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PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca la discussione della mozione Vernetti ed altri n. 1-00096 relativa alla questione tibetana (vedi l'allegato A - Mozioni sezione 1).
La ripartizione dei tempi riservati alla discussione della mozione è pubblicata nel vigente calendario (vedi calendario).
PRESIDENTE. Dichiaro aperta la discussione sulle linee generali della mozione presentata.
È iscritto a parlare l'onorevole Vernetti, che illustrerà anche la sua mozione n. 1-00096. Ne ha facoltà.
GIANNI VERNETTI. Signor Presidente, onorevoli colleghi, come avrete notato, si tratta di una mozione sottoscritta da 214 parlamentari di tutte le forze politiche rappresentate nel Parlamento. La mozione prende le mosse da una serie di atti del Parlamento europeo e di numerosi Parlamenti del pianeta. Penso, in particolare, al Congresso americano che proprio pochi giorni fa, il 26 settembre, ha adottato una legge, la Tibetan policy act, legge sulle politiche tibetane, che esprime un indirizzo molto coerente con quanto si propone con questa mozione. Vi sono poi le risoluzioni del Parlamento europeo del 6 luglio 2000 e del 14 aprile 2001 nelle quali si chiede al Consiglio, alla Commissione ed agli Stati membri di fare tutto il possibile affinché il Governo della Repubblica popolare cinese ed il Dalai Lama negozino un nuovo statuto per il Tibet che garantisca una piena autonomia dei tibetani in tutti i settori della vita politica, economica, sociale e culturale. Dunque, si tratta di un tentativo importante di sanare un problema che lascia il segno nella comunità internazionale.
Vorrei ricordare alcuni precedenti storici e svolgere alcune riflessioni sui fatti recenti. Nel 1949 e nel 1950 il Tibet fu occupato militarmente dalle forze della Repubblica popolare cinese e fu violentemente e brutalmente integrato all'interno di quella Repubblica. In tale occasione vi fu una lotta di resistenza del popolo tibetano che provocò un milione di morti, quasi un quinto della popolazione di allora. Furono distrutti oltre 6 mila monasteri, furono incendiate centinaia di biblioteche, furono saccheggiati templi, vi fu una razzia di tesori religiosi e culturali e vi furono esecuzioni sommarie. Nel 1987 e 1988 vi furono civili e pacifiche manifestazioni di protesta represse duramente dal regime di Pechino. Nel 1989 e 1990 dall'autorità di Pechino fu imposta la legge marziale.
A fronte di tutto ciò, il Tibet e quel movimento di liberazione assumono oggi un ruolo importante, anche nell'attuale turbolento contesto internazionale, perché abbiamo a che fare con una leadership di un movimento di liberazione che ha optato per la scelta non violenta. Oggi vi sono ormai quasi 150 mila tibetani che vivono in India. Anche per rispondere alle accuse del Governo di Pechino di essere il Dalai Lama ed i tibetani in esilio una sorta di teocrazia feudale alla quale veniva contrapposto il progresso portato dall'occupazione cinese, la diaspora tibetana si è dotata di strumenti e di organismi democratici. Oggi vi è un Parlamento tibetano in esilio, con un Governo tibetano in esilio, con un primo ministro e con il Dalai Lama che ha funzione di guida spirituale, anche politica naturalmente, ma con poteri separati.
Devo dire che sono sempre stato particolarmente colpito dalla determinazione di un popolo come quello tibetano - dalle dimensioni quantitative ovviamente non paragonabili a quelle del popolo cinese, che ha per l'appunto occupato il Tibet - che ha optato per la scelta non violenta, proponendo quindi un modello di soluzione dei conflitti distante dalla lotta armata. La diaspora tibetana riceve oggi contributi e donazioni anche della comunità internazionale e investe questo denaro non per comprare armamenti o per attuare la lotta armata - come invece capita purtroppo in tutti gli altri movimenti di liberazione esistenti nel mondo -, bensì per preservare l'identità, la cultura, la tradizione, l'arte e la lingua tibetana.
Non più tardi di dieci giorni fa, ho avuto l'occasione di guidare una missione parlamentare dell'Intergruppo Parlamentare Italia-Tibet - con me vi erano il senatore Forlani dell'UDC (CCD-CDU), l'onorevole Zacchera di Alleanza nazionale, l'onorevole Laura Cima dei Verdi, il senatore Iovine dei Democratici di sinistra, oltre ad altri esponenti di organizzazioni non governative che si occupano nel nostro paese di questi temi - nel corso della quale abbiamo incontrato non soltanto il Dalai Lama ma anche le istituzioni democratiche della diaspora tibetana. Ciò che più ci ha colpito in questa esperienza è stato vedere la dedizione, l'impegno, la costanza con la quale (accanto ovviamente alla promozione politica della causa tibetana) questo Governo, questa gente, questi simpatici tibetani, nonostante secoli di oppressione, di torture e di eccidi, oggi dedicano la gran parte del loro tempo per preservare quella cultura, quella lingua minacciata, quell'identità culturale e quelle tradizioni che potrebbero scomparire completamente dal pianeta. Oggi le culture minori sono già minacciate dalla cosiddetta globalizzazione; in Tibet, accanto ai processi di globalizzazione che tendono a ridurre le diversità e a semplificarle, vi è anche un'oppressione di tipo militare.
Questo è un tema che ci sembra interessante. Pertanto non riteniamo sia oggi fuori luogo, fuori tema o fuori tempo parlare della questione tibetana, cioè dell'autonomia politica, religiosa e spirituale di un popolo, che aspira legittimamente a tale condizione.
Allora con questa mozione accogliamo favorevolmente le posizioni del Dalai Lama e del Governo tibetano in esilio, per quanto riguarda la realizzazione di un autentico Governo autonomo in seno alla Repubblica popolare cinese. Il Dalai Lama
ha già rinunciato da tempo alle richieste di indipendenza; oggi si batte invece - lo ripeto, con metodi pacifici e non violenti - per una soluzione di vera autonomia all'interno della Repubblica popolare cinese.
Condividiamo anche le profondissime preoccupazioni per la distruzione sistematica dell'ambiente. Anche se questo è un altro tema, vorrei tuttavia ricordare che lo stesso Dalai Lama ci ha ricordato come l'ecosistema fragilissimo dell'altopiano tibetano sia oggi minacciato, in quanto sta diventando una discarica di scorie nucleari. È un paese infatti che è stato fortemente militarizzato e dove l'esercito cinese ha localizzato missili a lunga gittata. Vi è inoltre una costante opera di deforestazione, nonché una costante opera di colonizzazione forzata di decine e decine di migliaia di cinesi, al fine di modificare l'equilibrio demografico di quel paese.
Sosteniamo inoltre l'appello lanciato al Parlamento europeo il 24 ottobre dello scorso anno nel quale si chiede di porre fine, come dicevo, all'immigrazione su vasta scala di decine di migliaia di cinesi.
Vorrei richiamare allora alcuni fatti rilevanti, nonché alcune prese di posizione importanti da parte della comunità internazionale. Il Parlamento europeo, del quale ho già detto, compie oggi un passo ulteriore. Proponendo l'avvio immediato di negoziati fra il Dalai Lama e i suoi rappresentanti e le autorità del Governo centrale di Pechino, esso invita gli Stati membri ad adottare delle risoluzioni volte ad esercitare una pressione sulla Repubblica popolare cinese affinché possano partire tali negoziati al fine di giungere alla definizione di uno status di autonomia per il Tibet. E quando parliamo di autonomia, intendiamo autonomia economica, libertà di poter praticare il proprio culto religioso, ma anche libertà politica e quindi multipartitismo e democrazia. Oggi peraltro guardiamo positivamente l'apertura al libero mercato della Repubblica popolare cinese, così come guardiamo positivamente l'ingresso della Cina nell'Organizzazione mondiale del commercio.
Tuttavia, il libero mercato è incompatibile con la struttura centralista e dirigista non democratica. Quindi, siamo favorevoli ad un processo che porti democrazia e libertà nella regione, democrazia e libertà in un paese abitato da oltre un miliardo di persone.
Inoltre, intendo richiamare un atto importante - lo citavo nella parte introduttiva del mio intervento - il Tibetan policy act, emesso il 26 settembre del 2002, nel quale il Congresso americano si pone l'obiettivo di porre in essere azioni nei confronti della Repubblica popolare cinese che portino ad un immediato dialogo tra il Dalai Lama e suoi rappresentanti, al fine di realizzare un negoziato in favore del Tibet per definire uno stato di vera autonomia.
La risoluzione del Congresso americano si spinge ancora più avanti, chiedendo al Presidente di supportare lo sviluppo economico, la difesa dell'identità e delle tradizioni culturali nonché la sostenibilità ambientale. Inoltre, si chiede di subordinare l'attività di cooperazione fra Stati Uniti e Cina.
È naturale che per le nostre imprese vi sia un interesse strategico nel commercio con la Cina e anche se l'Italia e l'Unione europea hanno favorito l'ingresso della Cina nell'Organizzazione mondiale del commercio ciò non vuol dire dimenticare, ammainare la bandiera dei diritti umani fondamentali.
Dunque, il Congresso americano, nel Tibetan policy act, chiede di verificare i progetti e la cooperazione economica sulla base di una serie di precondizioni; ad esempio, se i progetti di cooperazione economica non danneggino la condizione dei diritti umani della popolazione tibetana, se questi prevedano un pieno rispetto della cultura e delle tradizioni locali e, quindi, se i progetti di cooperazione non siano indirizzati a favorire l'immigrazione di massa, la colonizzazione forzata che, oggi, è in atto in questo paese.
Ancora, il Congresso americano chiede il rilascio immediato di tutti i prigionieri politici, compreso quel bambino - un
religioso di pochi anni - sequestrato dalle autorità cinesi e del quale non si sa nulla da alcuni anni.
Signor Presidente, si tratta di un paese nel quale la democrazia liberale non è ancora conosciuta, i principi fondamentali e il rispetto dei diritti dell'uomo sono lungi dall'essere considerati.
Per tale motivo questa è una battaglia che, oggi, trova consenso trasversale in quest'aula. Il Dalai Lama rappresenta un movimento di liberazione, quasi un'icona della scelta non violenta. Quando andiamo in giro per il mondo, ci capita - durante le nostre missioni parlamentari - di incontrare gli esponenti dei movimenti di liberazione armati, armatissimi, che sovente usano i soldi che ottengono dalla comunità internazionale per armarsi, per mandare allo sbaraglio donne e bambini nelle guerre. Invece, lì vi è un popolo cauto, semplice, sorridente, che usa i soldi che riceve dalla comunità internazionale per costruire scuole. Abbiamo visitato il Tibetan children village, nel quale vi sono duemila orfani che possono studiare la loro lingua, mentre nel loro paese il cinese è la lingua obbligatoria. Vi sono dei profughi, dei ragazzi tibetani di 15 anni, che attraversano a piedi le montagne e non sanno parlare tibetano o, meglio, lo parlano in famiglia ma non lo sanno leggere. Dunque, vi è un quinto della popolazione del pianeta cui vengono negati i diritti fondamentali.
La risoluzione del Congresso chiede, quindi, l'immediato rilascio dei prigionieri politici - che, tra l'altro, sono per l'80 per cento monaci buddhisti, religiosi e non guerriglieri - e nomina un coordinatore speciale per le questioni tibetane.
È proprio di questi giorni la notizia di una serie di nuovi arresti nella Repubblica popolare cinese, in particolare si parla dell'arresto di un vescovo cattolico fedele al Papa.
Voi sapete che l'arresto del vescovo di Huê rappresenta, secondo il Vaticano, un segno che la Cina ha deciso un giro di vite nei confronti dei capi spirituali di otto milioni di cinesi della chiesa cattolica. Pensate, in quel paese non c'è libertà di culto, non c'è libertà politica, non c'è libertà sindacale, ma c'è il libero mercato. Non solo. È stata promossa una chiesa cattolica leale al Governo e i vescovi della chiesa cattolica leali al Governo vengono nominati dal partito; quindi, siamo in una condizione di assenza di diritti umani fondamentali.
Avviandomi a concludere le mie riflessioni, ricordo che questa non vuole essere una mozione contro la Repubblica popolare cinese. Abbiamo un interesse strategico a far sì che dialogo e il negoziato compiano la loro strada. Questo è nell'interesse anche del nostro paese. Abbiamo interesse ad incrementare le relazioni commerciali con un paese democratico, nel quale i diritti umani sono rispettati, nel quale l'ambiente viene tutelato, nel quale i diritti sindacali, le libertà di culto e le libertà politiche rappresentano una parte fondante della società. Non sono i valori dell'Occidente. Questi sono i valori del vivere civile, della civile convivenza. La libertà e la democrazia non sono soltanto i nostri valori. Sono anche i loro valori. Quando, talvolta, rivendichiamo l'originalità di un paese - che magari non è democratico ma ha una sua originalità - poi scopriamo che la democrazia e la libertà erano beni assenti ma non per questo meno anelati.
In conclusione, signor Presidente, colleghi, con questa mozione chiediamo di dare attuazione alle risoluzioni del Parlamento europeo e di assumere, come Parlamento nazionale, un atto di indirizzo forte affinché il nostro Governo adotti tutte le iniziative possibili nei confronti della Repubblica popolare cinese affinché, con il dialogo, si aprano negoziati finalizzati alla realizzazione di un nuovo statuto per il Tibet - lo ripeto - che garantisca una piena autonomia dei tibetani in tutti i settori della vita politica economica, sociale e culturale con le sole eccezioni della difesa e della politica estera. Infatti, non siamo per lo smembramento della Repubblica popolare cinese: ovviamente, ne riconosciamo i confini ma chiediamo un sistema di libertà e di democrazia.
Con questa mozione invitiamo il Governo cinese a rispettare pienamente i fondamentali diritti politici, sociali e culturali delle minoranze religiose, etniche e di altro genere. Inoltre, chiediamo al nostro Governo di adoperarsi in tutte le occasioni fornite dagli incontri internazionali come fa puntualmente il Congresso americano e come ha fatto il Parlamento europeo. Non stiamo parlando di piccole repubbliche appassionate di un tema un po' curioso. Parliamo del Congresso americano: 26 settembre 2002. Parliamo del Parlamento europeo: aprile di quest'anno e luglio dello scorso anno. Chiediamo, quindi, che, nelle conferenze internazionali e negli incontri bilaterali, anche il Governo italiano non dimentichi il tema dei diritti umani fondamentali e arrivi a monitorare la situazione. Tante volte i negoziati sono stati prima avviati e poi interrotti.
L'altra settimana, quando eravamo a Dharamsala, sede del Governo tibetano in esilio, abbiamo avuto la fortuna di incontrare le persone che il Dalai Lama aveva inviato a Pechino pochi giorni prima per riprendere contatti informali e preliminari. Non è ancora un negoziato. Dopo dieci anni si sono riaperti timidi ma importanti contatti. Dobbiamo fare in modo che questi contatti diventino un dialogo vero e che dal dialogo si arrivi ad un negoziato con tempi, scadenze ed obiettivi. E l'obiettivo è rappresentato dall'autonomia e dalla libertà politica, civile religiosa.
Con questa mozione, chiediamo al Governo di monitorare la situazione e di operare in favore del dialogo; qualora ciò non dovesse riuscire, si potrebbe prendere in considerazione, come chiede il Parlamento europeo, la possibilità di riconoscere il Governo tibetano in esilio quale rappresentante legittimo del popolo tibetano. Si tratta di un atto estremo: noi non vogliamo che ciò accada, ma preferiremmo una soluzione affidata al dialogo. Vi ringrazio per l'attenzione.
PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Rizzi. Ne ha facoltà.
CESARE RIZZI. Signor Presidente, colleghi, la situazione del popolo tibetano trova certamente la solidarietà di tutte le forze politiche.
La Lega nord, a maggior ragione, si sente vicina ad una popolazione oppressa nei suoi diritti e in tutte le sue forme di espressione.
La mozione prende le mosse da numerosi atti internazionali dell'ONU, del Parlamento europeo e dei singoli paesi (come la Germania) che hanno condannato la politica oppressiva della Cina ed il tentativo di imporre una rivoluzione culturale. Tuttavia, proprio perché ci troviamo di fronte all'ennesimo atto che invoca un governo autonomo per il Tibet, in seno alla Repubblica popolare cinese, in cui la Cina mantenga potere solo sulla politica estera e di difesa, è difficile non avvertire un senso di vacuità. In un certo qual modo, in questa mozione si chiedono pressioni internazionali sulla Cina e nuovi negoziati quando, già da anni, esistono risoluzioni dell'ONU che intervengono sull'argomento.
Comunque, ribadiamo che la Lega nord è pienamente solidale con il popolo tibetano che chiede la propria autonomia, autonomia per la quale la Lega si è sempre battuta come principio per tutti i popoli. C'è solo un neo in questa mozione, laddove, nella parte relativa agli impegni che dovrebbe assumere il Governo, si afferma: «ad invitare la Cina a cogliere l'opportunità delle olimpiadi del 2008 per seguire le norme internazionali in materia di diritti dell'uomo ed intensificare la cooperazione generale in materia».
Mi chiedo se, fra tutte le carte da giocare e da scegliere, si debbano indicare proprio le olimpiadi del 2008 come un'opportunità per la Cina di rispettare i diritti umani; a mio avviso, una cosa del genere sfiora il ridicolo. Se poi il rispetto dei diritti umani non è così importante come la carta di ingresso nel WTO, possiamo chiudere un occhio pur di avere accesso ad un miliardo di consumatori cinesi.
Pertanto, la Lega nord è pienamente d'accordo su una mozione del genere; vorrei chiedere al primo firmatario se
fosse possibile stralciare la parte relativa alle olimpiadi del 2008 perché, a nostro avviso, ciò sembra un po' una presa in giro.
PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Folena. Ne ha facoltà.
PIETRO FOLENA. Signor Presidente, vorrei sottolineare, innanzitutto, uno dei punti trattati dal collega Vernetti, vale a dire il carattere molto «corale» che ha avuto la preparazione e la sottoscrizione di questa mozione da parte di esponenti di tutte le parti politiche di questo Parlamento.
Non è la prima volta che nel Parlamento italiano, a diversi livelli, viene trattata questa grandissima questione; tuttavia, è la prima volta che lo si fa con un documento di tale importanza e con una sottoscrizione così ampia da parte di parlamentari. Al riguardo, sono particolarmente soddisfatto del fatto che tanti membri del mio gruppo parlamentare abbiano accettato l'invito ed abbiano sottoscritto anche loro questa mozione.
Adesso, dobbiamo trasformare questa forza politica in qualcosa che possa essere utile ad una battaglia molto difficile. Al riguardo, vorrei dire qualcosa a proposito di quanto sembra avvenire proprio nel corso delle ultime settimane (il collega Vernetti ne ha parlato nella parte conclusiva del suo intervento). Intendo dire che la strada della ripresa del dialogo è la vera via che dobbiamo riuscire a percorrere. Si tratta della strada che il Dalai Lama ed i tibetani in esilio (come interlocutori) riconoscono giusta, ed è la via che fa onore anche alla Cina, la quale dimostrerebbe che non si fanno «orecchie da mercante» rispetto ad una questione di tale importanza. È molto importante, quindi, che nei giorni passati siano stati ripresi dei colloqui, seppure informali, a Pechino e a Lhasa.
Vi è qualche segnale incoraggiante; credo che la delegazione che si è recata nei giorni passati a Dharamsala abbia potuto registrare il fatto che da parte tibetana si è avuta l'impressione di avere di fronte interlocutori attenti, competenti, disposti all'ascolto. Rispetto al passato questa è già una novità quando invece, da parte cinese, vi era una interlocuzione molto chiusa e, in qualche modo, ancora blindata dentro il recinto di vecchie certezze ideologiche. Bisogna però stare attenti che questa non rappresenti una mossa dilatoria e che non si perda del tempo; bisogna incentivare ed aiutare un processo politico di questo tipo.
Voglio anche far notare, a proposito della buona volontà tibetana, che il primo ministro del Governo tibetano in esilio - Samdhong Rimpoche -, come atto di buona volontà, ha chiesto di sospendere ogni manifestazione di protesta che in occidente ha fin qui accompagnato le visite delle autorità cinesi.
La base di questo dialogo - è questo il secondo punto cui volevo fare riferimento - è il fatto che non da oggi, ma da più di dieci anni il Dalai Lama e il suo governo in esilio insistono sulla richiesta di reale autonomia e non di indipendenza dalla Cina. Bisogna che da parte cinese si prenda atto di questa buona volontà del Dalai Lama; ancora recentemente, nel discorso tenuto il 10 marzo del 2002, in occasione del quarantatreesimo anniversario dell'insurrezione di Lhasa, egli ha avuto modo di dichiarare: «La mia posizione sulla questione tibetana è netta, non chiedo l'indipendenza, come ho detto molte volte in passato, chiedo che al popolo tibetano sia data l'opportunità di esercitare un autentico autogoverno per poter preservare la propria civiltà e la propria peculiare cultura, religione e lingua, perché il proprio stile di vita possa crescere e continuare a vivere». Ecco il terzo punto: bisogna fare presto perché l'identità culturale è a rischio. La lingua, la cultura, le tradizioni di questo popolo sono messe seriamente a rischio. L'emigrazione forzata - come è stato già denunciato - nel Tibet ha fatto sì che l'etnia Han cinese sia ormai maggioritaria nelle province tibetane. Sono state distrutte città tibetane, sostituite da anonime conurbazioni urbane, da palazzoni cinesi. È in atto una distruzione ambientale, un uso
dei fiumi e del territorio per esperimenti nucleari, stoccaggio di missili strategici, ciò anche per l'importanza militare e ambientale che quest'area ha nel contesto asiatico.
Tutto ciò ci dice che non possiamo aspettare due, tre, quattro, cinque anni per veder riprendere un dialogo, ma fin da ora l'Italia, l'Europa, la Comunità europea, l'occidente devono far sentire la loro voce affinché questo dialogo possa portare a dei risultati concreti.
Vi è poi la grandissima questione dei diritti umani; credo che dopo l'11 settembre - se non vogliamo essere retorici quando ne parliamo - tutti noi, di fronte a tutte le culture politiche, nazionali e sovranazionali, dobbiamo ammettere che è finita l'epoca del relativismo etico in cui si poteva essere più sensibili quando i diritti umani venivano violati in paesi amici e più insensibili quando questi ultimi venivano violati in paesi avversari. In Tibet vi sono più di 100 detenuti per motivi politici; i diritti umani vengono violati apertamente più di quanto già non avvenga nel resto della Cina e il collega Vernetti ha citato alcuni di questi elementi. Alla pena di morte per reati minori, alla mancanza di diritti civili, politici e sindacali elementari si aggiunge in Tibet un particolare accanimento contro ogni forma di rivendicazione legata all'identità tibetana. Basti pensare che la semplice esposizione della foto del Dalai Lama come capo religioso, oggi è punita con il carcere. Chi vuole diventare monaco o monaca è spedito per tre anni in Cina per servizio militare e sottoposto poi ad indottrinamento politico preventivo. Migliaia di monasteri distrutti durante gli anni sessanta e settanta non sono mai stati ricostruiti, né resi funzionanti. Fra le questioni dei diritti umani vi è quella molto grande relativa al Panchen Lama, la seconda più importante personalità del Tibet, scelta qualche anno fa, secondo le procedure e la prassi, dal Dalai Lama come nuovo Panchen Lama e che, come è noto, con la sua famiglia è scomparso, forse fatto prigioniero o forse eliminato da parte delle autorità cinesi.
Di fronte a tutto ciò, occorre, che la posizione del nostro Parlamento sia estremamente chiara. Lo dico perché l'Italia può fare molto: il nostro paese, infatti, intesse molti rapporti economici - non nascondiamocelo! - e lo sanno i colleghi del Governo che sono presenti in aula, tutti i colleghi dell'opposizione e tutte le parti politiche. Vi sono centinaia di imprese, di aziende nel nostro paese che hanno decentrato la loro produzione in Cina per i grandi vantaggi che ne sarebbero conseguiti. Noi abbiamo contribuito al fatto che questo paese sta conoscendo un tasso di sviluppo economico molto importante. Siamo amici della Cina e, pertanto, non chiediamo né sanzioni né politiche di ostilità nei confronti della medesima. Siamo, tuttavia, convinti che l'Italia, l'Europa, gli Stati Uniti, che hanno una certa presenza economica, debbano positivamente far pesare, senza intimidazioni, questo loro ruolo affinché si apra una nuova stagione di democrazia e di salvaguardia dei diritti umani e perché questo dialogo possa andare avanti e portare presto a risultati concreti.
Colleghi, la causa tibetana, a me, al collega Vernetti e a tanti altri colleghi che hanno firmato la mozione sta molto a cuore non solo perché è la causa di un popolo che si batte per i propri diritti, come tanti altri popoli del mondo, ma anche per una valenza simbolica. È, infatti, la causa di un popolo che ha fatto della non violenza la propria scelta, nonché il proprio unico metodo di lotta. I tibetani dell'esilio non hanno mai usato violenza o il terrorismo per rivendicare i propri diritti: questa è la base stessa della causa tibetana che ne fa un esempio originale.
Pertanto, di fronte a tanto terrorismo, a tante cause non espresse, a tanta gente spregiudicata, anche criminale, che vuole strumentalizzare le legittime cause, non dare oggi ascolto, non fornire risposta o non indicare al mondo che con la non violenza e con il dialogo si possono ottenere risultati sarebbe un gravissimo errore da parte della comunità internazionale. Penso che questo non ce lo possiamo permettere dopo l'11 settembre.
In occasione del primo anniversario della distruzione delle Torri gemelle, il Dalai Lama ha avuto modo di scrivere un articolo, pubblicato in prima pagina su un grande quotidiano italiano, auspicando, rispetto anche ai rumori di guerra che si ascoltano in queste settimane in Iraq ed in altre parti del mondo, che la strada del dialogo e della non violenza possa diventare non solo un'aspirazione delle coscienze individuali, ma una vera e propria strategia nuova da parte della comunità internazionale e credo che l'Italia possa esserne all'avanguardia (Applausi dei deputati dei gruppi dei Democratici di sinistra-l'Ulivo e della Margherita, DL-l'Ulivo).
PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Cima. Ne ha facoltà.
LAURA CIMA. Signor Presidente, in un periodo in cui siamo molto preoccupati per i venti di guerra, ansiosi per il problema iracheno sollevato con molto durezza dal Presidente Bush, credo sia molto importante che la Camera dei deputati affronti per la prima volta in tempi recenti il problema del Tibet. Ciò è molto importante, signor Presidente, per l'attualità, nella fase drammatica di escalation delle violenze dopo l'11 settembre, per il valore simbolico della vicenda tibetana e della lotta, attraverso il suo capo spirituale, il Dalai Lama (in passato ha rivestito la carica di Capo di Governo, ma, attualmente, è solo il capo spirituale dopo l'avvenuta divisione dei poteri), di questo coraggioso popolo tibetano che è riuscito a mantenere la propria capacità di rispondere all'oppressione, all'invasione, all'aggressione e alla morte.
Ricordiamo che negli anni della repressione, dopo l'invasione, un quinto del popolo tibetano è morto per ribellarsi all'assorbimento della grande identità culturale e religiosa di cui è portatore e ancora oggi giacciono nelle prigioni molti tibetani che hanno voluto testimoniare la loro opposizione e chiedere l'indipendenza del proprio paese. È stata ricordata in precedenza la vicenda del bambino imprigionato a sei anni e che è ancora in prigione - il Panchen Lama - e vorrei ricordare inoltre anche la vicenda di una monaca tibetana che è stata imprigionata a 13 anni nel 1990 - Ngawang Sangdrol - monaca del monastero femminile di Garu, 5 chilometri a nord di Lhasa. L'unica sua colpa è stata quella di gridare slogan indipendentisti. Si tratta praticamente di reati di opinione o a seguito di richieste di indipendenza in termini assolutamente non definibili di opposizione dura, né tantomeno di opposizione armata o di terrorismo; ciò nonostante molti sono i tibetani che si trovano ancora nelle carceri.
Parlavo di una estrema attualità proprio con riferimento a questa capacità di mantenere la propria integrità, sotto la pressione, e la propria identità: abbiamo visto nella recente missione cui ho partecipato con altri parlamentari italiani quanti sforzi si compiano per esempio per i giovani a Dharamsala, dove ha sede il Governo in esilio, per educarli e mantenere le loro tradizioni, ma anche per insegnare loro le cose che servono in questo mondo globalizzato: la lingua inglese e le tecnologie più avanzate. Pensate che esistono quasi 2 mila e 500 bambine che stanno studiando (ogni donna tibetana ha assunto l'onere di seguire 35 bambini a Dharamsala), sono andate via dal Tibet, per non crescere sotto la pressione cinese, spesso in condizioni drammatiche, attraversando l'Himalaya in inverno, rischiando il congelamento; le loro famiglie hanno preferito trovare il modo di fargli raggiungere il mondo libero con il rischio di non vederli più se non viene risolta velocemente la situazione tibetana. Alcuni di loro sono scappati subito dopo l'invasione e da più di cinquant'anni sono ormai all'estero, contribuendo a ricostruire la sede del Dalai Lama in esilio ed ora il Parlamento ed il Governo.
Questa terribile esperienza di tante madri che hanno preferito mandare i loro figli (con il rischio anche della vita, nell'attraversare l'Himalaya) nel mondo libero e con il rischio di non vederli più se la libertà per cui lottavano non fosse arrivata, è uno soltanto dei drammi terribili che le donne tibetane vivono. Alcune le
abbiamo anche incontrate: hanno vissuto 25 anni in galera e hanno visto i loro familiari morire; altre hanno manifestato nelle riunioni internazionali delle donne, come a Pechino, quattro anni fa, contro le sterilizzazioni forzate e gli aborti cui erano costrette dal Governo cinese. Infatti, queste terribili forme di oppressione sono il modo attraverso il quale, in questi anni, il Governo cinese ha tentato di cancellare il popolo tibetano e la sua identità, oltre naturalmente all'invasione, non solo militare, come nel 1950, ma anche civile, di tutti i cinesi che sono stati inviati a colonizzare il Tibet in questi anni.
Nonostante queste drammatiche condizioni, i governanti cinesi - non il popolo, ma il Governo, perché il popolo cinese stesso soffre della mancanza di democrazia che i suoi governanti hanno inflitto in modo tanto evidente ai tibetani - non sono riusciti a piegare questo popolo coraggioso. Allora è nostro compito intervenire, come ci è stato chiesto nei numerosi incontri che abbiamo avuto, in quei luoghi, anche con parlamentari indiani: voi sapete, infatti, che il Governo indiano non solo ospita ma aiuta continuamente il Parlamento tibetano in esilio, Parlamento che è una recente acquisizione dei tibetani in esilio che hanno voluto dotarsi di questo organismo compiendo un ulteriore passo verso la democratizzazione. Abbiamo incontrato il Parlamento riunito in sessione plenaria - quindi tutti i parlamentari - e abbiamo avuto modo di capire come essi veramente rappresentino in modo democratico il popolo del Tibet nella sua diaspora.
Come ci hanno chiesto sia il Dalai Lama sia il Governo sia il Parlamento sia il popolo tibetano, nei vari incontri, è necessario intervenire il più fortemente e il più velocemente possibile, perché il momento è favorevole. I colleghi che mi hanno preceduto hanno già detto che abbiamo incontrato i due delegati del Dalai Lama, di ritorno dagli incontri a Pechino e a Lhasa, che erano portatori di speranza: il momento, infatti, è favorevole anche perché la Cina deve superare una fase astorica che non potrebbe permetterle, se continuasse questo tipo di oppressione - anche la democrazia di cui gode attualmente il popolo cinese è incerta -, di mantenere il ruolo importante che riveste (e che noi riteniamo sia giusto abbia) all'interno della comunità internazionale.
Quindi, io vorrei anche riaffermare il nostro spirito di amicizia fortissima verso il popolo cinese, di rispetto verso il suo Governo, ma anche l'invito ad incalzare la democratizzazione che è stata avviata in quel paese, anche attraverso l'apertura degli scambi, e che noi riteniamo debbano trovare visibilità concreta nel negoziato con il Tibet, che deve ampliarsi ed essere reso pubblico nel più breve tempo possibile. Questo ci è stato chiesto anche perché le distruzioni, soprattutto quelle ambientali, sono drammatiche: sono state distrutte non solo moltissime foreste, moltissimi monasteri, ma anche le vecchie città, per sostituirle con un'immagine del Tibet più turistica, ma sicuramente non così affascinante e non così rispondente a quell'immagine che tutti noi abbiamo interiorizzato, attraverso tante letture, che abbiamo conosciuto attraverso le opere d'arte, la storia, la religione tibetana.
Non solo: il Tibet è stato scelto anche come luogo per il deposito di scorie nucleari, proprio per contrastare la tendenza alla pace che questo popolo ha sempre espresso.
PRESIDENTE. Onorevole Cima, la prego di concludere.
LAURA CIMA. Mi avvio alla conclusione ricordando che sono stati installati - così ci è stato riferito - missili a lunga gittata che, peraltro, rappresentano una minaccia proprio in un momento in cui giustamente chiediamo ad altri popoli di disarmarsi.
Il fatto che il Tibet sia diventato un luogo dove, invece, vi sono minacce di armi, scorie nucleari e, nella stessa regione in cui è nato il Dalai Lama, esperimenti nucleari, ci fa rabbrividire. L'urgenza, dunque, è tanta.
Mi auguro che un voto di quest'Assemblea favorevole alla mozione che abbiamo
presentato possa contribuire a spingere il Governo cinese verso un'immediata apertura di negoziati.
PRESIDENTE. Non vi sono altri iscritti a parlare e pertanto dichiaro chiusa la discussione sulle linee generali della mozione.
Mi complimento con coloro che sono intervenuti e, superando per un momento il rigore di una ritualità che spesso non mi appartiene ma che è necessaria da questo banco, desidero aggiungere la mia firma - parlo come deputato - alla mozione (Applausi) e, in attesa di ascoltare l'intervento del Governo, credo che ciò che è stato detto corrisponda all'anima, al sentimento, alla speranza di tutti i parlamentari presenti in quest'aula.
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