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La seduta, sospesa alle 11,45, è ripresa alle 15,35.
PRESIDENTE. Avverto che le interpellanze Fragalà n. 2-00160 e Fassino n. 2-00164, che vertono sullo stesso argomento, saranno svolte congiuntamente (vedi l'allegato A - Interpellanze urgenti sezione 9).
VINCENZO FRAGALÀ. Signor Presidente, mi riservo di intervenire in sede di replica.
PRESIDENTE. L'onorevole Lumia ha facoltà di GIUSEPPE LUMIA. Signor Presidente, signor sottosegretario, ci troviamo di fronte ad una situazione che potremmo definire in vario modo (drammatica, grottesca, poco seria) ma vorremmo che in quest'aula la vicenda del Banco di Sicilia potesse acquisire trasparenza, chiarezza e, in questo contesto, anche in modo molto nitido, il parere, la volontà e le decisioni del ministro del tesoro e del Governo.
ai sensi della cosiddetta legge Sindona.
ciò che la Banca di Roma vorrebbe fare, a nostro avviso, in modo sbagliatissimo.
PRESIDENTE. Il sottosegretario per l'economia e le finanze, professor Vito Tanzi, ha facoltà di VITO TANZI, Sottosegretario di Stato per l'economia e le finanze. Signor Presidente, onorevoli deputati, con le interpellanze Fragalà n. 2-00160 e Fassino n. 2-00164 vengono posti quesiti in ordine alla fusione del Banco di Sicilia nella Banca di Roma. Al riguardo, sulla base degli elementi forniti dalla Banca d'Italia, si fa presente che non è pervenuta alcuna richiesta formale di autorizzazione all'attuazione del citato progetto. Vorrei aggiungere che neppure il Tesoro ha ricevuto
nessuna richiesta: quindi, fino a questo momento è difficile rispondere a tutte le varie domande, visto che il problema non si è ancora presentato, almeno a noi.
controllo del Banco di Sicilia, valorizzi i connotati e le valenze regionali dell'azienda bancaria del Banco di Sicilia tra l'altro conservandone il marchio e mantenendone la sede legale a Palermo.
PRESIDENTE. L'onorevole Fragalà ha facoltà di VINCENZO FRAGALÀ. Signor Presidente, signor sottosegretario, nel dichiararmi parzialmente soddisfatto per le informazioni che ha fornito al Parlamento il professor Tanzi, devo comunque rilevare una serie di questioni e di problemi che il Governo della Repubblica dovrà affrontare nel momento in cui non sarà più messo a conoscenza dei fatti attraverso la stampa - come ha dichiarato il sottosegretario -, ma attraverso una richiesta di autorizzazione indirizzata dalla Banca di Roma al ministro dell'economia e delle finanze, di quelle che sono le indicazioni, i progetti, le strategie e, soprattutto, gli obiettivi che la Banca di Roma si prefigge rispetto a questa annunciata fusione per incorporazione.
che ritengono di potersi sviluppare attraverso il Banco di Sicilia, avendo a disposizione mezzi finanziari utili di una banca che, peraltro, per una quota minoritaria, è controllata dalla regione siciliana in virtù di una apposita legge la quale ha previsto che, dal 1991 in poi, tale quota di partecipazione doveva servire a creare quello strumento finanziario e creditizio assolutamente indispensabile per consentire lo sviluppo della regione siciliana.
dell'economia e delle finanze devono intervenire per impedire, quando arriveranno le richieste di autorizzazione, l'approvazione di piani industriali che prevedano ricadute in termini occupazionali, di mobilità, di ridimensionamento operativo e patrimoniale del Banco di Sicilia, rispetto alla sua attuale configurazione regionale ed extraregionale. Il Ministero dell'economia e delle finanze, professor Tanzi, deve intervenire perché non siano accolte offerte di concambio di partecipazione azionaria tra quota regione Banco di Sicilia e quota regione IRFIS, e tra quota regione Banco di Sicilia e quota holding Banca di Roma.
quest'operazione, la Banca di Roma si offra sul mercato con i conti in regola e con i deficit assolutamente sanati.
PRESIDENTE. Onorevole Fragalà...
VINCENZO FRAGALÀ. In passato, signor sottosegretario, tale atteggiamento veniva giustificato con l'alea elevata che il prestito in Sicilia comportava. Oggi, invece, apertis verbis, le attività creditizie e finanziarie sembrano esclusivamente finalizzate, in Sicilia, ad una strategia - dal punto di vista degli istituti sicuramente non particolarmente condannabile - che vuole drenare il denaro in per investirlo in attività di impresa che, peraltro, sono riconducibili agli stessi controllori dei pacchetti azionari delle banche che hanno aperto gli sportelli.
PRESIDENTE. Onorevole Fragalà, mi spiace, ma adesso deve proprio concludere.
VINCENZO FRAGALÀ. Il nostro, professor Tanzi, non è soltanto un grido d'allarme: è un grido di dolore, un appello accorato affinché un misfatto del genere non venga consumato.
PRESIDENTE. L'onorevole Lumia ha facoltà di GIUSEPPE LUMIA. Signor Presidente, professor Tanzi, con molta onestà, lealtà e schiettezza, debbo dire che non sono per niente soddisfatto.
che le hanno somministrato; doveva rifiutarsi perché le hanno scritto una brutta nota, le hanno scritto una nota che, innanzitutto, colpisce lei, la sua storia, la sua preparazione e la sua serietà. Le hanno preparato una nota che colpisce la Sicilia, l'intelligenza, le competenze, le conoscenze che ormai su questo dato la parte migliore della Sicilia si è fatta.
Banca di Roma, ma credendo di far retrocedere la parte della regione siciliana e della fondazione. Si tratta quindi, in questo momento, di una provocazione grave, che espone la Banca di Roma.
L'onorevole Fragalà ha facoltà di
Si tratta di una vicenda che vale la pena di raccontare perché, attraverso l'esposizione di quello che è avvenuto in questi anni, potremmo capire la gravità di quello che rischia di avvenire se il progetto della Banca di Roma dovesse procedere.
Ricordo a tutti che nel 1991, a seguito della riforma Amato, la regione siciliana decise, con la legge n. 39 del 1991, di intervenire nella ricapitalizzazione delle due grandi banche pubbliche siciliane: nella Sicilcassa con 500 miliardi e nel Banco di Sicilia con 600 miliardi.
Dopo la trasformazione del Banco di Sicilia da istituto di diritto pubblico in società per azioni, l'azionariato venne così ad essere distribuito tra il Ministero del tesoro, che detiene la maggioranza, la fondazione e la regione siciliana. A partire dal 1993, il Banco di Sicilia affrontò una profonda crisi ed una prima forte ristrutturazione aziendale. Nel 1997 sopraggiunse la crisi della Sicilcassa che, ahimè, venne messa in liquidazione: il suo attivo e il passivo vennero conferiti al Banco di Sicilia che così iniziò una nuova fase di profonda ristrutturazione aziendale.
In realtà, l'operazione Sicilcassa fu abbastanza più complessa perché portò il Ministero del tesoro a conferire il proprio pacchetto di azioni del Banco di Sicilia al Mediocredito centrale, al quale, successivamente, il Ministero del tesoro conferì anche il proprio pacchetto di controllo dell'IRFIS. Ci furono, poi, interventi del fondo interbancario di garanzia per 1.000 miliardi ed un ulteriore intervento del Ministero del tesoro per circa 2.000 miliardi,
Nel 1997, tra il Mediocredito centrale e la regione vennero sottoscritti patti parasociali validi per tre anni e nel 1999 il Ministero del tesoro portò a compimento la privatizzazione del Mediocredito centrale. Scartata l'ipotesi di vendita alla cordata della Banca popolare di Vicenza, parteciparono alla gara Unicredito e Banca di Roma: vinse quest'ultima ed acquistò il Mediocredito centrale per circa 4.000 miliardi e, con esso, il 62,8 per cento del Banco di Sicilia e il 76 per cento circa dell'IRFIS.
Per onestà intellettuale ricordo che, grazie all'opera condotta allora dal governo regionale del presidente Capodicasa, il Ministero del tesoro inserì nel contratto di vendita l'articolo 7, un punto importante a cui il Ministero dell'economia e delle finanze deve prestare molta attenzione, perché mette paletti chiari e certi alla proprietà della Banca di Roma e impedisce quello che sta avvenendo in questi giorni e in queste ore.
Nella primavera del 2000 la Banca di Roma presentò un nuovo piano industriale che, sostanzialmente, al di là delle differenze, rispettò il contratto; essa presentò anche un piano industriale per l'Irfis, che la regione - ricordo allora l'intervento dell'assessore al bilancio, onorevole Piro - in assemblea degli azionisti non accettò: su tale fatto ci fu uno scontro.
Tale piano venne, poi, reiterato ad ottobre e, ahimè, debbo dire che, allora, il governo regionale del presidente Leanza lo accettò: penso che questo fu un errore.
Nel novembre del 2001 venne presentato un nuovo piano industriale del gruppo Banco di Roma che stravolse il precedente, prevedendo l'incorporazione per fusione del Banco di Sicilia.
Qui non ci siamo più e, a questo punto, inizia una triste storia che è di questi mesi, di queste settimane, di queste ore.
Si procede ad una fusione per incorporazione con il Banco di Sicilia, che prelude alla nascita di un soggetto giuridico diverso, i cui margini di autonomia e di indipendenza rispetto all'azionista di maggioranza non sono del tutto espliciti; basti considerare, al riguardo, che dello stesso progetto industriale è stato trasmesso, alla presidenza della regione siciliana, soltanto lo stralcio.
Attualmente, la regione Sicilia e la fondazione Banco di Sicilia concorrono al patrimonio della banca isolana con una quota pari a circa il 37 per cento. Di recente, la regione Sicilia ha provveduto a nominare un advisor che ha quantificato il valore del Banco di Sicilia in una somma, compresa tra 6.000 e 6.500 miliardi di lire, molto prossima per valore di capitalizzazione di borsa a quello della Banca di Roma che, attualmente, si commisura a circa 7.000 miliardi di lire. Siamo lì, siamo lì! Ove tale stima venisse confermata ne risulterebbero sensibilmente modificati i rapporti di forza nell'ambito della compagine societaria.
Tuttavia, allo stato attuale preme maggiormente il mantenimento nella regione dei centri decisionali e dei servizi essenziali: centro elettronico ed area della finanza del Banco di Sicilia. Ciò non per un'astratta tutela della cosiddetta sicilianità del Banco, ma per la matura consapevolezza dell'indispensabilità dello strumento Banco di Sicilia per qualsivoglia progetto serio, produttivo, non più assistenzialistico, non più illegale, di sviluppo del territorio.
Tutto questo appare tanto più preoccupante se si considera la cosiddetta consolidata tendenza delle banche non locali, vale a dire quelle che sono venute giù in Sicilia a rastrellare il risparmio isolano per poi trasferirlo, sotto forma di impieghi o attraverso il canale interbancario, in altre parti del territorio italiano. In Sicilia si raccogliere risparmio, in altre realtà territoriali si investe e si sostengono le piccole e medie imprese nonché i cittadini, le cittadine e le famiglie.
Ne consegue, in tutta evidenza, che la perdita del Banco di Sicilia da parte della realtà territoriale della regione Sicilia priva, allo stesso tempo, il territorio di uno strumento di sostegno allo sviluppo nonché di cospicui flussi finanziari.
Peraltro, risulta da fonte attendibile - che il Ministero dell'economia e delle finanze potrebbe verificare, signor sottosegretario - che il Banco di Sicilia ha già acquisito l'autorizzazione, da parte della Banca d'Italia, ad aprire nuovi sportelli al di fuori della Sicilia e che tale importante chance sarebbe stata volutamente ignorata dall'attuale management e rinviata ad un momento successivo. Se così fosse, anche ciò costituirebbe un fatto gravissimo.
Comunque, il Banco di Sicilia è un'azienda ormai completamente risanata sia negli assetti di bilancio sia nell'operatività della sua rete. Non ci troviamo di fronte ad una struttura decotta, in ginocchio, ad un rottame, ma ci troviamo di fronte ad una realtà che, nel primo semestre di quest'anno, ha saputo registrare un utile di periodo di 126 miliardi.
Di converso, la situazione del gruppo Banca di Roma non è delle migliori. Ciò a noi dispiace, ma è bene in questo momento fare anche delle comparazioni. La capogruppo è sottocapitalizzata e tenta di recuperare assetti societari apprezzabili, vendendo alcuni pezzi e ottenendo plusvalenze che le consentano di migliorare il bilancio (Banca nazionale dell'agricoltura, alcuni sportelli della rete del centro-nord e alcuni sportelli di Banca mediterranea per quanto riguarda il centro-sud).
L'operazione di incorporazione del Banco di Sicilia, a nostro avviso, risponde all'obiettivo di proseguire nella politica di surrettizia ricapitalizzazione, ridimensionando ad esempio i parametri delle partecipate, come ad una prima valutazione si era fatto pensando che tutto il Banco di Sicilia si potesse rinchiudere nella somma di 4.000 miliardi, poi smentita da un advisor che, invece, ha presentato una valutazione che va dai 6.000 ai 6.500 miliardi.
L'incorporazione determinerebbe anche ricadute pericolosissime sul piano sociale. I dipendenti a rischio potrebbero essere oltre quelli impiegati nelle funzione centrali del Banco di Sicilia, anche quelli preposti alle direzioni periferiche della rete e del centro informatico, tutti quantificabili in non meno di 200 unità.
Pertanto, lo spostamento o l'eliminazione delle funzioni direzionali comporterebbe ulteriori riflussi sul piano occupazionale e sociale. Ciò avverrebbe in una realtà aziendale che ha già subito, in tre anni, un salasso, in termini di posti di lavoro, di almeno 3 mila unità, dopo accordi sindacali che hanno favorito l'abbattimento del costo del lavoro in cambio di una politica di risanamento e di rilancio del Banco di Sicilia che è, finalmente, divenuta un'azienda concorrenziale. La missione affidata al Banco di Sicilia, tra l'altro, verrebbe del tutto annullata. Verrebbero anche vanificati gli sforzi già realizzati in partenza per rendere l'azienda interlocutrice del mondo della piccola e media impresa: la Sicilia diventerebbe sempre più, per il mercato creditizio, una regione in cui - come dicevo prima - si dragano risorse senza realizzare gli strumenti creditizi per un loro reimpiego, a vantaggio dello sviluppo del territorio.
In sostanza, questo piano lede gli interessi del Banco di Sicilia. Resta da capire, signor sottosegretario, se il Tesoro abbia dato l'assenso o meno. Resta da capire se sia formalizzata una scelta di questo tipo. Resta da capire quale sia l'orientamento del Tesoro che si deve esprimere in base all'articolo 7 da me citato precedentemente: la disposizione indica nell'amministrazione del tesoro una garanzia da esercitarsi di fronte a possibili e successivi piani industriali o ristrutturazioni. Insomma, non c'è alcuna giustificazione per l'incorporazione: si tratta di un'operazione di cannibalismo con la quale la Banca di Roma intende raddrizzare i suoi conti.
Possiamo rappresentare in questo modo la parabola del Banco di Sicilia: non dimentichiamo che per decenni è stato un pezzo forte del regime che lo ha utilizzato come grande serbatoio di consenso e di potere di controllo sull'economia siciliana. In quel periodo venivano garantiti autonomia, risorse e sostegni. Oggi che il Banco di Sicilia è un'azienda risanata, moderna e competitiva si sperimenta, invece, la disattenzione. E non vorrei che nel ministero competente si desse l'assenso a
Ricordo ancora che il Banco di Sicilia fu costretto a fronteggiare una grave crisi negli anni novanta, in coincidenza con l'esplodere di Tangentopoli, per cui la regione fu obbligata ad intervenire con 600 miliardi, dopo i 500 della Sicilcassa, già ricordati. Fu utilizzato il Banco di Sicilia per la liquidazione della Sicilcassa. Il Banco di Sicilia fu utilizzato per rendere liquido ed appetibile il Mediocredito Centrale che, altrimenti, avrebbe avuto un valore scarso o nullo e non sarebbe stato venduto ad alcuno. Il Banco di Sicilia fu utilizzato per aumentare il patrimonio della Banca di Roma, dandole una dimensione di banca nazionale. Sarà utilizzato ancora, questa volta per ripulire i conti della Banca di Roma, forse in vista di un successivo abbraccio con l'Istituto San Paolo? È di queste ore una grande mobilitazione: per il senso di responsabilità delle forze sindacali e del mondo dei lavoratori, stamattina, lo sciopero ha raccolto un'ampia adesione, valutabile intorno al 75 per cento dei lavoratori. Ahimè, debbo, invece, constatare che la Banca di Roma risponde in modo un po' provocatorio: e si tratta di un'espressione eufemistica. Si legge in un'agenzia di queste ore: con una nota, la Banca di Roma informa di aver chiesto la convocazione dell'assemblea del Banco di Sicilia per la determinazione del numero degli amministratori, la revoca dell'attuale consiglio d'amministrazione e la sua ricostituzione, nonché per l'esame dello stato di attuazione del progetto di razionalizzazione del gruppo Banca di Roma per profili competenze del Banco di Sicilia. Il consiglio d'amministrazione del Banco di Sicilia ha conseguentemente convocato l'assemblea per i giorni 20 e 21 dicembre. In sostanza, cosa si fa? Cosa avviene? I cambiamenti si stanno verificando, finalmente e positivamente, in Sicilia; la parte migliore e più innovativa della regione, quella che vuole scommettere sulla legalità dello sviluppo, si oppone alla scelta di distruggere, destrutturare ed impoverire il Banco di Sicilia. Di fronte a tutto ciò, la Banca di Roma prende atto dell'opposizione dei soci di minoranza; dopo la diffida ai sindaci ed agli amministratori, decide di convocare l'assemblea del Banco di Sicilia per procedere alla nomina del nuovo consiglio d'amministrazione che escluda volutamente i soci di minoranza.
Così non ci siamo. Ritengo invece che bisogna avviare un dialogo alto con quella parte di Sicilia moderna e avanzata, facendo in modo che la Banca di Roma possa anche prendere in considerazione un'alleanza diversa, anche se le decisioni di queste ultime ore, a nostro avviso, limitano anche questa possibilità; in altre parole, occorre permettere al Banco di Sicilia di mettersi in gioco, lasciandogli la sua autonomia, consentendo all'istituto di scommettere sul sistema azionario, provando a fare altro diversamente.
A nostro avviso, deve prendere atto che la missione del Banco di Roma è fallita e non può far pagare il suo fallimento al Banco di Sicilia: è necessario che faccia un passo indietro, mettersi da parte e lasciare che la Banca di Sicilia, possa trovare quegli interlocutori e quelle alleanze adatte a mettere in condizione la Sicilia di poter crescere in un suo autonomo sviluppo e nella legalità. Tra l'altro, la Sicilia ha il grande appuntamento del mercato unico del Mediterraneo, che richiede intelligenza, capacità, produttività e non assistenzialismo e non di essere considerata come realtà da spremere e da buttare via.
Dalle informazioni disponibili - dovrei aggiungere principalmente attraverso la stampa -, risulta che sarebbe in corso di definizione un piano di riorganizzazione societaria del gruppo Banca Roma incentrato sulla costituzione di una holding capogruppo alla quale farebbero capo diverse banche retail, tra cui il Banco di Sicilia, società prodotto e società di servizi. In particolare, il piano - secondo quanto è stato riportato dalla stampa - prevederebbe: la fusione per incorporazione del Banco di Sicilia nella Banca di Roma, che assumerà la nuova denominazione Banca di Roma holding; il contestuale scorporo da Banca di Roma holding delle organizzazioni bancarie, Banco di Sicilia e Banca di Roma, ad eccezione delle attività di finanza e il loro conferimento in due società interamente controllate da Banca di Roma holding.
Per quanto attiene ai quesiti formulati nelle interpellanze, si fa presente quanto segue. Con riguardo alle attività del Banco di Sicilia (come plusvalenze su partecipazioni, su immobili e su sofferenze, provenienti dalla Sicilcassa, in relazione al contributo previsto dal Decreto ministeriale 27 settembre 1994), che sarebbero acquisite dalla Banca di Roma attraverso la citata operazione, va considerato che le fusioni per incorporazioni avvengono sulla base di un rapporto di concambio, determinato in base all'autonoma responsabilità delle parti e sulla cui congruità sono chiamati a pronunciare un parere uno o più esperti nominati dal presidente del tribunale, che tiene conto dei valori economici delle realtà che intervengono nell'operazione. I valori impliciti nei beni apportati dagli azionisti della società incorporata vengono pertanto riconosciuti a questi ultimi attraverso l'assegnazione di azioni della società incorporante, il cui numero viene determinato sulla base del citato rapporto di concambio. L'ultima ispezione di vigilanza di carattere generale presso la Banca di Roma si è conclusa il 13 aprile 1995, quindi circa sei anni fa. Alla data del 30 giugno 2001, le sofferenze lorde e nette della Banca di Roma ammontavano rispettivamente a 10.096 e 6.424 miliardi di lire.
Inoltre la banca ha effettuato tre operazioni di cartolarizzazione di sofferenze a fronte delle quali la Banca di Roma ha mantenuto, attraverso l'acquisto di titoli «junior» e il rilascio di garanzia su titoli «mezzanine», rischi creditizi attualmente quantificabili in circa 3.800 miliardi.
Nella relazione redatta, ai sensi dell'articolo 156 del decreto legislativo n. 58 del 1998, dalla società di revisione Reconta Ernst & Young sul bilancio di esercizio 2000 della Banca di Roma, è contenuto un riferimento sull'esistenza di partite contabili in sospeso presso l'azienda romana, anche se tale riferimento non qualifica tali partite come «rilevanti» e specifica che l'opera di sistemazione delle stesse è in corso di completamento.
Si soggiunge che dalle segnalazioni di vigilanza della Banca di Roma è emerso che l'ammontare delle partite viaggianti sospese è risultato, nel periodo febbraio 2000/ottobre 2001, sempre al di sotto della soglia il cui supero secondo le vigenti regole di compilazione della matrice dei conti, implica per le banche l'obbligo di classificare tali partite nei più importanti aggregati di destinazione finale (crediti e depositi di clientela ordinaria, titoli, rapporti intercreditizi, eccetera).
Dal contratto di acquisto dal Tesoro del Mediocredito centrale da parte della Banca di Roma, trasmesso a seguito della richiesta di autorizzazione all'acquisizione della partecipazione, presentata in data 8 ottobre 1999, si rileva che la parte acquirente avrebbe dovuto, tra l'altro: attuare il piano industriale secondo le linee guida presentate al Tesoro in sede di offerta definitiva e a non apportarvi sostanziali variazioni, con particolare riferimento alla partecipazione di controllo del Banco di Sicilia, che non siano state preventivamente concordate con il Tesoro: vorrei ripetere che su questo finora non c'è stata alcuna richiesta; fare in modo che il Mediocredito Centrale, quale azionista di
Questi erano gli accordi, ma vorrei ripetere che, fino a questo momento, si tratta di un problema teorico - almeno per quanto ci concerne - poiché per noi e per la Banca d'Italia non c'è stata alcuna richiesta.
Innanzitutto vorrei dire al professor Tanzi - uno degli esperti più illustri in materia - che siamo in presenza di una situazione anomala che mi sono permesso di rappresentare nell'interpellanza urgente: la Banca di Roma non è sottoposta da più di dieci anni a ispezioni della Banca d'Italia.
Il professor Tanzi dovrà convenire con me sul fatto che questo dato, assolutamente singolare, è naturalmente prodromico ad una serie di valutazioni relative alle sofferenze che la Banca di Roma, in questo momento, riporta per oltre 12 mila miliardi e all'andamento negativo di 8 mila miliardi di sofferenze cartolarizzate di cui la Banca di Roma - come il professor Tanzi sa - conserva il rischio, avendone acquisito le obbligazioni ed i prestiti subordinati, necessari alla società veicolo per acquisire i crediti.
La relazione della società di certificazione, citata dal signor sottosegretario, rileva che le partite in sospeso, in attesa di sistemazione contabile, certamente non costituiscono un elemento utile in questo quadro economico, patrimoniale e finanziario contraddistinto, per la prima volta, da una banca incorporante, la Banca di Roma (che richiede la fusione di una banca collegata), che non ha le carte in regola, soprattutto i conti in regola, denunciando sofferenze eccezionali, mentre il Banco di Sicilia versa in altre condizioni, grazie ad una serie di interventi di ristrutturazione posti in essere, dal 1991, dalla regione siciliana, con lo scopo di perseguire gli obiettivi di sviluppo economico della comunità regionale, competenti per statuto alla stessa; la regione, pertanto, intervenne nel processo di ricapitalizzazione dell'ex Sicilcassa e del Banco di Sicilia, apportandovi risorse finanziarie (denari dei contribuenti siciliani) per lire 1.100 miliardi. Quando la Banca di Roma acquisì il Banco di Sicilia dal Mediocredito, quest'ultimo, che costituiva naturalmente la rappresentanza vera e propria del Tesoro, sia per quanto riguarda i capitali sia per quanto riguarda le strategie finanziarie, ricevette un altro enorme contributo, sempre con il danaro dei contribuenti (questa volta tutti i contribuenti italiani), attraverso la cosiddetta legge Sindona.
Ebbene, rispetto a ciò, credo che il professor Tanzi, per la sua rinomata sensibilità, debba chiedersi come sia possibile che la Banca di Roma, che versa in condizioni finanziarie e patrimoniali disastrose, possa inglobare, incorporare il Banco di Sicilia che, invece, in questo momento, dopo i piani di ristrutturazione felicemente conclusisi, è particolarmente efficiente, operativo, eccezionalmente competitivo, costituendo l'indispensabile volano dell'economia siciliana.
Signor sottosegretario, in questo momento sono il portavoce di migliaia di imprese siciliane (piccole e medie imprese)
Oltre ad essere portavoce delle migliaia di imprese piccole e medie della regione siciliana, lo sono anche dei tantissimi dirigenti, funzionari ed impiegati del Banco di Sicilia che, in questo momento, si trovano dinanzi ad una prospettiva chiaramente negativa, nel momento in cui questa incorporazione, non soltanto nei fatti, ma anche negli aspetti più evidenti, è mirata a risanare il grave deficit finanziario della Banca di Roma, acquisendo - signor rappresentante del Governo, lei sa che i numeri sono argomenti testardi e valgono molto più di tante parole - dal Banco di Sicilia plusvalenze per un valore di centinaia e centinaia di miliardi e non soltanto per quanto riguarda il Banco di Sicilia, ma anche relativamente all'IRFIS che ha un patrimonio finanziario di 500 miliardi di lire assolutamente liquido.
Rispetto a questo, non vi è dubbio che il Governo delle libertà deve porsi un problema: parlando da liberale in politica e da liberista in economia, non si deve certamente mirare ad interventi di tipo assistenzialistico o protezionistico. Tuttavia, il Governo non può nemmeno consentire che una banca sana, il Banco di Sicilia, venga incorporata soltanto per «fare cassa» da parte di una banca malata dal punto di vista finanziario, la Banca di Roma, privando la Sicilia, i siciliani, le imprese siciliane, ma anche la regione, di una serie di strumenti creditizi rappresentati dal Banco di Sicilia e dall'IRFIS che sono assolutamente necessari per la crescita della nostra regione.
Naturalmente intervengo non soltanto come deputato di Alleanza nazionale, ma come deputato di Alleanza nazionale eletto in Sicilia, in un collegio uninominale, per affermare - questo ovviamente non devo sottoporlo all'esperienza del professor Tanzi - che questo progetto di formazione di una holding Banca di Roma, se valutato in buona fede, - il professor Tanzi mi insegna - potrebbe essere attuato da parte della Banca di Roma, con l'attuale partecipazione azionaria del 62 per cento del capitale del Banco di Sicilia, senza ricorrere all'incorporazione di quest'ultimo.
Il problema vero allora è il seguente: l'incorporazione del Banco di Sicilia si compie soltanto ed esclusivamente per introitare le finanze di una banca che, lo ripeto, è assolutamente sana. Inoltre, che senso avrebbe questa operazione sia rispetto a quelle che sono, per legge regionale, le finalità perseguite dal Banco di Sicilia, quale volano dell'economia regionale, sia per quello che riguarda il sistema bancario nazionale?
Per questa ragione, mi chiedo ancora come mai questa banca da dieci anni non sia stata mai ispezionata dalla Banca d'Italia, parlo ovviamente della Banca di Roma. L'incorporazione del Banco di Sicilia, signor rappresentante del Governo, e la sua trasformazione in una mera rete commerciale è certamente in contraddizione con il programma della Casa delle libertà e con l'impegno, più volte formalmente assunto dal Governo delle libertà, di dotare la regione siciliana, a sostegno del suo sviluppo economico, di adeguate infrastrutture, fra le quali sono da annoverarsi, prima probabilmente delle autostrade, delle strade ferrate, dei porti ed anche dello stesso ponte sullo stretto di Messina, quelle finanziarie e creditizie, assolutamente importanti e fondamentali.
La nostra richiesta è che il ministro dell'economia e delle finanze intervenga urgentemente per impedire che si porti a termine un'operazione di finanza che andrebbe a privare la nostra realtà regionale, di oltre 6 milioni di abitanti, e con un tessuto economico in grande crescita, come dicono tutti i dati economici in questo momento, di uno strumento finanziario e creditizio assolutamente indispensabile. Quindi, il Governo e il ministro
Il professor Tanzi ci insegna che è possibile, in questo caso, trovare un partner diverso dalla Banca di Roma, come è stato chiesto in una mozione, approvata all'unanimità dall'assemblea regionale siciliana, presieduta dall'onorevole Guido Lo Porto, che indica che è possibile trovare una soluzione diversa con un partner diverso; la Banca di Roma può cedere la sua quota azionaria ad un altro partner che, invece, intenda rispettare quelle strategie che, prima con il Mediocredito, poi con il passaggio dal Mediocredito alla Banca di Roma, si ritenne di indicare e prospettare per la soluzione del Banco di Sicilia.
Quindi, bisogna anche vigilare, affinché si mantengano e si rafforzino il ruolo e le attività del Banco di Sicilia, per conservarne il radicamento e l'identità insulare ed extrainsulare, perché, professor Tanzi, non basta avere la sede legale a Palermo o in Sicilia, quando le finanze del Banco di Sicilia vanno a rimpinguare il deficit della Banca di Roma e il Banco di Sicilia si trasforma in una rete per la vendita di prodotti finanziari per conto della Banca di Roma. Inoltre, bisogna esercitare ogni azione che impedisca il depauperamento del valore del Banco di Sicilia portato avanti dalla capogruppo, la Banca di Roma, non escludendo, come è stato sostenuto dall'intera assemblea regionale siciliana, il ricorso all'esercizio del recesso unilaterale della partecipazione azionaria, previa adozione, presso le competenti autorità, di iniziative atte a sospendere ogni pregiudizievole determinazione.
Oggi si è appresa la notizia - sicuramente, non è sfuggita al ministro dell'economia e delle finanze e al professor Tanzi - del rinvio della convocazione, da parte del Banco di Roma, del consiglio d'amministrazione del Banco di Sicilia, di fronte a chiare e nette prese di posizione politiche a difesa dell'interesse dei siciliani e, soprattutto, di un istituto di credito che rappresenta, per la Sicilia, la trincea avanzata dello sviluppo e della legalità. Non c'è dubbio, dunque, che tale rinvio è assolutamente rilevante poiché il Governo, nei prossimi giorni, avrà la possibilità di intervenire in conformità alle indicazioni provenienti dalla mozione, approvata all'unanimità, dall'Assemblea regionale siciliana e ai suggerimenti emersi durante i dibattiti che si sono svolti in questa sede.
Senza dubbio non possiamo consentire - professor Tanzi - che, nel caso d'incorporazione del Banco di Sicilia, l'Italia perda, proprio nella difficile fase d'avvio dell'euro, una rappresentanza al Fondo monetario internazionale, dove il Banco di Sicilia è presente con una tradizione, un'incisività ed un'autorevolezza conosciute e condivise da tutti.
Il problema, dunque, presenta due aspetti diversi. Il primo è squisitamente finanziario e riguarda la politica del Governo rispetto sia al sistema creditizio sia, soprattutto, alla tutela, nell'ambito del sistema creditizio stesso, di linee maestre e d'iniziative di trasparenza che impediscano - nel caso di specie, alla Banca di Roma, in casi futuri, ad altri istituti di credito - che eccezionali provvedimenti di fusione per incorporazione possano essere utilizzati strumentalmente per sanare i bilanci. Tali bilanci, una volta risanati, nel caso di specie, attraverso la finanza del Banco di Sicilia, dovranno certamente essere presentati (non mi sforzo ad essere profetico) a future realtà creditizie che, sicuramente, andranno ad incorporare la Banca di Roma, e, quindi, dovranno consentire, non soltanto che scompaia il Banco di Sicilia, ma anche che, attraverso
Dopo aver affrontato l'aspetto tecnico-bancario del problema - che, naturalmente, dovrebbe stare molto a cuore al servizio di vigilanza della Banca d'Italia che, in questo momento, ci ascolta e che dovrebbe porsi una serie d'interrogativi sulle mancate iniziative o, addirittura, sui consensi lasciati trapelare ad un'operazione che, sicuramente, dal punto di vista tecnico-bancario, è negativa, perniciosa e rappresenta un esempio da non seguire -, vorrei affrontare l'aspetto politico. Nel millennio del villaggio globale, della globalizzazione dell'economia, delle concentrazioni, delle holding, non stiamo qui a difendere una realtà localistica per motivi esclusivamente campanilistici o per la tutela dei posti di lavoro dei dirigenti, dei funzionari e degli impiegati che, in ogni caso, ci stanno particolarmente a cuore; infatti, il salasso occupazionale subito, prima dalla Sicilcassa e poi dal Banco di Sicilia, ha lasciato veramente stremata la categoria del mondo bancario che, certamente, fra qualche ombra e tante luci, aveva contribuito allo sviluppo dell'impresa e dell'economia siciliana.
In termini politici, noi ne facciamo, invece, un problema di infrastrutture. L'impegno assunto dalla Casa delle libertà nel suo programma ed anche dal Governo delle libertà nella sua azione (che ha già fatto conseguire tanti obiettivi, tanti risultati) è di dotare il Mezzogiorno, le isole, la Sicilia di quelle infrastrutture la cui mancanza, in tutti questi anni - direi addirittura in tutto il secolo passato - ha impedito lo sviluppo di tale area del paese.
In termini squisitamente politici, noi riteniamo che un'infrastruttura fondamentale per le prospettive di crescita dell'economia regionale sia costituita proprio da un istituto di credito che, oltre ad avere gli interessi di riferimento, i centri direzionali e strategici nell'isola, abbia soprattutto un programma finanziario ed un programma economico tesi a sostenere uno sviluppo che, senza infrastrutture creditizie, sarebbe assolutamente precluso.
Poiché ho l'onore di avere un interlocutore di tanta fama e di tanto apprezzata esperienza, aggiungo che, mentre, da un lato, la Sicilia ha perso, a tutt'oggi, circa l'80 per cento degli istituti di credito preesistenti, dall'altro, è stata invasa da centinaia di sportelli, facenti capo ad istituti di credito nazionali, i quali praticano esclusivamente la politica della raccolta di risorse finanziarie da impiegare per investimenti nelle regioni italiane del nord.
Ci sono delle notevoli differenze culturali tra noi, però non posso disconoscere la sua qualità, professor Tanzi, la sua preparazione e la sua serietà. Penso che stavolta non doveva leggerci questo compitino
Professor Tanzi, con lo sciopero che c'è stato, con il dibattito che si sta svolgendo, con la discussione che si è svolta nell'assemblea regionale, con quel voto unitario, è stata dimostrata molta competenza, conoscenza precisa dei fatti, sono state fatte analisi circostanziate, sono stati espressi giudizi molto severi ma documentati e sono state fatte anche ipotesi di soluzione molto serie e rigorose. Ecco perché, professor Tanzi, con questa noticina che le hanno preparato - mettiamola così - è stata arrecata anche un'offesa, una sottovalutazione di quello che sta avvenendo in Sicilia. Non lo merita la Sicilia. Tra l'altro, il centrodestra, lei lo sa, in Sicilia ha raccolto un numero di consensi tale che di più non si può, per cui la Sicilia, di fronte al consenso che ha ottenuto, non meritava alla fine una noticina di questo tipo.
Le farò omaggio, se lo vorrà, visto che su di lei si riversano delle stime, di una nota di quello che giustifica il ruolo del Ministero dell'economia e delle finanze che non può essere informato attraverso la stampa di quello che sta avvenendo. Esso ha delle ben precise responsabilità ed ha avuto tutto il tempo necessario in queste settimane - infatti, il dibattito è stato forte, unitario, senza strumentalizzazioni politiche - per venire qui in Assemblea e dirci la sua opinione, per prendere contatti con la Banca di Roma e per dare una propria valutazione in base, sottosegretario, al rispetto delle clausole sottoscritte con il contratto di vendita del gruppo Mediocredito Centrale, che espressamente prevedono l'impegno della parte acquirente ad attuare il piano industriale secondo le linee guida presentate al Tesoro in sede di offerta definitiva e a non apportarvi variazioni, con particolare riferimento alla partecipazione di controllo del Banco di Sicilia, che non siano state preventivamente - professor Tanzi - concordate con il Tesoro, tali clausole prevedono altresì l'impegno a valorizzare i connotati e le esigenze regionali dell'azienda Banco di Sicilia, tra l'altro conservandone il marchio e mantenendone la sede legale a Palermo, e a non cedere a terzi, in tutto o in parte, l'azienda del Mediocredito Centrale, con l'inclusione della partecipazione di maggior rilievo, senza il gradimento del Tesoro.
Insomma, qualunque variazione, qualunque piano industriale che prevede una variazione avrebbero dovuto essere preventivamente concordati. Capisce adesso - mi appello alla sua onestà intellettuale - la gravità di quella noticina che le hanno preparato, che è grave non solo per lei, ma per quello che si sta discutendo in Sicilia e nel paese, adesso, in questa solenne Assemblea del Parlamento, con le argomentazioni che lei ha potuto ascoltare, anche considerato il consenso politico che il centrodestra ha maturato e continua a maturare in Sicilia?
Vi sono, come lei ha potuto ascoltare, serie valutazioni tecniche. Tra l'altro, mi dispiace che il management della Banca di Roma, i più alti responsabili della direzione della Banca di Roma abbiano sottoposto questo istituto di credito, una banca quotata in borsa, a quelle severe valutazioni che noi abbiamo fatto - qui lei ha potuto ascoltarle - in una sede così importante come il Parlamento.
Dovevano evitarlo e dovevano evitare anche la motivazione sottesa alla nuova convocazione dell'assemblea dei soci, che non è la convocazione del consiglio di amministrazione, perché, in questa convocazione, onorevole Fragalà, non c'è il successo di un'azione politica, ma una risposta che io, in questo momento, leggo come provocatoria: c'è il rinvio, non di una seduta del consiglio di amministrazione volta a rivalutare a concordare e a mettersi in sintonia con le proposte intelligenti avanzate dalla Sicilia, ma la riconvocazione dell'assemblea volta a ridefinire l'assetto del nuovo consiglio di amministrazione che escluda, senza retrocedere, la
Non so se abbia ragione lei quando dice, leggendo la noticina, che l'ultima ispezione svolta dalla Banca d'Italia risale al 1995 o se questa risalga, in base a dati diffusi in Sicilia, a dieci anni fa. In ogni caso, lei stesso ha fatto intravedere, tra le righe della noticina, che la Banca di Roma versa in cattive condizioni. Questo è il dato da cui partire: non si può risolvere il problema Banca di Roma uccidendo una realtà sana come il Banco di Sicilia. Avete la responsabilità istituzionale di impedirlo. Un sano liberale impedirebbe che una banca possa risanarsi saccheggiando le virtù e le qualità di un'altra banca e inoltre, io, che mi definisco di centrosinistra, di sinistra, penso che il tipo di autosviluppo intelligente, creativo e produttivo che in Sicilia deve crearsi - e che si è già avviato e sta marciando, seppur lentamente, in questi anni, grazie ai notevoli sacrifici che la nostra terra ha dovuto subire - non possa essere privato di uno strumento intelligente, forte, autorevole e autonomo di supporto.
La storia, professor Tanzi, dice che, in questo momento, per i tanti e tanti istituti di credito di rilievo nazionale - quegli istituti di credito che si sono notevolmente ristrutturati e che hanno scelto di venire in Sicilia -, il dato prevalente è tanta raccolta di risparmio, pochi impieghi e pochi investimenti. Ma non è forse interesse dell'Italia e dell'Europa intera avere una Sicilia che, piuttosto che procedere lungo la strada dell'assistenzialismo e dell'illegalità, proceda lungo la strada della legalità e dell'autosviluppo? Non è forse interesse di una classe dirigente nazionale matura, intelligente, competente, capace, europea mettere nel cuore del Mediterraneo, in vista del 2010, quando si realizzerà la più grande area di libero scambio nel mondo, avere una Sicilia moderna avanzata, un avamposto creativo e produttivo? Ecco perché voi, non solo tecnicamente, avete una responsabilità, ma avete anche un'alta responsabilità politica di corretto intervento nel campo dell'economia.
La cultura liberista produrrà danni e, nonostante la distonia che c'è, in questo momento, tra una presenza politica in Sicilia e la vostra attenzione, se è il frutto di questa idea liberista e di questa idea miope, produrrà danni. Dovete intervenire correttamente, senza forzare l'economia, mettendo in condizione questa struttura di poter crescere e maturare.
Da un punto di vista politico, professor Tanzi, le classi dirigenti siciliane hanno provato, in passato, per molti decenni, a distruggere il banco di Sicilia, eppure questo ha resistito grazie al management, agli impiegati e ai funzionari che hanno saputo attraversare momenti tristissimi, come, ad esempio, quando il Banco di Sicilia veniva utilizzato non per sostenere l'autosviluppo, ma per sostenere l'assistenzialismo; non per promuovere la legalità, ma per promuovere collusioni, anche gravissime, con la mafia. Non vorrei che il danno tentato allora dalla classe dirigente siciliana, che non riuscì - dopo che il Banco di Sicilia è riuscito a superare quella fase, con tanti sacrifici - venisse arrecato ora, da una classe dirigente nazionale miope, disattenta, pronta ad altri accordi. Non vorrei che questa classe politica lasciasse da sola questa realtà e mettesse in condizione il Banco di Roma di fare questo danno gravissimo.
C'è un mese di tempo, la settimana prossima la Commissione finanze interverrà. La prego di documentarsi, di farsi un'idea, di decidere e di fare modo che questo danno non vi sia, magari anche con un vostro disattento consenso.