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PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca il seguito della discussione del disegno di legge, già approvato dal Senato: Conversione in legge, con modificazioni, del decreto-legge 22 febbraio 2002, n. 12, recante disposizioni urgenti per il completamento delle operazioni di emersione di attività detenute all'estero e di lavoro irregolare.
Ricordo che nella seduta di ieri si è conclusa la discussione sulle linee generali, hanno replicato il relatore ed il Governo, ed il Governo ha posto la questione di fiducia sull'approvazione, senza emendamenti, subemendamenti o articoli aggiuntivi (vedi l'allegato A - A.C. 2592 sezione 3), dell'articolo unico del disegno di legge di conversione (vedi l'allegato A - A.C. 2592 sezione 1), nel testo della Commissione, identico a quello approvato dal Senato (vedi l'allegato A - A.C. 2592 sezione 2).
PRESIDENTE. Passiamo dunque all'illustrazione degli emendamenti.
Ha chiesto di parlare l'onorevole Santagata. Ne ha facoltà.
GIULIO SANTAGATA. Signor Presidente, ci troviamo a discutere di questo decreto-legge con il Governo che ha posto la questione di fiducia dicendo che le opposizioni avevano un atteggiamento ostruzionistico. In realtà, siamo in questa situazione, a mio avviso, perché questo è l'ennesimo decreto-legge che potremmo definire un treno merci cui il Governo continua ad attaccare vagoni. Quel che è peggio è che su questi vagoni si cambiano le merci tutte le volte che il treno si ferma in una stazione. Se si fosse trattato di reiterazione o di modifica dei termini, non avremmo avuto alcuna difficoltà, ma questo decreto-legge cambia veramente il contenuto dei provvedimenti precedenti.
È ormai chiaro quali sono i punti fondamentali del nostro dissenso su questo decreto-legge. Per quanto riguarda lo scudo fiscale voglio essere telegrafico: il nocciolo vero riguarda l'anonimato, cioè il fatto che, a fronte di un obiettivo che potremmo, al limite, condividere per l'economia nazionale, usiamo metodi assolutamente non condivisibili. Si tratta di una specie di condono tombale sia fiscale, sia penale, che non ci convince.
Per quanto riguarda il sommerso, credo che il Governo debba prendere atto che si tratta di un tema molto complesso e molto sfaccettato. Vi è il sommerso del lavoro nell'edilizia del nord, vi è quello delle imprese totalmente «sommerse» di alcuni distretti della Campania, vi è quello del doppio lavoro: si tratta di un tema veramente molto complicato. Le motivazioni di tale sommerso sono fortemente diverse le une dalle altre e non sempre - direi quasi mai - legate in maniera prevalente alla questione fiscale e contributiva. Sicuramente il cuneo fiscale e contributivo sul lavoro è pesante e, quindi, facilita l'idea di lavorare nel sommerso, ma non è solo questo. L'onorevole Lettieri ieri ha richiamato alcuni casi di aziende meridionali costrette al sommerso per poter essere competitive.
Questo Governo ha usato la delega a piene mani: un tema così complesso, che ci vede, tra l'altro, sicuramente interessati a trovare soluzioni che funzionino, non si presta, a mio avviso, ad una decretazione d'urgenza. Qui si trattava, secondo me, di approvare una legge delega, di utilizzare tale delega lavorando con le forze sociali (gli imprenditori ed i sindacati) e con gli amministratori. Sicuramente gli amministratori locali sono una leva, sono parte in causa nella questione del sommerso, ma non vanno usati al posto della Guardia di finanza. Vanno usati per quello che è il loro interesse, da un lato, e la loro competenza, dall'altro, lavorando sulle diverse tipologie di sommerso, cercando soluzioni operative a tali diverse tipologie ed evitando, fin dove possibile, di creare ulteriori differenziazioni fra i lavoratori.
Abbiamo un esempio di questo modello che ha funzionato: se guardate come è stato affrontato il tema dei contributi unificati in agricoltura, dove siamo arrivati a contrattare a livello provinciale il salario di riferimento per l'applicazione dei contributi, ebbene questo tipo di norma ha dato ottimi risultati, talmente significativi che l'ISTAT ci segnala, già da alcuni anni, un aumento dell'occupazione agricola, che altro non è che emersione.
A mio avviso, il Governo sta sbagliando strumentazione legislativa. Bene avrebbe fatto, dato che ormai ha posto la fiducia, a stralciare l'articolo 3 per non creare di nuovo attese e delusioni, a riprendere questo tema del sommerso con un discorso di medio periodo, evitando di farsi prendere dall'ansia delle esigenze di cassa. Il sommerso è un tema strutturale, di politica industriale e del lavoro, che va affrontato con i temi, i tempi e i modi adeguati (Applausi dei deputati dei gruppi della Margherita, DL-l'Ulivo e dei Democratici di sinistra-l'Ulivo).
PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare l'onorevole Nigra. Ne ha facoltà.
ALBERTO NIGRA. Signor Presidente, onorevoli colleghi, nella giornata di ieri ho già avuto modo di soffermarmi lungamente sugli aspetti contenuti nell'articolo 3 del decreto-legge al nostro esame e, ovviamente, in modo particolare per ciò che concerne i mancati diritti che i lavoratori emersi si troverebbero ad avere - o, meglio, a non avere - nel caso in cui le norme qui previste fossero applicate secondo il testo presentato.
Va messo in evidenza che, se da un lato - come si diceva già nella discussione di ieri - il decreto-legge al nostro esame si prefigge lo scopo di prorogare i termini (ad esempio all'articolo 3), dall'altro lato evidenziamo un notevole peggioramento del testo iniziale. In modo particolare vorrei riconcentrarmi su alcuni aspetti già sottolineati. Come abbiamo detto, il comma 4-bis, dell'articolo 1, della legge n. 383 del 18 ottobre 2001, contiene una norma che rappresenta un vero e proprio
vulnus: cioè l'esclusione del computo dei lavoratori emersi per il triennio per quanto concerne diritti, leggi e contratti. Tutto ciò, ovviamente, significa che scatteranno - o, per meglio dire, non scatteranno - delle conseguenze, sia per questi lavoratori emersi sia per quanto riguarda gli altri lavoratori presenti nelle stesse imprese dove avverrà l'emersione, che non potranno, invece, godere dei diritti che spetterebbero loro sulla base anche del dimensionamento delle aziende.
Abbiamo già elencato ieri quali sono questi mancati diritti: innanzitutto quelli di natura sindacale ma anche quelli relativi alla formazione, al collocamento e alla possibilità di utilizzare gli ammortizzatori sociali. È evidente che la scelta di inserire un comma, come quello citato all'interno del provvedimento in esame, non è e non può essere interpretato solo come un incidente di percorso ma lo si deve analizzare alla luce del fallimento - che finora si è palesato - del provvedimento stesso per quanto riguarda gli scopi che si prefiggeva e che, tra l'altro, sono da noi condivisi.
Infatti, condividiamo l'opportunità di fare emergere il lavoro nero ma il problema è come avvengono le procedure che possono portare a questo risultato.
Noi pensiamo che non si possa immaginare di fare emergere i lavoratori in nero sulla base di una rinuncia forzosa ai loro diritti né tantomeno che si possa fare tutto ciò avendo un pregiudizio nei confronti del ruolo e della funzione che può svolgere il sindacato nell'aiutare questo processo di emersione. È evidente che il sindacato ha una funzione importante perché sappiamo bene che il problema del lavoro nero o «grigio» si presenta in modo differenziato all'interno del nostro paese e delle diverse categorie e, all'interno di questo processo, richiede non solo norme di legge ma anche una collaborazione attiva delle parti sociali per favorire risultati positivi. E i nostri emendamenti andavano proprio in questa direzione, tentando di migliorare questo provvedimento per renderlo compatibile con gli obiettivi generali annunciati.
L'ho detto e lo ripeto: i dati oggi a nostra disposizione non dimostrano una difficoltà a funzionare di questa parte del provvedimento, ma un vero e proprio fallimento. Se sono 430 i lavoratori finora emersi e poco più di 150 le imprese nelle quali ciò si sta verificando, rispetto alla massa dei lavoratori che oggi si trovano in questa condizione e alle imprese che attualmente hanno alle proprie dipendenze lavoratori in posizioni irregolari, è evidente che qualcosa non sta funzionando. E non è togliendo ancora maggiori diritti ai lavoratori che si possono ottenere risultati migliori rispetto a quelli finora ottenuti.
Intendo, inoltre, sottolineare non solo il fatto che, nel comma 4-bis dell'articolo 1 della legge 18 ottobre 2001, n. 383, si escludono dal mancato riconoscimento dei diritti il tema dei licenziamenti - perché, come abbiamo già detto ieri, questo argomento trova, purtroppo, la sua collocazione in un altro provvedimento attualmente in discussione al Senato e che, anche in questo caso, va in quella direzione - ma, soprattutto, la debolezza dell'impianto politico che si trova dietro questo tema. In particolare, occorre evidenziare anche la debolezza degli altri strumenti previsti nonché di questo originale ruolo previsto per i sindaci - tra l'altro, con l'esclusione di un altro ente importante nelle politiche del lavoro, quale la provincia -, ai quali viene attribuito un compito importante, vale a dire quello di divenire soggetti principe all'interno del processo di emersione senza, tuttavia, prevedere l'attribuzione agli stessi di strumenti e mezzi necessari per poter svolgere tale ruolo.
Tutto ciò dimostra che questo provvedimento è destinato, nonostante le modifiche proposte, al fallimento. Dunque, non possiamo non evidenziare tali aspetti negativi e non possiamo non sottolineare un'altra questione particolarmente importante, visto il giorno in cui tutto ciò si verifica. Infatti, è stata posta la questione di fiducia su questo provvedimento, con conseguente impossibilità di discuterne anche parti rilevanti, con un'offerta da parte del Governo, ieri, decisamente non
seria, in quanto è stata formulata durante la discussione sulle linee generali, senza alcuna precisazione in ordine alle parti da stralciare - come, ad esempio, l'articolo 3 - o sulle quali si sarebbe stati disponibili ad accogliere alcune modifiche. Tutto ciò, a nostro giudizio, denota l'esistenza, anche in questo gesto, di una volontà politica, vale a dire quella di porre la fiducia su un provvedimento governativo di questa natura e con questi contenuti, nel giorno in cui milioni di lavoratrici e di lavoratori, di cittadini di questo paese sono in sciopero e non per impedire a questo Governo di governare, ma - così come avviene in un sistema democratico - per chiedere a questo esecutivo di modificare i contenuti della propria politica.
Questo è il sale della democrazia e questo è ciò che oggi, anche in questa sede, vorremmo ribadire, attraverso i nostri interventi e il voto che esprimeremo questa sera (Applausi dei deputati dei gruppi dei Democratici di Sinistra-l'Ulivo e della Margherita, DL-l'Ulivo).
PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare l'onorevole Grandi. Ne ha facoltà.
ALFIERO GRANDI. Signor Presidente, come è stato già precisato ieri nella discussione sulle linee generali, gli emendamenti non potevano riguardare soltanto il testo di un decreto-legge e di un disegno di legge di conversione di proroga dei termini di due provvedimenti fallimentari, dei quali, per lo meno, uno sicuramente fallito e l'altro, ad essere buoni, al di sotto delle aspettative per ciò che riguarda le entrate.
Oltretutto, si tratta di due provvedimenti iniqui e sbagliati, al di là dell'efficacia, dal punto di vista delle entrate dello Stato, che qualcuno aveva immaginato in termini ben diversi: uno è di premio agli evasori e a coloro che hanno esportato capitali all'estero, con il rischio di inquinamento da parte di capitali di derivazione illecita, checché ne dicano esponenti della maggioranza e del Governo; l'altro, dal punto di vista dell'emersione, sostanzialmente consegna alle aziende che dovrebbero emergere l'unico reale potere, con un effetto che avevo visto espresso soltanto come sottotitolo su alcuni giornali e mai come scelta politica. Ricorderete il cuius regio eius religio: si immaginava che fosse semplicemente una definizione da riferirsi alla scelta religiosa ed alla potestà. In questo caso, invece, il padrone si tira dietro i lavoratori: egli rimane in nero e costringe i lavoratori a restare in nero. E questi nel provvedimento ne seguono il destino.
Per questa ragione sono stati presentati emendamenti che si riferiscono non soltanto a quello che potremmo definire un orrido testo di conversione in legge del decreto-legge ma anche - e ciò è ancora peggio - alle ragioni che portano alla proroga, vale dire ai due provvedimenti originari.
Per ciò che riguarda il rientro dei capitali dall'estero, segnatamente il provvedimento che è all'interno dello scudo fiscale, gli emendamenti cercavano di sollevare due problemi. Il primo riguarda un giudizio di equità: chi ha illegalmente esportato capitali all'estero - e ammettiamo per un attimo che non sia capitale di provenienza illecita - paga il 2,5 per cento, producendo due effetti negativi. Il primo effetto è rappresentato dal messaggio che viene dato al paese: se sei furbo, se hai evaso, se hai portato capitali all'estero, vieni premiato; se avessi investito i soldi in BOT, avresti pagato il 12,5 per cento; se li hai portati all'estero, paghi il 2,5 per cento. Non c'è male come segnale dell'etica, come segnale di riferimento morale, come segnale di comportamento nei confronti del paese. Il secondo effetto è del tutto evidente: nel momento in cui vengono premiati i furbi e coloro che hanno minato l'economia e la stabilità del paese nel corso di questi anni, si registra anche una minore entrata per le casse dello Stato. È abbastanza facile fare il conto: se gli interessati pagassero almeno il 12,5 per cento, le entrate sarebbero maggiori. E il Governo, il ministro Tremonti, il sottosegretario Tanzi non ci vengano a dire che i capitali rientranti sarebbero in numero inferiore. Meno di così! Come vedete,
anche con l'incentivo del 2,5 per cento, rientrano col contagocce e con grande fatica.
Il secondo gruppo di emendamenti riguarda il concetto di «dichiarazione riservata». Io ribadisco che il termine «riservata» si riferisce non ad un aspetto fiscale ma alla liceità dei comportamenti economici e, di conseguenza, ha attinenza con questioni che riguardano il diritto penale e gli ambiti di polizia: in sostanza, si interviene sul modo di concepire i rapporti che, all'interno della società, consentono alle forze inquirenti di poter arrivare a capo di delitti anche rilevanti dal punto di vista non soltanto finanziario. La dichiarazione riservata è una bomba a tempo: non soltanto dà diritto ad un salvacondotto ma rende impossibili le indagini. Pertanto, sono francamente molto curioso di sapere sulla base di quali elementi, per esempio, coloro che hanno responsabilità di indagine anche rilevanti hanno dichiarato, con qualche supponenza di troppo, che non ci sono problemi per ciò che riguarda i reati. E sono stati portati argomenti a loro - diciamo - discarico, naturalmente, anche dagli esponenti della maggioranza e del Governo. Come si concilia ciò con l'indicazione di delitti che non vengono estinti in numero maggiore, ancorché insufficiente rispetto a prima?
Gli emendamenti tendevano, quindi, ad eliminare il termine «riservata». Resto convinto che tale disposizione potrebbe tranquillamente essere oggetto anche di referendum abrogativo. E sarebbe bene che lo si considerasse attentamente: l'enorme favore fatto, consentendo il rientro dei capitali con il pagamento del 2,5 per cento, non può in alcun modo portare, addirittura, all'inquinamento e all'impossibilità di condurre indagini sulla provenienza dei capitali illeciti. Potrebbe trattarsi di una riservatezza richiesta nei confronti di una sede particolare, obbligata al silenzio: l'ufficio italiano cambi, una sede propria della Banca d'Italia, il Ministero delle finanze, l'agenzia delle entrate. Inventatevi quello che vi pare! Se non ricordo male, c'è anche un tavolo di coordinamento presso il ministro delle finanze che ha il compito della lotta al riciclaggio, ai reati finanziari e via dicendo. Potrebbe essere questa la soluzione: mettete la copia della dichiarazione in un cassetto della scrivania privata del ministro Tremonti o dove vi pare. Ma non può essere che l'inquirente non possa nemmeno trovare l'ago nel pagliaio perché non sa dove andare a cercare.
Un terzo gruppo di emendamenti su questo problema si riferisce al completamento della lista dei reati non estinti, perché secondo il complesso delle norme solo ad apertura del procedimento penale, quando il procedimento è stato avviato (ossia quando ormai si è un pezzo avanti), non solo all'inizio delle indagini, c'è effettivamente la possibilità di contrastare il salvacondotto nei confronti di coloro che sono responsabili di gravi reati. Allora, è bene togliere questo riferimento all'inizio dell'azione giudiziaria, cioè del dibattimento, e completare la lista dei reati che non sono estinti: anzi, se dovessi dire molto semplicemente, si dovrebbe rispondere di tutti i reati che già il codice prevede. Infatti, non si capisce perché l'enorme favore del 2,5 per cento debba avere un trascinamento per cui si risparmia anche dal punto di vista delle responsabilità penali.
Il secondo decreto che qui viene prorogato riguarda, come dicevo, il cuius regio eius religio, cioè il problema dell'emersione dal nero. Nel corso di questi anni, naturalmente, con una serie di provvedimenti (lo ha ricordato ieri l'onorevole Alfonso Gianni nel suo intervento) si è fatta esperienza e si sono ottenuti risultati, ma si sono identificate anche correzioni e miglioramenti che sarebbero necessari ai provvedimenti che già conosciamo: ma questi, pur con il loro bisogno di perfezionamento, erano veri e propri contratti di emersione. C'era l'interesse dei lavoratori, quello dell'impresa e quello dello Stato, attraverso appositi incentivi, a migliorarne il carattere di emersione e, sia pure con i limiti di questi provvedimenti, con l'esigenza di ulteriori aggiustamenti, sono stati nell'ordine di quasi 100 mila - questo numero non è mai stato detto fino
ad ora in quest'aula e allora lo dico io - i lavoratori emersi grazie ai contratti di emersione predisposti presso gli uffici del lavoro nel corso di questi anni, cioè coinvolgendo e rendendo protagoniste le parti sociali, le imprese e i sindacati.
Oggi, con il provvedimento che voi avete voluto testardamente approvare ad ogni costo, respingendo i suggerimenti, le indicazioni, le critiche e le proposte di miglioramento quando si è ragionato del decreto sull'emersione, voi portate non più di 400 lavoratori emersi per un centinaio o poco più di aziende: ridicolo! Ridicola l'entrata, ridicolo il numero dei lavoratori emersi, ridicolo il numero delle aziende. Eppure, siete voi che nell'alimentare le ragioni che avrebbero dovuto motivare i provvedimenti che avete voluto imporre ad ogni costo, avete amplificato, perfino oltre il necessario, la percentuale di economia in nero e di aziende in nero. Se stiamo alla propaganda del provvedimento sull'emersione, in quel momento l'Italia era quasi tutta nera.
Oggi, dovreste vergognarvi, perché il risultato che portate è ridicolo, senza senso, non a caso criticato dalle parti sociali: nessuna di esse ha detto «bene, andate avanti», ma tutte hanno detto che non funzionerà. Ho citato ieri il dottor Divella che sulla Puglia ha parlato di 14 aziende emerse: siamo al ridicolo.
Per cercare di allontanare il fantasma del fallimento cercate di coinvolgere gli 8 mila sindaci: prendete il cerino, lo passate alla mano dei sindaci. Questi, anziché sentirsi chiedere quali servizi sociali, quale piano regolatore, quale variante, cioè i loro compiti, improvvisamente si trasformano in direttore provinciale del lavoro, in gabelliere e prendono in mano una materia che non è loro.
Del resto, neanche il titolo V della Costituzione lo prevede: era del tutto giusta l'eccezione di incostituzionalità, o quantomeno il dubbio che abbiamo cercato di sollevare. Il titolo V non dice che i sindaci si dovranno occupare di emersione dal lavoro nero: non si capisce da cosa derivi questa nuovo ruolo che gli dovrebbe essere affidato. E su questo punto è veramente difficile capire la Lega; non si capisce come mai la Lega, che ha fatto del decentramento e dell'autonomia una bandiera, possa accettare un provvedimento che porta i sindaci ad avere in mano la gestione effettiva - naturalmente, come surroga, come succedaneo - del fallimento del Governo, in modo tale che il fallimento stesso dovrebbe essere equamente ripartito su 8 mila figure e su 8 mila caratteristiche.
Per di più, in quell'articolo 3 introdotto dal Senato, viene anche avviata l'erosione dell'articolo 18, non nel senso dei licenziamenti ma degli effetti che la soglia dei 15 dipendenti ha su diverse materie, come ricordava l'onorevole Nigra nell'intervento di ieri e ancora questa mattina. Quindi, in realtà, avreste dovuto chiedere di cancellare l'articolo 3 introdotto dal Senato, non certo ottenendo con ciò un voto scambiabile con l'opposizione. Avreste semplicemente ripulito un testo appesantito con piombo, un vero e proprio ciarpame attaccato al provvedimento sbagliato ed inaccettabile che già avevate. Avreste ricondotto il provvedimento ad essere semplicemente inaccettabile, invece in questo modo lo mantenete come un provvedimento assurdo.
Ieri il ministro Giovanardi ha detto - chiedendo il voto di fiducia, con l'obiettivo di far decadere gli emendamenti - che l'opposizione non avrebbe manifestato dei segnali. L'onorevole Innocenti - a cui do voce questa mattina perché lo ha detto senza essere al microfono, temo non sia a verbale, lo voglio dire in questo momento - ha detto, ed io lo confermo, che l'opposizione aveva già ritirato 150 emendamenti (certamente quelli di minor peso) e, quindi, si cominciava ad avere uno sconto del 25 per cento. Di fronte ad un Governo e ad un relatore che ancora non avevano detto nulla su cosa avrebbero accettato, era un segno di buona volontà. Voi avete risposto con il voto di fiducia; cari signori, qui non vi è scusa che possa tenere.
Non pensate che noi si cada nella trappola propagandistica che avete cercato di attuare! Il vostro atteggiamento è quello di chi ha deciso prima, nell'ambito
del consiglio dei ministri, il voto di fiducia, poiché avevate già preventivato che questo era il modo di chiudere la discussione.
Voglio anche rispondere alle motivazioni di tale scelta. Voi avevate paura della vostra maggioranza; la vostra maggioranza è tale che naturalmente l'opposizione non è in grado di farvi cambiare idea quando non la volete cambiare, ma voi sapete che dentro la vostra maggioranza molti parlamentari - non solo in Commissione finanze, ma anche parlamentari dei vari gruppi - erano e sono preoccupati dell'articolo 3. In particolare, avevano nell'occhio la spina che riguarda il ruolo che viene scaricato sui sindaci. E voi temendo che qualche emendamento dell'opposizione potesse - come è stato anche recentemente - fare blocco con settori della maggioranza, o magari avere in qualche occasione di voto addirittura il consenso, avete preferito tagliare corto e andare al voto di fiducia.
Signori del Governo e della maggioranza voi avete paura di voi stessi, non volete il confronto e il dibattito perché in questo modo pensate di non pagare dazio. Noi denunceremo questo vostro atteggiamento, ed io credo di essere in grado di potervi anche annunciare che, quando arriveremo al disegno di legge Tremonti - la controriforma fiscale -, ne vedremo delle belle. Allora vi accorgerete dell'errore che avete commesso in questo momento (Applausi dei deputati del gruppo dei Democratici di sinistra-l'Ulivo).
PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Benvenuto. Ne ha facoltà.
GIORGIO BENVENUTO. Signor Presidente, gli obiettivi che si pone il provvedimento in esame concernenti il rientro dei capitali dall'estero, l'inversione di tendenza riguardo l'esportazione dei capitali all'estero, il problema annoso e complesso dell'emersione del sommerso, hanno una loro fondatezza ed importanza. Ahimè, in questo inizio di legislatura il Governo li ha affrontati nel modo sbagliato attraverso il frequente ricorso alla decretazione d'urgenza, che è stata criticata dal Parlamento, dal Comitato per la legislazione, dagli esperti, dagli economisti. Si tratta di una decretazione d'urgenza che stravolge i suoi principi e finisce per introdurre elementi estranei.
È una decretazione d'urgenza che perde il suo significato e che determina confusione nella produzione legislativa, con norme che si sovrappongono e che si contraddicono; è un modo di legiferare, da parte di una maggioranza così forte in Parlamento, confuso, contraddittorio e spesso sgangherato. Alcuni dei nostri emendamenti tengono conto delle osservazione sollevate in Parlamento anche dalla maggioranza e chiedono di riportare la decretazione d'urgenza, quindi anche il decreto-legge in esame, al suo significato originario.
Per quanto riguarda i problemi da affrontare, non solo lo strumento è sbagliato, ma è sbagliato anche il modo di procedere del Governo. Ci troviamo, per la seconda volta, con riferimento ad argomenti così complessi ed importanti (caratterizzati da una tensione di carattere generale), al secondo voto di fiducia su un provvedimento, concernente il rientro dei capitali dall'estero, che viene espresso alla Camera, al rifiuto di avere un confronto, non solo con le forze dell'opposizione, ma anche di ascoltare i suggerimenti e le proposte che possono provenire anche dai banchi della maggioranza. Il voto di fiducia viene, quindi, chiesto su una questione delicata, qual è quella del rientro dei capitali dall'estero, con riferimento alla quale l'atteggiamento del Governo è troppo tollerante, per sua stessa ammissione, nei confronti di chi ha commesso illiceità.
Non si tratta solo di un problema morale; non si può, infatti, giustificare chi ha portato capitali all'estero, mentre in Italia la gran parte dei cittadini ha fatto il proprio dovere, pagando la tassa per l'Europa al fine di consentire al nostro paese di essere in Europa e di aderire all'euro.
Non pongo, quindi, solo un problema morale; mi riferisco anche allo squilibrio, all'ammissione del Governo secondo la quale, poiché si fa fatica a far rientrare i
capitali dall'estero, nonostante le misure ed i vantaggi auspicati, bisogna renderne appetibile il rientro. È lo stesso Governo che lo afferma!
Pertanto, dopo il primo, con questo secondo voto di fiducia si approfitta della situazione per prevedere ancora coperture ed assicurare questo «ombrello» agli evasori fiscali, a chi ha esportato illegalmente capitali all'estero, dietro una modesta percentuale da pagare che, addirittura, in alcuni casi comporta altre forme di agevolazione.
Il problema è grave; capisco che il Governo debba porre la questione di fiducia su tale argomento perché le coscienze - credo - si ribellano. Tuttavia, le coscienze si ribellano perché questo stesso Governo, che dice di voler rendere appetibili le misure a favore di chi ha portato capitali all'estero, ha respinto in Commissione in sede di discussione sulla delega fiscale, sulla legge finanziaria ed in ordine ad altri provvedimenti le misure che abbiamo richiesto per gli italiani che hanno lavorato all'estero e per i pensionati che sono ritornati nel nostro paese. Mentre a chi ha esportato i capitali all'estero si fa la riverenza, stendendo un tappeto rosso, ai pensionati che hanno lavorato nelle miniere in Belgio, in Francia ed in Germania si negano forme di concordato. È questa la contraddizione di un Governo che protegge sempre di più le aree di illegalità, di un Governo distratto che dimentica chi, invece, ha lavorato veramente per il nostro paese.
Quanto al problema del sommerso, il ministro Tremonti ieri ha mostrato disponibilità, ricordando che, se le cose non vanno avanti, vi sono alcune colpe. E le colpe di chi sono? Sul provvedimento, relativo al sommerso, in esame, ci siamo trovati di fronte ad una disponibilità iniziale del Governo che aveva previsto una procedura concordata con le parti sociali. Era una soluzione saggia, perché, se si vuole affrontare un problema così complesso, articolato e vasto - siamo infatti in presenza di lavoro nero, grigio, e di tante situazioni di carattere contraddittorio -, occorreva far tesoro dell'esperienza acquisita nella passata legislatura, nel corso della quale, attraverso i contratti di riallineamento e il credito di imposta, si era ottenuta una serie di risultati. Occorreva lavorare ad un accordo fra le parti sociali.
Qual è stato invece l'atteggiamento del Governo? Credo che in questo Governo potrebbe rivestire una funzione più importante il ministro per la pubblica istruzione, Letizia Moratti. Per quale motivo? Perché questo Governo fa gli esami, non li passa e li ripete.
Siamo alla quinta ripetizione di un provvedimento sul lavoro sommerso! Si può incorrere in errori una volta, si può fare un esame di riparazione una volta, anche due volte, ma siamo ormai in una fase nella quale si ripete senza mai concludere. È un caso disperato! Su tale questione non vi è una responsabilità dei sindacati, vi è una responsabilità precisa del Governo, della Confindustria, ma soprattutto del Governo perché vi era un provvedimento concordato che non è stato immediatamente applicato; sono così stati respinti gli emendamenti dell'opposizione, sostenuti anche dal sindacato, si è mandato a casa un sottosegretario al ministero del lavoro - Brambilla - anima dialogante con le parti sociali, si è fatto ricorso ad un voto di fiducia, a modifiche nella legge finanziaria ed oggi si ricorre ad un provvedimento calato dall'alto e che non ha alcuna possibilità di attuazione.
Infatti, quando si dice che su questo provvedimento non vi è l'accordo di nessuno, né della Confindustria né delle organizzazioni dei commercianti, degli artigiani e nemmeno delle organizzazioni sindacali, di chi è la colpa? Evidentemente di un Governo che ha smarrito la strada della concertazione: non è in grado di trovare una sede nella quale affrontare questi problemi e formula proposte che rivelano che il Governo avrà pure dei giuristi, ma sicuramente non degli economisti. Non conosce bene quale sia la realtà del nostro paese!
Assistiamo pertanto anche a stravaganze: questo provvedimento prevede che occorra operare nel sommerso, ma, al contempo, ridimensiona i diritti di dei
lavoratori che debbono emergere. Vi è una serie di proposte che vanno contro la Costituzione, contro quella che sono le prassi e le leggi del nostro paese.
Si esclude il sindacato perché si ricorda che questo non può intervenire e, successivamente, il ministro Maroni - non so in base a quale criterio - si lamenta affermando che le cose non procedono perché non vi è la collaborazione del sindacato. Come può esserci la collaborazione del sindacato se il tavolo della concertazione è stato fatto saltare in aria e se le misure adottate prescindono dal sindacato? Non vi è il problema di un sindacato, ma quello per cui tutti i sindacati, ivi compresa la UGL e le sigle del sindacato autonomo, ritengono questa procedura e queste misure profondamente sbagliate. Che dire poi della stravaganza che caratterizza l'azione del Governo? Stravaganza che abbiamo potuto verificare sull'articolo 18 quando il Governo propone, per aumentare l'occupazione, di licenziare le persone. Una vera e propria stravaganza! La stravaganza più grande si realizza però in questo provvedimento.
Ci si pone il problema dell'emersione e si dice che è necessario ritornare al chiaro, al bianco, che tutto deve essere trasparente e poi si conferisce un incarico ai sindaci e questi sindaci, nelle loro istruttorie, dovrebbero garantire l'anonimato. Ma vivaddio! Quale stravaganza è questa per cui si deve emergere, ma si deve rimanere anonimi? Francamente, non riesco a capire il senso, la logica del Governo. Sono provvedimenti che si contraddicono, sono sbagliati e noi ci accingiamo ad approvare un disegno di legge che converte un decreto-legge che non risolverà i problemi.
Ecco le ragioni per cui avevamo presentato degli emendamenti e per cui sarebbe stato saggio, sulla base delle audizioni effettuate, che il Governo ritirasse l'articolo 3 e riflettesse sulle ragioni per cui l'azione per l'emersione non ha riscosso successo. È necessario riaprire un tavolo della concertazione, ricreare anche uno spirito positivo tra le parti sociali, perché pensare di affrontare i problemi complessi del mondo del lavoro senza coinvolgere il sindacato, ma con un atteggiamento di scontro verso di esso, ponendo al primo punto la sua divisione, vuol dire imboccare un vicolo cieco e, quando si imbocca un vicolo cieco, si sbatte e si è costretti a tornare indietro e a riaprire il discorso.
Non vogliamo fare ostruzionismo: abbiamo presentato gli emendamenti, li avremmo ridotti, ma le indicazioni di disponibilità fornite dal ministro sono, come al solito, vaghe: c'è sempre disponibilità, c'era anche all'inizio di questa legislatura, ma sotto sotto questa disponibilità significa provvedimenti blindati, voti di fiducia, non rapporto con l'opposizione, non rapporto con le parti sociali, nella presunzione, nella convinzione che sia possibile con una legge risolvere problemi complessi del nostro paese, che sia possibile con degli ordini risolvere problemi che richiedono, invece, un'attenta negoziazione e un grande coinvolgimento delle parti.
Sono questi i motivi per i quali noi negheremo la fiducia al Governo e continueremo nella nostra azione che accanto ai «no» saprà far crescere anche le nostre proposte alternative, richiamando l'importanza e la validità dei risultati che abbiamo ottenuto e che oggi vengono cancellati con un modo improvvido, sbagliato, confuso di affrontare i problemi senza risolverli, aggravando le già precarie condizioni economiche del nostro paese (Applausi dei deputati dei gruppi dei Democratici di sinistra-l'Ulivo, della Margherita, DL-l'Ulivo e Misto-Comunisti italiani).
PRESIDENTE. Constato l'assenza del deputato Bottino che aveva chiesto di parlare: si intende vi abbia rinunziato.
Nessun altro chiedendo di parlare, sono esauriti gli interventi per l'illustrazione degli emendamenti.
Poiché la votazione per appello nominale sulla questione di fiducia non potrà avere luogo prima delle 21,30, le dichiarazioni di voto avranno inizio alle 20.
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