Resoconto stenografico dell'Assemblea
Seduta n. 283 del 19/3/2003
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La seduta, sospesa alle 15,25, è ripresa alle 15,30.

(Dichiarazioni di voto)

PRESIDENTE. Passiamo alle dichiarazioni di voto.
Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto l'onorevole Detomas. Ne ha facoltà.

GIUSEPPE DETOMAS. Signor Presidente, signori rappresentanti del Governo, onorevoli colleghi, il nostro gruppo (che rappresenta forze politiche che hanno responsabilità di governo in importanti regioni del nostro paese e che dunque ha un senso di responsabilità spiccato) ha seguito con attenzione le dichiarazioni del Presidente del Consiglio, condividendone anche alcuni punti. Ciò nondimeno ritiene che i dubbi e le perplessità evidenziate questa mattina dal collega Collè non siano state del tutto fugate e quindi la preoccupazione è grave, e deriva dal fatto che non sono state date quelle risposte esaustive ai dubbi che ci attanagliano. Il fatto che alcuni partner europei abbiano concesso (o si accingano a concedere) l'uso di basi, nonché l'uso di supporti logistici, non risolve il problema, dato dal fatto che noi abbiamo un ordinamento costituzionale interno diverso. Infatti, la nostra Costituzione (che riteniamo un importante segno di un paese democratico) ci impedisce di dare supporti logistici, anche indiretti, ai paesi che in questo momento si accingono a sferrare un attacco all'Iraq. Questa nostra interpretazione dell'articolo 11 della Costituzione è supportata anche da un appello del Presidente della Repubblica, nonché da molti giuristi che tendono a dare, dell'articolo 11, un'interpretazione restrittiva. La scappatoia, per così dire, potrebbe essere data da un deliberato degli organismi internazionali ai quali l'Italia aderisce (come l'ONU, la Nato o il Consiglio d'Europa), ma questi deliberati non ci sono. Allora ci si trova di fronte ad un'iniziativa unilaterale, alla quale l'Italia evidentemente - anche alla luce della nostra carta costituzionale - non può aderire e non può dare sostegno.
Il Presidente del Consiglio questa mattina ha effettuato delle dichiarazioni che riteniamo di non poter condividere fino in fondo. Il ministro degli esteri ha posto un opzione: stiamo tra i paesi democratici e non con la dittatura irachena. Ebbene anche noi stiamo con i paesi democratici...

PRESIDENTE. Onorevole Detomas, la invito a concludere perché lei ha esaurito il suo tempo.

GIUSEPPE DETOMAS. ...e non con la dittatura irachena, ma tra i paesi democratici scegliamo quei paesi che con noi hanno tradizioni comuni, quei paesi europei che non si arrendono alla logica della guerra e che vogliono perseguire ogni strada per evitarla.
Alla luce di tutto ciò non possiamo che accogliere e votare favorevolmente la mozione presentata dall'Ulivo (Applausi dei deputati dei gruppi Misto-Minoranze linguistiche, dei Democratici di sinistra-l'Ulivo e della Margherita, DL-l'Ulivo).

PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto l'onorevole La Malfa. Ne ha facoltà.

GIORGIO LA MALFA. Signor Presidente, onorevoli colleghi, l'accusa più ripetuta nei confronti del Governo in queste settimane, e ancora nel dibattito di questa mattina, è stata quella di aver tenuto, con riferimento a questa grave crisi internazionale, una posizione oscillante ed ambigua. A mio giudizio, questa è una valutazione errata, che non coglie uno dei punti più importanti della posizione che il Governo italiano ha saputo tenere nel corso di questi mesi. Il Governo italiano ha riaffermato con forza, fin dall'inizio della crisi, i due fondamenti che la politica estera italiana ha sempre avuto fin dall'immediato dopoguerra (e sia consentito di dirlo e di testimoniarlo al rappresentante di uno dei partiti che a quell'impostazione ha dato un contributo determinante


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fin dall'indomani della seconda guerra mondiale). Questi due fondamenti, di pari importanza e di pari valore, sono costituiti dall'unione dei paesi dell'Europa e dalla solidarietà e dall'unità fra l'Europa e gli Stati Uniti.
L'Unione europea e l'Alleanza atlantica sono state, per il nostro paese e per le forze politiche che hanno avuto la responsabilità continuativa della guida dei governi nel dopoguerra italiano, i due fondamenti di uguale peso e di eguale importanza, nessuno dei quali poteva essere sacrificato all'altro e che il Governo italiano ha saputo riaffermare nel corso di questa dolorosissima e difficilissima crisi.
Questi valori, volti a mettere sullo stesso piano e sullo stesso terreno l'unità dell'Europa e l'unità della Comunità atlantica, univano ed hanno unito storicamente l'Italia in particolare alla Germania. E se vi è stato un paese che, nel corso di questi mesi, si è distaccato da un punto tradizionale della sua politica, non è stata l'Italia ma la Germania, che ha scelto di rompere quel legame di solidarietà atlantica dal quale è difesa la sicurezza dei nostri paesi ed anche la riunificazione della Germania stessa.
Onorevoli colleghi, quando il Presidente del Consiglio questa mattina, dopo aver affermato con forza la legalità di un intervento militare nella situazione irachena - e non solo la legalità, ma la liceità e la necessità dal punto di vista dell'ordine internazionale - ha nello stesso tempo affermato la non belligeranza dell'Italia in questa guerra che temiamo possa scatenarsi, ha scelto l'estremo tentativo di fissare una posizione che, come futuro paese che avrà la responsabilità della guida dell'Unione europea nel corso di questo anno, possa servire a ricostruire l'unità dell'Europa e la solidarietà atlantica. Dunque, il Presidente del Consiglio ha scelto una posizione di grande lungimiranza politica.
La valutazione del partito che ho l'onore di rappresentare è che vi fossero le condizioni giuridiche e politiche che avrebbero giustificato per l'Italia la partecipazione attiva allo sforzo militare e, se il Governo avesse proposto questa posizione, noi l'avremmo sostenuta. Ma comprendiamo le ragioni per le quali, proprio al fine di preservare una prospettiva per il domani - perché ci sarà un domani e noi speriamo che presto ci sia un domani al di là della crisi irachena -, proprio per preservare le basi di un'Alleanza atlantica e di un'Unione europea, l'Italia ha deciso di compiere questo estremo sforzo.

PRESIDENTE. Onorevole La Malfa, ha terminato il tempo a sua disposizione.

GIORGIO LA MALFA. Concludo, signor Presidente.
Non capisco perché almeno una parte dell'opposizione - quella che proviene dalla nostra stessa tradizione - si sottragga a questa responsabilità.
Per tali motivi, la componente Repubblicani e Nuovo PSI sosterranno pienamente la posizione espressa nella risoluzione di maggioranza (Applausi dei deputati dei gruppi Misto-Liberal-democratici, Repubblicani, Nuovo PSI, di Forza Italia e di Alleanza nazionale).

PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto l'onorevole Pisicchio. Ne ha facoltà.

PINO PISICCHIO. Signor Presidente, signor Presidente del Consiglio, onorevoli colleghi, forse è inevitabile che le crisi internazionali si offrano ad interpretazioni di tipo domestico, con tutto il corredo di strumentalità ad uso antagonistico che si addice ad argomentazioni come queste.
Ma - e questo è il punto - di fronte alla guerra è forse necessaria una qualche moratoria della belligeranza verbosa del politicismo di ogni giorno per lasciare posto a qualche verità. Dunque, mi sono domandato cosa avrebbe potuto fare un Governo di centrosinistra se si fosse trovato al posto del Governo Berlusconi.
Ritengo che avrebbe posto attenzione - così come ha saputo fare in altri momenti cruciali - alle ragioni che Romano Prodi ha sottolineato con acutezza qualche giorno fa, cioè di non prestarsi all'azione demolitoria della legalità internazionale


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che deriva dall'ONU e, al tempo stesso, di farsi carico della necessità di non divaricare oltremodo l'Europa dall'alleato americano. Infatti, guai se questa maledetta guerra recasse con sé, insieme al nefasto carico di morte, anche la scissura nell'occidente tra America ed Europa, solcando in qualche modo la condizione di isolamento del popolo americano.
La nostra ferma contrarietà all'insulto giuridico della guerra preventiva, che non deve però farci dimenticare le nefandezze compiute da un dittatore come Saddam Hussein, non può non tradursi in un'iniziativa politica tesa a riannodare - e subito - i fili di un rapporto tra Europa e America. È questa la missione del nostro paese, oggi, e non un gesto di pigra ed acritica subordinazione alla chiamata alle armi americana.
Signor Presidente del Consiglio, siamo ben consci della pericolosa esiguità del margine di manovra della politica tra la necessaria lealtà nei confronti degli USA e l'indispensabile fedeltà alle istituzioni garanti della legittimità internazionale, ONU ed Unione europea in testa; tuttavia, non si esce dalla strettoia lasciandosi catalogare dal Governo Bush come sostenitori della guerra. Sono cattolico e l'appello del Papa mi interroga profondamente; ma ho anche il dovere della politica, come membro di questo Parlamento. Non sono soltanto le ragioni umanitarie a dettare la mia scelta ma anche, e soprattutto, le ragioni della politica e il quadro delle regole costituzionali. Il limite, più volte citato, dell'articolo 11 della Costituzione impedisce di considerare l'intervento unilaterale in Iraq come un'operazione di polizia internazionale. Da qui il nostro «no» chiaro e forte ad ogni sostegno attivo alla guerra.
Onorevoli colleghi, credo che a questo punto le parole si siano consumate tutte e non vi sia altro spazio, da questo momento in poi, che per i gesti concreti. Il gesto che il Governo ha il dovere di compiere, anche in vista del semestre di Presidenza in Europa, consiste nel riprendere subito il dialogo tra gli europei, per ricostruire un tessuto di solidarietà, messo duramente alla prova dalla crisi irachena (Applausi dei deputati dei gruppi Misto-UDEUR-Popolari per l'Europa, della Margherita, DL-l'Ulivo e Misto-Socialisti democratici italiani).

PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto l'onorevole Pecoraro Scanio, al quale ricordo che ha cinque minuti di tempo a disposizione. Ne ha facoltà.

ALFONSO PECORARO SCANIO. Signor Presidente, stamattina abbiamo assistito all'intervento del Presidente del Consiglio, che è sembrato una caricatura del Presidente Bush (Commenti di deputati del gruppo di Alleanza nazionale), ad un intervento che, nello stesso tempo, è stato abbastanza ipocrita da consentire...

PRESIDENTE. Onorevoli colleghi, non cominciamo, perché dopo le parti si ribaltano!

ALFONSO PECORARO SCANIO. Signor Presidente, la ringrazio. Sappiamo che parlare un linguaggio di verità crea difficoltà a chi, come il centrodestra, oggi non è riuscito a presentare una mozione (Commenti di deputati dei gruppi di Forza Italia e di Alleanza nazionale) e ci ha proposto una riga. Questa è la mozione del centrodestra. Rispetto alla guerra, rispetto ad un fatto così grave, non sono riusciti a far altro che dichiarare: udite le dichiarazioni del Presidente del Consiglio, le approva. Giustamente, il Presidente del Consiglio è riuscito, contemporaneamente, a dichiarare che l'Italia è arruolata, come ha detto ieri Powell, dagli alleati di una guerra (e, quindi, è cobelligerante) e a sostenere che non è belligerante. Ovviamente, si tratta di affermazioni che possono accontentare chi voglia essere preso in giro. Queste dichiarazioni sono una truffa, perché chi vuole rispettare in modo palese la Costituzione deve dire che l'Italia rifiuta non soltanto la belligeranza ma anche la cobelligeranza, derivante dall'essere stati chiamati a far parte di un'alleanza. Peraltro, l'abbiamo saputo prima


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dal Segretario di Stato americano. E, poi, si gioca all'equivoco, qui, in Parlamento.
La realtà è che non ci troviamo a scegliere se stare con gli alleati delle democrazie o con Saddam. Gli alleati tradizionali dell'Italia sono divisi perché il Presidente Bush e alcune altre amministrazioni hanno una posizione, altri nostri tradizionali alleati, quali la Germania e la Francia, ne hanno assunta un'altra. Quindi, oggi la scelta è tra una cultura internazionale in cui è il diritto ad avere valore e una cultura in cui è la forza che impone la democrazia e le regole. Questa è la scelta che un Presidente del Consiglio avrebbe dovuto sottoporre al Parlamento: tra una logica internazionale - nell'ambito della quale noi vogliamo un tribunale penale internazionale, davanti a cui tutti i dittatori possano essere giudicati, e una vera forza di polizia internazionale, in grado di intervenire - e una cultura in cui decide il Presidente degli Stati Uniti, con l'attuale Amministrazione americana, che non ha niente a che vedere con il popolo americano. Noi siamo amici del popolo americano, di quel popolo che ha anche manifestato davanti alla Casa Bianca e che, per molta parte, è contrario alla guerra di Bush.
Ci sentiamo nel diritto di essere da quella parte essendo contro Saddam Hussein, ma essendo contro le guerre, sempre e comunque, perché queste guerre di conquista e di invasione sono vietate anche dalla nostra Costituzione e dai trattati internazionali.
Signor Presidente, quindi, in realtà, lei si nasconde dietro una dichiarazione confusa che permette di firmare una sola riga a una maggioranza in crisi. Peraltro, c'è anche la risoluzione contro la guerra firmata da Craxi e da Cossiga, che sono esponenti del centrodestra: quindi, questa volta siete spaccati e cercate di mettere delle toppe su questo disastro di politica internazionale che avete combinato. D'altra parte, dobbiamo dare atto che, finalmente, tutto il centrosinistra è unito nel dire chiaramente «no» alla guerra. In ogni caso, io spero che non sia unito solo il centrosinistra, ma che qualche parlamentare cattolico e pacifista trovi il coraggio di votare secondo la propria coscienza e non secondo una logica di ipocrisia per fare almeno una parte di quello che i parlamentari laburisti sono riusciti a fare votando liberamente, anche in contrasto alle posizioni guerrafondaie espresse attualmente dal Governo della Gran Bretagna.
Noi Verdi voteremo non solo con molta convinzione la mozione unitaria, ma invitiamo i cittadini alla massima mobilitazione perché è legittimo ed utile opporsi in tutti i modi non violenti a questa guerra. Daremo costantemente informazioni di tutte le mobilitazioni possibili anche attraverso il nostro sito Internet (www.verdi.it), a cominciare dall'invito che rivolgiamo, per esempio, a non utilizzare una società come la Esso, che è fornitrice di carburante per l'esercito degli Stati Uniti. Noi riteniamo che tutte la iniziative pacifiche e non violente - come quelle del consumo responsabile -, che impediscano di seguire una logica perversa come quella della guerra, siano giuste e utili. Oggi il problema è la scelta tra un modello internazionale che si basi sul diritto e sulla pace e che metta la guerra fuori legge come strumento di risoluzione dei conflitti internazionali e un modello, invece, che si basi sulla forza e sulla vecchia logica di potenza da cui consegue che questa guerra - va ripetuto - è illegittima. Tutte le guerre sono ingiuste, ma questa è anche illegittima, secondo la Carta delle Nazioni Unite, secondo il Patto atlantico, secondo la Costituzione repubblicana.

PRESIDENTE. Onorevole Pecoraro Scanio, la prego di concludere.

ALFONSO PECORARO SCANIO. Quindi, un voto diverso sarebbe un voto incostituzionale che, per quanto ci riguarda, è gravissimo ed è irresponsabile (Applausi dei deputati dei gruppi Misto-Verdi-l'Ulivo, di Rifondazione comunista e Misto-Comunisti italiani).

PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto l'onorevole Villetti,


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al quale ricordo che ha 6 minuti a disposizione. Ne ha facoltà.

ROBERTO VILLETTI. Signor Presidente, signor Presidente del Consiglio, la questione di fondo sulla quale la Camera è chiamata a pronunciarsi è se dare l'assenso o esprimere il dissenso nei confronti dell'intervento militare americano in Iraq senza l'avallo dell'ONU. Non è la valutazione sulla pericolosità del regime di Saddam ad aver creato divisioni e neppure la concessione dell'uso delle basi è quella che divide i paesi appartenenti all'alleanza atlantica. Per quanto riguarda l'Italia, è evidente che l'uso delle basi non deve essere rivolto a qualunque azione che configuri un coinvolgimento dell'Italia nelle operazioni di guerra, come dice la risoluzione presentata dall'Ulivo.
L'Italia ha avuto finora un comportamento difficile da decifrare. Anzi, siamo ad un vero e proprio paradosso che non fa onore al nostro paese. Sul Corriere della Sera Paolo Franchi ha osservato che si è avuta la notizia della partecipazione dell'Italia alla coalizione a guida americana da Colin Powell e non dal Governo italiano. Ed è proprio su questa questione centrale, quella della pace e della guerra, che il Presidente del Consiglio ha fatto un discorso che è stato contraddittorio, tortuoso ed ambiguo. È vero che il Presidente Berlusconi ha cercato di giustificare l'intervento degli Stati Uniti in Iraq e ha detto «sì» alla guerra senza l'ONU, senza tuttavia trarne da queste sue considerazioni le dovute conseguenze. Incertezze, titubanze e oscillazioni nascono da una scelta che appare poco convinta e che - si sa - va contro l'orientamento prevalente dell'opinione pubblica italiana. A mio giudizio, signor Presidente del Consiglio, è anche un risultato dell'iniziativa dell'opposizione che lo ha incalzato in tutti questi giorni sulla questione della pace e della guerra. La scelta dell'amministrazione americana deve essere compresa nelle sue caratteristiche strategiche.
Il New York Times ha scritto che questa guerra corona un periodo di terribili fallimenti diplomatici, il peggiore per Washington almeno dall'ultima generazione. Mai come oggi l'amministrazione americana è andata avanti senza tener conto dell'ONU, della NATO e della stessa Unione europea. Dall'altra sponda dell'Atlantico viene un messaggio che è tutt'altro che rassicurante: ciò che conta nelle scelte internazionali è solo la legge del più forte. Da questo momento, tutti sono nuovamente chiamati a rafforzare i propri apparati militari, a cominciare dalla Russia e dalla Cina, come unico mezzo per contare politicamente ed economicamente. Questa situazione può disgraziatamente acuire i conflitti esistenti, accendere nuovi focolai terroristici e spingere a guerre di religione.
L'Europa deve cercare di far tornare tutti alla ragionevolezza, tentare di ricucire le relazioni con gli Stati Uniti e operare per il rafforzamento delle istituzioni sovranazionali (l'ONU, la NATO e l'Unione europea). L'Europa deve anche riflettere sulla necessità, dopo la scelta solitaria degli Stati Uniti, di ritrovare la propria unità. L'Europa deve sapere che, dopo la scelta del Presidente Bush, per giocare un ruolo rilevante deve dotarsi, accanto alla moneta, anche della spada: moneta e spada sono le chiavi per affrontare il nuovo scenario internazionale. Solo così si possono affermare le ragioni dell'Europa, che devono essere per il dialogo tra i popoli e le religioni, per favorire soluzioni negoziate e lavorare per la pace.
Signor Presidente, la pace è un valore, non si può volere la pace a tutti i costi. I Socialisti democratici italiani hanno detto sin dall'inizio che erano con l'ONU, senza se e senza ma, e siamo assolutamente contro ogni forma di antiamericanismo: come ha detto Intini nel dibattito odierno, Bush passa, gli Stati Uniti restano. Noi siamo contrari al regime di Saddam ed alla guerra unilaterale degli Stati Uniti, siamo per la pace.
Da Bagdad giungono notizie contraddittorie sulla sorte del numero due del regime iracheno Tarek Aziz: speriamo che gli iracheni sappiano risolvere il problema Saddam, evitando così la guerra. Del resto, con questo spirito abbiamo sostenuto l'iniziativa


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di Marco Pannella per cercare di mandare in esilio il dittatore iracheno. Fino all'ultimo non lasciamo cadere le speranze di evitare la guerra; fino all'ultimo cerchiamo di contribuire a risolvere il problema del disarmo di Saddam preservando la pace.
Ecco, Signor Presidente del Consiglio, ciò che attendevamo da lei: un messaggio che legasse intimamente l'Italia alla pace nel mondo e per questo l'Ulivo, noi dell'opposizione, noi Socialisti democratici ci impegneremo nelle prossime ore e nei prossimi giorni (Applausi dei deputati dei gruppi Misto-Socialisti democratici italiani, dei Democratici di sinistra-l'Ulivo e della Margherita, DL-l'Ulivo).

PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto l'onorevole Diliberto, al quale ricordo che ha sette minuti di tempo a disposizione. Ne ha facoltà.

OLIVIERO DILIBERTO. Signor Presidente, onorevoli colleghi, la mia generazione non ha vissuto la tragedia della guerra e, credetemi, pensavo ingenuamente che l'Italia non l'avrebbe vissuta mai più. Così volevano coloro che scrissero la Costituzione con le parole: «l'Italia ripudia la guerra». Non semplicemente rifiuta ma ripudia, parola che contiene una condanna politica, ma anche e soprattutto morale. L'Italia, la vostra Italia, ora apprezza la guerra.
Sono le parole del Presidente del Consiglio che ha apprezzato la decisione americana di entrare in guerra, senza alcuna legittimazione internazionale, violando la Costituzione, distruggendo l'unità europea, in spregio alle parole del Pontefice che, pure, avete ipocritamente applaudito in quest'aula (Commenti dei deputati del gruppo di Forza Italia). Milioni di donne e di uomini hanno manifestato contro la guerra, ma voi li avete ignorati o derisi.
L'onorevole Berlusconi apprezza la guerra. È terribile e non so neppure se ve ne rendiate conto fino in fondo. Il Governo va avanti, indossa l'elmetto, obbedisce agli ordini. Dopo questa guerra di evidente stampo colonialista, dopo altre centinaia di migliaia di morti innocenti, dopo altre distruzioni, queste sì, di massa, dopo decine di migliaia di profughi che avremo il dovere di accogliere nel nostro paese, nulla sarà più come prima. L'equilibrio mondiale è definitivamente in frantumi. L'America non è mai stata così forte, ma, al contempo, non è mai stata così debole!
Gli Stati Uniti vivono come in un fortino assediato: sono contro l'ONU, contro i principali Stati europei, contro la Russa, contro la Cina, contro l'intero popolo islamico sparso in tre continenti; un fortino assediato che si prepara alla guerra preventiva, ma anche permanente.
L'Italia, con l'America, è chiusa dentro quel fortino! Assediati anche noi, ma molto più deboli, molto più esposti alle rappresaglie, alle vendette ed al terrorismo. È la nuova guerra globale contro cui esiste solo il terrorismo globale, nemico mortale, certo, ma che non si combatte con la guerra, perché il terrorismo è alimentato proprio dai morti, dagli embarghi, dalla disperazione, dall'odio e dalla paura (la tragedia palestinese lo insegna), ma siete ciechi o meglio non volete vedere.
La guerra era già decisa, una guerra intrapresa non già per rovesciare un tiranno, a suo tempo peraltro aiutato e finanziato dagli Stati Uniti quando Saddam serviva contro un altro nemico. La guerra serve ad occupare un'area strategica del mondo ed i suoi pozzi di petrolio. Avete già concesso, in spregio alla Costituzione che prevede un voto del Parlamento che ancora non c'è stato, le basi, il sorvolo del territorio nazionale, piloti italiani, l'intero trasporto civile ed i nostri alpini in Afghanistan sono impegnati in azioni di guerra, in sostituzione di truppe di altri paesi che andranno in Iraq. Noi comunisti italiani vi chiediamo che vengano ritirati e bene abbiamo fatto a suo tempo a votare contro quella spedizione.
Siamo già in guerra, una guerra che non prevede confini o limiti temporali e che non esclude - lo ha dichiarato il ministro della difesa americano - l'impiego dell'arma nucleare. Ma vi rendete


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conto in quale tragedia immane state conducendo il nostro popolo (Commenti dei deputati del gruppo di Alleanza nazionale)? Decenni di politica di pace, di cooperazione, di confronto con il mondo arabo tra culture e religioni diverse, decenni di positiva attività diplomatica sono andati in fumo. Ora l'Italia è priva di uno straccio di politica estera autonoma; siamo considerati soltanto dei servi: è un'amara constatazione, ma è la verità.
Dobbiamo continuare a batterci per la pace anche quando saranno iniziati - ahimè - i primi bombardamenti. Saremo a fianco dei lavoratori che hanno indetto gli scioperi, saremo nelle manifestazioni, nelle assemblee, ovunque vi saranno donne e uomini che intendano continuare a battersi contro la guerra.
Cari colleghi, tutti noi abbiamo un dovere perché la mia generazione, la nostra generazione, ha ricevuto un regalo grandissimo dai nostri genitori - me ne sono reso conto solo ora che è in pericolo -: è il regalo di averci fatto nascere, crescere e diventare adulti in un'Italia amante della pace. È un regalo che non ha prezzo e che i nostri genitori hanno conquistato con la resistenza e con la Costituzione; oggi noi abbiamo il dovere di cercare di fare ai figli della nostra generazione un analogo regalo: nascere, crescere e diventare adulti in un'Italia altrettanto amante della pace. Sarà purtroppo difficilissimo nella nuova e tragica situazione che state determinando, ma noi lo faremo con tutte le nostre forze. Dedicheremo alla causa della pace ogni nostra energia!
È il tragico compito di fronte al quale ci troviamo per colpa di una classe dirigente irresponsabile e criminale. A questo compito, state pur certi, noi non ci sottrarremo! Questa sporca guerra non la farete in nostro nome (Applausi dei deputati dei gruppi Misto-Comunisti italiani, dei Democratici di sinistra-l'Ulivo e della Margherita, DL-l'Ulivo - Congratulazioni)!

PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto l'onorevole Bertinotti, al quale ricordo che ha dieci minuti di tempo a disposizione. Ne ha facoltà.

FAUSTO BERTINOTTI. Signor Presidente, onorevoli colleghi e colleghe, la guerra sta precipitando e la scelta è esclusiva dell'amministrazione Bush.
Nulla, neanche i crimini, la giustificano: il re è nudo e del resto mai il Governo degli Stati Uniti d'America è stato così impopolare nel mondo. Mai è stata compiuta una scelta che rischia di essere così distruttiva, nell'oggi e nel domani, per l'umanità e per la politica. Del resto, è stato così avvertito questo tempo, che si è sollevata un'opinione pubblica mondiale contro la guerra, che da un giornale come il New York Times è stata eletta a seconda superpotenza mondiale.
Questa guerra precipiterà in una catastrofe umanitaria il popolo dell'Iraq. Si sa che le guerre, assai più che i tiranni, colpiscono i popoli e, nei popoli, i più poveri: il sud del mondo. In una guerra che, oltre alla distruzione, avvelenerà ulteriormente il rapporto tra il sud ed il nord del mondo. Un popolo intero già colpito da un blocco disumano ora verrà colpito dalla guerra.
Noi, come tanti e tante, viviamo ore di angoscia, ma non siamo disperati. La speranza abbiamo contribuito a costruirla e vivrà. Questa speranza di un popolo mondiale contro la guerra non ha fermato la guerra e non l'ha impedita. Potrà tuttavia fermare questa guerra che si vuole infinita ed indefinita. L'opposizione alla guerra crescerà!
Signor Presidente del Consiglio, lei avrà la maggioranza in questo Parlamento, ma lei sa, come tutti, che non ha la maggioranza in questo paese. E quando questa guerra precipiterà, il paese sarà segnato da uno sciopero generale, dalla partecipazione dei lavoratori e delle lavoratrici alla lotta e alle manifestazioni che vi saranno in tutta Italia. Ne ha parlato diffusamente la collega Deiana. Ma non le vedete le bandiere della pace che segnano un nuovo corso di questo paese? Non avete visto la composizione delle manifestazioni per la pace?
Sicuramente queste non hanno impedito la guerra, ma potranno fermarla. Non ha impedito la guerra neanche il Pontefice


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che ha usato parole senza precedenti e che ha parlato di guerra criminale. Domenica, con un ricorso alla drammatica memoria della seconda guerra mondiale, ha usato l'anatema: mai più la guerra! Anche lui non è riuscito a fermarla, così com'è non l'hanno fermata l'opposizione, la minaccia di veto di paesi così importanti del mondo, spesso alleati, come voi, degli Stati Uniti d'America. Ma questo movimento, questa opinione e questi spostamenti di forze hanno indebolito l'impero e la sua logica. Hanno disvelato tutta la sua ipocrisia ed hanno rilevato il carattere di questa guerra: una guerra per il controllo di risorse strategiche, cinicamente perseguita con determinazione assoluta. Si chiamano petrolio, acqua e risorse biologiche. Una guerra costruita per controllare un'area geopolitica del mondo, quella del Golfo persico, ed irradiare da quella posizione ricatti verso altre aree. Una guerra imperiale, fatta con solo una manciata di governi amici e senza l'ONU.
Signor Presidente del Consiglio, lei ha citato le vicende del Consiglio di Sicurezza, ma, al contrario di quello che lei sostiene, queste sono rivelatrici del carattere illegittimo di questa guerra.
Il Governo degli Stati Uniti è stato indotto a «passare» per l'ONU dai suoi alleati e da quelli che lo sostenevano. L'articolo 41 del trattato delle Nazioni Unite, che illustra inequivocabilmente il significato della risoluzione 1441 del 2002, esso prevede che quando si accerta l'esistenza di una qualsiasi minaccia alla pace, violazione della pace o atto di aggressione, le Nazioni Unite hanno il potere di misure «non implicanti l'uso della forza».
E l'articolo 42 aggiunge che solo la constatazione dell'inadeguatezza di tali misure consente l'uso della forza. Questa constatazione, l'ONU non l'ha fatta. Non la poteva fare perché, al contrario, gli ispettori hanno dichiarato e chiesto più tempo per svolgere la loro azione. Non l'ha fatta perché gli Usa, dopo tanti sforzi diplomatici, anche pieni di ricatto, non hanno avuto la possibilità di consolidare una maggioranza nel Consiglio di sicurezza. Non l'ha potuto fare perché paesi come la Francia, la Russia, la Cina hanno detto che avrebbero opposto il veto. E allora, signor Presidente del Consiglio, lei non può sfuggire a questa denuncia: questa guerra, oltre che brutale, è illegittima.
Lei ha manifestato imbarazzo nel compiere questa scelta, una scelta secondo me servile nei confronti degli Stati Uniti d'America, che, tuttavia, non ha saputo giustificare. Anzi, lei ha proposto una scelta dura, aspra, di complicità con la guerra e di suo sostegno politico, ma nascosta con il minimalismo delle motivazioni. Così, lei non è riuscito a nascondere l'essenziale.
Voi non avete colto l'opportunità che si presentava di costruire una nuova Europa. L'ha colta la Francia che ha un Presidente conservatore tuttavia consapevole della sua storia e che, pur con una cultura come quella gollista, ha saputo vedere un passaggio. E lo hanno saputo vedere altri, come la Russia, la Germania (ne ha parlato acutamente, in quest'aula, Saverio Vertone). Certo, le nostre motivazioni, quelle di cui ha parlato Ramon Mantovani, con grande chiarezza, non sono le motivazioni di una politica imperiale che tenta di affrontare il tema della crisi e della globalizzazione della crisi con una logica fondamentalista che si esprime nell'amministrazione Bush. E, tuttavia, quel tentativo cercava di dispiegare un'Europa diversa. Voi oggi, con questa scelta, vi collocate lontano dal popolo d'Italia e fuori da questa Europa. Voi contribuite ad aprire un interrogativo sul destino dell'umanità.
Voi ripudiate le ragioni politiche della nuova Europa e della pace. Lo fate scegliendo comunque la vicinanza agli Stati Uniti d'America. È una prova di fedeltà, ma anche di accecamento della ragione politica. La fedeltà atlantica, peraltro, non vi porta a nulla perché è una fedeltà ad una alleanza in crisi, messa in crisi dagli stessi Stati Uniti d'America con la dottrina Bush e con la sostituzione ad essa di una geometria variabile, nella ricerca delle alleanze. Voi, in realtà, parlate di Alleanza Atlantica come se fosse la continuità e, invece, state parlando di una nuova costruzione,


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di una alleanza subalterna ad un ordine imperiale. Non rifatevi ad un'altra Alleanza Atlantica cui noi siamo pure stati avversi; parlate di questa!
Non sapete parlare neppure in nome della continuità di una parte della classe dirigente italiana. Ma qual è la vostra idea dell'Italia, del Mediterraneo, dell'Europa? Non vi parlerò di La Pira e della sua ispirazione; ma dov'è finita quella che ha attraversato anche le culture di molti di voi, del cattolicesimo politico? Berlusconi, il Presidente, ha detto: gli argomenti della politica non possono mettere in discussione l'Alleanza Atlantica. È vero il contrario, signor Presidente: gli argomenti della politica possono e debbono mettere in discussione una Alleanza Atlantica che si rivela servile dipendenza dagli Stati Uniti d'America.
L'Europa oggi è incompatibile con questo servilismo. Ecco perché vi diciamo: cominciamo dal «no» alle basi, cominciamo da una posizione in cui non basta dire di non essere belligeranti, finendo complici. Bisogna essere contro la guerra, vecchia, antica, parola d'ordine popolare: né un uomo né un soldo per la guerra! Niente di niente.
Non solo, come è ovvio, «no» a uomini italiani impegnati nella guerra, ma nulla di uso del territorio, di spazio aereo, di basi militari. Quello che lei non ha detto, signor Presidente, è che del resto questa scelta sarebbe illegittima, come riconosce anche un Presidente emerito della Repubblica italiana. La guerra degli Usa è illegittima per la carta dell'ONU; la posizione dell'Italia, che offre una cooperazione passiva delle basi militari, è illegittima dal punto di vista della Costituzione repubblicana.
La disobbedienza civile diventa l'azione per ripristinare la legalità e la legittimità del Governo. Il popolo della pace lo saprà perseguire e noi diciamo al Presidente della Repubblica che sarebbe suo impegno intervenire per impedire questa illegalità.
Oggi, nel Parlamento - e concludo, signor Presidente -, le opposizioni trovano un'unità e presentano davanti al paese una posizione comune che dice «no» alla guerra e niente di niente dell'Italia per questa guerra! Una posizione limpida che interpreta lo spirito del paese.
In questo Parlamento, lo spirito dell'Italia è, oggi, rappresentato dall'opposizione. Il popolo della pace ne avrà un rafforzamento (Applausi dei deputati dei gruppi di Rifondazione comunista, dei Democratici di sinistra-l'Ulivo, della Margherita, DL-l'Ulivo, Misto-Comunisti italiani, Misto-Verdi-l'Ulivo e Misto-UDEUR-Popolari per l'Europa)!

PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto l'onorevole Cè. Ne ha facoltà.

ALESSANDRO CÈ. Signor Presidente, onorevole Presidente della Consiglio, onorevoli deputati, partiamo da un dato certo e condiviso dalla comunità internazionale: Saddam è un dittatore spietato ed estremamente pericoloso; ha ucciso 500 mila iracheni e ne ha incarcerati altrettanti, in dieci anni, per motivi politici; ha sterminato con i gas di curdi e decimato gli sciiti; finanzia il terrorismo, in particolare la jihad islamica, possiede armi di distruzione di massa, ritrovate anche recentemente nonostante il ripetuto diniego; non accetta l'ipotesi dell'esilio, al contrario, rilancia propositi bellicosi contro l'intero pianeta, promettendo il tributo di sangue innocente - lotteremo fino all'ultimo bambino - e minacciando la decapitazione di tutti possibili prigionieri. Da 12 anni, non ottempera alle risoluzioni ONU, quindi non può sfuggire ad alcuno che Saddam, e non altri, vuole la guerra!
Di fronte a questo quadro univoco, la comunità internazionale, piuttosto che ricompattarsi, si è divisa. Avevamo paventato sin dall'inizio questo rischio che oggi si è concretizzato. Già due mesi fa, avevamo rimarcato negativamente l'inspiegabile presa di posizione della Francia (in primis della Germania), la mania di grandezza di Chirac, assolutamente spropositata rispetto al ruolo e all'importanza che la Francia ha, oggi, all'interno della Comunità europea ed estremamente dannosa nei rapporti fra Comunità europea e Stati Uniti.


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La Francia, purtroppo, ha perseverato in questa scelta che potrebbe trovare, come unica attenuante, la presenza di una consistente comunità islamica. I suoi obiettivi di ritagliarsi una leadership europea, di diventare un interlocutore privilegiato del mondo arabo, di promuovere i pur legittimi interessi economici, ossia le opzioni per lo sfruttamento dei pozzi petroliferi in Iraq, sono risultati assolutamente dirompenti rispetto all'assoluta priorità della coesione della comunità internazionale.
Sul versante americano, non ha certamente giovato la ruvidità diplomatica espressa da Chaney e da Condoleeza Rice. Pertanto, nonostante il positivo documento di tutta la comunità europea che prevedeva l'esclusione del rinvio sine die ed anche l'utilizzo della forza come ultima ratio, si era arrivati ad una situazione di stallo, ad una comunità internazionale divisa che rischiava di giocare in favore di Saddam.
La risoluzione n. 1441 è stata letta in modo diverso dalla Francia, che l'ha svuotata, e dagli Stati Uniti che l'hanno riconosciuta come contenente deterrenza vera fino all'uso della forza. I termini «ultima opportunità» e «serie conseguenze» hanno ricevuto interpretazioni diverse. Pensiamo che sia prevalente l'interpretazione che ne ha dato il Presidente del Consiglio; ma detto ciò, il problema vero sta oggi nel decidere da che parte stare. Oggi, dobbiamo prendere una decisione politica molto importante: se confermare il nostro legame con gli Stati Uniti e solidarizzare con i 45 paesi che considerano non più sopportabili le prese in giro di Saddam, oppure sposare l'ipotesi dei paesi che chiedono un ulteriore rinvio.
Certo, questo non è il migliore degli scenari possibili. Il multilateralismo è sempre la migliore soluzione e probabilmente si sarebbe potuti arrivare ad una soluzione concordata se non ci fosse stato uno stentato veto della Francia rispetto ad una possibile risoluzione ultimativa da parte dell'ONU. Ma ciò, purtroppo, non è stato.
È necessario, quindi, ponderare i rischi, difendere il più possibile i valori, ma fare una scelta netta!
La prima domanda che ci poniamo è la seguente: può l'Italia entrare in netto contrasto con gli Stati Uniti vietando l'uso delle basi ed il trasvolo del proprio territorio? Non esiste alcuna motivazione, relativa a principi e valori di carattere geopolitico, strategico e giuridico, che ci spinga a rompere gli accordi sottoscritti nel 1954 e confermati da memorandum firmati da Dini e successivamente ribaditi dal Governo D'Alema. Ciò sarebbe in contrasto con la politica internazionale italiana di tutto il dopoguerra, dalla quale dipendono, in larga parte, la nostra civiltà, il nostro futuro e la nostra sicurezza. Rompere con gli Stati Uniti sarebbe indegno rispetto alla memoria di tante giovani vite americane sacrificate, molte sul suolo della Normandia - dovrebbe ricordarselo anche Chirac -, per ripristinare la democrazia in Europa (Applausi dei deputati del gruppo della Lega nord Padania).
Vogliamo, inoltre, ricordare alla sinistra che anche la Germania e la Francia, nonostante la loro posizione contraria alla guerra, concedono basi e sorvolo, dimostrando Realpolitik e rispetto degli accordi internazionali, ma anche grande ipocrisia. Rispetto a questo, né la sinistra italiana né quella di Francia e Germania hanno protestato, il che conferma, ove ve ne fosse bisogno, la strumentalità politica della posizione assunta dall'opposizione italiana nei confronti del Governo Berlusconi.
Noi non ci nascondiamo, onorevole D'Alema, dietro l'ossimoro della «guerra umanitaria»: prendiamo atto con grande rammarico della crisi della comunità internazionale, ma stiamo dalla parte di chi intende assumersi pubblicamente responsabilità e rischi al fine di abbattere un regime sanguinario la cui offensività, enormemente amplificata dai legami con il terrorismo, mette a repentaglio la sicurezza e la pace duratura dell'intero pianeta.
Tutti insieme, dovremmo ritenere irresponsabile non solidarizzare con gli Stati Uniti, dimenticando che essi hanno subito


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un attacco durissimo da parte del terrorismo e che, di conseguenza, sentono, più di noi, la necessità di prevenire possibili attentati futuri devastanti. A questo proposito, anche paesi che non condividono la decisione statunitense, hanno posizioni defilate: la Cina tace; la Russia deplora, ma non condanna; solo la Francia dice un secco «no».
Per tutte queste ragioni, ci appare stridente ed immotivato l'atteggiamento di forte contrasto dell'opposizione: un'opposizione che non ci spiega come mai, in Kosovo, decise per la guerra quando lo stesso Dini dichiarò, in quell'occasione, che una soluzione diplomatica era molto vicina, addirittura sul tavolo delle trattative di Rambouillet; una sinistra che finanziò Milosevic, prima della guerra, con l'affare Telekom-Serbia e che, allora, agì senza una decisione preventiva del Parlamento italiano, senza mandato ONU e persino in violazione dell'articolo 5 dello statuto della NATO, dal momento che nessuno Stato membro di quest'ultima era stato colpito, o anche solo minacciato, dalla Jugoslavia di Milosevic!
Oggi, quella stessa sinistra vorrebbe fare carta straccia di accordi, assunti a livello internazionale, in particolare con gli Stati Uniti, perfettamente coerenti con la nostra storia ed indispensabili per la sicurezza nazionale essendo il nostro paese estremamente vulnerabile sia per la sua posizione geografica sia per la mancanza di un sistema efficace di difesa europeo.
Europa e Stati Uniti fanno parte di un'unica, anche se multiforme, comunità di valori che è bene non compromettere: diviso, l'occidente si indebolisce! Assieme all'America possiamo conseguire i migliori risultati in termini di sicurezza economica, politica e militare.
Riteniamo, pertanto, irresponsabile attaccare, oggi, a soli fini di polemica interna, il Governo italiano, a maggior ragione quando si sa che, tra pochi mesi, l'Italia avrà la Presidenza del Consiglio europeo e, con essa, il difficile compito di ricucire i rapporti tra i vari Stati che lo compongono.
Siamo pienamente convinti che la posizione assunta dal Governo italiano sia l'unica possibile per debellare il terrorismo, per una pace duratura, per tutelare l'interesse nazionale in attesa e nella speranza che l'ONU, profondamente riformato ed adeguato ad una realtà ben diversa da quella del 1945, possa diventare veramente un'istituzione internazionale ispirata prevalentemente da principi e valori, oltre che da interessi, capace di svolgere un'azione deterrente veramente efficace nei confronti di chiunque minacci concretamente il futuro dell'umanità (Applausi dei deputati dei gruppi della Lega nord Padania, di Forza Italia e di Alleanza nazionale).

PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto l'onorevole Follini. Ne ha facoltà.

MARCO FOLLINI. Signor Presidente, abbiamo espresso molte volte in questi giorni la nostra contrarietà a questa guerra. Siamo contrari perché questa guerra presenta un carattere unilaterale, siamo contrari perché divide in molti punti la comunità internazionale, siamo contrari perché il mandato delle Nazioni Unite non è stato confermato e ribadito in modo inequivocabile da una nuova risoluzione.
All'indomani dell'11 settembre un mondo sfregiato ed offeso dall'aggressione del terrorismo di Al Qaeda riuscì a radunarsi sotto la bandiera di un impegno comune. Intorno agli Stati Uniti colpiti nel loro territorio si radunò una vastissima coalizione di paesi diversi per ideologie politiche, fedi religiose ed interessi strategici. Mantenere quella coalizione, rinsaldarla, allargarla per quanto possibile era il primo dovere e il primo interesse della comunità internazionale. Oggi quella coalizione ha subito - non vi è chi non lo veda - incrinature e distinzioni.
Il consenso intorno alle cose da fare, alle iniziative da intraprendere, alle misure di sicurezza da promuovere nella lotta contro il terrorismo si è fatto più incerto, a tratti diviso, ed è evidente che


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tutto questo diminuisce la forza, diminuisce la sicurezza di cui invece noi sentiamo l'esigenza.
Sarebbe ingeneroso, ingiusto, ritenere che questa difficoltà appartenga solo agli Stati Uniti. Non è così. Molte altre politiche unilaterali sono all'opera in questo momento sulla scena internazionale, molti egoismi frenano la cooperazione, molti spiriti nazionalistici si nascondono sotto il vessillo di ideali più nobili. E nessuno può trascurare, pur dentro una diversa opinione, né lo spirito liberale della democrazia americana né la sua difficile responsabilità di unica grande potenza rimasta a presidiare l'ordine mondiale. Tuttavia, un di più di prudenza, un di più di attenzione alle ragioni di chi sconsigliava un'azione militare non sorretta da un consenso largo e convinto sarebbe stato saggio.
È stato detto che era finito il tempo della diplomazia, invece di diplomazia c'era e c'è ancora bisogno, anche e soprattutto nelle circostanze più difficili. Avrebbe giovato di più all'America ed al mondo la cauta saggezza di cui nella guerra del Peloponneso dalla parte di Atene diede prova il moderato Nicia piuttosto che lo spirito bellicoso ed intraprendente di Alcibiade.
Noi sappiamo bene che dall'altra parte di questa barricata sta un dittatore sanguinario e crudele che ha usato violenza verso il suo popolo e violenza verso le regole della convivenza e della legalità internazionale. Sappiamo bene che quel dittatore possiede armi di distruzione di massa, e non possiamo sottovalutare il rischio che quel dittatore e le sue armi possano alimentare, in modi che non conosciamo, un'ulteriore spirale terroristica. Ma appunto per questo era fondamentale che questa minaccia la si affrontasse assieme, la si affrontasse per quanto possibile con mezzi pacifici, la si affrontasse con un più chiaro mandato internazionale. Sappiamo anche che questa guerra viene combattuta nel nome di una libertà da promuovere con l'intento di restituire al popolo iracheno tutto quello che il suo despota gli ha sottratto. E qui si pone alle coscienze di tutti noi il punto più delicato.
Tante volte in questo dopoguerra gli ideali di libertà e di solidarietà verso i popoli oppressi si sono fermati alle soglie della coesistenza pacifica.
È stato così a Budapest nel 1956, a Praga nel 1968 e poi sulla piazza Tien-An-Men a Pechino, e prima era accaduto a Santiago del Cile e tante, troppe altre volte ancora. Questo stesso dilemma lo abbiamo di fronte in tanti angoli del mondo.
Per un verso, sappiamo che se a lungo andare non vincerà ovunque - lo ripeto: ovunque - una cultura comune dei diritti e delle libertà, un'idea più mite del potere, un rispetto più diffuso delle persone, allora lo scontro tra le civiltà, prima o poi, prenderà il sopravvento e, d'altra parte, sappiamo anche che se cercheremo di imporre la nostra versione di quella cultura e di imporla con la forza delle armi, altrettanto, saremo destinati a precipitare verso quello scontro. Qui, sta, oggi, la difficoltà maggiore, nostra e, in qualche modo, di tutto il mondo. Negli anni '70 si poteva stare dalla parte del Vietnam; oggi, è impensabile, per chiunque abbia a cuore i diritti dell'uomo, non militare contro Saddam Hussein. È sul modo di militare contro di lui che abbiamo opinioni diverse, ma dopo che ognuno di noi avrà portato queste opinioni all'estremo limite, dovremo comunque considerare che il superamento delle dittature più efferate fa parte del compito fondamentale che la nostra generazione ha davanti a sé.
Ora, abbiamo il problema di recuperare almeno una parte della coesione che in questo frangente, è andata smarrita. Lo ha ricordato questa mattina il Presidente del Consiglio ed io ho apprezzato le sue parole. Non credo che ritroveremo quella coesione lasciandoci andare ad una polemica infinita, tutta e solo rivolta ed una parte. Agli Stati Uniti abbiamo ribadito le critiche che scaturivano, per così dire, dall'interno della nostra alleanza, che riflettevano alcuni valori comuni, ma non sarebbe saggio, non sarebbe utile se queste critiche noi le svolgessimo, d'ora in avanti,


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con lo spirito di volere erodere o di lasciare che venga erosa questa alleanza travagliata ma, tuttora, strategica.
C'è un modo, anche nel dibattito in corso nel nostro paese, di invocare la pace e di invocare l'Europa che lascia intravedere qualcosa di più di una versione antiamericana. Noi non abbiamo perso la memoria del legame tra pace, sicurezza e politica atlantica che ha attraversato mezzo secolo della democrazia italiana; non abbiamo perso la memoria del legame tra la costruzione europea e l'amicizia con gli Stati Uniti e, se ricordiamo questi legami, non è certo per nostalgia della guerra fredda ma, al contrario, perché proprio, seguendo questo percorso, siamo usciti dalla guerra fredda e abbiamo aiutato ad uscirne tanti altri paesi e popoli che, troppo a lungo, ne erano rimasti prigionieri.
Criticare gli Stati Uniti può riflettere, a volte, una convinzione; isolare gli Stati Uniti riflette, invece, un pregiudizio ed una miopia. Da quel pregiudizio e da quella miopia vogliamo stare in guardia e, per quanto sta in noi, mettere in guardia.
L'alleanza è un punto fermo tanto, quanto, oggi, il nostro dissenso. Non si vede davvero perché l'opposizione ci chieda, e lo chieda in nome dell'Europa, di negare a paesi alleati quei diritti all'utilizzo delle basi e al sorvolo degli aerei che tutti gli altri paesi europei considerano parte di un ovvio dovere di alleanza. Non si vede perché l'Italia debba sottrarsi ad una cooperazione che vede impegnati la Francia, la Germania, il Belgio, quei paesi, cioè, che, pure, in questi giorni, hanno espresso la disapprovazione più netta verso la politica americana.
Solo noi - chissà perché? - dovremmo tradurre quella disapprovazione in una saracinesca sbarrata nel nome della più totale indisponibilità. Capisco che questa saracinesca sbarrata faccia parte di quella politica senza «se» e senza «ma» che una parte della sinistra ha innalzato come la bandiera della propria innocenza, ma vorrei ricordare che proprio la politica estera, per sua natura, proprio l'azione diplomatica o è una infinita, paziente, accorta sequenza di «se» e di «ma» oppure diventa un esercizio dogmatico e non sarà macinando parole d'ordine fondamentaliste che il dialogo di pace farà grandi passi in avanti nei mesi che ci attendono.
Invece, di dialogo vi è bisogno. Siamo arrivati a questo punto del nostro percorso avendo consumato molti, troppi strappi nel tessuto delle grandi organizzazioni e delle grandi alleanze internazionali. Oggi, è più divisa l'ONU, più divisa la comunità atlantica, più divisa l'Unione europea: conosciamo il costo ed il rischio di tutte queste divisioni e tanto più sentiamo l'esigenza di riprendere in mano, per quanto è possibile, l'ago ed il filo per ricominciare a tessere, a cucire, a rammendare là dove si sono prodotti gli strappi più forti. Questo è il compito del nostro paese, questa è, vorrei dire, la sua vocazione e tanto più lo è alla vigilia di un semestre europeo che sarà denso e decisivo per le sorti di questa parte del mondo.

PRESIDENTE. Onorevole Follini, la invito a concludere.

MARCO FOLLINI. Affidiamo questo compito al Governo, signor Presidente del Consiglio, ma ancora di più lo sentiamo come compito fondamentale di tutto il nostro paese (Applausi dei deputati dei gruppi dell'Unione dei democratici cristiani e dei democratici di centro e di Forza Italia e dei deputati Intini, Gerardo Bianco e Enzo Bianco - Molte congratulazioni).

PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto l'onorevole Rutelli. Ne ha facoltà.

FRANCESCO RUTELLI. Signor Presidente, siamo dunque alla vigilia di una guerra in Iraq e per l'Italia si tratta di decidere, oggi, che giudizio dare e che cosa fare; ciò non come il Governo, che ha detto che siamo a favore, ma solo un po', e che siamo un po' impegnati ed un po' disimpegnati.
Nel dibattito parlamentare di un mese fa sulla crisi irachena abbiamo rilevato la reticenza del Governo sull'applicazione


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dell'articolo 11 della Costituzione. L'Italia non può risolvere una controversia internazionale attraverso la guerra se non come conseguenza di un mandato preciso delle organizzazioni internazionali che ne hanno la competenza.

PRESIDENTE. Onorevoli colleghi, vi prego....

FRANCESCO RUTELLI. Del resto, la causa annunciata di questa guerra è cambiata più volte: non vi è legame riconosciuto tra gli attentati dell'11 settembre e questo conflitto; non vi è alcun mandato legale per una invasione ed un cambio di regime in Iraq; non è dimostrato che l'orrenda, criminale dittatura irachena costituisca una minaccia imminente anche dopo il consistente inizio dello smantellamento di armamenti da parte degli ispettori ONU.
Vi è un tema che ci sta a cuore: come distinguere il nostro fermo dissenso dall'amministrazione americana rispetto ad una contrapposizione all'America ed al suo popolo, alla sua e nostra storia, ai tanti valori che ci accomunano. C'è rispetto verso una alleato con cui dissentiamo ed esigiamo rispetto per il nostro dissenso. Del resto, conosciamo bene il dovere di esercitare la responsabilità in politica estera, conosciamo le regole della solidarietà con un alleato colpito a sangue dal terrorismo (anche per questo mille nostri alpini sono in Afghanistan), conosciamo i doveri della collaborazione. Finché era legittima una pressione - anche militare - per ottenere il disarmo dell'Iraq, noi abbiamo sostenuto quello sforzo che doveva servire al mantenimento della pace.
Adesso il mondo ha però voltato pagina: si va ad una guerra, e non è un caso se i due Presidenti emeriti della Repubblica, due storici amici dell'America, hanno parlato con tanta nettezza e chiarezza e se il Consiglio supremo di difesa, presieduto dal Capo dello Stato, ha fissato il rigoroso confine della non belligeranza.
Onorevole Follini, di fronte ad una guerra sbagliata e illegittima, di fronte ad una guerra che spargerà sangue e creerà durature e gravi conseguenze ci sono solo due risposte: sì o no. Nel dire «no» ci auguriamo, fino all'ultimo, che il regime iracheno si decomponga e che, comunque, la guerra sia breve e porti il minor numero possibile di vittime; chiediamo che siano affidati rigorosamente all'ONU i dirigenti del regime iracheno per essere giudicati, in modo legale, da un tribunale internazionale ad hoc e che sia l'ONU responsabile della sovranità nel dopo Saddam e della ricostruzione. Il dramma di oggi è la guerra, ma il problema di domani sarà il dopoguerra, ed ai leader del mondo è richiesto di saper governare i problemi, non di ricorrere alle guerre come scorciatoie per i fallimenti delle diplomazie.
Signor Presidente, questo vale specialmente per la crisi mediorientale: non basta fare una solenne dichiarazione alla stampa ogni anno e mezzo e poi abbandonare gli israeliani con il loro diritto alla sicurezza e i palestinesi con il diritto ad uno Stato sovrano. Occorre, per lo meno, la stessa determinazione mostrata in questo ultimo tempo verso l'Iraq.
Vengo alla seconda parte del mio intervento. Lei, signor Presidente del Consiglio, questa mattina ha presentato tante citazioni e, in polemica con le opposizioni, ha detto che non si può fare strame della verità. Nel dibattito di un mese fa lei ci sfidò (leggo testualmente) a trovare una sola parola, una sola frase, un solo ragionamento che sia non coerente da quando la crisi è cominciata. Questa mattina con la stampa ha addirittura qualificato la sua azione come un capolavoro politico-diplomatico.
Io raccolgo la sua sfida e ripercorrerò con le sue stesse parole solo alcune tappe di questo capolavoro. Mosca, 16 ottobre 2002: credo che in Iraq non ci siano ormai più armi di distruzione di massa perché c'è stato tempo per la loro eliminazione o riallocazione. Mosca, 16 ottobre: nessuno può porsi come obiettivo il travolgimento di un regime; il diritto internazionale non lo consente. Lisbona, 17 ottobre: non ho cambiato posizione: con Blair resto il più vicino alleato di Bush. Roma, 7 novembre:


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sulla guerra non posso che nutrire gli stessi sentimenti di Chirac. Roma, 13 novembre: esprimo la personale soddisfazione perché sono stato unico tra i Premier ad avere espresso il convincimento che Saddam Hussein avrebbe accettato la risoluzione dell'ONU. Praga, 21 novembre: se si andrà ad una azione militare contro l'Iraq, si tratterà di un'azione comune, di un'azione multilaterale. Roma, 30 dicembre: gli Stati Uniti hanno garantito che non daranno luogo a nessuna azione armata, se non nell'ambito delle Nazioni Unite. Roma, 19 gennaio 2003 (qui parla il ministro degli affari esteri): è necessario dare agli ispettori il tempo che loro stessi riterranno necessario per concludere il loro lavoro. A Roma, il 23 gennaio, il Presidente del Consiglio afferma: sappiamo che ci sono ulteriori prove certe, su cui siamo tenuti alla riservatezza, sulle armi di Saddam Hussein (Una voce dai banchi del gruppo di Alleanza nazionale: «Basta!»). Roma, 24 gennaio: ho convenuto con il Primo ministro spagnolo Aznar sull'assoluta inutilità di una riunione dei Capi di Stato e di Governo europei (che si sarebbe tenuta con successo pochi giorni dopo). Roma, 1o febbraio, in un'intervista a Milan Channel: nessuno ritiene che un'organizzazione così diffusa nel mondo come Al Qaeda possa riuscire ad essere così organizzata senza il supporto di uno Stato; si ha ragione di ritenere che questo Stato sia l'Iraq. Mosca, 3 febbraio: una seconda risoluzione delle Nazioni Unite è non necessaria, tuttavia, anche per chi dovrà intervenire in guerra sarebbe opportuna per dare legittimità all'azione. Roma, 5 febbraio: un intervento militare in Iraq, per avere piena legittimità, richiederebbe una nuova risoluzione del Consiglio di sicurezza dell'ONU (Commenti dei deputati dei gruppi di Alleanza nazionale e della Lega nord Padania)...

PRESIDENTE. Onorevoli colleghi...

FRANCESCO RUTELLI. Signor Presidente, io continuo il mio intervento.

PRESIDENTE. Fa benissimo!

FRANCESCO RUTELLI. Ancora, Roma, 7 febbraio: se non ci sarà la seconda risoluzione, avremo, oltre al danno della guerra, tre danni ancora peggiori: l'ONU perderebbe la credibilità come istituzione capace di garantire la pace e la sicurezza nel mondo, avremo la sparizione di fatto dell'ONU, avremo un tracollo nella NATO tra l'Europa e gli Stati Uniti, avremo una divisione all'interno della stessa Europa (Applausi dei deputati dei gruppi della Margherita, DL-l'Ulivo, dei Democratici di sinistra-l'Ulivo, Misto-Comunisti italiani, Misto-Socialisti democratici italiani, Misto-Verdi-l'Ulivo e Misto-UDEUR-Popolari per l'Europa - Applausi polemici di deputati dei gruppi di Forza Italia e di Alleanza nazionale).
Modena, 9 febbraio: se fossero solo gli Stati Uniti ad aprire il conflitto con l'Iraq, ci sarebbero risultati catastrofici per l'Europa. Roma, 28 febbraio: l'azione militare di un paese al di fuori dell'ONU rappresenterebbe un fatto nefasto; non credo che nessuno si caricherà di una responsabilità così grave. Infine, il 12 marzo, dopo le dichiarazioni del ministro Martino sulla sua propensione personale ad andare in guerra, il Presidente del Consiglio afferma: quella è una sua convinzione personale; io non sono un tecnico, non sono un tuttologo, non bisogna porre a me la richiesta su cose che non conosco; Martino, facendo il ministro della difesa, è anche un tecnico; avrà riferito voci che ha sentito.
Signor Presidente, lei consegna, purtroppo, alla scena internazionale un'Italia declassata, priva di credibilità, priva di spina dorsale.
Noi restiamo fedeli ai valori che hanno ispirato per cinquant'anni la politica estera ed europea della nazione. Lo confermiamo: siamo pronti ad assumere tutte le responsabilità necessarie per restituire l'autorità, l'autorevolezza ed il prestigio dell'Italia (Vivi prolungati applausi dei deputati dei gruppi della Margherita, DL-l'Ulivo, dei Democratici di sinistra-l'Ulivo, Misto-Comunisti italiani, Misto-Socialisti democratici italiani e Misto-Verdi-l'Ulivo - Commenti dei deputati dei gruppi di Forza Italia e di Alleanza nazionale)!


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È vero, ministro Frattini, è il tempo delle scelte: noi abbiamo da tempo detto «sì» alle Nazioni Unite e «no» alla dittatura di Saddam Hussein. Tuttavia, oggi si vota un'altra cosa: si vota «sì» o «no» alla guerra. Voi dite «sì», noi diciamo «no» (Vivi applausi dei deputati dei gruppi della Margherita, DL-l'Ulivo, dei Democratici di sinistra-l'Ulivo, Misto-Comunisti italiani, Misto-Socialisti democratici italiani e Misto-Verdi-l'Ulivo - Congratulazioni)!

PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto l'onorevole La Russa. Ne ha facoltà.

IGNAZIO LA RUSSA. Signor Presidente, il gruppo di Alleanza nazionale ha condiviso pienamente la relazione che questa mattina il Presidente del Consiglio ha illustrato all'Assemblea. L'ha condivisa perché ci è sembrato che abbia dato chiaramente conto, ai deputati in aula, del ruolo e della posizione che l'Italia in queste ultime settimane ha svolto nel consesso internazionale.
Ho appena sentito la lunga serie di citazioni dell'onorevole Rutelli: era una ravvicinata rassegna stampa di tante dichiarazioni rese in un tempo recente. Non farò la stessa cosa perché altrimenti non so dove finiremmo. Dico che proprio quelle dichiarazioni, onorevole Rutelli, danno il senso di un ritrovato ruolo della politica internazionale dell'Italia (Commenti dei deputati del gruppo dei Democratici di sinistra-l'Ulivo)...

PRESIDENTE. Onorevoli colleghi, vi prego, dopo ci sono altri interventi...

IGNAZIO LA RUSSA. Signor Presidente, li lasci pure parlare, preferisco non essere interrotto (Si ride).

PRESIDENTE. Le chiedo scusa.

IGNAZIO LA RUSSA. Mi riferisco ad un ruolo pervicace ed attento del Governo italiano a non essere, come è avvenuto per tanti anni, completamente assenti dal consesso internazionale.
Proprio le frasi che l'onorevole Rutelli ha citato sono la migliore testimonianza del tentativo italiano di mantenere l'elastico stretto, vicino tra le posizioni europee e gli amici americani (Commenti dei deputati dei gruppi dei Democratici di sinistra-l'Ulivo e della Margherita, DL-l'Ulivo). Proprio quelle citazioni sono la prova evidente del tentativo italiano di spendersi per mantenere lontano il pericolo della guerra ed avvicinare ogni possibilità di accordo del mondo occidentale di rinnovare il patto contro il terrorismo che era stato acceso non a caso - caro onorevole Rutelli, lei lo ha dimenticato - ma dopo il più grande attentato terroristico della storia. Quel sentimento di unità antiterroristica si è un po' disciolto come neve al sole.
La ringrazio, quindi, signor Presidente del Consiglio, per il ruolo che l'Italia ha riconquistato che tornerà molto utile quando, dopo questa tragica fase, bisognerà ricostruire, quando vi sarà bisogno del ruolo italiano per lanciare un ponte verso i paesi rivieraschi del Mediterraneo, per riallacciare ancora di più i contatti all'interno dell'Europa, per mantenere costante la vicinanza agli amici americani. Tornerà assai utile il ruolo coerente ed intelligente che l'Italia ed il nostro Governo hanno tenuto in queste ultime settimane. Ringrazio lei e tutti i componenti del Consiglio supremo della difesa - presieduto dal Presidente della Repubblica, con la partecipazione dei ministri, del Presidente del Consiglio, del Vicepresidente del Consiglio Fini, dei capi delle Forze armate - che oggi ha sancito alcune cose che, forse, non sono state lette o capite bene.
Infatti ancora oggi sento, anche negli interventi che ho appena ascoltato, pendolare l'analisi della posizione italiana tra il «partecipiamo alla guerra» e «la nostra posizione è poco chiara». La nostra posizione è chiarissima! Ed, anzi, ve la leggo: il Consiglio supremo di difesa ha deciso l'esclusione della partecipazione italiana dei nostri militari alle azioni di guerra. Ha deciso l'esclusione della fornitura e della messa a disposizione di armamenti e


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mezzi militari di qualsiasi tipo. Ha deciso l'esclusione dell'uso di strutture militari quali basi di attacco diretto ad obiettivi iracheni. Ha deciso che la nostra posizione è quella di «non belligerante». Ha deciso - e su questo avete evidentemente delle obiezioni (legittime forse, ma a mio avviso sbagliate) - il mantenimento dell'uso delle basi per le esigenze di transito, di rifornimento e di manutenzione dei mezzi, nonché la possibilità di sorvolare il nostro spazio aereo. Ha cioè deciso che l'Italia faccia esattamente quello che fanno la Germania e la Francia che hanno posizioni politiche diverse dalle nostre.
Allora chiariamo innanzi tutto questo. La differenza c'è: è politica! Noi abbiamo ritenuto in questa circostanza, al di là dei temi giuridici che pure sono stati illustrati e che parlano di liceità dell'intervento, noi abbiamo deciso che non poteva essere interrotta la nostra amicizia, il nostro rapporto transatlantico con gli Stati Uniti, essendo vicini alla loro decisione (immagino assai sofferta) di attivarsi in prima persona, ma non da soli - non da soli, onorevole Rutelli -, per cercare di sconfiggere quello che da tutti, anche da lei, è stato considerato una minaccia per il mondo, cioè il regime iracheno di Saddam.
Avrei avuto molto piacere di vedere le tante manifestazioni per la pace (che capisco e alle quali ci si può anche unire) insistere non tanto contro gli Stati Uniti d'America quanto nell'invito a Saddam a lasciare libero il proprio popolo, ad andarsene, ad accettare la richiesta dell'esilio (Applausi dei deputati dei gruppi di Alleanza nazionale, di Forza Italia e della Lega nord Padania)! Non ho visto una sola manifestazione in questa direzione!
Mi rendo conto della difficoltà della posizione della sinistra, costretta a inseguire i temi della demagogia (Commenti dei deputati dei gruppi dei Democratici di sinistra-l'Ulivo, della Margherita, DL-l'Ulivo e Misto-Comunisti italiani) ...

PRESIDENTE. Onorevoli colleghi, vi prego!

IGNAZIO LA RUSSA. ... i temi della speculazione interna e i temi dell'interesse elettorale (Commenti dei deputati dei gruppi dei Democratici di sinistra-l'Ulivo, della Margherita, DL-l'Ulivo e Misto-Comunisti italiani)!

PRESIDENTE. Onorevoli colleghi!

IGNAZIO LA RUSSA. No, non c'è problema, signor Presidente.

PRESIDENTE. Onorevoli colleghi, io sono tra due fuochi, perché tra l'altro l'onorevole La Russa mi chiede di non interrompere.

IGNAZIO LA RUSSA. Mi rendo conto della vostra difficoltà. L'Ulivo mondiale, quello di Blair, quello di Clinton, quello che comprendeva D'Alema, non sta dalla vostra parte! Il mito della sinistra (Blair, Clinton) è finito dalla parte giusta! È rimasta solo l'Italia, sulle posizioni (almeno coerenti) di Rifondazione comunista! Questa è la verità (Applausi dei deputati dei gruppi di Alleanza nazionale e di Forza Italia)!
Allora credo che bisogna dire delle cose chiare. Credo che la demagogia vada abbattuta con il ragionamento. Vedete, cari colleghi, noi riteniamo che soltanto chi si adagia in un pacifismo acritico e pregiudiziale unilaterale finisce con il convincere o con il rafforzare il convincimento dei dittatori come Saddam di poter resistere alla pressione di chi vorrebbe disarmare. Noi riteniamo che solo chi mette nel conto l'uso della forza lavora realmente per fermare le mani del terrorismo mondiale e per garantire la pace! Queste frasi, che io ho così riassunte, sono per l'appunto contenute anche nella dichiarazione di ieri di Clinton, che dice esattamente: solo la minaccia dell'uso della forza angloamericana ha consentito agli ispettorati di entrare in Iraq; senza una credibile minaccia della forza, Saddam non disarmerà mai. Parola di Clinton!
Ma, se non vi piace Clinton, cito uno dei vostri giornali il Riformista dice (Commenti dei deputati dei gruppi dei Democratici di sinistra-l'Ulivo e Misto-Comunisti italiani)... non è un vostro giornale, chiedo


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scusa! Voi potete tranquillamente contestare la posizione del Governo, ma perché il Riformista - un vostro giornale e non io - vi chiede di arrivare a posizioni di ostilità e di boicottaggio? Perché? Io una risposta ho cercato di darmela: la verità è che le motivazioni giuridiche che avete addotto non contano nulla se è vero, come è vero, che - è stato ricordato più volte - l'unica guerra che l'Italia ha fatto senza l'egida dell'ONU è avvenuta quando Presidente del Consiglio era l'onorevole D'Alema (Applausi del deputato Giancarlo Giorgetti). E ha fatto bene a farla ma è stata quella l'unica occasione.

PRESIDENTE. Onorevole La Russa, la invito a concludere.

IGNAZIO LA RUSSA. Mi avvio a concludere, signor Presidente, vorrà dire che salto questa circostanza, anche se ci sono state molte interruzioni.
Presidente, credo che la pace si possa difendere in tanti modi e ce n'è uno che mi piace molto, perché noi vogliamo la pace! Ogni giorno 8.895 italiani non fanno girotondi, non innalzano bandiere multicolori, ma difendono davvero la pace: sono i nostri alpini in Afghanistan, sono i nostri soldati in missione di pace nel mondo. Grazie ragazzi, siamo con voi per la pace (Applausi dei deputati dei gruppi di Alleanza nazionale, di Forza Italia, dell'Unione dei democratici cristiani e dei democratici di centro, della Lega nord Padania e Misto-Liberal-democratici, Repubblicani, Nuovo PSI, cui si associano i membri del Governo - Congratulazioni)!

PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto l'onorevole Fassino. Ne ha facoltà.

PIERO FASSINO. Signor Presidente, onorevoli colleghi, credo che il sentimento che dovrebbe ispirare questa nostra discussione dovrebbe essere prima di tutto di grande preoccupazione, di inquietudine e di angoscia. Infatti, stiamo discutendo di pace e di guerra, stiamo discutendo di un argomento di particolare gravità e drammaticità che dovrebbe indurre in ciascuno di noi un atteggiamento che vada oltre le normali e legittime affermazioni delle posizioni di parte.
Intanto, stiamo discutendo di una guerra e la parola «guerra» evoca sofferenza, distruzione, morte per centinaia di migliaia di persone. In particolare, stiamo parlando di una guerra che, ogni giorno di più, appare ingiustificata. Ad oggi, nulla prova che non sarebbe stato possibile disarmare Saddam Hussein attraverso le ispezioni delle Nazioni Unite anzi. Infatti, mano a mano che quelle ispezioni erano venute approfondendosi e allargandosi, si erano ottenuti i primi risultati di smantellamento degli armamenti e degli arsenali di Saddam Hussein. Ciò dimostrava, appunto, la possibilità di ottenere il disarmo attraverso una soluzione politica e non necessariamente precipitandosi in una guerra. Si doveva e si poteva perseguire e proseguire nell'iniziativa dell'ONU, mentre si è voluto precipitosamente interromperla.
Si tratta di una guerra che appare insensata per le conseguenze che può produrre. Questo conflitto ci è stato presentato più volte da chi lo vuole come una guerra per rendere il mondo più sicuro; il rischio è che, all'indomani di questa guerra, il mondo sia più insicuro se solo pensiamo a come tale conflitto sarà vissuto e percepito dalle opinioni pubbliche dei paesi islamici, dei paesi arabi, in quelle società che già oggi sono percorse dalla febbre antioccidentale, che dunque trarranno da questa guerra nuovo motivo per esprimere questi sentimenti.
C'è da chiedersi fino a che punto quel conflitto, che in Medio Oriente da due anni si avvita in una spirale sanguinosa di guerra e di violenza, sarà facilitato nella sua soluzione da una guerra che si svolga a poche centinaia di chilometri da quel teatro.
C'è da chiedersi chi difenderà il mondo da una sequenza reattiva di attentati terroristici, che potrebbe scatenarsi e mettere a repentaglio la sicurezza di nazioni intere. Una guerra ingiustificata e una guerra insensata. Una guerra unilaterale e


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priva di legittimità internazionale, perché questa guerra non ha un'autorizzazione dell'ONU. E non solo. Per come si sono sviluppate le cose nell'ultime settimane, si può affermare che questa guerra la si sta facendo contro la maggioranza degli Stati che sono membri delle Nazioni Unite (Applausi dei deputati dei gruppi dei Democratici di sinistra-l'Ulivo, della Margherita, DL-l'Ulivo e Misto-Comunisti italiani).
È la prima volta nella storia delle Nazioni Unite che il Consiglio di Sicurezza non esprime un orientamento che sia in sintonia con gli orientamenti del principale paese di questo pianeta. E, non a caso, gli Stati Uniti hanno rinunciato a portare in Consiglio di Sicurezza, insieme alla Spagna e alla Gran Bretagna, la seconda risoluzione, perché avrebbero dovuto registrare l'insussistenza, in quella sede, di una maggioranza a sostegno di quella risoluzione.
Francamente, non valgono i precedenti. Invocare la risoluzione del 1991, la n. 676, o la risoluzione n. 687, come ha fatto lei, signor Presidente del Consiglio è francamente un'operazione azzardata, intanto perché ogni risoluzione va valutata nello specifico contesto anche temporale, oltre che politico, in cui viene assunta. E il passaggio di tredici anni dalla precedente risoluzione - se mi permette - rappresenta una modifica di contesto di non poco rilievo. Ma, poi, quelle sono risoluzioni che - tutte - puntano all'obiettivo di disarmare Saddam Hussein. Qui, siamo a qualcosa che va molto oltre il disarmo di Saddam Hussein. Qui siamo alla decisione di un paese, e di alcuni altri paesi che lo sostengono, non di disarmare Saddam Hussein ma di invadere l'Iraq, di cambiare il regime politico di quel paese. Addirittura, siamo ad una dichiarazione delle ultime ore che dice che gli Stati Uniti, quand'anche Saddam Hussein adesso se ne andasse, entrerebbero ugualmente in Iraq.
Siamo molto al di là del disarmo previsto dalle risoluzioni dell'ONU. Siamo ad un'applicazione della forza che va al di là di qualsiasi criterio di proporzionalità, che è un criterio fondamentale quando si adotta una misura così drammatica ed estrema come l'utilizzo della forza per sanzionare un paese.
Nel 1991, quando si intervenne con la guerra nel Golfo, si intervenne perché l'Iraq aveva invaso un paese e ne aveva annullato l'indipendenza e la sovranità.

ALFREDO BIONDI. Voi votaste contro!

PIERO FASSINO. Nel 1998, quando si è intervenuto in Kosovo, lo si è fatto perché c'era una pulizia etnica di cui erano vittime decine di migliaia di persone.

MARIO LANDOLFI. Eravate voi!

PRESIDENTE. Onorevole Landolfi...

PIERO FASSINO. Nel 2001, quando si è intervenuto in Afghanistan, lo si è fatto all'indomani di un attentato come quello delle Torri gemelle, che ha rivelato l'esistenza di un'attività terroristica particolarmente preoccupante e pericolosa per l'umanità intera, che aveva in Afghanistan uno dei suoi santuari principali. C'era un rapporto di proporzione tra la decisione di usare la forza e il rischio drammatico per la sicurezza di popoli e di nazioni che era in campo in quel momento. Nessuno rapporto di proporzionalità c'è oggi tra lo scatenare una guerra e il pericolo costituito da Saddam Hussein, che poteva e doveva essere perseguito continuando l'attività delle ispezioni. In questo modo, si sarebbe potuto ottenere il risultato di disarmare Saddam Hussein, senza precipitare il mondo in una guerra.
Sono queste le ragioni che ci portano a dire «no». E, badate: chi si assume oggi la responsabilità di condividere una guerra - sostanzialmente di condividerla, come ha fatto lei, signor Presidente del Consiglio - si assume la responsabilità non soltanto di condividere una scelta sbagliata ma anche di contribuire a mettere in mora quelle Nazione Unite di cui, dopo questa crisi, tutti avvertiamo che c'è ancora più necessità.


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Proprio la vicenda irachena, infatti, dimostra che senza Nazioni Unite forti non c'è la possibilità di dirimere i conflitti e c'è il rischio, invece, che i conflitti precipitino in guerra. Ma, se le Nazioni Unite vengono messe in mora dalle nazioni che le compongono e, in primo luogo, dalle nazioni più potenti, non avranno mai la forza di dirimere i conflitti e di dare a quei conflitti una risoluzione politica forte, senza che questo passi per il ricorso alle armi.
Ecco, noi avremmo voluto sentire queste parole oggi, qui, signor Presidente del Consiglio.
Invece, noi abbiamo sentito da parte sua espressioni non preoccupate, non consapevoli dei rischi che stanno di fronte all'umanità, ma espressioni che hanno teso a dare legittimità a una guerra illegittima: sostanzialmente, espressioni che ci dicono che lei e il suo Governo condividono questa avventura bellica in cui si stanno imbarcando gli Stati Uniti e alcuni altri paesi, fuori di qualsiasi quadro dell'ONU, fuori di qualsiasi quadro di legittimità internazionale.
L'onorevole Rutelli le ha già ricordato con efficacia quante sue dichiarazioni delle scorse settimane avessero segno diverso da queste, in un continuo giro di valzer di posizioni che erano ispirate da un'unica regola, che è una regola che lei segue spesso: quella di dire all'interlocutore che ha di fronte ciò che l'interlocutore vuol farsi dire e sentirsi dire (Applausi dei deputati dei gruppi dei Democratici di sinistra-l'Ulivo, della Margherita, DL-l'Ulivo, Misto-Comunisti italiani, Misto-Socialisti democratici italiani e Misto-UDEUR-Popolari per l'Europa), ossia compiacere l'interlocutore nella speranza così di ottenere un credito. Ma il credito non si ottiene così. La credibilità di un paese si ottiene se si ha una linea politica chiara e la si sostiene. Lei ritiene per le ragioni che ci ha esposto qui, che l'intervento americano in Iraq sia legittimo? Allora, abbia il coraggio di assumersi la responsabilità di partecipare a questa guerra (Applausi dei deputati dei gruppi dei Democratici di sinistra-l'Ulivo, della Margherita, DL-l'Ulivo, Misto-Comunisti italiani, Misto-Socialisti democratici italiani e Misto-UDEUR-Popolari per l'Europa)! Invece, lei questo coraggio non ce l'ha (Commenti dei deputati del gruppo di Alleanza nazionale)! Lei è venuto qui a dirci che questa guerra è legittima per poi concludere che l'Italia non è belligerante. Lei, insomma, vorrebbe ma non può.
La verità è che, ancora una volta, lei ha dato una dimostrazione di inadeguatezza grave alle responsabilità che spettano ad un Governo. In ogni caso, finché questo deprime la credibilità sua e del suo Governo, poco male, ma nel momento in cui questo atteggiamento deprime la credibilità del paese, lei produce un danno all'Italia intera, al suo prestigio internazionale ed al ruolo che il paese può giocare (Applausi dei deputati dei gruppi dei Democratici di sinistra-l'Ulivo, della Margherita, DL-l'Ulivo, Misto-Comunisti italiani, Misto-Socialisti democratici italiani, Misto-UDEUR-Popolari per l'Europa e Misto-Verdi-l'Ulivo - Commenti dei deputati del gruppo di Alleanza nazionale).

PRESIDENTE. Onorevole Fassino, per cortesia, concluda rapidamente.

PIERO FASSINO. Signor Presidente, ho terminato.
Io penso che quello che questo Parlamento deve dire - e noi sentiamo il dovere di dire - è che questa è una guerra sbagliata, insensata e ingiustificata, un'iniziativa militare unilaterale che non deve essere sostenuta (Commenti di deputati del gruppo di Forza Italia). È quello che chiedono milioni di donne e di uomini del nostro paese e noi chiediamo al Governo italiano di tenerne conto. Se il Governo italiano non intende tenere conto di tutto ciò, saremo noi dell'opposizione a farci carico di rappresentare quell'Italia, che è la stragrande maggioranza dei cittadini italiani (Commenti dei deputati dei gruppi di Forza Italia e di Alleanza nazionale), che non vuole la guerra e vuole la pace (Vivi e prolungati applausi dei deputati dei gruppi dei Democratici di sinistra-l'Ulivo, della Margherita, DL-l'Ulivo, Misto-Comunisti


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italiani, Misto-Socialisti democratici italiani e Misto-UDEUR-Popolari per l'Europa, che scandiscono: «Pace! Pace!»).

PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto l'onorevole Adornato. Ne ha facoltà (Commenti di deputati dei gruppi dei Democratici di sinistra-l'Ulivo, della Margherita, DL-l'Ulivo e Misto-Comunisti italiani) ... Onorevoli colleghi, il dibattito si è svolto con civiltà. Chi l'ha seguito alla televisione ha visto il rispetto che c'è stato tra tutti, per cui vi prego di non venir meno a questa che, tra l'altro, è una regola di buona educazione.
Onorevole Adornato, a lei la parola.

FERDINANDO ADORNATO. Signor Presidente, signor Presidente del Consiglio, onorevoli colleghi, il nostro dibattito ha assunto a tratti toni davvero irreali. L'opposizione, salvo l'onorevole Fassino - ma poi ci tornerò -, parla come se l'Italia stesse decidendo di entrare in guerra (Commenti dei deputati dei gruppi dei Democratici di sinistra-l'Ulivo e Misto-Comunisti italiani). Non è così. È bene allora ricordarlo al paese, viste le reazioni. Nessun soldato italiano parteciperà al conflitto; il nostro non è e non sarà un paese belligerante. Noi oggi decidiamo solo ciò che è già previsto dai trattati internazionali esistenti e cioè la concessione dell'uso delle basi e la facoltà di sorvolo. Lo facciamo votando in quest'aula, a differenza del 1999, prima che qualsiasi conflitto cominci (Applausi dei deputati dei gruppi di Forza Italia e Alleanza nazionale).
Nonostante ciò, veniamo politicamente aggrediti con la pretesa che l'Italia decreti un vero e proprio atto di ostilità nei confronti degli Stati Uniti rifiutando loro un sostegno logistico che, ripetiamolo, persino Francia e Germania non negano. Altro che continuità, onorevole Rutelli! Questo è un atto - quello che sta nella vostra risoluzione - che muterebbe l'intera storia della nostra politica estera e persino la nostra collocazione in Europa.
Noi comprendiamo la coerenza dell'onorevole Bertinotti, ma siamo preoccupati che la logica del «senza se e senza ma» diventi la logica politica dell'intero centrosinistra, una logica che vi porta oggi su vecchie posizioni antiatlantiche. Ebbene, sappiate, e lo sappia l'Italia, che questa non potrà mai essere la logica di governo di una grande nazione occidentale (Applausi dei deputati dei gruppi di Forza Italia, di Alleanza nazionale e Misto-Liberal-democratici, Repubblicani, Nuovo PSI)!
In un momento così difficile ci aspettavamo maggiore compostezza e responsabilità e da questo punto di vista ringrazio di cuore l'onorevole Rutelli, perché con il suo intervento ha consentito ciò che, secondo noi, doveva avvenire fin dall'inizio e cioè che anche la sinistra applaudisse le parole del Presidente del Consiglio (Commenti dei deputati dei gruppi dei Democratici di sinistra-l'Ulivo e Misto-Comunisti italiani).
Pur esibendo le vostre legittime posizioni, ci aspettavamo che, sia pure soltanto uno di voi, si augurasse, come ha comunque fatto Chirac, una rapida vittoria degli alleati, ma nessuno lo ha fatto; oppure, che qualcuno imitasse almeno Bill Clinton, il quale, pur contestando Bush, ha inviato una lettera di aperto sostegno a Blair, entrambi una volta vostri amici, riconoscendo che: «la minaccia di veto non ha aiutato la diplomazia».
Ci saremmo almeno accontentati di ascoltare le stesse parole che D'Alema, da Presidente del Consiglio, pronunciò in quest'aula nel 1999, le ricordo: «Chiedo al Parlamento di non sacrificare, in un momento così cruciale, la comune responsabilità verso gli interessi del paese». Facciamo nostre queste sue parole, onorevole D'Alema, le facciamo nostre oggi come il centrodestra le fece sue allora, peccato che sia lei a non farle più sue, venendo meno alla stessa responsabilità che allora chiedeva giustamente e implicitamente suggerendo una ardita teoria politologica, secondo la quale l'unica guerra giusta sarebbe quella che avviene quando la sinistra è al Governo (Applausi dei deputati dei gruppi di Forza Italia e di Alleanza nazionale).
Se c'è una differenza tra il Kosovo e l'Iraq, entrambi conflitti senza un mandato


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ultimativo dell'ONU, essa è una sola: allora l'Italia entrava direttamente in guerra, oggi no. L'Italia non lo fa per un semplice motivo, onorevole Fassino, perché questa maggioranza, approfittando dell'opera sempre più accreditata del nostro Premier, ha inteso finora e intende per il futuro, fin dalla riunione del Consiglio europeo di domani, semplicemente ritagliare all'Italia un'altra linea, una linea di equilibrio e di mediazione nell'aspro confronto che si è aperto nella comunità internazionale. Un ruolo che corrisponde alla storica vocazione dell'Italia ed alla necessità di sanare le ferite aperte nell'ONU, nell'Unione europea, nella NATO, soprattutto per il ruolo di Presidenza che competerà al nostro paese nel prossimo semestre. Si tratta di un ruolo che esige grande prudenza e diplomazia - come fa a non capirlo onorevole Fassino? - anche a costo di correre il rischio di apparire in qualche occasione silenziosi o non espliciti.
Per tale motivo abbiamo giudicato nefasta l'ipotesi di un conflitto che nascesse con una spaccatura dell'ONU; non ci riconosciamo, cioè, nell'esito finale del lavoro di mediazione, che pure Bush e Powell fin dall'inizio hanno cercato, così come non abbiamo considerato utile che diversi paesi, Francia in testa, mostrassero di dimenticare che le pur parziali conquiste degli ispettori erano dovute unicamente alla pressione militare che americani e inglesi, non francesi, esercitavano nei confronti dell'Iraq, mentre, al contrario, la risoluzione n. 1441 pretendeva un disarmo immediato e senza condizioni, ed è quella la base di legittimità del conflitto odierno.
Quel che sarà certo comunque alla fine di tali confronti, è che l'ordine mondiale richiede un nuovo disegno. Viviamo in un pianeta completamente diverso dal passato, un pianeta che ha assistito l'11 settembre alla terribile epifania della guerra globale del terrorismo in un quadro nel quale l'ordine di Yalta era già da tempo superato, perciò abbiamo bisogno di strumenti nuovi. Il mondo non può essere guidato da una sola superpotenza, né vogliamo che crescano nuove superpotenze tra loro antagoniste.
La nostra generazione deve, viceversa, immaginare un nuovo multilateralismo democratico, con sedi internazionali rinnovate nelle strutture e nelle regole, perché l'ONU fatica a stare al passo con i tempi. L'Europa può, e deve, essere attore centrale di questo nuovo multilateralismo, ma - ecco il punto politico - noi non pensiamo che il volto europeo del multilateralismo possa e debba essere costruito in contrasto con gli Stati Uniti. Ecco il punto politico.
Se Chirac pensa questo, commette un autentico errore storico; la nostra generazione deve andare oltre Yalta, ma non per tornare indietro agli anni trenta, quando una Europa riottosa ed ostile verso Washington si infilò in un buio tunnel, dal quale sono stati poi gli americani a liberarla. Oltre Yalta vuol dire riproporre con nuovi diritti e nuovi doveri un'alleanza indissolubile tra le grandi democrazie liberali del pianeta e studiare nuove forme di collaborazione con le aree più arretrate del mondo.
Signor Presidente, nessun paese democratico oggi si sente equidistante, così anche l'Italia che solennemente ribadisce oggi in quest'aula la sua amicizia con gli Stati Uniti e la sua avversione nei confronti di Saddam. Auspichiamo una vittoria rapida degli alleati e la definitiva liberazione dell'Iraq dal suo tiranno che poi, come Milosevic, dovrà essere processato da un tribunale internazionale.
Vogliamo ricordare alle ragazze ed ai ragazzi del nostro paese una cosa importante: la pace è e deve essere per tutti un valore supremo e universale, ma la parola pace, separata dalla parola libertà, perde ogni valore (Applausi dei deputati dei gruppi di Forza Italia, di Alleanza nazionale e della Lega nord Padania)! Può esserci pace, infatti, anche nel rumoroso silenzio delle dittature, là dove tutto tace, perché viene negato e vilipeso ogni diritto umano e siccome si è parlato della cultura cattolica (Commenti dei deputati del gruppo della Margherita, DL-l'Ulivo), vorrei ricordare


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l'enciclica Pacem in terris di Giovanni XXIII che ricordava come la pace «può esistere solo nel pieno rispetto del principio che ogni essere umano è persona, soggetto di diritti inviolabili e che essa» - la pace - «può realizzarsi solo se fondata su verità, giustizia, amore e libertà».
A tale proposito però vorrei osservare che non è giusto da parte di nessuno trasformare la Chiesa o il Papa Wojtyla in un leader politico, osannandolo e ricusandolo a seconda delle convenienze, strumentalizzando il suo magistero pacificatore (Applausi dei deputati dei gruppi di Forza Italia, di Alleanza nazionale e dell'Unione dei democratici cristiani e dei democratici di centro), non pacifista, a puri fini di parte.
Pace e libertà, questo sta scritto sulle nostre bandiere ed invitiamo anche noi ad esporle in tutte le case del paese, con una sfida però alle bandiere arcobaleno: aggiungete, aggiungiamo a chiare lettere anche la parola: libertà, senza peraltro dimenticare che la più solenne bandiera di pace resta per tutti noi quella italiana, quella del nostro paese (Applausi dei deputati dei gruppi di Forza Italia e di Alleanza nazionale)!
Al tempo del Kosovo tutti invocammo l'emergenza, l'ingerenza umanitaria: era vero, ma attenzione, il nostro cuore non può andare solo lì dove vogliono i media. Le immagini dei profughi kosovari colpirono giustamente l'emozione del mondo e crearono consenso a quella guerra.
Ebbene, oggi, solo perché la TV non ce li ha mostrati, dobbiamo forse dimenticare i 4 mila villaggi, le 2 mila scuola, le 2 mila e 500 moschee, i 300 ospedali e chiese distrutte da Saddam? Dobbiamo dimenticare i 2 milioni di curdi che sono stati deportati? Dobbiamo dimenticare che 5 mila di essi, bambini, vecchi e donne, sono stati sterminati con gas nervino, quello stesso gas che per 12 anni Saddam ha nascosto ad ogni ispezione dell'ONU? Non le abbiamo viste in TV, ma non le abbiamo comunque davanti ai nostri occhi quelle immagini? Attenti allora a questo strabismo mediatico: la politica deve tenere gli occhi aperti, anche senza le TV, altrimenti renderemmo i nostri popoli responsabili di una tragica indifferenza umanitaria.
Per tale motivo, noi che vogliamo la pace oggi diciamo: Iraq libero senza se e senza ma e lavoreremo perché intorno a questi principi di pace e libertà la comunità internazionale, l'Europa, assieme agli Stati Uniti, ritrovino la via maestra di una rinnovata unità ideale e politica (Applausi dei deputati dei gruppi di Forza Italia, di Alleanza nazionale, dell'Unione dei democratici cristiani e dei democratici di centro, della Lega nord Padania e Misto-Liberal-democratici, Repubblicani, Nuovo PSI - Congratulazioni).

PRESIDENTE. Sono così terminate le dichiarazioni di voto, con la ripresa televisiva diretta.
Ringrazio tutti indistintamente per la correttezza ed anche per la precisione sui tempi. Si svolgeranno adesso gli interventi a titolo personale, per un minuto di tempo ciascuno.
Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto, a titolo personale, l'onorevole Craxi. Ne ha facoltà.

BOBO CRAXI. Signor Presidente della Camera, onorevoli colleghi, l'intervento del Presidente del Consiglio dei ministri non ha fugato i dubbi sorti nelle ultime settimane in merito all'atteggiamento del nostro Governo dinanzi ad un attacco preventivo ed unilaterale contro l'Iraq, non sostenuto dalle Nazioni Unite. Vi sono vistosi deficit di legittimità politica, di legalità internazionale e motivate perplessità di ordine morale di cui è impossibile non tener conto.
Io penso che il Governo italiano, invece di sostenere l'ultimatum delle Azzorre, aveva il dovere di spiegare ai propri alleati, con parole forti e chiare, che il rispetto delle risoluzioni dell'ONU avrebbe dovuto essere imposto innanzitutto con la pazienza e non con la violenza. Presto o tardi Saddam sarebbe stato messo con le spalle al muro. Osservatori non armati di pregiudizio possono ben giudicare quale conseguenza ha già prodotto questa scellerata decisione americana.


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Io penso che l'Italia, senza mancare di rispetto all'amico americano, avrebbe dovuto disapprovare questo passo di guerra. Dico «no» alla guerra unilaterale preventiva, «no» alla adesione italiana a questa coalizione, «no» perché bisogna essere capaci di dire «no» con rispetto e dignità, esprimendo un sentimento, non certo in solitudine, di una coerente e limpida tradizione politica, che porto a testa alta e che passa anche per l'esemplare posizione politica internazionale di Bettino Craxi e dei socialisti italiani che seppero interpretare i sentimenti di un popolo e l'orgoglio dell'intera nazione (Applausi dei deputati dei gruppi del Misto-Liberal-democratici, Repubblicani, Nuovo PSI, dei Democratici di sinistra-l'Ulivo, della Margherita, DL-l'Ulivo, del Misto-Comunisti italiani, del Misto-Socialisti democratici italiani e del Misto-UDEUR-Popolari per l'Europa).

PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto, a titolo personale, l'onorevole Sgarbi. Ne ha facoltà.

VITTORIO SGARBI. Onorevole Presidente della Camera, onorevole Presidente del Consiglio, onorevoli colleghi, credo che la comunità parlamentare non possa che apprezzare il suo lieve ma evidente spostamento a sinistra, avendo dichiarato una non belligeranza esplicita, in perfetta concordia con la posizione del Governo tedesco e con quella più timida assunta da Governi di sinistra come quelli danese, ceco, ungherese, polacco e inglese che hanno aderito incondizionatamente alla posizione degli americani.
Mi è sembrato bello quindi ascoltare Fassino esortare il Presidente del Consiglio al coraggio di uscire dalla timidezza di una posizione pacifista per entrare in una solenne e dichiarata accettazione della guerra che egli qui ha ricusato. Per questa ragione non ho mai sentito il Presidente del consiglio del Governo di centrodestra così affine alle posizioni di una sinistra pacifista e non belligerante. Quindi, lui, con la sua famiglia, interpretano i pensieri che la sinistra di Governo non ha interpretato quando ha governato questo paese (Applausi).

PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto, a titolo personale, l'onorevole De Franciscis. Ne ha facoltà.

ALESSANDRO DE FRANCISCIS. Signor Presidente, onorevoli colleghi, ho chiesto di esprimere, a titolo personale, il mio voto favorevole sulla risoluzione presentata dall'opposizione, che ovviamente condivido, e vorrei farlo da italiano, da democratico cristiano, da cattolico, che ha ascoltato la voce ferma del Papa (che dice mai più la guerra), ma anche da americano. Sì, da americano!
Troppe volte in questo dibattito ho sentito brandire ingiustificatamente la questione dell'amicizia al popolo americano. Onorevoli colleghi, io sono cittadino degli Stati Uniti d'America. Lo sono dalla nascita, ne sono orgoglioso - è il paese di mia madre e dei miei nonni - anche perché è il paese nel quale ho vissuto lungamente, ho studiato, ho affetti ed amici tra i più cari. Ebbene, poiché non so quanti di voi hanno questa mia stessa peculiare ventura, chiederei al Governo di non parlare più in maniera ipocrita del sentimento di amicizia con il popolo americano (Commenti dei deputati dei gruppi di Forza Italia e di Alleanza nazionale).
Appartengo a quel popolo e posso assicurarvi che esso condivide la preoccupazione nostra e, nonostante lo shock dell'11 settembre, di gran parte dei popoli europei. Le convenienze e l'intesa con il Governo degli Stati Uniti d'America non possono essere falsificate fino a nascondere quanti, e mi avvio alla conclusione, in quel grande ed operoso popolo, combattono il dramma della povertà, coltivano il rispetto per la cultura, le arti e le istituzioni democratiche e quelle internazionali, ed amano sinceramente il dialogo con tutti gli altri popoli e, sommamente, il dono della pace che questa sera voi concorrete ad allontanare (Applausi dei deputati del gruppo della Margherita, DL-l'Ulivo - Commenti dei deputati Bornacin e Losurdo)!

PRESIDENTE. Sono così esaurite le dichiarazioni di voto.

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