Resoconto stenografico dell'Assemblea
Seduta n. 127 del 9/4/2002
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(Iniziative del Governo per evitare il rischio di una guerra civile in Afghanistan - n. 3-00735)

PRESIDENTE. Il sottosegretario di Stato per i rapporti con il Parlamento, senatore Ventucci, ha facoltà di rispondere all'interrogazione Delmastro Delle Vedove n. 3-00735 (vedi l'allegato A - Interpellanze e interrogazioni sezione 3).

COSIMO VENTUCCI, Sottosegretario di Stato per i rapporti con il Parlamento. Signor Presidente, il Governo italiano segue con attenzione il dramma dell'Afghanistan. La nostra azione è stata facilitata dalla presenza in Italia dell'ex re Zahir Shah, in esilio a Roma da quasi trent'anni. Tale circostanza ha quindi permesso un continuo contatto con gran parte dell'attuale leadership del paese e con la diaspora afgana, consentendo alle nostre iniziative di essere attuate a più livelli. L'Italia ha dall'inizio appoggiato i progetti di Zahir Shah, il quale già nel marzo del 1999 indirizzava un messaggio alla nazione delineando un processo in due fasi: la convocazione di una loya jirga, grande assemblea, e la formazione di un Governo di unità nazionale. Inoltre ha attivamente partecipato al gruppo di Ginevra, con Stati Uniti, Germania ed Iran, che ha assicurato il monitoraggio dell'azione di pace ed il coordinamento delle iniziative internazionali.
L'operazione militare angloamericana a seguito degli attentati dell'11 settembre portava alla caduta del regime dei talebani, e veniva quindi convocata a Bonn una conferenza alla quale partecipavano, sotto l'egida dell'ONU, esponenti delle principali fazioni afgane ed alcuni qualificati osservatori, tra cui un italiano, la cui presenza a latere dei colloqui ha consentito di fornire un importante contributo nella definizione dell'assetto postbellico del paese. Gli accordi di Bonn del dicembre 2001 sostanzialmente ricalcano il processo delineato da Zahir Shah nel 1999.
Il contributo della comunità internazionale alla pacificazione va analizzato sotto due aspetti strettamente legati tra loro: quello economico di aiuto alla ricostruzione e quello politico di aiuto alla conciliazione nazionale ed alla pacificazione. Dal punto di vista degli aiuti alla ricostruzione la conferenza ministeriale di Tokio, svoltasi tra il 20 ed il 22 gennaio 2002, ha costituito un momento qualificante, con la partecipazione dei principali paesi donatori e delle diverse agenzie internazionali. È stata presente anche l'Italia, svolgendo un ruolo attivo. Sono stati impegnati 1,8 miliardi di dollari per il 2002 ed ulteriori 4,5 miliardi per gli anni successivi, mandando agli afgani il messaggio che i donatori sono disponibili a fornire aiuti cospicui subordinatamente al rispetto degli accordi di Bonn, e cioè al placarsi delle faide interne ed al fatto che non si torni a combattere. L'Italia ha assicurato un contributo pari a circa 46 milioni di euro per il 2002, che si aggiunge ai 2,3 milioni di euro per l'assistenza all'amministrazione ed ai 46 milioni di euro già impegnati per l'assistenza umanitaria. Appare ovvio che per poter ottenere il massimo impatto di stabilità sarà necessario avviare quanto prima la fase di ricostruzione, al fine di evitare la situazione di anarchia che si verificò a seguito del ritiro delle truppe sovietiche dal paese.
Circa il contributo alla pacificazione politica, è essenziale che la comunità internazionale assicuri il massimo sostegno all'amministrazione interinale, vista la precarietà della situazione, per accreditarla all'interno del paese come necessario canale per gli aiuti internazionali. Questi, a loro volta, saranno subordinati al rispetto


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di alcuni principi: si deve garantire un Governo rappresentativo, il pluralismo, il rispetto dei diritti umani ed il mantenimento di relazioni amichevoli con i paesi dell'area, evitando che l'Afghanistan si trasformi nuovamente in un santuario del terrorismo.
È essenziale anche il ruolo della forza internazionale di stabilizzazione in Afghanistan, l'ISAF, attualmente presente nel paese con un mandato di sei mesi, con il compito di garantire la sicurezza in Kabul e nelle aree circostanti e di consentire all'amministrazione interinale di procedere speditamente nell'esecuzione degli accordi di Bonn.
L'importanza del suo ruolo è stata di recente ribadita al Consiglio di sicurezza dell'ONU dal Presidente dell'amministrazione interinale Karzai che ha chiesto l'estensione territoriale e temporale del mandato. Quest'ultimo è stato prolungato al 30 giugno ed è in fase di valutazione un'ulteriore estensione sino al completamento dei lavori della Loya Jirga di emergenza, l'Assemblea parlamentare tradizionale afgana, prevista per la metà di luglio. L'Italia fornisce il proprio contributo all'ISAF con circa 300 uomini di stanza a Kabul. Inoltre, anche per quanto concerne le iniziative a lungo termine, al fine di assicurare democrazia e legalità, l'Italia assiste, quanto più possibile, la ricostruzione delle istituzioni e, in particolar modo, quella del sistema giudiziario per il quale l'Italia stessa ha assunto il ruolo di paese guida.
L'amministrazione interinale rimane, comunque, fragile e sono ancora numerose le difficoltà da superare; si ricorda, pertanto, quanto prospettato dall'onorevole interrogante circa il grave rischio di instabilità in Afghanistan. In questa prospettiva, sono state poste in essere le iniziative sopra descritte volte non solo a favorire il processo interno di pacificazione ma anche a salvaguardare gli equilibri in una regione instabile come il sud Asia. Dall'esito dipenderà, in gran parte, la possibilità di realizzare uno scenario afgano più sicuro che consentirà, a sua volta, al nostro contingente di operare progressivamente in condizioni di maggiore sicurezza.

PRESIDENTE. L'onorevole Delmastro Delle Vedove ha facoltà di replicare.

SANDRO DELMASTRO DELLE VEDOVE. Signor Presidente, signor sottosegretario, anche in questo caso mi dichiaro soddisfatto per la sua risposta, sebbene intenda fare alcune osservazioni. Ella ci ha ricordato ciò che è auspicabile che avvenga e ciò per cui il contingente italiano, da una parte, e la politica estera italiana, dall'altra, si stanno battendo.
Nella realtà la vita di tutti i giorni a Kabul e in tutto l'Afghanistan è - ahimè - profondamente diversa e mi pare che l'occidente rischi di crogiolarsi in quei comunicati tipici delle potenze durante le esperienze belliche. Abbiamo visto, infatti, nei primi giorni dopo la caduta del triste regime dei taliban, alcune donne liete di potersi togliere il burka, per apprendere a pochi mesi di distanza che continuano volontariamente ad indossarlo; abbiamo visto alcuni giovani studenti afgani tagliarsi la barba di fronte alle telecamere dei media occidentali, per scoprire poi che continuano a farla crescere volontariamente; abbiamo visto che, dopo trent'anni, si ipotizza il ritorno di un re, persona rispettabilissima, anche se dopo trent'anni, avendo forse qualche anno più del necessario, non si ha più la consapevolezza di ciò che è accaduto all'interno del proprio Stato se si è vissuto a Roma; abbiamo visto che, mentre si tenta di ripristinare un minimo di unità nazionale, le etnie uzbeka e tagika con le armi hanno ripreso il controllo nella zona del nord e con le armi l'etnia pashtun ha ripreso il controllo al sud; abbiamo visto che anche in questi giorni ciascuna delle etnie sta cercando di espandere la propria zona di influenza con le armi; in altri termini, abbiamo visto che la politica adottata dall'occidente è stata - ahimè - assolutamente fallimentare.
Onorevole sottosegretario, se mi è consentita una battuta, vi è forse un aspetto


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positivo, perché ho appreso da lei (onestamente non ne ero a conoscenza) che ci siamo assunti la responsabilità di rimettere in sesto la giustizia in quel paese. Credo che si debba fare attenzione, perché è chiaro che, se mandassimo laggiù qualche pubblico ministero, forse ripristineremmo il sistema dei taliban, visto il modo in cui si stanno comportando alcuni pubblici ministeri in questo paese.
Signor sottosegretario, il problema è di uscire dalla sfera della semplice propaganda per entrare in quella della realtà quotidiana.
Credo che, in assoluto, la situazione per il popolo afgano sia cambiata molto meno di quanto ci è stato detto e che i rischi per il nostro contingente siano molto maggiori di quelli che era lecito prevedere dopo la caduta del regime dei Talibani. Soprattutto ritengo - perché questo mi pare un ritornello che viene ripetuto ogni qual volta un nostro contingente di pace va all'estero - che, ahimè, i mesi previsti per la presenza del contingente italiano laggiù siano destinati a moltiplicarsi e non per uno, per due, per tre, ma forse per cinque o per dieci, come sta accadendo nei Balcani.
Si tratta di avventure in luoghi non pacificati e non facilmente pacificabili nell'ambito dei quali è difficile immaginare quando effettivamente la nostra missione potrà avere fine. Il problema è che laggiù hanno trovato una situazione dissimile da quella che, forse, ci si attendeva. Non vi è dubbio circa la professionalità e la preparazione dei nostri reparti in armi e dei loro ufficiali. Chiedo, però, che il Governo sia molto attento alle evoluzioni all'interno del paese perché anche la presenza militare può e deve avere approcci diversi in ragione del processo di ricostruzione in corso, che deve essere certamente favorito perché, purtroppo, dalla frantumazione in etnie armate possono scaturire rischi che al momento in cui il nostro contingente è partito forse non si profilavano e non sono stati valutati.
Sotto questo aspetto, pertanto, onorevole sottosegretario, mi dichiaro soddisfatto della sua risposta con la preghiera di tener conto che laggiù abbiamo uomini - e certamente non vi è bisogno del mio richiamo - che meritano grande attenzione perché si trovano in una situazione più difficile di quella che era lecito attendersi.

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