Resoconto stenografico dell'Assemblea
Seduta n. 300 del 28/4/2003
Back Index Forward

Pag. 23


...
(Esame dell'articolo 5 - A.C. 718-B)

PRESIDENTE. Passiamo all'esame dell'articolo 5 e delle proposte emendative ad esso presentate (vedi l'allegato A - A.C. 718-B sezione 6).


Pag. 24


Ha chiesto di parlare l'onorevole Siniscalchi. Ne ha facoltà.

VINCENZO SINISCALCHI. Signor Presidente, siamo radicalmente contrari a questo articolo che capovolge completamente il senso del provvedimento.
Abbiamo già detto, con molta pazienza e con spirito che, fino a quel momento, era stato di collaborazione, all'interno della Commissione, che apprezzavamo lo sforzo compiuto dal relatore; tuttavia, siamo profondamente contrari per una serie di motivi, il primo dei quali, onorevoli colleghi, riguarda il capovolgimento sostanziale cui ho accennato.
Abbiamo sentito da tutti, in quest'aula, che questa proposta di legge sul patteggiamento allargato nasce per semplificare, per ridurre i tempi, per dare alla giustizia la possibilità di ricorrere a quei riti alternativi che sono stati la forte novità della riforma processuale del 1989. Ebbene, singolarmente, per una di quelle bizzarrie che fanno parlare di schizofrenia legislativa, l'articolo 5 introduce ritardi e dilazioni derivanti anche dal fatto che si è voluto investire la Corte di cassazione di problemi ai quali quest'ultima non si è mai interessata.
Veniamo alla prima questione, correntemente definita questione dei 45 giorni. La sospensione introdotta dal comma 3 stravolge lo stesso istituto del patteggiamento. Se si domanda ad un qualunque operatore del diritto come avvenga il patteggiamento nelle nostre aule di giustizia, si apprende che esso ha luogo, quasi per intero, per accordo tra pubblico ministero ed avvocato, con il consenso dell'imputato; né è stabilito un termine dalla norma attuale di cui all'articolo 444 perché, sebbene non si possa parlare di automatico assenso del giudice, si prevede che quest'ultimo, di fronte ad un accordo sulla pena - che abbiamo sentito essere un accordo anche consistente, su una pena e su quella che è stata definita una condanna -, nella generalità dei casi, ne prenda atto ed emetta una sentenza con la quale non entra nemmeno nel merito.
Da dove escono questi 45 giorni? Perché bisogna aspettare 45 giorni? In nome della celerità del processo? Si è svolto un convegno l'altro giorno, che non ha avuto molta fortuna, in cui si è detto che, se si vuole riprendere un dialogo sulla giustizia, si deve intervenire solo attraverso accordi su elementi di reale accelerazione nella trattazione e nella definizione dei processi. Cominciamo bene! Quarantacinque giorni per un giudice, il quale può limitarsi semplicemente a prendere atto; non deve emettere un giudizio di merito, non deve entrare nel calcolo delle prove, non deve assolutamente svolgere attività diverse da quella di una valutazione, certo discrezionale, sulla pena. Dite voi, colleghi, se è serio dire adesso alla gente - su un provvedimento che nasce con queste buone intenzioni e che, fino a questo momento, ha registrato, come era doveroso, uno sforzo comune per dare razionalità all'allargamento del patteggiamento - che introduciamo un nuovo istituto che capovolge completamente quello del patteggiamento, determinando un ritardo enorme nella trattazione di questo o quel processo.
Ma vi è di più. È una delle rarissime volte - anche se questa legislatura ci sta abituando a questo autentico vizio legislativo (come dice giustamente il professor Cordero, con molta lucidità) - in cui il famoso principio - che viene riferito sempre in latino, ma che possiamo tradurre con l'espressione: ma le leggi si fanno per intervenire nei processi in corso o per evitare di bloccarli? - del tempus regit actum viene completamente stravolto. Nell'articolo 5 si prevede la possibilità di presentare richiesta oltre i limiti previsti dall'articolo 446 del codice di procedura penale. Gli addetti ai lavori possono affermare che il limite del patteggiamento rappresenta l'inizio del procedimento, del corso del procedimento; qui invece si può intervenire, con una singolare dizione, veramente nuova nel procedimento legislativo, nei processi penali in corso di dibattimento rispetto ai quali, alla data di entrata in vigore della presente legge, risulti decorso il termine previsto dall'articolo


Pag. 25

446, comma 1, del codice di procedura penale, e ciò anche quando sia già stata presentata tale richiesta, ma vi sia stato il dissenso da parte del pubblico ministero. Per i procedimenti penali in corso non si prevede, ad esempio, la fissazione di un limite; si parla, onorevoli colleghi, di un'udienza alla quale comunque si partecipi, anche se non è un'udienza di dibattimento, anche se si tratta di un'udienza, ad esempio, alla vigilia dell'emissione della sentenza. Non ci interessa il caso specifico, ci interessa sottolineare il vero e proprio scandalo legislativo e normativo che si propone.
L'ultimo elemento che ci fa essere fortemente protesi alla difesa di quegli emendamenti che cercano di dare razionalità al provvedimento, onorevoli colleghi, è quello che riguarda la Cassazione, in cui si registra un'altra novità per il legislatore. La Cassazione, da che mondo è mondo, lo sanno tutti, si occupa solo di problemi di diritto, di questioni di diritto; in questo provvedimento, in questo articolo 5, non so per quale motivo, immagino per una svista dei redattori di questo provvedimento (io sono portato sempre ad immaginare che la buona fede sia il terreno di coltura del legislatore, non oso pensare diversamente), si scrive che la Cassazione - e badate che prima voi avete bocciato quel nostro emendamento con cui dicevamo che è molto più serio adattare il patteggiamento, ad esempio, alla revisione, dopo una sentenza passata in giudicato, che riguarda sempre un giudice di merito -, il giudice delle leggi, il giudice di legittimità, il giudice del diritto, se viene richiesto il patteggiamento in quella sede giurisdizionale, non rinvia più al giudice di merito, ma emette direttamente la sentenza.
Noi abbiamo votato - e questo non è solo patteggiamento sulla pena, fra l'altro, non voteremo quest'ultimo aspetto - che il giudice a cui si chiede il patteggiamento possa, addirittura, come era logico che fosse - abbiamo lavorato tutti in questa direzione -, emettere la decisione sulla pena sostitutiva. Avete sentito prima parlare della pena pecuniaria e quant'altro con gli emendamenti Pisapia. Questo è, a mio avviso, veramente troppo e noi abbiamo il dovere di segnalare il gravissimo errore che si commette introducendo questa norma e, pertanto, accordo o non accordo, noi rivendichiamo tutta la nostra autonomia nel chiedere di bocciare il complesso di regole contenute, in maniera assurda e sconvolgente, all'interno di questa proposta di legge (Applausi dei deputati del gruppo dei Democratici di sinistra-l'Ulivo).

PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare l'onorevole Cento. Ne ha facoltà.

PIER PAOLO CENTO. Signor Presidente, credo che l'esame dell'articolo 5 e gli emendamenti presentati a questa proposta di legge, rendano evidenti le ragioni che, anche in precedenza, mi avevano portato ad esprimere una forte contrarietà a questo provvedimento, che sono poi anche le stesse ragioni che porteranno il gruppo parlamentare dei Verdi a votare contro questa proposta di legge così come formulata.
Noi non abbiamo intenzione di entrare nel merito della questione tecnica la quale è molto semplice e trova, come anche in passato, il gruppo parlamentare dei Verdi favorevole a tutte quelle misure e a quei provvedimenti capaci di rendere, nella certezza del diritto e nella certezza delle garanzie per l'imputato, celere la definizione dei processi penali e consentano di dare all'imputato la possibilità di verificare con lo Stato, cioè con colui che esercita il diritto alla giustizia e, quindi, anche la sanzione penale, il patteggiamento della pena e, quindi, di accorciare i tempi di svolgimento del procedimento.
In realtà, in questa proposta di legge, attraverso l'articolo 5, introduciamo dei meccanismi che niente hanno a che vedere con questa finalità generale ma che invece molto si ritagliano dentro lo specifico percorso processuale che riguarda imputati eccellenti, esponenti della maggioranza di centrodestra ed anche esponenti del Governo. Dicevo ieri, commentando questa proposta di legge, che il conflitto giudiziario, conflitto di interessi profondo, che si


Pag. 26

registra attualmente tra il Presidente del Consiglio dei ministri ed esponenti della maggioranza, rende impraticabili ed inopportune anche riforme giuste e condivise come l'intervento che il Parlamento aveva attivato sul patteggiamento allargando la possibilità di fruizione da parte degli imputati. Nell'articolo 5 tale contraddizione, tale conflitto emerge in tutta la sua forza dirompente annullando anche la serenità di un dibattito e di un voto parlamentare che potevano essere altrimenti ben diversi. Dico ciò perché quando si offre la possibilità di una sospensione dei procedimenti penali in corso per 45 giorni allo scopo di ritardare specificatamente alcuni processi che sono già in corso e quando, come abbiamo visto anche in merito ad altri emendamenti, si consente alla Corte di Cassazione - stravolgendo a mio avviso anche le norme di tripartizione nei diversi giudizi, anche con aspetti di rilevanza costituzionale - la possibilità di intervenire nel merito dell'applicazione della sanzione penale, seppur patteggiata, è del tutto evidente che la finalità originaria di questo provvedimento viene meno e prevale, in maniera oserei dire vergognosa, l'obiettivo e lo scopo di parte e parziale nell'approvazione del patteggiamento allargato.
D'altra parte, non si comprenderebbe perché oggi la Camera dei deputati sia chiamata con tanta fretta a discutere e ad approvare il provvedimento in esame. Inoltre, non si comprenderebbe - ed anche questo è un elemento che credo non possa essere sottaciuto - l'atteggiamento della maggioranza di centrodestra, quando si è trattato di un atto di clemenza, capace di mitigare anche gli effetti devastanti del giustizialismo nel nostro paese, vale a dire quando si è parlato di varare un provvedimento di indulto, in grado di rispondere ad una stagione emergenziale; in quell'occasione la maggioranza, facendo il gioco delle tre carte - prima dichiarandosi contraria, poi tentando di alzare il tiro, anche in quella occasione per piegare il dibattito generale e la capacità legislativa della Camera ad interessi di parte - ha evocato - addirittura con alcune campagne il pessimo gusto, come quelle condotte dalla Lega nord Padania, portando in quest'aula manifesti che, con la scusa di richiamare la certezza della pena, cercavano di aumentare quella emotività dell'opinione pubblica, facendo leva sulle sue paure ed insicurezze, - quel clima di giustizialismo che tanto fa male alla giustizia nel nostro paese.
Ebbene, oggi, clamorosamente, tutto ciò viene cancellato, la necessità della certezza della pena viene abbandonata e si presenta un provvedimento che, in altri termini ed in altri contesti, probabilmente gli stessi che oggi lo sostengono avverserebbero; tuttavia, essi lo voteranno, perché si tratta di un provvedimento di parte, come dice con chiarezza l'articolo 5 di questa proposta di patteggiamento allargato. Trattandosi di un provvedimento di parte, le ragioni ed i convincimenti politici anche all'interno del centrodestra vengono piegati, vengono ridotti al silenzio e viene imposta una museruola per far sì che tale provvedimento venga approvato e prevalga la sua finalità di parte e la sua parzialità di intervento.
Noi crediamo che la riforma della giustizia rappresenti una questione seria, così come riteniamo che il garantismo sia una cosa seria, e credo che i Verdi, in particolare, abbiano dato nel corso di questa legislatura - ma certamente non solo loro - un esempio costante di come si debba e si possa essere garantisti senza piegare le ragioni del garantismo...

PRESIDENTE. Onorevole Cento...

PIER PAOLO CENTO. Ho concluso, signor Presidente - senza piegare le ragioni del garantismo alla parzialità e agli interessi di parte.
L'articolo 5 del provvedimento in esame cancella tutto ciò, rende questa proposta di legge sbagliata. Queste sono le ragioni per cui i Verdi voteranno a favore degli emendamenti volti a sopprimere alcune parti dell'articolo 5, e comunque voteranno contro l'articolo 5 e contro il provvedimento nel suo complesso, ma su questo tornerò in sede di dichiarazione di voto finale.


Pag. 27

PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare l'onorevole Giordano. Ne ha facoltà.

FRANCESCO GIORDANO. Signor Presidente, come lei avrà visto e notato, il nostro gruppo, con i ripetuti interventi dell'onorevole Pisapia e con gli emendamenti che egli ha presentato, ha sempre mantenuto un atteggiamento collaborativo in merito al provvedimento in esame, poiché tale proposta di legge ci interessa, ed ha sempre seguito un criterio molto netto e fermo di esplicitazione di ogni forma di garanzia.
Quello che accade con l'articolo al nostro esame, invece, è veramente inquietante, perché l'elemento di novità - parliamo al di fuori di ogni forma di infingimenti tra di noi - è rappresentato dal fatto che la Casa delle libertà non solo propone di determinare con leggi ad hoc, come è stato fatto, ripetutamente, in occasione di precedenti provvedimenti, l'impunità di alcuni potenti, ma oggi utilizza anche progetti di legge sui quali si potrebbe costruire un consenso generale, o quanto meno un consenso più largo.
In questa maniera, il dibattito sulla giustizia viene ad essere veramente inquinato. Il primo comma dell'articolo 5 ha un fondamento che riteniamo giusto, perché, se nel corso del dibattimento, un imputato intende chiedere il patteggiamento, tale comma consente, giustamente, di patteggiare: a fronte di una richiesta in tal senso, infatti, il giudice stralcia la singola o le singole posizioni e procede normalmente nel processo nei confronti degli altri imputati.
Del tutto illogico - come spiegherò da qui a breve molto rapidamente - appare, invece, il comma 3, che prevede la sospensione obbligatoria di ogni processo per un periodo non inferiore a 45 giorni, per il solo fatto che un solo imputato intende valutare l'opportunità della richiesta. In altri termini, se vi è un processo riguardante la criminalità organizzata che investe più imputati, lo stesso viene interrotto per 45 giorni; in tal modo, con un provvedimento la cui filosofia dovrebbe essere l'esatto contrario, si provoca un danno molto grande alla già lenta macchina della giustizia.
Allora, fuori da ogni infingimento e da ogni ipocrisia, con i vostri provvedimenti - lo diciamo noi che in quest'aula abbiamo sempre sostenuto il massimo della cultura garantista - state costruendo, sempre di più, un apparato giuridico semplicemente funzionale alla logica dei potenti e di alcuni imputati e tale cerchia si restringe drammaticamente sempre più. In questa maniera state costruendo provvedimenti ad personam e ciò anche quando si determinano le condizioni per una possibile discussione collettiva.
Vorrei rivolgermi anche all'onorevole Ghedini: i 45 giorni non sono casuali. I 45 giorni sono stati scientificamente studiati per poter evitare un qualsiasi intervento giuridico, a seconda delle scadenze istituzionali che cadono dopo tale periodo. Allora, è del tutto evidente che stiamo giocando solo ed esclusivamente per preservare alcune responsabilità.
Atteso che avete affossato l'indulto, l'indultino e ogni provvedimento di clemenza e di giustizia verso i più deboli, vi chiediamo di ritirare questo provvedimento perché non potete privilegiare solo ed esclusivamente i potenti (Applausi dei deputati del gruppo di Rifondazione comunista).

PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare l'onorevole Cola. Ne ha facoltà.

SERGIO COLA. Signor Presidente, mi chiedo se si possa essere garantisti a senso unico nel momento della convenienza e se il garantismo o il non garantismo debbano essere motivati solamente da ragioni di carattere politico e, qualche volta, anche di carattere strumentale e personale.
Il primo quesito che mi pongo è semplicissimo. Noi affermiamo di applicare questa norma ai processi ancora in corso e mi pare che ciò sia un fatto più che normale. Infatti, una norma che offre soluzioni più favorevoli all'imputato per il principio del favor rei non può assolutamente non essere applicata.
Per questa ragione, nel momento in cui diamo all'imputato la possibilità di accedere


Pag. 28

al patteggiamento allargato, così come ci accingiamo ad approvarlo, non facciamo altro che adeguarci ai principi sanciti dalla nostra Costituzione e dal nostro codice di rito. Dire il contrario significherebbe avere il prosciutto sugli occhi e non far prevalere ragioni di carattere politico o strumentale rispetto a mere ragioni di diritto.
Tuttavia, non è a tal riguardo che il discorso si pone. Mentre ascoltavo gli onorevoli Siniscalchi e Cento, mi sono un po' meravigliato. Ho letto la norma in questione ed ho avuto la conferma che si trattasse di 45 giorni e non di 45 mesi. Tuttavia, questi 45 giorni sono diventati 45 anni per l'opposizione che, naturalmente, anche in questo caso, si lascia fuorviare da ragioni di carattere meramente strumentale.
Il discorso non finisce qui. In questa sede non legiferiamo solamente per un imputato eccellente, bensì - onorevole Giordano, mi rivolgo a lei che è così vicino al popolo - anche per Gennaro Esposito, per Umberto Rossi, per Giacomo Brambilla. Legiferiamo per il quisque de populo. Allora, vorrei chiedere a chi mastica un po' di diritto: nel momento in cui verrà approvata questa legge e l'imputato in primo grado si troverà di fronte ad un'imputazione che potrebbe comportare la condanna a dieci anni di reclusione deve avere o meno il tempo di parlare con il suo difensore, fare una disamina degli atti, vedere se residuino margini di assoluzione? Tutto questo dovrebbe essere fatto in un giorno? Vogliamo dargli un po' di tempo per decidere se rischiare una condanna a dieci anni di reclusione o, invece, accontentarsi, ove non sussistano possibilità di assoluzione, di una condanna a tre-quattro anni, patteggiata? Tutto ciò secondo le cieche valutazioni dell'opposizione dovrebbe esaurirsi in tre-quattro giorni! Siamo seri e cerchiamo di far prevalere il diritto sulle strumentalizzazioni che potrebbero anche coincidere con l'interesse di qualcuno, ma che certamente coincidono con l'interesse della maggior parte degli imputati o di coloro che si imbattono nelle maglie della giustizia!
Vorrei rivolgermi all'onorevole Siniscalchi: quando mai si è visto che la Cassazione si interessi del merito e dell'applicazione della pena? Esiste o è stato abrogato l'articolo 620 del codice di procedura penale (annullamento senza rinvio)? Quest'ultimo alla lettera l) recita testualmente: «in ogni altro caso in cui la corte ritiene superfluo il rinvio ovvero può essa medesima procedere alla determinazione della pena o dare i provvedimenti necessari». Il nostro codice di rito già dà tale possibilità alla Corte di Cassazione. Secondo la vostra interpretazione questa dovrebbe rimettere gli atti per far perdere ulteriore tempo alla Corte d'appello per applicare la sanzione sostitutiva. Siamo di fronte alla follia, all'assurdità, alla cecità totale, al prevalere di ragioni di carattere politico meramente strumentali!
Inoltre, vi è un'ulteriore e decisiva considerazione che in questa sede non è stata evidenziata. Quando si parla, onorevole Giordano, dei 45 giorni per valutare l'opportunità della richiesta si aggiunge anche, all'articolo 5, comma 2, «e durante tale periodo sono sospesi i termini di prescrizione e di custodia cautelare». Cosa si vuole più di questo? Siamo seri: cerchiamo di legiferare non nell'ambito di valutazioni di carattere meramente politico e personalistico, ma cercando di capire che legiferiamo per tutto il popolo italiano e non solo per una singola persona (Applausi dei deputati dei gruppi di Alleanza nazionale e di Forza Italia)!

PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare l'onorevole Mormino. Ne ha facoltà.

NINO MORMINO. Signor Presidente, il provvedimento in esame è già stato approvato una prima volta da quest'Assemblea e, prima ancora, dalla Commissione giustizia. La norma sulla quale si sta accendendo il dibattito e rispetto alla quale vi è una chiara e palese accusa di favoritismo o di personalismo era già contenuta nella prima stesura varata dalla Commissione giustizia e votata dalla Camera con una votazione unanime. Essa era stata, cioè, condivisa dai rappresentanti


Pag. 29

di tutti i gruppi senza alcuna eccezione ed osservazione. Dunque, devo ritenere che tale norma andasse incontro ad un'esigenza tecnico-strutturale del provvedimento e fosse collocata nel provvedimento nell'interesse di tutti.
Ora vorrei che l'opposizione mi spiegasse la ragione per cui, dal testo tornato dal Senato - sia pure con la previsione dell'aumento dei giorni da 30 a 45 (non credo sia questo il dato significativo ed estremamente importante del provvedimento oggi in discussione) -, si dovrebbe escludere una disposizione che, nell'interesse complessivo generale della funzionalità del provvedimento, era stata condivisa da tutti; disposizione che solo oggi appare ispirata ad un interesse particolare.
Vorrei, altresì, capire perché e come si manifesti l'esigenza di legalità, di imparzialità e di generalità della legge ostacolando e compromettendo, per il solo sospetto che la misura in esame possa giovare ad un imputato od un cittadino non gradito, la funzionalità della legge, dell'interesse generale e, quindi della tutela del diritto di tutti. Se mi sarà data una spiegazione ragionevole, voterò contro il provvedimento.

PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare l'onorevole Filippo Mancuso. Ne ha facoltà.

FILIPPO MANCUSO. Signor Presidente, signori deputati, non mi permetto di scavare nelle intenzioni dei proponenti il testo; neppure, autorizzerei alcuno a fare altrettanto verso di me. Però, non è buon uso della legge quello che adombri, anche senza perseguirla e senza volerla, la tutela di posizioni precostituite note e personali. Si può legiferare teoricamente bene, ma si cade nell'errore anche quando la buona norma presenti il vizio della soggettivizzazione della figura; ma a tale riguardo, come dicevo, non entrerò nel merito.
Però, anche in mani maldestre, la legge resta pur sempre uno strumento delicato; anzi, soprattutto allora. Mi chiedo, pertanto, se sia possibile arguire o maliziare circa le intenzioni personalistiche di una certa previsione; previsione la quale estende alla Corte di cassazione una competenza che essa - devo precisare: prevalentemente; infatti, in taluni casi, la Cassazione ha giurisdizione di merito (ma ciò riguarda, normalmente, le questioni di procedura e non di merito tecnico-materiale) - non ha. Ebbene, mi chiedo, dunque, se la disposizione non possa destare sospetto, in rapporto a situazioni vigenti e intorno all'intenzione di proteggerle e tutelarle in modo abnorme, quando prevede che la sospensione si applica anche ai processi in corso.
In questo caso, si parla di 45 giorni, mentre nel patteggiamento ordinario non si deve riflettere neppure per 45 minuti.
La mia vera preoccupazione, che dovrebbe essere anche quella di coloro che propongono, riguarda appunto il fatto che le disposizioni dell'articolo 5 si applicano ai procedimenti in corso. Per tali procedimenti la Corte di cassazione può applicare direttamente le sanzioni sostitutive. E per i procedimenti non in corso, per quelli che sopraggiungeranno? Qui sorge il dubbio più che legittimo dell'espediente della strumentalizzazione. Per i futuri processi la norma potrà essere estesa in via interpretativa, ma tassativamente essa riguarda i processi in corso; infatti, la legge prevede: «per tali procedimenti».
Orbene, se il livello di capacità tecnica è inferiore a quello delle intenzioni, in ipotesi personalistiche, siamo di fronte alla distruzione del principio dell'obiettività e della generalità della legge. Non so come si potrà riparare a questo errore, ma sta di fatto che esso denuncia al di là di ciò che significa la cattiva intenzione di perseguire finalità non legittime e personali (Applausi dei deputati dei gruppi dei Democratici di sinistra-l'Ulivo, della Margherita, DL-l'Ulivo, Misto-Socialisti democratici italiani e Misto-Verdi-l'Ulivo).

PRESIDENTE. Nessun altro chiedendo di parlare sull'articolo 5 e sulle proposte emendative ad esso presentate, invito il relatore ad esprimere il parere della Commissione.


Pag. 30

NICCOLÒ GHEDINI, Relatore. Signor Presidente, vorrei sottoporre all'attenzione dell'Assemblea alcune notazioni di carattere temporale e tecnico.
In data 14 marzo 2002, il Comitato ristretto della Commissione giustizia ha approvato all'unanimità un testo assolutamente identico a quello oggi in discussione, salva la differenza da 30 a 45 giorni. Tale testo è stato poi approvato, in sede legislativa, dalla Commissione giustizia della Camera ed è stato ripreso, salvo modestissime modifiche, dal Senato con la previsione del termine di 45 giorni.
A questo punto, vorrei svolgere alcune precisazioni in tema di precedenti, sia per quanto concerne i termini di eventuale sospensione temporale sia per quanto riguarda la possibilità per la Corte di cassazione di intervenire direttamente.
Vorrei che i colleghi ricordassero l'articolo 8 del decreto-legge 24 novembre 2000, convertito con modificazioni nella legge 19 gennaio 2001, n. 4 - certamente approvata non in questa legislatura -, in cui era prevista la possibilità per l'imputato, attraverso lo stravagante istituto dell'introduzione del rito abbreviato per «l'ergastolino» e per «l'ergastolone», di revocare la richiesta nel termine di 30 giorni dalla data di entrata in vigore della legge di conversione del presente decreto. Con la differenza che in quel testo, come invece è stato fatto in questa sede, non vi era la sospensione della prescrizione dei termini di custodia cautelare, che non è una differenza da poco.
Ancora, per quanto attiene alla sospensione dei termini obbligatori, basti ricordare la legge n. 47 del 1985 nella quale l'articolo 13, nel caso di un accertamento di conformità, stabilisce un periodo di sospensione obbligatoria del processo, con sospensione della prescrizione, pari a 60 giorni.
Inoltre, per quanto riguarda la Cassazione - onorevole Siniscalchi -, lei sa perfettamente che nel 1999, con legge 19 gennaio 1999, n. 14, si è attribuita alla Cassazione la possibilità di interloquire sul patteggiamento, cosa che invece in questo caso non facciamo, in quanto queste disposizioni si applicano soltanto all'articolo 4, che non è il patteggiamento - come si può evincere leggendo questo comma 3 -, ma le sanzioni alternative.
A mio parere, questa è una superfetazione, in realtà, perché la Cassazione potrebbe già fare ciò con il combinato disposto degli articoli 619 e 620 del codice di procedura penale. Si tratta di una precisazione corretta perché, in sede di disposizioni transitorie, si evita un eventuale dubbio interpretativo; tuttavia, pacificamente, ciò è già contenuto nel nostro ordinamento.
Allora, prima di accusare questa maggioranza o questa Commissione di predisporre provvedimenti che possono servire a qualcuno - cosa che non è vera -, credo che si farebbe bene a verificare quali siano i presupposti legislativi su cui si fonda questo provvedimento (Applausi dei deputati del gruppo di Forza Italia).

PRESIDENTE. Onorevole Ghedini, aspettavo i pareri sugli emendamenti riferiti all'articolo 5.

NICCOLÒ GHEDINI, Relatore. Signor Presidente, era necessario fare un attimo di chiarezza su questi interventi.
Per quanto riguarda i pareri sugli emendamenti, la Commissione formula un invito al ritiro; qualora gli emendamenti non dovessero essere ritirati, il parere è contrario.

PRESIDENTE. Il Governo?

GIUSEPPE VALENTINO, Sottosegretario di Stato per la giustizia. Signor Presidente, il Governo concorda con il parere espresso del relatore.

PRESIDENTE. Passiamo alla votazione dell'emendamento Finocchiaro 5.7.
Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto l'onorevole Finocchiaro. Ne ha facoltà.

ANNA FINOCCHIARO. Signor Presidente, non mi intratterrò sulla difesa appassionata che il relatore ha fatto del


Pag. 31

provvedimento, forse ai limiti della ritualità rispetto al ruolo che ricopre. Vorrei, però, soffermarmi su una questione che mi pare sia meglio chiarire subito. E lo farò in maniera assai meno sofisticata di quanto abbia fatto il presidente Filippo Mancuso.
Il 10 aprile di quest'anno, una quindicina di giorni fa, nella sala della lupa, su iniziativa del presidente della Commissione giustizia della Camera, onorevole Pecorella, e con la partecipazione del Presidente della Camera nonché del ministro della giustizia, si è tenuto un interessantissimo seminario, che ha coinvolto la cultura giuridica del paese, sul tema della ragionevole durata del processo. Tra le varie affermazioni - devo dire condivise - che sono state fatte in quella serata di lavoro, ce n'è stata una che mi pare fosse davvero condivisa da tutti i partecipanti al seminario. Mi riferisco all'affermazione secondo cui quello che si ritiene un conflitto insanabile tra il diritto alle garanzie dell'imputato, da una parte, e l'efficacia e la funzionalità del processo, dall'altra, non coinvolge beni inconciliabili. In particolare, si è convenuto sul fatto che ciascun avvocato ha il dovere di utilizzare qualunque risorsa rintracci nell'ordinamento e, quindi, qualunque norma che sia utile per la strategia processuale scelta e, per esempio, consenta di diluire, di dilazionare i tempi del processo. Sta alla responsabilità del legislatore fare in modo che l'ordinamento non sia un ricco giacimento di occasioni di dilazione dei processi. Al contrario, sta al legislatore operare una bonifica di queste occasioni ed astenersi rigorosamente, oggi, nel momento in cui avvertiamo come insostenibile la durata del processo penale italiano, dall'introdurre altre occasioni di dilazione dei tempi processuali.
A questa vorrei aggiungere un'altra affermazione di natura strettamente politica. E lo voglio fare con grande chiarezza. Come ho detto all'inizio del mio intervento, lo farò in maniera meno sofisticata e, probabilmente, anche meno rigorosa di quanto abbia fatto il presidente Mancuso. Se una norma è giusta, quella norma va introdotta nell'ordinamento con il concorso dell'opposizione, a prescindere dal fatto che oggi, domani o fra dieci anni possa essere utilizzata in un processo o in un altro. Ma questa norma è sbagliata. Ed è sbagliata perché 45 giorni di sospensione obbligatoria del processo, affinché l'imputato valuti l'opportunità di proporre istanza di patteggiamento, rappresentano un periodo di tempo eccessivo. E se ci sono precedenti nell'ordinamento, e se la Commissione ha avuto un diverso convincimento nella prima lettura del provvedimento, si tratta di un convincimento e di un precedente sbagliati.
Oggi, il legislatore ha il dovere e la responsabilità di evitare che si riproducano situazioni che consentano dilazioni dei tempi processuali. Quando esprimerò la mia posizione sull'articolo 5, svilupperò altri argomenti, ma io chiedo ai colleghi di soffermare oggi l'attenzione su questa ambiguità costante che caratterizza i nostri lavori. Si predica prima la necessità di dovere accelerare i tempi del processo, ridurre l'accavallamento dei termini di dilazione e le occasioni di un uso strumentale di istituti processuali originariamente concepiti per la difesa e la garanzia dell'imputato, ed oggi si introduce un termine di 45 giorni di sospensione obbligatoria perché l'imputato valuti l'opportunità di accedere in sede di disciplina transitoria al patteggiamento. Ebbene, francamente, io ritengo che questa norma sia in sé così palesemente sbagliata, che ogni altra argomentazione non abbia la possibilità di essere ragionevolmente accolta.
Abbiamo presentato un emendamento perché questo termine venga ragionevolmente ridotto a 10 giorni e con questo, nell'ambito di un provvedimento che, come avete visto, abbiamo fattivamente contribuito a costruire secondo un orientamento comune, riteniamo di caratterizzare questo provvedimento per la sua coerenza rispetto a quell'impegno per la ragionevole durata del processo penale che troppo spesso proclamiamo in sedi non istituzionali (Applausi dei deputati del gruppo dei Democratici di sinistra-l'Ulivo).


Pag. 32

PRESIDENTE. Onorevoli colleghi, vorrei salutare i ragazzi della scuola elementare Giacomo Leopardi di Montegranaro che sono in aula ed assistono ai nostri lavori (Applausi).
Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto, a titolo personale, l'onorevole Kessler. Ne ha facoltà.

GIOVANNI KESSLER. Signor Presidente, intervengo per ribadire le nostre ragioni di merito di contrarietà a questa norma del comma secondo dell'articolo 5 del progetto di legge. Intervengo riguardo all'esempio di Gennaro Esposito che ci faceva l'onorevole Cola per dire che è una norma fatta anche per lui, anche per il Gennaro Esposito o il Mario Rossi di tutta Italia. Appunto per questo, noi non la vogliamo.
Onorevoli colleghi, pensate che i 45 giorni di sospensione del termine di un processo vengono dati anche a chi del patteggiamento, palesemente, non potrà in alcun modo beneficiare. Vengono dati anche a chi è imputato di omicidio volontario premeditato, con un'imputazione da doppio ergastolo, che non potrà mai ottenere il patteggiamento. Ebbene, se lui vuole, per allontanare nel tempo la decisione - e di esempi, mi pare che ne abbiamo avuti molti, non solo per gli imputati all'ergastolo - potrà comunque bloccare il processo per almeno 45 giorni: bloccarlo per lui e anche per i coimputati, che magari, come ci ha spiegato il relatore Ghedini, devono rimanere in carcere. Infatti, questa norma dice che questi 45 giorni non influiscono sui termini di custodia cautelare ed, appunto, andranno addirittura ad allungare i termini di custodia cautelare di altri che non c'entrano nulla.
Dunque, onorevole Mormino - mi rivolgo anche a lei -, questa norma, per come è scritta nel merito, porta a una disfunzione nella giustizia contraria al comune interesse di funzionamento della giustizia. Noi non vogliamo che se ne avvalgano né l'uno, né gli altri (Applausi dei deputati dei gruppi dei Democratici di sinistra-l'Ulivo e della Margherita, DL-l'Ulivo).

PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto l'onorevole Mantini. Ne ha facoltà.

PIERLUIGI MANTINI. Signor Presidente, abbiamo ora l'occasione di demistificare un po' una serie di argomenti spesi con competenza da colleghi avvocati, più che altro, in questa sede, cercando di renderci ragionevolmente conto se non siano sufficienti 10 giorni di sospensione. Infatti, stiamo ragionando nel merito dell'emendamento Finocchiaro 5.7. Obiettivamente, sostenere la tesi diversa, irrigidirsi su un termine cospicuo di sospensione - o meglio di autosospensione del processo - da parte della maggioranza, induce a qualche riflessione, forse, maliziosa. Non vorrei abusare degli effetti euristici della malizia secondo il brocardo che di solito è attribuito al senatore Andreotti. Tuttavia, sarei cieco e sordo se non vedessi il contesto in cui il nostro dibattito si svolge. Anche qui non voglio abusare del brocardo andreottiano, ma se dovessi valutare per facta concludentia, non vedo più presente l'onorevole collega Cesare Previti, che pure ha seguito fino a pochi minuti fa il provvedimento. Evidentemente egli ritiene di non dover presenziare all'esame di questa parte del provvedimento, forse pensando, in certa misura, di esserne coinvolto.
Sarei anche cieco, sordo e, persino, irresponsabile se dimenticassi che solo pochi giorni fa lo stesso onorevole Previti - attraverso eclatanti conferenze stampa - ha quasi intimato alle istituzioni italiane di prendersi cura del suo caso, di fare qualcosa. Egli si è rivolto anche al Parlamento manifestando la necessità di un segno tangibile, di un qualcosa di serio ed efficace per il suo processo, poiché ciò riguarderebbe l'intero paese. La questione non è stata posta nei giusti termini e noi lo sosteniamo da tempo; è impossibile prescindere da questi argomenti che non ci appartengono e che ci vengono forniti -


Pag. 33

direi in modo esagerato - da alcuni imputati eccellenti.
Tuttavia, non dovremmo aderire né alle minacce né alle richieste del collega Previti; non possiamo farlo, non solo perché vogliamo che la giustizia e la legge siano uguali per tutti, ma anche per le ragioni di sistema richiamate. È prevista infatti l'autosospensione per 45 giorni del processo su richiesta dell'imputato; tale sospensione - non dimentichiamolo - crea spesso nei processi in corso un effetto a catena sulle udienze, sui rinvii e sui calendari. Si torna quindi alla logica secondo cui il processo è inteso come una catena di astuzie e trabocchetti attraverso i quali si perde il principio di ragionevole durata del processo. Insomma, in questo modo il processo viene inteso come mappa per i delinquenti - di cui parlava von Liszt - e le cronache ce ne segnalano un uso smodato, abnorme. Nei sistemi anglosassoni una simile visione del processo sarebbe punita come oltraggio alla corte, il noto contempt of court. In questo caso tale visione viene usata, non per difendere l'imputato, ma per guadagnare tempo ai fini di quel qualcosa che l'onorevole Previti, con così tanta forza e tracotanza, minuziosamente richiede e cerca di imporre. Ciò non dovrebbe avvenire nelle sedi giudiziarie, ma nelle aule parlamentari: si tratta infatti di guadagnar tempo per nuovi provvedimenti di immunità che salvino l'onorevole Previti, il cui caso è ormai nazionale.
A questa logica non ci stiamo, non riteniamo Cesare Previti un prigioniero politico e non riteniamo questo Parlamento ostaggio degli imputati eccellenti (Applausi dei deputati del gruppo della Margherita, DL-l'Ulivo).

PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto l'onorevole Gironda Veraldi. Ne ha facoltà.

AURELIO GIRONDA VERALDI. Signor Presidente, è mai possibile che ogni qual volta si discute un provvedimento, colui il quale allo stesso si accosta, valutando i profili tecnici, debba preoccuparsi se quest'ultimo abbia un sottofondo, una finalità sottostante? Io non la penso così, non credo che il legislatore debba essere servo di queste eventuali esigenze. Io guardo la legge e mi permetto di considerare che non è esatta l'interpretazione finora data riguardo il comma 2 dell'articolo 5. Tale comma prevede che su richiesta dell'imputato il dibattimento venga sospeso per un periodo non inferiore a 45 giorni.
Mi permetto cioè di osservare che questo termine non è posto a disposizione dell'imputato, ma del giudice e che questa dilatazione del termine ha una sua ratio. Successivamente vedremo se questo termine sarà congruo o meno, ma esso ha una sua finalità. Se finora con il patteggiamento ci si è limitati a valutare un procedimento, un processo che ha ad oggetto imputazioni che si possono concludere con una pena non superiore a due anni, con questa dilatazione dell'istituto adesso si possono prospettare pene enormi rispetto alle quali il giudice, che viene investito della delibazione dell'istanza in corso di procedimento, quando sono state già espletate molte indagini istruttorie, ha o no l'obbligo morale, oltre che processuale, di delibare gli atti. Come fa un giudice che si trova di fronte ad una molteplicità di atti a stabilire se debba o meno concedere il patteggiamento? Nessuno ancora si preoccupa di fissare questo punto: il patteggiamento non è un diritto acquisito, ma una richiesta che formula l'imputato e che viene sempre sottoposta alla valutazione del giudice. Questo è il nucleo essenziale del discorso.
Ho partecipato alla discussione se si debba prevedere un termine di 45 o di 30 giorni ed ho espresso la mia opinione al riguardo. I processi hanno indubbiamente una durata enorme: alcune volte anche noi avvocati siamo responsabili di questi ritardi, ma i suddetti sono attribuibili molte volte anche ad altri protagonisti del processo. Pertanto, si tratta di un granello di sabbia rispetto agli anni che si sono perduti finora a causa delle disfunzioni del servizio giudiziario. Questa è la realtà. I 45 giorni servono semplicemente al giudice.


Pag. 34


Non so come possa trovare ingresso nell'economia di questo discorso l'argomento Previti. Ormai anche in Parlamento non si parla altro che di Previti. Non conosco Previti, salvo che per i contatti che ho con lui in Parlamento. Voi capite che cosa state sostenendo? Previti dovrebbe chiedere la sospensione di 45 giorni per poi utilizzare questo termine in funzione di che cosa? Per acquisire questo diritto al rinvio Previti deve prima avanzare la richiesta di patteggiamento; non è esatto, caro Kessler, che chiunque, che l'imputato per omicidio possa chiedere il patteggiamento (la richiesta di patteggiamento è poi un'ammissione di responsabilità). Io gradirei, se fossi in voi, che Previti presentasse l'istanza di patteggiamento; lo stesso imputato invece contesta fortemente. Ma discutiamo del provvedimento. Il termine di 45 giorni indubbiamente incide sulla durata del processo, ma non in maniera così drammatica e devastante da imporre un'approvazione dell'emendamento. Questa è la ragione per la quale mi opporrò all'emendamento così come proposto (Applausi dei deputati dei gruppi di Alleanza nazionale e di Forza Italia).

PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto, a titolo personale, l'onorevole Bonito. Ne ha facoltà.

FRANCESCO BONITO. Signor Presidente, vorrei svolgere in 60 secondi una considerazione (ne avrei diverse da svolgere). Il relatore Ghedini torna insistentemente, reiteratamente e pervicacemente...

PRESIDENTE. Onorevole Bonito, se lei avesse bisogno di qualche secondo in più, glielo concederò senza problemi.

FRANCESCO BONITO. Conosco la sua cortesia, signor Presidente. Il relatore reiteratamente e pervicacemente torna insistentemente sull'istituto del patteggiamento in Cassazione che il Governo di centrosinistra ed il Parlamento nella scorsa legislatura approvarono. Il provvedimento è noto come legge Dell'Utri giacché quel patteggiamento fu introdotto nel nostro sistema su grande insistenza dell'allora opposizione di centrodestra che, appellandosi ad un principio di delega che il legislatore delegato non aveva soddisfatto, pretese e chiese che venisse approvata quella legge; si trattava di una legge giusta nei principi che il Parlamento, con la nostra maggioranza di centrosinistra, approvò.
La vicenda era chiara e nota perché l'onorevole Dell'Utri era stato condannato in primo ed in secondo grado dal tribunale di Torino dal momento che egli aveva utilizzato fondi neri della Publitalia per comprarsi una villa faraonica. Per questo fu preso con le «mani nel sacco», condannato a due anni e due mesi ed aveva bisogno del patteggiamento per andare sotto i due anni e non finire così in galera.
L'opposizione della scorsa legislatura ci chiese l'approvazione di questa norma e noi, maggioranza di allora, ripeto, poiché vi era effettivamente un principio di delega che aveva previsto il patteggiamento in Cassazione, e nonostante tale principio non fosse stato trasfuso nella codificazione, proprio perché garantisti, onorevole Cola, approvammo questo provvedimento. Tuttavia, rispetto allo studio che l'onorevole Ghedini ha fatto sulle sospensive nel nostro processo, sfido uno specialista del processo penale, quale è l'onorevole Ghedini, a trovare una sospensione che abbia termini di ragionevolezza quale quella che ci state proponendo in questo momento. Mai per 45 giorni si sospende per valutare la possibilità di un patteggiamento rispetto ad un imputato che ha 45 giorni per pensare al patteggiamento e 30 per fare appello sulla sentenza (Applausi dei deputati del gruppo dei Democratici di sinistra-l'Ulivo).

PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto, a titolo personale, l'onorevole Siniscalchi. Ne ha facoltà.

VINCENZO SINISCALCHI. Signor Presidente, onorevoli colleghi, è del tutto inesatto che l'istituto del patteggiamento preveda la sospensione. Questo è assodato


Pag. 35

e nessuno può contestarlo, come giustamente ha ribadito anche l'onorevole Mancuso. Pertanto, lo stravolgimento non consiste soltanto nella misura del termine, bensì nell'introduzione di un termine che non esiste. Non so per quale ragione venga inserito ed non mi interessa affatto. Anzi, chi può concedersi il lusso di ricusazioni a mitraglia credo che abbia tutto sommato poco interesse rispetto a questa novità legislativa, anche perché noi abbiamo «inventato» un codice nel quale si può sempre ricusare fino all'ultimo momento con piccole varianti. Non è quindi quello l'aspetto importante: è importante invece segnalare lo squilibrio legislativo, l'introduzione del termine. Non è esatto, vorrei dire a quanti si sono fatti zelatori della difesa di questo provvedimento - ed è il secondo punto - che le leggi introdotte prevedano misure sostitutive. Non hanno assolutamente introdotto tali aspetti; si prevede soltanto, per ragioni di natura transitoria, la possibilità del semplice patteggiamento in Cassazione, nel periodo di intervallo legislativo. Non è esatto dire che di questa legge, come pure populisticamente e con facile demagogia si afferma, si avvantaggiano gli anonimi e i poveracci. Come al solito non è assolutamente vero, perché sfido chiunque, onorevoli colleghi e soprattutto voi della maggioranza, a dire in questo momento quale processo in Italia può avvalersi di questa particolare legge e quale processo, dopo essere stato portato attraverso tante udienze e tanti rinvi sulla soglia della sentenza definitiva poi non viene celebrato (Applausi dei deputati del gruppo dei Democratici di sinistra-l'Ulivo).

PRESIDENTE. Passiamo ai voti.
Indìco la votazione nominale, mediante procedimento elettronico, sull'emendamento Finocchiaro 5.7, non accettato dalla Commissione né dal Governo.
(Segue la votazione).

Dichiaro chiusa la votazione.
Comunico il risultato della votazione: la Camera respinge (Vedi votazioni).
(Presenti 421
Votanti 420
Astenuti 1
Maggioranza 211
Hanno votato
173
Hanno votato
no 247).

Ricordo che l'emendamento Fanfani 5.3 è stato ritirato.
Prendo atto che l'onorevole Pisapia non accede all'invito al ritiro del suo emendamento 5.2.
Passiamo pertanto alla votazione dell'emendamento Pisapia 5.2.
Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto l'onorevole Bonito. Ne ha facoltà.

FRANCESCO BONITO. Signor Presidente, prendo la parola perché, avendo un po' più di tempo a disposizione, potrò meglio e più compiutamente esprimere il mio pensiero ed anche l'indignazione che lo accompagna per quello che stiamo delibando, valutando e, ahimè, approvando.

PRESIDENZA DEL VICEPRESIDENTE FABIO MUSSI (ore 17,10)

FRANCESCO BONITO. Questo emendamento in qualche misura vuole ridurre il danno: anziché 45 giorni, torniamo - dicono i proponenti - quanto meno ai 30 giorni che erano stati approvati dalla Camera dei deputati in prima lettura. Su questo è già intervenuta l'onorevole Finocchiaro, la quale ha spiegato chiaramente come quei 30 giorni, pur da noi approvati in prima lettura, vengano oggi da noi stessi riconosciuti essere un'indicazione temporale assolutamente sbagliata ed errata. Sbagliammo allora, non dobbiamo sbagliare adesso. Sbagliammo allora, interveniamo per correggere l'errore di quel momento.
Ho poc'anzi detto, e qui ribadisco con maggior chiarezza concettuale che non esiste - e a tanto ho sfidato i colleghi della maggioranza che, come è noto, del processo penale sono autentici esperti e grandi teorici -, ho lanciato il guanto di sfida perché mi si trovi, in tutto l'ordinamento


Pag. 36

penale e penalistico del nostro paese, un altro termine di sospensione del processo che abbia motivazioni e basi così fragili, così inconsistenti, così irragionevoli, così criticabili. Come prima ricordavo, lo stesso imputato che per andare in Cassazione, per andare in appello ha a disposizione in genere 30 giorni, ha cioè 30 giorni per studiare un processo, vederne gli esiti, concepirne i motivi di gravame, proporli al giudice, sottoscriverli, dare loro una forma corretta e compiuta, depositarli, per pensare, semplicemente per valutare l'opportunità o meno di presentare un patteggiamento, ha 15 giorni in più: 45 giorni. E quello che paradossalmente, signor Presidente, cari colleghi, può accadere è questo: mettiamo un processo a caso, lodo Mondadori (il primo che mi viene in mente, per puro caso); prendiamo un imputato eccellente qualsiasi (lascio a voi il nome)... Totò Riina, Riina Antonio, processo di criminalità organizzata, è l'esempio che citiamo spesso. Bene, entra in vigore la legge e questo signore dice al giudice: signor giudice, devo pensare, devo pensare se presentare o meno il patteggiamento. Ho 45 giorni. Il giudice, onorevole Gironda Veraldi, è obbligato, deve sospendere il processo, perché questo avete scritto nella legge! E sospende il processo per 45 giorni.

PRESIDENZA DEL PRESIDENTE PIER FERDINANDO CASINI (ore 17,12)

FRANCESCO BONITO. Trascorsi i 45 giorni, Riina Antonio si presenta al giudice e dice: signor giudice, ho pensato. Ho meditato. Ho valutato. Ho studiato. Ebbene, il patteggiamento non lo voglio presentare. E non presenta il patteggiamento. Abbiamo perso 45 giorni, in un processo di criminalità organizzata, per dare la possibilità a Riina Antonio di pensare se presentare o meno il patteggiamento! Dove, signor relatore, nel nostro ordinamento, esiste una possibilità assurda di tale natura, di tale fatta, di tali caratteristiche? Non esiste, perché altrimenti, se così non fosse, il nostro sarebbe un codice della follia! Per la verità, stiamo lavorando molto per avvicinare il nostro codice di procedura ad un codice assolutamente insostenibile. Lo stiamo facendo, me ne rendo conto, e con questo daremo un decisivo contributo per la ragionevole durata del processo, così com'è stato detto. Ma proprio per le cose che abbiamo qui semplificato, mi raccomando: vi va di fare questa battaglia? Caro collega Mormino, la faccia. Caro collega Cola, la faccia. Caro collega Gironda Veraldi, la faccia pure! Però non veniteci a dire che la norma è una norma ragionevole, una norma democratica, una norma garantista: questa è solamente una grande porcheria (Applausi dei deputati del gruppo dei Democratici di sinistra-l'Ulivo)!

PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto l'onorevole Mascia. Ne ha facoltà.

GRAZIELLA MASCIA. Signor Presidente, intervengo per ricordare che non abbiamo cambiato idea rispetto alla nostra opinione originaria.
Un anno fa, nella data citata dall'onorevole Ghedini, abbiamo espresso in Commissione un'opinione contraria sulla formulazione dei trenta giorni perché ritenevamo che ciò non fosse compatibile con il sistema processuale. Le ragioni sono state più volte enunciate in quest'aula. In caso di sospensione del processo, proprio per valutare l'ipotesi del patteggiamento, si potrebbe giungere al seguente assurdo: se un coimputato dovesse chiedere la sospensione ed un innocente si trovasse in stato di custodia cautelare, lo stesso manterrebbe tale condizione per un periodo molto lungo. Avevamo espresso, dunque, una valutazione negativa già un anno fa, in tempi non sospetti rispetto ai processi attualmente in corso. Il nostro giudizio sul sistema è, quindi, negativo.
Ciononostante, abbiamo ritenuto necessario presentare un emendamento che, nella logica di riduzione del danno, porti a trenta giorni il periodo di sospensione del dibattimento, rispetto ai quarantacinque giorni previsti. Vorremmo tentare di


Pag. 37

mantenere almeno l'ipotesi emersa al Senato che - lo ripeto - abbiamo considerato negativamente in prima lettura ma che, in questa fase, crediamo possa ridurre il danno. Per questo motivo, abbiamo ritenuto di non accedere all'invito al ritiro dell'emendamento in esame.

PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto l'onorevole Mantini. Ne ha facoltà.

PIERLUIGI MANTINI. Signor Presidente, precedentemente abbiamo esposto alcune considerazioni sulla grande e rilevante questione politica. Vorrei spendere, tuttavia, qualche parola sul piano tecnico, rilanciando quel guanto di sfida che il collega Bonito, poc'anzi, ha lanciato a sua volta alla maggioranza con riferimento alle ragioni a sostegno di quest'inutile rinvio.
Al collega Ghedini, proseguendo il dibattito iniziato in Commissione, vorrei dire che le sue citazioni sono anche improprie. Infatti, quello riguardante l'articolo 13 della legge n. 47 delle 1985, da lui citato come caso analogo a ciò che si vorrebbe ora introdurre, rappresenta un paragone mal concepito. In tal caso, abbiamo avuto, nella prassi giudiziaria, un uso ed un abuso della sospensione del processo ma per una ragione almeno astrattamente rilevante ossia quella di valutare, nel frattempo, sul piano amministrativo, la sanatoria degli abusi edilizi. Ciò è un elemento certamente rilevante ai fini del giudizio penale. Tale sospensione aveva dunque una ratio. In questo caso la ratio è assente. Si tratta di un termine affidato alle valutazioni dell'imputato, senza alcuna giustificazione processuale (è noto, infatti, che è possibile sempre chiedere il patteggiamento senza bisogno di stabilire una sospensione minima). La ratio non c'è e non può essere cercata nel codice di rito. Tale ratio va ricercata al di fuori delle esigenze di giustizia ed è una ricerca che lasciamo tutta intera alla responsabilità della maggioranza.

PRESIDENTE. Passiamo ai voti.
Indìco la votazione nominale, mediante procedimento elettronico, sull'emendamento Pisapia 5.2, non accettato dalla Commissione né dal Governo.
(Segue la votazione).

Dichiaro chiusa la votazione.
Comunico il risultato della votazione: la Camera respinge (Vedi votazioni).
(Presenti 413
Votanti 409
Astenuti 4
Maggioranza 205
Hanno votato
30
Hanno votato
no 379).

Prendo atto che gli onorevoli Falanga, Zorzato e Pistone non sono riusciti ad esprimere il proprio voto e che l'onorevole Pistone avrebbe voluto esprimere un voto favorevole.
Passiamo agli identici emendamenti Lussana 5.1, Fanfani 5.4 e Siniscalchi 5.9. Prendo atto che i presentatori non accedono all'invito al ritiro.
Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto l'onorevole Kessler. Ne ha facoltà.

GIOVANNI KESSLER. Signor Presidente, credo che ci sia ancora bisogno, considerati gli interventi della maggioranza svolti precedentemente, di approfondire le ragioni di merito in base alle quali siamo contrari a questa causa obbligatoria di sospensione dei processi.
È sbagliata l'obbligatorietà di questa sospensione.
L'ho detto prima: la sospensione può essere chiesta anche da colui il quale, pur sapendo fin dal principio che non potrà mai ottenere il patteggiamento, per fini suoi, estranei certamente a quelli di giustizia, può, ciò nonostante, ottenere che quel processo si blocchi per almeno 45 giorni. E poi, onorevole Gironda Veraldi, non è esatto che, come lei ha affermato, la sospensione può essere chiesta soltanto da colui che patteggia e che, pertanto, in qualche modo si accolla una specifica responsabilità al riguardo: la norma che con questo emendamento vogliamo cancellare


Pag. 38

stabilisce che questi 45 giorni di sospensione l'imputato li può imporre al processo, ai coimputati, alla parte offesa, ai giudici, a tutti coloro che ottengono giustizia, solo per valutare l'opportunità di chiedere il patteggiamento; poi, dopo che saranno trascorsi i 45 giorni, l'imputato medesimo dirà che, essendo la sua un'imputazione che non consente il patteggiamento, non lo chiede. Intanto, però, il processo sarà rimasto fermo per tutti, con danno alla giustizia.
Inoltre, colleghi, il secondo motivo di merito è che il termine di 45 giorni è assolutamente spropositato. Perché? Ci spiegano che il termine viene dato affinché la difesa possa valutare cosa fare e, in particolare, se chiedere o meno il patteggiamento. Tuttavia, la sospensione è disposta non a fronte di un fatto nuovo, di un fatto processuale sopravvenuto (come, ad esempio, una proposta di patteggiamento formulata dal pubblico ministero, a fronte della quale, non essendovi preparati, ci si debba consultare e si debba ragionare), ma, per la prima volta - e sfido gli specialisti a contraddirmi - , per consentire ad una parte di decidere se avvalersi di una legge che si sta per approvare. Ma, in questo caso, nessuna difesa, nessun imputato può dirsi impreparato, perché questa proposta di legge è ben conosciuta e, comunque, poteva certamente essere conosciuta ben prima del momento in cui verrà richiesta o, meglio, imposta la spropositata sospensione del processo.
In tal modo, si viola il principio della durata ragionevole del processo e si va contro gli interessi della giustizia.
A queste obiezioni di merito, colleghi, si aggiungono anche ragioni politiche assai consistenti ed assai gravi, maturate e divenute ancora più pesanti in quest'anno trascorso dalla precedente lettura del provvedimento.
Tutto il paese ha assistito ed assiste alle strategie dilatorie di imputati eccellenti. Non so se costoro vogliano sfuggire ad una punizione: di certo non vogliono farsi giudicare dal loro giudice naturale! Per chi non lo sapesse o volesse far finta di non saperlo, si tratta di imputati che sono anche nostri colleghi parlamentari. Quel che è peggio, il paese assiste, insieme con noi, ai disegni parlamentari dell'attuale maggioranza, che ha assecondato ed asseconda, nel recente passato ed ancora oggi, le strategie di suoi componenti che non vogliono farsi processare.

PRESIDENTE. Onorevole Kessler...

GIOVANNI KESSLER. La prego di concedermi ancora un minuto, signor Presidente.
Questa maggioranza parlamentare, come abbiamo già denunciato nel recente passato, ha trasformato il Parlamento in una succursale degli studi legali di alcuni imputati che ne sono membri. Ebbene, noi non possiamo più consentirlo!
V'è di più (è l'ultimo motivo politico e non si tratta di supposizioni, ma di fatti): non molti giorni fa, abbiamo assistito, come tutto il paese (e, per quanto mi riguarda, sono rimasto sgomento e scandalizzato), all'appello che l'onorevole Previti ha rivolto alla sua maggioranza affinché cambi le regole e gli consenta di non essere processato (l'appello è di ieri l'altro). Ciò inevitabilmente getta anche su questa norma un grave ed oggettivo sospetto (e non si tratta di un processo alle intenzioni, ma di fatti che avvengono sotto gli occhi del paese).
Il sospetto è che questa norma consenta ancora una volta, con l'asservimento di questa maggioranza, ad un imputato eccellente, l'onorevole Previti, di sfuggire al giudizio del suo giudice. Se questo non è vero, colleghi della maggioranza, avete una strada molto semplice, molto facile da seguire: approvare una norma che vada bene per la giustizia; approvare questo emendamento.

PRESIDENTE. Passiamo ai voti.
Indìco la votazione nominale, mediante procedimento elettronico, sugli identici emendamenti Lussana 5.1, Fanfani 5.4 e Siniscalchi 5.9, non accettati dalla Commissione né dal Governo.
(Segue la votazione).


Pag. 39

Dichiaro chiusa la votazione.
Comunico il risultato della votazione: la Camera respinge (Vedi votazioni).
(Presenti 407
Votanti 406
Astenuti 1
Maggioranza 204
Hanno votato
165
Hanno votato
no 241).

Prendo atto che i presentatori degli identici di emendamenti Fanfani 5.5 e Finocchiaro 5.8 non accedono all'invito al ritiro.
Indìco la votazione nominale, mediante procedimento elettronico, sugli identici emendamenti Fanfani 5.5 e Finocchiaro 5.8, non accettati dalla Commissione né dal Governo.
(Segue la votazione).

Dichiaro chiusa la votazione.
Comunico il risultato della votazione: la Camera respinge (Vedi votazioni).
(Presenti e votanti 414
Maggioranza 208
Hanno votato
160
Hanno votato
no 254).

Passiamo alla votazione dell'articolo 5.
Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto l'onorevole Monaco. Ne ha facoltà.

FRANCESCO MONACO. Signor Presidente, mi dispiace, ma devo nuovamente chiamare in causa anche lei, nella sua responsabilità. L'ho già fatto nell'ultima seduta, quando la Camera era inchiodata sull'esame di un provvedimento a perdere, destinato al cestino, preteso a gran voce da un partito della maggioranza per spenderlo in campagna elettorale. Si noti che nella medesima settimana, peraltro l'ultima settimana dei nostri lavori, in cui abbiamo votato la devolution (a questo provvedimento alludevo), un provvedimento tutto ispirato al presupposto che la riforma del titolo V varata nella scorsa legislatura fosse una riformetta o un pasticcio da cancellare, ripeto, in quella medesima settimana, il Consiglio dei ministri ha messo a punto un altro testo, in verità un po' misterioso (ancora, formalmente, non lo conosciamo), che sostituisce la devolution a cui abbiamo dedicato quell'intera settimana. Abbiamo anche incardinato esattamente il provvedimento La Loggia, che applica la nostra riforma. Questo è il modo sconcertante con cui procede il lavoro della Camera.
Oggi, i colleghi lo sanno, la Camera è stata convocata perché, ancora una volta, come e più di altre volte, la Camera è ostaggio di uno o due imputati eccellenti, per prendere altro tempo, per studiare un ennesimo escamotage, di dubbia utilità persino per chi ha fortissimamente voluto che noi di questo ci occupassimo oggi.
Presidente, sono sette anni - lo dico a cuore aperto - che faccio parte di questa Assemblea. Dovrei esserne onorato e fiero - e lo sono - per ciò che essa rappresenta, ma non le nascondo che stamane, venendo qui, ero preso da un sentimento di umiliazione, di indignazione come parlamentare della Repubblica.

NITTO FRANCESCO PALMA. Allora te ne potevi stare a casa!

FRANCESCO MONACO. Dico più esattamente: da un senso di repulsione. Paradossalmente, questo è per me l'unico motivo di conforto in un quadro sconfortante; questo vuol dire, almeno voglio sperare, che per quel che mi riguarda ancora non ho ceduto per intero all'assuefazione, perché questa è la vera, più insidiosa minaccia: che noi smarriamo e più ancora che il paese smarrisca il senso e la portata delle nefandezze cui sono piegate le istituzioni, a cominciare dall'istituzione parlamentare.
Il rischio è tutt'altro che teorico se si considera la sequela delle leggi su misura. Fanno impressione, Presidente, se messe in fila: falso in bilancio, rogatorie, Cirami, sanatorie per i capitali illecitamente esportati, condoni di varia foggia, e già si annuncia un'immunità che ha il sapore


Pag. 40

dell'impunità. Al senso generale di umiliazione si aggiunge un senso di mortificazione più specifica: la costrizione a votare contro misure deflattive - come quella di cui ci occupiamo, il patteggiamento allargato - per sé considerate anche utili e positive se non fossero manifestamente piegate a interessi personalissimi e non nobili.
Badate, colleghi, vogliate perdonarmi, ma non mi piace l'infingimento, non mi piace l'ipocrisia. Basterebbe anche l'impressione visiva dei protagonisti di questo dibattito al tavolo del Comitato dei nove in tema di conflitto di interessi.
Veda Presidente Casini, come ho anticipato, la cosa riguarda anche lei. Il Presidente della Camera non può pararsi dietro la Conferenza dei capigruppo in tema di agenda delle priorità parlamentari e, dunque, di calendario. Il Presidente della Camera non è un notaio della volontà e delle pretese della maggioranza; il Presidente - questo è fuori discussione - è garante delle regole che disciplinano il nostro lavoro. Ma le regole sono, come si dice con una formula, per l'uomo e si legittimano per il valore che custodiscono e non per la regola come tale. Dunque, la prima garanzia - mi permetta Presidente - concerne la dignità e la decenza del Parlamento che non può essere ostaggio di chicchessia. Tuttavia, riconosco che i primi responsabili e i primi garanti della dignità del nostro lavoro siamo noi. Ciascuno di noi, infatti, deve poter dare conto, a testa alta, del proprio operato, anche agli studenti della scuola presenti nelle tribune del pubblico che ci stanno osservando con i loro occhi innocenti.
Poco importa che riesca efficace o meno, ma sento il dovere di chiedere ai colleghi, anche a quelli della maggioranza (Commenti del deputato Bornacin), uno scatto di dignità, uno scatto di responsabilità, diciamo pure, uno scatto di libertà, affinché si sottraggano a questo ennesimo e umiliante asservimento (Applausi dei deputati dei gruppi dei Democratici di sinistra-l'Ulivo e Misto-Comunisti italiani).

PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto l'onorevole Finocchiaro. Ne ha facoltà.

ANNA FINOCCHIARO. Signor Presidente, onorevoli colleghi, nel preannunciare, fin d'ora, che voteremo contro questo articolo 5, desidero svolgere una premessa; faccio ciò perché ritengo sia utile che in quest'aula risuonino più le parole della determinazione equilibrata che quelle, anche un po' scomposte, che ho sentito da parte dei colleghi della maggioranza, come reazione ad alcuni argomenti.
Poc'anzi dicevo che una norma giusta ha il diritto e il dovere di entrare nell'ordinamento giuridico ed occorre che l'opposizione la voti, a prescindere dal fatto che in un tempo e in un luogo e per un imputato indeterminato quella norma possa risolversi in un beneficio, e al di là del fatto che quell'imputato possa essere un avversario politico piuttosto che un criminale particolarmente efferato o comunque responsabile di reati particolarmente gravi.
Allo stesso modo, nel corso della discussione in Commissione, anche dissociandomi dall'opinione di alcuni colleghi che mi sono molto vicini, ho sostenuto che quella campagna mediatica, che presentava alcune norme contenute nel provvedimento in questione come norme salva-Bossi, non andava assecondata per la ragione che in un paese civile, al di là del fatto che ricopra un incarico pubblico, chi sia responsabile del reato di diffamazione, per quanto definitiva sia la sentenza, è improponibile che sconti in carcere la pena; assai più civile e moderno mi parrebbe che gli venisse applicata una sanzione sostitutiva che potesse, con un ristoro pecuniario, rispondere del reato commesso piuttosto che applicargli un'altra pena prevista dall'ordinamento.
Perché faccio questa premessa? Perché ciò che di questo articolo 5 ci preoccupa è certamente il contenuto della parte relativa al termine di 45 giorni di sospensione obbligatoria del procedimento su cui io ed altri colleghi - Kessler e Bonito - ci siamo in precedenza soffermati. Ma la


Pag. 41

cosa che più ci preoccupa, nel contesto venutosi a creare, non a causa nostra, in questi giorni, è il fatto che questa norma appare agire su una sorta di scacchiere - quale è diventato il Parlamento - nel quale si incrociano strategie processuali e parlamentari, e dove non è sempre e soltanto il merito di un provvedimento che può essere adoperato per risolvere una questione processuale di un certo processo che riguarda un certo imputato, e dove anche i tempi dell'agire parlamentare e le possibili strategie, che qui si sviluppano, sono operate trattando questo Parlamento come scacchiere di una partita che francamente va giocata in altre aule che sono esclusivamente quelle giudiziarie.
La cosa che ci preoccupa e ci inquieta molto è il fatto che questa norma e l'impuntatura della maggioranza - lasciatemela definire così - su questo termine di 45 giorni, senza nessun cedimento e senza neppure un attimo di disponibilità alla discussione, anche soltanto sotto il profilo della riduzione del danno, viene ad intorbidare un clima di confronto, a mio avviso assai fecondo, che si era manifestato nella costruzione dell'altra parte del testo.
Inconcludente, potrei dire, è stata la nostra opera, e francamente ciò ci turba, anche perché la nostra impressione, di fronte all'attenzione che sempre abbiamo avuto per avere un atteggiamento costruttivo, ci sembra essere la stessa impressione che manifestano anche le camere penali, le quali annunciano uno sciopero di otto giorni contro la politica della giustizia di questo Governo, lamentando sia la mancanza di risorse destinate alla giustizia, sia la mancanza di provvedimenti strutturali di attuazione dell'articolo 111 della Costituzione e via dicendo, anche avanzando proposte che non ci convincono, ma sancendo, a distanza di due anni dall'insediamento del Governo Berlusconi, un giudizio di inadeguatezza della politica della giustizia di questo esecutivo che, francamente, dovrebbe pesare - e pesa - sul dibattito parlamentare e sull'atteggiamento della medesima opposizione.
Abbiamo già esposto le ragioni di merito per cui voteremo contro l'articolo 5, tuttavia non riteniamo meno importanti le ragioni politiche, che ho cercato di illustrare, e che ora ci inducono a votare sia contro l'articolo 5, sia contro il provvedimento nel suo complesso (Applausi dei deputati del gruppo dei Democratici di sinistra-l'Ulivo).

PRESIDENTE. Passiamo ai voti.
Indìco la votazione nominale, mediante procedimento elettronico, sull'articolo 5.
(Segue la votazione).

Dichiaro chiusa la votazione.
Comunico il risultato della votazione: la Camera approva (Vedi votazioni).
(Presenti 404
Votanti 390
Astenuti 14
Maggioranza 196
Hanno votato
221
Hanno votato
no 169).

Prendo atto che gli onorevoli Santulli e Giuseppe Gianni non sono riusciti a votare.

Back Index Forward