Allegato B
Seduta n. 280 del 13/3/2003


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BENI E ATTIVITĄ CULTURALI

Interrogazione a risposta in Commissione:

GRIGNAFFINI e ZANOTTI. - Al Ministro per i beni e le attività culturali. - Per sapere - premesso che:
fin dal 1939 il complesso monumentale e gli spazi intorno alla Piazza Maggiore di Bologna sono tutti sottoposti alle disposizioni della legge giugno 1939, n. 1089, sulla protezione delle cose aventi interesse artistico storico - poi recepite nel testo unico della legge n. 490 del 1999 - e che nei primi anni ottanta la locale soprintendenza per i beni architettonici e per il paesaggio sollecitò al Ministero un decreto, emanato in data 25 maggio 1984, che imponeva «particolari prescrizioni nei confronti dell'area pubblica sulla Piazza Maggiore e sulle adiacenti Via de' Pignattari, Piazza del Nettuno e Piazza Re Enzo» al fine di «evitare che vengano compromesse con manufatti a carattere temporaneo e permanente le attuali, armoniche visuali aperte sui fabbricati storici (...) che introdurrebbero per conseguenza strutture senz'altro dissonanti, per forma e materiali, rispetto all'armonia spaziale risultante dagli storici edifici summenzionati, dove predomina il gioco dei pieni e dei porticati, alterando quindi le condizioni di ambiente e di decoro dei richiamati complessi monumentali»;
nel corso del tempo la competente soprintendenza per i beni architettonici e per il paesaggio ha sempre esercitato un controllo molto accurato per ottenere il rispetto di quanto prescritto. Basti ricordare, ad esempio, il rigore dimostrato nel


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1993, in occasione del rifacimento dell'impianto di illuminazione di Piazza Maggiore, quando fu imposto un effetto di chiarore diffuso, a ricreare antiche atmosfere, rispetto ad una luminosità più intensa, pur motivata da esigenze di sicurezza dei cittadini, e il confronto approfondito che precedette la concessione del nulla osta alla collocazione di ampi pannelli pubblicitari a copertura del ponteggio per il restauro di Palazzo dei Banchi;
il comune di Bologna ha deciso di costruire un «Padiglione informativo sui progetti per la città» in Piazza Re Enzo recuperando un preesistente sottopassaggio, da tempo in disuso, come galleria espositiva ed erigendo in superficie due «gemme» luminose in vetro, di notevoli dimensioni (metri 15 per 8,50 per un'altezza di metri 4,20), pari ad una superficie di circa 100 metri quadri ognuna, ed ha richiesto il nulla osta della soprintendenza per i beni architettonici e per il paesaggio;
secondo le descrizioni fornite dallo stesso comune di Bologna in alcune brochure illustrative, il progetto architettonico in questione ha «quale elemento visibile e di richiamo due gocce trasparenti di forma ellittica a completare lo spazio di Piazza Re Enzo», incredibilmente definita «allo stato di fatto un luogo senza particolare connotazione», che solo con l'inserimento del padiglione diventerebbe «parte del sistema di piazze» del centro cittadino;
sempre secondo la presentazione del comune di Bologna, «in antitesi alla massa espressa dagli edifici circostanti, in gran parte costruiti in mattoni, i due oggetti sono invece caratterizzati dalla trasparenza e dalla leggerezza. Le gocce (...) sono interamente rivestite, per tutto il perimetro, da una doppia pelle. La pelle esterna di vetro laminato curvato secondo la geometria dell'edificio; la seconda, interna, (...) costituita da una serie di tubi verticali di plexiglas (12 centimetri di diametro) trasparenti. Durante il giorno la luce naturale si riflette e fa vibrare l'involucro, di notte la luce artificiale proiettata dall'interno trasforma le gocce in due oggetti pulsanti»;
le due «gocce» si caratterizzano come elementi di puro richiamo e non hanno finalità di carattere funzionale, in quanto l'esposizione dei progetti avverrà negli spazi della galleria sottostante;
gli elementi fondanti del progetto, per ammissione stessa del comune committente e dell'architetto progettista, sono sostanzialmente tre (forma, materiali e visibilità) e che tutti e tre appaiono in palese difformità con quanto prescritto dal decreto ministeriale del 1984. Infatti la forma ellittica e i materiali delle «gocce» contrastano volutamente con lo sfondo di mattoni, pietre e forme gotiche di Palazzo Re Enzo nel rifacimento rubianesco che la legge intende tutelare, e la forte visibilità, finalizzata a catturare l'attenzione da più angolazioni prospettiche grazie a un'intensa illuminazione artificiale, finirà inevitabilmente per disperdere, di notte, quell'effetto di luce soffusa per il quale la soprintendenza tanto impegno ha profuso solo pochi anni fa;
il già citato decreto ministeriale 25 maggio 1984 prescrive testualmente che «sullo spazio pubblico, come descritto nelle premesse e nel dispositivo, non è ammesso l'inserimento di qualsiasi manufatto temporaneo e permanente, di forme estremamente contrastanti con gli edifici di interesse storico e artistico circostanti, pregiudizievole alle condizioni di decoro e di ambiente dei complessi monumentali che prospettano rispettivamente sulla Piazza Maggiore, sulla Via dei Pignattari, sulla Piazza del Nettuno e sulla Piazza Re Enzo»;
la competente soprintendenza per i beni architettonici e il paesaggio per le province di Bologna, Modena, Reggio Emilia, Parma e Piacenza, nonostante tutto ciò, all'inizio del novembre 2002 ha rilasciato il nulla osta al progetto per la durata di due anni, che nelle dichiarazioni dell'assessore comunale all'Urbanistica sarebbero già esplicitamente diventati tre o quattro, e poi si deciderebbe in seguito;
dato atto altresì che la medesima soprintendenza in questi stessi mesi è al


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centro di polemiche a Piacenza, dove invece ha negato l'autorizzazione ad eliminare alcune tardive murature che tamponano preesistenti arcate per fare posto a delle vetrate nel cortile interno di Palazzo Gotico -:
sulla base di quali valutazioni tecniche ed estetiche la competente soprintendenza abbia potuto concedere il nulla osta al progetto del comune di Bologna, anche alla luce del fatto che la temporaneità del manufatto, non del tutto chiara rispetto alla effettiva durata temporale, non rappresenta affatto una motivazione plausibile, essendo esplicitamente esclusa dalla norma;
come la stessa soprintendenza possa spiegare i suoi diversi comportamenti a Piacenza e a Bologna;
se il Ministro per i beni e le attività culturali non ritenga che il nulla osta rilasciato dalla soprintendenza sia manifestamente in contrasto con il dettato e lo spirito del decreto ministeriale in data 25 maggio 1984;
quali misure intenda adottare qualora siano accertate irregolarità relativamente al rilascio del nulla osta alla costruzione del manufatto temporaneo oggetto della presente interrogazione;
se non ritenga, infine, visto il carattere problematico della questione, di sottoporla per un parere ai competenti comitati di settore del Ministero per i beni e le attività culturali.
(5-01768)

Interrogazione a risposta scritta:

REALACCI. - Al Ministro per i beni e le attività culturali. - Per sapere - premesso che:
su La Repubblica di questa settimana il professor Settis, direttore della Scuola Superiore S. Anna ed eminente storico dell'arte, ha lanciato un allarme sul futuro dei beni culturali italiani;
la dismissione del patrimonio artistico prevista dalla legge Tremonti del 15 giugno 2002, infatti, arriva dove non era arrivato nessuno prima d'ora, e cioè alla sostanziale equiparazione, ai fini della vendita, tra beni del demanio pubblico e beni del demanio artistico «rendendo tutti i beni dello Stato disponibili ai meccanismi della cartolarizzazione e della vendita, in un gioco di bussolotti fra la «Patrimonio dello Stato s.p.a.» e la «Infrastrutture s.p.a ...coinvolgendo anche quella parte del patrimonio pubblico che è di riconosciuto valore storico-artistico e che era sempre stata inalienabile», con l'unica, debole garanzia di una preventiva intesa con il ministro dei beni e attività culturali, peraltro limitata ai soli monumenti «di particolare valore artistico e storico»;
una direttiva emanata dal Cipe il 19 dicembre 2002, che ha fissato precisi paletti «etici» alla dismissione dei beni artistici, e le dichiarazioni del Ministro dei beni e le attività culturali, Giuliano Urbani, sul suo personale intervento diretto al presidio del patrimonio artistico e la nuova codificazione delle norme di tutela, avrebbe dovuto accrescere le garanzie di tutela;
il Ministro Tremonti ha già cominciato a svendere il nostro patrimonio culturale attraverso una norma della legge n. 410 del 23 novembre 2001, emanata prima della Patrimonio spa istitutiva della Scip, «Società per la Cartolarizzazione degli immobili Pubblici»: ...«la norma è concepita in modo da evitare lo scomodo passaggio attraverso il parere del Ministero per i beni e le attività culturali, al punto che la stessa inclusione di un determinato immobile nelle liste pubblicate dal ministero dell'economia, secondo la legge «produce il passaggio dei beni al patrimonio disponibile» (articolo 3, comma 1), sottraendoli al demanio artistico (per sua natura inalienabile), e rendendone in tal modo agevole la vendita con un meccanismo ancor più radicale»;
come ha rivelato sul Giornale dell'arte di febbraio 2003 Gaetano Palumbo (del


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World Monuments Fund), si è già proceduto attraverso la Scip a una prima asta di 35 beni di proprietà pubblica, da Milano a Palermo, da Genova a Trieste e la legge prevede esplicitamente che gli immobili da porsi in vendita con questa procedura «non sono soggetti alle autorizzazioni di cui al decreto legislativo 490/1999», cioè al testo unico sui beni culturali, ed esclude ogni diritto di prelazione nell'acquisto da parte di tutti gli enti pubblici, centrali e locali (articolo 3, comma 17). Viene in tal modo elusa anche la procedura per «l'alienazione di beni immobili del demanio storico e artistico» fissata dal governo precedente con decreto del Presidente della Repubblica 283/2000, e più volte richiamata dal Ministro Urbani come garanzia contro le dismissioni troppo facili;
il decreto-legge n. 282 del 24 dicembre 2002, convertito dalla legge n. 27 del 21 febbraio 2003, ha introdotto il concetto di «dismissione urgente», mettendo in vendita «a trattativa privata, anche in blocco» in una trentina di città italiane svariati immobili, di cui 27 appartenenti all'ente tabacchi. «Fra gli altri immobili velocissimamente posti in vendita figura la Manifattura di Firenze, edificio monumentale già vincolato dal ministero (che non è stato nemmeno consultato), ma dismesso da Tremonti in dispregio delle leggi e delle dichiarazioni del suo collega Urbani, per quanto già destinato a «Cittadella della Cultura». Un altro esempio è la Manifattura di Milano, già destinata alla scuola nazionale del cinema (che dipende dal ministero per i beni e le attività culturali), e letteralmente «scippata» da un ministro all'altro. In molti casi, l'acquirente risulta essere la Fintecna, e cioè una società privata (ex Iri), ma controllata dallo stesso ministero dell'economia e delle finanze: così per esempio l'edificio di Tor Pagnotta a Roma, dove hanno sede uffici del ministero dell'economia e delle finanze, non sarà più proprietà dello stesso ministero, ma di Fintecna, che tuttavia è da esso controllata, e a essa dovrà pagare l'affitto, con un'operazione, suppongo, di finanza «creativa», o meglio fittizia. Il vulnus inferto da questa legge alle norme di tutela, ma anche alla credibilità delle dichiarazioni governative, getta un'ombra sinistra sul futuro del nostro patrimonio monumentale e ambientale -:
se siano allo studio del ministero per i beni e le attività culturali operazioni analoghe a quella descritta in premessa e, in caso affermativo, quali;
quale sia, su questo fronte, la politica del Governo, se quella del Ministro Urbani, o quella delle dismissioni del Ministro Tremonti.
(4-05738)