha partecipato unitamente alle Autorità di Pubblica Sicurezza, ai vertici provinciali delle Forze di polizia,


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ai Procuratori della Repubblica ed agli Amministratori locali.
È stato sottolineato in quella sede che, seppure nel contesto di una contrazione della delittuosità in genere nella città e nell'intera provincia, il fenomeno degli atti intimidatori appare in significativo aumento, mentre l'attività delle Forze di polizia incontra il tradizionale ostacolo costituito dalla scarsa collaborazione delle vittime.
Si è, inoltre, osservato che, oltre alla costante attenzione istituzionale ed all'impulso sempre più deciso nell'azione delle Forze di polizia, uno dei punti di interesse primario per contrastare il fenomeno consiste nella maggiore diffusione della cultura della legalità come fattore di crescita della coscienza civile e, soprattutto, della fattiva collaborazione dei cittadini con le Forze dell'ordine. Questo obiettivo può essere perseguito, tra l'altro, facendo leva sul sostegno che viene dalle elargizioni a favore dei soggetti colpiti da attività estorsive, di cui alla legge n. 44 del 1999, sulla celerità nell'adozione delle misure di protezione garantita dalla nuova legge sui collaboratori e testimoni di giustizia e sull'impegno delle Associazioni operanti nel settore dell'antiracket e dell'usura a diffondere la cultura della denuncia, anche attraverso la previsione che, in caso di inadempimento, si possa perdere lo
status di associato.
Sono stati evidenziati, peraltro, gli ulteriori interventi compiuti e quelli in fase di definizione, tra i quali rilevano un più incisivo piano dei servizi di controllo del territorio coordinato, in fase di espansione nell'intera provincia, l'avvenuta promozione dei «Comitati di indirizzo» fondati sul raccordo delle Forze di Polizia con le Autorità locali ed il sostegno dato all'associazionismo antiracket, che ha prodotto un primo favorevole risultato in Polistena.
È stata, altresì, ribadita la necessità di una ulteriore accentuazione delle attività investigative, anche sulla scorta di alcuni recenti favorevoli risultati che hanno portato alla cattura di due pericolosi latitanti affiliati a cosche mafiose locali da parte della Direzione Investigativa Antimafia, nonché un'intensificazione dell'attività di prevenzione patrimoniale, con riferimento agli interessi della malavita nel settore degli appalti.
Le problematiche connesse alla recrudescenza delle fenomenologie criminose evidenziatesi nella provincia di Reggio Calabria sono state approfondite, da ultimo, nel corso di un incontro tra il Ministro dell'interno ed una delegazione di parlamentari calabresi che si è tenuto il 30 gennaio 2003.
In quella sede, nel ribadire il massimo impegno delle Forze dell'Ordine nell'azione di contrasto, sono state assicurate anche misure di rafforzamento dei relativi organici ivi operanti i quali vedranno, per quanto riguarda la Polizia di Stato, l'assegnazione di almeno 50 unità, nonché ulteriori assegnazioni straordinarie da parte dell'Arma dei Carabinieri e della Guardia di Finanza, finalizzate a compensare le attuali carenze.
Il Ministro ha espresso l'intendimento di recarsi nella provincia in questione non appena sarà stato dato corso al potenziamento degli organici.
Il Sottosegretario di Stato per l'interno: Alfredo Mantovano.

MORGANDO. - Al Presidente del Consiglio dei ministri. - Per sapere - premesso che:
nei mesi di maggio e giugno 2002 il Piemonte è stato colpito da eventi atmosferici eccezionali, per i quali con i decreti del Presidente del Consiglio dei ministri del 6 e del 14 giugno 2002 si è dichiarato, rispettivamente, lo stato di emergenza nel territorio di Cuneo, Torino ed Asti colpito dall'eccezionale evento metereologico nei giorni 9, 10 e 11 maggio 2002 e nel territorio delle province di Biella, Vercelli, Novara e Verbano-Cusio-Ossola colpito dal maltempo in data 4, 5 e 6 giugno 2002;
i due eventi hanno causato ingenti darmi ad infrastrutture pubbliche e private, alla funzionalità del reticolo idraulico principale e secondario, a beni privati residenziali ed alle attività economiche;


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la nuova ondata di maltempo che imperversa in questi giorni, in special modo nella provincia di Cuneo, fa registrare un bilancio terribile: due vittime, oltre trenta famiglie evacuate e ulteriori ingenti danni;
a tutt'oggi la regione Piemonte non ha la certezza in ordine allo stanziamento, da parte dello Stato, di risorse finanziarie per gli interventi di emergenza e per la riparazione dei danni più urgenti -:
quali misure il Governo intenda adottare ed entro quali tempi preveda di agire per risolvere, con urgenza l'attuale situazione di emergenza, i problemi infrastrutturali e per porre un riparo al dissesto idrogeologico.
(4-03557)

Risposta. - La scorsa estate, nell'Italia settentrionale, si è abbattuta una violenta ondata di maltempo caratterizzata da precipitazioni di notevole entità e persistenza, che ha provocato danni alle infrastrutture e alle attività produttive, nonché gravi disagi alla popolazione.
A seguito dei suddetti eventi calamitosi, verificatisi nei mesi di maggio, giugno e luglio 2002, e della conseguente dichiarazione dello stato di emergenza, è stata emanata l'ordinanza di protezione civile n. 3237 del 12 agosto 2002 recante «interventi urgenti di protezione civile diretti a fronteggiare i danni conseguenti agli eventi alluvionali ed ai dissesti idrogeologici dei mesi di maggio, giugno e luglio 2002 nei territori delle regioni Piemonte, Lombardia, Veneto, Friuli-Venezia Giulia ed Emilia Romagna».
Conformemente a quanto previsto all'articolo 80, comma 59, della legge n. 289 del 2002, è stato disposto, per l'anno 2003, lo stanziamento di 50 milioni di euro. Tale somma, che è stata ripartita tra le regioni interessate con provvedimento del Capo dipartimento della Protezione civile del 10 ottobre 2002, sulla base di una proposta congiunta delle regioni stesse, in proporzione delle entità dei danni nei territori colpiti, è stata rivolta a fronteggiare le esigenze derivanti dalle alluvioni verificatesi nell'anno 2002.
Riguardo, poi, agli interventi di prevenzione infrastrutturali per il rischio idrogeologico, di cui al d.l. n. 180/98, convertito in legge n. 267/98, si evidenzia che la citata legge n. 289 del 2002 ha confermato a tale scopo gli stanziamenti di euro 154.937.000, per l'anno 2003, e di euro 206.583.000, per l'anno 2004, iscritti attualmente nel Fondo unico per gli investimenti dello stato di previsione del Ministero dell'Ambiente e Tutela del Territorio.
Dei 50 milioni di euro, alla regione Piemonte ne sono stati assegnati 15.950.000,00.
Per quanto riguarda, più specificatamente, la provincia di Cuneo, si rappresenta che, con l'ordinanza di protezione civile 21 agosto 2002, n. 3240, per la mitigazione del rischio idrogeologico e la rimozione della situazione di pericolo nei bacini idrografici della suddetta provincia, alla regione Piemonte è stato concesso un contributo di 5.164568,99 euro.
Con l'articolo 1, comma 2, dell'ordinanza 3240/02, alla regione Piemonte è stato attribuito il compito di predisporre un programma di interventi, di intesa con l'Amministrazione provinciale di Cuneo, da sottoporre preventivamente alla presa d'atto del Dipartimento della Protezione Civile, previo assenso dell'Autorità di bacino del fiume Po.
Inoltre, il 30 agosto 2002 è stato, altresì, emanato il decreto del Presidente del Consiglio dei ministri recante «dichiarazione dello stato di emergenza nel territorio delle regioni Veneto e Friuli-Venezia Giulia per gli eventi atmosferici dei mesi di luglio e agosto 2002, e nel territorio delle regioni Abruzzo, Lazio, Lombardia, Marche, Piemonte, Toscana ed Umbria interessato da eccezionali eventi atmosferici nel mese di agosto 2002».
Infatti, con note datate rispettivamente 7 e 14 agosto 2002, la regione Piemonte ha chiesto la dichiarazione dello stato di emergenza in relazione agli eventi atmosferici che hanno interessato il territorio nel mese di agosto, aggravando ulteriormente la situazione di crisi verificatasi a seguito delle alluvioni dei mesi di maggio, giugno e luglio.


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In conseguenza di ciò, con l'ordinanza di protezione civile 28 marzo 2003, n. 3276, alla regione Piemonte sono state assegnate ulteriori provvidenze per fronteggiare i danni provocati in particolare alle infrastrutture pubbliche e per la messa in sicurezza relativa ai dissesti idrogeologici ed al controllo delle piene.
Allo scopo, sono stati assegnati 2,5 milioni di euro al Presidente della regione Piemonte in qualità di Commissario delegato.
Inoltre, come è noto, la regione Piemonte, successivamente alle emergenze che hanno caratterizzato la stagione estiva, è stata coinvolta da un'ulteriore ondata di maltempo nel mese di novembre 2002, con riferimento alla quale sono state assegnate alla suddetta regione altre provvidenze economiche.
In particolare, in ordine ai dissesti idrogeologici nel mese di novembre, la dichiarazione dello stato di emergenza è stata deliberata dal Consiglio dei Ministri il 29 novembre 2002 e la successiva ordinanza di protezione civile, la n. 3258 è stata emanata il 20 dicembre 2002.
Conformemente alla suddetta ordinanza, è stato stanziato un finanziamento complessivo pari a 50 milioni di euro, ripartiti tra le regioni colpite con provvedimento del Capo della Protezione Civile, emanato in data 28 gennaio 2003, in proporzione all'entità dei danni subiti, sulla base di una proposta congiunta delle regioni medesime.
In base a tale provvedimento alla regione Piemonte è stata assegnata la somma di 5 milioni di euro.
Inoltre, si fa presente che è stata anche promulgata la legge n. 62 del 2003, che prevede ulteriori stanziamenti finalizzati all'erogazione, da parte del Dipartimento della Protezione Civile, di contributi quindicennali a valere sui mutui stipulati allo scopo di fronteggiare le esigenze derivanti dalla prosecuzione degli interventi e dall'opera di ricostruzione nelle zone interessate dalle dichiarazioni di stato di emergenza.
In attuazione della suddetta legge, con l'ordinanza di protezione civile n. 3277 del 28 marzo 2003, sono state stabilite le quote relative ai citati limiti di impegno di spesa quindicennali da attribuire alle regioni colpite dagli eventi calamitosi. In particolare, le quote concernenti la regione Piemonte sono pari a 936.120 euro per l'anno 2003 e a 161.400 euro per l'anno 2004.
I suddetti mutui sono stati stipulati il 9 aprile 2003 dalla Cassa Depositi e Prestiti in favore delle regioni interessate, consentendo ai Commissari delegati di introitare nelle rispettive contabilità speciali le conseguenti somme che, per quanto attiene alla regione Piemonte, corrispondono a 12.367.600,80 euro.
È stato, infine, previsto che i Presidenti delle regioni, in qualità di Commissari delegati, predispongano specifici cronoprogrammi, articolati per tipologie d'azione, riguardanti lo stato di avanzamento delle opere previste.
Il Ministro per i rapporti con il Parlamento: Carlo Giovanardi.

ANGELA NAPOLI. - Al Ministro dell'interno, al Ministro della giustizia. - Per sapere - premesso che:
il 28 giugno 2000 si è conclusa l'operazione giudiziaria della DDA della procura della Repubblica di Messina, con la richiesta di custodia cautelare nei confronti di Domenico Fausto Arena di Briatico (Vibo Valentia) più quarantasette componenti la 'ndrina imperversante da decenni nella vasta Area dello Stretto, con particolare radicamento operativo nell'università degli studi di Messina, incredibilmente proprio nel contesto temporale della scoperta, da parte della Commissione Nazionale Antimafia, del grumo politico - affaristico - giudiziario;
il suddetto Arena con la propria 'ndrina, costituita da altri componenti della provincia vibonese, condiziona con minacce i professori universitari per costringerli a fare superare immeritevolmente ai propri protetti gli esami per il conseguimento del titolo di studio della laurea;
in data 11 gennaio 2003 i professori Saverio Di Bella e Giuseppe Crea, cittadini


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da sempre impegnati nella lotta alla mafia, hanno indirizzato a numerose alte cariche istituzionali dello Stato, ed anche all'interrogante, una nota in cui viene ripercorso l'iter tenuto dal prefetto di Vibo Valentia per l'autorizzazione alla Commissione d'accesso nel comune di Briatico, in ordine all'ipotesi di scioglimento per infiltrazioni mafiose;
fin dal 2000 ci si aspettava lo scioglimento per infiltrazioni mafiose del comune di Briatico per la presenza nello stesso del consigliere Arena, invece nel dicembre 2000 si è ottenuta solo la tardiva sospensione del consigliere, peraltro con profondo rammarico ufficializzato dall'allora capo dell'opposizione, dottor Lidio Vallone, anche assessore provinciale di Vibo Valentia, il quale a tutt'oggi mantiene quest'ultima carica (dichiarazione riportata su Gazzetta del Sud del 28 dicembre 2000);
in data 12 dicembre 2002, sulla base di puntuali relazioni della polizia di Stato e dell'Arma dei carabinieri contenenti la valutazione sulle modalità con cui si sono svolte le elezioni amministrative del 26-27 maggio 2002 per il rinnovo del consiglio comunale di Briatico, si è insediata finalmente la Commissione d'accesso agli atti amministrativi di quel Comune;
l'attuale Amministrazione ed il relativo consiglio comunale di Briatico risultano eletti attraverso la presentazione di un'unica lista, che ha monopolizzato oltre il settanta per cento dell'elettorato e che ha visto la riconferma di gran parte degli amministratori precedenti;
alcuni degli attuali amministratori e consiglieri del comune di Briatico risulterebbero contigui a personaggi legati ad alcune principali cosche mafiose del vibonese;
peraltro si è dovuta registrare l'uccisione di un consigliere della provincia di Vibo Valentia, nonché atti intimidatori contro due componenti dell'amministrazione (uno dei quali, il vice presidente) e due funzionari dello stesso ente;
inquietanti e doverose di approfondimento appaiono alcune dichiarazioni rese dal suddetto procuratore della Repubblica nell'audizione del 30 ottobre 2002 innanzi alla Commissione antimafia in missione ad Aosta -:
se siano state avviate indagini volte ad accertare il ruolo di alcuni rappresentanti di famiglie calabresi legate alla criminalità organizzata e radicata nella Valle d'Aosta;
se non ritengano di dover rafforzare la Commissione prefettizia di accesso agli amministrativi, attualmente composta da due soli membri;
quali misure intendano adottare a tutela della società civile, dei cittadini denuncianti e delle istituzioni locali, in riferimento alle superiori inquietanti ipotesi di gravissimo condizionamento 'ndranghetistico, ripetutamente denunziato dall'interrogante con precedenti atti ispettivi, risultando ormai conclamato che la 'ndrangheta è, per diffusione e capacità di infiltrazione, la più pericolosa tra le organizzazioni criminali operanti nel nostro Paese, anche in considerazione degli atti intimidatori ai danni di consiglieri e funzionari della provincia di Vibo Valentia.
(4-05447)

Risposta. - In merito alle molteplici questioni sollevate dall'interrogante si comunica che, accertato lo stato di grave condizionamento e la diffusa penetrazione nell'Amministrazione comunale di Briatico da parte della criminalità organizzata, con decreto del Presidente della Repubblica, datato 17 marzo 2003 e registrato alla Corte dei conti il 21 marzo successivo, è stato disposto lo scioglimento di quel consiglio comunale, ai sensi dell'articolo 143 del decreto legislativo 18 agosto 2002, con l'affidamento della gestione del comune ad una commissione straordinaria per la durata di diciotto mesi, salvo eventuali proroghe.
Il Sottosegretario di Stato per l'interno: Antonio D'Alì.


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ANGELA NAPOLI. - Al Ministro dell'interno, al Ministro della giustizia. - Per sapere - premesso che:
nel tardo pomeriggio dell'8 febbraio 2003, nel piazzale esterno del ristorante «La Rete», vicino al centro di Isola Capo Rizzuto (Crotone), sono stati uccisi, in un agguato di chiaro stampo mafioso, Pasquale Gaultieri e Maurizio Nicoscia, entrambi di 34 anni, sospettati dagli investigatori di far parte della presunta 'ndrina capeggiata da Pasquale Nicoscia, attualmente detenuto con il regime del 41-bis, e fratello del Maurizio;
il duplice omicidio è avvenuto nella stessa giornata dell'8 febbraio che ha visto, con l'operazione «Ri-Scacco» della direzione distrettuale antimafia di Catanzaro, la disarticolazione della rete del traffico e dello spaccio di stupefacenti posta in essere dalla presunta cosca capeggiata da Nicolino Grande Aracri; il bliz ha coinvolto alcuni comuni del crotonese, tra i quali quello di Isola Capo Rizzuto;
la Città di Isola Capo Rizzuto vive da tempo uno stato di illegalità diffusa che va dal traffico di sostanze stupefacenti all'usura ed estorsione, dallo sfruttamento dell'immigrazione clandestina agli appalti per i centri turistici, dall'abusivismo agli interessi nel settore delle forniture di materiali inerti per le costruzioni;
in un documento diffuso, dopo l'ultimo duplice omicidio, dall'Associazione di volontariato «Misericordia» e dal Consiglio Pastorale di Isola Capo Rizzuto si dice, tra l'altro, che «le istituzioni, a tutti i livelli, sono incapaci di resistere alla forza avvolgente dei poteri criminali che, mentre con i delitti mostrano l'anima antica delle loro leggi, usano metodi ben più sofisticati per realizzare i loro scopi di accumulo di ricchezza ruotando intorno ai movimenti economici del nostro territorio»;
nei mesi di settembre e ottobre del 2002 è corsa insistentemente la notizia, riportata sui quotidiani regionali, di un possibile scioglimento del consiglio comunale di Isola Capo Rizzuto, secondo la procedura prevista dalla legge n. 726 del 1982, la notizia si era evinta anche dall'intervento del ministro dell'interno durante un'audizione presso la Commissione Parlamentare Antimafia;
sembrava, infatti, che l'attività politico-amministrativa del comune di Isola Capo Rizzuto non fosse immune dall'inquinato contesto sociale del territorio notevolmente inciso dalla presenza di forti gruppi criminali;
peraltro, da alcune indagini erano emersi rapporti parentali, diretti ed indiretti, di alcuni amministratori locali con soggetti appartenenti e/o vicini alla criminalità organizzata locale -:
quali urgenti e straordinarie iniziative intendano assumere al fine di garantire la sicurezza dei cittadini del territorio di Isola Capo Rizzuto;
se risponda al vero quanto riportato anche dalla stampa e in caso affermativo se intenda accelerare le procedure per lo scioglimento del Consiglio comunale di Isola Capo Rizzuto.
(4-05461)

Risposta. - Sulla base delle comunicazioni pervenute da parte della Prefettura - UTG di Crotone si riferisce che l'episodio criminoso, cui si fa riferimento nell'atto di sindacato parlamentare, ha formato oggetto di apposita riunione di coordinamento delle forze di polizia, alla quale hanno anche preso parte i vertici della magistratura inquirente del distretto giudiziario.
Nella circostanza è emerso che l'azione delittuosa, che giunge dopo un periodo di tranquillità protrattosi per quasi due anni (l'ultimo omicidio commesso nel predetto comune, risale al 15 maggio 2001), si inquadra, almeno secondo le prime risultanze investigative, nel contesto del confronto armato, in atto da tempo, tra due cosche locali (il
clan Arena, da una parte, e quello Nicoscia dall'altra).


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Ad Isola Capo Rizzuto, infatti, sono attive le cosche della 'ndrangheta Nicoscia ed Arena, che gestiscono vari traffici criminali, primo fra tutti quello degli stupefacenti.
Soprattutto in tale settore risultano contatti con gruppi criminali internazionali e con elementi della criminalità organizzata pugliese, per il rifornimento di eroina e cocaina proveniente dall'Albania.
In passato i Nicoscia erano affiliati agli Arena, ma, a seguito degli arresti che hanno colpito quest'ultima famiglia, hanno assunto una propria autonomia operativa e sviluppato legami con altre famiglie locali, come quella dei Campicchiano, fino ad entrare in aperto e sanguinoso conflitto con quel gruppo.
A tale conflitto vanno ricondotti alcuni gravi fatti di sangue, come gli omicidi di Francesco Arena (2 marzo 2000), di Rosario Campicchiano (15 maggio 2001), di Gaetano De Meco (13 luglio 2001) e di Vincenzo Scerbo (16 febbraio 2002), nonché il duplice omicidio al quale l'interrogazione fa cenno, di due pluripregiudicati appartenenti ai Nicoscia, rinvenuti uccisi l'8 febbraio 2003 nei pressi del ristorante «La Rete» di Isola Capo Rizzuto.
In tale contesto va inserito anche il successivo omicidio, perpetrato il 4 marzo 2003 a Cropani Marina, di un altro pluripregiudicato ritenuto vicino alla cosca Arena e legato da rapporti di parentela ad alcuni affiliati alla stessa.
Secondo gli investigatori, quindi, i due fatti criminosi non sarebbero da collegare alla recente operazione di polizia denominata «Riscacco», ma, come già accennato, alla violenta ripresa della lotta tra le due cosche, per la conquista della supremazia sul territorio.
Per quanto riguarda la cennata operazione di polizia giudiziaria, si informa che essa si è conclusa con l'arresto, su richiesta della procura Antimafia di Catanzaro, di 16 persone, tutte appartenenti al
clan capeggiato dal boss Nicolino Grande Aracri, ritenute responsabili di associazione mafiosa, traffico di stupefacenti, estorsioni ed altri reati.
L'operazione ha seguito quella analoga condotta nell'anno 2000, denominata «Scacco Matto», che portò all'arresto di 54 mafiosi appartenenti ai
clan di Isola Capo Rizzuto e Cutro.
Per quanto attiene al dispositivo di prevenzione generale, si precisa che i servizi di controllo del territorio nel comune di Isola Capo Rizzuto sono svolti dai militari della locale Stazione dei carabinieri, che dispone, attualmente, di 14 unità di personale.
La Stazione, che assicura la presenza di una pattuglia a bordo di un'autovettura per ciascun turno di servizio nell'arco della giornata, è supportata, in caso di necessità, da pattuglie radiomobili della Compagnia dei Carabinieri del capoluogo, distante da quel centro una quindicina di chilometri, nonché, per l'espletamento delle indagini in materia di criminalità organizzata, dal Reparto operativo del Comando provinciale dell'Arma.
Inoltre, periodicamente vengono disposti specifici servizi di controllo del territorio con l'impiego di reparti di rinforzo provenienti da altre province, anche con l'obiettivo di giungere all'individuazione dei rifugi nei quali le organizzazioni criminali custodiscono le armi ed i veicoli rubati utilizzati per le azioni di fuoco.
Così, lo scorso mese di febbraio, a seguito degli omicidi cui si è fatto cenno, pattuglie del Reparto prevenzione crimine «Calabria» hanno affiancato il personale della squadra mobile della locale Questura in una vasta azione di «setacciamento», con l'istituzione di numerosi posti di blocco, nel corso dei quali sì è proceduto all'identificazione di 173 persone ed al controllo di 119 veicoli; nella circostanza, sono state inoltre effettuate perquisizioni domiciliari, le cui risultanze sono all'esame degli inquirenti.
Analoghe operazioni sono state svolte dai carabinieri, con l'impiego di oltre 50 militari


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appartenenti ai reparti territoriali, alle strutture investigative del Comando provinciale e della Compagnia del capoluogo, nonché alla Compagnia di intervento operativo del Battaglione «Toscana».
In generale, secondo dati forniti dalla citata Stazione dei carabinieri nel comune in questione si è riscontrata, nel 2002, una diminuzione del numero complessivo dei delitti denunciati pari al 26,5 per cento (346 casi nel 2001, 254 nel 2002), con un decremento significativo, tra gli altri, dei furti (125 nel 2001 e 110 nel 2002, pari al 12 per cento in meno) e degli incendi dolosi (13 nel 2001 e 4 nel 2002, pari al 12 per cento in meno).
Nel raffronto tra i due anni, si registra un forte aumento del numero delle persone denunciate all'Autorità giudiziaria dai militari della stessa Stazione (99 persone nel 2001 e 145 nel 2002).
Tali attività si inquadrano in una strategia di più ampio respiro tesa ad assicurare un monitoraggio costante degli affiliati alle cosche, avvalendosi degli strumenti previsti, tra l'altro, dall'articolo 41 testo unico delle leggi di pubblica sicurezza e dall'articolo 7 legge n. 55 del 1990 in materia di perquisizioni personali e domiciliari.
Per quanto riguarda l'ultimo punto dell'interrogazione, com'è noto, il Consiglio dei Ministri, accertato lo stato di grave condizionamento e la diffusa penetrazione nell'Amministrazione comunale di Isola di Capo Rizzuto da parte della criminalità organizzata, nella riunione del 2 maggio scorso, ha deliberato lo scioglimento di quel consiglio comunale, ai sensi dell'articolo 143 del decreto legislativo 18 agosto 2000, n. 267, recante Testo unico delle leggi sull'ordinamento degli Enti locali.
Il relativo decreto è in corso di pubblicazione sulla Gazzetta Ufficiale.

Il Sottosegretario di Stato per l'interno: Antonio D'Alì.

ONNIS. - Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. - Per sapere - premesso che:
la strada statale 131 (Carlo Felice), che collega Cagliari a Sassari, è la principale arteria stradale della Sardegna;
la complessiva insufficienza della rete stradale dell'Isola rende ancor più cruciale e irrinunciabile l'utilizzo di tale arteria per gli spostamenti all'interno dell'Isola;
per tale ragione, ma anche per ovviare alla estrema pericolosità del tracciato stradale e delle vecchie e superate strutture, da anni è stato previsto e progettato l'adeguamento e l'ammodernamento della struttura;
per gli interventi è stata calcolata una spesa complessiva di un miliardo e trentun milioni di euro: ad esso sono stati spesi 121 milioni e, per opere da appaltare entro il 2003, sono stati stanziati 160 milioni; per l'ultimazione dei lavori dovranno essere stanziati ulteriori 750 milioni di euro;
proprio l'essenzialità dell'arteria, e la sua oggettiva e tristemente verificata pericolosità, hanno indotto il Governo ad includere l'intervento strutturale di generale riattamento tra le previsioni della legge sui «Progetti Obiettivo»;
peraltro, mentre i pochi lavori in corso (dal chilometro 47,500 al chilometro 78,500) procedono con colpevole rilento, tutti gli altri lavori (da eseguire in ben sette tratti distinti e separati) sono purtroppo bloccati o perché manca la valutazione di impatto ambientale o perché non sono state ancora perfezionate le procedure d'appalto ovvero per mancata approvazione del progetto; ovvero, ancora, ed è il profilo più pregnante e che più preoccupa, perché non sono stati disposti i finanziamenti;
frattanto, dove sono in corso i lavori ed a causa di tali lavori e della insufficienza delle deviazioni e delle segnalazioni di pericolo, si è registrato un tragico aumento degli incidenti che, nel periodo


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1996-2000 (non si dispone di dati più aggiornati), sono stati 894, con 64 morti e 1.425 feriti;
questo drammatico bilancio è destinato inevitabilmente a lievitare in rapporto alla durata ed alla lentezza dei lavori;
in un contesto nel quale il Governo, opportunamente, intende affrontare con fermezza (secondo il principio della tolleranza zero) il problema della sicurezza sulle strade, non è accettabile che tale obiettivo di civiltà e di umana sensibilità venga trascurato e frustrato con riferimento allo stato della circolare stradale in Sardegna;
d'altro canto, anche con riferimento alle ricadute economiche e sociali della promessa sistemazione della strada statale 131, non è ammissibile che il Governo, omettendo o ritardando i finanziamenti, eluda gli impegni assunti, riservando alla Sardegna un trattamento diverso rispetto a quello previsto e attuato per altre analoghe realtà nazionali;
sarebbe in ogni caso opportuno ed utile, con un impegno finanziario di non grande entità, un intervento strutturale che, innestandosi agevolmente sulla situazione attuale e sullo stato degli atti e dei lavori, trasformasse la Carlo Felice, sul piano tecnico-giuridico, in autostrada, così dotando la Sardegna in una prima e unica arteria autostradale -:
se non ritengano di promuovere le più urgenti e concrete iniziative per garantire il massimo livello di sicurezza per chi circoli sulla strada statale 131 e per finanziare subito i lavori di ammodernamento prevedendone e gestendone l'esecuzione in tempi ragionevolmente contenuti;
valutando, nel contempo, l'opportunità e la convenienza della trasformazione della «Carlo Felice» in «autostrada».
(4-05460)

Risposta. - L'Anas SpA, cui sono state richieste informazioni, premette di continuare a gestire l'intera viabilità statale isolana di complessivi Km. 3.057 circa, in quanto, per quanto riguarda la regione Sardegna, il decreto legislativo 112/98 non ha ancora trovato definitiva applicazione.
In tale ambito, la statale n. 131 «Carlo Felice» rappresenta l'arteria principale che svolge un ruolo intermodale di rilevanza. Pertanto, sulla stessa sono impegnate gran parte delle risorse finanziarie ed umane della società stradale al fine di realizzarne l'ammodernamento.
I lavori attualmente in corso su tale arteria, con finanziamenti a valere sui fondi del Quadro comunitario di sostegno, sono i seguenti:
adeguamento e sistemazione della sede stradale ricompresa fra i km. 47+500 e 78+500, per un importo totale pari a Euro 121.500.000; i lavori ormai completati si estendono per circa 18 km a cui si aggiungeranno i 12+500 km. di prossima apertura al traffico e gli ultimi 500 metri relativi al costruendo ponte sul rio «Mogoro»;
i lotti compresi fra i km. 78+500 e 88+500 e fra i km 88+500 e 93+500 sono stati appaltati, per un importo complessivo di euro 62.600.000 circa;
il lotto compreso fra i km. 93+500 e 99+500, per un importo complessivo di euro 49.860.000 è in fase di appalto;
il lotto compreso fra i km. 99+500 e 109+500, per un importo complessivo di euro 35.380.000 è in fase di approvazione e finanziamento.

L'ANAS riferisce, inoltre, che i lavori di prossima esecuzione sono i seguenti:
per i lotti ricompresi fra i km. 23+500 e 47+500 e 109+500 e 146+500, sono stati redatti i relativi progetti definitivi e per gli stessi è in corso la procedura di Valutazione di Impatto Ambientale (V.I.A.) presso il competente Ministero dell'Ambiente. Il tratto che va dal km. 41+000 al km. 47+600


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ha trovato copertura finanziaria nell'ambito del Piano Triennale 2002-2004;
per il lotto dal km. 146+500 al 209+500, è stato predisposto il progetto di massima e lo Studio di Impatto Ambientale al fine di essere sottoposto alle procedure previste dalla «Legge obiettivo»;
il tratto Sassari-Porto Torres è in via di ultimazione mediante l'appalto, già espletato, dell'ultimo lotto.

La Società stradale in ultimo fa conoscere che, atteso l'inserimento della S.S. 131 fra le infrastrutture strategiche nazionali, la copertura finanziaria è individuata con le modalità e nei termini di cui alla legge n. 443/2001 «Legge obiettivo».
Il Viceministro delle infrastrutture e dei trasporti: Ugo Martinat.

PAOLONE, RICCIO e CARRARA. - Al Ministro della salute. - Per sapere - premesso che:
negli ultimi tempi, molti fatti di cronaca, quasi sempre luttuosi, riportati dalla stampa e dalla televisione, hanno messo in luce il grave problema dei disagi psichici che, se colti sul nascere, avrebbero potuto evitare le tragiche conclusioni che si sono dovute registrare;
la possibilità, di poter accedere alla psicoterapia da parte di tutti i cittadini che lo richiedano, consentirebbe di cogliere il disagio psichico sul nascere, impedendo al disagio stesso di trasformarsi in un vero e proprio disturbo psichico;
allo stato attuale il servizio sanitario nazionale non è in grado di accogliere pienamente le richieste di assistenza psicologica come servizio di prevenzione, per cui il cittadino deve rivolgersi ai professionisti privati con notevoli sforzi economici e che quindi tale forma di assistenza finisce per essere accessibile soltanto a poche categorie privilegiate che hanno la possibilità economica di sostenerne la spesa con inaccettabile discriminazione per chi non ha tali possibilità;
il problema potrebbe essere affrontato prevedendo la possibilità di stipulare convenzioni fra il servizio sanitario nazionale e psicologi privati per assicurare l'accesso alla psicoterapia a tutti coloro che ne hanno bisogno;
l'ordine degli psicologi ha raccolto le firme per una petizione popolare - a norma dell'articolo 50 della Costituzione - per chiedere «che il Parlamento esamini ed approvi un provvedimento idoneo a garantire il più ampio accesso alla psicoterapia da parte di tutti i cittadini che ne abbiano bisogno» -:
quali provvedimenti, anche di natura normativa, intenda adottare, e in quali tempi, per rendere possibile l'accesso alla psicoterapia da parte di tutti i cittadini che ne abbiano bisogno, e se non ritenga di promuovere, per tale scopo, la stipula di apposite convenzioni fra i servizi sanitari regionali e gli psicologi privati.
(4-03616)

Risposta. - La psicoterapia è un'opzione terapeutica e, in quanto tale, non può essere richiesta dal cittadino, ma deve essere proposta o prescritta dagli operatori sanitari abilitati ad applicarla, nel contesto della loro pratica professionale.
A tal riguardo, occorre rilevare che l'accesso alla psicoterapia è garantito dal Servizio sanitario nazionale.
Il decreto del Presidente del Consiglio dei ministri 29 novembre 2001 «Definizione dei livelli essenziali di assistenza» assicura, infatti, l'erogazione dell'«Attività sanitaria e sociosanitaria a favore delle persone con problemi psichiatrici e/o delle famiglie».
In particolare, detto decreto, dopo aver richiamato, sull'argomento, il decreto del Presidente della Repubblica 10 novembre 1999 (Approvazione del progetto obiettivo «tutela della salute mentale 1998-2000»), oltre che il decreto del Presidente del Consiglio dei ministri 14 febbraio 2001 «Atto di


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indirizzo e coordinamento in materia di prestazioni socio-sanitarie», si sofferma sul primo dei provvedimenti citati.
In effetti, per comprendere il funzionamento delle strutture che operano nel settore dell'assistenza psichiatrica, è proprio a tale atto che si deve rivolgere una specifica attenzione.
La lettura del decreto del Presidente della Repubblica 10 novembre 1999 permette, infatti, di cogliere gli sforzi compiuti dai vari soggetti, i quali, a diverso titolo, concorrono alla promozione ed al mantenimento della salute mentale, al fine di tracciare un quadro organizzativo che punti proprio alla «Coordinazione strategica» dei diversi attori coinvolti.
In tal modo, si assiste ad una trasformazione dei servizi di salute mentale che, abbandonando un tradizionale atteggiamento di sostanziale «attesa», sono chiamati ad intervenire attivamente sul territorio (domicilio, scuola, luoghi di lavoro), collaborando direttamente con associazioni, medici ed altri servizi sanitari e sociali.
L'impegno appare indirizzato verso la «prevenzione... dei disturbi mentali, con particolare riferimento alle culture a rischio, attraverso l'individuazione precoce, specie nella popolazione giovanile, delle situazioni di disagio», nonché verso la «riduzione dei suicidi e dei tentativi di suicidio nella popolazione a rischio, per specifiche patologie mentali e/o per appartenenza a fasce d'età particolarmente esposte (adolescenti e persone anziane)».
Per quanto concerne la proposta degli interroganti, di promuovere la stipula di convenzione con professionisti privati, si fa presente che l'attuazione dei livelli essenziali di assistenza (LEA), le modalità di erogazione delle prestazioni sanitarie e la relativa regolamentazione, costituiscono esclusiva competenza delle regioni e province autonome.
Pertanto, le regioni e le province autonome sono istituzionalmente tenute a garantire ai cittadini l'accesso alle prestazioni di Psicoterapia, sia tramite il completo funzionamento delle strutture previste dalla normativa sia facendo ricorso allo strumento convenzionale.
Il Sottosegretario di Stato per la salute: Antonio Guidi.

PASETTO. - Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, al Ministro dell'economia e delle finanze. - Per sapere - premesso che:
da quanto si apprende dagli organi di stampa l'autostrada A24 Roma-L'Aquila, soprattutto nelle tratte che collegano la capitale con Tivoli, Castel Madama e Vicovaro, è stata caratterizzata da incrementi dei pedaggi in uscita che oscillano dal 14,28 per cento della tratta Roma-Lunghezza al 37,5 per cento della tratta Roma-Tivoli;
tali aumenti risultano fortemente penalizzanti per le migliaia di utenti che ogni giorno a causa di un servizio di trasporto pubblico non efficace sono costretti a percorrere con i propri mezzi i 25 chilometri della tratta autostradale, dal casello di Vicovaro-Mandela a quello di Roma, per raggiungere il proprio posto di lavoro nella capitale -:
quali atti abbiano intrapreso o intendano intraprendere per contrastare gli effetti negativi determinati dall'incremento dei pedaggi autostradali determinati dall'ente proprietario della tratta autostradale in questione e se sia possibile definire un sistema di tariffe differenziate a beneficio dei pendolari e dei cittadini delle zone a maggior tasso di spopolamento.
(4-05021)

Risposta. - In riferimento all'interrogazione indicata in oggetto, si forniscono i seguenti elementi di risposta comunicati dall'Ansa S.p.A.
In data 29 novembre 2000 è stato pubblicato sulla
Gazzetta Ufficiale il bando di gara per l'affidamento, a mezzo licitazione privata, della concessione di gestione delle autostrade A24 e A25. Tale concessione è stata aggiudicata il 1o ottobre 2001 all'A.T.I


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Autostrade Spa-Toto Spa. La Convenzione prevede, tra l'altro, notevoli investimenti finalizzati al miglioramento degli standard di sicurezza e della qualità del servizio offerto agli utenti. Per garantire la realizzazione di questo programma ed assicurare l'equilibrio economico del piano finanziario la società aggiudicataria ha offerto in sede di gara un incremento tariffario, legato al parametro X della formula del price cap per i primi tre anni di concessione, pari al 50 per cento a partire dal gennaio 2002. Tale incremento tariffario è risultato inferiore rispetto alle offerte presentate da altri concorrenti, che prevedevano incrementi tariffari oscillanti tra l'83 e l'85 per cento.
Al fine di salvaguardare la continuità del servizio ed il rispetto dei contenuti tecnici, economici e finanziari dell'offerta presentata in sede di gara, è stato quindi convenuto di fissare alla data del 1o gennaio 2003 il passaggio al nuovo concessionario della gestione delle autostrade A24 e A25 facendo decorrere il primo anno di concessione dal 2003.
Pertanto, rispetto alle tariffe applicate fino al 31 dicembre 2002, con il 1o gennaio 2003 si è registrato un incremento dovuto al tasso di inflazione programmata per lo stesso anno, al parametro X della formula del
price cap ed all'applicazione dei sovraprezzi dovuti per legge allo Stato, oltre che dall'IVA. In ogni caso, confrontando le tariffe unitarie distinte per classi applicate sulle autostrade A24 e A25 dal 1o gennaio 2003 con le tariffe applicate da altre autostrade con medesime caratteristiche di montagna emerge che le prime risultano inferiori in media del 40 per cento.
Il Viceministro delle infrastrutture e dei trasporti: Ugo Martinat.

PATARINO, LOSURDO, CATANOSO, LA GRUA, GERACI, SERENA, TAGLIALATELA, MEROI, RAMPONI, ANEDDA, ANTONIO PEPE, LAMORTE, ANGELA NAPOLI, CARRARA, PAOLONE, RICCIO, ARRIGHI, BELLOTTI, MESSA, MAGGI, CORONELLA e GALLO. - Al Ministro delle politiche agricole e forestali, al Ministro della salute, al Ministro delle attività produttive. - Per sapere - premesso che:
una busta di latte su tre è confezionata in Italia, ma contiene quasi sempre prodotto importato dall'estero;
secondo una stima della Coldiretti, circa 1,6 miliardi di litri di latte, importati in Italia, dopo la lavorazione ed il confezionamento in varie aziende sparse su tutto il territorio nazionale, in special modo al sud, vengono trasformati miracolosamente in prodotto italiano;
il consumatore, comperando il latte o i suoi derivati in confezioni con il marchio italiano ma prive di qualsiasi indicazione relativa alla provenienza, crede di acquistare prodotti di origine italiana;
un tale sistema, oltre a mortificare e a penalizzare il lavoro dei nostri allevatori, allarga sempre di più gli spazi al mercato del falso made in Italy, con i comprensibili danni all'economia di un settore già fortemente penalizzato;
se si osservasse il Decreto 27 giugno 2002, pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale del 10 luglio 2002 sulla etichettatura del latte fresco, ci sarebbe un efficace impedimento al dilagare del fenomeno -:
se non ritengano di intervenire con le più opportune ed urgenti iniziative per effettuare i necessari controlli al fine di:
1) evitare che ci siano violazioni ai succitato decreto da parte delle industrie di trasformazione;
2) tutelare i consumatori dai rischi alimentari derivanti dalle possibili sofisticazioni a causa dell'uso di latte in polvere che, invece di essere destinato all'uso zootecnico, attraverso fasi di trasformazione, può essere introdotto nel consumo alimentare umano;
3) difendere il lavoro dei nostri produttori perseguendo la politica della trasparenza, rendendo noti:


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a) i metodi dei controlli adottati;
b) le sedi ove i controlli vengono effettuati;
c) le aziende di trasformazione;
d) il numero complessivo di queste ultime che hanno ricevuto i previsti accertamenti nel rispetto della legge n. 250 del 2000.
(4-05555)

Risposta. - Con riferimento all'interrogazione in discorso, concernente la commercializzazione sul territorio nazionale di latte importato dall'estero, senza che questo rechi adeguate indicazioni per il consumatore finale circa la sua reale provenienza si fa presente, innanzi tutto, che l'articolo 1 punto 3 del decreto ministeriale 27 giugno 2002 sull'etichettatura del latte fresco, relativo l'obbligo di indicare il riferimento territoriale della mungitura del latte crudo, non è attualmente applicabile, in quanto non è stato emanato il decreto previsto al successivo punto 4 del medesimo articolo 1, con il quale si definisce un sistema di tracciabilità dei prodotti di cui alla legge 169 del 1989.
Tale situazione di inapplicabilità della norma del resto vale anche per la legge n. 250 del 2000, che disciplina l'aggiunta di traccianti di evidenziazione al latte scremato in polvere destinato ad usi zootecnici.
Preme tuttavia precisare, che il Regolamento (CE) n. 2799/1999, recante modalità d'applicazione del regolamento (CE) n. 1255/1999 in ordine alla concessione di un aiuto per il latte scremato e il latte scremato in polvere destinati all'alimentazione degli animali e in ordine alla vendita di tale latte scremato in polvere, prevede già la denaturazione di tale tipologia di latte (e quindi la sua rintracciabilità) con amido di mais o di patata.
Si evidenzia, altresì, che l'attività dei Centri di raccolta, dei centri di standardizzazione, degli stabilimenti di trattamento e degli stabilimenti di trasformazione, è subordinata al riconoscimento ed all'assegnazione del relativo numero da parte della Regione o della Provincia Autonoma, sulla base dell'esito favorevole dell'istruttoria e del sopralluogo effettuati dai servizi veterinari delle A.U.S.L. (articolo 10 del decreto del Presidente della Repubblica n. 54/97).
A seguito di tale riconoscimento, tali stabilimenti sono sottoposti a controllo sanitario da parte del servizio veterinario (articolo 12 del decreto del Presidente della Repubblica n. 54/97).
Per quanto riguarda l'attività di controllo nel Settore lattiero caseario, nel far presente che l'Ispettorato centrale repressione frodi impiega ingenti risorse sia umane che strumentali al fine di contrastare eventuali illeciti si assicura che tali controlli interessano l'intera filiera produttiva attraverso verifiche sia presso le principali aziende che lavorano prodotti lattiero caseari sia in fase di commercializzazione degli stessi.
In particolare, si evidenzia che nel settore lattiero caseario sono state effettuate n. 1332 visite ispettive, nel corso delle quali sono stati effettuati n. 17 sequestri e prelevati n. 1107 campioni; di tali campioni su n. 848 analisi n. 725 sono risultati regolari e n. 123 irregolari.
Nel corso di tali controlli, si fa presente che ordinariamente viene controllata l'eventuale illecita detenzione o utilizzazione di latte in polvere sia ad uso umano che zootecnico.
Il Ministro delle politiche agricole e forestali: Giovanni Alemanno.

PECORARO SCANIO e LION. - Al Ministro dell'interno. - Per sapere - premesso che:
in data 8 settembre 2002, organizzata dal Parco fluviale dell'Alcantara, con sede a Francavilla di Sicilia, in collaborazione con l'Arpa (agenzia regionale per la protezione dell'ambiente) si è svolta la manifestazione «Puliamo il fiume 2002», cui hanno preso parte oltre mille partecipanti volontari, che con venti camion, nel corso dell'intera giornata, hanno raccolto tonnellate


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di rifiuti di diverso tipo, comprese batterie d'auto e contenitori di solventi, rottami di auto e carcasse di cani e ovini;
la giornata di sensibilizzazione, cui hanno preso parte numerose associazioni di ambientalisti, amministratori comunali, volontari e cittadini, rientra nell'ambito delle manifestazioni svoltesi a Taormina per la «IX Festa dell'Alcantara», interessando l'intero corso d'acqua, che si estende per circa 48 chilometri, inaccessibile in vari punti per la particolare orografia del territorio;
l'attività del giorno 8 settembre 2002 si è concentrata particolarmente nei territori di Calatabiano (Catania), alla foce del fiume Alcantara (che nasce a Floresta, in provincia di Messina), in contrada San Marco; nella contrada Marca di Castiglione di Sicilia (ponte di S. Nicola sulla strada provinciale 7/1); a Francavilla di Sicilia, lungo la strada statale 185 nei pressi del ponte di Gravà; a Gaggi presso il ponte Castrorao;
intorno alle ore 10 del giorno 8 settembre 2002, a Mojo Alcantara in contrada Chiusa, alcuni attivisti della Lipu, Lega italiana protezione uccelli, guidati da Angelo Scuderi, assieme a volontari del Cai, di Italia Nostra, eccetera, mentre erano intenti a liberare un giovane gheppio, soccorso nei giorni precedenti dai volontari della Lipu di Messina, venivano spaventati con alcune fucilate rivolte verosimilmente nella loro direzione, precisamente in località «Passo Mojo»;
del gruppo, fatto segno dagli spari, facevano parte il sindaco di Mojo Alcantara, Salvatore Currenti e il vicesindaco di Malvagna Nino Germanò. Secondo la ricostruzione dei fatti, gli sparatori sarebbero stati due cacciatori solitari, visti poi fuggire a bordo di una vettura fuoristrada. I colpi sparati sarebbero stati interpretati come un «pesante avvertimento»;
in un comunicato l'Ente parco fluviale dell'Alcantara, nell'esprimere solidarietà «a coloro che sono rimasti vittime del tentativo di intimidazione in contrada Passo Mojo, dove sono stati esplosi alcuni colpi di fucile mentre era in corso l'operazione «Puliamo il fiume», esprimono «la necessità di continuare nell'opera di sensibilizzazione verso la protezione della fauna e della natura, per evitare che le sponde del fiume continuino ad essere ritenute il contenitore dove potersi liberare di rifiuti ingombranti d'ogni genere»;
nel tardo pomeriggio di sabato 7 settembre, nelle campagne di Feudo Grande, in territorio di Fiumefreddo, a pochi chilometri dal luogo in cui si sono verificati i fatti suesposti, il carabiniere Mosè Squadrito, 41 anni, originario di Scaletta Zanclea (Messina), in servizio al nucleo radiomobile dei carabinieri di Giarre (Catania), mentre era impegnato in una battuta di caccia veniva ferito alla gamba e all'avambraccio da una rosa di pallini esplosi da un fucile da caccia;
lo sconosciuto sparatore piuttosto che soccorrere il carabiniere ferito fuggiva per le campagne circostanti, facendo perdere le proprie tracce. Subito dopo il militare veniva accompagnato all'ospedale Sant Isidoro di Giarre, dove i medici del pronto soccorso, provvedevano a prestare le prime cure, diagnosticando una prognosi di 15 giorni -:
quali provvedimenti intenda adottare il Governo per impedire che gesti simili abbiano a ripetersi, attentando all'incolumità e alla vita di persone ed agendo con intenti di intimidazione nei confronti di chi si sta adoperando per la salvaguardia della natura, dell'ambiente e della fauna, in una zona naturalistica di rara bellezza e considerando che il fiume Alcantara, attraversando due province siciliane provvede ad approvvigionare d'acqua numerosi Comuni, compresa la città di Messina e per impedire che la caccia possa mettere a repentaglio impunemente l'incolumità e la vita di cittadini.
(4-03956)

Risposta. - Si comunica che il 9 settembre 2002, sul quotidiano «La Sicilia


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veniva pubblicato un articolo di stampa dal titolo «Ecologisti nel mirino delle doppiette - Alcantara sfiorata la tragedia: colpi di fucile contro volontari della Lipu», a firma del giornalista Marcello Proietto Di Silvestro.
Considerato che non risultava presentata al riguardo presso i Comandi dell'Arma dei Carabinieri di quel comprensorio alcuna denuncia, personale della Stazione di Malvagna (ME) e di Taormina (ME) si recava presso il comune di Mojo Alcantara (ME) per contattare, quale possibile testimone, un delegato dalla Lipu, citato nel predetto articolo di stampa.
I militari dell'Arma, al fine di acquisire una visione completa sulla dinamica dei fatti, unitamente al citato delegato, effettuavano un sopralluogo nella contrada «Cottanera», in agro del Comune di Castiglione di Sicilia (CT), zona dove il giorno precedente si sarebbe registrato l'episodio cui faceva riferimento la stampa locale.
Successivamente, presso la Stazione Carabinieri di Malvagna, la persona citata dichiarava, in ordine al predetto episodio, che i cacciatori indicati nell'articolo non erano due ma uno, così come i colpi di fucile esplosi; inoltre, sosteneva che lo sconosciuto si trovava posizionato su un'altura, distante circa 150 metri rispetto ai volontari della Lipu; infine assicurava che i pallini non avevano colpito nessuno dei presenti, ma erano caduti a pochi metri di distanza dai volontari.
La persona predetta rassicurava inoltre di aver segnalato al giornalista l'opportunità di non creare allarmismi, dal momento che il colpo di fucile esploso non risultava essere diretto contro i volontari della Lipu.
In relazione all'articolo di stampa di che trattasi, veniva, pertanto, sentito lo stesso giornalista che, comunque, confermava integralmente quanto pubblicato.
Dall'esito degli accertamenti e delle risultanze venivano informate le Procure della Repubblica di Messina e Catania.
Per quanto concerne il ferimento di un carabiniere cui fa riferimento la medesima interrogazione parlamentare, avvenuto in data 7 settembre 2002 a pochi chilometri dal luogo in cui si sono verificati i fatti suesposti, l'Arma dei Carabinieri ha fatto presente che il 7 settembre 2002, verso le ore 16,00, un vicebrigadiere, in servizio presso la Compagnia di Giarre (CT), si era recato a caccia da solo, in località Feudogrande, agro del comune di Fiumefreddo di Sicilia (CT). Verso le ore 18,00, il medesimo era stato colpito da alcuni pallini a seguito di colpo di fucile esploso da uno sconosciuto.
Nella circostanza, il militare notava un uomo che si allontanava, incurante delle sue richieste di aiuto.
Presso il pronto soccorso dell'Ospedale di Giarre, al predetto sottufficiale dell'Arma venivano riscontrate varie ferite provocate da pallini da caccia con una prognosi complessiva di 15 giorni.
Il militare sporgeva formale denuncia contro l'autore dell'episodio, rimasto comunque ignoto.
Il Sottosegretario di Stato per l'interno: Alfredo Mantovano.

PERROTTA. - Al Ministro dell'interno. - Per sapere - premesso che:
il 1 dicembre 2002 trentacinque volanti della squadra mobile hanno occupato Piazza Duomo a Milano per protestare pacificamente contro una sentenza a carico di tre poliziotti condannati a tre anni di carcere, ritenuta dagli stessi del tutto infondata;
l'episodio in questione, verificatosi il 19 marzo del 1996, vede protagonista un equipaggio della squadra mobile di Milano, ritenuto colpevole di aver fermato per controlli di routine un'automobile con a bordo un extracomunitario di origine marocchina, il signor Zarouali Ahmed -:
se, in considerazione dei predetti fatti, i Ministri in questione non ritengano opportuno, per quanto attiene alle relative competenze, di dover sospendere i procedimenti disciplinari in corso a carico degli


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agenti della squadra mobile di Milano, i quali si sono resi responsabili per aver manifestato solidarietà ai propri colleghi, vittime, a loro parere, di una sentenza che crea incertezza negli operatori della sicurezza pubblica, i quali, in virtù di questo precedente giudiziario, potrebbero vedersi costretti, per evitare di incorrere in denunce nell'esercizio delle loro funzioni, a mobilitare due gruppi di equipaggi, onde agire «addirittura» in presenza di testimoni, avviando un dialogo con le parti, agenti e sindacati.
(4-04771)

Risposta. - L'interrogazione parlamentare in discorso fa riferimento alla condanna di tre Sovrintendenti della Polizia di Stato in servizio presso la Questura di Milano, in relazione ad un episodio avvenuto il 19 marzo 1996, durante un ordinario controllo di identificazione di uno straniero.
Quest'ultimo, infatti, sporse denuncia nei confronti degli agenti, sostenendo di aver consegnato ad uno di essi il proprio portafogli, contenente i documenti di identità e denaro contante, e di aver constatato, alla restituzione, che mancavano banconote per circa 600 mila lire.
Anche lo straniero fu denunciato dal personale della pattuglia della Polizia di Stato per oltraggio a pubblico ufficiale.
Il 19 gennaio 2000 il Tribunale di Milano ha ritenuto i tre agenti responsabili del reato di concorso in rapina con abuso dei poteri inerenti alla qualifica di agenti di pubblica sicurezza, e li ha condannati ciascuno alla pena di anni 3 di reclusione ed un milione di lire di multa, nonché alla pena accessoria dell'interdizione dai pubblici uffici per la durata di cinque anni.
Sulla base di tale pronuncia e su proposta del Questore di Milano, i tre sono stati sospesi cautelarmene dal servizio, a decorrere dal mese di luglio 2000, ai sensi dell'articolo 9, comma 2, del decreto del Presidente della Repubblica 25 ottobre 1981, n. 737 (recante «Sanzioni disciplinari per il personale dell'Amministrazione della pubblica sicurezza e regolamentazione dei relativi procedimenti»).
La sentenza di primo grado è stata confermata sia dalla Corte d'appello di Milano (sentenza del 26 marzo 2001), sia dalla Corte di cassazione (sentenza del 20 novembre 2002), che ha respinto il ricorso degli imputati rendendo definitiva la loro condanna.
In segno di solidarietà con i colleghi, il 30 novembre 2002, all'inizio del turno notturno, circa 40 addetti alle «volanti» hanno raggiunto Piazza Duomo dove hanno sostato per circa 20 minuti, esprimendo così la loro solidarietà nei confronti dei colleghi condannati, addetti al medesimo turno; si precisa che, di norma, ogni turno di «volante» vede impegnati circa 60 dipendenti.
L'episodio è stato oggetto di valutazione in occasione di una ispezione ministeriale presso la Questura di Milano, disposta dal Dipartimento della Pubblica sicurezza del Ministero dell'interno.
Dalle verifiche sinora effettuate non sono emersi disservizi dovuti alla manifestazione spontanea degli agenti, poiché tutti gli equipaggi coinvolti, raggiunti da richieste di intervento della Centrale operativa, hanno subito abbandonato piazza Duomo per recarsi nei punti della città rispettivamente loro indicati.
Per tale ragione è destituita di fondamento l'affermazione per cui nei confronti degli agenti che hanno partecipato alla manifestazione sarebbero stati adottati provvedimenti disciplinari, allo stato neppure avviati, benché l'analisi dei fatti cui si è fatto cenno e dei comportamenti individuali del personale coinvolto non sia ancora compiutamente definita.
Nei mesi seguenti l'attività di istituto è proseguita nella più assoluta normalità, né vi sono state altre iniziative analoghe sicché è privo di riscontro qualsiasi timore di condizionamento degli agenti impegnati nei servizi di controllo del territorio per effetto delle vicende cui si è fatto cenno.
A carico dei tre operatori condannati, attualmente affidati ai servizi sociali, la Questura di Milano ha avviato il procedimento disciplinare che, per legge, deve essere


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instaurato entro 90 giorni dal passaggio in giudicato della sentenza.
Tanto premesso, pur nella convinzione che valutazioni sul merito della sentenza di condanna non competano al Governo, si sottolinea che la stessa ha avuto il conforto di tre gradi di giudizio e che, anche nell'occasione, deve mantenersi un atteggiamento di rigoroso rispetto per l'operato della magistratura.
Ciò non si contrappone alla fiducia e alla vicinanza che il Governo esprime quotidianamente agli operatori delle Forze di polizia, impegnate in un lavoro difficile e rischioso.
Più in generale, il disagio espresso dagli agenti della Questura di Milano e dalle organizzazioni sindacali trova fondamento anche nel rischio di esposizione a ritorsioni, a denunce pretestuose e altre iniziative giudiziarie rispetto alle quali la difesa degli appartenenti alle Forze dell'Ordine può risultare complessa e gravosa.
Senza far venir meno principi giuridici comuni, potrebbero rivelarsi utili, sotto questo profilo, specifiche misure per attenuare tale rischio, anche attraverso misure di tutela legale, che permettano al personale in questione di sperare nella piena correttezza e con la necessaria serenità.
In considerazione di ciò, il nuovo contratto di lavoro del personale della Polizia di Stato relativo al quadriennio 2002-2005 ed al biennio economico 2002-2003, recepito con decreto del Presidente della Repubblica del giugno scorso, estendendo misure già previste a favore del personale imputato, consente di anticipare la somma di 2.500 euro per le spese legali anche agli ufficiali e agli agenti di pubblica sicurezza o di polizia giudiziaria semplicemente indagati per fatti inerenti il servizio.
In occasione dello stesso rinnovo contrattuale, il Governo ha inoltre assunto uno specifico impegno per la semplificazione delle procedure per il rimborso delle spese legali relative a procedimenti giudiziari connessi all'attività di servizio.
Il Sottosegretario di Stato per l'interno: Alfredo Mantovano.

PEZZELLA, SERENA e LANDOLFI. - Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, al Ministro dell'economia e delle finanze. - Per sapere - premesso che:
con tanta grancassa pubblicitaria fu ceduta nel 1996 una quota pari al 75 per cento della società Gesac di proprietà del comune di Napoli e della provincia di Napoli alla BAA ammantandola di efficientismo pseudoazindalista;
il regolamento n. 521 del 1997 prevede agli articoli 2, 3, 4 e 6 i requisiti che gli attuali gestori parziali, anche il regime precario, devono soddisfare per poter legittimamente aspirare alla concessione di gestione totale;
in particolare, l'articolo 2 stabilisce la natura delle società di gestione e l'eventuale partecipazione dei soci pubblici; dispone espressamente in ordine alle procedure di privatizzazione cui le società interessate devono fare ricorso per la eventuale scelta del socio privato di maggioranza e per la eventuale cessione a privati di quote di maggioranza;
il consiglio di amministrazione dell'Enac, nella seduta del 26 aprile 2001, ha deliberato la sottoscrizione della convenzione di gestione totale con talune società che hanno presentato un assetto societario conforme alle prescrizioni del regolamento che tra esse non figura la Gesac di Napoli;
gli organi della stampa nazionale hanno dato ampio risalto alle aspre dichiarazioni dei vertici della società Gesac che gestisce l'aeroporto di Napoli Capodichino e degli esponenti politici locali che hanno denunciato gli «assurdi comportamenti di Enac che come se fosse un gioco provvede a dare in concessione la gestione totale alle società che gestiscono aeroporti di gran lunga meno importanti di Napoli...», parlando di decisioni ispirate da «motivi oscuri» e «superficialità»; l'amministratore delegato Maurio Pollio - secondo quanto riportato dai giornali si è «riservato di intraprendere, sia in sede


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nazionale che internazionale, tutte le iniziative giudiziarie del caso...»;
risulta agli interroganti in data 30 luglio 2001, l'Enac avrebbe diffuso un comunicato stampa con il quale avrebbe precisato che la Gesac non è stata a tutt'oggi esclusa dall'affidamento della gestione totale e che con l'atto di indirizzo interministeriale del 30 novembre 2000, il Ministro dei trasporti e della navigazione pro tempore avrebbe formulato le indicazioni necessarie a dare attuazione al regolamento 521/1997 per l'affidamento delle gestioni totali aeroportuali, richiamando il parere espresso in merito dal ministero dei lavori pubblici. Tale parere segnalerebbe la necessità che la privatizzazione delle quote di maggioranza deve essere imprescindibilmente annenuta mediante confronto concorrenziale, il comunicato stampa aggiunge inoltre che la questione della privatizzazione della società di Napoli era stata sottolineata al ministero dei trasporti della direzione generale dell'Enac;
la gravità delle accuse e i toni polemici spesi contro le decisioni dell'Enac impongono un intervento del Ministro delle infrastrutture e dei trasporti per esprimere una valutazione conclusiva sull'operato dell'Enac e comunque un fermo richiamo ad una fattiva collaborazione tra tutti gli operatori pubblici e privati del settore, specialmente in questo momento in cui tutte le componenti del trasporto aereo sono chiamate a partecipare efficacemente per un immediato recupero di fiducia dell'utenza;
è evidentemente priva di ogni pregio giuridico l'affermazione riportata sui giornali secondo cui il provvedimento dell'Enac sarebbe assurdo in quanto l'aeroporto di Capodichino è stato il primo in Italia ad essere privatizzato...;
risulta avviata una indagine della procura della Repubblica presso il tribunale di Napoli anche in relazione alla cessione delle quote da parte del comune e della provincia che hanno determinato la privatizzazione della società Gesac -:
quali iniziative intenda adottare per evitare che le polemiche dichiarazioni della Gesac determinino un rallentamento nella definizione dei procedimenti di affidamento delle gestioni totali aeroportuali nei confronti delle società che risultano adeguate alle previsioni del regolamento n. 521/97 e per garantire, a quattro anni dalla pubblicazione del regolamento, l'attuazione della riforma che consentirà ai gestori totali di attuare le proprie strategie imprenditoriali con l'autonomia decisionale che compete a chi ha responsabilità gestionali, organizzative e di coordinamento dell'aeroporto, visto che la definizione del processo di privatizzazione darà certezza anche in ordine alla titolarità delle responsabilità di un servizio che deve assicurare prioritariamente le garanzie di sicurezza che presidiano, secondo la normativa nazionale ed internazionale di riferimento, il trasporto aereo;
quale sia, salva restando ogni decisione della procura della Repubblica, la valutazione definitiva di entrambi i Ministri interpellati sulla conformità alle previsioni di legge richiamate dall'articolo 2 del regolamento n. 521/97, del procedimento seguito per la privatizzazione della Gesac, sia per quanto riguarda il ricorso allo strumento della trattativa diretta, sia in particolare per quanto riguarda le fasi della scelta del socio privato, atteso che ciò consentirebbe di porre fine alle attuali perplessità sulla correttezza delle procedure seguite restituendo certezza di riferimenti a tutti i soggetti interessati alla questione;
quali siano i risvolti economici che tale esclusione comporta;
se non si ritenga che la cessione di quote da parte del comune e della provincia di Napoli priva di evidenza pubblica comparativa abbia comportato un danno secco di centinaia di miliardi per i poveri


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contribuenti di Napoli e della provincia di Napoli.
(4-04576)

Risposta. - Con riferimento all'interrogazione in discorso, si forniscono i seguenti elementi di risposta.
La società Gesac S.p.A., gestore parziale dell'aeroporto di Napoli Capodichino, con istanza del 15 gennaio 1999 ha chiesto all'ente per l'aviazione civile - Enac l'affidamento della gestione totale dell'aeroporto ai sensi dell'articolo 7 del regolamento ministeriale 12 novembre 1997, n. 521.
L'Enac, nel corso della procedura, aveva espresso perplessità sul diritto della società di gestione ad ottenere la suddetta concessione in relazione al fatto che la cessione delle quote di maggioranza, di cui erano titolari il comune e la provincia di Napoli, si era svolta con trattativa diretta e non con la procedura concorsuale prevista, invece, quale presupposto essenziale per la cessione di quote di maggioranza delle società di gestione aeroportuale dal decreto ministeriale 521 del 1997.
Secondo il disposto di detto decreto e della direttiva ministeriale 141/T del 30 novembre 2000, l'affidamento della gestione totale ai soggetti titolari di gestione parziale - quale era la Gesac - è subordinato anche alla legittimità del processo di costituzione della società di gestione, legittimità posta in dubbio dal momento che la cessione della partecipazione maggioritaria degli enti locali ha avuto luogo senza alcuna fase concorsuale.
Nel merito il ministero ha ritenuto di sollecitare l'avviso dell'Avvocatura generale dello Stato la quale con parere CS 7655/02-189 del 9 novembre 2002, ha evidenziato che il contratto di cessione delle quote si è perfezionato in data 1o agosto 1997 e, quindi, anteriormente sia al decreto ministeriale 521 del 1997 sia alla direttiva del ministero dei trasporti citata.
Ad avviso dell'Avvocatura, la legittimità della cessione va quindi valutata alla stregua della normativa vigente al momento del perfezionamento della cessione medesima non potendosi dare autonomo rilievo a provvedimenti, quali il decreto ministeriale 521 del 1997, privi di efficacia retroattiva o a note ministeriali aventi, al più, mera efficacia interpretativa.
In merito alla causa penale presso il tribunale di Napoli per la cessione di cui trattasi, la sezione del giudice dell'udienza preliminare, con sentenza del 20 dicembre 2002, ha dichiarato che «il comportamento posto in essere dai pubblici amministratori è stato del tutto conforme al dettato normativo e non è riconducibile prima ancora che nell'alveo dell'illiceità penale in quello dell'illegittimità amministrativa», deliberando pertanto, di non doversi procedere perché i fatti non sussistono.
Sulla base del parere espresso dall'Avvocatura generale dello Stato, l'Enac ha, in data 9 dicembre 2002, sottoscritto con la società Gesac S.p.A. la convenzione per l'affidamento in gestione totale dello scalo di Napoli Capodichino per la durata di tre anni. Il relativo decreto interministeriale di approvazione, il cui iter di perfezionamento è tuttora in corso, ne prevede l'estensione fino a quaranta anni.
Il Ministro delle infrastrutture e dei trasporti: Pietro Lunardi.

PISICCHIO. - Al Ministro delle politiche agricole e forestali. - Per sapere - premesso che:
le eccezionali condizioni climatiche del lungo e non ancora concluso inverno 2001/2002 e l'inusuale e prolungato combinarsi di siccità e gelo, hanno prodotto, nell'Europa centro-meridionale e, in particolare in Italia situazioni di straordinario allarme;
tale straordinario allarme si è tramutato in una vera e propria emergenza per alcune produzioni autunno-vernine del comparto agricolo, che, soprattutto nel meridione d'Italia, rappresentano una voce trainante del settore primario;
a tutt'oggi si calcola che in Puglia, una delle regioni più colpite, si è registrato un drammatico crollo delle produzioni


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ortofrutticole da un minimo del 20 ad un massimo del 60 per cento, mentre il frumento e la carciofocoltura, colture di punta nell'area regionale, hanno denunciato un calo addirittura dell'80 per cento, con una perdita valutata, a tutt'oggi, in almeno 100 milioni di euro;
il drastico ridimensionamento delle produzioni ha determinato impennate nei prezzi al consumo del tutto insostenibili, con effetti inflattivi preoccupanti al punto tale da aver destato le preoccupazioni dell'autorità giudiziaria -:
quali urgenti interventi a sostegno delle produzioni più colpite intenda svolgere al fine di ridurre, almeno in parte, la grande difficoltà in cui versano i produttori agricoli meridionali e pugliesi in particolare.
(4-01855)

Risposta. - In merito all'interrogazione in discorso, concernente le difficoltà economiche in cui versano le imprese agricole della regione Puglia ripetutamente colpita dalle avversità atmosferiche nel corso del 2001 e del 2002, si ricorda, innanzi tutto, che in presenza di eventi climatici avversi, di carattere eccezionale, su proposta motivata e documentata della regione territorialmente competente, prodotta nei termini previsti dalla legge n. 185 del 1992, il ministero delle politiche agricole e forestali provvede ad attivare con la massima sollecitudine, gli interventi del Fondo di solidarietà nazionale nelle aree colpite, per favorire la ripresa economica e produttiva delle imprese agricole danneggiate.
Successivamente, con i periodici prelevamenti dal Fondo di solidarietà nazionale, d'intesa con la Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le regioni e le province autonome di Trento e di Bolzano, si dispongono le assegnazioni delle risorse finanziarie alle regioni, competenti alla erogazione degli aiuti economici, contributivi e creditizi, a favore delle imprese agricole danneggiate ed alla realizzazione dei ripristini delle strutture fondiarie danneggiate.
In base a tali procedure, a favore della regione Puglia nel corso del biennio 2001 e 2002, dopo la declaratoria degli eventi climatici avversi segnalati dalla regione medesima, è stata assegnata ed erogata la somma di euro 36.187.599,44, con prelevamenti dal Fondo di solidarietà nazionale.
Successivamente, a seguito dell'emanazione del decreto-legge n. 138 del 2002, convertito dalla legge n. 178 del 2002, convertito dalla legge n. 178 del 2002, che all'articolo 13 commi 4-
bis, 4 -ter, 4-quater e 4-quinquies prevede interventi straordinari ed integrativi delle analoghe misure previste dalla legge n. 185 del 1992, nelle aree colpite dalla siccità negli anni 2000, 2001 e 2002, e al comma 4-octies reca uno stanziamento di 18 milioni di euro a titolo di limite di impegno, l'Amministrazione, per consentire l'immediata erogazione degli aiuti integrativi, ha assegnato alle regioni interessate una prima quota di stanziamento di 9 milioni di euro, dei quali 1.436.851,30, euro sono stati assegnati alla regione Puglia.
A conclusione dei rilevamenti tecnici sui danni della siccità, è stato altresì disposto il riparto a conguaglio della restante quota di 9 milioni di euro che saranno trasferiti alle regioni non appena acquisita l'intesa della Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le regioni e le province autonome di Trento e di Bolzano, tuttora in corso.
In base a quanto previsto nella proposta di riparto a conguaglio, alla regione Puglia sarà assegnata la somma di euro 1.225.348,70, a titolo di limite di impegno.
Per quanto riguarda, infine, la siccità e le gelate del 2001/2002, si fa presente che a tutt'oggi, su proposta della regione Puglia, sono stati emessi i decreti di declaratoria, di seguito indicati:
Decreto del 10 settembre 2001 (pubblicato sulla
Gazzetta Ufficiale n. 225 del 27 settembre 2001);
Decreto del 4 dicembre 2001 (pubblicato sulla
Gazzetta Ufficiale n. 294 del 19 dicembre 2001);
Decreto del 4 febbraio 2002 (pubblicato sulla
Gazzetta Ufficiale n. 43 del 20 febbraio 2002);


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Decreto del 15 febbraio 2002 (pubblicato sulla
Gazzetta Ufficiale n. 58 del 9 marzo 2002);
Decreto del 12 agosto 2002 (pubblicato sulla
Gazzetta Ufficiale n. 197 del 23 agosto 2002);
Decreto del 12 agosto 2002 (pubblicato sulla
Gazzetta Ufficiale n. 198 del 24 agosto 2002).

Si evidenzia, comunque, che dopo la declaratoria degli eventi avversi e l'erogazione delle risorse finanziarie da parte del ministero, i successivi adempimenti per l'erogazione degli aiuti, sono di esclusiva competenza regionale.
Il Ministro delle politiche agricole e forestali: Giovanni Alemanno.

RAFFALDINI. - Al Ministro dell'interno. - Per sapere - premesso che:
il 6 gennaio 2003, nel reparto di radiologia dell'ospedale «Carlo Poma» di Mantova, sono stati compiuti gravissimi atti vandalici e di sabotaggio;
sono state danneggiate a martellate apparecchiature, ecografi, tac, computer e stampanti con un danno valutato in 500 mila euro;
a ciò si aggiungono scritte offensive sulle pareti;
bloccare la radiologia vuol dire bloccare l'ospedale;
atti vandalici e sabotaggi non sono nuovi in questo ospedale;
nel gennaio 2001 c'è stata una doppia incursione notturna negli uffici del direttore generale;
il 16 febbraio 2001 c'è stato un rogo nella lavanderia;
il 26 settembre 2001 sono stati tagliati i cavi di un respiratore ad ossigeno nella sala operatoria;
sono seguiti furti di televisori e di sonde per ecografo;
nel novembre 2001 sono stati compiuti atti di sabotaggio su apparecchiature per la dialisi;
in questi ultimi anni la regione Lombardia ha cambiato molti direttori generali dell'azienda ospedaliera mantovana;
l'apertura dei nuovi edifici che dovrebbero ospitare molti reparti continuano ad essere rimandata -:
quali iniziative urgenti intenda intraprendere per garantire la sicurezza dell'ospedale «Carlo Poma» di Mantova.
(4-05140)

Risposta. - Rispondendo all'interrogazione parlamentare in discorso, si comunica che effettivamente, nel pomeriggio del 6 gennaio scorso, ignoti hanno danneggiato alcuni reparti dell'ospedale «Carlo Poma» di Mantova, provocando ingenti danni.
In particolare, sono stati danneggiati numerosi computer ed apparecchiature mediche del reparto radiografia ed imbrattate le pareti, il pavimento, le suppellettili ed alcuni testi scientifici della biblioteca. Sulle pareti sono state vergate scritte offensive nei confronti del primario del reparto e dei suoi collaboratori.
Le indagini condotte dalla Digos della locale questura, tuttora in corso, sono indirizzate principalmente all'interno dell'ambiente ospedaliero sia per le citate scritte, sia per l'assenza di segni di effrazione alle porte di accesso al reparto, circostanza che denoterebbe un'evidente conoscenza dei locali della struttura e del luogo dove vengono custodite le chiavi di accesso ai locali danneggiati.
L'atto vandalico, infatti, potrebbe essere stato perpetrato come ritorsione al progetto avviato dal primario del reparto per l'incremento della produttività della struttura, che avrebbe causato scontento in parte del personale ospedaliero, Soprattutto a seguito delle variazioni dei turni di servizio e della


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ridistribuzione delle responsabilità e dei carichi di lavoro tra i dipendenti.
Gli altri eventi criminosi verificatisi nel 2001 ed evocati nell'interrogazione parlamentare potrebbero inquadrarsi nel clima di contestazione, spesso accesa. instauratosi contro il piano, avviato dalla regione, di trasferimento di molti reparti presso una nuova struttura, poi inaugurata lo scorso 9 febbraio.
Ai menzionati episodi sono state dedicate apposite riunioni del Comitato provinciale per l'ordine e la sicurezza pubblica di Mantova, che, già dal mese di novembre 2001, aveva disposto l'inserimento dell'ospedale «Carlo Poma» tra gli obiettivi prioritari dei servizi di controllo del territorio da parte delle Forze dell'ordine.
Dagli inizi del decorso anno, inoltre, sono stati incrementati i controlli agli ingressi ritenuti particolarmente a rischio con l'utilizzazione di guardie particolari giurate.
Per quanto concerne la sicurezza antincendio della struttura ospedaliera, in attesa dell'ultimazione dei lavori di adeguamento degli impianti, è stato istituito, fin dall'inizio del 2002, un presidio permanente di Vigili del fuoco all'interno dell'ospedale.
Il Sottosegretario di Stato per l'interno: Alfredo Mantovano.

RAISI. - Al Ministro dell'interno. - Per sapere - premesso che:
il gruppo volontari di protezione civile e prevenzione di Faenza (guardie giurate volontarie) legalmente costituito e iscritto ex articolo 6 della legge 11 agosto 1991, n. 266 e articolo 2 legge regionale 2 settembre 1996, n. 37, si occupa da diversi anni di vigilanza e prevenzione sia diurna che notturna nei boschi, lungo i corsi d'acqua e nei parchi;
in alcune prefetture italiane è stato riscontrato il rilascio di licenza per porto d'arma da fuoco per i soggetti come quelli sopra indicati, di talché in data 1 luglio 2002 il presidente dell'associazione richiedeva al prefetto di Ravenna il rilascio delle suddette licenze per i propri iscritti: guardie giurate munite di apposito decreto venatorio, ittico, zoofilo e ambientale;
a causa del mancato rilascio delle licenze per alcuni suoi associati, il gruppo ha difficoltà a compiere gli ordini di servizio, richiesti anche da enti pubblici, in quanto soprattutto nelle ore notturne gli stessi dovrebbero controllare che le zone protette non siano frequentate da bracconieri (spesso armati) e da cacciatori -:
se sia a conoscenza della situazione e se non sia il caso di addivenire ad una soluzione comune per tutte le province italiane; se soprattutto non sia il caso di valutare la concessione del rilascio di licenza di porto d'arma da fuoco per quei soggetti regolarmente iscritti ai sensi delle predette leggi operanti all'interno delle zone faunistico-venatorie e nei parchi.
(4-05346)

Risposta. - L'articolo 27 della legge 11 febbraio 1992, n. 157 (legge quadro in materia di esercizio della caccia), mentre riconosce espressamente agli agenti dipendenti degli enti locali delegati dalle regioni la qualifica di agenti di polizia giudiziaria e quella di agenti di pubblica sicurezza, nonché il potere di porto delle armi in servizio senza licenza (lettera a), si limita a prevedere, per le guardie volontarie, l'abilitazione allo svolgimento di compiti di vigilanza venatoria a condizione che sia riconosciuta la qualifica di guardie particolari giurate ai termini del Testo Unico delle leggi di pubblica sicurezza (lettera b).
I soggetti muniti di tale qualifica, conferita dal prefetto con specifico provvedimento di nomina, possono portare armi in servizio solo previo conseguimento della licenza di polizia prevista dall'articolo 42 del Testo Unico citato, che richiede in ogni caso la dimostrazione del bisogno di girare armati.
Per accertare tale necessità, il prefetto o il questore, a seconda dei casi, sono tenuti ad una verifica, che presenta inevitabilmente margini di apprezzamento discrezionale in relazione alla situazione locale ed alla rispondenza dell'atto all'interesse pubblico.


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È quindi su questo concetto di «dimostrato bisogno», che si sostanzia nelle situazioni di rischio o necessità, comprovate in sede di specifica istruttoria, che deve essere valutata la questione prospettata dall'On.le interrogante, e che riguarda il «gruppo volontari di protezione civile» di Faenza.
È da aggiungere, tuttavia, che per quanto attiene lo svolgimento dell'attività di vigilanza faunistico-ambientale connessa al possesso della qualifica di guardia giurata volontaria, le espresse direttive del ministero dell'interno non prevedono generalmente per tale categoria di soggetti il rilascio del porto d'armi soprattutto in considerazione dei limitati compiti cui sono chiamati gli appartenenti a siffatte associazioni di volontariato, alle quali non è stata attribuita alcuna qualifica di agenti di polizia giudiziaria.
Ad integrazione di quanto sopra si rappresenta, altresì, che le guardie giurate volontarie non sono assimilabili né alle guardie dipendenti dagli enti locali deputati allo svolgimento dell'azione di controllo in materia faunistico-ambientale, né alle guardie particolari giurate dipendenti da istituti di vigilanza privata, categoria alla quale è riconosciuto invece il diritto ad essere autorizzati al porto di pistola, in relazione alla rilevante attività svolta dalle guardie giurate nell'esercizio delle proprie funzioni.
Si sottolinea infine che le questioni richiamate dall'onorevole interrogante potranno trovare adeguata risposta in sede di esame parlamentare del disegno di legge in materia di «sicurezza sussidiaria», approvato dal Consiglio dei Ministri in via preliminare nella seduta del 28 marzo scorso e che, dopo i necessari pareri di competenza, verrà presentato in Parlamento per l'esame di merito.
Il Sottosegretario di Stato per l'interno: Antonio D'Alì.

RAISI. - Al Ministro dell'interno. - Per sapere - premesso che:
molte Prefetture attualmente negano o comunque concedono in base a parametri puramente discrezionali la licenza di porto d'armi alle guardie giurate;
le mansioni di guardia giurata ittico-venatoria e zoofila si sostanziano fondamentalmente nella vigilanza anche notturna dei parchi e dei corsi d'acqua del territorio provinciale, in un pieno coordinamento con le forze dell'ordine;
nella pratica del servizio volontario accade sovente - è l'oggetto del servizio stesso - di imbattersi in vandali, bracconieri e pescatori di frodo: tali soggetti una volta colti in flagrante, frequentemente armati, quando non addirittura necessariamente armati, e con armi da fuoco, per quanto riguarda i bracconieri, vanno sottoposti ad identificazione e disarmati dalle guardie giurate nell'esercizio della propria funzione di agenti di polizia giudiziaria;
tale particolare, necessario e pericoloso servizio pertanto necessita logicamente in capo alla singola guardia della concessione di licenza di porto d'armi;
un profilo su cui occorre assolutamente focalizzare l'attenzione è la fondamentale differenza intercorrente tra le guardie giurate ittico-venatorie zoofile da un lato, di risalente istituzione attraverso i regi decreti 773/1931 (T.U.L.P.D.) e 1604/1931 (sulla pesca, per la figura delle guardie ittiche) le G.E.V. (Guardie Ecologiche Volontarie) dall'altro, istituite e regolate unicamente dalla legge 157 del 1 febbraio 1992 sulla tutela dell'ambiente, oltre alle norme di attuazione regionali e provinciali della stessa;
il fatto che la richiamata normativa del 1992 regoli la materia della tutela ambientale anche con riferimento alla figura della guardia giurata, figura a sua volta autonomamente regolata dai sopramenzionati regi decreti, porta purtroppo molte prefetture a confondere (o a voler confondere...) le guardie giurate ittico-venatorie e zoofile con le G.E.V., figure che - si ripete - assolutamente distinte e


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«minori» nella pregnanza e pericolosità delle attribuzioni;
il servizio effettuato dalla guardia giurata infatti integra, rispetto alle mansioni G.E.V., un più specifico ruolo di repressione del bracconaggio sul territorio e lungo i corsi d'acqua, nonché della prevenzione vandalismo nei parchi pubblici. Come tali le guardie giurate ittico-venatorie e zoofile sono appositamente abilitate. Il servizio si svolge prevalentemente nottetempo e con non infrequenti contatti ravvicinati con soggetti criminali ed armati. La licenza di porto d'armi è pertanto assolutamente necessaria, e ciò, come vedremo, anche per legge;
in caso contrario tale servizio di prevenzione e vigilanza, svuotato di un suo requisito fondamentale, risulterebbe non più espletabile;
è la particolare natura del particolare servizio svolto, in presenza di tutti i requisiti di legge, che prescrive il porto d'armi;
a norma del T.U.L.P.S.-regio decreto 733 del 18 giugno 1931 e successive modifiche, e della normativa di cui agli articoli 27 e 28 della legge 157 del 1 febbraio 1992 regolante la materia, alle guardie giurate di protezione ambientale è attribuita la qualifica di agente di polizia giudiziaria, qualifica indispensabile alle particolari dette attività di controllo previste dal citato articolo 28;
l'unica differenza in merito rispetto agli agenti dipendenti dalla provincia esercenti le stesse mansioni è infatti proprio la necessità in capo alle guardie giurate della licenza di porto d'armi per prestare il servizio armato, mentre questa non è richiesta per detti agenti di polizia provinciale, in quanto dotati anche di qualifica di agente di pubblica sicurezza;
per quanto attiene poi alla specifica mansione di guardia ittica, il regio decreto 1604 del 1931, articolo 30 e 31, espressamente la qualifica come un agente di polizia giudiziaria;
è intuitivo come qualsiasi agente di polizia giudiziaria debba necessariamente potere prestar servizio armato: prescindendo dalle figure per così dire «principali» degli agenti di pubblica sicurezza e dei carabinieri, ne sono l'ovvia conferma gli agenti di polizia provinciale (esercenti per legge le medesime funzioni delle guardie giurate ittico-venatorie) e di polizia municipale;
un ulteriore profilo di pericolo cui la guardia giurata è esposta è inoltre quello rappresentato dalle sempre possibili azioni di rappresaglia che detti soggetti potrebbero facilmente mettere in atto contro chi ha elevato contro di loro verbali o addirittura provveduto a denuncia o in casi limite all'arresto in flagranza;
la giurisprudenza amministrativa si è recentemente finalmente pronunciata a favore dell'obiettività del rischio connaturato alle mansioni delle suddette guardie; in particolare:
a) il TAR di Parma, con la nota sentenza n. 569 del 6 ottobre 1999, resa definitiva dal Consiglio di Stato, uniformandosi alla unanime giurisprudenza della Cassazione penale, in modo perfettamente logico ha riconosciuto che le guardie zoofile sono da considerarsi a tutti gli effetti agenti di polizia giudiziaria per le loro particolari mansioni ed attribuzioni e che quindi hanno pieno diritto al porto d'armi. Tale pronuncia ha esplicitamente sospeso l'efficacia della circolare 555/C. 30137.10173.A(L) del 18 marzo 1995 sulla quale le autorità prefettizie sovente fondavano (e purtroppo ancora talvolta fondano) immotivati dinieghi di concessione alle guardie giurate ittico-venatorie;
b) una recente pronuncia del Consiglio di Stato (Sez. I n. 423/2001 del 26 aprile 2001) ha rimosso ogni dubbio in merito, risolvendo un caso di diniego di porto d'armi ad una guardia giurata, basato sulla pretesa genericità dei motivi


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della richiesta, secondo l'assioma per cui una guardia giurata dovrebbe dimostrare di essere esposta ad un particolare pericolo, come se non fosse più che sufficiente a dimostrarlo il tipo di attività svolta;
ciò a buona ragione: infatti è l'oggettivo pericolo cui la guardia è esposta a dimostrare la necessità della concessione della licenza di porto d'armi: il prefetto non può trasformarsi in legislatore stabilendo che una guardia deve dimostrare un pericolo attuale ulteriore che giustifichi tale concessione, in quanto il semplice esercizio di dette mansioni non è sufficiente nel suo parere o nella falsa applicazione di una circolare;
«a fronte di tale circostanza non appare sufficiente la generica contrapposizione da parte dell'amministrazione di una generica revisione dei titoli che abilitano al porto di pistola», oppure, aggiunge il sottoscritto, motivi di «genericità» della domanda o richiami a circolari sospese dall'autorità giudiziaria amministrativa per la loro manifesta illogicità ed erroneità, come detto sopra;
a completamento, piace riportare di seguito la massima della sentenza TAR Calabria sez. Catanzaro del 24 agosto 1999, n. 994: «è illegittimo il diniego di rilascio di porto d'armi per difesa personale la cui motivazione si limiti ad un sintetico giudizio di non pericolosità, dovendo l'amministrazione obiettivamente esaminare se nella vita del richiedente sussistano o meno ragioni idonee a legittimare la detenzione dell'arma»;
pertanto deve intendersi obiettivamente motivata la licenza di porto di pistola per difesa personale per chi sia dotato della qualifica di guardia giurata ittico-venatoria e zoofila, svolgendo per questo motivo servizi di vigilanza anche notturna per la prevenzione dei crimini ambientali. In forza di detta abilitazione inoltre tale soggetto è dotato di qualifica di agente di polizia giudiziaria con specifico diritto a detta concessione di licenza. Infine appare perfettamente obiettivo anche il rischio di rappresaglie il quale notoriamente motiva da solo la concessione di suddetta licenza anche in capo a soggetti non esercenti attività assimilabili a quelle di agente di polizia giudiziaria -:
se sia a conoscenza della situazione e quali provvedimenti intenda intraprendere al fine di adottare un provvedimento di portata generale diretto a sancire l'effettività di tale diritto contro il principio di discrezionalità applicato in tale materia dalle prefetture.
(4-05507)

Risposta. - Rispondendo all'interrogazione parlamentare in discorso, si osserva che la normativa vigente non attribuisce, in via generale ed automatica, alle guardie giurate venatorie volontarie, il potere di portare armi durante lo svolgimento del servizio.
L'articolo 27 della legge 11 febbraio 1992, n. 157 (legge quadro in materia di esercizio della caccia), mentre riconosce espressamente agli agenti dipendenti degli enti locali delegati dalle regioni la qualifica di agenti di polizia giudiziaria e quella di agenti di pubblica sicurezza, nonché il potere di porto delle armi in servizio senza licenza (lettera
a), si limita a prevedere, per le guardie volontarie, l'abilitazione allo svolgimento di compiti di vigilanza venatoria a condizione che sia riconosciuta la qualifica di guardie particolari giurate a termini del Testo unico delle leggi di pubblica sicurezza (lettera b).
Quest'ultima, dunque, è la qualifica che la legge riconosce a dette guardie, nonché a quelle ittiche di cui al regio decreto n. 1604 del 1931, previo conferimento da parte del prefetto.
I soggetti muniti della qualifica di guardia particolare giurata possono portare armi in servizio solo previo conseguimento della licenza di polizia prevista dall'articolo 42 del Testo Unico citato, che richiede in ogni caso la dimostrazione del bisogno di girare armati.
Pur ammettendo che nei confronti di tali operatori, preposti ad importanti compiti


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di vigilanza, tale bisogno possa atteggiarsi in modo diverso rispetto ad altre categorie di richiedenti privati, nondimeno il prefetto o il questore, a seconda dei casi, sono tenuti ad una verifica, che presenta inevitabilmente margini di apprezzamento discrezionale in relazione alla situazione locale ed alla rispondenza dell'atto all'interesse pubblico, salvo ovviamente il dovere di motivare in modo adeguato gli eventuali provvedimenti di diniego.
Tenuto conto di quanto precede, il regolamento di attuazione dello stesso Testo Unico, approvato con regio decreto 6 maggio 1940, n. 635, riconosce alle guardie giurate, e dunque anche a quelle in discorso, il diritto ad una agevolazione fiscale in occasione del conseguimento della licenza di porto d'armi (articolo 256).
Si osserva, inoltre, che l'ordinamento lega la facoltà di portare armi senza licenza alla qualifica di agente di pubblica sicurezza e non a quella di agente di polizia giudiziaria.
Vi sono, infatti, varie figure di agenti di polizia giudiziaria alle quali non è riconosciuto alcun potere di porto delle armi senza licenza (ispettori del lavoro, ufficiali sanitari, ecc.), mentre gli stessi operatori delle polizie municipali, ai quali tale qualifica è riconosciuta dalla legge, possono essere dotati di armi, da portare senza licenza, solo dopo il conferimento prefettizio della qualifica di agenti di pubblica sicurezza (articolo 5 della legge quadro di settore, n. 65 del 1986).
Pertanto, anche ove dovesse riconoscersi la qualifica di agenti di polizia giudiziaria ai volontari in questione, quando sono in servizio di vigilanza ittica o venatoria, da ciò non deriverebbe alcun effetto automatico in ordine al porto di armi.
Si fa presente, infine, che la circolare ministeriale del 18 marzo 1995 cui fa menzione l'atto di sindacato ispettivo parlamentare, sospesa in via cautelare da una pronuncia di TAR confermata dal Consiglio di Stato, non dettava alcuna disposizione in materia di rilascio di porto d'armi alle guardie venatorie volontarie, ma si limitava a rendere noto un parere dello stesso Consiglio di Stato in sede consultiva, secondo il quale a tali soggetti non compete la qualifica di agenti di polizia giudiziaria.
Il Sottosegretario di Stato per l'interno: Alfredo Mantovano.

RAVA, PREDA, ROSSIELLO, SEDIOLI, FRANCI e NICOLA ROSSI. - Al Ministro delle politiche agricole e forestali. - Per sapere - premesso che:
autorevoli organismi scientifici, tra cui il comitato scientifico delle piante della Commissione CE, sono dell'avviso che non sia realistica una «tolleranza zero» nei confronti di una presenza di tracce accidentali di ogm nelle sementi;
la Commissione CE, presentando il 29 novembre 2002 il nuovo accordo in sede di Consiglio CE sulla etichettatura degli alimenti e dei mangimi, in relazione alle soglie di tolleranza per la presenza accidentale di ogm, ha precisato che in pratica è impossibile ottenere produzioni di alimenti, di mangimi e di sementi che siano al 100 per cento puri;
con circolare in data 13 dicembre 2002 il ministero delle politiche agricole e forestali ha stabilito le modalità di controllo delle sementi di mais e di soia per la presenza di organismi geneticamente modificati, per la campagna di semina 2003, affidandone il coordinamento all'ispettorato centrale repressione frodi;
con nota sempre in data 13 dicembre 2002 il Ministero - allo scopo di agevolare la reperibilità di sementi ogm-free - segnalava che avrebbe fornito ogni utile informazione sulle aziende potenziali fornitrici, rivolgendosi allo stesso dipartimento;
risulta che a coloro che nel frattempo si sono rivolti a tale indirizzo, è stata data la risposta che il Ministero sarebbe stato in grado di fornire le informazioni richieste non appena pervenute sufficienti risposte


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dalle aziende, comunque non prima della fine di gennaio 2003;
con un comunicato stampa l'AS.SE.-ME., Associazione sementieri mediterranei, informava di aver attivato - in forma coordinata con il Ministero - un numero verde (800 583 850) al quale gli agricoltori possono rivolgersi per reperire sementi di mais e di soia ogm-free -:
in quali termini si realizzi il predetto rapporto di coordinamento tra il ministero e l'associazione;
se non ritenga di dover assumere, in proprio, un'iniziativa ulteriore;
se non ritenga che l'iniziativa assunta si possa configurare come un'operazione commerciale.
(4-05381)

Risposta. - In merito all'interrogazione in discorso, concernente il reperimento di sementi OGM-free delle specie soia e mais dalle aziende potenzialmente fornitrici per la campagna di semina primavera 2003, si fa presente che, in vista dell'emanazione della circolare del 13 dicembre 2002 (protocollo n. 2170), si è provveduto ad effettuare una verifica della situazione mondiale circa la disponibilità di sementi «OGM-free» di soia e mais.
Tale verifica, che si è estrinsecata con l'invio di due note alle associazioni sementiere ed alle associazioni professionali agricole, ha dimostrato l'esistenza sul mercato mondiale di consistenti lotti di sementi OGM-free, tali da agevolare gli agricoltori a sostegno delle richieste provenienti dalle categorie interessate.
In particolare, la scelta del Ministero di non prevedere delle soglie di tolleranza è stata intrapresa, a garanzia dell'intera filiera dagli imprenditori agricoli ai consumatori, nel rispetto delle normative vigenti che vietano nel nostro paese le coltivazioni OGM non prevedendo alcuna tolleranza circa la presenza accidentale di sementi modificate geneticamente.
Infine, in merito a quanto rappresentato nell'interrogazione circa un presunto rapporto di coordinamento con l'AS.SE.ME., si precisa che le azioni intraprese riguardano esclusivamente le predette note volte ad acquisire le informazioni sulla quantità e tipologia di sementi OGM-free di mais e soia a «tolleranza zero» senza per questo instaurare alcun rapporto coordinato.
Ne consegue che non c'è stata alcuna «operazione commerciale».
Il Ministro delle politiche agricole e forestali: Giovanni Alemanno.

REALACCI. - Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. - Per sapere - premesso che:
si è venuti a conoscenza, tramite notizie diffuse dagli organi di stampa nazionali, che - durante le ultime festività natalizie - i morti causati dagli incidenti stradali sono stati 232 e, in particolare tra il 24 dicembre e il 26 dicembre 2002, ci sono stati 51 morti e 1.389 feriti mentre tra venerdì 3 gennaio e lunedì 6 gennaio 2003 si sono verificati circa 1.725 incidenti stradali con 34 morti e 1.296 feriti;
sempre dalle stesse fonti si apprende che ogni anno circa 6.800 persone perdono la vita a causa di scontri sulle strade italiane; 250.000 sono i feriti, ed oltre 20.000 i disabili gravi;
solamente negli ultimi 10 anni sulle strade italiane a causa dell'aumento continuo del trasporto su gomma e della velocità degli autoveicoli gli incidenti stradali sono aumentati del 50 per cento circa;
aumentano quelli che vedono coinvolti i mezzi pesanti: tra il 1986 e il 1996 sono passati dal 17 al 34 per cento del totale dei sinistri;
anche l'obbligo dei fari accesi non ha sortito l'effetto sperato: il numero degli scontri sulle autostrade italiane dal 7 agosto 2002 - giorno di entrata in vigore del nuovo obbligo di tenere i fari accesi nelle strade extraurbane e sulle autostrade, dell'uso


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dell'auricolare e dei nuovi limiti di alcool nel sangue - è cresciuto al 15 ottobre 2002 del 6 per cento (555 in più, circa 8 al giorno) rispetto allo stesso periodo del 2001;
2.900 km di strade fra statali e regionali - secondo uno studio effettuato dalla società italiana di infrastrutture viarie, un pool di tecnici da 30 università italiane - hanno bisogno di improrogabili interventi d'emergenza per arrestarne il degrado;
si spendono invece la maggior parte dei fondi destinati alle infrastrutture per realizzare nuove autostrade, lasciando alla manutenzione le briciole; si perpetua poi una politica di aiuti e privilegi all'autotrasporto, con sgravi sul prezzo del gasolio e riduzione dei pedaggi autostradali;
l'Unione europea ha lanciato una campagna per diminuire i limiti di velocità, visto che - come risulta da dati della Commissione europea - basterebbe abbassare la velocità di 5 km/h per avere 18 mila incidenti e 11 mila morti in meno in Europa ogni anno, mentre in Italia si pensa di aumentare i limiti fino a 150 km/h;
il Ministro delle infrastrutture e trasporti ha più volte annunciato una diminuzione del 40 per cento in 5 anni degli incidenti, che invece continuano ad aumentare;
i provvedimenti di maquillage, come quelli voluti dal Ministro delle infrastrutture e trasporti Lunardi, sono pressoché inutili, e gli incidenti d'auto restano la prima causa di morte dei giovani tra i 15 e i 29 anni -:
se il Ministro delle infrastrutture e trasporti abbia deciso di puntare, per ridurre il numero delle vittime causate dagli incendi stradali, su misure realmente efficaci, quali:
a) limiti di velocità più bassi;
b) più soldi per la manutenzione di statali regionali e comunali;
c) dirottare, investendo sulle ferrovie, la gran parte del trasporto merci.
(4-04957)

Risposta. - In merito all'interrogazione indicata in discorso si fa presente che il tragico bilancio rappresentato dall'interrogante corrisponde purtroppo alla realtà così come è reale il ritardo del nostro Paese nei confronti degli altri paesi dell'Unione europea nella messa a punto di efficaci misure di contrasto all'incidentalità stradale.
I motivi che hanno determinato l'attuale situazione caratterizzata da un trend sostanzialmente stabile dell'incidentalità sono molteplici.
Di certo la piena consapevolezza della centralità del tema della sicurezza stradale e della necessità di affrontarlo in modo sistematico e strutturale è maturata solo negli ultimi anni.
In particolare, la legge 144 istitutiva del «piano nazionale della sicurezza stradale» promulgata nel 1999 appare come la testimonianza evidente del ritardo con cui si è presa piena coscienza della dimensione del problema e della necessità di mettere a punto una strategia nazionale per contrastare il fenomeno e prevedere risorse strutturali, ancorché scarse, da destinare alla sicurezza stradale.
Il piano della sicurezza stradale, dopo il complesso iter approvativo che ha comportato una ampia concertazione con i numerosi soggetti istituzionali che a livello centrale e locale sono competenti in materia, è stato adottato con deliberazione Cipe n. 100 del 29 novembre 2002.
In ordine alla attuazione del PNSS, oltre ai 44 progetti pilota finanziati per complessivi 21 milioni di euro che attraverso il meccanismo del cofinanziamento consentono un volume di investimenti pari a circa 42 milioni di euro, va ricordato che il 29 novembre 2002 è stato approvato dal Cipe il primo programma annuale di attuazione relativo al 2002 del PNSS mediante il quale sono state assegnate alle regioni le risorse


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rese disponibili dalla legge 488 del 1999 (130 milioni di euro circa) da destinare agli enti proprietari delle strade per il cofinanziamento di interventi di miglioramento della sicurezza stradale.
Un esame critico della situazione esistente, delle azioni intraprese in altri paesi nonché degli insoddisfacenti risultati fino ad oggi ottenuti, ha convinto il Governo della assoluta necessità di svolgere una complessiva costante azione di intervento basata sui seguenti punti:
a) adeguamento del compendio normativo del settore;
b) accrescimento della partecipazione delle altre diverse modalità di trasporto alle complessive esigenze di mobilità;
c) interventi diretti sui tre elementi che caratterizzano la circolazione stradale: strada, veicolo, uomo;
d) puntuale e costante coordinamento tra tutte le amministrazioni centrali e locali, enti e organismi che, a vario titolo, hanno compiti istituzionali nel settore;
e) finalizzazione di tutte le azioni e/o iniziative verso obiettivi precisi comuni e condivisi.

Relativamente a questi punti è opportuno fare alcune riflessioni.
L'adeguamento normativo fa capo indubbiamente alla riforma del codice della strada. A tale riguardo si ricorda che i criteri di delega dettati con la legge 85 del 2001 sono stati recepiti dalla Commissione interministeriale, che ha proceduto ad adeguare ad essi sia il testo del codice che del regolamento.
Se tale lavoro è in parte ancora da definire è perché il Parlamento ha sentito l'esigenza di proporre numerosi nuovi criteri e cioè quelli contenuti nell'atto camera 2851 (che avrebbe dovuto anche prorogare le deleghe della L. 85 del 2001) il cui iter approvativo non conclusosi entro il 31 dicembre 2002, ha di fatto, provocato la decadenza di tutte le deleghe per la riforma del codice.
È chiaro che fino a quando i criteri di delega non saranno ripresi, la Commissione interministeriale non potrà concludere i propri lavori.
Consapevole e preoccupato della complessiva fase di stallo il Governo, prima con il decreto legislativo 9 del 2002 poi con il decreto legge 121 del 2002 convertito nella legge 168 del 2002, ha provveduto a varare le misure più urgenti per la tutela della sicurezza e si appresta ora a vararne altre tra le quali ritengo particolarmente significative quelle che, intervenendo sugli articoli 186 e 187 del codice e sugli articoli 379 e 380 del relativo Regolamento, prevedono procedure più efficaci per l'accertamento dello stato di ebbrezza alcoolica presso le strutture ospedaliere e nuove procedure diagnostiche per l'accertamento dello stato di alterazione psico-fisica da sostanze stupefacenti.
Per quanto attiene il contenimento dei fattori di rischio connessi all'uso e all'abuso di alcool, il ministero della salute ha previsto, tra gli obiettivi prioritari del nuovo Piano sanitario nazionale, la prevenzione dell'alcolismo e, in particolare, di quello giovanile, adeguando le politiche sanitarie del nostro paese alla strategia comunitaria europea recentemente adottata.
Il ministero della salute, in attuazione della legge n. 125 del 2001 «legge quadro sull'alcool», sta provvedendo alla elaborazione di un atto di indirizzo e coordinamento rivolto alle regioni per la definizione di indirizzi per l'organizzazione di nuovi servizi alcologici, per i monitoraggio dei dati regionali relativi al consumo e all'abuso di alcool e per l'implementazione di azioni informative e di prevenzione.
È importante fare conoscere che, in proposito, la Conferenza permanente Stato-regioni ha recentemente approvato lo schema di ripartizione tra le regioni dei fondi stanziati dalla legge ai fini del monitoraggio dei dati relativi al consumo di alcool in base ai quali le regioni potranno provvedere alla programmazione dei necessari interventi di prevenzione.


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È, inoltre, in fase di attuazione, a cura dell'Istituto superiore di sanità in collaborazione con l'associazione dei gestori locali da ballo, un progetto finanziato dal fondo nazionale per la lotta alla droga, specificamente mirato alla formazione degli operatori delle discoteche con la finalità di un loro diretto coinvolgimento e impegno nella prevenzione dell'abuso di droga e alcool nei locali frequentati da giovani.
Sempre in collaborazione con l'Istituto superiore di sanità, il Ministero della salute sta elaborando un progetto di linee guida per la promozione di interventi formativi nelle autoscuole sui comportamenti legati all'uso di alcol e di droghe.
Si tratta di un programma di formazione che ha lo scopo di accrescere la sensibilizzazione ad una guida consapevole attraverso la conoscenza anche degli aspetti sanitari che assicurano il miglioramento delle condizioni di sicurezza stradale. Tale orientamento è, peraltro, in armonia con gli indirizzi che la Comunità europea ha dato con l'emanazione della Direttiva 2000/56 relativa alle patenti di guida.
La Direttiva traccia un percorso ben definito di acquisizioni minime teoriche e pratiche da verificare nei candidati all'esame di guida, prevedendo che sia verificata nel candidato l'acquisizione di conoscenze sul cambiamento dei comportamenti al volante indotti dall'alcol, droghe, medicinali, stati d'animo e affaticamento.
Resta la consapevolezza che l'adozione di provvedimenti settoriali urgenti non può esimere dal portare a termine nel più breve tempo possibile la rivisitazione dell'intero compendio.
È necessario a tale riguardo - salvaguardando il lavoro già svolto da un ramo del Parlamento con i criteri individuati dall'A.C. 2851 ed utilizzando il lavoro già svolto dalla Commissione interministeriale - procedere in un'ottica diversa e cioè realizzare, come già fatto in molti altri paesi europei, un ampio processo di delegificazione, riservando alla norma primaria i principi generali fondamentali (circa 40 articoli) e provvedendo - per la restante materia - con una disciplina affidata a norme di secondo livello suscettibili quindi di essere rapidamente aggiornate all'evoluzione tecnologica e sociale.
Per quanto concerne i tre elementi che compongono la circolazione stradale: strada, veicolo, uomo, i criteri fondamentali da seguire possono essere così identificati.

Strada.

Vi è indubbiamente sia la necessità di nuove infrastrutture, che l'esigenza di migliorare il tracciato e la manutenzione di quelle esistenti sia in termini infrastrutturali (tracciato plano-altimetrico, intersezioni a raso da sostituire con rotatorie, utilizzo di manti stradali di nuova generazione ecc.) che di equipaggiamenti a corredo della sede (segnaletica, barriere, illuminazione, ecc.).
Per quanto concerne l'esigenza di incentivare la potenzialità delle altre modalità di trasporto - in particolare quella ferroviaria e quella per vie d'acqua - è bene non dimenticare che le stime della Comunità prevedono un costante incremento della domanda di trasporto (nel 2010 + 35 per cento rispetto al 2000): e poiché è illusorio pensare che tale incremento possa essere interamente assorbito dalle altre modalità appare scontato che buona parte del nuovo incremento di traffico si rovescerà ancora una volta sulla strada.
Da qui l'esigenza di tutta una serie di interventi: è stato un tragico errore, tanto per fare alcuni esempi, ritardare per anni la variante di valico, il completamento della autostrada tirrenica, il rifacimento della Salerno-Reggio Calabria, il passante di Mestre.
È indubbio tuttavia che sia necessario il massimo impegno nel completamento del sistema di alta capacità, che, liberando le linee storiche, consentirà di dedicarle anche al traffico merci e a quello a corto e a medio raggio, e un più intenso e coordinato sfruttamento del corridoio adriatico e tirrenico: due rimedi che possono contribuire ad una mobilità più equilibrata e sicura.


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Veicolo.

Occorre perseguire il suo costante miglioramento tecnologico sia a tutela del fattore ambientale (uso del gasolio-bianco, del bio diesel, del veicolo elettrico, domani dell'idrogeno) che a tutela della sicurezza con interventi sul veicolo stesso (ridisegno dei frontali per ridurre le conseguenze dell'impatto con ciclisti e pedoni) o con l'adozione coordinata tra veicolo e strada di sistemi radar che consentano di evitare le tragiche conseguenze indotte dalla nebbia o da circostanze meteorologiche avverse.

Uomo.

Le statistiche chiariscono, al di là di ogni dubbio, che, pur in presenza di altre concause, circa il 90 per cento degli incidenti trova origine nel comportamento umano in tutte le sue diverse manifestazioni (mancato rispetto delle regole, distrazione, sonnolenza, abuso di alcool, uso di sostanze stupefacenti, sottovalutazione delle condizioni esistenti, ecc.).
È dunque sul fattore umano che si deve incidere attraverso un processo di educazione stradale nelle scuole di ogni ordine e grado.
Un processo ed un programma da attuarsi con modalità ben diverse da quelle attuali impostate su un insegnamento trasversale privo di ore dedicate, frammentario, incapace insomma di conseguire quei risultati che in altri paesi europei sono già stati ottenuti.
Quello dell'educazione stradale è uno strumento che può dare risultati solo nel medio-lungo periodo, ma è anche l'unico capace di determinare quell'approccio diverso nell'utilizzo della strada che è essenziale per l'abbattimento della incidentalità.
Come risulta chiaro da quanto già esposto il complesso problema della incidentalità e di un'azione di recupero nella tutela della sicurezza richiede uno sforzo congiunto coordinato e condivisa sia da parte delle amministrazioni centrali (interni, trasporti, istruzione, salute, giustizia, ambiente) sia da parte delle autonomie locali, sia da parte di tutti quegli enti od organismi che operano nel settore.
Occorre cioè, pur nel pieno rispetto delle diverse competenze ed esigenze, trovare un'intesa realizzata attraverso comportamenti coerenti che consenta alle iniziative adottate o allo studio di esplicare tutti i loro effetti.
Ci si limita a questo proposito a ricordare come troppo spesso la dura attività degli Organi preposti al controllo pare vanificata da orientamenti giurisdizionali o sentenze che rendono incerta la sanzione e quindi incidendo sull'interesse dell'intera collettività a che la strada non si trasformi in un campo di battaglia.
Per quanto riguarda poi le pur importanti ed essenziali iniziative di educazione stradale o di sensibilizzazione dell'opinione pubblica, al di là della loro validità esse comunque non possono esprimere la loro piena valenza isolatamente, ma necessitano di un filo conduttore unico portato avanti attraverso accurati processi di formazione degli educatori votati a conseguire finalità condivise sull'intero territorio.
Sotto il profilo delle attività in essere finalizzate ad interventi preventivi atti a diffondere una maggior consapevolezza dei rischi da incidenti stradali il Ministero delle infrastrutture e dei trasporti ha svolto e svolge un'azione informativa ed educativa finalizzata a sensibilizzare i cittadini sulle problematiche della circolazione e della sicurezza stradale. In quest'ambito una particolare attenzione è rivolta ai giovani, che si profilano spesso come gli utenti deboli della strada.
Nel corso degli ultimi anni il Ministero ha realizzato diverse campagne di comunicazione sul tema della sicurezza stradale, nonché iniziative specifiche rivolte particolarmente al mondo giovanile. Nella penultima campagna, pianificata nel 2001, il
target di riferimento «giovani» ha rivestito particolare importanza, sottolineandone la criticità dovuta all'uso di sostanze stupefacenti


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ed all'abuso di alcool, causa principe degli incidenti stradali in età giovanile.
È attualmente in corso il «Progetto Icaro» in sinergia con il Ministero dell'istruzione e la Polizia stradale; tale progetto ha come scopo quello di incontrare i giovani nelle varie piazze d'Italia, coinvolgendo le scuole in forum, iniziative e proposte sempre inerenti la sicurezza stradale. I funzionari rispondono in quella sede alle domande dei ragazzi, mettendoli in guardia sugli effetti catastrofici che alcool e droga producono sulla guida.
È altresì in atto una collaborazione tra questo Ministero e la Presidenza del Consiglio dei ministri - ufficio del commissario per il coordinamento delle politiche antidroga per la realizzazione di una campagna informativa contro le stragi del «sabato sera». In particolare in tale ambito sono state evidenziate le relazioni esistenti tra l'incidentalità e l'uso di alcool e droghe, in coerenza con quanto previsto dal «Piano della sicurezza stradale-azioni prioritarie» che dedica ai «giovani di età compresa tra i 15 e i 29 anni» una intera sezione individuando le seguenti strategie di intervento:
A) Supporti tecnici e incentivi per la promozione di campagne locali integrate di informazione-sensibilizzazione e di prevenzione-controllo dedicate alle diverse fasce di età dei giovani conducenti e riferite sia alla guida di ciclomotori nell'età pre-patente sia alla guida di ciclomotori, motocicli ed automobili, nei primi anni di utilizzazione della patente.
B) Promozione di iniziative coordinate con le scuole-guida al fine di valutare l'opportunità di adottare misure tese a migliorare l'addestramento alla guida e ridurre i rischi di incidente per i neo-patentati.
C) Supporti tecnici e misure di incentivazione per la promozione di iniziative locali, finalizzate a ridurre il fenomeno delle stragi del sabato-sera, favorendo progetti e iniziative coordinate tra Amministrazioni locali, aziende di trasporto pubblico locale e forze di polizia stradale.

Tra le altre iniziative è di grande importanza quella legata ai corsi di guida sicura (progetto sperimentale in collaborazione con il Corpo nazionale dei vigili del fuoco) con successivo monitoraggio dell'incidentalità stradale, per giovani in servizio di leva presso il Corpo nazionale dei vigili del fuoco.
Infine, il Ministero delle infrastrutture e dei trasporti ha in programma una nuova compagna di comunicazione, che avrà tra gli obiettivi primari quello di creare immagini volte a colpire i giovani rendendoli consapevoli di quanto sia essenziale mettersi alla guida in condizioni psicofisiche più che buone.
Il Ministero dell'interno, per la parte di propria competenza, ha fornito alcune importanti informazioni circa le attività di controllo sulle strade da parte delle Forze dell'ordine.
Per quanto riguarda la Polizia stradale, a fronte di un previsto organico di 13.613 unità, si registra una forza effettiva di 12.580 operatori con un saldo negativo di 1.033 dipendenti.
Nel corso del 2002 sono state impiegate 471 mila pattuglie di vigilanza stradale di cui 224 mila sulla rete autostradale, che hanno rilevato, in totale, oltre 144 mila incidenti stradali. Complessivamente, sono state accertate oltre due milioni e duecentomila infrazioni con l'arresto di 1816 persone e la denuncia all'Autorità giudiziaria di 19.926 persone.
È da rilevare, d'altro canto, che solo l'11,7 per cento degli incidenti con esito mortale si verifica sulla rete autostradale dove, per contro, si svolge ben l'85 per cento della mobilità veicolare e sulla quale ha competenza esclusiva la polizia stradale. Il 41 per cento dei sinistri mortali, invece, avviene nei centri abitati, ordinariamente di competenza delle polizie municipali.
Una macro analisi delle cause del fenomeno evidenzia tra i comportamenti più a rischio l'eccesso di velocità, l'omesso uso delle cinture di sicurezza, la guida sotto l'effetto di alcool e di stupefacenti, lo scarso


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grado di affidabilità dei veicoli dovuto alla vetustà del parco veicolare.
In tale contesto, gli interventi allo studio del Ministero dell'interno riguardano non solo il ripianamento degli organici, con le future immissioni in servizio di personale, ma soprattutto l'ulteriore utilizzo delle tecnologie di controllo, di cui la polizia stradale è già ampiamente dotata, finalizzate all'accertamento delle violazioni. Ciò al fine di consentire di aumentare il numero degli accertamenti effettuati dando, quindi, maggiore certezza della effettività delle sanzioni.
L'Arma dei carabinieri, al fine di rendere sempre più incisiva l'attività di prevenzione e repressione svolta sulle strade, ha provveduto ad acquisire un dispositivo «autovelox» per ogni comando provinciale e a dotare tutti i nuclei radiomobili dei comandi provinciali, reparti territoriali e comandi di alcune compagnie, di apparati etilometrici.
I comandi provinciali maggiormente impegnati sono stati dotati, altresì, di un sistema denominato «Provida 2000» che consente l'individuazione della velocità degli autoveicoli in transito con relativa videoregistrazione dell'infrazione nonché il riconoscimento in tempo reale delle targhe mediante il confronto con una «lista nera» preventivamente archiviata. L'aggiornamento della banca dati può avvenire tramite la linea telefonica GSM cui è asservito il sistema GPS di bordo, direttamente dalla centrale operativa.
L'Arma, inoltre, partecipa da anni alle attività del centro di coordinamento delle informazioni sul traffico, sulla viabilità e sulla sicurezza stradale (CCISS) operante presso la RAI, fornendo un qualificato apporto informativo per la rubrica «Ondaverde - viaggiare informati» destinataria di crescenti richieste di notizie da parte dell'utenza in merito alle condizioni di traffico e della viabilità. Tale centro si avvale, per la realizzazione dei propri obiettivi, della centrale operativa «viaggiare informati» nella quale operano rappresentanti dei carabinieri, polizia stradale, Anas, Aci, società autostrade ed Aiscat.
Per quanto riguarda la viabilità statale, l'Anas ha recentemente portato a termine una ricognizione dell'intera rete al fine di individuare i «punti critici» caratterizzati da maggiore frequenza di incidenti. Avendo ultimato tale mappatura si procederà in breve termine a porre in essere interventi strutturali correttivi quali posa di asfalto, rafforzamento delle barriere laterali, riduzione dei raggi di curvatura ecc.
Un impegno ancora maggiore volto ad incrementare i livelli di sicurezza è stato prefissato alle società concessionarie autostradali. Infatti in sede di revisione degli atti convenzionali sono stati individuati articolati programmi di sicurezza che includono un elevato numero di misure riguardanti sia il tappeto autostradale sia le infrastrutture annesse (barriere spartitraffico e laterali, pannelli di segnalazione). Misure specifiche hanno inoltre riguardato i tunnel per i quali le società concessionarie hanno posto in essere gli interventi previsti da un apposito decreto ministeriale.
Non va trascurato da ultimo il grosso impegno profuso dall'Anas, per consentire il potenziamento, da parte delle società concessionarie, di un elevato numero di misure comunque attinenti la sicurezza del trasporto. Si tratta in sostanza di sviluppare, anche con l'impiego delle nuove tecnologie, i seguenti interventi:
il servizio di soccorso meccanico il quale a seguito della decisione dell'Autorità garante della concorrenza e del mercato è stato aperto alla concorrenza ponendo fine al monopolio legale che in passato caratterizzava l'Aci;
l'assistenza al traffico esercitata dalle società tramite le sale radio;
informativa agli utenti tramite pannelli a messaggio variabile;
servizio di soccorso sanitario e interventi di emergenza;
interventi degli ausiliari del traffico ai quali sono affidati compiti di supporto in caso di incidenti, presidio su strada, regolazione


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del traffico, assistenza per il miglioramento della sicurezza e della fluidità del traffico.

Per tutti gli interventi indicati l'Anas, nell'esercizio dell'azione di vigilanza e di controllo che costituisce una delle sue principali attività nel settore autostradale, effettua una insistente azione tendente ad individuare le eventuali carenze o necessità di interventi sull'intera rete autostradale, eliminandole con l'adozione delle soluzioni tecniche maggiormente appropriate.
Per uniformarsi a tali indicazioni sono previste nei piani finanziari, in particolare di Società autostrade, misure finalizzate alla sicurezza e fluidità del traffico.
Così la manutenzione e sostituzione delle barriere di sicurezza e delle recinzioni, nonché la chiusura dei varchi, è soggetta a pianificazione con cadenza periodica e comunque in funzione dei seguenti parametri:
caratteristiche del tracciato del corpo autostradale e dell'andamento medio del traffico;
livello di degrado correlato agli anni di esercizio.

È prevista la prossima sostituzione delle barriere tipo «New Jersey» e delle barriere metalliche H3 e H4. Complessivamente, nel periodo 2003-2012 è prevista, oltre alla riqualificazione dei tratti inseriti nelle III e IV corsie, la sostituzione di oltre 1.200 chilometri di barriere laterali, di 945 chilometri di barriere spartitraffico, di 150 chilometri di barriere bordo ponte.
Per uniformarsi alle indicazioni Anas di seguito recepite in sede normativa, è prevista altresì l'installazione di 215 chilometri di reti di protezione sui New Jersey spartitraffico di viadotti con impalcati separati.
Completano tale tipologia d'interventi la chiusura di oltre 600 varchi con sistemi amovibili.
Per le gallerie è stato predisposto un puntuale piano di adeguamento che si sviluppa su oltre 284 Km. e prevede interventi finalizzati all'adeguamento dei seguenti sistemi:
illuminazione;
ventilazione;
antincendio.

Altri interventi posti in essere che hanno una diretta incidenza sul livello di sicurezza sono rappresentati dalle seguenti voci:
rifacimento del manto stradale con posa di asfalti drenanti;
ripristino dell'aderenza stradale con trattamenti superficiali di irruvidimento (tipo macroseal, microtappeti, ecc.);
ripristino di regolarità e portanza mediante risagomature, risanamenti superficiali e profondi.

L'Anas e le concessionarie a seguito di costante monitoraggio sono attente alla individuazione di quegli interventi da porre in essere che appaiono maggiormente idonei ad elevare lo stato di sicurezza e di comfort.
Il Ministro delle infrastrutture e dei trasporti: Pietro Lunardi.

REALACCI. - Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. - Per sapere - premesso che:
sul Sole 24 ore del 31 gennaio 2003, in un'intervista a Claudio De Albertis, Presidente dell'Associazione nazionale costruttori edili, viene evidenziata la grave situazione di incertezza e di poca concretezza del programma del Governo sulla realizzazione delle grandi opere pubbliche;
si sottolinea come manchi un fondamentale «chiarimento sulle risorse effettivamente disponibili per le infrastrutture» e come, in conseguenza di ciò, sia impossibile un confronto serio e preciso sulle reali priorità da prendere in considerazione ed affrontare;
per il Presidente dell'Ance il primo problema da risolvere è quello di recuperare il gap con un'Europa che mediamente spende da anni il 2,5 per cento del Pil in infrastrutture, mentre il nostro, paese solo


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l'1,5 per cento, mentre un altro punto di fondamentale importanza per dare una svolta concreta alla promozione di un programma di infrastrutture consisterebbe nell'invertire un trend di spesa pubblica corrente che al netto degli interessi cresce del 17 per cento mentre diminuisce del 22 per cento per ciò che riguarda gli investimenti;
la priorità principale per un confronto serio e soprattutto costruttivo tra ministeri competenti e imprese è rendere note le effettive risorse finanziarie disponibili e chiarirne la qualità, cioè la provenienza e le finalità precise;
ad avviso dell'interrogante il quadro dei finanziamenti è ambiguo: «dei 24 miliardi di euro previsti per il triennio 2002-2004 per la legge obiettivo, ben 11,8 miliardi arrivano da stanziamenti già presenti in bilancio». Questo significa che un finanziamento di questo genere ridurrebbe in maniera consistente la quota di risorse ordinarie previste per altri programmi e progetti;
reperire finanziamenti dalla dotazione di risorse ordinarie approntate per la realizzazione di interventi di medie e piccole dimensioni - come gli interventi di adeguamento delle reti stradali e ferroviarie nelle aree urbane - significa privare di equilibrio un programma di sviluppo omogeneo delle infrastrutture del paese;
l'interrogante rileva scarsa limpidezza del ruolo che in questo ambito ha la Infrastrutture S.p.a. Non si hanno informazioni sull'entità del reperimento di fondi della Infrastrutture S.p.a., né sulla fonte di questo reperimento;
l'interrogante constata, inoltre, la completa mancanza di informazioni su procedure di finanziamento di tipo privato. L'apporto di risorse private può risultare decisivo, ma deve essere orientato in un programma dettagliato di reperimento di risorse. Si osserva infatti al riguardo che «lo strumento del Project Financing funziona solo sulle piccole opere, mentre non esiste ancora l'humus giusto per applicarlo alle grandi opere». È necessaria dunque una programmazione razionale e lineare che individui in dettaglio le particolarità di un finanziamento di questo genere -:
se si intenda procedere ad un immediato chiarimento di tutto l'impianto progettuale, descrivere le procedure del programma di finanziamento per la realizzazione delle grandi opere di infrastrutturazione del territorio nazionale;
quali siano le entità previste di finanziamento, e quali siano soprattutto le sorgenti da cui tale finanziamento dovrà essere tratto;
se si tratti effettivamente di un intervento finanziario aggiuntivo, oppure se si tratti diversamente soltanto di un dirottamento di fondi da un programma di intervento ad un altro programma di intervento. E nel caso si tratti di questa seconda ipotesi, è fondamentale chiarire quale ambito economico sarà colpito da tali penalizzazioni finanziarie.
(4-05290)

Risposta. - In riferimento all'interrogazione indicata in oggetto, cui si risponde per delega della Presidenza del Consiglio dei ministri, si fa presente che il quadro legislativo previsto dalla legge obiettivo (la legge delega n. 443 del 21 dicembre 2001) è stato completato con la delibera Cipe n. 121 dello stesso 21 dicembre 2001, con la legge n. 166 del 2002 (collegato alla finanziaria), e con il decreto legislativo n. 190 del 2002 (decreto delegato), rispettando i tempi, e, nonostante il termine ordinario per la presentazione dei progetti preliminari del 10 marzo 2003, già dal mese di ottobre 2002 e con continuità fino ad oggi sono stati portati all'approvazione del Cipe grandi progetti e finanziamenti che attendevano da anni l'approvazione.
Sono stati approvati un macrolotto della Salerno-Reggio Calabria (già in aggiudicazione), il completamento del raccordo anulare della capitale (già consegnato alle imprese esecutrici), i lavori per la salvaguardia


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di Venezia (consegnati ed in esecuzione dalla fine del mese), il completamento dei lavori in corso della metropolitana di Napoli, alcuni schemi idrici in Sicilia ed in Basilicata.
Si tratta, complessivamente, di lavori per 2,5 miliardi di euro.
La realtà italiana dei lavori in concessione consentirà, nei prossimi mesi ed anni, di attivare un capitale di rischio privato di oltre 10 miliardi di euro.
Basti pensare al finanziamento del passante di Mestre (finanziamento già approvato dal Cipe) che prevede il ricorso al capitale privato per circa l'84 per cento.
L'analisi della delibera del Cipe n. 121 del 21 dicembre 2001 consente di comprendere «l'impianto progettuale» del programma. In tale documento, difatti, sono citati tutti i progetti facenti parte del programma e sono evidenziati quelli prioritari. Sono anche evidenziate le necessità di finanziamento per il triennio 2002-2004.
Con analoga delibera del Cipe nel giugno 2003, saranno rimodulate le necessità del programma che sarà riferito al nuovo triennio.
Naturalmente le nuove disponibilità finanziarie devono essere armonizzate con la nuova legge finanziaria.
Il Ministro delle politiche agricole e forestali: Giovanni Alemanno.

REALACCI. - Al Ministro delle politiche agricole e forestali. - Per sapere - premesso che:
nel territorio italiano esiste una diffusa e tradizionale abitudine alla produzione e consumo di miele naturale fresco non sottoposto a trattamenti termici, garantito in etichetta con data di produzione e consumo preferenziale in tempi brevi;
vi è una considerevole quota di consumatori che preferisce orientarsi su mieli tipici, in particolare monoflora;
la norma nazionale della legge 752 del 1982 che riprendeva tale situazione di mercato formalizzando la dizione «Miele Vergine Integrale» è stata abrogata a seguito delle pressioni dell'Unione europea;
la domanda per il riconoscimento di questa specifica modalità di lavorazione e commercializzazione del miele naturale e fresco quale specialità tradizionale garantita «Miele Vergine Integrale» ai sensi del Regolamento CE 2082 giace presso la Comunità da oltre 7 anni;
la possibilità di ottenere tale riconoscimento ha mobilitato gli importatori europei di miele fino al punto da indurli ad organizzare la presentazione di opposizioni identiche alla richiesta italiana da quasi tutti i paesi dell'Unione europea;
una politica a sostegno della qualità del miele è necessaria per la sopravvivenza di un'attività quale quella apistica che, oltre il valore economico ed alimentare, costituisce una enorme positiva ricaduta ambientale;
l'obbligo ad un'etichetta trasparente ed esplicativa aiuta sia il produttore di qualità nella difesa del proprio reddito sia il consumatore nell'esercizio del proprio irrinunciabile diritto di scelta;
lo Stato italiano deve tutelare le attività produttive del proprio territorio con particolare riferimento a quelle tipiche e che costituiscono un supporto alla tutela ambientale;
sia da tutelare in modo concreto il diritto dei consumatori a riconoscere la qualità del prodotto;
la questione miele vergine integrale rappresenta una delle tante questioni aperte con la Commissione europea in materia di difesa della cultura alimentare italiana e della realtà produttiva ad essa collegata -:
quale impegno concreto il Governo italiano abbia assunto affinché l'Unione


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europea riconosca il Miele Vergine Integrale come specialità tradizionale garantita.
(4-05813)

Risposta. - In merito a quanto rappresentato nell'interrogazione in discorso, si fa presente che, a seguito della pubblicazione della domanda di registrazione del «miele vergine integrale» come specialità tradizionale garantita (STG), ai sensi del regolamento (CEE) n. 2082 del 1992 del Consiglio sulla gazzetta delle Comunità europee del 12 marzo 2002, otto Stati membri dell'Unione europea hanno presentato opposizione (Austria, Belgio, Finlandia, Germania, Grecia, Paesi Bassi, Regno Unito e Spagna).
Tali opposizioni, oltre che riguardare taluni aspetti tecnico-produttivi, avevano come comune motivo di contendere la protezione del nome «miele, vergine integrale» in tutte le lingue ufficiali della comunità.
Al fine di definire detta controversia, il Ministero ha indetto una riunione alla quale hanno preso parte il soggetto richiedente la protezione, le altre organizzazioni e gli enti interessati a livello nazionale.
In tale contesto si è convenuto di apportare taluni miglioramenti tecnico-produttivi al disciplinare proposto e nel contempo si è richiesta la protezione solo in lingua italiana.
Infatti, il miele vergine integrale è una denominazione che identifica un prodotto ed un sistema di produzione, che risponde ad una tradizione italiana e, pertanto, al fine di salvaguardare le tradizioni e i diritti dei produttori degli altri paesi comunitari, si è chiesta la protezione solo in lingua italiana con la dicitura «secondo la tradizione italiana».
In tal senso, il Ministero il 20 gennaio 2003, ai sensi dell'articolo 9, paragrafo 9, lettera
a) del Reg. (CEE) n. 2082/92, ha avanzato formale richiesta di conciliazione verso gli Stati che si erano opposti.
Al momento solo alcuni Stati hanno risposto.
Il Ministro delle politiche agricole e forestali: Giovanni Alemanno.

RICCIOTTI. - Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. - Per sapere - premesso che:
l'area sud-est della città di Roma vive momenti di invivibilità diffusa, per carenza di infrastrutture metropolitane e viarie, con gravi conseguenze per la salute dei cittadini che respirano sostanze nocive e tossiche;
nel tratto compreso tra la via Prenestina Polense e la via Palmiro Togliatti, della lunghezza di circa 8 chilometri, l'intasamento automobilistico raggiunge un rapporto di percorrenza che limita materialmente la vivibilità dell'area in oggetto, verificato che al momento non vi sono nuovi programmi di viabilità e che nell'area si insedieranno nei nuovi programmi urbanistici del comune di Roma nuovi quartieri (esempio Ponte di Nona) con ulteriori 15.000-20.000 famiglie -:
se non ritenga opportuno promuovere le necessarie iniziative affinché l'ANAS attivi velocemente un intervento diretto a realizzare un nuovo svincolo, al posto di quello attuale costruito solo per il cambio di direzione di marcia già realizzato all'altezza del centro industriale, artigianale e commerciale di via dell'Omo (Roma), creando una nuova arteria parallela alla via Prenestina, garantendo così il miglioramento della qualità della vita per decine di migliaia di cittadini.
(4-04782)

Risposta. - In riferimento all'interrogazione parlamentare indicata in discorso, l'Anas SpA interessata al riguardo, ha fatto conoscere che il tratto di strada tra la via Prenestina Polense e la via Palmiro Togliatti riguarda la viabilità urbana e, pertanto, non rientra nella competenza della società stradale medesima.
La problematica, pertanto, non attiene alle prerogative dello Stato in materia di viabilità nazionale.
Il Ministro delle infrastrutture e dei trasporti: Pietro Lunardi.


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ROTUNDO. - Al Ministro della giustizia. - Per sapere quale sia lo stato della pratica e le ragioni del ritardo nella risposta alla istanza presentata da Pietro Anchora, aiutante ufficiale giudiziario in pensione, residente in Corso A. Diaz 18 a Galatina, inviata alla Direzione Generale dell'organizzazione Affari Generali - Ufficio IV - con Raccomandata n. 2.94 del 26 gennaio 2002 e con altra raccomandata n. 2.58 del 29 maggio 2002 con la quale venivano richieste le somme spettantigli per rivalutazione monetaria ed i relativi interessi sulle somme già percepite con mandati di pagamento Mod. 12 del 7 novembre 1990, n. 235 e n. 236 del 13 novembre 1990 emessi dalla Pretura Circondariale di Galatina, giusta legge n. 312/890 e decreto del Presidente della Repubblica 17 gennaio 1990, n. 44.
(4-04359)

Risposta. - Con riferimento all'interrogazione in oggetto, si comunica che la competente direzione generale del Ministero, con provvedimento del 1o aprile 2003 ha provveduto a liquidare al signor Anchora la somma netta di 425,07 euro a titolo di interessi e rivalutazione monetaria sulle somme da lui percepite in applicazione dell'articolo 4, comma 8o della legge 312 del 1980.
Il Ministro della giustizia: Roberto Castelli.

PAOLO RUSSO e CESARO. - Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. - Per sapere - premesso che:
l'Inpdap, Istituto nazionale di previdenza dei dipendenti dell'amministrazione pubblica, il 10 febbraio 1997 ha appaltato alla Rti Eds (capogruppo Siemens) la completa fornitura, nelle rispettive articolazioni e sequenze, del sistema informativo aziendale;
il costo complessivo, riferito alle procedure relative a pensioni, contributi, posizioni immobiliari, prolungate consulenze a latere, ammonta a circa 35 milioni di euro;
lo stesso consiglio di indirizzo e vigilanza con delibera 109 del 20 giugno 2000 richiamava le responsabilità del mancato funzionamento del sistema informativo aziendale;
il risultato della predetta disfunzione è quello di una perdurante paralisi operativa, giacché dal 2001 sono del tutto bloccate le liquidazioni delle buonuscita, ricongiunzioni e riscatti, le pratiche per il sequestro ed il pignoramento, con gravi discrasie per la lavorazione delle prestazioni creditizie;
la disfunzione operativa predetta è causa di continui disagi per l'utenza di riferimento e per gli incolpevoli operatori aziendali con conseguente mortificazione dell'immagine di uno degli enti previdenziali più importanti nel nostro panorama nazionale -:
quali provvedimenti d'urgenza intenda assumere, nell'ambito dei propri poteri d'indirizzo e di controllo, per individuare le protratte responsabilità istituzionali dell'Inpdap;
quali ulteriori provvedimenti intenda adottare, per garantire, nel più breve tempo possibile, il ritorno ad una efficienza operativa e funzionale e per evitare, per il futuro, il ripetersi di situazioni che indirettamente finiscono per essere gravemente lesive di diritti soggettivi e di interessi legittimi.
(4-02542)

Risposta. - Rispondendo su delega della Presidenza del Consiglio dei ministri, con riferimento all'atto parlamentare indicato in discorso, l'Inpdap ha comunicato quanto segue.
In data 2 febbraio 1998 tra l'Inpdap e la RTI EDS Italia e Siemens è stato sottoscritto il contratto di fornitura di un nuovo sistema informativo. Detto contratto si articola su diverse aree applicative (l'anagrafica iscritti ed enti, contributi, riscatti,


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ricongiunzioni, liquidazione e pagamento pensioni) nonché su diversi servizi tecnici (manutenzione, sperimentabilità e assistenza tecnica) e su servizi di formazione tecnica al personale dell'istituto. Il contratto prevede una durata globale di realizzazione pari a 42 mesi con un piano, previsto nel capitolato tecnico di appalto, di successivi rilasci dei moduli software.
Durante la realizzazione sono venute a modificarsi alcune condizioni interne ed esterne all'istituto, le quali hanno comportato la necessità di una ripianificazione delle attività incardinatesi nel frattempo e la conseguente parziale riprogettazione dei moduli applicativi ad esse riferiti.
Un altro rilevante aspetto ritardante la piena operatività del sistema è da attribuirsi, con riferimento alle prestazioni creditizie, alla sospensione della erogazione dei prestiti ai dipendenti pubblici a partire dal mese di novembre 2001, a causa dell'esaurimento dei fondi. Su questo punto, l'istituto ha precisato che tali prestazioni, pur avendo carattere istituzionale, devono autofinanziarsi attraverso il circuito del rientro dei crediti erogati.
Tra le contingenze esterne figura quella dovuta al processo di conversione lira-euro; nell'ambito dell'Inpdap esso ha comportato un anticipo di circa 15 giorni rispetto alle tradizionali pianificazioni, che vedono la contabilità Inpdap sospendere i pagamenti e le relative erogazioni intorno alla metà del mese di dicembre di ogni anno, e ha conseguentemente prodotto un congelamento delle applicazioni informatiche a partire dai primi giorni del mese di dicembre 2001.
Va altresì sottolineato che progetti di simile complessità generano situazioni di iniziali difficoltà operative alle quali vanno aggiunte altre cause di difficoltà fisiologiche come, nel caso specifico, il numero inizialmente insufficiente di operatori formati in grado di affrontare i carichi di lavoro delle sedi.
Nonostante i disagi ricordati, il nuovo sistema informativo integrato Inpdap è stato operativamente avviato nelle sue parti essenziali, e costituisce valido riferimento anche per la costruzione e il consolidamento della nuova banca dati previdenziale dei dipendenti pubblici, obiettivo primario dell'istituto.
Attraverso una ripianificazione delle attività e un maggior controllo dei risultati, l'istituto ha realizzato l'obiettivo della conversione lira-euro, ha avviato il programma operativo di formazione del personale con il coinvolgimento di circa mille unità nel corso del 2001, e ha svolto in parallelo attività sperimentali presso quattro sedi provinciali pilota.
Sono state contestualmente poste in essere azioni correttive e adottati provvedimenti amministrativi volti ad accelerare la correttezza delle operazioni informatiche onde recuperare i tempi di attuazione rispetto alle previsioni riferite al termine di realizzazione globale del sistema (agosto 2001).
L'istituto, attraverso la ripresa dei percorsi formativi, distribuiti sul territorio e affiancati da altre iniziative a sostegno dell'apprendimento, una più incisiva organizzazione delle procedure e l'attivazione, presso ogni sede provinciale, di piani di recupero degli arretrati su tutte le linee produttive in uno con i moduli formativi, ha raggiunto gli obiettivi prefissati circa il recupero del ritardo della piena operatività del sistema. Il positivo risultato di tali interventi è comprovato dalla constatazione che entro i primi due mesi del corrente anno i volumi giornalieri e mensili delle attività istituzionali sono tornati a livelli di ordinaria produzione.
Infine, per quanto concerne i costi relativi al sistema informativo fornito dalla RTI EDS, si fa presente che esso è da riferirsi alle sole procedure applicative per le aree pensioni e contributi; altre spese sostenute dall'Istituto nell'area informatica e per altri progetti tecnici e/o applicativi, come i sistemi di gestione immobiliare PIM o di contabilità e controllo di gestione SAP/ISPS, non hanno alcuna relazione con il progetto in questione e, pertanto, non possono essere associate al contratto in


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parola. Va peraltro precisato in questo contesto che altri moduli software di aree applicative, quali i trattamenti di fine servizio (buonuscita e IPS) e le assegnazioni di borse di studio, sono stati progettati e realizzati dalla struttura applicativa interna e, che, pertanto, su queste aree non esistono atti negoziali addizionali con la predetta società.
Il Ministro del lavoro e delle politiche sociali: Roberto Maroni.

RUSSO SPENA. - Al Ministro per la funzione pubblica e il coordinamento dei servizi di informazione e sicurezza, al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. - Per sapere - premesso che:
l'Inpdap (Istituto nazionale di previdenza dei dipendenti della pubblica amministrazione) ha aggiudicato tramite appalto concorso in data 10 dicembre 1997, alla R.T.I. Eds società capogruppo Siemens la «Fornitura del nuovo sistema informatico nelle sue componenti di hardware, software di base e di ambiente, database e procedure applicative per le aree pensioni e contributi su tutte le sedi centrali e provinciali dell'Inpdap, compresa la diffusione e l'assistenza dell'avviamento», per un totale di spesa di lire 54.248.868.600;
a tale cifra devono essere aggiunti ulteriori importi di spesa, relativi ad altre procedure informatiche (leggi PIM, sistema relativo al patrimonio immobiliare dell'Istituto) ed a numerose consulenze protrattesi nel tempo, i quali fanno raggiungere la cifra approssimativa del costo complessivo intorno ai 70 miliardi di lire;
già nella delibera del C.i.v. (Consiglio di indirizzo e di vigilanza) n. 109 del 20 giugno 2000, l'organo dell'istituto approvava il «Rapporto» relativo alla «Valutazione generale del sistema informatico Inpdap» con il quale si evidenziava il mancato funzionamento del sistema con un ritardo di 14 mesi su di un tempo totale di 40 al momento della stesura del rapporto -:
se risponda al vero quanto denunciato dalla organizzazione sindacale rappresentanza di base per la quale a tutto il 2000 il nuovo sistema informatico di cui sopra non è ancora entrato in funzione, se non nella fase iniziale di sperimentazione a seguito dell'introduzione dell'euro;
se risponda al vero che anche parte dei lavoratori Inpdap, ai quali è affidata la responsabilità dei settori di attività interessati, si lamenta che il 30 novembre 2001 gli uffici non hanno più potuto pagare alcuna prestazione all'utenza e che, per l'effetto, sono bloccate le liquidazioni, l'impianto delle pratiche relative al sequestro e/o pignoramento del 1/5 e sono rilevabili grandi carenze anche per quanto riguarda la concessione del credito oltre che per le ricongiunzioni e i riscatti;
se risponda al vero che a seguito di tale gravissima situazione, l'Istituto, dopo aver speso decine di miliardi di lire e a distanza di quattro anni dall'affidamento dell'appalto, è costretto a riattivare le vecchie procedure informatiche;
qualora fosse verificato quanto sopra descritto, quali siano i motivi di tale situazione, le relative responsabilità e le iniziative che si vorranno assumere.
(4-02255)

Risposta. - Si risponde su delega della Presidenza del Consiglio dei ministri. Con riferimento all'atto parlamentare indicato in discorso l'Inpdap ha comunicato quanto segue.
In data 2 febbraio 1998 tra l'Inpdap e il RTI EDS Italia e Siemens è stato sottoscritto il contratto di fornitura di un nuovo sistema informativo. Detto contratto, piuttosto complesso, si articola su diverse aree applicative (l'anagrafica iscritti e enti, contributi, riscatti, ricongiunzioni, liquidazione e pagamento pensioni) nonché su diversi servizi tecnici di manutenzione, di sperimentabilità e di assistenza tecnica, e su


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servizi di formazione tecnica al personale dell'Istituto. Il contratto prevede una durata globale di realizzazione pari a 42 mesi con un piano, previsto nel capitolato tecnico di appalto, di successivi rilasci dei moduli software.
Durante la realizzazione sono venute a modificarsi alcune condizioni interne ed esterne all'Istituto, le quali hanno comportato la necessità di una ripianificazione delle attività incardinatesi nel frattempo e la conseguente parziale riprogettazione dei moduli applicativi ad esse riferiti.
Tra le contingenze interne all'istituto, avuto riguardo al processo di formazione del personale imperniato non soltanto sull'utilizzo del nuovo sistema informativo, va segnalata l'esigenza di aver dovuto correlare il predetto processo alla intervenuta diversa organizzazione del lavoro, conseguente alla progressiva applicazione dell'ordinamento dei servizi centrali e periferici. Un altro rilevante aspetto ritardante la piena operatività del sistema è da attribuirsi, con riferimento alle prestazioni creditizie, alla sospensione della erogazione dei prestiti ai dipendenti pubblici a partire dal mese di novembre 2001 a causa dell'esaurimento dei fondi. Su questo punto, l'istituto ha precisato che tali prestazioni, pur avendo carattere istituzionale, devono autofinanziarsi attraverso il circuito del rientro dei crediti erogati.
Tra le contingenze esterne figura quella dovuta al processo di conversione lira-euro; nell'ambito dell'Inpdap esso ha comportato un anticipo di circa 15 giorni rispetto alle tradizionali pianificazioni, che vedono la contabilità INPDAP sospendere i pagamenti e le relative erogazioni intorno alla metà del mese di dicembre di ogni anno, e ha conseguentemente prodotto un congelamento delle applicazioni informatiche a partire dai primi giorni del mese di dicembre 2001.
Va altresì sottolineato che progetti di simile complessità generano situazioni di iniziali difficoltà operative connesse a molteplici aspetti di ordine tecnico e organizzativo, peraltro piuttosto comuni in processi similari, e alle quali vanno aggiunte altre cause fisiologiche come, nel caso specifico, il numero inizialmente insufficiente di operatori formati in grado di affrontare i carichi di lavoro delle sedi, e le inevitabili problematiche di avvio di un sistema informatico più completo e quindi più complesso di quelli precedentemente adottati.
Nonostante i disagi elencati, il nuovo sistema informativo integrato Inpdap è stato operativamente avviato nelle sue parti essenziali, e costituisce valido riferimento anche per la costruzione e il consolidamento della nuova banca dati previdenziale dei dipendenti pubblici, obiettivo primario dell'istituto.
Attraverso una ripianificazione delle attività e un maggior controllo dei risultati l'istituto ha realizzato l'obiettivo della conversione lira-euro, ha avviato il programma operativo di formazione del personale con il coinvolgimento di circa 1.000 unità nei corso del 2001, e ha svolto in parallelo attività sperimentali presso quattro sedi provinciali pilota.
Sono state contestualmente poste in essere azioni correttive e adottati provvedimenti amministrativi volti ad accelerare la correntezza delle operazioni informatiche onde recuperare i tempi di attuazione rispetto alle previsioni riferite al termine di realizzazione globale del sistema (agosto 2001).
Con l'intensiva ripresa dei percorsi formativi, distribuiti sul territorio e affiancati da altre iniziative a sostegno dell'apprendimento, con una più incisiva organizzazione delle procedure e l'attivazione, presso ogni sede provinciale, di piani di recupero degli arretrati su tutte le linee produttive in uno con i moduli formativi, l'istituto ha raggiunto gli obiettivi prefissi circa il recupero del ritardo della piena operatività del sistema, ed il positivo risultato di tali interventi è comprovato dalla constatazione che entro i primi due mesi del corrente anno i volumi giornalieri e mensili delle attività istituzionali sono tornati a livelli di ordinaria produzione.


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Infine, per quanto concerne i costi concernenti il sistema informativo fornito dalla RTI EDS, si fa presente che esso è da riferirsi alle sole procedure applicative per le aree pensioni e contributi; altre spese sostenute dall'istituto nell'area informatica e per altri progetti tecnici e/o applicativi, come i sistemi di gestione immobiliare PIM o di contabilità e controllo di gestione SAP/ISPS, non hanno alcuna relazione con il progetto in questione e, pertanto, non possono essere associate al contratto in parola. Va peraltro precisato in questo contesto che altri moduli software di aree applicative, quali i trattamenti di fine servizio (buonuscita e IPS) e le assegnazioni di borse di studio, sono stati progettati e realizzati dalla struttura applicativa interna e, pertanto, su queste aree non esistono atti negoziali addizionali con la predetta società.
Il Ministro del lavoro e delle politiche sociali: Roberto Maroni.

RUSSO SPENA. - Al Ministro dell'interno, al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. - Per sapere - premesso che:
la mattina di lunedì 18 novembre 2002 un gruppo di cinesi è stato trasferito da Torino a Lecce;
si tratta di dodici persone, in posizioni leggermente diverse dal punto di vista delle possibilità di ricorso e della fase di trattenimento, ma tutte accomunate dal fatto di avere presentato (dopo la notifica del decreto di espulsione ed il conseguente trattenimento) la domanda di regolarizzazione;
almeno in cinque casi, i rispettivi avvocati avevano provveduto a trasmettere via fax o presentare direttamente in questura la documentazione relativa alla domanda di regolarizzazione (modulo compilato con relativa ricevuta del lavoratore) come da prassi finora seguita e che, negli altri casi di «non cinesi», ha finora sempre portato, per quanto a conoscenza dell'interrogante, alle dimissioni dello straniero «trattenuto»;
i cinque provengono da situazioni diverse: tre dalla cintura di Torino, uno da Torino e uno da Prato;
in tutti e cinque i casi le espulsioni, per ingresso clandestino o soggiorno irregolare, sono state adottate a seguito di controlli nel mese di ottobre 2002 e, quindi, a regolarizzazione in corso. Il trattenimento è stato seguito immediatamente dall'espulsione come previsto, nella generalità dei casi, dalla Bossi-Fini;
nei primi tre casi la domanda di regolarizzazione è stata presentata dallo stesso datore di lavoro presso il quale i tre sono stati sorpresi; per il lavoratore di Prato la domanda è stata presentata da un datore di Firenze;
risulta all'interrogante che l'avvocato Massimo Pastore, difensore del lavoratore di Prato, l'8 novembre 2002 abbia inviato via fax alla questura copia dei documenti della regolarizzazione e, nonostante ciò, il 14 novembre 2002 la questura abbia chiesto la proroga di 30 giorni del trattenimento, senza menzionare l'esistenza di detti documenti ma limitandosi a giustificare la richiesta con le «gravi difficoltà» legate alla necessità, per eseguire l'espulsione, di acquisire i «documenti per il viaggio». Naturalmente il giudice ha concesso la proroga senza sapere come realmente stavano le cose, visto che la proroga viene concessa senza alcun avviso e senza la presenza della difesa;
sabato 16 novembre 2002 da Roma giunge l'ordine di trasferire tutti a Lecce, ciò che avviene, appunto, lunedì 18 novembre 2002 per essere imbarcati su di un volo charter, nonostante le espulsioni siano «ineseguibili» in base all'articolo 2, comma 1, del decreto-legge n. 195 del 2002, convertito con modificazioni dalla legge n. 222 del 2002, in quanto i datori di lavoro dei dodici cinesi hanno presentato domanda di assunzione -:


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quali siano i motivi della non applicazione dell'articolo 2, comma 1, del decreto-legge n. 195 del 2002;
se il Ministro dell'interno intenda adottare la disposizione prevista dall'articolo 2, comma 1, del decreto-legge n. 195 del 2002.
(4-04589)

Risposta. - Rispondendo all'interrogazione parlamentare in discorso, si comunica - sulla base di concordanti elementi conoscitivi e di valutazione fatti avere dalle questure di Torino, Prato e Lecce - che effettivamente il 18 novembre scorso dodici stranieri di presunta nazionalità cinese sono stati trasferiti dal centro di permanenza temporanea ed assistenza di Torino a quello di Lecce.
I dodici erano trattenuti nel centro piemontese nelle more dell'esecuzione di altrettanti provvedimenti di espulsione adottati dalle autorità provinciali di pubblica sicurezza di Torino, di Prato e di Verbania, in quanto clandestini.
Al momento della adozione dei decreti di espulsione, nessuno degli stranieri ha fatto alcun riferimento alla circostanza di essere interessato alla procedura di regolarizzazione ai sensi della recente normativa in materia, ed infatti tutti i provvedimenti sono stati convalidati dall'autorità giudiziaria nei termini di rito.
Solo successivamente alla notifica degli atti di espulsione, durante il periodo di trattenimento presso il centro torinese, 5 di tali stranieri ne hanno chiesto la revoca, sostenendo la avvenuta presentazione della istanza di legalizzazione.
È stata, perciò, sospesa l'esecuzione, nei loro confronti, dei provvedimenti di allontanamento dal territorio nazionale, secondo il dettato dell'articolo 2, comma 1, del decreto-legge n. 195 del 9 settembre scorso.
Si precisa che tale sospensione non comporta l'automatica ed immediata dismissione dello straniero interessato, se legittimamente trattenuto presso un centro di permanenza temporanea ed assistenza.
Nella specie, infatti, ricevute le istanze di regolarizzazione, è emerso che esse recavano generalità diverse da quelle, evidentemente false, fornite dagli stessi stranieri al momento dei controlli di polizia, sicché si è posta una specifica esigenza di accertamento della loro identità.
Quanto, in particolare, all'istanza trasmessa dall'avvocato Pastore, la questura di Prato ha riferito di averla ricevuta soltanto l'11 dicembre per posta ordinaria e non l'8 novembre via
fax.
Come riferito sia dalla questura di Torino che da quella di Lecce, il trattenimento dei dodici cittadini cinesi è stato, dunque, operato solo a fini identificativi, mentre il loro trasferimento nel centro di quest'ultima città è stato disposto per esigenze logistiche, senza che sia stato eseguito alcun provvedimento di allontanamento dal territorio nazionale nei confronti di coloro che erano interessati alla procedura di legalizzazione.
Con riguardo, in generale, alla sospensione dei provvedimenti di allontanamento dei lavoratori extracomunitari a favore dei quali siano state avviate le note procedure di regolarizzazione, sono state diramate precise direttive alle questure con circolare del 9 settembre scorso, che non risulta finora disattesa.
Il Sottosegretario di Stato per l'interno: Alfredo Mantovano.

RUSSO SPENA. - Al Ministro dell'interno. - Per sapere - premesso che:
il 30 novembre 2002 in seguito ad una visita nel CPT Regina Pacis di una delegazione formata da membri del PRC, Forum dei diritti di Bari, Social Forum di Lecce, dal parlamentare Bulgarelli, si apprendeva che numerosi «ospiti», in gran parte maghrebini, erano stati vittime di aggressioni fisiche all'interno del centro, ad opera dei gestori del centro. Le violenze sono avvenute dopo il 22 novembre 2002, qualche giorno dopo, cioè, un tentativo di fuga fallito, evidentemente per ritorsione;
a seguito di tutto questo diciotto persone recluse nel centro davano mandato


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a tre avvocati per fare denuncia presso la Procura di Lecce;
le denunce sono state depositate tra lunedì 9 dicembre e martedì 10 dicembre 2002 -:
se il Ministro dell'interno non intenda disporre che i denuncianti, essendo privi di documenti, ed avendo ormai scontato 44 giorni di permanenza nel CPT, su un massimo di 60 giorni (secondo la legge Bossi-Fini), non vengano rimpatriati prima che venga effettuato l'incidente probatorio. Questo perché essi possano testimoniare davanti al giudice.
(4-05024)

RUSSO SPENA. - Al Ministro dell'interno. - Per sapere - premesso che:
il 30 novembre 2002, in seguito ad una visita nel CPT Regina Pacis di una delegazione formata da membri del PRC, Forum dei diritti di Bari, Social Forum di Lecce, dal parlamentare Bulgarelli, si apprendeva che numerosi «ospiti» in gran parte maghrebini, erano stati vittime di aggressioni fisiche all'interno del centro, ad opera dei gestori del centro. Le violenze sono avvenute dopo il 22 novembre 2002, qualche giorno dopo, cioè, un tentativo di fuga fallito, evidentemente per ritorsione;
in questa situazione si apprendeva, inoltre, che durante il periodo del Ramadan veniva fatto mangiare a forza carne di maiale, facendola ingoiare al malcapitato con un manganello. Ciò è stato comunicato dai detenuti «ospiti»;
a seguito di tutto questo diciotto persone recluse nel centro davano mandato a tre avvocati per fare denuncia presso la Procura di Lecce;
le denuncie sarebbero state depositate tra lunedì 9 dicembre e martedì 10 dicembre -:
se non intenda attivarsi affinché i denuncianti, essendo privi di documenti, ed avendo ormai scontato 44 giorni di permanenza nel CPT, su un massimo di 60 giorni (secondo la legge Bossi-Fini), non vengano rimpatriati prima che venga effettuato l'incidente probatorio, questo perché essi possano testimoniare davanti al giudice.
(4-05315)

Risposta. - Si comunica che, secondo quanto riferito dalla prefettura-UTG di Lecce, il 22 novembre scorso quaranta stranieri di origine maghrebina, trattenuti presso il centro di permanenza temporanea ed assistenza «Regina Pacis» di San Foca, hanno tentato la fuga, ma sono stati intercettati dai Carabinieri addetti al servizio di vigilanza; nella circostanza, solo tre stranieri sono riusciti a fuggire.
Nel corso del tentativo di fuga, tre carabinieri e alcuni cittadini marocchini hanno riportato lievi ferite.
A distanza di alcuni giorni dall'episodio, 17 stranieri del gruppo, tutti di nazionalità marocchina, hanno presentato denuncia alla locale autorità giudiziaria, sostenendo di aver subito maltrattamenti.
Al riguardo, la Procura della Repubblica di Lecce ha svolto indagini, non ancora concluse.
Alla scadenza del periodo di trattenimento degli stranieri presso il centro di permanenza citato, avendo la stessa procura dichiarato la sussistenza di esigenze investigative tali da rendere opportuna la presenza degli stranieri in Italia, allo scopo di rendere possibile l'esperimento degli incidenti probatori, la questura di Lecce ha proceduto al rilascio di un permesso di soggiorno per motivi di giustizia.
Su un piano generale, per quanto concerne i centri di permanenza temporanea, si ricorda che, in base alla legge 6 marzo 1998, n. 40, nota come legge Turco-Napolitano sull'immigrazione, che sul punto è stata solo parzialmente modificata dalla legge 30 luglio 2002, n. 189, la cosiddetta Fini-Bossi, chi entra clandestinamente, a meno che non abbia i requisiti per l'asilo o non vi siano fondati motivi umanitari, va allontanato dal territorio nazionale con il riaccompagnamento nel paese di provenienza. Per fare questo è, però, indispensabile accertare l'identità del clandestino,


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perché sia certa, di conseguenza, la provenienza dell'interessato e lo Stato di provenienza non ponga ostacoli alla riammissione. L'indagine, che viene svolta caso per caso, punta altresì a far emergere eventuali altri elementi significativi, per garantire al meglio tutte le posizioni che le normative internazionali tutelano. Questi accertamenti richiedono del tempo, durante il quale chi è entrato clandestinamente deve essere posto nelle condizioni di non dileguarsi.
A questa funzione provvedono i centri di permanenza temporanea senza i quali coloro che, al di fuori dei confini europei, desiderano entrare in Italia potrebbero farlo liberamente, senza rispettare alcuna regola e senza limiti riguardanti le condizioni soggettive dell'extracomunitario (disponibilità a lavorare, precedenti penali, pericolosità), con la conseguenza che nessun clandestino verrebbe espulso e che, anzi, andrebbe eliminata la stessa nozione di clandestinità. È un'opinione rispettabile, che ha l'unico limite di non essere condivisa né dal Governo né dal Parlamento italiani, i quali hanno deciso diversamente; e non solo questo Governo e questo Parlamento, ma anche quelli della precedente legislatura. Proponendo la legge Turco-Napolitano e approvandola, il Governo e il Parlamento, allora a maggioranza di centrosinistra, hanno, infatti, predisposto ed approvato anche il sistema delle espulsioni, il meccanismo che consente il riaccompagnamento nei paesi di provenienza e, quindi, la costituzione dei centri di permanenza temporanea.
Si ricorda, inoltre, che a fronte della difficoltà di identificare con certezza una parte dei clandestini nel termine di trenta giorni, previsto dalla legge n. 40 del 1998, la legge n. 189 del 2002 ha esteso la durata massima della permanenza a sessanta giorni. Si tratta della durata massima, perché l'identificazione può andare in porto dopo pochi giorni, sicché la permanenza nel centro cessa e il clandestino viene riaccompagnato nello Stato di appartenenza.
Se, invece, il problema riguarda non la stessa esistenza dei centri di permanenza bensì le condizioni di trattamento al loro interno, chiunque, visitando i centri di permanenza italiani e i centri analoghi presenti in altri Stati dell'Unione europea, potrà constatare che quelli italiani garantiscono
standard di vita oggettivamente rispettosi della dignità delle persone ospitate e, peraltro, nettamente superiori a quelli degli altri paesi. È assolutamente impropria l'assimilazione dei centri di permanenza temporanea a strutture di detenzione. I centri non hanno alcuno scopo afflittivo e al loro interno non vi è un regime carcerario. Non sono istituti di pena ma strutture il cui perimetro esterno è vigilato dalle forze di polizia e al cui interno vi sono libertà di movimento e spazi ricreativi. Nel centro Regina Pacis, per esempio, vi sono un campo di calcetto e una sala TV cinematografo. I loro ospiti possono colloquiare con l'esterno ed è possibile ricevere la visita, oltre che dei propri legali, dei propri familiari.
La concezione e le modalità di istituzione dei centri di permanenza temporanea corrispondono ad una trasparente e coerente politica di Governo del fenomeno dell'immigrazione, condivisa e definita concordemente con gli altri partner dell'Unione Europea.
Il Sottosegretario di Stato per l'interno: Alfredo Mantovano.

RUSSO SPENA. - Al Ministro dell'interno. - Per sapere - premesso che:
nel pomeriggio del 15 gennaio 2003 i giornalisti Stefano Mencherini e Massimo Sestini (fotoreporter), incaricati dal settimanale Avvenimenti sono stati spintonati, offesi e minacciati da collaboratori del centro «Regina Pacis» di Santa Foca;
i giornalisti erano arrivati per una visita programmata e autorizzata dal Questore di Lecce, dottor Vincenzo Caso;
Mencherini è stato respinto e spintonato da Donato Paladino (ex Capitano


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della Guardia di Finanza), pregiudicato e condannato ad oltre 4 anni per tangenti, ed ora vicedirettore del Centro;
è seguita una lunga e animata discussione, in cui i due giornalisti mostravano l'autorizzazione a don Cesare per effettuare il servizio, mentre Luca Lo Deserto e Paolo Dokaj, collaboratori del direttore del CPT, hanno nuovamente aggredito Sestini per tentare di sottrargli le macchine fotografiche;
i Carabinieri dell'XI Battaglione Puglia, in un primo momento si sono rifiutati, nonostante la reiterata richiesta di aiuto, di intervenire;
solo dopo una telefonata del Questore, i due giornalisti hanno potuto effettuare la loro visita al Centro, accompagnati dal Comandante della Stazione dei Carabinieri di Melendugno, Maresciallo Martina. Alla fine della visita, uno dei collaboratori di don Cesare Lo Deserto ha minacciato i due giornalisti: «tanto dovete uscire da qui» -:
quali provvedimenti il Ministero voglia assumere per far rispettare i regolamenti e garantire trasparenza e dignità alla gestione di un Centro la cui funzione è così delicata.
(4-05112)

Risposta. - Si comunica che il 15 gennaio 2003, il questore di Lecce, su richiesta del settimanale Avvenimenti, autorizzava due cronisti, Stefano Mencherini e Massino Sestini, ad effettuare una visita guidata all'interno del centro di permanenza e temporanea assistenza «Regina Pacis» in San Foca di Melendugno (LE).
I militari del Battaglione Carabinieri «Puglia», preposti alla vigilanza della struttura, rappresentavano ai due giornalisti, presentatisi all'ingresso con circa 15 minuti di anticipo sui limiti temporali (dalle ore 15.00 alle ore 16.00) stabiliti dall'autorità di pubblica sicurezza, la necessità di attendere il personale del Centro, che giungeva puntualmente alle ore 15.00 e, presente anche il vice direttore, consentiva l'ingresso all'interno dei locali adibiti ad uffici.
Trascorsi alcuni minuti, l'attenzione dei citati carabinieri veniva richiamata da un'invocazione di aiuto da parte di uno dei due cronisti. I militari si recavano nella zona del centro da cui provenivano le grida, riuscendo soltanto a vedere il Mencherini che inveiva all'indirizzo del vice direttore del centro di permanenza il quale, tuttavia, non reagiva. Il personale dell'Arma, in ogni modo, nell'assicurarsi che non vi fosse alcuna situazione di pericolo, chiedeva ed otteneva l'immediato intervento del comandante della stazione carabinieri di Melendugno, alla cui presenza ed in seguito alle disposizioni esecutive ricevute telefonicamente dal questore, si dava ulteriore corso alla visita programmata, che si concludeva alle ore 16,15 circa.
Al riguardo appare opportuno sottolineare che i carabinieri presenti presso la struttura, con specifici compiti di vigilanza del perimetro, non hanno assistito direttamente al diverbio che, secondo quanto riferito, sarebbe scaturito dalla denegata possibilità di accesso, opposta dal predetto vice direttore, ai locali ed ambienti esclusivamente destinati al trattenimento dei cittadini stranieri ospiti del centro.
Alle successive ore 17,00 negli uffici della DIGOS il giornalista Stefano Mencherini ed il fotografo Massimo Sestini sporgevano denuncia-querela nei confronti di tre operatori del centro, perché ritenuti responsabili di violenza privata in concorso.
Il successivo giorno 16 perveniva alla questura di Lecce una nota con la quale Don Cesare Lo Deserto lamentava comportamenti poco corretti da parte dei due giornalisti.
Le denunce-querele dei giornalisti e la nota del prelato sono state oggetto d'informativa di reato inviata alla Procura della Repubblica presso il tribunale di Lecce in data 18 gennaio 2003, per le conseguenti indagini.
Il Sottosegretario di Stato per l'interno: Alfredo Mantovano.


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RUZZANTE e RAFFALDINI. - Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. - Per sapere - premesso che:
il 27 giugno 1997 vengono sottoscritti da Austria, Repubblica Ceca, Repubblica Slovacca, Slovenia, Ungheria, Italia, e nel 2001 dalla Bosnia-Herzegovina, gli accordi CEATS (Central European Air Traffic Services) che prevedono l'affidamento del controllo del traffico aereo sopra FL 285 ad un centro unico - Upper Area Control Center (UAC) - baricentrico per l'area centro orientale europea, situato a Vienna;
l'Italia vi partecipa con lo spazio aereo superiore del nord-est (ACC di Padova);
gli accordi prevedono che i lavori di implementazione dell'UAC e la successiva gestione del servizio siano affidate all'organizzazione per la sicurezza della navigazione aerea europea - Eurocontrol;
non si conoscono le ricadute positive per l'industria italiana e le percentuali di cessione/acquisizione di porzioni di spazio aereo;
non sono ancora quantificati i lavoratori di Enav S.p.a. che saranno coinvolti nel nuovo centro di Vienna;
non è chiaro il ruolo dell'associazione CAPA che coinvolge i service providers di Austria, Ungheria, Slovenia, Repubblica Ceca, Repubblica Slovacca e non dell'Italia, nella realizzazione del CEATS;
non sono definiti il rapporto tra il progetto CEATS e la creazione del cielo unico europeo e i tempi di realizzazione;
in questi anni nel nord-est Italia i flussi di traffico hanno fatto registrare un incremento del 60 per cento;
il progetto iniziale per la gestione del solo spazio aereo superiore potrebbe estendere la sua competenza anche agli spazi aerei inferiori con inevitabili ridimensionamenti della presenza italiana anche nella gestione di aeroporti importanti quali Venezia, Bologna, Verona, Treviso, Trieste, Rimini, Ancona Falconara e i due aeroporti milanesi;
in questi anni sono stati fatti consistenti investimenti sui tre centri di Padova, Roma e Brindisi -:
se esistano elementi nuovi, rispetto al protocollo del 1997 che consentano di rivalutare quelle scelte e in che modo il Governo intenda valorizzare il ruolo delle aziende, degli aeroporti e del personale italiano.
(4-05288)

Risposta. - In riferimento all'interrogazione indicata in discorso, gli uffici rappresentano preliminarmente che l'Italia ha aderito all'accordo Ceats (Central european air traffic system) in data 27 giugno 1997 insieme ad altri sette paesi di Eurocontrol con la firma di un apposito protocollo diplomatico.
L'obiettivo principale di Ceats è quello di unificare il controllo del traffico negli spazi aerei superiori nell'ambito di un'unica organizzazione multinazionale che si articola su vari centri di produzione dei servizi.
Sulla base della citata Convenzione del 1997, i membri di Ceats quindi decisero di unificare il controllo degli spazi aerei superiori nel centro di Vienna (allo stato in corso di costruzione), la simulazione del traffico nel Centro di Budapest e la formazione dei controllori nel Centro di Forlì.
Le valutazioni che precedettero l'adesione italiana ai Ceats furono positive, sia sotto il profilo della efficienza e sicurezza del sistema sia per i possibili ritorni industriali dell'operazione.
A distanza di quasi sei anni dalla firma dell'accordo, si pone in evidenza che la filosofia che ha ispirato l'accordo Ceats, non solo non è stata messa in discussione, ma anzi è stata approvata dalla stessa Unione Europea che la ha applicata nell'ambito dei nuovi regolamenti sul «Single Sky».
Difatti, l'assunto dell'Unione Europea è che, nell'attuale fase di integrazione dell'Europa, per rendere più efficiente la navigazione aerea, gli spazi aerei superiori


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debbano essere ridisegnati senza tenere conto dei confini nazionali.
Il processo che si sta determinando sulla base della nuova normativa comunitaria porta quindi alla razionalizzazione ed alla riduzione dei Centri di controllo degli spazi aerei superiori mediante accorpamenti degli attuali centri nazionali in nuovi centri internazionali.
In questo settore, l'Italia ha precorso i tempi e, già dal maggio 2000, l'Ente nazionale per l'assistenza del volo ha avviato il processo di razionalizzazione dello spazio aereo superiore concentrando a Ciampino le due FIR (Flight Information Region) di Milano e di Roma.
A prescindere, quindi, dalla partecipazione a Ceats che sostanzialmente riproduce il modello di Maastricht, il sistema di controllo del traffico aereo in Europa si sta rapidamente modificando e si evolverà ulteriormente con l'entrata in vigore delle norme comunitarie sul «cielo unico» il cui principale obiettivo è proprio quello di unificare gli spazi aerei in «blocchi funzionali» a prescindere dall'esistenza delle frontiere nazionali.
In tali condizioni è evidente che una richiesta di rinegoziare l'accordo Ceats si porrebbe in controtendenza con le linee prevalenti in Europa.
Pertanto, al fine di raggiungere l'obiettivo della razionalizzazione del servizio e della riduzione dei costi è indispensabile che i vari fornitori di servizi di controllo del traffico aereo (in Italia Enav) riorganizzino conseguentemente i propri servizi in modo da riutilizzare le risorse rese disponibili a seguito della concentrazione di più centri.
Nel caso in cui, invece, sulla base di considerazioni nazionalistiche o a seguito di spinte sociali, gli impianti non venissero adeguatamente riutilizzati si rischierebbe di avere una situazione di evidente inefficienza ad altissimi costi in cui i nuovi centri internazionali si verrebbero ad aggiungere a quelli esistenti anziché rimpiazzarli.
Occorrerà quindi vigilare per evitare l'eventualità di tali situazioni nei vari Paesi interessati.
In merito alla interrelazione fra i servizi di controllo degli spazi aerei superiori e quelli per gli spazi aerei inferiori, il problema esiste già nell'attuale situazione ed è direttamente proporzionale con il livello di frammentazione dello spazio aereo, Infatti, come è dimostrato dall'esperienza, anche a seguito della concentrazione su Ciampino delle funzioni precedentemente attribuite all'ACC (
Air Control Center) di Milano, l'aggregazione dei servizi per vaste aree funzionali aumenta il livello di efficienza, migliora la gestione dei flussi di traffico ed eventuali problemi relativi ai flussi in arrivo o partenza dagli aeroporti sottostanti devono essere risolti in termini di adeguamento della capacità disponibile.
Altra questione, completamente diversa, è quella del rispetto degli accordi. Su questo punto ed in particolare per l'istituzione a Forlì di un centro di formazione unico per tutti i controllori di Ceats, Eurocontrol ha fornito ampie assicurazioni.
Per quanto riguarda gli aspetti economici, l'intero progetto è stato riesaminato in modo da contenerne al massimo i costi. Peraltro, il contributo dei partners di Ceats si qualifica come una forma di anticipo che, comunque, dovrà essere recuperato a carico dell'utenza durante il periodo di gestione del piano.
In conclusione, quindi, la partecipazione italiana a Ceats, oggi più che mai, mantiene una sua validità strategica coerente con le nuove logiche comunitarie e, alla luce dei chiarimenti e degli impegni assunti da Eurocontrol, essa consentirà lo sviluppo sia delle strategie dei nostri fornitori di servizi che della nostra industria.
Il Ministro delle infrastrutture e dei trasporti: Pietro Lunardi.

SAIA. - Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. - Per sapere - premesso che:
le condizioni che portarono nel 1997 alla stipula dei due appositi accordi


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CEATS con gli altri sette Paesi (Austria, Slovenia, Croazia, Ungheria, Repubblica Slovacca, Repubblica Ceca e Bosnia Erzegovina), che vedevano un programma finalizzato al progetto di creazione di un unico centro di controllo del traffico aereo negli spazi aerei superiori a Vienna con la partecipazione italiana data dalla cessione della gestione di tutto lo spazio aereo del Nord-Est Italia, sono totalmente mutate;
dal 1997 ad oggi l'incremento del traffico aereo nello spazio aereo del Nord-Est Italia è stato del 60 per cento ed il centro di controllo del traffico aereo di Padova deputato alla gestione di quella porzione di spazio aereo italiano è stato riconosciuto da Eurocontrol fra i migliori ACC europei; le potenzialità di Padova ACC sono molto elevate e sono in grado di consentire all'Italia di essere anche in futuro altamente competitiva continuando a recuperare consistenti fette di mercato dall'Est europeo;
per l'anno in corso, gli impegni relativi al progetto CEATS si sviluppano attraverso iniziative limitate e peraltro già finanziate, mentre per gli anni successivi sono previsti interventi molto più onerosi, con l'obiettivo di concorrere alle spese per la costruzione del nuovo centro di controllo di Vienna, le cui operazioni iniziali sono previste nel tardo 2007 e la piena operatività nel 2010;
i finanziamenti necessari alla realizzazione del progetto sono suddivisi tra i partecipanti in quota proporzionale alle quantità di traffico fatturato nello spazio aereo per cui è delegato il servizio; la stima fatta nel 1997 è oggi decisamente cambiata e la quota italiana di traffico notevolmente superiore in relazione allo spazio interessato: il finanziamento italiano ne risulta quindi sovradimensionato; questo è il motivo per il quale il nostro Paese è chiamato a contribuire, per il secondo anno consecutivo, quale terzo paese finanziatore del progetto, pur essendo a conoscenza che il livello di remunerazione al momento riconosciutoci è rappresentato da una fallimentare aliquota del 7 per cento;
già tre Stati hanno ratificato a livello parlamentare gli accordi CEATS; la ratifica di almeno cinque stati su otto comporterà l'immediata entrata in vigore degli accordi sottoscritti tra tutte le parti e pertanto il tempo a disposizione per riconsiderare la partecipazione italiana è estremamente ridotto;
il programma sancisce il predominio nell'ambito dell'accordo di Austria, Repubblica Ceca, Slovacca ed Ungheria, mentre gli altri Paesi partecipanti, Italia compresa, sono al traino dei primi. La natura stessa dell'accordo rende la posizione italiana complessivamente marginale ed ancora più marginale risulta il riconoscimento al nostro Paese sia in termini di remunerazione (7 per cento), sia di partecipazione con proprio personale (7 per cento, non oltre 20 controllori), sia di partecipazione delle industrie italiane (0 per cento);
la partecipazione dell'Italia a tale progetto provocherebbe un ridimensionamento del centro di controllo del traffico aereo di Padova (Padova ACC), che vedrebbe perdere:
a) una forte aliquota di personale altamente professionalizzata (oltre 50 controllori), i cui alti costi di formazione e di professionalizzazione sono stati totalmente pagati dall'ENAV;
b) un'aliquota significativa di personale tecnico (di elevata professionalità) e di personale amministrativo;
c) una considerevole aliquota di posti di lavoro costituiti da tutto l'indotto industriale e di servizi orbitante intorno al sito di Padova;
il CEATS sembrerebbe nascere anche con l'intenzione di ridurre i coefficienti di tassazione in rotta al suo interno con il proposito di attrarre un maggior numero di utenza, costituita dalle compagnie aeree:


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si andrebbe così nel tempo a verificare uno spostamento dei sorvoli dalle rotte nord/ovest-sud/est, attualmente utilizzate dai vettori aerei sul nostro paese, verso direttrici più ad est, rappresentate dalle rotte a cavallo dei Balcani; l'Italia, già oggi «concorrente» alla regione CEATS più che «complementare» a questa, si verrebbe a trovare quindi in una situazione di ulteriore maggiore svantaggio con ripercussioni pesanti per tutto il Paese;
l'Italia concorre al CEATS con lo spazio aereo superiore, attualmente gestito da Padova ACC, nella misura di un non proprio trascurabile 24 per cento porta in dote al CEATS una cospicua porzione del traffico nazionale e conseguentemente assicura al CEATS, attraverso le tasse in rotta, una cospicua fetta delle proprie risorse, rischiando così non solo il ridimensionamento del centro di controllo di Padova, ma anche quello delle limitrofe realtà italiane, costituite dai centri di controllo di Roma e Brindisi;
l'eventuale decollo del progetto su Vienna e le pesanti problematiche sopra esposte renderebbero così improduttivi anche gli investimenti effettuati nel corso degli ultimi anni sui tre Centri già menzionati quantificabili, per i soli due centri d'area di Padova e Brindisi, nella misura di oltre 50 milioni di euro, rendendo contestualmente necessaria l'interruzione degli ulteriori processi di aggiornamento dei sistemi operativi nazionali in uso al fine di evitare ulteriori perdite;
sono sempre più forti le previsioni di allargare la gestione comune integrata degli spazi aerei dai livelli superiori (di solo sorvolo) a quelli inferiori (di atterraggio e decollo) poggiando su evidenti considerazioni di costo/beneficio. Questo successivo passo comporterebbe un ulteriore allargamento dell'area CEATS verso gli spazi aerei inferiori provocando ricadute attualmente difficilmente identificabili se non in un inevitabile ridimensionamento anche della presenza italiana nella gestione dei propri aeroporti più importanti (Venezia, Bologna, Verona, Treviso, Trieste, Firenze, Rimini ed i due aeroporti milanesi per competenza delle rotte verso Est-Sud-Est), con considerevoli perdite per lo stato italiano;
sotto il profilo economico, in base a prudenti stime, l'accordo impegnerebbe nel periodo 2003-2010 fondi nazionali per almeno 36 milioni di euro, mentre nel triennio 2002-2004 il solo centro di formazione di Forlì (unica concessione inizialmente ricevuta dall'Italia in cambio della partecipazione nazionale al progetto) ne richiede almeno 15 milioni di euro, di cui la metà già finanziati; l'esposizione finanziaria complessiva interamente dedicata al CEATS ammonterebbe almeno a 51 milioni di euro per la sola parte investimenti in infrastrutture ed apparati. Per il primo investimento il ritorno economico, prevedibile dal 2012, è praticamente inesistente per l'Italia, così come sembra essere inesistente il ritorno economico anche per il secondo investimento (training center di Forlì), ormai diventato totalmente svincolato dall'accordo CEATS per il rifiuto degli altri paesi dell'area di sostenere ulteriori spese per l'addestramento del personale e per la possibilità di potere usufruire, in qualità di membri Eurocontrol, delle strutture formative comunitarie già esistenti;
la nuova struttura formativa di Forlì risulta pertanto essere finanziata esclusivamente in ambito nazionale da Enav, dal comune di Forlì, con l'appoggio dell'università di Bologna, nel contesto dell'istituzione in Romagna di un polo aeronautico nazionale;
ad avviso dell'interrogante il progetto CEATS si rivela dunque privo di utilità sotto il profilo operativo, inutilmente costoso sotto l'aspetto economico e potenzialmente dannoso per i futuri sviluppi del traffico aereo lungo l'intera penisola e che è comunque ormai chiaro che non si avranno reali benefici economici per il nostro Paese -:


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se il Ministro interrogato non intenda considerare seriamente l'uscita immediata dell'Italia dal progetto CEATS e l'eventuale valutazione di altre opportunità di collaborazione internazionale dove il nostro Paese possa partecipare con pari dignità e pari opportunità, quali quelle già offerte da fornitori di servizi del traffico aereo di Francia e Svizzera ad ENAV, nel contesto di una proposta di creazione di un blocco funzionale di spazi aerei baricentrico ai flussi di traffico europei.
(4-04672)

Risposta. - In riferimento all'interrogazione in discorso, gli uffici rappresentano preliminarmente che l'Italia ha aderito all'accordo Ceats (Central european air traffic system) in data 27 giugno 1997 insieme ad altri sette paesi di Eurocontrol con la firma di un apposito protocollo diplomatico.
L'obiettivo principale di Ceats è quello di unificare il controllo del traffico negli spazi aerei superiori nell'ambito di un'unica organizzazione multinazionale che si articola su vari centri di produzione dei servizi.
Sulla base della citata Convenzione del 1997, i membri di Ceats quindi decisero di unificare il controllo degli spazi aerei superiori nel centro di Vienna (allo stato in corso di costruzione), la simulazione del traffico nel centro di Budapest e la formazione dei controllori nel centro di Forlì.
Le valutazioni che precedettero l'adesione italiana ai Ceats furono positive, sia sotto il profilo della efficienza e sicurezza del sistema sia per i possibili ritorni industriali dell'operazione.
A distanza di quasi sei anni dalla firma dell'accordo, si pone in evidenza che la filosofia che ha ispirato l'accordo Ceats, non solo non è stata messa in discussione, ma anzi è stata approvata dalla stessa Unione Europea che la ha applicata nell'ambito dei nuovi regolamenti sul «Single Sky».
Difatti, l'assunto dell'Unione Europea è che, nell'attuale fase di integrazione dell'Europa, per rendere più efficiente la navigazione aerea, gli spazi aerei superiori debbano essere ridisegnati senza tenere conto dei confini nazionali.
Il processo che si sta determinando sulla base della nuova normativa comunitaria porta quindi alla razionalizzazione ed alla riduzione dei centri di controllo degli spazi aerei superiori mediante accorpamenti degli attuali centri nazionali in nuovi centri internazionali.
In questo settore, l'Italia ha precorso i tempi e, già dal maggio 2000, l'Ente nazionale per l'assistenza del volo ha avviato il processo di razionalizzazione dello spazio aereo superiore concentrando a Ciampino le due FIR (Flight Information Region) di Milano e di Roma.
A prescindere, quindi, dalla partecipazione a Ceats, che sostanzialmente riproduce il modello di Maastricht, il sistema di controllo del traffico aereo in Europa si sta rapidamente modificando e si evolverà ulteriormente con l'entrata in vigore delle norme comunitarie sul «cielo unico» il cui principale obiettivo è proprio quello di unificare gli spazi aerei in «blocchi funzionali» a prescindere dall'esistenza delle frontiere nazionali.
In tali condizioni è evidente che una richiesta di rinegoziare l'accordo Ceats si porrebbe in controtendenza con le linee prevalenti in Europa.
Pertanto, al fine di raggiungere l'obiettivo della razionalizzazione del servizio e della riduzione dei costi è indispensabile che i vari fornitori di servizi di controllo del traffico aereo (in Italia Enav) riorganizzino conseguentemente i propri servizi in modo da riutilizzare le risorse rese disponibili a seguito della concentrazione di più centri.
Nel caso in cui, invece, sulla base di considerazioni nazionalistiche o a seguito di spinte sociali, gli impianti non venissero adeguatamente riutilizzati si rischierebbe di avere una situazione di evidente inefficienza ad altissimi costi in cui i nuovi centri internazionali si verrebbero ad aggiungere a quelli esistenti anziché rimpiazzarli.
Occorrerà quindi vigilare per evitare l'eventualità di tali situazioni nei vari Paesi interessati.


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In merito alla interrelazione fra i servizi di controllo degli spazi aerei superiori e quelli per gli spazi aerei inferiori, il problema esiste già nell'attuale situazione ed è direttamente proporzionale con il livello di frammentazione dello spazio aereo. Infatti, come è dimostrato dall'esperienza, anche a seguito della concentrazione su Ciampino delle funzioni precedentemente attribuite all'ACC (
Air Control Center) di Milano, l'aggregazione dei servizi per vaste aree funzionali aumenta il livello di efficienza, migliora la gestione dei flussi di traffico ed eventuali problemi relativi ai flussi in arrivo o partenza dagli aeroporti sottostanti devono essere risolti in termini di adeguamento della capacità disponibile.
Altra questione, completamente diversa, è quella del rispetto degli accordi. Su questo punto ed in particolare per l'istituzione a Forlì di un Centro di formazione unico per tutti i controllori di Ceats, Eurocontrol ha fornito ampie assicurazioni.
Per quanto riguarda gli aspetti economici, l'intero progetto è stato riesaminato in modo da contenerne al massimo i costi. Peraltro, il contributo dei partners di Ceats si qualifica come una forma di anticipo che, comunque, dovrà essere recuperato a carico dell'utenza durante il periodo di gestione del piano.
In conclusione, quindi, la partecipazione italiana a Ceats, oggi più che mai, mantiene una sua validità strategica coerente con le nuove logiche comunitarie e, alla luce dei chiarimenti e degli impegni assunti da Eurocontrol, essa consentirà lo sviluppo sia delle strategie dei nostri fornitori di servizi che della nostra industria.

Il Ministro delle infrastrutture e dei trasporti: Pietro Lunardi.

SCIACCA e LUCIDI. - Al Ministro dell'interno. - Per sapere - premesso che:
in ossequio alle varie disposizioni normative vigenti in materia di sicurezza sul posto di lavoro di cui al decreto legislativo n. 626 del 1994, il corpo nazionale vigili del fuoco svolge mansioni di formazione per enti pubblici e privati che rientrano nei parametri del decreto legislativo stesso;
il comando provinciale vigili del fuoco di Roma ha impegnato nelle mansioni di formazione e costituzione di commissioni esaminatrici, rivolte a personale discente ex decreto legislativo n. 626 del 1994 un gruppo ristretto di graduati dei vigili del fuoco conferendo loro, per tali mansioni, un numero di ore di lavoro retribuite di molto superiori alla media, ed escludendo da tali attività altri graduati dei vigili del fuoco disponibili e nozionisticamente idonei per svolgere tali mansioni;
ci si interroga inoltre se questo sovraccarico di lavoro per i pochi eletti non interferisca in maniera radicale sulla produttività ed efficienza del lavoro da essi quotidianamente svolto -:
se il Ministro intenda verificare la veridicità di tali notizie e accertare se la ripartizione di mansioni del personale dei vigili del fuoco del comando di Roma sia improntata a correttezza e imparzialità.
(4-04662)

Risposta. - Il Comando provinciale Vigili del Fuoco di Roma, come tutte le strutture periferiche del Corpo nazionale vigili del fuoco, nei limiti previsti dalle leggi 626 del 1994 e 609 del 1996, svolge attività di formazione e sessioni d'esame per aziende pubbliche e private a rischio elevato, medio, basso. Dette attività vengono espletate, coinvolgendo anche il personale del Corpo nazionale vigili del fuoco che presta servizio presso il Dipartimento dei vigili del fuoco del soccorso pubblico e della difesa civile.
Nei primi 10 mesi dell'anno 2002, per l'esecuzione dei servizi d'istituto connessi all'attività formativa di cui alla legge 626, sono stati effettuati 158 corsi e 88 sessioni di esami, per i quali sono state convocate 677 unità a fronte delle 1006 che avevano dato la loro disponibilità. In 150 delle 677


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convocazioni si è fatto ricorso a sostituzione per indisponibilità improvvisa dell'interessato, utilizzando altri formatori, che a parità di qualifica, si sono resi disponibili immediatamente e senza preavviso.
Ad incrementare il divario tra totale disponibili e totale convocati ha contribuito, come intuibile, la composizione delle commissioni d'esame e del contingente formatori dei corsi, per i quali il numero delle unità impiegate decresce all'abbassarsi della qualifica, con la conseguenza che pur essendo presente un'ampia disponibilità di personale delle qualifiche inferiori non ne è possibile la completa utilizzazione.
Ad esempio, per uno stesso corso possono essere impiegati un solo vigile permanente (a fronte della disponibilità totale di 433 unità), tre o quattro funzionari, un capo reparto più un capo squadra, un dirigente ed un'unità di personale del supporto tecnico-amministrativo-contabile.
In ordine ad eventuali sovraccarichi di lavoro imputabili all'attività di formazione, si precisa che la stessa viene espletata nell'ambito del primo giorno libero dai turni di servizio legati al soccorso, quindi tra il turno diurno precedente e quello notturno successivo.
Allo scopo di suddividere equamente tra il personale le attività di formazione, analogamente a quanto avviene (dal mese di luglio 2002) per il servizio di vigilanza antincendio, (altro servizio di istituto che si esplica nel 30 giorno libero) è, inoltre, stato avviato dal Comando Provinciale vigili del fuoco di Roma un programma meccanizzato di ripartizione automatica dei carichi di lavoro dipendenti da turno di servizio diurno e notturno, vigilanza, formazione, salti di turni compensativi, ferie eccetera, in grado di tenere conto delle molteplici variabili sopra riportate. Detto programma potrà eventualmente consentire di compensare una maggiore vigilanza antincendio a fronte di minore formazione e viceversa.
Il Sottosegretario di Stato per l'interno: Maurizio Balocchi.

TURCO e FASSINO. - Al Ministro dell'interno. - Per sapere - premesso che:
nel comune di Nizza Monferrato ha sede dal 1881 un distaccamento dei vigili del fuoco volontari;
tale distaccamento opera con professionalità e con grande capacità operativa anche nei comuni limitrofi e che tale distaccamento si è messo in particolare evidenza per la tempestività in occasione dell'alluvione del 1994 e dell'evento sismico dell'agosto 2002;
risulta, da notizie apparse sulla stampa, imminente la firma del decreto che istituirà in Canelli un distaccamento dei vigili del fuoco misto -:
per quali ragioni si è deciso di istituire un distaccamento dei vigili del fuoco misto in Canelli, visto che il soccorso in tale zona è assicurato dalla presenza delle sedi volontarie di Nizza Monferrato e di Santo Stefano Belbo;
se la duplicazione del servizio non rischia di diventare uno spreco di risorse e un disincentivo al volontariato locale;
se, in un ottica di contenimento della spesa pubblica, sia opportuna l'istituzione della nuova sede e non già il rafforzamento operativo di quelle esistenti e già attive.
(4-04313)

Risposta. - Per garantire alla popolazione un servizio di soccorso più efficiente è in corso di attuazione il progetto Soccorso Italia in 20' - di durata pluriennale - finalizzato all'attivazione di 292 nuovi distaccamenti dei vigili del fuoco sul territorio, tra i quali soprattutto quelli volontari. L'obiettivo specifico è quello di assicurare interventi di soccorso entro venti minuti dall'allertamento del «115» ad altri 6 milioni di abitanti, in aggiunta ai 46 milioni già serviti nel predetto termine.
Nell'ambito di tale progetto, con decreto ministeriale in data 6 febbraio u.s., è stato formalmente istituito presso il comune di


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Canelli un distaccamento dei vigili del fuoco volontario.
L'istituzione di tale sede è stata disposta in accoglimento di reiterate istanze dell'Amministrazione comunale e risponde alle esigenze della zona interessata, tenuto conto dello sviluppo industriale, della natura dei luoghi, della distanza da altre sedi di servizio antincendio.
Si è ritenuto di attivare nel caso di specie un distaccamento di tipo volontario, anziché misto o permanente, anche tenendo presente l'esigenza di contenere gli oneri a carico del bilancio dello Stato.
Sull'amministrazione dell'Interno graveranno, infatti, le spese connesse all'impiego ed all'equipaggiamento del personale volontario e quelle per le attrezzature ed i mezzi, rimanendo le altre a carico dell'ente locale interessato.
Il Sottosegretario di Stato per l'interno: Maurizio Balocchi.

VALPIANA. - Al Ministro dell'interno, al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio, al Ministro delle politiche agricole e forestali, al Ministro delle attività produttive, al Ministro per gli affari regionali. - Per sapere - premesso che:
nella notte tra sabato 3 e domenica 4 agosto 2002, un uragano eccezionale per intensità ha colpito diversi paesi della provincia di Vicenza, soprattutto Torri, Camisano, Cornedo, Quinto, Malo, creando una vera e propria catastrofe in termini ambientali;
oltre a piantagioni e colture (in particolare mais, soia, girasoli e vigneti), sono stati sradicati e divelti alberi, scoperchiate case e resi inagibili lo stadio e il tetto del cinema Roma nel capoluogo;
il fenomeno atmosferico imprevedibilmente irruente e sconvolgente ha prodotto ingentissimi danni, non attualmente ancora quantificabili, soprattutto all'agricoltura, una delle principali risorse economiche della zona, che, oltre all'azzeramento della stagione 2002, avrà sicuramente ripercussioni nel futuro -:
se intenda proclamare lo stato di calamità per tutta la zona così duramente colpita e azzerata da una simile catastrofe ambientale;
se intenda nominare una specifica unità di crisi per gestire la gravissima situazione creatasi, onde intervenire nel più breve tempo e con la massima efficacia possibili;
quali iniziative necessarie ed urgenti intenda assumere nell'immediato e nel prosieguo per salvaguardare e ripristinare l'ambiente e il territorio così pesantemente devastato, soccorrere la popolazione anche per i danni personali e per i beni privati non assicurati, gli agricoltori per i danni immediati e futuri.
(4-03718)

Risposta. - A seguito della tromba d'aria e dell'eccezionale grandinata che si è abbattuta, in Veneto ed in particolare su diversi comuni della riviera veronese del Lago di Garda e in provincia di Vicenza, provocando danni economici all'attività turistica nonché danni all'attività agricola, in particolare ai vigneti ed alle colture, si rende noto che la Regione Veneto ha richiesto la dichiarazione dello stato di emergenza ai sensi dell'articolo 5 della legge 24 febbraio 1992, n. 225.
In conseguenza di ciò, il 30 agosto 2002 è stato dichiarato lo stato di emergenza anche per la regione Veneto, con decreto del Presidente del Consiglio dei ministri recante «dichiarazioni dello stato di emergenza nel territorio delle regioni Veneto e Friuli-Venezia Giulia per gli eventi atmosferici dei mesi di luglio ed agosto 2002 e nel territorio delle regioni Abruzzo, Lazio, Lombardia, Marche, Piemonte, Toscana ed Umbria interessato da eccezionali eventi atmosferici nel mese di agosto 2002»,
In seguito, con l'ordinanza di protezione civile 28 marzo 2003, n. 3276, alla regione Veneto sono stati assegnati dei contributi finanziari per fronteggiare i danni provocati in particolare alle infrastrutture


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pubbliche, per la messa in sicurezza relativa ai dissesti idrogeologici ed il controllo delle piene, nonché per favorire la ripresa immediata delle attività produttive ed il ritorno alle normali condizioni di vita delle popolazioni.
Per la gestione e l'attuazione degli interventi previsti dalla citata ordinanza 3276 del 2003, al Presidente della Regione Veneto, in qualità di Commissario delegato, sono stati assegnati 8 milioni di euro.
Si rende, altresì, noto che la legge 8 aprile 2003, n. 62, di conversione del decreto-legge 7 febbraio 2003 n. 15 recante «misure urgenti per il finanziamento di interventi nei territori colpiti da calamità naturali», stanzia ulteriori provvidenze economiche in favore dei territori colpiti da calamità naturali che abbiano formato oggetto di disposizioni legislative o per le quali sia stato deliberato lo stato di emergenza ai sensi dell'articolo 5, comma 1, della legge 24 febbraio 1992, n. 225.
Per ciò che riguarda l'alluvione di cui trattasi, si rende noto che la dichiarazione dello stato di emergenza è stata emanata poiché la suddetta alluvione rientra tra le calamità naturali per le quali è destinato il 40 per cento delle provvidenze economiche di cui all'articolo 1, comma 1, della legge n. 225 del 1992; tra l'altro, gli effetti della suddetta dichiarazione vigono fino al 31 agosto 2003.
Per quanto concerne infine i danni a carico delle produzioni e delle strutture aziendali agricole, il Ministero delle politiche agricole e forestali, su proposta della regione Veneto, ha emesso il decreto di declaratoria in data 9 agosto 2002, pubblicato nella Gazzetta Ufficiale n. 209 del 6 settembre 2002. Con la pubblicazione del suddetto decreto, le aziende agricole danneggiate, ricadenti nelle aree delimitate, possono beneficiare delle provvidenze recate dalla legge n. 185 del 1992 sul Fondo di solidarietà nazionale.
Il Ministro per i rapporti con il Parlamento: Carlo Giovanardi.

VALPIANA. - Al Ministro per le pari opportunità. - Per sapere - premesso che:
nel dipartimento per le pari opportunità è stato recentemente inaugurato un asilo nido per venire incontro alle esigenze dei dipendenti;
la Commissione affari sociali della Camera dei deputati sta esaminando la proposta di legge quadro: «Servizi per la prima infanzia»;
i servizi per la prima infanzia, tra cui gli asili nido, in una società dove i tempi di lavoro occupano una parte rilevante, garantiscono alle famiglie, un supporto nell'educazione e formazione dei propri figli, e ai bambini e alle bambine, la realizzazione di una parte importante dei diritti dell'infanzia;
allo stato attuale la materia è disciplinata dalla legge 6 dicembre 1971, n. 1044 e da normative regionali;
l'articolo 6 della legge citata stabilisce che i criteri generali per la costruzione, la gestione e il controllo degli asili nido sono stabiliti dalla regione con proprie norme legislative (per la regione Lazio valgono le disposizioni previste dalle leggi regionali 16 giugno 1980, n. 59, 25 novembre 1999, n. 34 e 3 gennaio 2000, n. 3), in modo da garantire la dotazione di personale qualificato, sufficiente ed idoneo per garantire l'assistenza sanitaria e psico-pedagocica del bambino e i requisiti tecnici edilizi e organizzativi che garantiscano al bambino uno sviluppo armonico -:
se siano state acquisite tutte le autorizzazioni previste dalla normativa;
se i locali adibiti a spazio per i bambini rispettino gli standard previsti dalla normativa;
se la gestione del servizio sia stata affidata a personale competente e quali siano i titoli;
quanti bambini usufruiscano effettivamente del servizio e se non ritenga, qualora il numero dei bambini fosse esiguo,


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di aprire il nido anche a bambini residenti nel territorio, che siano nelle liste di attesa nel nido territoriale;
quale sia il costo effettivo del servizio e la quota prevista a carico dei dipendenti che usufruiscono del servizio stesso.
(4-04836)

Risposta. - In merito al quesito posto nell'atto ispettivo occorre innanzitutto evidenziare che la struttura ubicata presso il Dipartimento delle pari opportunità non è un asilo nido ma un micro-nido. La precisazione è doverosa in quanto si tratta di un servizio per la prima infanzia che non rientra nelle tipologie tradizionali ma che integra un servizio di natura sperimentale la cui normativa di riferimento non è quella richiamata nell'atto ispettivo, e cioè la legge 6 dicembre 1971, n. 1044 e la legislazione regionale, ma precisamente l'articolo 70 della Legge n. 448 del 2001 che contiene, per la prima volta a livello di legislazione statale, la definizione di micronido, rinviando alla Conferenza unificata il compito di definire i relativi standard organizzativi.
Venendo ai primi due punti dell'interrogazione si rende noto che il Comune di Roma, Municipio I, con determinazione dirigenziale n. 3034 del 30 ottobre 2002 ha concesso l'autorizzazione al funzionamento del micro-nido per 10 bambini realizzato, all'interno del Dipartimento per le pari opportunità, secondo le modalità previste dal regolamento appositamente adottato per la sua organizzazione e funzionamento.
La suddetta autorizzazione è stata rilasciata previa acquisizione e valutazione, da parte del comune, del progetto educativo, del sopraccitato regolamento, dell'attestato di idoneità igienico sanitaria rilasciato dall'Asl Rm/A il 15 ottobre 2002, nonché della planimetria dei locali del micro-nido e dell'«adeguamento per il funzionamento della struttura» approvato dall'Asl Rm/C con parere favorevole del 24 settembre 2002.
Per quel che riguarda il personale adibito alla gestione del servizio, si segnala che presso il Micro-nido in questione operano un'educatrice ed un'addetta ai servizi.
L'educatrice è in possesso del diploma di maturità magistrale e della relativa abilitazione, titolo richiesto per lo svolgimento di tale professione dalla legge n. 59 del 1980, nonché del diploma di laurea in pedagogia conseguito presso la Terza Università di Roma.
In caso di iscrizione di bambini con deficit sensoriali, motori o psichici necessitanti particolar cure, l'Amministrazione provvederà al reclutamento di personale dotato di professionalità idonea al caso. Attualmente non sono iscritti bambini con tali
deficit.
Della direzione amministrativa del micro-nido, ai sensi del Decreto ministeriale istitutivo, è stato incaricato un funzionario amministrativo appartenente all'area funzionale C1 (
ex settima qualifica funzionale) laureato in giurisprudenza, in servizio presso il Dipartimento per le Pari Opportunità.
In merito al quarto punto si evidenzia che nel micro-nido possono accedere, nei limiti dei posti disponibili (10), bambini da 3 mesi a 3 anni d'età, figli di dipendenti e/o del personale equiparato del Ministero per le Pari Opportunità e, in caso di vacanze, figli di dipendenti degli altri Dipartimenti o Uffici della Presidenza del Consiglio dei ministri.
Il micro-nido, infatti, è stato istituito ai sensi dell'articolo 70, comma 6, della legge n. 448 del 2001, secondo il quale le amministrazioni dello Stato e gli enti pubblici nazionali, allo scopo di favorire la conciliazione tra le esigenze professionali e familiari dei genitori lavoratori, possono, nei limiti degli ordinari stanziamenti di bilancio, istituire, nell'ambito dei propri uffici micro-nidi, destinati alla cura e all'accoglienza dei figli dei dipendenti, aventi una particolare flessibilità organizzativa adeguata alle esigenze dei lavoratori stessi.
Pertanto, alla luce di tale normativa, non è consentita la possibilità di aprire il micro-nido a bambini che, pur abitando nel territorio limitrofo, non siano figli di dipendenti del Dipartimento per le pari opportunità


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o di dipendenti di altri Uffici e Dipartimenti della Presidenza del Consiglio dei ministri.
Infine, per quanto concerne l'ultimo punto e cioè la richiesta inerente il costo effettivo del servizio, occorre rilevare che il suddetto, regolamento prevede che le rette per la frequenza del micro-nido siano determinate annualmente, con provvedimento del capo Dipartimento, pur facendo salva da parte dell'Amministrazione la facoltà di garantire l'uso gratuito del servizio per le famiglie più numerose e con minor reddito.
Ad ogni modo attualmente non è stato ancora determinato l'ammontare delle rette medesime, in considerazione dell'ancora breve periodo di funzionamento del nido e del fatto che, costituendo esso una delle prime applicazioni della sopraccitata normativa, si stanno analizzando, in concreto, tutte le necessità, le potenzialità operative ed ogni possibile elemento di giudizio al fine appunto di determinare l'ammontare delle rette di frequenza a carico degli utenti.
Per completezza, per quanto non oggetto specifico dell'interrogazione, si evidenzia che il Dipartimento per le Pari opportunità ha provveduto a stipulare una polizza assicurativa allo scopo di coprire la responsabilità civile verso terzi dell'Amministrazione per il fatto colposo del personale o dei bambini ospitati presso il micro-nido che arrechi danno agli stessi, in conseguenza di fatti connessi con le attività ivi svolte.
Il Ministro per le pari opportunità: Stefania Prestigiacomo.

VIOLANTE, NIGRA, BUGLIO e CHIANALE. - Al Ministro dell'interno. - Per sapere - premesso che:
il Consiglio Comunale del Comune di Perrero, in provincia di Torino, ha recentemente approvato una modifica del regolamento consiliare volto ad introdurre incisive limitazioni nell'esercizio del potere di iniziativa dei singoli consiglieri comunali per la presentazione di atti di sindacato ispettivo e di indirizzo;
la suddetta modifica regolamentare, imponendo la sottoscrizione di almeno due consiglieri per gli atti di sindacato ispettivo e di indirizzo, appare in palese contraddizione con il disposto dell'articolo 43, comma 1, secondo periodo, del testo unico delle leggi sull'ordinamento degli enti locali (decreto legislativo 18 agosto 2000, n. 267), laddove prevede che i con siglieri comunali «Hanno inoltre il diritto di iniziativa su ogni questione sottoposta alla deliberazione del consiglio secondo le modalità dettate dall'articolo 39, comma 2, e di presentare interrogazioni e mozioni», riconosce esplicitamente detta potestà in capo a ciascun singolo consigliere;
il disposto del comma 3, del medesimo articolo 43 del testo unico sugli enti locali che recita «Le modalità della presentazione di tali atti e delle relative risposte sono disciplinate dallo statuto e dal regolamento consiliare», non può in alcun modo essere interpretato nel senso di pregiudicare - neanche incidentalmente - il surrichiamato diritto di iniziativa del singolo consigliere -:
quali iniziative intenda assumere per ripristinare in tutti i comuni una corretta interpretazione delle disposizioni di legge relative alle facoltà e ai poteri che l'ordinamento riconosce ai singoli consiglieri comunali, volte a garantire l'agibilità democratica nell'esercizio delle funzioni rappresentative in tutti gli organismi elettivi del nostro paese.
(4-04438)

Risposta. - In merito all'approvazione, da parte del consiglio comunale di Perrero (Torino), di una modifica al regolamento consiliare volta ad introdurre limitazioni all'esercizio del diritto dei consiglieri di presentare atti di sindacato ispettivo e di indirizzo, imponendo che tali atti siano sottoscritti da almeno due consiglieri, si fa presente quanto segue.
Come è noto, il diritto dei consiglieri comunali e provinciali di presentare mozioni ed interrogazioni trova il proprio fondamento legislativo nell'articolo 43,


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comma 1 del T.U.E.L. n. 267 del 2000 che, implicitamente, riconosce tale diritto in capo ad ogni singolo consigliere.
Il successivo comma 3 dello stesso articolo 43, inoltre, sembra limitare l'ambito di incidenza della normativa regolamentare alla disciplina delle sole «modalità di presentazione» degli atti di sindacato ispettivo.
Pertanto tali disposizioni, essendo recate da fonti di grado primario, dovrebbero costituire limite inderogabile da parte di atti normativi di rango secondario.
Per quanto concerne le iniziative da assumersi nel caso in questione, tuttavia, si ricorda che questa Amministrazione non dispone di alcun potere di intervento sanzionatorio sugli atti degli enti locali, ad eccezione del potere di promozione dell'annullamento straordinario ai sensi dell'articolo 138 del T.U.E.L. n. 267 del 2000, del quale - nel caso in esame - non sembrano ricorrere i presupposti.
Il Sottosegretario di Stato per l'interno: Antonio D'Alì.

ZACCHERA. - Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. - Per sapere - premesso che:
le gallerie autostradali in Italia (salvo forse qualche eccezione) non sono coperte da ripetitori che permettano l'ascolto della telefonia mobile;
pertanto, anche in caso di emergenza, non è possibile attivare il cellulare per effettuare eventuali chiamate;
all'estero, invece, come in Svizzera, ogni galleria è dotata di idonee apparecchiature per la copertura telefonica-:
quali passi intenda fare il Governo per invitare la società Autostrade e, più in generale, le società concessionarie, affinché, d'intesa con le reti di telefonia mobile, dotino l'intero tratto autostradale di idonee coperture per l'ascolto delle conversazioni telefoniche, nel rispetto, ovviamente, delle vigenti norme per la sicurezza automobilistica.
(4-04959)

Risposta. - In riferimento all'interrogazione parlamentare indicata in oggetto, circa la dotazione dell'intero tratto autostradale di idonee coperture per l'ascolto delle conversazioni telefoniche, l'ANAS Spa, interessata al riguardo, ha comunicato quanto segue.
Le comunicazioni radio per la gestione operativa delle rete autostradale, per le emergenze e per l'espletamento del servizio di polizia stradale sono assicurate anche in galleria su bande di frequenza dedicate. Parimenti, l'ascolto del servizio Isoradio è assicurato su frequenze F.M. 103,03 in tutte quelle aree geografiche coperte dai servizi Rai che, ad oggi, per i 2854,6 km della rete di competenza della società Autostrade, superano il 60 per cento.
Le frequenze per la telefonia mobile sono irradiate, così come su tutto il territorio nazionale, anche nell'ambito del sistema autostradale. Le gallerie sono coperte tramite antenne o cavi fessurati, posizionati in base alle esigenze dei singoli gestori dei servizi di telefonia mobile.
La società stradale fa conoscere che per installare i loro sistemi nelle gallerie autostradali i gestori richiedono le autorizzazioni alle società concessionarie di autostrade che le concedono a fronte di un canone di affitto, controllandone gli standard di installazione rispetto alla infrastruttura viaria.
Attualmente, riferisce l'Anas, si ha una copertura parziale delle frequenze per telefonia mobile nelle gallerie (672 solo per la rete del gruppo autostrade), copertura sicuramente destinata ad aumentare segnatamente alle richieste dei gestori telefonici.
Il Viceministro delle infrastrutture e dei trasporti: Ugo Martinat.

ZACCHERA. - Al Ministro delle comunicazioni. - Per sapere - premesso che:
come già sottolineato alcuni anni fa dall'interrogante, in diverse zone di Verbania la ricezione delle reti 2 e 3 della RAI


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è impossibile, se non munendosi di antenna parabolica;
ciò crea un'evidente discriminazione ai danni di migliaia di persone che pure pagano regolarmente il canone RAI;
si ha notizia di come siano rimaste inascoltate le proteste dei cittadini che minacciano di non pagare più il canone davanti all'evidente disservizio -:
se il Ministro non ritenga di dover intervenire sulla RAI TV affinché non solo vengano accertate le cause dell'oscuramento del segnale ma soprattutto vengano prese immediate iniziative perché nella zona nord di Verbania e nei comuni adiacenti vi possa essere una regolare ricezione del segnale.
(4-05230)

Risposta. - Al riguardo, allo scopo di poter dispone di elementi di valutazione in merito a quanto rappresentato dall'interrogante si è provveduto ad interessare la concessionaria Rai radiotelevisione italiana Spa la quale, nel precisare che la maggior parte del territorio del comune di Verbania, per tutti i servizi, è coperto da segnali di buona qualità mediante gli impianti di M. Mottarone, ha ammesso che esiste una piccola parte del territorio comunale che, essendo ubicata in una posizione di schermatura orografica rispetto al citato impianto, effettivamente non riceve i segnali Rai delle reti 2 e 3.
Con riferimento alla prima rete, la Rai ha evidenziato che la mancata segnalazione di carenza di servizio sia da attribuire, probabilmente, alla circostanza che il segnale emesso dal relativo impianto TV 1 è allocato in frequenza nella banda III per cui, grazie alle specifiche caratteristiche che, in tale banda, rendono più favorevole la propagazione del segnale, detto segnale è provvisto di un maggiore coefficiente di copertura rispetto agli altri servizi Rai raggiungendo la zona con segnali d'intensità relativamente superiore.
La carenza di servizio lamentata, ha precisato la concessionaria Rai è nota da tempo ed è compresa tra le inevitabili piccole lacune che si presentano in ambito nazionale nelle zone di conformazione orografica irregolare. In proposito, la stessa Rai ha fatto presente che detto inconveniente potrebbe essere risolto mediante la realizzazione di uno specifico impianto nella zona, che non può essere, per il momento, attuato a causa della saturazione dello spettro radioelettrico e per l'indisponibilità delle frequenze necessarie alla realizzazione dei nuovi impianti.
Il Ministro delle comunicazioni: Maurizio Gasparri.