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PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca la discussione del disegno di legge: Conversione in legge del decreto-legge 25 settembre 2001, n. 351, recante disposizioni urgenti in materia di privatizzazione e valorizzazione del patrimonio immobiliare pubblico e di sviluppo dei fondi comuni di investimento immobiliare.
PRESIDENTE. Dichiaro aperta la discussione sulle linee generali.
Informo che i presidenti dei gruppi parlamentari della Margherita DL-l'Ulivo e dei Democratici di sinistra-l'Ulivo ne hanno chiesto l'ampliamento senza limitazione nelle iscrizioni a parlare, ai sensi del comma 2 dell'articolo 83 del regolamento.
Avverto che la VI Commissione (Finanze) si intende autorizzata a riferire oralmente.
Il relatore, onorevole Sergio Rossi, ha facoltà di svolgere la relazione.
SERGIO ROSSI, Relatore. Signor Presidente, onorevoli rappresentanti del Governo, onorevoli deputati, obiettivo principale del presente disegno di legge è la privatizzazione del patrimonio immobiliare pubblico.
Al fine di velocizzare il piano di dismissione ed acquisire le relative entrate in parte già del corrente esercizio finanziario - evitando quindi l'adozione di misure di finanza straordinaria -, il Governo è ricorso al decreto-legge snellendo anche le modalità procedurali applicate nei precedenti piani di privatizzazione.
Affinché si attui la più ampia privatizzazione, viene posto il divieto agli enti pubblici di partecipare all'acquisizione degli immobili messi in vendita. Infatti, l'eventuale passaggio di un immobile da un ente pubblico ad altro ente pubblico, non porterebbe alcun beneficio al bilancio della pubblica amministrazione.
Tuttavia, per venire incontro agli enti locali ho presentato un emendamento volto ad attenuare il divieto ed a consentire agli enti pubblici territoriali l'acquisizione di beni immobili ad uso non residenziale, purché destinati a finalità istituzionali degli enti stessi, diverse dall'uso residenziale.
Il Ministero del lavoro e delle politiche sociali emanerà direttive agli enti previdenziali pubblici al fine di attuare la razionalizzazione degli uffici, sedi e sportelli e, quindi, massimizzare la vendita delle unità immobiliari.
La procedura di dismissione del patrimonio immobiliare prevista in questo disegno di legge è quella della cartolarizzazione, già sperimentata con i crediti INPS: vengono, cioè, costituite una o più società veicolo (in questo caso è stata scelta la forma giuridica della società a responsabilità limitata anziché della società per azioni in quanto il capitale della società veicolo è ininfluente) alle quali viene ceduto, in cambio del pagamento di un acconto a titolo definitivo, il patrimonio immobiliare da rivendere.
Per raccogliere i fondi necessari per pagare l'acconto, la società veicolo emette titoli garantiti dal patrimonio immobiliare ricevuto; per renderli appetibili sul mercato i titoli possono beneficiare anche della garanzia dello Stato.
La determinazione esatta dei prezzi di vendita dei beni immobili avviene ad opera della agenzia del territorio ed, in alternativa,
ad opera di società aventi particolari esperienze nel settore immobiliare da individuare con procedura competitiva.
Il prezzo di vendita degli immobili è determinato sulla base delle valutazioni correnti di mercato.
La modalità di rivendita avviene con procedura competitiva. La società veicolo, concluse le operazioni di rivendita, con il ricavato rimborserà i possessori dei titoli e verserà alla Tesoreria l'eventuale residuo dopo aver dedotto le spese sostenute.
La garanzia per vizi e per evizione resta a carico dell'ente pubblico proprietario del bene messo in vendita dalla società veicolo.
Per gli inquilini di alloggi pubblici sono previsti diritti di opzione e di prelazione, nonché riduzioni sul prezzo di vendita, ad eccezione però degli immobili di pregio.
Dalle audizioni con le categorie degli inquilini è emerso che circa il 70, il 75 per cento dei conduttori sarebbe intenzionato ad acquistare l'alloggio occupato. Tuttavia, al fine di evitare tensioni nel settore dell'edilizia abitativa, nei casi di acquisto dell'unità abitativa da parte di soggetti diversi dai conduttori, viene garantito all'inquilino il rinnovo del contratto di locazione per nove anni, condizionato naturalmente al reddito familiare.
Nel caso di unità immobiliari occupate da ultrasessantacinquenni è consentita l'alienazione della sola nuda proprietà e l'acquisizione del diritto di usufrutto da parte dei conduttori.
In alternativa alla vendita è previsto il conferimento degli immobili, ma solo se diversi da unità abitative, nei fondi comuni di investimento immobiliare per i quali viene, in parte, modificata la disciplina per adeguarla alle realtà estere maggiormente evolute.
Poiché non esiste a tutt'oggi un inventario del patrimonio immobiliare pubblico, poiché le vendite avvengono sulla base delle valutazioni correnti di mercato, non si conosce quali e quanti beni immobili verranno messi in vendita da parte degli enti locali, i quali - va ricordato - partecipano facoltativamente a questa operazione di cartolarizzazione.
Infine, non si può preventivamente sapere quali immobili pubblici verranno acquistati dagli enti locali (questo particolare, tuttavia, è condizionato all'approvazione dell'emendamento presentato dal sottoscritto). Da tali considerazioni risulta impossibile stimare l'effetto finanziario complessivo sul bilancio della pubblica amministrazione. Tuttavia, si può stimare un introito dagli immobili che rientreranno nel processo di cartolarizzazione di circa 40 mila miliardi in 3-4 anni, incluse le imposte sugli atti di compravendita.
PRESIDENTE. Onorevole Rossi, la ringrazio per la sintetica esposizione. Ha facoltà di parlare il rappresentante del Governo.
VITO TANZI, Sottosegretario di Stato per l'economia e le finanze. Il Governo in questa fase non ha alcuna osservazione da fare, pertanto si riserva di intervenire eventualmente in sede di replica.
PRESIDENTE. Sta bene.
È iscritto a parlare l'onorevole Nicola Rossi. Ne ha facoltà.
NICOLA ROSSI. Signor Presidente, onorevoli colleghi, signor rappresentante del Governo, vi è un interessante ed importante elemento in alcuni atti di questo Governo rappresentato dalla tendenza a riprendere ipotesi di intervento o interi provvedimenti predisposti dai governi di centrosinistra e a riproporli. Gli esempi sono diversi e qui mi riferisco soltanto ad alcuni: il centrodestra intende aumentare le pensioni integrate al minimo di circa 80 mila lire, i governi dell'Ulivo le avevano incrementate nella passata legislatura, in particolare negli ultimi due anni, di circa 160 mila lire; il Governo di centrodestra intende aumentare gli assegni sociali, da quanto capiamo, di un paio di centinaia di mila lire, il Governo dell'Ulivo aveva adottato all'incirca la stessa misura; il Governo di centrodestra aumenta le detrazioni, per i figli sotto i tre anni, di 200 mila lire, i governi dell'Ulivo le avevano portate da 150 ad 800 mila lire.
Naturalmente, non possiamo che essere lieti del fatto che, nonostante una campagna elettorale condotta all'insegna di una radicale discontinuità, in realtà alcuni dei primi atti - mentre ve ne sono altri che vanno in direzione diametralmente opposta - segnalino semplicemente quanto nell'interesse del paese fossero le cose compiute nella passata legislatura.
In questa linea, si iscrive anche il provvedimento al nostro esame sulle dismissioni del patrimonio immobiliare. Potremmo dire, al riguardo, che, quando non si hanno idee, va bene anche copiare; tuttavia occorre farlo bene. Così come avviene quando si aumentano le detrazioni per i figli senza tenere conto della necessità di distinguere tra figli che hanno costi diversi; pertanto, portare queste ultime indiscriminatamente ad un milione significa semplicemente penalizzare le famiglie che hanno maggiore necessità. Allo stesso modo, ciò avviene anche nel caso della dismissione del patrimonio immobiliare, dove, nei confronti di questo provvedimento, se fosse stato adottato così come predisposto, avremmo avuto probabilmente un atteggiamento assai più favorevole.
Invece, esso è stato modificato in alcuni punti, peggiorandolo in maniera significativa rispetto a quelli che erano gli originari intendimenti. Vorrei, in questa fase, citare soprattutto le seguenti questioni: oltre a quella relativa all'ambito oggettivo di dismissione, vi sono problemi seri di trasparenza, problemi per quanto attiene il corretto rapporto tra pubblico e privato, problemi molto seri per ciò che concerne il decentramento, la tutela delle fasce deboli ed infine la valorizzazione del patrimonio mobiliare.
Cominciamo dal quanto e dal che cosa si dismette: di cosa stiamo parlando? La relazione parla di un patrimonio che si aggira intorno ai 60 mila miliardi - valutabile in circa 60 mila miliardi -, di cui si immagina di dismettere, attraverso il documento al nostro esame, circa il 60 per cento, per un totale quindi di circa 36 mila miliardi, che riportiamo nel bilancio alla voce entrate patrimoniali.
La stima di 60 mila miliardi è molto vicina alla stima elaborata dalla Sogei recentemente, con l'avvertenza però che la stima elaborata da quest'ultima riporta i beni indisponibili in circa 15 mila miliardi e quelli in uso governativo in circa 39 mila miliardi, nonché i beni disponibili i circa 5.500 miliardi.
È difficile comprendere come si passi dai 5.500 ai 36 mila. Ci si passa, naturalmente, in un modo molto semplice: mettendo sul mercato o dismettendo alcuni dei beni in uso governativo. Ma, a questo punto, vorremmo sapere di che cosa si tratta esattamente e in che modo questi beni vengono immessi sul mercato.
Da un lato, direi che siamo, quindi, di fronte ad una sovrastima. Giusto per sapere: il Governo ha in mente di dismettere Montecitorio? Se ha in mente ciò, come intende farlo?
PRESIDENTE. Speriamo di no, onorevole!
NICOLA ROSSI. Io non lo so, questo bisogna chiederlo a loro!
PRESIDENTE. Lo dico per la mia funzione.
NICOLA ROSSI. Anche per la mia! Dall'altro lato, è molto probabile che si sia di fronte ad una sottostima, perché i 60 mila miliardi sono il valore del patrimonio pubblico prima di ogni attività di valorizzazione. Allora, la domanda è: il Governo intende dismettere questi beni senza valorizzarli? E se sì, perché mai regalare ad altri ciò che potrebbe legittimamente e giustamente affluire nelle casse dello Stato? Infatti, poi ci domanderemo se in questo provvedimento vi siano meccanismi per la valorizzazione ed arriveremo alla conclusione che essi, in realtà, non esistono.
La trasparenza. Il problema di trasparenza che noi abbiamo sollevato, anche in Commissione, con una certa forza, riguarda due questioni. Primo, l'individuazione di coloro che si chiamano, in linguaggio tecnico, gli arranger dell'operazione
di cartolarizzazione, le istituzioni finanziarie che si preoccupano di collocare i titoli, se necessario, o di erogare finanziamenti; secondo, l'individuazione di coloro a cui viene affidata la gestione e la manutenzione del patrimonio prima della sua definitiva dismissione all'utente finale, se così posso dire. Questo è un problema che rimane e che forse è ancora più grave di quanto non abbiamo evidenziato in Commissione. Infatti, il Ministero dell'economia e finanze, in maniera informale, ci ha detto: vedete come siamo stati bravi? Abbiamo scelto degli arranger che non contengono nessuna di quelle società che, direttamente o indirettamente, hanno legami con il Presidente del Consiglio. Mi riferisco, in particolare, a Pirelli - a cui Fininvest ha ceduto Edilnord non più tardi di due, tre mesi fa - e a Mediobanca, che è partecipata da Mediolanum. Questa voce, che ci è giunta dal Ministero del tesoro, dimostra quanto, in questo Governo, i valori del mercato siano non solo lontani ma semplicemente sconosciuti!
Non avete idea di ciò che stiamo sollevando. Il nostro problema non è quello di fare in modo che Tizio o Caio siano favoriti o che siano, invece, messi da parte; noi, oggi, vorremmo tutelare il diritto di tutte le imprese a partecipare, in condizioni trasparenti, al processo di dismissione. Vogliamo, in particolare, tutelare il diritto di Pirelli e di Mediobanca a fare, in modo trasparente, i loro leciti affari, anche con la Fininvest. Noi qui tuteliamo il diritto delle imprese a non vedersi bollate con un marchio di infamia per il solo fatto di aver fatto affari con Fininvest. Non so se vi rendiate conto della gravità della questione e di quanto siate distanti da un'idea corretta di libero mercato.
Sottolineo ancora una volta, con forza, che ciò che si evince da tutta questa vicenda è che il Presidente del Consiglio non solo (purtroppo) sta diventando una passività per questo paese - come leggiamo sulla stampa estera - o una macchietta di cui qualche partner straniero si fa scherno, ma, per la parte sana dell'economia di questo paese, sta diventando un impiccio, un ingombro.
In Commissione, il relatore dichiarò - se ricordo bene - che, in fondo, si stava compiendo esattamente ciò che era previsto nei provvedimenti dei precedenti governi. Mi permetto di far presente al relatore che occorre approfondire meglio taluni aspetti, perché, se si analizzano i provvedimenti di cartolarizzazione portati a termine dei precedenti governi, si trovano almeno tre punti in cui gli stessi divergono in maniera sostanziale dal provvedimento in discussione proprio sotto il profilo della trasparenza.
Innanzitutto, in quei provvedimenti si prevede l'individuazione, con procedure competitive, di consulenti per le operazioni di cartolarizzazione, ai quali spetta individuare le istituzioni finanziarie che portano a termine l'operazione di cartolarizzazione.
In secondo luogo, in quei provvedimenti si prevede che il ministro riferisca ogni sei mesi, in base ad un rapporto dettagliato, sull'andamento delle operazioni di cartolarizzazione.
In terzo luogo, il rapporto tra cedente e cessionario è, di norma, regolato da precise convenzioni intese ad evitare abusi.
Da questo punto di vista, siete distanti mille miglia da tutto ciò che ha a che fare con la trasparenza. Il risultato che state ottenendo è semplicemente quello di nascondere agli occhi di tutti la modalità con cui questo procedimento viene portato a termine. Naturalmente, ci domandiamo cosa ci sia mai da nascondere.
C'è di più: il ministro dell'economia e delle finanze, onorevole Tremonti (lo ammettiamo in questa sede ufficialmente), ha effettivamente un buco, ma di memoria, non d'altro tipo! Se qualcuno, infatti, andasse a riguardare ciò che egli dichiarava non più tardi di un anno fa a proposito di un'altra vicenda in cui si è posto, credo giustamente, un problema di trasparenza, ossia l'individuazione dei concessionari dei licenziatari delle licenze UMTS, scoprirebbe che lo stesso Tremonti (allora non era ancora ministro) individuava nel modello cosiddetto neomedievale quello in cui mancava la trasparenza
e lo attaccava. Attaccò il Governo di centrosinistra il quale, vorrei ricordarlo a tutti, alla fine ha indetto un'asta per quelle licenze. A una procedura competitiva si poteva, e si può, tranquillamente ricorrere anche nel caso delle dismissioni immobiliari. Quindi, se il ministro vuole essere coerente con se stesso, non ha che da tornare sui suoi passi ed abbandonare il modello neomedievale che, evidentemente, gli piace molto.
Per quanto riguarda il confine tra pubblico e privato, vorrei sottolineare che il problema della garanzia pubblica è straordinario. È straordinario come non vi rendiate conto di quanto grave sia prevedere nella privatizzazione - almeno così la chiamate - del patrimonio pubblico la garanzia pubblica su titoli emessi nel processo di cartolarizzazione. È straordinario, scusate, solo per gli ingenui come me, perché se analizzo ciò che è accaduto nelle ultime settimane, per non dire negli ultimi mesi, con il Governo Berlusconi, straordinario non è più. Il vostro Governo, infatti, ha allungato di cinque anni la vita dell'IRI. Ragazzi miei, dove siamo arrivati! Evidentemente, vi piacciono proprio tanto certe cose. Il vostro Governo ha bloccato la privatizzazione di RaiWay ed intende reintrodurre i commissari politici nell'ENEL e nell'ENI! Questi sono atti, non mie opinioni. Sono atti di ministri di questo Governo! Sono cose che nemmeno Kim Il Sung, probabilmente, avrebbe immaginato. Volete pubblicizzare le perdite e privatizzare i profitti come, del resto, hanno fatto molti onorevoli della maggioranza nel loro passato politico.
È quasi difficile parlare di decentramento. Volete vietare agli enti territoriali, ai comuni, di acquistare anche quando sono in regola; addirittura, di acquistare anche se, contemporaneamente, vendono. Quindi, una ricomposizione del portafoglio immobiliare da parte dei comuni non è possibile! Se vi sono comuni che vogliono destinare determinati palazzi ad altro uso ed acquistare, invece, edifici residenziali per risolvere l'emergenza edilizia ed abitativa, ciò non va bene.
Ma non va bene perché non ammettete l'idea che il comune possa decidere con la sua testa! È straordinario sentire queste cose dalla bocca dell'onorevole Sergio Rossi, considerato anche il fazzoletto verde che porta nel taschino. Non ammettete che i comuni possano vendere autonomamente: un comune che voglia farsi da sé la propria operazione di cartolarizzazione non può; l'unica possibilità che ha è quella di farlo attraverso il Tesoro, peraltro senza che sia stata dimostrata la maggiore produttività di tale soluzione. Con un atto imperativo si impone di passare in ogni caso attraverso il Ministero dell'economia e finanze, dando per scontato che quest'ultimo sia necessariamente più efficiente dei comuni (sappiamo benissimo, invece, che così non è, perché ce lo ha insegnato la storia degli ultimi anni).
Proprio a tale riguardo, ritornano alla mente alcuni precedenti storici, tra i quali ne voglio citare, in particolare, uno che mi sembra molto interessante, se non addirittura divertente. Cito testualmente: «Esclusi i beni utilizzati direttamente dallo Stato per l'esercizio delle funzioni proprie, la maggiore quantità possibile di beni e diritti immobiliari deve tornare da dove proviene, uscire dal demanio statale per tornare al patrimonio dei comuni nel cui territorio i beni stessi fisicamente si trovano e sono controllabili dai loro proprietari naturali: i cittadini. Il trasferimento sarà operato al prezzo simbolico di 1 lira». Domando se qualcuno abbia riconosciuto la fonte della precedente citazione, ma sono certo che tanto l'onorevole Leo quanto l'onorevole Sergio Rossi abbiano immediatamente riconosciuto la prosa del ministro Tremonti. Ho tratto il passo citato da un documento ufficiale: il Libro bianco del ministro delle finanze del 1994. In sette anni si è determinata un'inversione di rotta di centottanta gradi che non si era mai vista prima! Dovreste chiedervi, allora, che cosa abbia potuto far sì che si potesse disegnare ex novo un sistema fiscale radicalmente diverso dopo appena sette anni! Un tale comportamento è dettato soltanto da qualche esigenza
contingente o politica attuale? Francamente, credo che abbiate fatto precipitare l'attività di governo ad un livello molto basso!
Anche in ordine alla tutela delle fasce deboli sorgono tante domande. Non è chiaro, ad esempio, il motivo per cui, senza una giustificazione plausibile, siano stati rivisti al ribasso, rispetto a quelli previsti dai precedenti provvedimenti di cartolarizzazione, i limiti di reddito al di sotto dei quali scattano specifiche forme di tutela. Che io sappia, il livello dei prezzi non si è abbassato. Non è chiara, pertanto, non è facilmente comprensibile la ragione dell'abbattimento di quei limiti di reddito di circa la metà.
Ma altre peculiarità dimostrano con quale attenzione abbia riflettuto sul problema della tutela delle fasce deboli chi ha steso questo provvedimento. Ad esempio, un ultrasessantacinquenne vede il proprio contratto di affitto rinnovato per 9 anni; tuttavia, a 74 anni, fa le valigie. Vi sembra una cosa ragionevole questa? Vi sembra una cosa pensabile? Vi sembra ovvio che il soggetto in questione debba lasciare l'abitazione all'età di 74 anni? Se lo deve fare, che lo faccia subito, per favore, non a 74 anni!
E per quanto riguarda gli immobili di pregio? Conoscete l'Italia e i centri storici italiani meglio di me; sapete meglio di me, dunque, da chi essi sono frequentati e chi ci vive. Ma, evidentemente, la cosa vi interessa molto poco, perché l'idea che i centri storici italiani - che costituiscono una straordinaria ricchezza per il paese, anche per la gente che ci vive - possano, un domani, trasformarsi tutti in luoghi destinati ad uffici, dopo essere stati abbandonati dalla gente che oggi ci vive non vi turba affatto. Badate che non sto asserendo che vada necessariamente prevista questa o quella garanzia; mi sto semplicemente domandando quale disegno avesse mai in mente chi ha scritto questo provvedimento - scusatemi, ma sono costretto a ribadirlo ogni volta che ne parlo in quest'aula - «con i piedi».
Tralascio il discorso del patrimonio artistico, perché in questo settore, purtroppo, c'è veramente poco da dire; o meglio, ci sarebbe molto da dire, ma già sapete bene tutti quali rischi questo provvedimento faccia correre al patrimonio artistico italiano. Ritorneremo sull'argomento in sede di esame degli emendamenti.
Ora, come ho detto prima, quello che colpisce molto in questo provvedimento è che si valuta il patrimonio che si intende dismettere per quello che è oggi e non per quello che potrebbe essere domani una volta valorizzato. Questo lo si vede chiaramente nell'ultima parte del provvedimento, nella quale viene rivista la disciplina dei fondi immobiliari e nella quale si tralascia del tutto di affrontare, in termini moderni, il tema della valorizzazione. Provo a spiegarmi. Prendiamo, ad esempio, un privato che acquisti un bene demaniale che deve essere valorizzato; fra le varie opzioni, quella alla quale egli, di solito, in altri paesi, nel resto del mondo civile, tiene molto è la possibilità di valorizzare il bene e poi di portarlo all'interno di un fondo di cui poi cedere le quote, «finanziarizzando», per così dire, il bene e la sua valorizzazione implicita. Questa operazione è vietata secondo le norme precedenti e secondo queste norme. È semplicemente vietata, con il risultato che, a questo punto, la probabilità che vi siano privati che avviino operazioni di valorizzazione è praticamente nulla. Per cui, effettivamente, quello che abbiamo detto all'inizio è proprio vero. Voi non avete mai immaginato di poter andare oltre i 60 mila miliardi, perché a voi non interessa affatto valorizzare il patrimonio. Probabilmente - non mi riferisco a lei, sottosegretario Tanzi, che conosco fin troppo bene, mi riferisco ad altri - , forse non avete visto che cosa è stato fatto con il patrimonio pubblico spagnolo e come è stato valorizzato (per fare un esempio che piace tanto al nostro Presidente del Consiglio). Allora, quello che emerge, se devo dare un giudizio complessivo sul provvedimento così come è stato presentato e così come, testardamente, è stato portato avanti in Commissione dalla maggioranza, è che siamo di fronte ad un'operazione solo
finanziaria, in cui viene completamente tralasciata la componente reale, essenziale in un processo di dismissione del patrimonio pubblico, che venga interpretato come volano dal punto di vista economico. Quello che vi serviva era semplicemente emettere BOT senza chiamarli BOT. Questo era il punto, no? Si poteva fare anche in altre maniere, detto con franchezza; non c'era bisogno di passare per tutto questo. Ma l'obiettivo era quello di emettere BOT e di non farseli chiamare BOT da Eurostat, in maniera da poterli riportare sopra la linea in bilancio. Solo questo era l'obiettivo. Permettetemi di dire che, rispetto al patrimonio pubblico, rispetto a quello che contiene il patrimonio pubblico, francamente, questo è un po' pochino. Permettetemi di dire che, da parte di un Governo della Repubblica che si trova a definire le modalità di dismissione di un patrimonio pubblico, con aspetti di grande rilevanza ed altri che potrebbero esserlo, è veramente risibile trattarle puramente e semplicemente come un asset finanziario. Questo denota, tanto per cambiare, una cultura di governo povera, incapace di andare al di là del proprio naso. Il vostro obiettivo era quello di incamerare qualche migliaio di miliardi entro l'anno. Lo farete, lo farete a costo della trasparenza, lo farete a costo probabilmente di non tutelare le fasce deboli della popolazione, a costo di svalorizzare il patrimonio che vi trovate tra le mani. È molto probabile che alla fine farete solo questo e finirete per non andare proprio oltre perché sarete stati incapaci di guardare al di là del brevissimo termine con occhi puramente e semplicemente finanziari (Applausi dei deputati del gruppo dei Democratici di sinistra-l'Ulivo).
PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Lettieri. Ne ha facoltà.
MARIO LETTIERI. Signor Presidente, onorevoli rappresentanti del Governo, onorevoli colleghi, la portata politica del decreto-legge n. 351 in materia di privatizzazione e valorizzazione del patrimonio mobiliare pubblico e di sviluppo dei fondi comuni di investimento immobiliare certamente non è inferiore a quella del decreto-legge relativo all'introduzione dell'euro e al rientro dei capitali all'estero, che questa Assemblea affronterà fra qualche ora. I due decreti, a mio parere, insieme ai provvedimenti per il rilancio dell'economia, costituiscono il cuore della manovra che il Governo propone.
Il processo di dismissione del vasto patrimonio pubblico, attraverso lo strumento della cartolarizzazione, è un fatto di indubbia rilevanza politica economica, per le ricadute, come è stato appena ricordato, sul bilancio dello Stato e sulla collettività. Sono interessati, innanzitutto, i tanti enti previdenziali che detengono un patrimonio immobiliare imponente acquisito, negli anni, grazie ai contributi - voglio ricordarlo - dei lavoratori e dei datori di lavoro. Molti punti di questo decreto-legge sono assai incerti, indeterminati, aleatori, sul piano finanziario e sul piano della tutela degli inquilini, delle famiglie con reddito medio basso che, da anni, abitano nelle case degli enti previdenziali. Di questi inquilini il Parlamento deve tener conto, deve tutelarli agevolandone l'accesso alla proprietà di un alloggio. Ci interessa poco la fascia dei cosiddetti vip, noti e meno noti, che, pur essendo benestanti, sono riusciti ad accaparrarsi alloggi di prestigio nei centri storici, il più delle volte a canoni irrisori rispetto al mercato. Molti di questi casi, come ricorderete, hanno riempito le cronache dei giornali negli scorsi anni, spesso per motivi scandalistici, ma i fatti erano veri e gravi. Il provvedimento, così come è stato licenziato dalla Commissione, non è soddisfacente perché, da un lato c'è il rischio di svendita di parte del patrimonio pubblico e, dall'altro, è insufficiente la tutela degli inquilini monoreddito, o con reddito comunque modesto, che non sono in grado di cambiare alloggio ricorrendo al libero mercato. In Commissione, come ricorderà l'onorevole sottosegretario, abbiamo avanzato proposte finalizzate a migliorare il testo del Governo. Il sottosegretario, pur dichiarando disponibilità al confronto, ha rinviato al momento della
discussione in aula l'accoglimento e la presentazione di emendamenti da parte del Governo. Lo verificheremo, onorevole sottosegretario! Non abbiamo pregiudizi, vogliamo confortarci sui fatti, sui comportamenti, sulle scelte e, se queste scelte sono giuste e comuni, meglio ancora!
La ricognizione del patrimonio immobiliare prevista dall'articolo 1 è una necessità già prevista, in verità, nelle norme della legislazione vigente, ma non ancora del tutto attuata. Ciò naturalmente incide sulla formulazione dello stesso conto generale del patrimonio. Dalla non sicura conoscenza della consistenza di detto patrimonio discende, quindi, l'incertezza del suo valore e, di conseguenza, l'incertezza relativa alla previsione degli introiti derivanti dalle vendite.
Il Governo evidenzia, giustamente, l'urgenza di avviare il processo di vendita e la necessità del ricorso alla società veicolo ed alle operazioni di cartolarizzazione per poter acquisire maggiori e più celeri entrate al bilancio dello Stato, a partire già dall'esercizio finanziario corrente, in modo da migliorarne i saldi per evitare misure di finanza straordinaria.
C'è da sottolineare, in verità, che le entrate rivenienti dal decreto-legge sono utilizzate nel prospetto di copertura degli oneri correnti previsti dalla finanziaria 2002. Ma si verificheranno, effettivamente, tali entrate? Tutto è incerto, a partire dalla valutazione complessiva che, come si evince dalla relazione, oscilla tra i 45 mila e i 60 mila miliardi. Non è quindi in discussione la necessità di valorizzare il patrimonio pubblico e nemmeno la cessione di quello non essenziale, come pure non è in discussione l'ampliamento del mercato finanziario con la costituzione di fondi comuni di investimento immobiliare che, in verità, dal testo, non si capisce se si tratti di fondi chiusi o aperti. È in discussione, invece, proprio l'incertezza dei dati e delle entrate relative a ciascun anno del quadriennio 2001-2004. Si prevedono, poi, una serie di adempimenti e decreti attuativi ma non si stabilisce chi debba emanarli ed in quali tempi.
Ciò, naturalmente, non è indifferente rispetto ai tempi di acquisizione delle nuove entrate. Per il quadriennio suddetto si prevede un gettito di 36 mila miliardi. In merito, il servizio bilancio dello Stato ed il servizio commissioni della Camera dei Deputati fanno osservare che la relazione tecnica non indica il gettito per ciascun anno né riporta dati sufficienti a consentire una puntuale verifica di tale previsione. Essi rilevano ancora come tra le nuove entrate per dismissione dei beni immobili non dovrebbero rientrare quelle già iscritte nel bilancio a legislazione vigente per effetto di provvedimenti precedenti. Il piano di dismissione del patrimonio degli enti previdenziali è infatti già in atto: è in fase di realizzazione, tant'è che alla data del 3 settembre ultimo scorso, risultano ceduti immobili per complessivi 2.552 miliardi.
Ho apprezzato molto il lavoro compiuto dai due servizi della Camera, perché evidenziano aspetti che vanno chiariti e che perciò, a mio avviso, il Governo dovrebbe chiarire. In verità l'esecutivo dovrebbe innanzitutto spiegare come giunge alla quantificazione complessiva di 45 mila miliardi quale quota del patrimonio oggetto delle future dismissioni. I deputati del gruppo della Margherita e dell'Ulivo hanno presentato un certo numero di emendamenti per migliorare le norme proposte; non lo hanno fatto con scopi ostruzionistici, così come possono del resto confermare i colleghi della maggioranza che partecipano ai lavori della Commissione finanze. Il nostro obiettivo è chiaro: da un lato favorire l'accesso alla proprietà da parte degli inquilini aventi redditi medio-bassi e delle fasce deboli (quali gli anziani, i disabili e così via), e, dall'altro, rendere certo e rapido l'introito da parte dello Stato. Tutto ciò, però, in maniera limpida, trasparente: non aggiungerò alcunché a quanto puntualmente detto dal collega Nicola Rossi.
Allo stesso tempo, i nostri emendamenti mirano a dare il massimo di trasparenza e di evidenza pubblica alle procedure di individuazione dei soggetti terzi. Per tale motivo, all'articolo 2, relativo alla
costituzione ed alla promozione della cosiddetta società veicolo, proponiamo di aggiungere le parole «mediante procedura di evidenza pubblica». Per noi questo rappresenta un aspetto essenziale, decisivo. Non abbiamo difficoltà a votare assieme alla maggioranza, ma essa deve testimoniare, accogliendo emendamenti come questo, l'effettiva volontà di fare le cose per bene, in modo che la gente abbia fiducia nelle leggi approvate da questo Parlamento. Vi è infatti la necessità oggettiva di fugare ogni dubbio sulla limpidezza dell'intera operazione, e questa può essere garantita, oltreché dalla correttezza comportamentale dei singoli, soprattutto dalla trasparenza delle procedure e delle scelte.
Onorevoli sottosegretari, il testo del Governo non offre questa tranquillità. Mi auguro che la maggioranza e lo stesso Governo accolgano perciò almeno questo emendamento. Il nostro paese ha bisogno di fiducia, e noi legislatori abbiamo il dovere di darla e di ispirarla, non soltanto con i nostri comportamenti personali ma, soprattutto, con gli atti legislativi ed amministrativi che compiamo. Non possiamo ignorare che vi è un clima di sfiducia verso gli operatori della politica, a tutti i livelli e al di là dei dati elettorali, delle maggioranze e delle minoranze. È necessario ridare credibilità al nostro impegno parlamentare, spesso incompreso ed oggetto di attacchi qualunquistici da parte di qualche cronista superficiale, magari più attento al folklore ed alla Buvette anziché al merito dei provvedimenti ed alle reali vicende politiche. È perciò importante che si approvino leggi giuste e limpide, nei fini e nelle procedure, altrimenti non solo non saremmo portatori della volontà popolare - e neanche di una sana etica politica - ma contribuiremmo, purtroppo, a distruggere anche quell'etica civile che, per fortuna, ancora è presente in gran parte del popolo italiano.
Onorevoli colleghi, consentitemi di svolgere due ultime considerazioni: in merito alle questioni della società veicolo e della cartolarizzazione ha infatti già parlato il collega Nicola Rossi - e lo faranno ancora con maggiore puntualità i colleghi che interverranno in seguito - e perciò su di esse non intendo dilungarmi.
La prima osservazione riguarda gli enti locali ai quali la norma proposta riconosce la facoltà di utilizzare la cartolarizzazione, ma con l'obbligo di servirsi della società veicolo costituita dal ministro dell'economia e delle finanze. Pertanto, se volessero - come noi chiediamo attraverso una proposta emendativa all'articolo 4 - procedere autonomamente non potrebbero farlo, perché non verrebbero loro riconosciuti i numerosi benefici fiscali previsti per la società veicolo costituita dal ministero. Una tale scelta è inaccettabile: contrasta con lo spirito autonomistico della nostra Costituzione e limita l'autogoverno degli enti locali, naturalmente a dispetto delle tante belle declamazioni che qui e altrove si fanno.
È strano - lo ha già sottolineato l'onorevole Rossi - che i colleghi della Lega nord Padania tacciano ancora una volta. Ciò succede oggi ed è successo quando è stata approvata la legge obiettivo relativa alle infrastrutture, legge che certamente non rispetta i poteri degli enti locali.
L'altro aspetto che mi preme evidenziare riguarda gli immobili di interesse storico-artistico che, di fatto, vengono sottratti alla tutela del Ministero dei beni e attività culturali e inclusi nel patrimonio dismissibile. In teoria, diventa dismissibile financo il Colosseo!
Trattasi, evidentemente, di un passo indietro rispetto alla legislazione vigente approvata dal centrosinistra. Eppure, la normativa approvata negli ultimi anni faticosamente e con molto equilibrio era riuscita a raccogliere il meglio della riflessione teorica e giuridica in una materia così delicata come quella relativa alla tutela dei beni di interesse storico-artistico. Tuttavia, anche in questo caso è stupefacente il silenzio del ministro competente. È grave che in occasione dell'esame di provvedimenti di questo tipo non siano presenti i ministri. Non me ne vogliano gli onorevoli sottosegretari - per i quali nutro una grande stima e rispetto -, ma la portata politica ed economica dei
provvedimenti oggi in discussione - non mi riferisco solo a questo decreto-legge ma anche all'altro previsto all'ordine del giorno - richiederebbe la presenza dei ministri, perché essi sono gli ispiratori della filosofia contenuta nei decreti-legge in esame. Quindi - come dicevo - è stupefacente il silenzio del ministro competente.
Anche in questo caso, abbiamo presentato alcuni emendamenti specifici e sollecitiamo un'attenta valutazione da parte del ministro Urbani e anche del sottosegretario Sgarbi. Essi hanno il dovere di non tacere, di parlare - e credo che il Parlamento sia la sede giusta per parlare - e di manifestare il loro pensiero in merito alla normativa in esame, che noi riteniamo sbagliata e scellerata.
Per le considerazioni esposte, sicuramente non esaustive e disorganiche, il gruppo della Margherita, DL-l'Ulivo - pur condividendo l'obiettivo della valorizzazione e dismissione del patrimonio immobiliare pubblico - se non saranno accolti almeno gli emendamenti più significativi ai quali ho fatto riferimento, certamente voterà contro il provvedimento in esame (Applausi dei deputati dei gruppi della Margherita, DL-l'Ulivo e dei Democratici di sinistra-l'Ulivo).
PRESIDENTE. È iscritta a parlare l'onorevole Coluccini. Ne ha facoltà.
MARGHERITA COLUCCINI. Signor Presidente, rappresentanti del Governo, onorevoli colleghi comincia oggi in Assemblea l'esame di un provvedimento di grande importanza, che investe e riguarda direttamente la vita di migliaia di cittadini e che tocca un bene, un diritto primario di ciascun individuo, come quello della casa.
Se il taglio dato dal Governo al decreto-legge n. 351, di cui si propone oggi la conversione in legge, è volutamente tecnicistico e se si annuncia esclusivamente la limitata funzione economica del patrimonio immobiliare pubblico, a mio avviso si commette un grave errore; è ciò che la maggioranza di centrodestra si appresta a fare.
Di nuovo e con sempre maggiore protervia si propongono iniziative tese a riconoscere il diritto di pochi su quello di moltissimi cittadini che sempre più sentono allontanarsi il senso e l'utilità della politica, quando quest'ultima risulta sfacciatamente strumentale a divaricare ulteriormente le distanze tra le fasce sociali - che pure esistono - tra ricchi e poveri, tra chi può scegliere e chi non lo può fare.
È indubbio che la privatizzazione del patrimonio immobiliare pubblico sia una cosa da fare: siamo d'accordo su questo e sul fatto che il percorso vada seguito. Ciò è anche dimostrato dalla grande quantità di disposizioni normative, che si sono prodotte e stratificate nel corso degli anni, tese ad eliminare antiche inefficienze ed a superare i vizi di scarsa efficacia e trasparenza.
Detto questo, però, ritengo utile ribadire che esistono sempre e comunque alcune alternative. Si possono adottare provvedimenti seri, in cui la severità sia occasione di trasparenza e di concretezza, che tengano in assoluto conto - e prima di ogni altra cosa - le necessità primarie dei cittadini più deboli, che sappiano modulare, attraverso le infinite possibilità di mediazione, le esigenze del mercato con quelle dell'umana sopravvivenza, che facciano del rigore una garanzia per tutti. Al contrario, è possibile, ostinatamente, operare d'urgenza con provvedimenti che hanno in sé caratteri di poca trasparenza, di eccessiva genericità, di sovrapposizione di interessi, di visione delle vicende umane sommaria e non particolare.
Credo che questa seconda strada sia stata scelta, ancora una volta, dalla maggioranza. Questo sta facendo il Governo di centrodestra che, nei cento giorni fatidici, è riuscito ad incassare risultati che, del tutto misteriosamente, riguardano i cittadini italiani e del tutto palesemente, invece, investono gli interessi di pochissimi.
Nel provvedimento in esame, signor Presidente, alcuni di questi misteri saltano agli occhi, sia nel metodo sia nel merito. La pratica, ad esempio, di demandare a provvedimenti attuativi successivi le modalità e, di fatto, l'applicabilità delle
norme, oltre a contrastare con quanto previsto dall'articolo 15 della legge n. 400 del 1988 (secondo il quale i decreti-legge devono contenere misure di immediata applicazione) rappresenta la pervicace pratica di questo Governo di depotenziare e svuotare il senso stesso dell'attività parlamentare, quasi a rimarcare una pressoché totale sfiducia, se non un senso di fastidio, nelle capacità e nelle prerogative sacrosante del Parlamento stesso.
Nel merito, a cominciare dall'articolo 1, non si può, ad esempio, non rimarcare l'importanza di una ricognizione complessiva del patrimonio immobiliare dello Stato e, allo stesso tempo, non sottolineare quanto sarebbe già stato possibile vedere concretizzato se gli enti pubblici di previdenza, ad esempio, avessero attuato con velocità ed efficienza il disposto di una legge dello Stato, la n. 488 del 1999, che imponeva loro di individuare, stimare e dismettere immobili. Se ciò fosse avvenuto, anche numerose famiglie avrebbero assolto al loro dovere e non avrebbero, invece, visto dilazionato un loro diritto in un contesto di nuovo diverso che potrebbe, soprattutto per i meno abbienti, generare conseguenze importanti e negative, oltre che pesare notevolmente sull'andamento del mercato immobiliare.
Con questo provvedimento, si cambia di nuovo: si vanno ulteriormente a minare le poche certezze acquisite e lo si fa introducendo un altro elemento che sa di burocrazia e di vie traverse. Mi riferisco alla costituzione di una o più società aventi ad oggetto esclusivo la realizzazione delle operazioni di cartolarizzazione dei proventi derivanti da dismissione del patrimonio, le cosiddette società veicolo, costituite sotto la diretta, esclusiva e personale competenza del ministro dell'economia, senza procedure di evidenza pubblica, senza garanzie di trasparenza, senza certezza del diritto.
Il Governo ha di nuovo l'occasione per recuperare e non alimentare ulteriori dubbi in quanti - sempre più, peraltro - constatano un uso insolito e del tutto mirato della formazione degli atti del Governo. Allora, il Governo stesso accolga ed introduca nel testo l'emendamento del centrosinistra, respinto mestamente in Commissione finanze, che vede la messa in atto di una procedura chiara, trasparente e moralmente presentabile. Il Governo di centrodestra si faccia carico, soprattutto, di garantire che non avverrà uno scambio tra il meccanismo di privatizzazione e le possibili speculazioni delle grandi finanziarie a danno degli inquilini. Inoltre, si faccia carico di tutelare quegli inquilini che non possono acquistare aumentando il limite di reddito familiare complessivo annuo lordo di coloro che intendono rinnovare il contratto di locazione da 18 mila a 20 mila euro; di portarlo a 24 mila euro per le famiglie con componenti con oltre 65 anni o con disabili; di portare da 9 a 12 anni il periodo di rinnovo contrattuale, così come proposto dal centrosinistra in sede di Commissione.
Quanto proposto dal decreto-legge segna per molti aspetti, invece, un tornare indietro incomprensibile, se non punitivo, nei confronti di migliaia di cittadini che aspettano, o meglio si aspetterebbero, un rigore non tanto politico, ma sicuramente tecnico e di logica nell'affrontare materie così complesse di interesse generale.
Da questo punto di vista, risulta fortemente demagogico il modo con cui si affronta la materia degli immobili cosiddetti di pregio, sui quali si applica un'inversione totale di rotta riconsiderando, comunque, di pregio immobili situati nei centri storici urbani e, quindi, negando la precedente normativa che li definiva tali in relazione al prezzo medio di mercato aumentato del 70 per cento.
Tutto ciò significa che gli inquilini che vi abitano non potranno usufruire della diminuzione del 30 per cento sul prezzo di valore di mercato, ma anche che l'80 per cento sul totale, composto di lavoratori e di pensionati, subirà un danno notevole. Infatti, molti di loro non potranno esercitare questo diritto, altri daranno fondo alle scorte finanziare di famiglia, altri ancora ricorreranno al credito bancario, opprimendo ulteriormente le loro condizioni di vita, ed, infine, alcuni usciranno da ciascuna di queste categorie per incrementare
una già difficile situazione di carenza abitativa, tanto più elevata nelle grandi città.
Un capitolo a parte merita, per la forte contraddizione che esprime, la materia dell'articolo 4, relativo al conferimento di beni immobili a fondi comuni di investimento, che vede tra i soggetti maggiormente esclusi, ma fortemente impigliati tra le maglie di uno Stato fortemente dirigista, proprio quelle autonomie locali tra le più sbandierate nelle smanie pseudofederaliste del centrodestra.
Anche su questo punto, siamo fortemente intenzionati a dare battaglia perché riteniamo che la posizione della maggioranza sia fortemente lesiva di un percorso di decentramento che abbiamo portato avanti con forza e con coerenza e perché così facendo si sminuisce e si penalizza la capacità degli enti locali di misurarsi con responsabilità che gli derivano dalle nuove competenze, non riconoscendogli, di fatto, autonomia, affidabilità, duttilità, prontezza e capacità politica.
Signor Presidente, per tutti questi motivi nei prossimi giorni l'opposizione sarà impegnata a ribadire e a sostenere le ragioni delle posizioni assunte, in aula e nel paese. Si tratta di posizioni di coerenza e di senso civico, alle quali la maggioranza non potrà contrapporre atteggiamenti di muta arroganza, di frettolosa superficialità o, peggio, di evidente disinteresse del bene comune (Applausi dei deputati dei gruppi dei Democratici di sinistra-l'Ulivo e Misto-Comunisti italiani).
PRESIDENTE. È iscritta a parlare l'onorevole Pistone. Ne ha facoltà.
GABRIELLA PISTONE. Signor Presidente, intervengo dopo numerosi colleghi dell'opposizione, i quali hanno già espresso in maniera molto compiuta l'avversione dell'opposizione al testo del decreto-legge al nostro esame.
Vorrei precisare che - chi mi conosce in quest'aula e chi ha avuto modo di essere mio collega anche nelle passate legislature ne è a conoscenza - ho sempre manifestato una grande preoccupazione di carattere quasi personale, ma non solo, relativa all'idea della vendita del patrimonio immobiliare pubblico e previdenziale.
Appartengo a coloro che, tutto sommato, sono contrari, non ad una vendita parziale, ma alla vendita totale, perché ritengo che vendere totalmente il patrimonio previdenziale pubblico sia un errore, così come vendere l'altro patrimonio pubblico, e tutto ciò per varie ragioni che ebbi modo di evidenziare anni or sono (è dal 1994 che si discute di questo tema)
Ci troviamo in un paese che ha la più bassa percentuale di patrimonio pubblico residenziale di tutta l'Europa (credo che siamo i penultimi), compresa la Grecia e siamo sicuramente un paese ad alta propensione abitativa con la più alta percentuale di proprietari immobiliari. Ritengo sbagliato incentivare, ancora di più, questa percentuale. Nel nostro paese vi è, semmai, bisogno di più residenza pubblica.
Nel caso degli enti previdenziali vi è un problema di dismissione totale. Il precedente Governo aveva previsto la dismissione fino al 25 per cento del patrimonio immobiliare, per poi continuare. Certamente, prevedere tutta la vendita è un problema che ritengo andrebbe affrontato con maggiore approfondimento, proprio perché, a mio avviso, questi alloggi, che sono presenti soprattutto nelle aree urbane ad alta tensione abitativa, fungono anche da calmiere rispetto ad un mercato che, vi posso assicurare, in particolare a Roma, è del tutto «impazzito». Tale mercato, dunque, non dà spazio non solo ai cittadini meno abbienti, ma anche medio- abbienti i quali, magari anche in presenza di due stipendi, non sopportano l'onere di un affitto che, ormai, supera il milione al mese. Faccio questi ragionamenti, che potranno sembrare terra terra, ma che rappresentano la realtà con la quale ci troviamo ad operare sia come parlamentari sia come cittadini.
Tuttavia, la mia posizione è assolutamente minoritaria - tengo a ribadirlo -, so di non essere in maggioranza e per un costume politico che mi è proprio cerco di contribuire a migliorare il testo presentato
dal Governo. Ritengo sia mio dovere, di fronte all'ineluttabile, fare tutti gli sforzi affinché il testo esca il meno peggio possibile da quest'aula.
Ciò è molto difficile, è uno sforzo da titani, in quanto è stato dimostrato che in quest'aula si cambia ben poco; qui i provvedimenti arrivano pressoché blindati e pressoché identici escono, tranne quando riusciamo a fare qualche colpo di mano come opposizione, attraverso la nostra azione che, chiaramente, deve essere di contrasto, ma non aprioristica, un'opposizione sui temi.
Faccio mie le preoccupazioni di tutti i colleghi che sono intervenuti (gli onorevoli Nicola Rossi, Lettieri, Coluccini), i quali hanno espresso, in maniera egregia, i rischi o meglio le certezze che esistono e che insistono in questo provvedimento.
Proprio nella prospettiva di limitare al massimo i danni, mi accingo a svolgere alcune considerazioni in merito al decreto-legge in esame.
A mio avviso, i danni vanno limitati e affrontati sotto una duplice ottica: non vi deve essere danno per due soggetti, gli inquilini e lo Stato.
Lo Stato non può pagare alcun prezzo, né, d'altra parte, gli inquilini. Questi sono i due soggetti che a me stanno cuore e che, in quest'aula, dovrebbero stare a cuore a molti, a tutti. Gli inquilini devono vedere riconfermate le loro garanzie rispetto alle precedenti procedure di vendita; è necessario, quindi, riprendere in considerazione ed adeguare alcune situazioni che non sono affatto chiare o, addirittura, non sono previste nel testo del decreto-legge e che, dunque, devono essere esplicitate.
Si è già parlato del limite di reddito di 18 mila euri, che non corrispondono affatto a 36 milioni: si tratta di una cifra inferiore; oltretutto, sono passati alcuni anni e, quindi, ci dovrebbe essere un adeguamento in plus, non in minus. Questo è un primo punto, molto banale: 18 mila euri - euri: così è stato tradotto, benché orribile - sono meno di 36 milioni: tale cifra costituisce il limite di accesso alle tutele da parte degli inquilini. Si tratta, dunque, di un argomento concreto.
Su tutti gli aspetti che abbiamo affrontato in questa giornata, come opposizione, abbiamo presentato emendamenti precisi, nel merito. Ripeto: da parte nostra non c'è alcuna volontà ostruzionistica tout court, aprioristica; anche su tutti gli altri provvedimenti discussi in quest'aula ci siamo sempre comportati in questo modo, contrapponendoci non ideologicamente, bensì nel merito, su singole questioni, su singoli aspetti e, evidentemente, su giudizi più generali, quando questi erano contrastanti con la nostra idea.
Un altro aspetto è rappresentato dalla tutela delle fasce meno abbienti e dal rinnovo contrattuale: si parla di nove anni, ma l'argomento è debole. Vengo subito al dunque: quando si parla di un rinnovo di nove anni per una persona di 70, la si conduce per mano, dandole la possibilità di rimanere nell'appartamento sino a 79 anni. A 79 anni, ad ottant'anni, questa persona che fa? Lo dico, perché è un problema che, oltretutto, si pone anche nei confronti della forza pubblica. Credo che la forza pubblica abbia delle remore ad eseguire lo sfratto di una persona di ottant'anni: ciò è normale ed ognuno di noi dovrebbe pensarci. Per questo, indichiamo la strada della vendita come nuda proprietà. So che una soluzione del genere comporta problemi tra Stato, enti previdenziali ed inquilino, relativamente all'individuazione delle figure del proprietario o dell'usufruttuario; ritengo, tuttavia, che si possano individuare le modalità per risolvere il problema. Dunque, nei casi in cui si registri un problema di reddito, di età e, talvolta, addirittura, di handicap all'interno del nucleo familiare, ritengo si debba obbligatoriamente scegliere la forma della nuda proprietà, qualora si voglia mettere in vendita l'immobile e l'acquirente non sia l'inquilino. Questo è il concetto; certamente, dal punto di vista tecnico, la soluzione può essere migliorata, perché non abbiamo mai avuto problemi a raggiungere un'intesa con il Governo e con la maggioranza sotto questo aspetto.
Anzi, c'era stato detto che su questo provvedimento forse si poteva avere qualche miglioramento e che potevate venire
incontro a qualche nostra preoccupazione: mi pare che fino a questo momento ciò non sia avvenuto.
Inoltre, c'è il problema della data (che in parte abbiamo risolto) che sostanzialmente assilla gli inquilini i quali vedono il riferimento alla conclusione delle operazioni entro la data del 31 ottobre come un problema serio: in questo senso, nulla vieterebbe, secondo un emendamento già presentato da parte di tutti noi, di spostarla quanto meno al 31 dicembre 2001. So anche che non si può spostare oltre, perché il provvedimento in esame ha una valenza esclusivamente finanziaria, di copertura per la legge finanziaria.
A questo punto, veniamo agli altri problemi, che sembrano non legati agli inquilini, ma che in certo senso lo sono, quando si parla dell'esclusione di alcune fasce, come gli alloggi di pregio. Nella vendita di questi alloggi abbiamo aperto un altro grave problema ed un'altra incertezza. Non vogliamo tutelare i ricconi, perché credo che si siano già tutelati da soli, che non abbiano bisogno del nostro aiuto sia perché autosufficienti, sia perché non voglio fare nessun regalo ai ricconi con gli alloggi di pregio, dal momento che se l'immobile è di pregio se lo comprano e lo pagano, come tutti i comuni mortali: questo è un punto molto importante. Tuttavia, vengono definiti di pregio gli alloggi del centro storico (anche su questo, l'ho già detto, abbiamo fatto delle battaglie nella scorsa legislatura), ma i due elementi non sempre coincidono. Infatti, ci sono delle case e degli immobili nel centro storico che non sono affatto di pregio e ci sono delle situazioni negli alloggi, cosiddetti di pregio, che non appartengono affatto ai ricconi, ma sono abitate da pensionati e da famiglie assolutamente normali. Quindi, questa elencazione, questa individuazione deve esser fatta in maniera ben precisa. L'altra volta, si era trovata una soluzione per la quale si faceva una media del valore immobiliare nella città aumentata del 70 per cento: l'immobile che era al di sotto di questo valore non era di pregio; quello che lo superava era di pregio. Questo, anche perché - ho sempre tenuto a dirlo -, in tutte le città vi sono alloggi di pregio evidentemente anche fuori del perimetro del centro storico, così definito. Per fare un esempio, vi sono l'Olgiata e l'Eur - zone di Roma - che sono sicuramente fuori del centro storico, dove vi sono sicuramente degli alloggi di pregio. È vero che all'Olgiata non ci sono immobili di proprietà di enti previdenziali, ma è pur vero che ve ne sono in altre zone di Roma, altrettanto qualificate e altrettanto elevate come valore di mercato. Allora, bisogna avere un metro unico. Non dico che la ricetta unica che abbiamo indicato sia quella perfetta, tuttavia, come al solito, sarebbe opportuna una maggiore disponibilità per metterci attorno ad un tavolo per trovare una soluzione. Questo si è avuto modo di fare durante le sedute della Commissione, senza però ottenere risposta: si è detto «poi vedremo», «poi faremo», ma poi non è uscito un bel niente, almeno per quello che so; domani, quando esamineremo gli emendamenti, mi farà piacere se da parte del Governo o da parte della maggioranza ci sarà un ripensamento in questo senso. Quindi gli alloggi di pregio vanno definiti in maniera seria.
Gli altri aspetti, che tocco per ultimi, ma che non sono ultimi per importanza, sono due.
Il primo è il problema della trasparenza già trattato - molto bene, lo ripeto - dagli altri colleghi; esso ci sta decisamente a cuore perché non è pensabile che in questa operazione si diano incarichi alle società sia arranger sia veicolo che, sostanzialmente, sono ad incarico diretto da parte del Ministero dell'economia e finanze. Anche su questo abbiamo presentato i nostri emendamenti e ci attenderemmo dal Governo una risposta sicuramente positiva, anche perché - ripeto - non vorremmo che si rispondesse a quella logica, un tempo molto diffusa, per la quale si tendeva a pubblicizzare le perdite e a privatizzare i profitti. Era una logica molto presente negli anni novanta ed anche prima, non vorremmo che vi si ricadesse tout court, ma mi sembra che la tendenza sia questa. Si vogliono privatizzare
i profitti ma - vorrei aggiungere - di pochi. La questione è sempre la stessa.
Vi è poi un problema che riguarda gli enti locali i quali sono penalizzati, sviliti e bypassati. Con questa normativa si può parlare di tutto tranne che di autonomia; i comuni possono fare operazioni di cartolarizzazione ma devono farle accodandosi assolutamente al Ministero dell'economia e finanze che, sua volta - come abbiamo detto -, sceglie direttamente i soggetti.
Sostanzialmente viene negata ai comuni ogni tipo di libertà. Per quanto riguarda poi la vendita dei beni non residenziali, viene riconosciuta ai comuni una prebenda che va dal 5 al 15 per cento del valore relativo alla vendita effettuata; di contro gli stessi comuni vengono tacitati e non consultati né sul cambiamento di destinazione d'uso né sul tipo di variazioni urbanistiche che vi possano essere. I comuni non hanno voce poiché, ad esempio, se viene venduto un immobile pubblico da parte dello Stato, il comune viene solo risarcito in moneta e non per una cifra considerevole ma con una cifra - come dicevo prima - che va dal 5 al 15 per cento. Dopodiché, se lo Stato decide di utilizzare un immobile pubblico per costruire un albergo ed il comune non si trova d'accordo con questa decisione, quest'ultimo non ha voce in capitolo. Di questo si tratta!
Leggetevi bene il provvedimento poiché questo è il problema. Io non sono d'accordo come non sono d'accordo - immagino - gli enti locali.
Si tratta di un problema di rapporto tra pubblico e privato e tra pubblico e Stato; questi rapporti devono esserci.
Si devono riportare al centro i soggetti attori di tutta questa vicenda, per i quali si chiede una tutela dal punto di vista sia dei vecchi benefici sia di quelli che verranno (parlo del fronte inquilinato per quanto riguarda il residenziale). Si abbisogna di un quadro chiaro che indichi in modo trasparente tutte le operazioni ed anche di rendiconti che il Governo sarebbe tenuto a dare temporalmente e periodicamente rispetto alle vendite effettuate. Tali vendite invece vengono demandate a decreti che non si sa quando saranno predisposti né come, poiché al loro interno non viene messo nemmeno un paletto. Tutto ciò ci sembra non appartenere alla categoria del cosiddetto buon governo, il quale opera nell'interesse collettivo e non nell'interesse dei singoli o di alcuni personaggi in particolare. Questo mi hanno insegnato sin da quando ero piccola e andavo a scuola.
Lo dico non perché debba fare il maestro ma perché ritengo che davvero il cittadino questo voglia e questo si aspetti! Non ho alcun problema, perché non voglio convincere la maggioranza in merito alla giustezza delle idee dell'opposizione; ritengo che ciò sarebbe sbagliato, assolutamente sbagliato perché, altrimenti, in quest'aula saremmo solo un monocolore. Invece, non è così. Chiaro! Ritengo, inoltre, che bisogna che si accetti il confronto tra maggioranza e opposizione sul merito delle cose.
Avete torto? State sbagliando? Ci state dicendo sciocchezze? Su ciò bisogna che ci si intenda perché con questi metodi cresciamo tutti e cresce anche il paese, altrimenti si avrebbe un Governo - lasciatemelo dire - che ha poco di democratico e che ha molto di altre formule, seppure molto bene mascherate; ciò è un rischio per tutti noi! Mi appello davvero, con senso di forte responsabilità, alle forze democratiche e laiche presenti nel Governo e nella maggioranza, dicendo loro: vogliamo discutere di qualcosa? Vogliamo fare in modo che le nostre ragioni si confrontino con le vostre per arrivare, alla fine, non ad una soluzione per la quale noi saremmo contenti (probabilmente saremmo ancora scontenti) ma quanto meno al risultato di dare al cittadino la possibilità di valutare, di capire nel merito, attraverso anche l'esercizio della critica?
L'esercizio della critica con questo Governo è a senso unico. Non esiste nessun'altra possibilità di interagire, di interloquire, se non quella dell'opposizione di fare dei bei monologhi o meglio dei soliloqui. Tutto ciò è profondamente sbagliato e non ci fa del bene.
Sul provvedimento in esame e su quello che esamineremo successivamente ci ritroveremo, come componenti della Commissione, a discutere ancora (probabilmente saremo gli stessi oratori che hanno già parlato), poiché anche quest'ultimo rappresenta un altro aspetto - lo sottolineo - molto serio e molto rischioso per il nostro paese, per la nostra trasparenza e per il nostro senso dello Stato e della legalità. Mi appello quindi di nuovo al Governo e alla maggioranza affinché da domani, quando discuteremo gli emendamenti al provvedimento, ci possa essere, quanto meno, una spiegazione in ordine al non accoglimento degli stessi, perché immagino che di questo si tratterà (Applausi dei deputati dei gruppi dei Democratici di sinistra-l'Ulivo e della Margherita, DL-l'Ulivo).
PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Benvenuto. Ne ha facoltà.
GIORGIO BENVENUTO. Signor Presidente, l'obiettivo del decreto-legge è in sé condivisibile perché risponde alla necessità di valorizzare al meglio il patrimonio immobiliare e di realizzare un'operazione ragionevole ed equa anche con il migliore utilizzo delle risorse di questo patrimonio.
Ma, ahimè, il decreto non corrisponde a queste intenzioni; è la classica dimostrazione del detto per cui la strada per l'inferno è sempre lastricata di buone intenzioni.
Non lo è perché, in pratica, le osservazioni che formuliamo si riferiscono ai tempi, ai risultati che si immagina di poter ricavare, ai problemi della trasparenza, della equità, nonché alla importante questione di un'azione di Governo che non sia soltanto centralista, bensì capace anche di valorizzare la diffusione dei diversi poteri all'interno nel nostro paese.
Vorrei quindi fornire il mio contributo ed indicare gli elementi che contraddistinguono negativamente la proposta che ci viene presentata. In primo luogo, la questione dei tempi. Al riguardo, ne abbiamo sentite di cotte e di crude, anche nell'impostazione del dibattito. Nella stessa relazione tenuta dal relatore Rossi, in Commissione finanze, si è detto che questo provvedimento è stato adottato perché occorreva coprire un «buco». Successivamente, abbiamo desunto che le motivazioni dovevano essere altre, ovvero quelle legate ad una valorizzazione e non quelle connesse ad una iniziativa di emergenza.
In ordine ai tempi, sarebbe stato preferibile che questo provvedimento fosse rientrato nel novero dei primi provvedimenti adottati dal nuovo Governo, perché quello precedente aveva indicato che sulla dismissione dei beni immobili esistevano dei problemi e vi era quindi la necessità di intervenire fattivamente.
Vi sono state diverse polemiche, in particolare quella che, a giorni alterni, si ripete sulla questione del «buco». In realtà, se un «buco» si è determinato, è in questo ritardo del Governo che, evidentemente, aveva altre priorità, quali quelle relative alla modifica del reato di falso in bilancio, alla disciplina delle rogatorie internazionali, mentre non aveva la priorità di dare continuità ad un provvedimento che, se fosse stato adottato, si sarebbe mosso in una logica di continuità.
Segnalo questo aspetto, dal momento che, come ricordavo, a fasi alterne questa polemica nei giorni passati è ancora intervenuta.
Devo dire che mi ha meravigliato la risposta che il ministro dell'economia ha fornito alle indicazioni precise e puntuali avanzate dal senatore Amato e dall'onorevole Visco, rispettivamente Presidente del Consiglio dei ministri e ministro dell'economia nel precedente governo. Per replicare alle osservazioni che sono state avanzate, si è preferito scendere sul terreno dell'invettiva e non su quello di un confronto preciso, considerato che il «buco» non esiste.
Questo è evidente non soltanto dai risultati che, mese per mese, si verificano, ma anche dal contenuto del dibattito che sta avvenendo nell'altro ramo del Parlamento.
Le osservazioni del ministro dell'economia fanno, come dire, tenerezza, dal momento che esse non rispondono a quelli
che sono gli obiettivi concreti e agli errori, «ai buchi», che si possono determinare. Da qui scaturiscono le osservazioni, nonché le nostre preoccupazioni. Infatti, il testo del provvedimento è stato peggiorato e, con riferimento ai suoi aspetti principali, vi sono notevoli preoccupazioni, non soltanto nostre.
Segnalo ai colleghi e ai rappresentanti del Governo che, ad esempio, nelle audizioni svolte al Senato, nel corso dell'esame della legge finanziaria, sono state sollevate perplessità da parte di Moody's e da parte dell'ISAE, che ricorda come questo provvedimento non fornirà gli introiti attesi; sono state da ultimo sollevate perplessità anche sull'efficacia delle dismissioni dallo stesso presidente dell'ISTAT. A queste perplessità, che in altre sedi sono state avanzate dagli esperti auditi, noi possiamo aggiungere - ne hanno già parlato i colleghi Rossi e Lettieri - una preoccupazione.
Infatti, vedo che in questo, come in altri provvedimenti, vi è la tendenza ad affrontare a spanne i problemi dell'economia. Si fanno dei rimproveri al Governo precedente, ma ci si muove su valutazioni approssimative: quando si calcola che il risultato è di 45 mila miliardi, perché si situa tra 30 e 60 mila, non sembra di essere in un paese con una sua tradizione, ma in un suk, dove si cerca di trovare una via di mezzo.
Nel provvedimento si parla di 36 mila miliardi, da realizzarsi tra il 2001 e il 2004: ma come verranno realizzati? Quando? E da dove verranno? Non c'è un'indicazione, né si dice se questi proventi siano al netto. Sono al netto degli oneri per gli interessi sui prestiti e sui titoli obbligazionari che finanzieranno l'operazione di cartolarizzazione? Sono compresi gli oneri connessi all'attuazione tecnica delle operazioni? Sono al netto rispetto agli oneri per la valorizzazione degli immobili da destinare alle vendite? Vi sono delle omissioni e c'è il rischio di riportare il nostro paese, dopo un'attenta gestione dei conti pubblici, ad una vecchia situazione, nella quale ricordo che si diceva che non bisognava tenere conto dei dati economici, ma che bisognava procedere a spanne e che la regola, sui problemi di politica economica, era la «nasometria». La mia preoccupazione è che ci si muova proprio in questa direzione.
Ci si muove anche con una serie di luoghi comuni, con una sottovalutazione di quanto è stato fatto fino ad oggi e con indicazioni che non ci tranquillizzano (per quelli che dovrebbero essere i risultati). Del resto, vi sono la necessaria prudenza e la necessaria attenzione, dal momento che si riconosce l'esistenza di margini di rischio nell'operazione: vorremmo sapere dal relatore e dal Governo quali siano i margini di rischio che essi ritengono di poter prevedere (infatti, si dice che bisogna concedere garanzie dello Stato sui titoli che verranno emessi al riguardo). Di qui, una critica seria e fondata, da parte nostra, nei confronti della natura di tale provvedimento.
Vorrei aggiungere che vi sono anche altri problemi - di cui ha già parlato l'onorevole Nicola Rossi e l'onorevole Lettieri -, legati alla trasparenza delle operazioni. Il dibattito in Commissione ha permesso di chiarire alcuni aspetti, ma è singolare il fatto che siano state già adottate decisioni operative, per quanto riguarda un primo blocco di operazioni, senza attendere che, almeno in un ramo del Parlamento, questo provvedimento venisse approvato.
Vorrei sottolineare, come hanno fatto altri colleghi dell'opposizione, che per noi è fondamentale che vi siano norme di trasparenza - abbiamo anche presentato emendamenti al riguardo - e che i soggetti che potranno promuovere la costituzione delle società che dovranno realizzare le operazioni di cartolarizzazione vengano individuati mediante procedure di evidenza pubblica.
Vorrei affrontare, inoltre, un'altra questione. Ho appreso che il relatore, onorevole Sergio Rossi, presenterà degli emendamenti, come del resto aveva preannunciato in Commissione, per consentire agli enti locali - se ho capito bene ciò che ha detto in questa sede - di partecipare
all'acquisto dei beni posti in vendita, con le opportune limitazioni (poi cercherò di capire).
Voglio ricordare all'onorevole Sergio Rossi - il quale, allora, era al Senato - e agli onorevoli colleghi - abbiamo sempre sentito ripetere con particolare forza ed accanimento da parte della maggioranza che è fondamentale attuare un'operazione di decentralizzazione - che il provvedimento sul quale discutiamo, come ha sottolineato l'ANCI, si contrappone al collegato della legge finanziaria del 2001 sul demanio. Tale collegato fu il risultato di una grande battaglia - fu votato non solo dalla maggioranza di allora ma anche dall'opposizione, con dei dubbi da parte della Lega nord Padania - e di una forte pressione perché l'esigenza di valorizzare i comuni, ai fini del demanio, era particolarmente sentita dalla Lega. Allora, fu proposto l'inserimento all'ordine del giorno di un progetto di legge che aveva come primo firmatario l'onorevole Balocchi e che era firmato da tutti i parlamentari della Lega di allora, i quali ponevano un problema che ha un suo valore, una sua attualità. Tale provvedimento prevedeva per i comuni la possibilità di utilizzare gli immobili demaniali all'interno di piani di valorizzazione e, per quelli non inseriti in questi piani, di acquisirli senza oneri. Ricordo che su tale argomento vi fu un grande dibattito ed una spinta del Parlamento per muoversi in quella direzione.
Questo provvedimento, se viene sfruttato bene, permette ai comuni di acquisire una parte importante del patrimonio dello Stato. Tale occasione rischia di sfumare se non verranno accolte delle proroghe o se non vi sarà un ripensamento da parte del Governo. Questo discorso, sollevato anche dagli altri colleghi, è legato alla possibilità fondamentale, da parte dei comuni, di partecipare all'acquisizione di appartamenti, in situazioni di particolare disagio e tensione dal punto di vista abitativo o, come è stato sottolineato, all'opportunità offerta agli stessi comuni - penso alle grandi città - di poter avviare, autonomamente, iniziative analoghe a quelle che il Governo intende realizzare nella fase centrale.
Per quanto riguarda il problema dell'equità - sul quale gli onorevoli Coluccini e Pistone hanno parlato a lungo - attendiamo di conoscere le possibili modifiche che il Governo intende adottare in riferimento al problema degli inquilini. Il problema è serio. Nel corso di un'audizione informale, abbiamo registrato posizioni comuni. Vi sono delle questioni essenziali riferite alla data - quella del 31 ottobre non può andare bene, bisogna che sia spostata al 31 dicembre - e alla questione del reddito. Non possiamo pensare, infatti, che in un provvedimento sia previsto il peggioramento della situazione, per cui si passa da un reddito familiare di 60 milioni di lire - non parlo ancora di euro, affinché chi ci ascolta possa comprenderci - ad un reddito di 34 milioni. Per quale motivo una prerogativa a favore degli inquilini, delle famiglie più deboli (che era di 60 milioni) deve essere rivista? Cosa è successo perché si debba rivedere quest'impostazione peggiorandola? È una nuova linea sociale? Si dice «non vogliamo fare macelleria sociale»; non so se sia macelleria sociale, certo si tratta di un dimezzamento del reddito nei confronti di particolari categorie di inquilini che versano in una condizione veramente pesante e grave. Penso alle grandi città.
Vorrei poi segnalare l'altro cambiamento, anche questo incomprensibile, relativo alle famose case che devono essere dismesse. Non si parla più di tenere conto del prezzo medio di mercato, ma di valutare gli alloggi in base alla loro localizzazione. Poiché presumo sempre la buona fede degli interlocutori e di chi scrive questi provvedimenti, penso che questi ultimi non abbiano tenuto conto di quanto sia complessa la realtà del nostro paese.
Faccio un esempio concreto, che riguarda la città di Roma (ma potrei farne anche con riferimento ad altre città): la sede del Ministero dell'economia e delle finanze è in via XX settembre. Non so dove abbiano i loro uffici l'onorevole Armosino ed il professor Tanzi, ma consiglierei
ad entrambi di attraversare via XX settembre e di recarsi a via Flavia: qui ci sono molti alloggi pubblici da dismettere, che avrebbero una valutazione da centro storico perché sono all'interno delle mura Aureliane. Si tratta di uno dei quartieri più vecchi e popolari, sviluppatosi intorno ai ministeri quando Roma diventò capitale d'Italia. Ebbene, si propone di approvare un provvedimento che contiene misure fortemente punitive nei confronti di chi abita a 200 metri dalle mura Aureliane (se fossero al di fuori delle mura, quegli alloggi non farebbero più parte del centro storico). Questo me lo si deve spiegare.
Suggerisco di andare a verificare in loco, di farsi invitare da qualche famiglia che abita in quel quartiere per potersi rendere conto della situazione: faremmo un'operazione profondamente iniqua, assolutamente sbagliata se non salvaguardassimo chi da anni vive in quegli appartamenti, sia perché gli inquilini di quelle case appartengono, nella generalità dei casi, ad un ceto medio modesto - si tratta di pensionati...
GABRIELLA PISTONE. No, no, anche di impiegati.
GIORGIO BENVENUTO. ...ma anche impiegati, certamente - sia perché, in molti casi, i medesimi inquilini, nell'inerzia degli enti proprietari, hanno realizzato alcuni miglioramenti. L'operazione si risolverebbe in una vera e propria epurazione, non assistita da alcuna giustificazione, e riguarderebbe il centro storico di Roma come quelli di Torino, di Genova o di Milano.
L'onorevole Pistone ha precisato con molta efficacia che non intendiamo difendere le situazioni concernenti le abitazioni di effettivo pregio, le quali non si trovano soltanto nel centro storico, ma anche in altre zone.
GABRIELLA PISTONE. Sono dappertutto.
GIORGIO BENVENUTO. Non ci interessano le case dei vip, ma - vivaddio! - ci interessano le case di molte famiglie. Noi calcoliamo che solo qui a Roma siano 10 mila le famiglie interessate dal provvedimento (parlo di Roma perché siamo a Roma e possiamo conoscere meglio la realtà di questa città).
Questi sono, in estrema sintesi, i motivi del nostro dissenso. Nel corso del dibattito abbiamo sentito - poi verificheremo quando replicherà l'onorevole Armosino - che il Governo ha intenzione di introdurre alcune modifiche. Quando ne abbiamo parlato in Commissione il professor Tanzi è rimasto colpito da un brutto neologismo, di uso frequente in questi giorni, adoperato anche con riferimento al provvedimento in esame: «blindato». Noi pensiamo che su questi argomenti non vi sia varietà di posizioni soltanto nell'opposizione: immaginiamo che tale varietà esista anche all'interno della stessa maggioranza; del resto, accade spesso che dalle file della maggioranza vengano presentati emendamenti che successivamente vengono fatti ritirare per la causa superiore.
Ma io penso che sia sbagliato non tenere conto delle osservazioni critiche, soprattutto quando queste, in forma di proposte emendative, si propongono di correggere errori o palesi iniquità. Il termine «blindato» significa, professor Tanzi, che il Governo intende andare avanti prescindendo dal Parlamento, prescindendo da quello che dicono la società civile e le associazioni, secondo quella logica in base alla quale si dice: «Non disturbate il manovratore!».
Ebbene, il Governo, in Parlamento, in Commissione finanze, negli emendamenti dell'opposizione e della maggioranza, mostra sempre un fastidio perché forse vede in questo un andamento negativo. Vorrei che ci fosse quel cartello che vediamo sui tram e sui treni dove è scritto: non disturbate il guidatore. Ora, è stato notato giustamente che quel cartello va bene quando si guida un tram, va male quando si governa un paese (Applausi dei deputati del gruppo dei Democratici di sinistra-l'Ulivo, della Margherita, DL-l'Ulivo e Misto-Comunisti italiani).
PRESIDENTE. Non vi sono altri iscritti a parlare e pertanto dichiaro chiusa la discussione sulle linee generali.
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