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PRESIDENTE. L'onorevole Deiana ha facoltà di
ELETTRA DEIANA. Signor Presidente, il Governo, nella persona del sottosegretario che è presente anche oggi, ha già risposto ad un'interpellanza dell'onorevole Bulgarelli che sollevava problemi egualmente connessi all'esistenza di Camp Darby e, in parte, coincidenti con le questioni da me poste oggi. Ritorniamo sull'argomento per due ragioni: sia perché la risposta del sottosegretario Bosi non è stata soddisfacente su punti essenziali di fondo, che rivestono per noi una grandissima importanza, e sia perché alla questione di Camp Darby sono legati altri aspetti connessi con lo specifico militare di questa base, specifico che in questo momento, così fortemente segnato dai venti di guerra, assume una valenza assolutamente evidente.
risvolti per la sicurezza delle popolazioni, per l'equilibrio ambientale e, oggi, anche per la sicurezza materiale, visto che siamo in un quadro strategico così fortemente collegato alla strategia statunitense della lotta al terrorismo, con tutti gli annessi e connessi che questo comporta. Per avere chiaro cosa significhino la forte limitazione e l'alienazione della sovranità territoriale, basta pensare al pericolo connesso con lo stoccaggio di materiale ad altissimo rischio oppure al fatto che, in questi mesi - ed è una delle questioni da me sollevate nell'interpellanza -, è iniziato il potenziamento del canale navigabile del Tombolo, per il quale la NATO - sottolineo: la NATO - ha varato un programma di cementificazione dei fondali e di allargamento, in modo da raddoppiarne la capacità di carico da qui al 2010. Questa è una forma di alienazione dell'uso del territorio e di spostamento della sovranità decisionale ad altri soggetti.
PRESIDENTE. Il Sottosegretario di Stato per la difesa, senatore Francesco Bosi, ha facoltà di
FRANCESCO BOSI, Sottosegretario di Stato per la difesa. Signor Presidente, l'interpellanza urgente presentata degli onorevoli Deiana e Giordano riguarda una questione che, del resto, come è stato ricordato testé, il Ministero della difesa ha già avuto modo di trattare in merito a Camp Darby rispondendo il 23 gennaio ultimo scorso ad una interpellanza urgente presentata dall'onorevole Bulgarelli. Nella circostanza è stato puntualizzato come, sul piano degli accordi internazionali, la presenza di forze NATO o di forze statunitensi in Italia si inquadri nell'ambito dell'applicazione del Trattato del nord Atlantico del 1949. Al riguardo, per l'utilizzazione delle basi non vige alcuna condizione di extraterritorialità, permanendo - lo ripeto - allo Stato italiano l'esercizio pieno della sovranità. Difatti, nello specifico di Camp Darby il comandante della base è anche un ufficiale italiano, delle nostre Forze armate. In particolare, le basi intese come porzione di territorio di sostegno logistico-operativo, dotate di uomini e mezzi, non appartengono, dunque, alla NATO o agli americani, ma esse sono concesse in uso a forze militari della NATO o statunitensi, senza
che la sovranità nazionale sia in alcun modo messa in discussione.
PRESIDENTE. L'onorevole Deiana ha facoltà di
ELETTRA DEIANA. Signor Presidente, non sono soddisfatta della risposta perché il sottosegretario Bosi, in merito alla questione della sovranità territoriale, ha ripetuto le stesse dichiarazioni con le quali ha risposto al collega Bulgarelli, senza aggiungere altro, eludendo le questioni che ho posto come elemento di approfondimento di tale aspetto.
nuove strategie militari degli Stati Uniti d'America, che incontrano tra l'altro grandissima difficoltà ad egemonizzare molti paesi della stessa Europa, ma che in pratica convergono sull'idea che vi sia questo pericolo. Allora la presenza di una base come quella di Camp Darby si presta a ad esporre l'Italia ad essere bersaglio sensibile? Questa è la domanda politica che io pongo, considerato che esiste continuamente questa sollecitazione da parte degli Stati Uniti d'America e da parte del Governo italiano a metterci in guardia sui pericoli che corriamo. Perché non dovremmo correrli, considerato che siamo una sorta di portaerei degli Stati uniti nel Mediterraneo? Questa è la prima domanda.
Il sottosegretario Bosi ha spiegato che a suo giudizio - e a giudizio del Governo, suppongo - non c'è alcun pregiudizio o limite per la sovranità territoriale della base. Signor sottosegretario, lei ha spiegato che le basi, intese come porzioni di territorio di sostegno logistico ed operativo, dotate di uomini e mezzi, non appartengono alla NATO o agli americani. Esse sono solo concesse in uso alle forze militari della NATO o statunitensi, senza che la sovranità nazionale sia in alcun modo limitata o messa in discussione. Contestiamo fortemente questa interpretazione del problema delle basi. La presenza di Camp Darby, come d'altra parte di altre basi, si configura oggettivamente come una forma molto radicale - estrema, direi - di alienazione funzionale del territorio e, di conseguenza, di sottrazione del medesimo all'uso, al godimento, al beneficio e alla sicurezza delle popolazioni locali. Questa si chiama limitazione forte della sovranità territoriale che significa non soltanto vendere il territorio ma anche alienarne l'uso sociale. Tutto questo avviene con forti
Tuttavia, mi interessa sottolineare un altro aspetto. Siamo in una fase politica segnata da una radicalizzazione assai forte delle questioni legate alla guerra. Quindi, acquista una dimensione molto specifica tutto quello che ha a che fare con le basi, con la NATO, con l'alleanza con gli Stati Uniti e con tutti gli aspetti connessi. Le questioni che noi solleviamo hanno una particolare attinenza proprio a tutto questo.
Quindi, chiedo al sottosegretario ed al Governo se non si ritenga che Camp Darby, in questo modo attrezzato, non costituisca un vero e proprio avamposto militare degli Stati Uniti sul nostro territorio, con grave nocumento della sovranità nazionale, secondo quanto ho detto prima, ma soprattutto con il rischio di rappresentare il bersaglio di eventuali azioni terroristiche, di cui tanto si discute e che tanto vengono paventate dal Governo. Inoltre, chiediamo di sapere se non sia un rischio la presenza di una santabarbara di tale portata, in un momento in cui si apre così ravvinatamente la fase finale, lo show down finale della guerra contro l'Iraq. La domanda che a me sta particolarmente a cuore è se in questo nuovo quadro, così fortemente contrassegnato dalla rimessa in discussione del contesto delle norme e del diritto internazionale, delle alleanze e dei trattati, così fortemente segnato da una forte discussione all'interno della stessa NATO, il Governo non ritenga utile, oltre che necessaria, una ridiscussione a fondo degli accordi che stanno a presidio del mantenimento di una base come quella di Camp Darby in Italia, che è il risultato, appunto, di un accordo. Quindi, tutti gli accordi possono essere rimessi in discussione, non certo unilateralmente - ci mancherebbe - ma bilateralmente, aprendo una fase di verifica su quanto siano utili questi insediamenti nel nostro paese, in particolare un insediamento come quello di Camp Darby.
Come detto, gli accordi che regolano la materia trovano il proprio fondamento nell'articolo 3 del Trattato di Washington e negli accordi discendenti: Convenzione di Londra del 19 giugno 1951, NATO Status of Forces Agreement - SOFA, ratificata dall'Italia con la legge n. 1335 del 1955; Protocollo di Parigi del 28 agosto 1952, approvato con la legge 30 novembre 1955, n. 1338; Convenzione di Ottawa del 20 settembre 1951, approvata con la legge 10 novembre 1954, n. 1126; decreto del Presidente della Repubblica 18 dicembre 1962, n. 2083.
In tale quadro, si inseriscono gli accordi bilaterali che regolano la presenza delle forze statunitensi in Italia. Sono accordi sia generali, che prevedono forme di assistenza militare reciproca tra i due paesi, sia particolari, che disciplinano gli aspetti della presenza e delle attività dei contingenti militari statunitensi in Italia.
Questi accordi bilaterali hanno un'elevata classifica di segretezza e non possono essere declassificati unilateralmente, poiché il regime di segretezza è stato stabilito di comune accordo dai governi italiano e statunitense. Il segreto militare relativo alle infrastrutture, ai compiti, alla distribuzione di uomini, mezzi e materiali e al tipo di presenza militare nelle diverse località, si espande fino ad abbracciare le regole che disciplinano le funzioni di comando nelle basi ove operano le forze USA, nonché le disposizioni sui rapporti fra le autorità militari italiane e statunitensi. D'altra parte, è normale che tali notizie siano coperte dal segreto: la diffusione indiscriminata di informazioni sugli strumenti di difesa è, a ragione, considerata da tutti gli Stati una fonte di rischio. L'Italia non fa eccezione, essendo la sua difesa integrata con quella dei paesi alleati, ivi compresa la loro presenza nel nostro territorio.
Vero è che tali accordi possono essere oggetto di modifiche o di aggiornamenti, come più volte è avvenuto.
Ciò detto, si conferma che effettivamente nell'estate del 2000, presso la base di Camp Darby è stata movimentata una certa quantità di munizionamento.
Tale attività si è resa necessaria in quanto, già a partire dalla primavera dello stesso anno, era stato rilevato un cedimento parziale delle strutture di copertura di alcuni magazzini munizioni, precedentemente sottoposti a lavori di restauro.
Il materiale esplosivo immagazzinato nelle predette strutture è stato quindi spostato in altri magazzini, impiegando sia personale sia robot.
È bene precisare che l'intervento è stato realizzato esclusivamente - sottolineo esclusivamente - per ragioni di sicurezza del personale preposto alla custodia ed alla movimentazione del munizionamento. Infatti, l'instabilità strutturale e l'eventuale crollo delle coperture dei magazzini non avrebbero potuto costituire evento sufficiente ad innescare fenomeni esplosivi, del resto mai accaduti dal dopoguerra ad oggi.
Tutta l'operazione è stata condotta in stretto contatto con il comandante italiano della base e nel pieno e rigoroso rispetto della vigente normativa sulla sicurezza. Pertanto, è escluso che cittadini italiani, nella circostanza, siano mai stati esposti al rischio di esplosione.
È appena il caso di sottolineare che la movimentazione e lo stoccaggio di munizionamento esplodente, nello svolgimento di attività logistiche come quella in argomento, non vengono mai effettuati con il materiale già predisposto per l'impiego operativo. Quanto è necessario alla sua attivazione, infatti, viene aggiunto al munizionamento solo immediatamente prima dell'utilizzazione effettiva.
Pertanto, l'evacuazione cui fanno cenno gli onorevoli interpellanti non risultava necessaria poiché non si trattava di operazione di bonifica, ossia disattivazione o distruzione di materiale bellico attivato ma esploso, bensì, come detto, di semplice spostamento di munizionamento ancora non innescato e munito di tutte le sicurezze per il trasporto e lo stoccaggio.
Per completezza di informazione, si rappresenta che attualmente è in esecuzione, presso la base di Camp Darby, un contratto di circa 2,5 milioni di dollari, con oneri a carico degli Stati Uniti per il riattamento dei magazzini in argomento e per la manutenzione di tutti gli altri. Per tali lavori l'Italia, tramite la commissione mista costruzioni, ha concesso il preventivo benestare.
Con riferimento poi al potenziamento del canale navigabile del Tombolo si precisa che lo stesso, noto come canale Navicelli, è di proprietà dell'omonima società per azioni ed è interamente artificiale.
I lavori, per i quali è stata chiesta all'amministrazione militare la prevista autorizzazione, interessano solo la riparazione della banchina di Tombolo, relativa al citato canale, ma è inserita nell'area appartenente al demanio difesa. In particolare, per i lavori all'interno della base, è stata chiesta ed ottenuta l'autorizzazione del Ministero per i beni e le attività culturali, sentiti l'Ente - parco regionale Migliarino - San Rossore - Massacciuccoli e la menzionata società Navicelli.
In ultimo, con riferimento alle ulteriori questioni sollevate dagli onorevoli interpellanti, si sottolinea che non si ritiene la base, peraltro ben protetta, una minaccia né per la popolazione, né per l'ambiente (desidero ricordare che la salvaguardia dell'ambiente spesso è dovuta proprio all'esistenza di alcune infrastrutture) né ancora per il paese. Non si è rivelata tale dal dopoguerra ad oggi e non si ritiene che lo possa essere in futuro. Come si è detto, la nostra è una difesa integrata con quella dei paesi alleati e la loro presenza sul nostro territorio costituisce un aspetto della nostra stessa sicurezza e non, dunque, una minaccia né una limitazione di sovranità.
Non può trovare accoglimento, pertanto, alcuna interpretazione che, stante l'attuale crisi irachena, possa strumentalmente associare la presenza di forze alleate in Italia ad un appoggio diretto del nostro paese all'eventuale guerra in Iraq, per scongiurare la quale, peraltro, il Governo italiano è attivamente impegnato. In conclusione, non si ravvisano motivi per rivedere gli accordi italo-statunitensi sulla base di Camp Darby.
Contesto l'interpretazione che nega che si tratti di alienazione del territorio, perché ritengo sia un'alienazione completa. La presenza di tale base impedisce, inoltre, l'esercizio del territorio secondo le convenienze delle popolazioni locali ed il fatto che il comandante sia un ufficiale italiano nulla toglie alla complessa questione del comando del campo e dell'interazione che esiste tra ufficiali statunitensi ed ufficiali italiani. Il dispositivo, anche dal punto di vista squisitamente militare, non può essere certamente ridotto, con riferimento alla questione della sovranità, al fatto che vi sia un ufficiale italiano.
Per quanto riguarda la questione dell'attualizzazione del problema relativamente al contesto dato, al nuovo contesto geopolitico e geostrategico, ovviamente non mi aspetto che questa maggioranza, ma non credo solo quest'ultima, si dimostri solerte e pronta a rimettere in discussione i trattati e gli accordi internazionali.
Ho sollevato una questione di merito sul piano generale che dovrebbe rappresentare un elemento di discussione, a partire da un aspetto che rappresenta la bussola di orientamento della campagna ideologica con cui gli Stati Uniti ed il Governo italiano coprono la realtà della dottrina della guerra preventiva.
Infatti, l'esistenza di un pericolo terroristico e di Stati legati in qualche modo al terrorismo internazionale rappresentano elementi fondamentali per far accettare le
Vi è una seconda domanda. Nel contesto internazionale che si è venuto a determinare dopo l'11 settembre e dopo l'affermazione di una volontà egemonica degli Stati Uniti d'America di usare il monopolio del ricorso alla forza militare - perché di questo si tratta -, in questo contesto - e non in un contesto generale tendente a rimettere in discussione accordi e trattati -, in cui «saltano» una serie di trattati, di funzioni e di routinario meccanismo di applicazione delle alleanze, il Governo non ritiene che si debba complessivamente ridiscutere l'intera materia dei trattati e degli accordi, a partire proprio da questi elementi di radicale novità che sono intervenuti sullo scenario internazionale?
Evidentemente, però, il Governo ritiene che tutto vada per il meglio. Esso non ritiene di prendere in considerazione le questioni poste e di rispondere politicamente e non burocraticamente, con note di ufficio, come purtroppo questo Governo, su questioni così nodali, continua ad esercitarsi, salvo poi giungere a discutere del rinnovo delle missioni militari all'estero in un contesto assolutamente deflagrante e al limite del ridicolo, come è avvenuto in sede di Commissioni esteri e difesa sul rinnovo delle missioni italiane all'estero.