Resoconto stenografico dell'Assemblea
Seduta n. 228 del 25/11/2002
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Discussione del disegno di legge: Disposizioni per l'assestamento del bilancio dello Stato e dei bilanci delle Amministrazioni autonome per l'anno finanziario 2002 (approvato dalla Camera e modificato dal Senato) (2923-B) (ore 15,36).

PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca la discussione del disegno di legge, già approvato dalla Camera e modificato dal Senato: Disposizioni per l'assestamento del bilancio dello Stato e dei bilanci delle Amministrazioni autonome per l'anno finanziario 2002.
La ripartizione dei tempi è pubblicata nel resoconto stenografico della seduta del 21 novembre 2002 (vedi resoconto stenografico della seduta del 21 novembre 2002).

(Discussione sulle linee generali - A.C. 2923-B)

PRESIDENTE. Dichiaro aperta la discussione sulle linee generali sulle modifiche introdotte dal Senato.
Avverto che il presidente del gruppo parlamentare dei Democratici di sinistra-l'Ulivo ne ha chiesto l'ampliamento senza limitazioni nelle iscrizioni a parlare ai sensi dell'articolo 83, comma 2, del regolamento.
Avverto che la V Commissione (Bilancio) si intende autorizzata a riferire oralmente.
Il relatore, onorevole Zorzato, ha facoltà di svolgere la relazione.

MARINO ZORZATO, Relatore. Signor Presidente, onorevoli colleghi, l'oggetto del mio intervento riguarda la relazione al disegno di legge d'assestamento per l'anno 2002 (atto Camera 2923-B). Come ho già avuto modo di sottolineare in occasione della prima lettura del provvedimento in esame, l'importanza del bilancio e, conseguentemente,


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dell'assestamento e del rendiconto richiederebbe probabilmente una maggiore attenzione da parte Parlamento.
Quest'anno l'esame dell'assestamento si è svolto in una fase particolarmente concitata dell'attività parlamentare, in ampia parte sovrapponendosi all'avvio della sessione di bilancio.
Ciò, se per un verso ha evidenziato la stretta correlazione tra l'evoluzione degli andamenti di bilancio nell'esercizio in corso e la definizione della manovra per il prossimo anno, per altro verso non ha consentito di effettuare tutti gli approfondimenti che sarebbero opportuni su alcuni profili che attengono, in particolare, alla gestione della spesa.
Da un più accurato esame del bilancio dello Stato, che richiederebbe il tempo necessario per svolgere un'attenta istruttoria, potrebbero emergere indicazioni utili, da un lato, in ordine alla qualità dell'azione amministrativa e, dall'altro, al margine di un intervento correttivo sugli stanziamenti.
Le risorse attribuite a ciascuna struttura amministrativa dovrebbero, infatti, rappresentare il principale parametro di riferimento per una valutazione, sulla base dei risultati conseguiti, del livello e dei costi dell'attività svolta dalla amministrazioni statali.
L'eventuale emersione di stanziamenti sovradimensionati rispetto alle effettive capacità di utilizzo delle amministrazioni competenti potrebbe offrire al Governo e al Parlamento margini aggiuntivi per una riqualificazione della stessa spesa ovvero per un suo parziale ridimensionamento, in tal modo liberando risorse che potrebbero essere destinate ad altre e più meritorie finalità.
L'opportunità di tali valutazioni risulta tanto più evidente alla luce del fatto che in questi giorni la Commissione bilancio è impegnata nell'esame dello schema di decreto del Presidente del Consiglio dei ministri recante l'atto di indirizzo, con il quale, ai sensi dell'articolo 1, comma 3, del decreto legislativo 6 settembre 2002, n. 194, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 246 del 2002, si definiscono criteri di carattere generale per il coordinamento dell'azione amministrativa del Governo intesi all'efficace controllo e monitoraggio della finanza pubblica.
Si tratta di una misura che risponde ad una situazione di carattere straordinario, quale è quella che emerge dal provvedimento al nostro esame, per quanto concerne il negativo andamento delle entrate. Tale andamento, da attribuire, in primo luogo, alla criticità della congiuntura economica, che accomuna tutti i paesi europei, potrebbe rivelarsi suscettibile, in assenza di interventi correttivi, di pregiudicare il conseguimento degli obiettivi di finanza pubblica vincolanti nell'ambito dell'Unione economica e monetaria.
L'intervento prospettato dal decreto del Presidente del Consiglio dei ministri rappresenta una misura di ultima istanza cui il Governo ha inteso far ricorso per contribuire a ricondurre agli obiettivi prefissati gli andamenti finanziari dell'ultima parte dell'anno scorso.
Un'analisi puntuale del bilancio, peraltro, potrebbe fornire gli elementi necessari per prefigurare una gestione attiva e politicamente consapevole della spesa pubblica, tale da offrire, ove necessario, il supporto conoscitivo per interventi mirati, che possano incidere su singoli fattori cui siano imputabili eventuali scostamenti.
Venendo più in particolare alle modifiche apportate al disegno di legge di assestamento dal Senato nel corso dell'esame, appare evidente che soltanto uno dei tre emendamenti approvati, vale a dire quello relativo alle entrate, riveste particolare interesse sotto il profilo politico, per la rilevante incidenza sui saldi di finanza pubblica. Gli altri due emendamenti sono relativi alle spese e concernono gli stati di previsione, rispettivamente, del Ministero dell'economia e delle finanze e del Ministero per i beni e le attività culturali. L'emendamento riguardante le entrate prospetta una riduzione del gettito di 16.404 milioni di euro in competenza e 13.719 milioni di euro in cassa. La riduzione del gettito è pari a 950 milioni di euro per quanto concerne l'IRPEF, 7.775 milioni di euro per quanto riguarda l'IRPEG,


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3.741 milioni di euro relativamente all'IVA sugli scambi interni intracomunitari e 2.766 milioni di euro relativamente all'IVA su importazioni. Infine, si prevede una diminuzione del gettito delle accise e dell'imposta erariale di consumo per 1.192 milioni di euro.
Va peraltro osservato che, già nella relazione illustrativa del disegno di legge originario, si prospettava l'eventualità di una successiva modifica delle previsioni relative alle entrate, in considerazione del fatto che, al momento della predisposizione del testo del provvedimento, non tutti gli elementi necessari per una quantificazione puntuale del gettito erano disponibili, in particolare per quanto concerne l'autoliquidazione delle imposte sui redditi, dal momento che il termine per i relativi versamenti è stato posticipato al 20 luglio, con una lieve maggiorazione dello 0,40 per cento.
L'emendamento proposto dal Governo e approvato dal Senato discende quindi dall'andamento non favorevole del gettito delle entrate che si è evidenziato nell'anno in corso, in misura tale da comportare un peggioramento rispetto non soltanto alle previsioni ma anche ai risultati dell'anno precedente.
I dati diffusi dal Ministero dell'economia e delle finanze il 12 novembre scorso offrono l'aggiornamento dell'andamento delle entrate, rilevate in termini di competenza, al 30 settembre dell'anno in corso. Nel periodo gennaio-settembre 2002 sono state accertate entrate tributarie dello Stato per un ammontare pari a 223.167 milioni di euro, con una diminuzione di 5.746 milioni di euro (- 2,5 per cento) rispetto al corrispondente periodo dell'anno 2001. L'andamento negativo ha riguardato soprattutto le imposte dirette e, in particolare, l'IRPEG (- 14,1 per cento) e le imposte sostitutive sulle plusvalenze (- 38,4 per cento). Quanto agli altri emendamenti approvati dal Senato, va in primo luogo segnalato l'emendamento che dispone un incremento in competenza e in cassa pari a 90 milioni di euro del Fondo sanitario nazionale, con corrispondente riduzione del Fondo di riserva per le spese obbligatorie e d'ordine. Un secondo emendamento riduce, in competenza e in cassa, di 258.228 euro le spese di funzionamento del centro di responsabilità n. 9 «Patrimonio storico, artistico e demoetnoantropologico» dello stato di previsione del Ministero per i beni e le attività culturali e dispone un corrispondente incremento dell'unità previsionale di base «Enti ed attività culturali», compresa nel centro di responsabilità n. 3 «Beni librari e istituti culturali».
Mentre i due emendamenti approvati nel corso dell'esame al Senato con riferimento agli stati di previsione della spesa hanno carattere compensativo, lo stesso non può dirsi del terzo, quello che riduce le previsioni di entrata che comporta, invece, una corrispondente variazione negativa dei saldi di bilancio, sia in termini di competenza sia in termini di cassa.
Quanto ai saldi espressi in termini di competenza, la riduzione delle previsioni di entrata determina un peggioramento per pari importo del saldo netto da finanziare - il saldo corrispondente alla differenza (di segno negativo) tra le entrate finali e le spese finali - che passa da 36.155 milioni di euro a 52.559 milioni di euro.
Poiché la riduzione delle entrate ha interamente riguardato quelle di natura tributaria, vale a dire entrate di parte corrente, l'incremento del saldo netto da finanziare corrisponde ad un peggioramento per il medesimo importo del saldo corrente (indicato, nel quadro riassuntivo del bilancio dello Stato, come risparmio pubblico), che passa da un valore positivo di 8.914 milioni di euro, registrato nel disegno di legge di assestamento approvato dalla Camera, ad un valore negativo di 8.210 milioni di euro.
Analogamente si registra una diminuzione di 16.404 milioni di euro nell'avanzo primario che si attesta quindi a 23.910 milioni di euro, e un pari aumento del ricorso al mercato pari, quindi, a 276.987 milioni di euro.
In termini di cassa i saldi risultanti dal disegno di legge di assestamento, come approvato in seconda lettura dal Senato


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registrano, rispetto al disegno di legge di assestamento presentato dal Governo, un peggioramento, quindi, di 13.719 milioni di euro corrispondenti alla diminuzione delle previsioni di cassa relative alle entrate tributarie. In particolare, il saldo netto da finanziare in termini di cassa passa da 62.584 milioni di euro a 76.303 milioni di euro.
Alla luce di queste considerazioni auspico una rapida approvazione del provvedimento in esame nel testo risultante dalle modifiche apportate dal Senato. In questo modo permetteremo agli amministratori statali di provvedere alla gestione finanziaria dell'ultima fase del presente esercizio in base ad un quadro certo ed aggiornato delle effettive disponibilità.

PRESIDENTE. Ha facoltà di parlare il rappresentante del Governo.

COSIMO VENTUCCI, Sottosegretario di Stato per i rapporti con il Parlamento. Signor Presidente, il Governo concorda con il relatore, anche nell'auspicio di una maggiore attenzione da parte del Parlamento nella discussione dei conti dello Stato, del bilancio e della spesa pubblica.

PRESIDENTE. Constato l'assenza dell'onorevole Milana, iscritto a parlare: s'intende che vi abbia rinunziato.
È iscritto a parlare l'onorevole Olivieri. Ne ha facoltà.

LUIGI OLIVIERI. Signor Presidente, onorevole sottosegretario, colleghi, assistiamo ancora volta ad un intervento correttivo da parte del Governo che non esito a definire «imponente» anche se, poc'anzi, il relatore ha cercato di non darne la dovuta rilevanza.
Si tratta in questo caso di una riduzione delle entrate pari a 16.404 milioni di euro in termini di competenza e di 13.719 milioni in termini di cassa. Tale riduzione riguarda principalmente le imposte sui redditi ed il tributo maggiormente colpito dalla riduzione è l'IRPEG. Si tratta di un notevole peggioramento, non soltanto rispetto alle previsioni ma anche rispetto ai risultati dell'anno precedente.
Sin dall'inizio dello scorso agosto, il ministro dell'economia ha reso noti i proventi del gettito dell'autotassazione delle imposte dirette - IRPEF e IRPEG -, che quantificava in 5 miliardi di euro in meno rispetto allo stesso periodo del 2001, con un calo che, in termini percentuali, è quantificato nel 15 per cento.
Il peggioramento è ancor maggiore con riguardo alle stime governative, le quali prevedevano una crescita di IRPEF e IRPEG rispetto al 2001 del 7 per cento. Quindi, nel complesso, il peggioramento ammonterebbe a circa 7 miliardi di euro in meno.
Ciò ha condizionato pesantemente la valutazione sull'andamento dei conti pubblici, non solo quella imminente ma anche in prospettiva e ha determinato l'inasprimento della tassazione, a cui il Governo è ricorso con le misure adottate e con il decreto-legge n. 209 del 2002, che si dimentica troppe volte e facilmente. Tra l'altro, l'andamento delle entrate fiscali, in particolare di quelle tributarie, già costrinse il Governo a settembre a rivedere le previsioni del DPEF di luglio.
In questo Governo permane il costante e consistente difetto della sovrastima delle entrate rispetto agli andamenti reali e successivi (gli esempi sono noti, dal provvedimento sul sommerso al meccanismo della cartolarizzazione), cui si aggiunge invece il difetto della sottostima della riduzione delle entrate (anche in questo caso abbiamo esempi notissimi come la non più esistente imposta sulle successioni, sulle insegne commerciali e gli sgravi fiscali della legge Tremonti-bis).
Il calo dell'autotassazione ha cause note da tempo, tali da renderlo facilmente prevedibile, e non è accettabile che oggi ci venga presentato come se fosse un fulmine abbattutosi sui conti pubblici. Il calo dell'IRPEG, in particolare, è conseguente al calo dei profitti registrati e resi noti, fin dallo scorso anno, a causa dell'evoluzione congiunturale dei redditi di impresa e da lavoro. Il rallentamento delle entrate tributarie è anche dovuto in larga parte all'effetto degli annunci di sanatorie e condoni, che ha sicuramente favorito un


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aumento della propensione ad evadere: ora vedremo cosa riuscirà a fare di ancora peggio la maggioranza al Senato in termini di legge finanziaria!
Si ripete oggi ciò che già si era concretizzato lo scorso anno con il condono sul sommerso e con lo scudo fiscale.
Emergono in questi ultimi giorni nuovi dati riguardo alle previsioni di crescita del nostro paese. La crescita del prodotto interno lordo del terzo trimestre 2002 è pari allo 0,3, cioè la metà di quello 0,6 scritto dal Governo nella nota di aggiornamento del DPEF e un decimale di punto in meno rispetto alle previsioni della Commissione europea.
Per raggiungere la crescita annua prevista dal Governo per il 2002 nel quarto ed ultimo trimestre, il prodotto interno lordo dovrebbe esplodere, registrando un incremento dell'1,1 per cento, che non è possibile ottenere in alcun modo. Magari ciò avvenisse! Tuttavia, tutti sappiamo che non sarà sicuramente possibile.
Secondo la recentissima analisi dell'OSCE, risalente non a tanti anni fa, bensì al 22 novembre (sono, quindi, trascorsi pochi giorni), l'Italia si trova, nella schiera dei paesi industrializzati, tra quelli che scontano le maggiori difficoltà congiunturali. I dati relativi ai conti pubblici sono preoccupanti. L'OSCE stima che l'anno in corso si chiuderà con un indebitamento netto del 2-3 per cento, che diventerà pari al 2,1 per cento l'anno prossimo. Il guaio è che nel 2004 il disavanzo non tenderà a diminuire ma a tornare al 2,8 per cento: siamo lontanissimi dalle previsioni di questo Governo, soprattutto con riguardo al 2003 ed agli anni ancora successivi.
La stima dell'OSCE riflette il giudizio critico sulla legge finanziaria per il 2003 (che noi formulammo e che ribadiamo), nella quale complessivamente - come afferma l'OSCE - le misure strutturali di riduzione delle imposte e di maggiore spesa vengono compensate o da misure una tantum oppure da azioni con un'efficacia che dipende da fattori altamente incerti.
Inoltre, sempre secondo il rapporto OSCE, indipendentemente dall'effetto che produrranno questi provvedimenti, il compito di risanare i conti oltre il 2003 si rivelerà più difficile. Vi è un riferimento all'Italia anche nel consiglio, fornito sempre dall'OSCE, di non abbassare la guardia sul fronte degli impegni presi in sede di patto di stabilità. L'OSCE dice testualmente: un rilassamento di tali impegni, al di là della flessibilità già prevista delle politiche di bilancio, tanto in Italia che negli altri paesi dell'Unione, potrebbe condurre ad un incremento dei tassi di interesse reali, in particolare in Italia, a causa dell'elevato debito pubblico, il che dovrebbe rallentare l'auspicata ripresa.
Signor Presidente, le previsioni e le stime di casa nostra non suggeriscono certo una situazione più rosea. A tale proposito, dobbiamo guardare anche agli ultimi dati forniti dalla Banca d'Italia, secondo la quale l'Italia potrebbe anche tornare a crescere più del 2 per cento nel corso del 2003, ma a patto che si realizzino 3 condizioni. La prima è che si diradino in fretta le incertezze internazionali, i venti di guerra ed il rischio di attentati. La seconda condizione è che il Governo affronti con decisione i nodi strutturali dell'economia attraverso riforme che incidano sulla dinamica della spesa corrente primaria, per garantire una durevole riduzione del prelievo tributario e contributivo ed il rafforzamento della dotazione di infrastrutture. La terza condizione è che si realizzi uno sforzo degli operatori economici, dato che per imprimere un deciso impulso all'attività economica occorre fermare la perdita di quote di mercato azionario dei prodotti italiani in atto da tempo.
L'anno in corso passerà alla storia come un anno di forti rallentamenti. Vorrei citare alcuni ulteriori dati: nel primo semestre gli investimenti fissi lordi si sono ridotti del 5,8 per cento e la flessione della spesa per macchine ed attrezzature è stata addirittura pari al 10 per cento all'anno. La Banca d'Italia ci dice che si tratta della più ampia contrazione dal 1993.
È inevitabile il contraccolpo sui conti pubblici. Nei primi dieci mesi dell'anno il fabbisogno del settore statale è stato pari


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a 49 miliardi e 600 milioni di euro, superiore di dieci miliardi e 900 milioni rispetto al corrispondente periodo del 2001. Gli incassi tributari sono diminuiti nello stesso periodo del 3 per cento, soprattutto per effetto delle imposte versate in autotassazione e delle entrate di natura straordinaria. Quanto al fabbisogno netto delle amministrazioni pubbliche, nei primi nove mesi dell'anno esso è stato pari a 41 miliardi e 900 milioni di euro, superiore di 11 miliardi di euro a quello del corrispondente periodo del 2001.
Si prospettano difficili conseguenze per i conti dell'anno in corso. Ciò si ripercuoterà pesantemente sul 2003 e sarà destinato a riversarsi drammaticamente sul settore più critico della nostra finanza pubblica, vale a dire sul debito pubblico.
Signor Presidente, non finisce qui: vi sono due nuove sorprese che il ministro Tremonti ha tenuto in serbo per la fine dell'anno; è una sorta di ultimo gioco di prestigio per fronteggiare i numeri del debito che gli premono di più, quelli del 2002, e dopo si vedrà. Sembra quasi che si dica: «tireremo a campare».
La prima sorpresa riguarda la sostituzione di vecchi titoli emessi nel 1993 per estinguere il conto corrente di tesoreria presso la Banca d'Italia con nuovi titoli di Stato a rendimenti di mercato. Si tratta di vecchi buoni poliennali del tesoro del valore di circa 41 miliardi di euro da trasformare in nuovi titoli dal valore nominale dimezzato, pari a circa 20 miliardi di euro, con cedola più alta (anziché l'1 per cento, il 5 per cento come rendimento). L'operazione consentirebbe di diminuire in un sol colpo lo stock di debito di quasi il 2 per cento del PIL (la cifra esatta si situa tra i 20 e i 25 miliardi in meno) portandolo al di sotto del livello del 2001. L'obiettivo è quello di arrivare il più possibile vicino a quel 109,4 per cento sul PIL indicato nelle ultime stime programmatiche (ultime, probabilmente, per il Governo, perché altri istituti economici sono già andati ben oltre quella cifra).
La seconda sorpresa è che a dicembre non verranno effettuate le aste dei titoli di Stato di metà e fine mese, quindi dei BTB, del CCT, dei BOT trimestrali e dei CTZ. Ciò per evitare che lo stock che pesa sui conti italiani invece di diminuire, come promesso all'Unione europea, aumenti.
Riguardo alla prima sorpresa, per la verità, tutto è avvolto nel più stretto riserbo e non penso che oggi il sottosegretario ci dia qualche luce in più. La possibilità che si realizzi è stata annunciata dalla Commissione europea, quindi da fonte sicuramente non sospetta, che ha parlato di un'operazione finanziaria non ancora annunciata dal dicastero italiano. Nulla è trapelato nemmeno dagli uffici della Banca d'Italia e, in fondo, è legittimo il dubbio che esso possa essere ancora lo stato di pensiero nella mente del ministro Tremonti, assolutamente creativo, come più volte abbiamo detto, anche in questo settore.
Vi sono anche altri dati oggi che ci consentono di guardare con ancora maggiore incertezza al futuro dei nostri conti pubblici. Vi è il programma di stabilità trasmesso dal ministro Tremonti a Bruxelles che contiene proiezioni fino al 2006, ossia fino alla fine di questa legislatura. In sintesi, il programma contiene: inflazione più alta, obiettivi di finanza pubblica confermati, pensioni e sanità senza rischi a meno che non si voglia proseguire nel processo di riduzione delle tasse. Come è ormai usuale, il messaggio è ambivalente: l'equilibrio del sistema previdenziale non sarebbe a rischio, ma quella stessa riforma è la condizione necessaria per poter continuare a ridurre le tasse negli anni a venire. Lo stesso ministro parla nella relazione di clima di fiducia dei consumatori deteriorato, di incertezza dovuta alla situazione geopolitica, di rischi legati alla flessione del listino. È un fatto che quest'anno gli scenari possibili di crescita illustrati nel programma inviato a Bruxelles siano quattro, mentre lo scorso anno erano due.
La novità più rilevante contenuta nel programma è data dall'inflazione rivista al rialzo per il 2002 a quota 2,6 per cento contro l'1,7 del DPEF del luglio scorso ed al 2,4 per cento della relazione previsionale di settembre. In rialzo anche il dato


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relativo al 2003: dall'1,4 al 1,9 per cento. Non di poca rilevanza, inoltre, il fatto che il Governo continui a promettere sgravi fiscali mentre nel programma di stabilità inviato a Bruxelles non ve ne sia traccia alcuna. Dunque, smettetela con questa politica della lingua biforcuta.
Con riguardo al fatto che il Governo considera la riforma tributaria come parte integrante della strategia di politica economica orientata alla crescita desidero porre l'attenzione su ciò che essa comporta realmente: un risparmio fiscale fino a 405 euro l'anno per i bassi redditi tra i 6 mila ed i 12 mila euro, contro i 19.445 euro risparmiati dai redditi superiori ai 100 mila euro. Questo l'effetto redistributivo del primo modulo di riforma fiscale contenuta nella finanziaria. Inoltre, con la delega fiscale, se nella prima fase la quasi totalità dei contribuenti tra i 6 mila ed i 24 mila euro ricevevano i benefici della finanziaria, con la riforma a regime non acquisteranno ulteriori vantaggi, mentre riduzioni dell'aliquota media comprese tra l'8 per cento ed il 13 per cento riguardano i redditi superiori ai 45 mila euro.
Permangono, signor Presidente, in campo internazionale fortissime incertezze sull'andamento dell'economia e forti oscillazioni dei mercati finanziari che rendono ancor più impervia la strada dalla ripresa fino a poco tempo fa certa per il secondo semestre del 2002 ed ora, purtroppo, non più. I paesi dell'Unione europea sembrano aver interrotto il volontario processo di integrazione.
Il rapporto di cambio, evolutosi con l'evento dell'euro, frena la possibilità di espansione dei mercati, della quale invece l'Europa ha oltremodo bisogno. L'unico risultato tangibile che potete rivendicare con forza e che avete portato a casa in questo anno e mezzo è la spaccatura dell'unità sindacale. Ci avviamo, invece, a ripetere la situazione di dissesto finanziario da cui faticosamente eravamo usciti nel corso dell'ultimo decennio (Applausi dei deputati del gruppo dei Democratici di sinistra-l'Ulivo).

PRESIDENTE. Non vi sono altri iscritti a parlare e pertanto dichiaro chiusa la discussione sulle linee generali delle modifiche introdotte dal Senato.

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