Resoconto stenografico dell'Assemblea
Seduta n. 161 del 19/6/2002
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(Discussione sulle linee generali - A.C. 973)

PRESIDENTE. Dichiaro aperta la discussione sulle linee generali.
Ha facoltà di parlare il relatore, onorevole Fanfani.

GIUSEPPE FANFANI, Relatore. Signor Presidente, il provvedimento in esame è diretto ad istituire, ai sensi dell'articolo 82 della Costituzione, una Commissione parlamentare di inchiesta per indagare sulle archiviazioni di 695 fascicoli contenenti denunce di crimini nazifascisti commessi nel corso della seconda guerra mondiale e riguardanti circa 15 mila vittime. Sul medesimo oggetto, proprio al termine della scorsa legislatura, la Commissione giustizia aveva svolto un'indagine conoscitiva che si era conclusa con l'auspicio che venisse costituita una Commissione parlamentare di inchiesta alla quale affidare il compito di far luce sulle ragioni che avevano impedito alla magistratura militare di perseguire una serie di gravi crimini di guerra, disponendo la loro archiviazione. È bene precisare, anche alla luce del parere della Commissione difesa, peraltro non accolto dalla Commissione giustizia, che la Commissione di inchiesta non dovrà procedere all'accertamento delle responsabilità delle stragi di guerra, il cui compito spetta alla magistratura militare, ma dovrà verificare, ed è questo il limite dell'indagine, quali siano stati gli ostacoli che hanno impedito alla giustizia di fare, tempestivamente, il suo corso.


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La circostanza che, sul tema dell'inchiesta, ha indotto, prima il Consiglio della magistratura militare e la Commissione giustizia della Camera dei deputati a svolgere indagini e, poi, alcuni deputati a presentare una proposta di istituzione di una Commissione d'inchiesta, è stata la modalità di ritrovamento dei fascicoli archiviati. In particolare nell'estate del 1994...

PRESIDENTE. Onorevoli colleghi, credo che l'argomento meriti un maggiore rispetto.
Per cortesia, chi deve defluire lo faccia con un po' di educazione.

GIUSEPPE FANFANI, Relatore. Attendo con pazienza. Grazie, Presidente.
In particolare, nell'estate del 1994, in un locale di palazzo Cesi, a Roma, sede degli uffici giudiziari militari di appello e di legittimità, veniva rinvenuto un vero e proprio archivio di atti relativi a crimini di guerra del periodo 1943-1945. Il carteggio era suddiviso in fascicoli a loro volta raccolti in faldoni. Nello stesso ambito venivano alla luce anche un registro generale, con i dati identificativi dei vari fascicoli e la corrispondente rubrica nominativa. Il materiale rinvenuto era in gran parte costituito da denunce ed atti di indagine di organi di polizia giudiziaria italiana e di commissioni di inchiesta angloamericane sui crimini di guerra. Anziché essere raccolti e trattenuti in un archivio, gli atti rinvenuti avrebbero dovuto essere stati inviati ai magistrati competenti per le opportune iniziative e l'esercizio dell'azione penale.
Per quanto il locale del ritrovamento si trovasse tra quelli di pertinenza della procura generale presso la corte di appello, sui fascicoli figurava la provvisoria archiviazione adottata dalla procura generale militare presso il tribunale supremo militare, organo giudiziario soppresso nel 1981, le cui funzioni erano passate alla procura generale militare presso la Corte di cassazione.
Colleghi, vi prego di ascoltare, non per rispetto di chi vi parla, ma per rispetto dei deputati che si sono fatti carico di presentare un'iniziativa di questo tipo che, se condivisa o non condivisa, ha particolare valore morale, e per rispetto di quei sindaci, rappresentanti di 15 mila morti, che ieri hanno aspettato tutto il pomeriggio in quest'aula per sentire le parole che il Parlamento avrebbe espresso nei loro confronti per un atto di solidarietà (Applausi dei deputati dei gruppi della Margherita, DL-l'Ulivo, dei Democratici di sinistra-l'Ulivo e Misto-Comunisti italiani).
Stavo dicendo che sui fascicoli figurava la provvisoria archiviazione adottata dalla procura generale militare presso il tribunale supremo militare, organo giudiziario soppresso nel 1981 le cui funzioni erano passate alla procura generale militare presso la Corte di cassazione.

PRESIDENZA DEL VICEPRESIDENTE FABIO MUSSI (ore 19,10)

GIUSEPPE FANFANI, Relatore. Pertanto, tali archiviazioni, già da un primo esame, risultano essere anomale sia in ragione del contenuto stesso dei fascicoli rinvenuti sia delle modalità della loro conservazione, non essendo stati ritrovati nell'archivio degli atti dei tribunali di guerra soppressi e del tribunale speciale per la difesa dello Stato nella sede della procura generale militare, bensì in un armadio con le porte sigillate rivolte verso la parete situato in uno stanzino chiuso da un cancello di ferro. È bene sottolineare che alcuni di questi fascicoli - che riguardano all'incirca quindicimila vittime - si riferiscono a stragi di inaudita violenza come quelle di Bellona, delle Fosse Ardeatine, di Sant'Anna di Stazzema, di Marzabotto, di Boves e di Fossano. L'indagine conoscitiva svolta nella scorsa legislatura si è conclusa evidenziando, sulla base delle audizioni svolte, la responsabilità della magistratura militare e, in particolare, dei procuratori generali militari che si sono succeduti dal 1945 al 1974. L'illegalità avrebbe avuto inizio subito dopo la conclusione della guerra quando, anziché trasmettere i fascicoli alle procure


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militari competenti per territorio, si è preferito concentrarli presso un organo quale la procura generale militare presso il tribunale supremo militare che non aveva competenza al riguardo, non avendo alcuna competenza o responsabilità di indagine e di esercizio dell'azione penale. Forse, scopo di tale accentramento non è stato l'occultamento dei fascicoli, ma il loro smistamento sulla base di un disegno tracciato dagli alleati, secondo i quali la competenza per l'accertamento dei crimini di guerra si doveva suddividere tra l'Italia e gli alleati secondo criteri legati alla localizzazione del fatto incriminato o al grado dei militari coinvolti. Tuttavia, i fascicoli non sono mai stati distribuiti alle procure competenti, tranne alcuni. Anzi, nel 1960 si provvede ad un'archiviazione provvisoria dei fascicoli. L'archiviazione dei fascicoli si accompagnò ad un'accurata selezione degli stessi, alla quale seguì, negli anni dal 1965 al 1968, la trasmissione alle procure di circa 1.300 fascicoli. In realtà si trattava solo di quelli nei confronti di soggetti non noti o supportati da prove di spessore poco rilevante che, comunque, non potevano dar luogo all'istruttoria di processi destinati a concussione.
Pertanto, alla concentrazione del 1945, seguì l'archiviazione degli anni sessanta e la successiva selezione dei fascicoli meno rilevanti. L'archiviazione del 1960, comunque, non fu solo un atto adottato da un organo non competente, ma anche un'iniziativa assolutamente discutibile nel merito, in quanto non ricorrevano gli estremi per l'archiviazione dal momento che i fascicoli contenevano indicazione di nomi, fatti e circostanze. Nel documento conclusivo dell'indagine conoscitiva si legge che non si tratta, quindi, di un'archiviazione, ma di un mero occultamento. Ciò che riveste notevole interesse sono le ragioni che avrebbero portato all'archiviazione provvisoria. Come si legge nel documento conclusivo dell'indagine conoscitiva, in piena guerra fredda si colloca una data di fondamentale importanza per la nostra indagine, il 10 ottobre 1956. A quella data è legato un documento emblematico della rilevanza che la situazione politica internazionale assume per la vicenda in esame. Si tratta di una nota inerente ad un carteggio tra il ministro degli esteri, in persona del Ministro Gaetano Martino, e quello della difesa, Emilio Paolo Taviani, relativo ad una richiesta di estradizione dalla Repubblica federale di Germania che era stata indirizzata al Ministero degli esteri. Questi, si parla del ministro, con nota 10 ottobre 1956 diretta al ministro della difesa, riguardante proprio l'estradizione ipotizzata dal procuratore militare, nell'esporre vari argomenti contrari all'iniziativa si è soffermato su alcune circostanze di notevole interesse. Martino in particolare ha evidenziato gli interrogativi, si legge testualmente, che potrebbe far insorgere, da parte del Governo di Bonn, una nostra iniziativa che venisse ad alimentare la polemica sul comportamento del soldato tedesco. Proprio in questo momento, infatti, tale Governo si vede costretto a compiere presso la propria opinione pubblica il massimo sforzo allo scopo di vincere la resistenza che incontra oggi in Germania la ricostruzione di quelle forze armate di cui la NATO reclama con impazienza l'allestimento.
Termina qui la citazione testuale. La nota di risposta del ministro della difesa del 29 ottobre 1956 era pienamente adesiva. Per la costituzione dell'Alleanza Atlantica si ritenne che fosse politicamente inopportuno iniziare processi per crimini di guerra che avrebbero messo in crisi l'immagine della Germania e, soprattutto, la ricostituzione di una forza armata in quel paese.
La ragion di Stato, come è stato confermato dal senatore Taviani in un'intervista rilasciata alla rivista L'Espresso, ha condizionato quindi in negativo l'accertamento delle responsabilità dei crimini di guerra.
Tornando al contenuto della proposta legge in esame, essa si compone di sei articoli. Tra le modifiche che la Commissione giustizia ha apportato al testo, solo quella relativa al segreto di Stato innova in maniera rilevante il testo stesso.
L'articolo 1 delimita l'ambito di competenza della Commissione. Quest'ultima


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dovrebbe avere il compito di indagare sulle cause delle archiviazioni di cui si è parlato e sulle responsabilità della magistratura militare, in particolare dei procuratori generali militari che si sono succeduti dal 1945 al 1974. Compito della Commissione sarà anche di verificare se vi sia stata una volontà politica diretta ad occultare i fascicoli sulle stragi nazifasciste.
L'articolo 2 stabilisce il numero dei componenti la Commissione (15 senatori e 15 deputati) e le procedure per la nomina ed eventuali sostituzioni. Si stabilisce, inoltre, il termine per la conclusione dei lavori entro due anni dalla data di entrata in vigore della legge oltre l'obbligo di presentare ai Presidenti delle Camere una relazione sulle risultanze delle indagini svolte.
È stato approvato in Commissione un emendamento volto a precisare le modalità di elezione dell'ufficio di presidenza ed un altro che fissa in 60 giorni dalla conclusione dei lavori il termine entro il quale presentare la relazione.
L'articolo 3 stabilisce che la Commissione procede alle indagini e agli esami con gli stessi poteri e le stesse limitazioni dell'autorità giudiziaria e che può acquisire copia di atti e documenti relativi a procedimenti o inchieste in corso presso l'autorità giudiziaria o altri organismi inquirenti.
L'emendamento all'articolo 3, approvato dalla Commissione, ha per oggetto i divieti che non possono esser opposti alla Commissione di inchiesta e le norme del codice penale applicabili.
In particolare, si prevede che per i fatti oggetto dell'inchiesta parlamentare non sono opponibili il segreto di Stato, il segreto d'ufficio e quello professionale, salvo il segreto - è ovvio - tra il difensore e il proprio assistito nell'ambito del mandato professionale.
Peraltro, i documenti trasmessi dal Governo sotto il vincolo del segreto possono essere declassificati solo con l'accordo tra il Governo stesso e la Commissione.
Per le testimonianze rese davanti alla Commissione si applicano le disposizioni degli articoli da 366 a 384 del codice penale.
L'inopponibilità del segreto di Stato appare essere un dato imprescindibile affinché la Commissione possa raggiungere gli obiettivi ad essa posti dalla legge. A tale proposito, non si può non sottolineare l'esigenza che agli storici italiani, studiosi di quella vicenda, sia messa a disposizione la documentazione custodita negli archivi italiani e cioè in quelli del Ministero degli affari esteri, della difesa e della giustizia, dell'Arma dei carabinieri e della procura generale militare.
Il lavoro di ricostruzione storica di quel periodo è stato sinora affidato alla possibilità di consultare archivi stranieri, in particolare inglesi e americani. La desecretazione, ove non rechi pregiudizio agli interessi dell'ordinamento tutelati dal segreto di Stato, rappresenterebbe oggi da parte del Governo italiano un atto concreto attraverso il quale si manifesta la volontà del paese di ricercare la verità storica dei gravi fatti facendo finalmente giustizia.
L'articolo 4 stabilisce che l'attività ed il funzionamento della Commissione sono disciplinati da un regolamento interno approvato dalla Commissione stessa prima dell'inizio dei lavori e che la Commissione potrà avvalersi di collaborazioni specializzate.
L'articolo 5 disciplina la pubblicità dei lavori e dei documenti e il segreto istruttorio per i membri della Commissione, i funzionari addetti all'ufficio di segreteria e ogni altra persona che collabori con la Commissione stessa, stabilendo anche le relative sanzioni.
L'articolo 6 tratta delle spese per il funzionamento della Commissione, mentre l'articolo 7 stabilisce la data di entrata in vigore della legge individuata nel giorno successivo a quello della sua pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale.
Ringrazio gli onorevoli colleghi, il Governo e il signor Presidente per l'ascolto (Applausi dei deputati dei gruppi della Margherita,


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DL-l'Ulivo dei Democratici di sinistra-l'Ulivo e Misto-Comunisti italiani).

PRESIDENTE. Ha facoltà di parlare il rappresentante del Governo.

GIUSEPPE VALENTINO, Sottosegretario di Stato per la giustizia. Signor Presidente, credo che le ragioni così compiutamente illustrate dall'onorevole Fanfani meritino tutto l'apprezzamento possibile. L'esigenza di far luce su questa oscura vicenda e sulle complesse ricadute che ne derivano è un'esigenza avvertita. Pertanto, il Governo raccomanda un celere esame di questa proposta di legge.

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Carli. Ne ha facoltà.

CARLO CARLI. Signor Presidente, signor rappresentante del Governo, onorevoli colleghi, desidero iniziare questo mio intervento citando le parole che il Presidente della Repubblica federale tedesca, Johannes Rau, ha pronunciato a Marzabotto lo scorso 17 aprile in occasione della sua visita sui luoghi dell'eccidio compiuto nella provincia bolognese dal 29 settembre al 1o ottobre 1944, dove morirono 955 civili, uccisi dai nazifascisti. Queste sono le parole del Presidente tedesco: «Quando penso ai bambini e alle madri, alle donne e alle famiglie intere, vittime dello sterminio di quella giornata di cinquantotto anni fa, in cui dei tedeschi hanno portato violenza e immenso dolore a Marzabotto, mi pervade un profondo senso di dolore e vergogna. Mi inchino davanti ai morti».
Già lo scorso anno, in occasione della commemorazione del cinquantasettesimo anniversario della strage di Sant'Anna di Stazzema, avvenuta il 12 agosto 1944, un rappresentante dell'ambasciata tedesca in Italia aveva chiesto, a nome del proprio Governo, perdono ai familiari delle 560 vittime della furia nazifascista, in massima parte vecchi, donne e bambini. Neanche i neonati furono risparmiati, neppure il giovane prete don Innocenzo Lazzeri che in un ultimo gesto di pietà sollevò al cielo un bambino prima di essere falciato dalle raffiche delle mitragliatrici.
Dolore e vergogna, dice il Presidente tedesco, per quei fatti orribili che videro per protagonista l'esercito tedesco cinquantotto anni fa. Dolore e vergogna proviamo ancora oggi sapendo che quelle stragi di vittime innocenti che cercavano scampo dalla guerra nelle campagne, nei paesi e nelle montagne rimangono impunite e senza colpevoli. Dolore e vergogna, inoltre, proviamo nel sapere che in molte di quelle stragi contro italiani inermi ed innocenti altri italiani collaboravano con i nazisti in questa furia barbara e distruttrice.
Qualcuno potrebbe domandare se oggi, a tanti anni di distanza da quei tragici eventi, abbia senso chiedere ancora giustizia per quei morti, cercare colpevoli, mandanti ed esecutori, cioè i protagonisti responsabili che vollero ed eseguirono quelle stragi. La gran parte dei carnefici di quell'estate di sangue del 1944 sono morti ed i sopravvissuti, e ce ne sono ancora, hanno ormai un'età molto avanzata. Ciononostante, ritengo importante che questa ricerca continui ancora con rinnovato impulso in quanto essa ha il profondo significato che trova radici ed attivazione dall'esclusivo amore per la verità e la giustizia.
Ritengo doveroso anche da parte nostra, parlamentari della Repubblica, impegnarci perché, una volta per tutte, si possa scrivere la storia delle stragi, conoscerne i colpevoli ed il perché di tanta ferocia. Giustizia, ma non vendetta, non odio. Non vogliamo processi sommari, non chiediamo punizioni esemplari per persone ormai prossime alla fine della loro esistenza. Ciò non toglie che vogliamo sapere oggi chi volle le stragi, chi furono i colpevoli. Quei pochi che ancora sono in vita devono rispondere di fronte alla storia dei loro crimini e delle loro malefatte.
Sono passati tanti anni, tante prove non sono più reperibili. Molti degli autori sono morti nella guerra, fuggiti dove nessuno potesse trovarli o dove vi fossero governi compiacenti che li accogliessero. Anche molti che potevano portare una testimonianza e riferire particolari utili alle indagini sono morti. Tra questi anche


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italiani: non per questo dobbiamo far mancare il nostro impegno per la ricerca di una verità troppo a lungo negata alle vittime, ai loro familiari ed alla storia. Non è mai stato possibile scrivere una volta per tutte chi furono le vittime, chi furono i carnefici, i loro nomi e le loro azioni.
Purtroppo, anche italiani aiutarono i nazisti nel compiere quell'orribile sequenza di massacri che si consumarono in Italia a partire dall'estate del 1944. Vi è un registro «nero» di 2.274 eccidi che l'università di Pisa ha censito. Tra questi: Sant'Anna, Capistrello, Gubbio, Turchino, Benedicta, Pedascala, lager di Fossoli. Si tratta di 15 mila morti civili e quasi altrettanti militari italiani passati per le armi perché non si volevano arrendere all'esercito tedesco come a Cefalonia. Solo due gli eccidi, Marzabotto e Fosse Ardeatine, per i quali si è arrivati ad un processo perché, se oggi è difficile fare processi, allora era impossibile e gli studi degli storici lo evidenziano in maniera chiara ed inconfutabile.
Per la memoria di quei tragici eventi dell'estate del 1994 qualcosa si è fatto anche da parte di questo Parlamento che, nella scorsa legislatura, ha approvato la legge n. 381 del 2000 che istituisce a Sant'Anna di Stazzema, in provincia di Lucca, uno dei simboli del martirio di persone inermi da parte di nazifascisti, il parco nazionale della pace che ha lo scopo di promuovere iniziative culturali ed internazionali, ispirate al mantenimento della pace e alla collaborazione dei popoli per costruire il futuro anche sulle dolorose memorie del passato, per una cultura di pace e per cancellare la guerra dalla storia dei popoli.
Sono obiettivi ambiziosi, ma già molto è stato fatto, come creare occasioni di incontro per studenti di paesi in conflitto, come israeliani e palestinesi. Ma la memoria non può non partire dalla verità; per questo motivo, il comune di Stazzema è in prima linea, alla ricerca della verità dei fatti da consegnare ai 560 morti, ai familiari dei martiri e alla storia.
Oggi, discutiamo dell'istituzione della Commissione parlamentare di inchiesta, per capire il perché, a pochissimi anni dai tragici avvenimenti, ad un certo punto della storia, si è smesso di indagare su tali crimini e sono stati sospesi i processi e nascosti i fascicoli relativi alle stragi. È il nuovo contesto internazionale del dopoguerra - della divisione del mondo in blocchi di Stati contrapposti, che fanno riferimento da un lato agli Stati Uniti di America, dall'altro all'Unione sovietica - che interviene fortemente nel corso della giustizia, evitando che fosse fatta piena luce su tali crimini. In questo contesto, la Germania e la sua capitale Berlino, e il famigerato muro eretto alcuni anni dopo, diventano emblema della divisione in zone d'influenza e della concreta ed armata spartizione del mondo tra le nazioni che hanno vinto la seconda guerra mondiale.
Il Parlamento, anche sulla base di sollecitazioni raccolte dall'apposito Comitato per la Verità e la Giustizia sulle stragi nazifasciste, già nello scorcio finale della scorsa legislatura, aveva cercato di comprendere le cause e le ragioni dell'impedimento alla celebrazione dei processi, con lo svolgimento di un'indagine conoscitiva da parte della Commissione Giustizia della Camera dei deputati. Nel documento conclusivo di tale indagine conoscitiva si dice chiaramente che «lo strumento più adeguato per raggiungere tale obiettivo è sicuramente l'inchiesta parlamentare ai sensi dell'articolo 82 della Costituzione». Tale Commissione «non dovrà procedere all'accertamento delle responsabilità delle stragi di guerra, il cui compito spetta alla magistratura militare, ma verificare quali siano stati gli ostacoli che hanno impedito alla giustizia di fare il suo corso».
Oggi chiediamo di istituire proprio tale Commissione bicamerale di inchiesta con l'approvazione della proposta di legge a mia firma, sottoscritta da numerosi parlamentari del gruppo dei Democratici di sinistra-l'Ulivo e sostenuta anche da altri deputati.
Per capire perché non si celebrarono mai i processi per questi eccidi e stragi è opportuno fare una breve cronistoria degli anni che seguirono la conclusione della guerra. Come riportato nel documento


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conclusivo approvato all'unanimità dalla Commissione Giustizia nella scorsa legislatura, «l'illegalità ha avuto inizio dal primo dopoguerra, quando anziché trasmettere i fascicoli alle procure militari competenti per territorio si è preferito accentrarli presso un organo, quale la procura generale militare presso il tribunale supremo militare, che non aveva competenza al riguardo, non avendo alcuna competenza e responsabilità di indagine e di esercizio dell'azione penale».
Per tracciare meglio una sintetica cronistoria di quegli anni e di quegli avvenimenti - del resto lo ha fatto molto bene il relatore, onorevole Fanfani - mi avvarrò di alcuni documenti presentati dal professor Paolo Pezzino, titolare della cattedra di storia contemporanea alla facoltà di storia dell'Università di Pisa, in occasione della sua audizione nell'ambito dell'indagine conoscitiva svolta alla fine della precedente legislatura. Vorrei sottolineare che la gran parte delle fonti usate sono inglesi o americane, dato che molti ministeri in Italia non hanno ancora aperto i propri archivi agli storici e agli studiosi.
Il primo passo dopo la guerra fu la costituzione della commissione centrale per l'accertamento delle atrocità commesse dai tedeschi e dai fascisti, istituita il 26 febbraio del 1945 ed integrata il 26 aprile dello stesso anno. La dirige Aldobrando Medici-Tornaquinci, il quale era un uomo politico liberale, sottosegretario di Stato del Ministero dell'Italia occupata; il ministro era Mauro Scoccimarro. Questa commissione entra immediatamente in rapporto con gli alleati, in particolare con gli americani. Vi è un appunto del quartier generale alleato del 26 maggio 1945 che testimonia la visita del giudice Piero Berretta, inviato dal Ministero dell'Italia occupata, che comunica la composizione della Commissione. In questo incontro si decide che in quella fase siano gli italiani ad assumere piena responsabilità per quanto riguarda la verifica e la punizione dei crimini di guerra. La documentazione inglese - si tratta anche di appunti ad uso interno - conferma la disponibilità alleata a fornire agli italiani la documentazione raccolta da queste sezioni investigative, anche se lascia aperta la questione se poi i colpevoli debbano essere puniti da un tribunale italiano oppure da uno alleato.
Da questo primo blocco di documentazione, che riguarda il periodo febbraio-giugno del 1945, si ricava che, in questa prima fase, il Governo italiano aveva preventivato di effettuare un'azione di ricerca dei colpevoli. Azione che trovava il sostegno degli alleati e che vi erano rapporti a livello istituzionale tra Governo italiano e quartier generale.
Il secondo blocco dei documenti è relativo, invece, all'estate del 1945 ed è di origine inglese. Esso riveste un grande interesse, in quanto dimostra che, già nell'agosto del 1945, sono state acquisite alcune linee di fondo in ordine alla politica da seguire nei confronti dei criminali di guerra da parte degli alleati. Si tratta, fondamentalmente, di un rapporto che raccoglie tutte le conclusioni relative alle indagini condotte dagli inglesi sugli episodi e crimini di guerra (al rapporto è, infatti, allegato un cospicuo volume, in cui vengono elencati uno ad uno tutti i casi indagati, quasi un centinaio) ed elabora le linee politiche generali.
Si decide di celebrare due grandi procedimenti giudiziari. Il primo riguarda la strage delle Fosse Ardeatine, per il quale si propone di mettere sotto processo Kesserling, Mackensen, che comandava la XIV armata, Maeltzer, comandante della piazza di Roma e forse altri generali come il comandante della Hermann Goering Harster e Wolff, comandante delle SS. Soprattutto, si raccomanda di tenere un processo unico per quanto riguarda i comandanti d'armata, di corpo e di divisione.
Insomma, nell'agosto del 1945, gli inglesi hanno acquisito prove sufficienti sul fatto che la condotta bellica dei tedeschi nei confronti delle popolazioni italiane (dei tedeschi in generale e non soltanto di truppe specialistiche, in quanto è riportata tutta la catena di ordini inviata da Kesserling all'esercito) configura un atteggiamento ed una volontà terroristici nei confronti della popolazione civile, tale da


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giustificare una vera e propria «Norimberga italiana», vale a dire un grande processo per crimini di guerra che dovrebbe svolgersi subito dopo la chiusura del processo di Norimberga. Vi è, quindi, una volontà precisa di arrivare ad una piena punizione dei colpevoli.
Il terzo blocco di documentazione riguarda la preparazione di questo grande processo di «Norimberga italiana». Si tratta di un blocco molto interessante: c'è una lettera del 9 aprile del 1946 del comandante generale in capo delle truppe inglesi al sottosegretario di Stato della guerra a Londra, relativa ai preparativi di questo grande processo. Si presuppone che sarà un processo di grande mole, con addirittura circa 50 difensori. Si dice che il processo sarà complicato e si richiede l'utilizzazione del sistema fonico già impiegato a Norimberga, per le produzioni istantanee. Vi sono anche alcune interessanti considerazioni sull'effetto positivo che avrebbe, sull'opinione pubblica italiana, la celebrazione di un simile processo. Si chiede, quindi, al Governo italiano di trovare una sede adeguata che, secondo gli inglesi, non poteva che essere Roma o Milano.
La svolta si verifica in occasione del processo a Kesserling. Vi fornisco qualche dato. I processi effettuati da corti militari britanniche in Italia per crimini di guerra sono in tutto 49. Non sono tutti processi contro i tedeschi perché alcuni riguardano gli italiani (ad esempio, per maltrattamenti di prigionieri di guerra inglesi nei campi di prigionia).
I grandi processi celebrati dagli inglesi sono, per quanto riguarda la Fosse Ardeatine, quelli ai generali Mackensen e Maeltzer, i quali, nel novembre della 1946, vengono condannati a morte. C'è poi il processo a Kesserling, tenuto a Venezia da un tribunale militare inglese, che è quello più importante per la valenza anche simbolica che assume. Kesserling è il comandante in capo delle forze armate tedesche in Italia, ma non era il comandante di qualche reparto speciale. È un fedele maresciallo proveniente dall'aviazione. Questo processo dura dal febbraio del 1947 al 6 maggio dello stesso anno. Con grande stupore ed amarezza la popolazione della Versilia e i familiari delle vittime di Sant'Anna di Stazzema - costituitisi in un Comitato martiri di Sant'Anna di Stazzema, con sede a Pietrasanta - scrivono alle autorità politiche e alla procura generale militare presso il tribunale supremo; questo è il testo: «Tutta la popolazione versiliese è rimasta altamente meravigliata perché al processo di Venezia non sia stato esaminato il massacro delle circa 600 vittime innocenti di Sant'Anna, crimine che non trova raffronto in Italia e che, secondo il sergente Jack Foisie ("The Star and Stripes", dell'8 ottobre del 1944), può trovare solo uno nell'ecatombe nella cecoslovacca Lidice». Oppure il telegramma dei sindaci della Versilia, del 26 febbraio 1947, indirizzato al Capo del Governo, nel quale si dice: «Invochiamo vostro sollecito intervento presso Corte Britannica Venezia perché criminali tedeschi rispondano eccidio di Sant'Anna».
Durante questo processo, a Padova, si apre quello ad un generale delle SS per l'uccisione di 17 partigiani vicino a Torino e di 11 civili a Borgo Ticino. È l'unico processo che si conclude con una assoluzione. Il 6 maggio del 1947, Kesserling viene condannato a morte.
Questo è il processo di svolta. Chiuso il processo al feldmaresciallo tedesco, in Gran Bretagna, parte una forte pressione a favore di Kesserling.
Il primo documento interessante, che risale proprio al 7 maggio, proviene dalla segreteria del Primo ministro inglese ed è diretto al Ministero della guerra; si dice: «Vi ricordo che l'altra notte Mr. Churchill mi ha telefonato per dirmi che è angosciato per la sentenza del processo Kesserling e che pensa di sollevare la cosa in Parlamento». L'8 maggio c'è un intervento a favore di Kesserling da parte del generale Alexander, capo delle Forze armate alleate in Italia, che scrive dal Quebec a Churchill, dicendo che è stato colpito dalla sentenza Kesserling, poiché egli come ex nemico non ha alcuna lamentela da fare


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nei suoi confronti, dal momento che Kesserling ha combattuto in modo duro ma leale.
Il maggio 1947 è il mese in cui viene rilanciata la dottrina Truman: il 12 marzo di quell'anno il Presidente Truman, davanti al Congresso americano, aveva detto che si apriva una nuova guerra tra il mondo della libertà ed il mondo del totalitarismo. È chiaro che in questo contesto politico la Germania, seppur divisa, diventa il tassello di un mosaico importante: non conviene insistere sul tema dei crimini di guerra tedeschi.
Il 29 giugno 1947, il generale Harding, che era comandante in capo delle forze inglesi ancora presenti in Europa, commuta la sentenza di morte di Kesserling in ergastolo, utilizzando una serie di argomentazioni che dimostrano anche la difficoltà giuridica in cui gli stessi inglesi ed americani si sono trovati nell'affrontare processi che presuppongono una regolazione giuridica in merito ai crimini di guerra e a quelli contro l'umanità che loro stessi non possedevano. L'ultimo processo che si celebra è del 26 giugno 1947 a Padova, contro il generale Max Simon, comandante della XVI divisione Panzer delle SS, responsabile di una catena di stragi fra le più sconvolgenti nella zona della Versilia. Anch'egli viene condannato a morte ma viene immediatamente graziato: è l'ultimo processo per i crimini di guerra che si svolge in Italia.
Il documento successivo già reca traccia di questo cambiamento di rotta. Esso risale al 19 febbraio 1948: è della procura militare generale inglese e fa riferimento ad una riunione tenuta con il Foreign office il 10 dicembre 1947 e nella quale è stata presa la formale decisione di non celebrare più alcun processo in futuro con corti militari britanniche in Italia per crimini di guerra. Si tratta di una dimostrazione del fatto che con il dicembre 1947 si chiude la stagione dei processi a carico dei criminali di guerra. I documenti in mano agli alleati vengono passati alle autorità italiane. Allora, perché non furono celebrati i processi? La risposta sta nel ritrovamento nel maggio 1994 nel corso del processo contro Erich Priebke per la strage delle Fosse Ardeatine, nella sede della procura generale militare, in via degli Acquasparta al civico 2, a palazzo Cesi, di un mobile marrone nascosto in una specie di sottoscala, protetto da un cancello di ferro, con le ante rivolte verso il muro, contenente un registro che riportava l'elenco scrupoloso di tutti i fascicoli dei crimini commessi dai nazifascisti in Italia durante l'occupazione.
Quei fascicoli, che erano stati letteralmente sepolti in quell'armadio per quasi cinquant'anni, dovevano essere trasferiti alle competenti procure militari ed invece furono occultati: 2.274 eccidi per i quali nella prima colonna è indicato il numero d'ordine; nella seconda l'identità, il domicilio ed il grado degli imputati; nella terza il titolo del reato secondo il codice militare (omicidi, efferatezze, stragi, eccidi di prigionieri di guerra, come accadde a Cefalonia e altrove); nella quarta la parte lesa - vale a dire le vittime -; nella quinta l'ente denunciante; nella sesta e nella settima, le più desolatamente vuote, il tribunale al quale dovevano essere trasmessi gli atti per l'istruttoria, gli estremi della denuncia e la data dell'eventuale restituzione. L'ultima colonna, infine, è per le note: lì sono stati riportati gli estremi dell'invio dei fascicoli, al momento del ritrovamento dell'armadio, alle procure militari di competenza, operazione compiuta dalla fine del 1994 fino a metà circa del 1996. Per 695 dei 2.274 eccidi, minuziosamente schedati e raccolti nei fascicoli, sono menzionati i nomi di coloro che eseguirono personalmente o che ordinarono quelle stragi orrende.
Che vi sia stata una violazione della legalità, lo ha confermato il Consiglio della magistratura militare che, in data 7 maggio 1996, ha deliberato di disporre un'indagine conoscitiva per stabilire le dimensioni, le cause e le modalità della provvisoria archiviazione e del trattenimento nell'ambito della procura generale militare presso il tribunale supremo militare di procedimenti per crimini di guerra. Lo stesso Consiglio, in data 27 marzo 1999, ha approvato la relazione conclusiva dell'indagine.


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Nella relazione si legge fra l'altro: «I fascicoli in tal modo estratti dall'archivio e trasmessi con provvedimento - dal 16 novembre 1994 al 25 maggio 1996 - dal procuratore generale presso la corte militare d'appello alle procure militari competenti, in base al criterio del locus commissi delicti sono risultanti in numero di 695.
Due sono stati inviati alla procura militare di Palermo, quattro a Bari, 32 a Napoli, 122 a Roma, 214 a La Spezia, 108 a Verona, 119 a Torino e 87 a Padova. Tra questi, 280 circa sono state rubricati quali procedimenti nei confronti di ignoti, militari tedeschi il più delle volte, oppure fascisti o della guardia nazionale repubblicana. Gli altri 415, invece, nei confronti di militari identificati ancora per lo più appartenenti alle forze armate germaniche, oppure alle milizie della Repubblica sociale italiana. Più avanti si legge ancora che aver trattenuto presso la procura generale militare dei rapporti e denunce giunte da tutta Italia, ha sottratto, infrangendo la legge, al pubblico ministero competente qualsiasi iniziativa di indagine e di esercizio dell'azione penale e, dunque, una grave violazione della legalità.
La storia ci chiede due verità. Quella sui colpevoli, che affidiamo al lavoro autonomo e indipendente della magistratura militare, con nuova fiducia, e agli storici con la consapevolezza di quanta importanza abbia, pur a tanti anni di distanza dagli eventi in questione, l'apertura degli archivi, di tutti gli archivi che ancora oggi, ci dicono gli studiosi, sono preclusi allo studio e alla ricerca. C'è poi un'altra verità, anch'essa storica, ma più politica: capire il perché e chi volle insabbiamento e l'occultamento dei fascicoli. È questo che possiamo e dobbiamo fare noi da questo Parlamento, ossia creare le condizioni perché verità e giustizia vengono fatte e la storia venga scritta una volta per tutte. Lo dobbiamo alle vittime di quelle stragi, lo dobbiamo ai nostri figli che devono sapere dove, quando e perché furono commessi quegli orrendi massacri.
Il secolo che abbiamo alle spalle è forse il più drammatico della storia, quello degli stermini di massa, dei grandi totalitarismi, delle persecuzioni razziali. Guerre e distruzioni hanno insanguinato il mondo e i vincitori della seconda guerra mondiale si sono spartiti il mondo in aree di influenza. La guerra fredda sostituito quella combattuta: USA e URSS si sono sfidate in una assurda corsa agli armamenti che per 45 anni hanno retto il mondo sull'equilibrio di due superpotenze che si opponevano e regolavano nelle rispettive zone di influenza le contese delle singole nazioni e anche i tentativi di uscita da questi equilibri mondiali. Ricordiamo nel 1968 l'abbattimento del Governo di Dubcek in Cecoslovacchia e nel 1973 il colpo di Stato in Cile con l'uccisione del legittimo presidente Salvador Allende.
Questo è accaduto nel periodo in cui si sarebbero dovuti svolgere i grandi processi contro i criminali nazifascisti, per i fatti compiuti dalle truppe tedesche e da italiani sul territorio del nostro paese. È accaduto che la superiore ragione di Stato, la necessità di legittimare l'ingresso della Germania nel fronte occidentale, abbiano vinto sulla sete di verità. Inascoltati sono rimasti i familiari delle vittime, i sindaci dei paesi dove si consumarono questi orribili massacri contro le loro popolazioni, i comitati sorti per commemorare questi morti e chiedere giustizia per il loro sacrificio. Ho avuto la possibilità di ricevere documenti del Ministero degli affari esteri relativi alla strage di Sant'Anna di Stazzema che testimoniano di una fitta rete di appelli che giungevano alle autorità italiane perché si trovassero i colpevoli e della volontà di testimoniare e segnalare possibili persone a conoscenza dei fatti perché fosse fatta giustizia. Ciò non avvenne ed oggi chiediamo che una Commissione parlamentare d'inchiesta stabilisca i perché.
Da 13 anni è stato abbattuto il muro di Berlino, da più di 10 anni ormai anche l'URSS ha lasciato il passo a tante repubbliche indipendenti, ed è da pochi giorni che la Russia, nemico di un tempo, ha un ruolo di partner con la NATO. Sono cadute tutte quelle odiose ragioni di Stato, così come vengono definite, che furono di


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intralcio ai processi, alle indagini e alla ricerca della verità e giustizia che sono i principi ispiratori di questa nuova ricerca. Nessuna vendetta, nessuna sadica volontà di persecuzione verso anziani che hanno portato per 58 anni dentro di sé i loro orribili segreti. Vogliamo, però, conoscere i loro nomi, vogliamo che sia chiarito il loro ruolo nei massacri, vogliamo che siano scritte da un tribunale le loro responsabilità in questi feroci eccidi e stragi, che non furono atti di guerra né in gran parte rappresaglie, ma l'attuazione di un malefico e diabolico piano di sterminio della popolazione civile per evitare che fossero di supporto ai partigiani e agli alleati.
Sono passati gli anni ma non si è sopito il ricordo di quelle stragi che ogni anno vengono giustamente ricordate e le vittime commemorate. Di recente, il consiglio regionale della Toscana ringrazio il suo presidente Riccardo Nencini per avere intrapreso questa iniziativa - presente in quest'aula lunedì scorso con una propria rappresentanza (purtroppo non si è potuta svolgere la discussione sulle linee generali) - ha istituito un comitato di cui fa parte l'ufficio di presidenza del consiglio regionale coordinato dal vicepresidente Enrico Cecchetti, dall'assessore regionale Carla Guidi, in rappresentanza della giunta della regione toscana, il sottoscritto, l'onorevole Verdini ed il senatore Andrea Rigoni, i sindaci di Stazzema, Castelnuovo Val di Cecina, Larciano, Cavriglia, in rappresentanza degli 82 comuni toscani sul cui territorio si sono consumati questi eccidi. Ne fa parte anche il presidente dell'istituto storico per la resistenza, professor Ivan Tognarini, e il presidente del comitato per la verità e la giustizia sulle stragi nazifasciste. Un coordinamento regionale nato per sostenere l'istituzione di una Commissione parlamentare d'inchiesta per conoscere le ragioni che portarono all'occultamento dei fascicoli relativi alle stragi nazifasciste. Nelle due riunioni che si sono tenute è emersa la voglia di verità, il rinnovato bisogno di conoscenza dei sindaci di ciò che accadde di così tragico nelle loro comunità.
In Toscana nel periodo giugno-ottobre 1944 le vittime furono più di quattromila, ma i dati sono ancora suscettibili di ulteriori lievitazioni. Innumerevoli gli episodi, il sito allestito dalla regione Toscana ne conta 164, citando i più crudeli, con centinaia di vittime e con punte di tragicità e di crudeltà inenarrabile, da Vallucciole a Sant'Anna di Stazzema, da Valdicastello a Bardine di San Terenzo, dal padule di Fucecchio a Forno e Frigido a Massa, da Niccioleta a Guardistallo, da Civitella della Chiana a Castelnuovo dei Sabbioni, da Bardine a Vinca, e quelli consumati nel territorio del comune di Vecchiano ed in tante altre località situate in altre regioni. Una escalation di terrore avviata con il famigerato ordine di Kesselring diramato il 17 giugno 1944, con cui si dava mano libera ai comandi dei singoli reparti nella conduzione della lotta antipartigiana. Questa lotta si trasformò allora, con sempre più evidenza, in guerra contro le popolazioni civili, ed in una vera e propria pratica sanguinaria di terrore, che si collocava in un quadro complessivo fatto di un dominio assoluto sulla popolazione, di deportazioni, di spoliazioni, di persecuzioni, di lavoro coatto.
La memoria di questi eccidi in Toscana non si è stratificata in maniera uniforme ed omogenea ed in taluni casi ha addirittura assunto caratteri antipartigiani. Su questo hanno influito alcuni fattori politici e sociali, ma principalmente le lentezze e le difficoltà della ricostruzione storica, intralciata spesso da una tendenza ad irrigidirsi in forme retoriche e semplicistiche. Ma ha indubbiamente influito anche la brutale battuta d'arresto imposta alla ricerca per via giudiziaria della verità e delle responsabilità dalla guerra fredda e dai suoi sviluppi, che coprì con uno spesso velo di oblio e di silenzio i crimini nazifascisti azzerando anche le indagini avviate e in corso. Poiché non furono scritti i nomi dei colpevoli, è stato possibile allora il diffondersi di «leggende», di letture, che ritengo, inesatte degli avvenimenti: questo non lo possiamo permettere!


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Per questo ribadisco l'importanza di aprire gli archivi, di capire dove possono essere altri documenti importanti alla ricostruzione degli eventi. Sollecitiamo per questo che l'organo preposto potenzi gli uffici presso le procure militari dove si sta lavorando per scoprire i responsabili. Con i colleghi Valdo Spini, Elena Emma Cordoni, Raffaella Mariani, Giuseppe Fanfani, relatore di questa proposta di legge, abbiamo depositato alcuni giorni or sono una interrogazione in cui si chiede il potenziamento dell'ufficio della procura militare di La Spezia che si occupa degli eccidi in Toscana, dove a fronte di oltre 60 casi aperti, con le difficoltà derivanti dalla distanza temporale in cui si svolsero gli eventi, opera un solo magistrato.
Ma vi è un fatto che non può che vederci interpreti di questo nuovo slancio di ricerca della verità: nella nuova Germania questi temi non vengono accantonati, la ricerca ha avuto una nuova spinta. L'ufficio centrale per le indagini sui crimini nazisti di Ludwigsburg collabora con la procura militare di La Spezia per superare un periodo di incredibili incomprensioni. Per esempio, dalla città dell'arsenale sono sì partite dalla metà degli anni novanta verso la Germania richieste di assistenza giudiziaria, ma solo per un'altra strage, quella di Massaciuccoli. Anche per questo è importante conoscere la verità, ma oltre Massaciuccoli vi sono diversi eccidi e stragi che oggi chiedono verità e giustizia.
Niente a che fare con le altre due, ad esempio, di Stazzema e Marzabotto. Solo da pochi anni in Italia si comincia a ricostruire compiutamente, attraverso vecchie testimonianze, quel che avvenne durante alcune stragi. Grazie ad un indagine giornalistica di giornalisti tedeschi, alcuni militari tedeschi che parteciparono ai più atroci massacri...

PRESIDENTE. Onorevole Carli, concluda.

CARLO CARLI. Signor Presidente, chiedo alla Presidenza l'autorizzazione alla pubblicazione in calce al resoconto stenografico della seduta odierna delle considerazioni integrative del mio intervento perché un fatto così importante credo abbia il merito di essere trattato in maniera ampia.

PRESIDENTE. La Presidenza lo autorizza, perché ha impiegato integralmente i 30 minuti a sua disposizione.

CARLO CARLI. Concludo signor Presidente con le parole del Presidente della Repubblica, Carlo Azeglio Ciampi, pronunciate il 17 aprile del 2002, nel corso dell'incontro avvenuto a Marzabotto alla presenza del Presidente federale tedesco: «Siamo oggi qui riuniti, il Presidente tedesco ed il Presidente italiano, per rendere onore a quelle vittime innocenti come Rau ha voluto espressamente. Siamo tutti qui riuniti perché il ricordo rimanga vivo affinché la memoria, tramandata di generazione in generazione, costituisca monito e guida, a vigile garanzia della dignità della persona umana. Mai più! Lo giurammo noi stessi, non appena cessò il fragore delle armi sulle tombe dei nostri fratelli, sulle macerie delle nostre case, ci impegnammo a far regnare tra di noi la fraternità e la pace».
Con questo impegno solenne dei due Presidenti noi ci sentiamo in dovere di fare piena luce per testimoniare a noi e alle future generazioni il nostro impegno per la ricerca della verità e la giustizia perché ciò che di orribile è accaduto mai più accada (Applausi dei deputati del gruppo dei Democratici di sinistra-l'Ulivo)!

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Cristaldi. Ne ha facoltà.

NICOLÒ CRISTALDI. Signor Presidente, onorevoli colleghi, preliminarmente intendo dichiarare il grande rispetto per il contenuto del disegno di legge, per il titolo che reca e per i firmatari, convinti come siamo, noi del gruppo di Alleanza nazionale, che si voglia giungere all'accertamento di una ragione che ha portato ad ampie polemiche, a notizie giornalistiche,


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comunque a momenti nei quali occorre capire perché alcune cose sono state compiute e se sono state compiute.
Abbiamo espresso immediatamente un giudizio positivo quando abbiamo letto il titolo del disegno di legge, quando abbiamo appreso che il Parlamento veniva chiamato a pronunciarsi sulla proposta di istituire una Commissione parlamentare di inchiesta sulle cause dell'occultamento di fascicoli relativi a crimini nazifascisti. Abbiamo espresso un giudizio positivo perché conoscevamo già la vicenda apparsa anche sui giornali; 695 fascicoli, come risulta dai giornali, si trovavano in un posto dove non avrebbero dovuto essere ed avrebbero, invece, dovuto attivare alcune procedure previste dalle leggi in vigore.
Se naturalmente viene chiesto al Parlamento un pronunciamento per accertare queste ragioni, noi che giudichiamo lo Stato come l'entità della quale avere sempre e comunque rispetto, avendo noi formato la nostra cultura umana e politica all'interno del rispetto delle leggi, non possiamo dire di «no» al tentativo di accertare precise cause. Esprimo, tuttavia, anche una preoccupazione, onorevole Presidente, per una parte del contenuto dell'articolato e, soprattutto, per le dichiarazioni che sono state rese in questa sede, non ultima quella del collega precedente; se, infatti, da una parte si dice che si vogliono accertare le ragioni dell'occultamento, dall'altra parte, si dice a voce che siamo in Parlamento e non in un circolo privato. Ciò che si pronuncia in questi casi, in merito ad argomenti di tale natura, contribuisce a scrivere la storia, a formare gli uomini, ad alimentare tensioni quando ve ne sono. Dunque, una frase pronunciata in una maniera errata può creare condizioni non tanto di chiarimenti di accertamenti, ma addirittura di ulteriori confusioni.
Noi abbiamo un timore - lo voglio dire a tutti i colleghi -, ovvero che la Commissione finisca con l'essere uno strumento che non viene immaginato per accertare le ragioni dell'occultamento dei 695 fascicoli, ma la sede nella quale aprire una sorta di processo ad una fase storica del nostro paese, in una sorta di sede che dovrebbe accertare le ragioni persino di una guerra civile.
Noi siamo preoccupati di un clima di questa natura, perché i tanti sforzi che la politica in questi anni, in particolare in questi ultimi anni, ha compiuto potrebbero tutto ad un tratto essere annullati, alcune proposte potrebbero essere interpretate, vorrei dire ora erroneamente, e suscitare negli animi degli italiani sentimenti che sono stati archiviati sicuramente nella stragrande maggioranza del popolo italiano.
Non c'è dubbio che se si vuole effettivamente giungere all'accertamento delle ragioni che hanno condotto all'occultamento dei 695 fascicoli, francamente, signor Presidente, ci pare uno strumento sproporzionato la costituzione di una Commissione d'inchiesta, che ha strutture, impiegati e che può avvalersi di consulenti. Uno strumento sproporzionato: miliardi spesi per accertare - si badi, so bene che la democrazia ha dei costi - le ragioni per le quali sono stati nascosti i 695 fascicoli.
Personalmente sono convinto che in questi casi sarebbe bastata una circostanziata interrogazione, un preciso ordine del giorno con il quale impegnare il Governo a compiere le opportune indagini e a riferire al Parlamento. Non voglio invece criticare lo strumento, che pure dal gruppo di Alleanza nazionale e dal sottoscritto è considerato sproporzionato, perché ciascuno ha il diritto di chiedere che ci siano strumenti, all'interno del Parlamento, che possano essere tali da accertare fino in fondo le cose che devono essere accertate.
Quando si ascoltano le relazioni svolte, diventano giustificate anche le posizioni di altri parlamentari che chiedono di non accertare soltanto, nello stesso periodo storico, crimini che vengono definiti nazifascisti, ma che, avendo presentato iniziative similari, chiedono che si facciano accertamenti sui crimini compiuti da elementi che certo non avevano a che fare con il nazifascismo.
Lo dico dunque con un senso di preoccupazione, perché si vede bene quale spirale


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può aprirsi, nel momento in cui non si attribuisce il giusto equilibrio allo strumento che vogliamo predisporre in quest'aula. Se non predisponiamo uno strumento equilibrato, rischiamo di fomentare una situazione di tensione che porta anche alcuni deputati a dire: si faccia un'altra Commissione d'inchiesta per accertare i crimini degli ex partigiani dal 1943 al 1947. Si portano altri deputati a dire: si accertino i crimini di ex comunisti perpetrati in questo o in quell'altro regime. Diventerebbe una sorta di Parlamento che sarebbe chiamato ad inventare strumenti di inchiesta che non occuperebbero più lo spazio dell'accertamento di occultamenti, come in questo caso, bensì lo spazio della politica.
Ancora più grave ci sembra, signor Presidente, onorevoli colleghi, anche il consentire nell'articolato, alla stessa Commissione di inchiesta, strumento sproporzionato, di potersi anche avvalere di personale che non deve trascrivere, stenografare o dattilografare, ma che deve esprimere giudizi di carattere storico. Quando si dice che la Commissione può avvalersi di storici, letterati, evidentemente quest'ultima, sotto l'aspetto del titolo della legge, è chiamata all'accertamento delle ragioni dell'occultamento, ma quando nell'articolato si prevede che si vogliono storici, intellettuali, testimoni non dei fatti, ma soltanto appartenenti al patrimonio storico e culturale del nostro paese, si finisce col dare alla Commissione di inchiesta un significato di diverso livello rispetto alle ragioni per le quali vi è sicuramente l'assenso unanime dell'Assemblea. Ripeto: l'assenso unanime della Camera e quello del Senato.
Dico queste cose perché i segnali sono arrivati: questa proposta di legge è arrivata in aula con il parere positivo della IV ed anche della I Commissione. Mi permetto di fare osservare proprio ai presentatori di questa proposta di legge, all'onorevole Carli, che è il primo firmatario, cosa dice la Commissione difesa, che esprime parere favorevole con la seguente condizione: «l'indagine comprenda tutti i fatti contestuali e immediatamente successivi al periodo dell'immediato dopoguerra (1945), che, unitamente ai 695 fascicoli mancanti e alle 15.000 vittime innocenti, costituiscono occasione di accertamento per responsabilità non limitate all'oggetto della presente proposta che, perciò, deve eticamente e storicamente essere allargato, atteso che i paletti temporali possono costituire occasione di odio, visione unilaterale e non completezza dell'indagine come da tutti si chiede».
È un parere normalissimo, legittimo che, però, viene interpretato da me e dai parlamentari di Alleanza nazionale come un segnale che può portare fuori rotta la stessa Commissione di inchiesta. Quindi, non una Commissione di inchiesta che andrebbe ad accertare, giustamente, le ragioni dell'occultamento dei fascicoli, ma una Commissione di inchiesta che, anche grazie al parere della Commissione difesa, si dovrebbe imbarcare in una ricognizione storica, filosofica e ideologica, legata alle questioni della guerra civile del nostro paese. Vi rendete conto di cosa significhi tutto questo? Sono certo di sì.
Nel frattempo nuove generazioni si sono abituate, negli ultimi anni, alla politica italiana, con tutti i difetti e le contraddizioni che essa può avere. Ma non c'è dubbio che la politica di oggi ha allontanato la tensione, la frizione fra le varie parti. Certo, oggi, quando si guarda all'avversario politico, non si ha lo stesso rancore di dieci o venti anni fa. Per quale ragione, allora, alimentare uno strumento che potrebbe riportare ad epoche passate, a tempi che, invece, devono essere cancellati? Perché dobbiamo inventare uno strumento che già si presenta, anche dalle dichiarazioni - sicuramente fatte in buona fede - come uno strumento che alimenterà l'odio, che metterà in moto il processo dell'odio e non il processo della serenità, dell'accettare che si possa essere uomini e dirigenti del paese, uomini della politica, sapendo che uno può esprimere la propria opinione mentre dall'altra parte c'è uno che la pensa in maniera diversa, senza con ciò ritenere che chi la pensa in maniera diversa da lei, onorevole Carli, sia un criminale, senza consentire a ciascuno di


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esprimere la propria opinione? Ecco quali sono le nostre preoccupazioni, signor Presidente.
Vi è anche una ragione di carattere generale. Siamo all'inizio della legislatura, ma se cominciamo ad istituire Commissioni di inchiesta per questioni che potrebbero essere accertate anche attraverso un ordine del giorno o una semplice circostanziata interrogazione, vi renderete conto che saremo sommersi da proposte di legge. Come «parare», a questo punto, la richiesta dell'onorevole Malgieri, ad esempio - per citare un deputato del mio gruppo -, quando avrà visto che una proposta di legge di tale portata è già in aula? Come possiamo dire all'onorevole Malgieri di non insistere affinché venga in aula la sua proposta di legge? La sua è l'unica firma, ma è una proposta di legge regolarmente presentata, legittima costituzionalmente ed anche dal punto di vista regolamentare, che prevede: è istituita, ai sensi dell'articolo 82 della Costituzione, una Commissione parlamentare di inchiesta, di seguito denominata Commissione, volta ad accertare la dinamica e le motivazioni sottese agli eventi criminosi post-bellici verificatisi in Italia dal 1945 al 1948, configuranti crimini contro l'umanità e ingiustificabili violazioni della giustizia civile e militare ed offese alla dignità della persona; le cause della mancata individuazione, del mancato perseguimento dei responsabili di eccidi, massacri, stermini e delle stragi ispirate da motivazioni di pulizia etnica o politica; i mandanti e gli esecutori di crimini di cui alla lettera a) e b), nonché gli eventuali depistaggi operati da organi o apparati dello Stato; ogni elemento utile ai fini della conoscenza dei fatti, fondato sul patrimonio documentale disponibile o di nuova e certa acquisizione; informazioni o elementi aggiuntivi che possono integrare conoscenze già acquisite.
Permettetemi di dirvi che l'articolo 1 del provvedimento presentato dall'onorevole Malgieri ha la stessa dignità dell'articolo 1 della proposta di legge presentata dall'onorevole Carli e da altri parlamentari. Sono preoccupato anche del provvedimento dell'onorevole Malgieri, perché certamente i progetti di legge sono fatti anche di relazioni e se dovesse diventare oggetto di dibattito, non soltanto in aula, ma anche nel paese, non soltanto il contenuto delle cose affermate dagli onorevoli Carli e Fanfani, ma anche il contenuto delle cose espresse da Malgieri, certamente mi troverei di fronte ad un dibattito accesissimo, nel quale troverebbe spazio la dichiarazione dell'ex partigiano Otello Montanari il quale chiese, a gran voce, di far luce sui crimini avvenuti subito dopo il 25 aprile del 1945. Mi troverei ad esaminare la strage di Schio, le foibe! Ma vi rendete conto di cosa significa trasferire questo dibattito ad un successivo momento, nell'istante in cui si decidesse di dare a questa Commissione d'inchiesta il diritto di occupare uno spazio che non è quello dell'accertamento, dell'occultamento dei documenti, ma quello di fare un processo ad una parte della storia del nostro paese? Ciò porterebbe, sicuramente, altre parti a ritenere, altrettanto legittimamente, che è possibile discutere nuovamente con una logica del passato il che, invece, questo paese, questa società, non può permettersi.
Allora, onorevole Presidente, il gruppo di Alleanza nazionale ha presentato delle proposte emendative che rappresentano il tentativo di dire al Parlamento che le cose devono essere messe sul giusto binario, perché tutto ciò che abbiamo conquistato insieme (da chi sta a destra, da chi sta a sinistra e da chi sta al centro) non venga posto nuovamente in discussione. Tutti gli spazi che sono stati occupati per migliorare la società italiana non tornino ad essere occupati dall'odio e dalle frizioni! Ecco perché, onorevole Presidente, mi appello a lei, alla Commissione, ma soprattutto ai firmatari, perché il provvedimento venga ricondotto alla vera ragione per la quale è possibile immaginare la nascita di uno strumento del genere.
Se non si vuole presentare una semplice interrogazione, se non si vuole presentare un ordine del giorno, mi chiedo, onorevole Carli, prevedendolo anche il regolamento della Camera, la ragione per


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la quale non sia stato chiesto al Presidente della Camera, anche attraverso un ordine del giorno, anche attraverso una lettera, anche attraverso una dichiarazione orale, di dare incarico alla Commissione Giustizia di svolgere un'indagine su ciò e di chiedere un'integrazione della Commissione giustizia anche semplicemente per accertare le vicende. Sarebbe bastata un'indagine. In qualche maniera, quest'indagine potrebbe essere svolta dal Governo, dai singoli parlamentari, opportunamente autorizzati dal Presidente della Camera, dalla stessa Commissione Giustizia o dall'altra Commissione, qualora si ritenesse che vi siano competenze di altra natura.
Queste sono le ragioni della nostra preoccupazione, onorevole Presidente. Certamente non frapponiamo un ostacolo al tentativo di trovare la verità nelle vicende oscure del nostro paese che vanno chiarite. La nostra preoccupazione è quella di vedere la nascita di uno strumento che, lungi dall'essere un mezzo di accertamento di una cosa giusta, finisca col diventare uno strumento diverso rispetto alla ragione per la quale nasce, uno strumento di odio, che alimenti le frizioni, che giustifichi la nascita di altri strumenti.
Voi state indagando nel processo storico politico e ideologico contro la destra di quel tempo, noi chiediamo che si indaghi, sotto l'aspetto ideologico, storico, politico ed economico, sulla storia del socialismo in Europa! Ma vi rendete conto in quale spirale ci troveremmo? Credo che questa non sia - lo dico francamente - la ragione per la quale i firmatari hanno presentato il provvedimento, anche perché anch'io sono stato destinatario di una lettera dei sindaci della Toscana che ci chiedono di pronunciarci sull'atteggiamento che deve tenere il Parlamento a proposito della richiesta di accertamento di verità. E chi può dire «sono contrario all'accertamento della verità»? Chi può dire, soprattutto se l'accertamento della verità riguarda delle azioni criminali, che si è contrari a creare uno strumento che possa accertare se vi sono criminali, crimini nazifascisti? I criminali sono criminali.
Il crimine è, naturalmente, l'elemento che consente l'esistenza del criminale, ma il criminale non ha colori: se ci sono criminali comunisti, si tratta di criminali; se ci sono criminali nazifascisti, si tratta di criminali. E questo lo affermo sempre nello spirito delle mie considerazioni iniziali: si può tentare di dare a questo Parlamento una funzione che chiarisca ed accerti ragioni che devono essere accertate, ma non si deve trasformare lo strumento per rinfocolare un odio che sarebbe molto pericoloso, anche in considerazione del clima nel quale viviamo, non solo a causa del terrorismo internazionale, ma anche per ragioni di carattere sociale.
Diventa difficile, poi, comprendere cosa sia giusto portare in piazza e cosa no. Fino a quando in piazza vanno le persone responsabili, è facile controllare il fenomeno; quando, invece, in piazza si finisce con il portare l'esaltazione e l'incapacità di dare equilibrio ai propri ragionamenti, si finisce con il creare, o a porre i presupposti per ricreare, quelle condizioni che portarono il terrorismo nel nostro paese.
Non voglio dire che questa proposta di legge rappresenti un elemento che metterà in moto un nuovo processo terroristico in Italia, ma dico che ciascuno di noi deve stare attento, in questo clima e su questi argomenti, ad usare gli strumenti legittimi consentiti dalla politica. Certo, è legittimo chiedere una Commissione di inchiesta (anche se lo strumento mi appare sproporzionato), ma bisogna sapere che sono i piccoli elementi, i piccoli tasselli che, messi l'uno sull'altro, possono condurre a situazioni che mi auguro nessuno di noi voglia creare (Applausi dei deputati del gruppo di Alleanza nazionale).

PRESIDENTE. Onorevole Fanfani, ho notato che mi segnala di volere la parola, ma ci sono altri interventi e, quindi, parlerà dopo.

GIUSEPPE FANFANI, Relatore. Quando?

PRESIDENTE. Ci sarà tempo.


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GIUSEPPE FANFANI, Relatore. Volevo soltanto chiedere un chiarimento perché non ho capito alcune cose.

PRESIDENTE. È iscritta a parlare l'onorevole Pistone. Ne ha facoltà.

GABRIELLA PISTONE. Signor Presidente, vorrei annunciare in questa sede, perché mi sembra non di maggiore ausilio, ma di condivisione piena alla proposta in discussione, la presentazione di analoga proposta di legge, la n. 2700, a mia iniziativa, sottoscritta anche da tutti i colleghi dell'Ulivo. Si tratta, quindi, di una proposta trasversale - ne informo anche il Governo - che ricalca, in sostanza, il testo dell'onorevole Carli e degli altri deputati.
Con queste iniziative vogliamo sottolineare la valenza che attribuiamo, in maniera trasversale, ad un evento che non è giusto rimuovere e in relazione al quale non serve fare revisionismo. Il revisionismo e la rimozione non creano serenità. È la negazione della verità che, invece, crea problemi!
Io sento un dovere nei confronti di tutti quei cittadini che hanno avuto familiari coinvolti in quelle vicende e nei confronti delle vittime, in primo luogo. Nel tentativo di affermare un'idea di pacificazione, se ne negano i presupposti. La piena comprensione della storia ed i caratteri popolari della nostra democrazia passano attraverso l'accertamento della verità. Ecco perché si chiede l'istituzione di una Commissione parlamentare di inchiesta.
Come il sottosegretario sicuramente sa, nella passata legislatura, in Commissione giustizia, il 6 marzo 2001, è stato votato il documento conclusivo con il quale si auspicava l'istituzione di una Commissione di inchiesta e nel quale, alla lettera d), si dice: «si tratta di un tema che merita di essere approfondito nella prossima legislatura al fine di delineare con maggiore precisione gli ambiti di responsabilità degli organi dello Stato coinvolti».
E aggiunge: lo strumento più adeguato per raggiungere tale obiettivo è sicuramente l'inchiesta parlamentare, ai sensi dell'articolo 82 della Costituzione. E poi va avanti dicendo: la Commissione d'inchiesta - della quale si auspica l'istituzione - non dovrà procedere all'accertamento delle responsabilità della strage di guerra, il cui compito spetta alla magistratura militare, ma verificare quali siano stati gli ostacoli che hanno impedito alla giustizia di fare il suo corso, anche nominando un comitato composto da storici al quale affidare il compito di procedere ad una esauriente ricostruzione storica del fenomeno.
Questo l'ho ricordato perché si tratta un documento molto importante, a nostro avviso, a mio avviso, che è stato votato all'unanimità in Commissione giustizia, quindi da tutti gli appartenenti alla Commissione. Per cui, il passaggio in Commissione vi è stato, ed è stato un passaggio importante, purtroppo è stato tardivo e non ha permesso di giungere all'entrata in vigore del provvedimento.
Vorrei iniziare il mio intervento con delle precisazioni che ritengo doverose, senza nulla togliere, peraltro, all'intervento del collega di Alleanza nazionale, il quale, da un certo punto di vista, ritiene il fatto sproporzionato, però, ritenendolo tale, tutto sommato, sostiene anche che questo fatto esiste, cioè ne avvalora...

NICOLÒ CRISTALDI. Questo fatto è noto a tutti, è su tutti i giornali d'Italia!

GABRIELLA PISTONE. Bene, allora la Commissione di inchiesta, non da me (Commenti di deputati di Alleanza nazionale)...

PRESIDENTE. Onorevoli colleghi!

GABRIELLA PISTONE. Adesso non facciamo il duetto, perché diventa odioso.
Volevo solamente apprezzare il fatto che per questo argomento si istituisca una Commissione di inchiesta; poi, per un altro fatto, se ne può fare un'altra. Voglio dire, questo fatto non è esclusivo, non è di impedimento, perché non concordo con la tesi in base alla quale la rimozione aiuta. Non sono affatto di questo avviso, soprattutto quando si tratta di occultamento, come in questo caso è avvenuto.


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Volevo riprendere il mio intervento dicendo che l'indagine riguardante la questione delle circa quindicimila vittime e delle archiviazioni di 695 fascicoli, che contengono certamente denunce di crimini nazifascisti commessi nel corso della seconda guerra mondiale, nacque, nella scorsa legislatura, dall'esigenza di verificare le cause di archiviazione di tali fascicoli rinvenuti nel 1994, che risultano essere anomale in ragione sia del contenuto - il materiale è composto da denunce e atti di indagine di organi di polizia italiani, di Commissioni di inchiesta angloamericane sui crimini di guerra - sia della modalità della loro conservazione. Furono, infatti, ritrovati in un armadio - detto poi l'armadio della vergogna -, con le porte sigillate, situati in uno stanzino chiuso da un cancello di ferro a palazzo Cesi, sede della procura generale militare, anziché nell'archivio degli atti dei tribunali di guerra soppressi e del tribunale speciale per la difesa dello Stato. In ciascuna delle pratiche è impressa la dicitura provvisoria «archiviazione», tra virgolette, facendo riferimento ad un istituto giuridico che risulta inesistente. Indicazione che comunque è stata apposta su iniziativa della procura generale militare presso il tribunale militare supremo, organo giudiziario, soppresso nel 1981, le cui funzioni sono passate alla procura generale militare presso la Corte di cassazione. Una tale procedura ha fatto pensare che i documenti siano stati occultati piuttosto che archiviati e ha indotto il consiglio della magistratura militare a deliberare in data 7 maggio 1996 un'indagine conoscitiva per stabilire le dimensioni, le cause, le modalità della provvisoria archiviazione e del trattenimento nell'ambito della procura generale militare, presso il tribunale supremo militare, di procedimenti per crimini di guerra. L'indagine si è conclusa con la deliberazione di una relazione conclusiva ed è uno dei tratti di questa relazione conclusiva; ho appena avuto modo di leggerla all'inizio il mio intervento.
Nonostante l'obiettivo dell'indagine fosse strettamente connesso ai compiti istituzionali del Consiglio della magistratura militare, per cui si trattava in primo luogo di verificare se vi fossero responsabilità di magistrati militari ancora in vita nell'occultamento dei fascicoli in questione, sono emersi fatti di estrema importanza per la ricostruzione storica della vicenda. Tra le altre cose, sono stati sentiti anche storici, il collega Carli ne ha citati alcuni. Non voglio ripetere né dilungarmi eccessivamente ma vi sono numerose testimonianze del professor Michele Battini, del dottor Maurizio Fiorillo, della dottoressa Francesca Peliti, del professor Paolo Pezzino, dell'avvocato Raimondo Ricci e via dicendo.
I gravi sospetti che la relazione suscita circa una presunta volontà politica diretta ad occultare i fascicoli sulle stragi nazifasciste e la ricerca della verità da parte delle associazioni dei partigiani, dei parenti delle vittime di tali stragi, e dei comuni - i cui sindaci erano presenti in Parlamento solo ieri - che ne sono stati i tragici teatri e del comitato per la verità e giustizia, hanno indotto, quindi, la Commissione giustizia della Camera dei deputati a deliberare un'indagine conoscitiva su questa vicenda. L'indagine conoscitiva ha predisposto un programma di audizioni che ha tenuto conto dell'indagine svolta dal Consiglio della magistratura militare ed in particolare della Procura militare della Repubblica presso il Tribunale militare di Roma (dalla cui richiesta di documenti necessari per il processo Priebke è scaturito il ritrovamento dei fascicoli nascosti). La Commissione, avendo avuto poco tempo a disposizione, non ha potuto ascoltare tutti coloro che avrebbero potuto portare ulteriori dati di conoscenza per fare piena luce sull'oscura questione della «ragion di Stato», in nome della quale sarebbe stato, di fatto, interrotto il regolare corso della giustizia.
Dalle audizioni effettuate e dal materiale raccolto nel corso dell'indagine conoscitiva, in primo luogo, risulta evidente la responsabilità della magistratura militare e, in particolare, dei procuratori generali militari che si sono succeduti dal 1945 al 1974. L'illegalità ha avuto inizio


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dal primo dopoguerra, quando, anziché trasmettere i fascicoli alle procure militari competenti per territorio, si è preferito accentrarli presso un organo, quale la Procura generale militare presso il Tribunale supremo militare, che non aveva competenze al riguardo, non avendo alcuna competenza e responsabilità di indagine e di esercizio all'azione penale. In particolare, è emerso che nel periodo febbraio-giugno del 1945 il Governo italiano aveva preventivato di effettuare un'azione di ricerca dei colpevoli con il sostegno dei paesi alleati. Solo nel 1945, comunque, si sono delineate le linee politiche da seguire nei confronti dei criminali di guerra da parte degli alleati: si decide che, per quanto riguarda i gradi più alti (i generali tedeschi), siano gli inglesi ad occuparsi delle loro condanne in tribunale, ritenendo che l'Italia non avesse le risorse tecniche necessarie né - ed è questa la motivazione più interessante - le energie per portare avanti un simile processo. L'idea era che gli inglesi, avendo acquisito prove sufficienti riguardo ad atteggiamenti terroristici dei tedeschi nei confronti della popolazione civile, avrebbero dovuto patrocinare un processo unico...

PRESIDENTE. Onorevole Pistone...

GABRIELLA PISTONE. Ho finito il tempo?

PRESIDENTE. Sì, onorevole Pistone, il tempo a sua disposizione è terminato.

GABRIELLA PISTONE. Io pensavo di avere ancora del tempo. Poiché il collega Carli ha parlato una vita, allora io pensavo...

PRESIDENTE. Il tempo a sua disposizione era di 11 minuti.

GABRIELLA PISTONE. Va bene. Allora, chiedo alla Presidenza l'autorizzazione alla pubblicazione in calce al resoconto della seduta odierna delle considerazioni integrative del mio intervento.

PRESIDENTE. La Presidenza l'autorizza senz'altro.
È iscritto a parlare l'onorevole Garagnani. Ne ha facoltà.

FABIO GARAGNANI. Signor Presidente, colleghi, desideravo intervenire, a nome del gruppo di Forza Italia, nella discussione sulle linee generali di questa proposta di legge perché mi rendo conto che l'argomento è particolarmente significativo, meritevole di un approfondimento e di una riflessione seria, ma, nello stesso tempo, richiede, ad ognuno di noi, l'assunzione di precise responsabilità.
Proprio nel momento in cui affrontiamo un argomento come questo - che è stato sviscerato da anni e anni ed è stato illustrato, anche in questa sede, con motivazioni, condivisibili o meno, ma, comunque, particolarmente significative, dal presentatore, onorevole Carli - credo che ognuno di noi non possa non farsi carico, di fronte ad argomenti come questo, di determinate istanze, di determinate sensibilità derivanti anche dal mandato ricevuto dai suoi elettori.
Sia ben chiaro (è stato detto prima) che da parte di ognuno di noi, in questo caso da parte del sottoscritto, vi è il massimo rispetto per tutte le vittime della violenza del dopoguerra, e che vi è anche la comprensione della necessità che lo Stato, in qualche modo, si faccia carico dell'esigenza di riparare, ove possibile, ai torti subiti, tentando soprattutto una riconciliazione in nome di quei valori che sono stati stabiliti dalla Carta costituzionale, nei quali noi tutti ci riconosciamo.
Detto questo, mi chiedo quanto segue: una proposta di questo genere - è già stato detto dal collega di Alleanza nazionale ed anche io mi pongo il medesimo interrogativo - contribuisce, al di là della volontà dei presentatori, a risolvere i problemi sottesi alla medesima? Contribuisce, in un momento in cui da varie parti si tenta di non riaprire ferite dolorose, a risolvere i problemi di fondo della coesistenza, all'interno della nostra patria, di sensibilità culturali diverse? Questo è l'interrogativo, perché è chiaro che una proposta


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come questa assume un effetto dirompente. Ciò non tanto per la necessità di trovare le cause dell'occultamento di fascicoli relativi a crimini nazifascisti (sul qual fatto potremmo essere d'accordo tutti), non tanto per la necessità di colpire eventuali crimini perpetrati dal nazifascismo nell'ultima guerra, bensì perché una tale proposta di legge pone il problema, dato che qui si è parlato di revisionismo e di ricerca della verità, di tentare di comporre, all'insegna delle verità, tutti quei crimini rimasti non puniti e sottaciuti, quei misfatti che sono stati perpetrati, in buona parte del nostro paese, non certo ad opera del nazifascismo ma ad opera del comunismo, dei partigiani o dei loro epigoni negli anni dal 1944 al 1948.
Proprio perché vengo da una cultura politica che si rifà al cattolicesimo liberale, credo di essere scevro da ogni tipo di sospetto quando affermo che su questa violenza, che forse è stata meno complessa ma che sicuramente ha colpito con pari intensità e ferocia determinate parti del nostro paese, è stato steso in questi ultimi cinquant'anni un velo pietoso in nome del cosiddetto arco costituzionale - che, al di là della volontà di chi lo promosse, è servito indubbiamente a legittimare una forza come il partito comunista italiano che non aveva tutti i titoli di maturità democratica in quanto non aveva ancora fatto i conti con il proprio passato - ed in nome di un antifascismo che non aveva nulla a che fare con la difesa della libertà.
Questi sono interrogativi che dobbiamo porci. Io vengo da una realtà, l'Emilia Romagna, Bologna, anzi la bassa bolognese, dove occorre dire «una certa visione della resistenza» e non «la resistenza». Rispetto la resistenza, i valori sottesi alla medesima, ma indubbiamente essa, o almeno una sua certa interpretazione, è stata vissuta da buona parte della popolazione all'insegna della violenza e della conculcazione di ogni diritto di libertà, negli anni proprio dal 1945 al 1948 e dopo la vittoria del 18 aprile 1948. L'omicidio di Giuseppe Fanin, ad esempio, ebbe luogo proprio il 4 novembre del 1948; Zavattaro, don Pessina, don Donati: direi che il martirologio di quelle zone è particolarmente intenso. Ovviamente, parlo del martirologio conosciuto, perché non posso citare le circostanze precise della morte di tante centinaia di persone la cui unica colpa era di non essersi schierata né con l'una né con l'altra parte e di credere nei valori della libertà: decine e decine, se non centinaia, di cattolici, di laici, di sacerdoti, di militanti politici scomparsi, percossi o brutalmente massacrati soltanto perché non credevano in una determinata opzione politica.
Su queste cose vogliamo allora dire la verità? In quest'aula la collega del PDS, il collega Carli hanno parlato della necessità...

PRESIDENTE. Onorevole Garagnani, la collega Pistone è esponente dei Comunisti italiani.

FABIO GARAGNANI. Grazie signor Presidente, mi scusi per l'errore. Essi hanno parlato della necessità di respingere ogni forma di revisionismo. Colleghi, in questo caso non si tratta però di fare revisionismo, si tratta di ricercare la verità, non per desiderio di vendetta, ma per un'esigenza di giustizia, di memoria verso quelle vittime della violenza le quali non sono state nemmeno riconosciuto come tale in questi anni perché si aveva paura a dire che furono vittime di una violenza di sinistra. Non era infatti comodo, in quel momento ed in quelle circostanze, fare queste affermazioni. Io stesso, che allora militavo nella Democrazia cristiana, avevo difficoltà: quando dicevo queste cose mi trovavo di fronte ad un muro di ostilità larvata, se non evidente, tesa a dirmi che non era il momento politico, che non era opportuno che decessi queste cose, anche se vere.
Potrei citare nomi e cognomi di persone che avevano un'indubbia fede e un'indubbia appartenenza di un certo tipo, uccise soltanto perché ostacolavano il progetto politico dell'allora partito comunista o dei partigiani o di parte di essi.
Si è parlato in questa sede di ricerca e di apertura degli archivi. Onorevole Carli,


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come ha detto prima un collega di Alleanza nazionale, stiamo riaprendo un capitolo che può essere doloroso; ma se lo apriamo, dobbiamo farlo per tutti (Applausi dei deputati del gruppo di Alleanza nazionale). Ritengo doveroso verso la mia terra, verso la mia zona, verso quella realtà che mi ha eletto farmi portatore di queste esigenze.
La settimana scorsa ho incontrato una serie di parenti di vittime del dopoguerra (lo ripeto: non di quelle del 1945, che sono meritevoli di compassione ed amore come le altre, ma anche di quelle del 1946, del 1947 e del 1948) che mi hanno chiesto soltanto di sapere dove sono sepolti i loro congiunti. Allora, vogliamo ricordare anche queste persone, senza passione ma con la consapevolezza che abbiamo un dovere morale verso i nostri conterranei e i nostri concittadini in senso lato, vittime innocenti di una violenza brutale? Vogliamo riaprire anche questo capitolo? L'apertura degli archivi non deve riguardare solo quelli di Stato, ma anche quelli di certi partiti ai quali, da anni, chiediamo di dirci qualcosa. Lo dico senza polemica: da anni a Bologna si è chiesta l'apertura degli archivi di via Barberie, la sede dell'allora PCI, per sapere in quali circostanze tanti comuni della bassa bolognese sono stati caratterizzati da una violenza brutale e per sapere le ragioni per le quali fino al 1972 in questi comuni la celere stazionava in permanenza visto il clima di tensione sociale che aveva dato luogo a questi misfatti. Queste sono le cose da dire.
Vengo da San Giovanni in Persiceto che ebbe fra i tanti martiri alcuni sacerdoti massacrati dal 1945 al 1948: Giuseppe Fanin, sindacalista cattolico, ucciso dall'allora segretario del partito comunista condannato all'ergastolo e da tre mandanti iscritti al partito comunista il 4 novembre 1948. Sento in questa sede la necessità di ricordare anche il nome di questa persona sconosciuta a molti di noi, proprio per dire che è uno fra i tanti che non hanno avuto neanche la riconoscenza e la menzione del significato della loro morte.
Colleghi, a questo punto credo di riaprire una pagina per tutti i misfatti e le violenze che sono state perpetrate nel nostro paese. Cito soltanto tre sacerdoti del mio comune, uccisi perché agevolarono sia i partigiani sia i cosiddetti repubblichini. Erano giovanissimi e non erano compromessi con nessuno; aiutarono tutti e furono massacrati in nome dell'odio religioso. Mi riferisco a Lorenzatico, Amola e Le Budrie. La regione Emilia Romagna è molto vasta e si sono verificati tanti episodi. Soltanto a Amola risultano scomparse centocinquanta persone e la media della loro età era 20 anni o 80 nel lato opposto.
Potrei andare avanti, ma a questo punto mi chiedo che senso abbia istituire una Commissione che, giustamente, si fa carico delle ragioni per le quali sono scomparsi i fascicoli che riguardano migliaia di persone innocenti massacrate. Tuttavia, dobbiamo farci carico anche delle altre migliaia di persone massacrate i cui fascicoli o non sono mai esistiti o, se lo sono, sono stati disinvoltamente nascosti.
Signor Presidente, colleghi, proprio perché dopo decenni di reticenze e di silenzi cominciano ad emergere notizie, riscontri e rivelazioni su queste vicende che insanguinarono il nord Italia e l'Emilia Romagna, credo che di fronte a ciò occorra contribuire non a porre in essere una revisione storica tesa a riconciliare la comunità nazionale ma a fare chiarezza proprio su quei fatti che l'hanno profondamente divisa soprattutto nel dopoguerra.
La vicenda delle foibe e il modo civile con cui è stata affrontata è emblematica, ad esempio, di un mutato clima sociale e politico del nostro paese. Tuttavia, proprio perché è stata affrontata in quel modo, credo che la riproposizione di questo capitolo della storia, che va affrontato e condannato (non ho remore a farlo), imponga, se vogliamo ricomporre ad unità i sentimenti del paese, di aprirne un altro che non è mai stato aperto.
Infatti, non era funzionale agli equilibri politici del paese: dobbiamo avere il coraggio di dirlo. Allora, colleghi della sinistra, dovete avere anche voi l'onestà morale di riconoscere con noi la necessità di


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riaprire, parallelamente a questo processo, quest'altro che coinvolge le responsabilità di una sinistra di allora che si batteva sì contro il nazifascismo, ma non certo per instaurare la libertà, bensì per instaurare una dittatura di segno opposto (Applausi dei deputati del gruppo di Alleanza nazionale). Questa è anche la ragione per cui in molte, non in tutte, le formazioni partigiane vi era sicuramente non il desiderio di ristabilire un clima di armonia, ma quello violento e brutale di instaurare una sorta di regime, quello che, poi, ha avuto luogo nei principali paesi dell'est europeo. Ciò nelle nostre zone dove, per ragioni storiche, il movimento operaio era particolarmente presente è stato sentito sul sangue di molti dei nostri concittadini. Questa è la ragione per la quale ho desiderato intervenire.
Il dibattito potrebbe portarci lontano sul significato di resistenza, nazifascismo, libertà, democrazia. Il richiamo all'antifascismo ed alla resistenza è giusto in sé se riferito ad ogni forma di totalitarismo, ma se è riferito, invece, ad una sola forma escludendo l'altra non è giusto. Tutte queste sono riflessioni che, credo, meritino un ulteriore approfondimento. In questa sede mi limito a ribadire, e concludo signor Presidente, che non credo si debbano rialzare vecchi steccati né risvegliare divisione o dolori. Si mira, almeno io miro nel mio piccolo, a comporre tutto alla luce della verità. La verità non è revisionismo, colleghi. Solo nella verità sarà possibile chiudere definitivamente le pendenze che, per quasi cinquant'anni, sono rimaste aperte.
Questa è la ragione per cui ho sottoscritto alcuni emendamenti presentati da altri colleghi che ampliano lo spettro visuale di questa indagine e, soprattutto, per cui ho presentato un ordine del giorno che si fa carico di una necessità sulla base di una proposta di legge. Infatti, anche io, collega Pistone, ho presentato una proposta di legge, la n. 2688: «Programma di studi e ricerche sulla violenza politica negli anni 1944-48». Insisto sul 1948 perché eravamo già lontani dalla seconda guerra mondiale eppure, in alcune zone del nostro paese, non vigeva il rispetto della legge e dell'ordine ma, soprattutto, il rispetto dell'altro, il rispetto di un'opinione diversa. È la ragione per cui la segnalo al dibattito in questa occasione ricordando che questa proposta di legge, così com'è formulata, rischia di prestarsi ad un'interpretazione di parte.
Lungi da noi questa volontà: mi auguro che anche tra i presentatori vi sia questo desiderio di confrontarsi con ciò che è stato detto in aula che non fa riferimento, ripeto, a desideri di proporre storici steccati, a desideri revanscisti o, peggio, punitivi nei confronti di una parte politica. Fa riferimento soltanto, questo sì, al desiderio di ricomporre e riscoprire la verità che è stata sottaciuta. Su questo, personalmente, sono intransigente e come dico che sono favorevole alle motivazioni sottese a questa proposta di legge dico che, però, questa proposta di legge, in questo momento storico per il nostro paese, in questa circostanza, non può essere approvata così com'è formulata perché sarebbe estremamente parziale e non risponderebbe ai quesiti che tanti italiani ci pongono oggi. Non risponderebbe alla necessità di una ricomposizione nazionale, che non significa giustificazione, di una riconsiderazione della situazione storico-politica del nostro paese negli ultimi anni in quelle vicende tumultuose e non risponderebbe, soprattutto, all'esigenza di chiarezza che, ormai, tutti gli italiani ci chiedono, soprattutto le giovani generazioni che non hanno vissuto quei momenti.
Non intendo aggiungere altro se non formulare questo auspicio ribadendo, pertanto, le ragioni che mi hanno mosso nel presentare l'ordine del giorno e la proposta di legge e nell'aderire agli emendamenti prima illustrati (Applausi dei deputati del gruppo di Alleanza nazionale).

PRESIDENTE. Non vi sono altri iscritti a parlare e pertanto dichiaro chiusa la discussione sulle linee generali.

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