Resoconto stenografico dell'Assemblea
Seduta n. 27 del 31/7/2001
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Si riprende la discussione del documento di programmazione economico-finanziaria relativo alla manovra di finanza pubblica per gli anni 2002-2006 (ore 18,45).

(Ripresa discussione - Doc. LVII, n. 1/I)

PRESIDENTE. È iscritta a parlare l'onorevole Cima. Ne ha facoltà.
Le ricordo, onorevole Cima, che ha quattro minuti di tempo a disposizione.

LAURA CIMA. Signor Presidente, colleghi, rappresentanti del Governo, riprendo il mio intervento dopo il discorso di insediamento di Berlusconi, che parlò dei cento giorni e del DPEF come di banchi di prova.
Nei cento giorni abbiamo già avuto modo di vedere dei fatti gravi: quelli di Genova e - per noi Verdi in particolare - anche tutte le norme relative al programma stesso dei cento giorni. Mi riferisco, in particolare, alle norme che riguardano le opere pubbliche - la legge obiettivo -, a quelle sul diritto societario e sulla sanatoria e a quelle contenute nella Tremonti che ci lasciano molte perplessità e molti punti interrogativi. Ci si chiede, infatti, se questo Governo rispetterà o meno la tradizione dei governi che l'hanno proceduto di tentare almeno una giustizia sociale e un rispetto ambientale più aggiornato al modello europeo.
Il DPEF, presentato con 15 giorni di ritardo, preceduto appunto dalla legge secondo una inversione non molto chiara, è di nuovo un documento - come hanno già tutti rilevato - vago ed anche double-face. Da una parte, non prende impegni precisi nei confronti del Parlamento, dall'altra, lancia messaggi immediati ai grandi elettori e a quelli che hanno creduto alle promesse elettorali. Esso si è già - come hanno ricordato i colleghi - meritato gli appunti del Commissario Solbes, del Fondo monetario e della Corte dei conti, che ha riconosciuto che il rinvio alla nota successiva di aggiornamento ufficiale - oggi ne abbiamo ricevuta una brevi manu - non consente alcuna verifica circa gli effetti degli interventi.
Direi anche che comincia a diventare quasi ridicolo il continuo tentativo di questo Governo e di questa maggioranza di usare tutti gli atti per gettare discredito sui governi precedenti, anche quando non ci sarebbe proprio la possibilità di farlo perché, come ricordava il collega Lion, proprio il Governo dell'Ulivo ha portato l'Italia a risultati sbalorditivi in termini di allineamento con gli altri paesi europei, nonostante il primo Governo Berlusconi avesse lasciato i conti pubblici in una situazione non particolarmente brillante e quindi con la necessità di chiedere ai cittadini, responsabilmente, dei sacrifici e ottenendo, alla fine, dei risultati.
Qui ci troviamo invece di fronte al procedimento inverso. Ci sono grandi promesse e di sacrifici non se ne parla: si parla solo di grandi possibilità e si usa anche il balletto delle cifre sul «buco» per creare ulteriore confusione sebbene il DPEF smentisca quanto ha dichiarato Tremonti - allo scopo di togliere spazio,


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anche mediatico, a ciò che stava accadendo - la sera stessa in cui, in quest'aula, la maggioranza si spaccò, pesantemente, su un provvedimento importante come quello dell'istituzione di due nuovi ministeri.
Come si può chiedere il consenso in questa vaghezza, ad esempio, sul taglio di 125 mila miliardi di spesa corrente senza che sia stato valutato l'impatto sui settori che verranno coinvolti....

PRESIDENTE. Onorevole Cima, la invito a concludere.

LAURA CIMA. È già finito il tempo?

PRESIDENTE. Aveva quattro minuti.

LAURA CIMA. Signor Presidente mi lasci almeno concludere.
Dicevo, come si può chiedere il consenso senza che sia stato valutato l'impatto sui settori che verranno coinvolti, non potendo quindi capire se la qualità della vita di cittadine e cittadini verrà ulteriormente peggiorata, proprio nel momento in cui tutte le ricerche mostrano un notevole aumento di povertà, in particolare di quella femminile?
Per tutte le questioni ambientali mi associo al discorso fatto prima e ricordo solo che proprio in questo momento, sarebbe interessante riaprire il capitolo delle economie e delle diseconomie nascoste che il disegno di legge Balbo (che mi auguro venga rimessa all'ordine del giorno del Consiglio dei ministri) aveva portato alla luce dopo la conferenza di Pechino, per poter affrontare più seriamente la manovra finanziaria (Applausi dei deputati del gruppo Misto-Verdi-l'Ulivo).

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Tabacci. Ne ha facoltà.
Le ricordo che il tempo a sua disposizione è di 10 minuti.

BRUNO TABACCI. Signor Presidente, sottosegretario Baldassarri, onorevoli colleghi, intervenendo in questo dibattito sarei tentato, anch'io, di fare ciò che ha fatto il collega Pinza; di ridurre, cioè, tutto ad una polemica di natura politica del tipo «noi abbiamo fatto, voi non farete». Ma a cosa servirebbe? Pertanto credo sia giusto che ognuno, per l'importanza che ciò può avere, rendendo una testimonianza, scelga una strada di natura più tradizionale. Restiamo ai fatti.
Siamo di fronte ad un documento che segnala un preoccupante andamento dei dati fondamentali della contabilità pubblica con valori tendenziali, tanto dell'indebitamento netto della pubblica amministrazione quanto del fabbisogno di cassa, che sono sensibilmente superiori sia ai dati dell'anno 2000 sia alle precedenti stime relative all'anno 2001, e questo è un fatto, non un'opinione. Le polemiche sul «buco» possono essere più o meno stucchevoli ma credo che tutti coloro che se ne sono occupati - dal governatore della Banca d'Italia agli istituti specializzati in stime sui dati della pubblica contabilità - convergano su questo punto.
Il Governo ha adottato una strategia di politica economica che ieri è stata commentata dall'economista Modigliani in maniera molto incoraggiante. Non che Modigliani sia il detentore della verità, però il fatto che un economista di tale levatura - che, in altri momenti, ha avuto parole anche molto critiche, e, certamente, non solo nei confronti dei governi di centrosinistra - affermi che la strada intrapresa è forse l'unica possibile, senza altra alternativa, è un elemento di incoraggiamento.
È una scommessa fondata sulla fiducia e sul miglioramento delle aspettative: attraverso l'adozione di un piano in favore della ripresa economica, in parte già concretizzato nei provvedimenti dei cosiddetti cento giorni, il Governo si propone di ricondurre l'indebitamento netto verso lo 0,8 per cento. Qualcuno dice che si tratta di una chimera. Potrebbe esserlo, ma porsi questo obiettivo è comunque un atto di coraggio. Sarà possibile conseguirlo? Nell'interesse del paese ci auguriamo che lo sia.
Il predetto piano in favore della ripresa economica è finalizzato ad accrescere la competitività del sistema Italia. In questi


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anni, il centrosinistra rivendica di avere fatto tutto e tutto bene, è un fatto che la competitività del sistema Italia non sia infatti migliorata, anzi tutt'altro, malgrado gli sforzi compiuti. Certo, correre è significativo, ma se gli altri corrono di più la competitività ne soffre. Ebbene, è quello che è accaduto nel nostro paese.
L'obiettivo di accrescere la competitività è peraltro perseguibile solo a condizione che le regioni del Mezzogiorno siano pienamente coinvolte sulla strada della crescita economica e dello sviluppo produttivo. Non credo infatti ad un paese a due velocità. A tal proposito richiamerò alcuni punti circa il piano delle politiche industriali che mi auguro il relatore Liotta, che ringrazio per la sua pregevole relazione, voglia evidenziare nella proposta di risoluzione di maggioranza che impegnerà il Governo. In questo senso il documento del Parlamento è probante ed impegnativo per il Governo e serve anche come integrazione del documento stesso; se il documento è ritenuto insufficiente, spetta al Parlamento, alla sua maggioranza, o meglio alla coralità del lavoro dell'Assemblea, l'indicazione degli elementi di completamento.
Circa il settore energetico sono necessarie iniziative a livello comunitario per promuovere la realizzazione della condizione per la piena e sollecita liberalizzazione regolata del mercato europeo attraverso il superamento delle asimmetrie esistenti. Abbiamo recentemente vissuto la vicenda EDF - Montedison, che, se è chiusa come vicenda in sé in quanto i francesi per ora rimangono alla finestra, non è però chiusa per gli aspetti che si riferiscono ai rischi dei rapporti sui mercati europei. Il problema del confronto tra mercati con caratteristiche diverse continua infatti a porsi e, se un paese come il nostro vuole svolgere la sua parte, non può certo dimenticarsi dell'esperienza testé compiuta.
Vi è poi il programma delle dismissioni delle partecipazioni pubbliche; in questo caso il sottosegretario Baldassarri ha ragione: è fondamentale che le privatizzazioni siano un'occasione per fare mercato. La X Commissione ha rilevato come in questi anni spesso ci si sia occupati più di un problema di risanamento dei conti pubblici, più di politiche finanziarie che di una questione relativa alla crescita strutturale del mercato.
Si tratta allora, per quello che ancora ci resta da fare e, magari impegnando anche il Parlamento, di individuare quali partecipazioni pubbliche dovranno essere cedute in tempi brevi e quali, invece, mantengano nel medio-lungo periodo una valenza per così dire strategica, richiedendo di conseguenza una sollecita definizione di linee fondamentali di sviluppo industriale. In questo contesto va visto l'impegno previsto dal DPEF dei 120 mila miliardi e soprattutto, direi, la modalità più opportuna per la dismissione delle aziende operanti nel settore dei servizi pubblici locali, che certo servirà ad aiutare gli enti locali, a rafforzare le loro potenzialità ma anche a fare mercato, a liberalizzare risorse che credo potranno portare nel comparto dell'energia, ma anche in quello delle multi-utility, alla creazione di più soggetti nuovi in grado di arricchire il mercato nel suo complesso.
Sono poi necessarie riforme strutturali che rimuovano gli ostacoli alla crescita dimensionale delle imprese, anche sotto il profilo dell'ordinamento in relazione al numero dei dipendenti. Per quanto riguarda il sistema degli incentivi, credo che il passaggio ad una forma automatica ed oggettiva ormai si imponga per evitare discrezionalità che non sempre hanno dato buon esito e che, comunque, inducono ad una percezione del rapporto tra pubblica amministrazione e cittadino imprenditore che potrebbe prestarsi a qualche critica.
Credo inoltre che vada richiamato il tema delle attività di ricerca e sviluppo, immaginando che la legge Tremonti-bis possa essere allargata anche a questi comparti introducendo forme di agevolazione per le imprese che accrescono le proprie spese in programmi di ricerca. Ciò per avvicinare ai livelli medi europei la quota di fatturato che le imprese italiane destinano ad investimenti in ricerca.


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Da ultimo vorrei richiamare il tema della competitività del sistema produttivo italiano con riferimento all'equilibrio territoriale e, in particolare, alle condizioni che devono consentire al Mezzogiorno di esprimere al meglio tutte le sue potenzialità economiche e produttive. In questa prospettiva, molte azioni delineate dal documento, se adeguatamente programmate, potranno risultare essenziali per il perseguimento ed il raggiungimento di questa ipotesi. La convenienza degli operatori ad investire nelle regioni meridionali può essere accresciuta da interventi che rendano più efficaci gli incentivi attualmente concessi alle imprese nonché da interventi di tipo infrastrutturale.
Vi è un ultimo aspetto che riguarda Sviluppo Italia: ha ragione il sottosegretario Baldassarri quando afferma che bisogna riflettere sulla sua missione. Il Governo deve riflettere rapidamente perché occorre assegnare a Sviluppo Italia una missione diversa da quella che ha compiuto in questi anni. L'obiettivo è recuperare i fondi comunitari: si sono persi 3.700 miliardi nel quinquennio e vi sono 50.000 miliardi da recuperare. Come possiamo fare ciò se non vi è un'opera di monitoraggio nella gestione dei fondi comunitari stessi e, soprattutto, nell'approvazione dei progetti ai quali destinare i fondi disponibili, semplificando le procedure, velocizzando la realizzazione dei progetti, controllando le regioni e coordinandole in maniera tale che questi deficit non si evidenzino più?
Sottosegretario Baldassarri, il problema relativo alla definizione della missione di Sviluppo Italia è fondamentale. Occorre anche fare uno sforzo ed una scommessa: incaricare qualcuno che abbia voglia di credere nella missione di Sviluppo Italia. Non si tratta di collocare chi non ha preso posto da qualche altra parte, ma di scommettere fino in fondo sulla possibilità di recuperare questi quattrini in vista del 2006. Pensiamo che tra pochi mesi, nel 2004, si dovrà rinegoziare tutto. Non possiamo essere nell'Unione europea con presenze marginali, ma dobbiamo esserlo con presenze decisive. Nel 2006, con l'allargamento dell'Europa - ahimè o per fortuna, dipende dai punti di vista - queste disponibilità saranno molto inferiori.
Occorre, quindi, rapidamente assegnare a Sviluppo Italia una missione che può essere fondamentale per recuperare risorse e disponibilità che potranno consentire al nostro paese, rilanciando il sud, di andare avanti ad una sola velocità, ma ad una velocità importante, per noi e per il resto d'Europa (Applausi dei deputati dei gruppi del CCD-CDU Biancofiore, di Forza Italia e di Alleanza nazionale).

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Battaglia, al quale ricordo che ha otto minuti di tempo disposizione. Ne ha facoltà.

AUGUSTO BATTAGLIA. Signor Presidente, onorevoli colleghi è difficile - se andiamo indietro nel tempo ed esaminiamo i documenti di programmazione economico-finanziaria degli anni scorsi - trovare un testo e delle proposte così vaghi ed approssimativi, a partire da quei 62.000 miliardi del ministro Tremonti di cui non si trova traccia nel documento. Tuttavia, devo riconoscere che in materia di sanità e di sicurezza sociale il documento ha il merito di cominciare a delineare un modello di Stato sociale che, nel corso di queste settimane, già i ministri Sirchia e Maroni, con una raffica di interviste, a volte contraddittorie ed ambigue, avevano in qualche modo preannunciato.
Se l'approssimazione del DPEF ci preoccupa, ci preoccupa ancora di più qualche elemento di chiarezza riferito allo Stato sociale, visto che si afferma che le regioni possono adottare in materia di sanità provvedimenti e leggi sostitutive della legge nazionale. È una affermazione che consideriamo grave e che porta a un salto di qualità. Non siamo più di fronte ad un modello di Stato sociale e ad un sistema sanitario unitario che garantisce livelli essenziali di assistenza a tutti i cittadini - ovunque risiedano e qualunque sia la loro condizione sociale ed economica - né siamo più di fronte ad una competizione tra le regioni, tra modelli e


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programmi di intervento, competizione che è indubbiamente proficua e positiva nel senso che adatta i principi generali alle situazioni locali.
Al contrario, si teorizza per la prima volta la possibilità per le singole regioni di sganciarsi e adottare un proprio sistema sanitario, di decidere esse stesse cosa, come e a quali condizioni garantire ai propri cittadini l'assistenza sanitaria, di decidere se imporre o meno i ticket e se introdurre il buono salute.
Ecco la seconda minaccia che aleggia sul diritto alla salute: il buono. Nessuno, del resto, chiarisce cosa esso sia e a quanto ammonti. Una cosa è certa: il buono salute darà la possibilità al cittadino - a quello ricco, aggiungiamo noi - di sganciarsi dal gruppo, magari affidando la sua quota all'assicurazione, in un sistema privatistico e di mercato che presto farebbe perdere al servizio sanitario nazionale quei principi di universalismo, di solidarismo e di equità (che tutti a parole diciamo di voler difendere) tesi a garantire al cittadino prestazioni efficaci, appropriate e uniformi su tutto il territorio nazionale. Questo obiettivo verrebbe meno. Ecco cosa propone la destra: la rottura del patto di solidarietà tra le regioni, la rottura del patto di solidarietà tra i cittadini.
Traiamo dalla lettura del documento un'idea contraddittoria ed ambigua del sistema sanitario. Oggi il centrodestra sta discutendo - anzi, sta litigando - sul disegno di legge del ministro Bossi sulla devoluzione. Qui si propongono tetti fissati genericamente, riduzioni percentuali di spesa definite dal vertice e prezzi di riferimento. Dove finiscono il principio di responsabilità delle regioni, la loro autonomia, quella delle aziende sanitarie, quella degli operatori, dei medici? Da una parte si predica la devoluzione, dall'altra si praticano il dirigismo e la sostituzione delle responsabilità.
È certamente meritoria ogni intenzione di razionalizzare la spesa, ma in questo caso mi sembra si tratti più di una necessità di contenimento dovuta all'inadeguata copertura finanziaria della spesa delle regioni per la sanità. Voi prevedete 135.000 miliardi per il 2001 e 140.000 per il 2002. Le regioni stimano che manchino per il 2001 6.000 miliardi, e per l'anno prossimo 10.000 miliardi. Nella serie dei sei anni la vostra proposta è quella di passare dall'odierno 5,67 per cento sul PIL del 2001, al 5,46 per cento del 2002. Si va, quindi, a ridurre il peso della spesa sanitaria sul PIL, ci si allontana dalla media europea che è intorno al 7 per cento, e si è molto lontani da quel 6-7 per cento stimato dalle regioni per coprire l'attuale fabbisogno. I conti non tornano!
Vi voglio ricordare che negli anni dal 1996 al 1999, quando bisognava risanare il paese, rispettare i parametri di Maastricht, entrare in Europa, si sono fatti tagli per decine di migliaia di miliardi, ma il fondo sanitario è cresciuto e le risorse sono aumentate. Oggi che la situazione è più favorevole, voi, che promettete miracoli, programmate una riduzione della spesa sanitaria, non garantite la copertura dell'esistente ed i costi che le regioni devono affrontare e scaricate sulle regioni ed i cittadini questo disavanzo. Queste cifre costringeranno le regioni ad imporre nuovi ticket sui malati e sulle famiglie. Mi chiedo: è questa la centralità del malato che andate declamando? Si tratta di una sanità che si sgancia dal sociale: non si parla più di integrazione sociosanitaria e, del resto, è comprensibile. Se la sanità veleggia verso il mercato assicurativo, con chi si fa l'integrazione, dove la si fa, alla Reale mutua?
Il vostro modello impoverisce il territorio. Basti guardare alla Lombardia dove agonizzano i servizi territoriali, gli anziani non autosufficienti vanno a finire quasi tutti nei ricoveri e nelle RSA. Non bastano i buoni propositi, colleghi della destra: sostegno alla famiglia ed agli anziani, integrazione dei disabili, recupero dei tossicodipendenti. Come si fa a non condividere questi principi e questi obiettivi? Ma quali sono gli strumenti che voi mettete in campo per raggiungerli? Dal DPEF non si vede nulla!
La riforma dell'assistenza, la legge n. 328 del 2000, che abbiamo approvato in


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quest'aula, la volete attuare o no? Se volete attuarla, il fondo nazionale per le politiche sociali che fine fa? Voi non ne parlate! Lo incrementiamo per costruire la rete dei servizi, oppure lasciamo le regioni ed i comuni con le risorse che hanno? Con che risorse costruiscono la rete? Il reddito minimo di inserimento, quello strumento di contrasto alla povertà che abbiamo sperimentato e sul quale abbiamo i risultati della sperimentazione, lo diffondiamo su tutto il territorio nazionale, o lo accantoniamo? Se lo diffondiamo, con quali risorse? Nel DPEF non si dice assolutamente nulla!
L'impressione è che si voglia passare dalla rete dei servizi ai sussidi: nel DPEF usate nuovamente questo termine, un termine antico, il termine del vecchio Stato sociale, dello Stato assistenziale. È uno Stato assistenziale vecchio, ma anche un po' avaro - consentitemi di dirlo - e parsimonioso soprattutto con quelli che stanno peggio, soprattutto con i pensionati. Mi domando - ho letto più volte il documento - dove sia finito il milione al mese per tutti i pensionati sociali che era stato prospettato nel corso della campagna elettorale.

DANIELE FRANZ. Nella finanziaria!

AUGUSTO BATTAGLIA. La montagna ha partorito il topolino. La finanziaria è figlia del DPEF: sul DPEF leggo cose diverse da quelle che mi stanno dicendo adesso. Leggo che il milione al mese e gli aumenti saranno riservati non a tutti pensionati sociali dal 1o gennaio 2002, ma soltanto ai soggetti più anziani e più deboli.
Tra l'altro, dicendo soggetti più anziani e più deboli non si chiarisce chi siano quest'ultimi. Ad esempio, mi domando se gli handicappati gravi, i ciechi, i sordomuti, gli invalidi civili gravi, siano i soggetti più deboli che godranno di questo beneficio oppure rimarranno fuori ?
Mi auguro di no, perché per loro sarebbe veramente una beffa e, soprattutto, è molto grave che abbiate promesso...

PRESIDENTE. Onorevole Battaglia, la prego di avviarsi alla conclusione.

AUGUSTO BATTAGLIA. ...a tutte queste persone degli aumenti che non ci saranno: credo non ci sia dubbio che abbiate ingannato gli elettori. Il vostro, e concludo Presidente, è un progetto iniquo e pericoloso: iniquo perché crea, alimenta e moltiplica le disuguaglianze tra chi potrà farcela da solo e tutti gli altri; pericoloso perché allenta i vincoli di solidarietà tra le regioni e tra le persone.
Tutto ciò è foriero di conseguenze negative che noi contrasteremo (Applausi dei deputati del gruppo dei Democratici di sinistra-l'Ulivo).

PRESIDENTE. È iscritta a parlare l'onorevole Garnero Santanchè, alla quale ricordo che ha cinque minuti di tempo a disposizione. Ne ha facoltà.

DANIELA GARNERO SANTANCHÈ. Signor Presidente, onorevoli colleghi, l'esame del documento di programmazione economico-finanziaria chiarisce in via definitiva le linee di fondo lungo le quali si muoverà il Governo nei prossimi mesi. Il dato che emerge con chiarezza è, innanzitutto, l'abbandono di una consunta politica dei due tempi, come quella realizzata per cinque anni dal centrosinistra: cioè, prima il risanamento dei conti pubblici, poi lo sviluppo.
Oggi, ci troviamo dinanzi ad una svolta copernicana, di quella linea tesa a fare dello sviluppo l'arma fondamentale per risanare la finanza pubblica. Il documento di programmazione economico-finanziaria al nostro esame cambia, finalmente, registro e avvia il paese ad un circuito virtuoso che prevede più sviluppo, più occupazione, più entrate e minore pressione fiscale: si tratta di un accelerato risanamento che, a sua volta, genera maggiore sviluppo perché consente di riallocare produttivamente le ingenti risorse oggi impegnate per il servizio del debito pubblico.
La vecchia strada della sinistra, invece, con buona pace del ministro Visco, non ha creato sviluppo né ha risanato la finanza


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pubblica, come si evince dai numeri contenuti nel documento di programmazione economico-finanziaria e confermati nelle audizioni parlamentari della Banca d'Italia e della Corte dei conti. Si tratta, dunque, di una strategia nuova che trova il pieno consenso di Alleanza nazionale.
Naturalmente, non ci nascondiamo le difficoltà del cammino che oggi il Governo intraprende e che richiedono scelte politiche coraggiose e coerenti con gli obiettivi prefissati, a cominciare dalla riduzione del forte disavanzo nel bilancio pubblico. Oramai nessuno dubita dell'esistenza di questo buco nei conti pubblici, lasciato in eredità dal centrosinistra e, tutt'al più, la polemica politica - se così la si può definire - si restringe a 5-6 mila miliardi in più o in meno.
Con questo quadro di finanza pubblica e con il tempo a disposizione di appena quattro mesi, difficilmente, però, il 2001 si potrà chiudere con un rapporto indebitamento PIL intorno allo 0,8 per cento, così come invece si impegna a fare il Governo. Tale obiettivo è talmente lontano da non poter essere raggiunto neanche se in un solo giorno si attuassero quelle riforme dei grandi aggregati della spesa pubblica - a cominciare dalla previdenza e dalla sanità, già previste nell'agenda del confronto con le parti sociali - perché i loro effetti contabili finirebbero, inevitabilmente, per incidere solo nei saldi di bilancio del prossimo anno.
Nella mia esperienza politica alla provincia di Milano ho imparato a parlare con schiettezza e, pertanto, oggi sostengo con chiarezza che avrei voluto che il Governo iniziasse da subito una manovra correttiva. Mi sembra che, alla coraggiosa denuncia del disavanzo pubblico, non abbia fatto seguito un'altrettanta coraggiosa scelta di correzione dello stesso che verrà adottata, mi auguro, in sede di finanziaria.
Signor Presidente, onorevoli colleghi, credo che l'Italia si avvii a voltare pagina, per intraprendere quel percorso virtuoso richiamato, recuperando così ritardi accumulati in cinque anni, durante i quali si sono avvicendati ben quattro Governi con maggioranze parlamentari composite e, spesso, politicamente rattoppate.
Su questo versante e con questi obiettivi, Alleanza nazionale e i suoi gruppi parlamentari non faranno mancare il proprio appassionato contributo nell'interesse della nazione e della sua parte più debole (Applausi dei deputati dei gruppi di Alleanza nazionale e di Forza Italia).

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Albertini, al quale ricordo che ha a disposizione sette minuti. Ne ha facoltà.

GIUSEPPE ALBERTINI. Signor Presidente, onorevoli colleghi, onorevole rappresentante del Governo, a questo punto del dibattito parlamentare è arduo proporre novità ad un documento di programmazione che poggia su obiettivi macroeconomici e che traccia approdi verificabili in tempi successivi.
Perciò, nei pochi minuti a disposizione, vorrei valutare il DPEF da un particolare angolo di osservazione. Il DPEF è un atto di un governo liberale e regolatore di interessi contrapposti oppure di un governo liberista ed arrogante? La mia opinione è che convivano nel gabinetto Berlusconi due diverse culture di governo, destinate prima o poi - io credo prima - ad entrare in conflitto e che costringeranno il Presidente del Consiglio a mettere in campo tutta la sua autorevolezza per impedire uno scontro sempre meno latente.
Il Governo liberale, regolatore dei conflitti, disposto ad accogliere le buone idee delle opposizioni, capace di riconoscere i meriti dell'antagonista, lo abbiamo visto all'opera poche volte. Lo abbiamo visto quando Berlusconi riconobbe il merito storico dei governi dell'Ulivo che portarono l'Italia in Europa, oppure in occasione della conversione in legge del decreto che prevedeva l'organizzazione del governo o, ancora, quando cresce la disponibilità alla sacrosanta esigenza di istituire una Commissione d'indagine sui disordini accaduti durante il vertice del G8.


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Il Governo liberista e arrogante lo abbiamo visto all'opera tante volte: quando giocava alle tre carte con il buco del bilancio dello Stato, quando si rifiutava di istituire la Commissione di indagine sui disordini accaduti durante il vertice del G8, nonostante la corale richiesta di far luce, rivolta al Governo, alla quale si sono unite le opinioni pubbliche di tanti paesi amici. Il Governo liberista e arrogante lo abbiamo visto quando ha approvato l'istituzione di una Commissione di inchiesta sull'affare Telekom-Serbia.
Ai socialisti interessa capire dove Berlusconi dirigerà la marcia del suo Governo. Ci interessa per tante ragioni e una di rilievo generale voglio esporla subito. Il conflitto tra interessi contrapposti si è svolto, per quasi un secolo, prevalentemente nelle fabbriche, nelle campagne e, più in generale, nei luoghi di lavoro. Il conflitto ora si sposterà dai luoghi di lavoro all'intera società e il contendere prevalente si riferirà alle scelte che gli Stati assumeranno sui temi della regolazione della globalizzazione e su come si dividerà il surplus.
Immagino una società più frammentata, dove i lavoratori dipendenti faranno pressione con il voto per ottenere pensioni più alte, dove gli imprenditori premeranno con la disoccupazione per ottenere più aiuti e meno tasse, dove tanti cittadini chiederanno con quali regole e con quali sanzioni i governi nazionali faranno rispettare la riduzione dell'8 per cento delle emissioni in atmosfera per contrastare le mutazioni climatiche.
Se mancasse un anno allo scadere della legislatura, questo ragionamento servirebbe a poco, in quanto la tendenza dell'elettorato italiano, che si manifesta sempre più chiaramente, va nella direzione di un sistema bipolare, perciò i due schieramenti sarebbero indotti a colorare le rispettive ragioni, le proposte e le critiche di tinte forti. Ma, all'inizio della legislatura, per il nostro gruppo è importante comprendere se il secondo gabinetto Berlusconi, a differenza del primo, nel più rigoroso rispetto dei ruoli, sia orientato a garantire gli interessi generali del paese oppure se governerà con modi e contenuti già conosciuti nel 1994 e annunciati nell'ultima campagna elettorale.
Nel primo caso, ci impegneremo affinché l'Ulivo conduca un'opposizione intransigente ma costruttiva; nel secondo caso, ci prepareremo al muro contro muro.
Il DPEF alla nostra attenzione è figlio delle due impostazioni, di due governi. La genericità insita in questo strumento consente di coprire questa ambiguità.
Un esempio per tutti: nel DPEF la parte dedicata all'agricoltura è generica, in alcuni casi poco chiara, in altri addirittura contraddittoria, come quando, ad esempio, afferma di voler sostenere la cooperazione agricola e, contestualmente, all'articolo 5 del disegno di legge sul nuovo diritto societario si infligge alla cooperazione un colpo mortale, poi solo parzialmente attenuato. Nel dibattito in Commissione agricoltura le motivate osservazioni critiche dell'Ulivo hanno avuto risposta con le conclusioni da parte del sottosegretario di Stato e con il parere reso dalla Commissione bilancio e predisposto dal suo presidente: si è trattato, in entrambi i casi, di interventi di buono spessore, in cui traspariva la disponibilità al confronto. Siamo di fronte a due culture di governo.
In conclusione, la nostra opinione è che il DPEF sia una sommatoria di promesse elettorali e di buone intenzioni; non è chiara la realizzabilità degli obiettivi ed è goffo il tentativo di scaricare sui governi dell'Ulivo gli eventuali fallimenti. Preannuncio, quindi, un voto sicuramente contrario; nella dichiarazione di voto, alla luce dell'ulteriore lavoro parlamentare che ci attende, motiveremo più e meglio la nostra decisione (Applausi dei deputati del gruppo Misto-Socialisti democratici italiani).

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Alfredo Vito, al quale ricordo che ha sei minuti a disposizione. Ne ha facoltà.

ALFREDO VITO. Signor Presidente, onorevoli colleghi, nel corso della campagna


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elettorale per il rinnovo del Parlamento, la Casa delle libertà ha promesso agli italiani di cambiare il paese: «basta con il declino», «via all'ammodernamento ed allo sviluppo». La Casa delle libertà ha vinto le elezioni, dispone di una maggioranza forte ed omogenea e vuole attuare il programma promesso.
Il documento di programmazione economico-finanziaria segna le tappe di questa attuazione ed è corretta l'articolazione del piano sull'intera legislatura, in previsione di una stabilità della maggioranza. Ovviamente, questo DPEF non può non partire da un'analisi dell'Italia nel corso degli anni novanta, secondo eventi che hanno influenza nel presente ed avranno influenza nel futuro e che hanno segnato un declino del nostro paese rispetto agli altri Stati europei ed occidentali, con un progressivo spiazzamento competitivo.
Le responsabilità politiche del centrosinistra sono state notevoli perché i suoi governi hanno imposto grandi sacrifici al popolo italiano: un livello di tassazione via via crescente che ci pone oggi tra i paesi più vessati del mondo, un sostanziale contenimento degli investimenti ed un forte scoraggiamento della domanda interna al fine di raffreddare l'economia e l'inflazione, per giungere al rispetto dei parametri previsti per l'ingresso nell'euro. In sostanza, il centrosinistra ha fatto credere agli italiani che avrebbe risanato il paese in cambio dei tanti sacrifici richiesti e sopportati.
Invece, il Governo di centrodestra si trova oggi un indebitamento netto di competenza che ammonterà alla fine del 2001 a circa 44 mila 500 miliardi rispetto ai 19 mila preventivati e con un'esplosione del fabbisogno di cassa che può arrivare fino a 93 mila miliardi, cifre lontanissime dalle previsioni del patto di stabilità e crescita, non lontane, invece, dalla situazione trovata nel 1996 dal centrosinistra. In queste condizioni, negare l'esistenza del buco è un imbroglio politico, avendo sia la Banca d'Italia sia la Ragioneria generale dello Stato avallato questi dati.
Del resto, la forbice significativa tra indebitamento netto di competenza e fabbisogno di cassa alla fine del 2000 avrebbe già dovuto allarmare il Governo di centrosinistra che, invece, ha ulteriormente peggiorato la situazione abbandonandosi negli ultimi mesi, alla vigilia delle elezioni, ad una spesa facile dal chiaro sapore elettoralistico. Il Governo Berlusconi ha, però, iniziato bene il suo percorso e fa ritenere che comunque l'Italia si metterà molto presto lungo la strada della ripresa e dello sviluppo. Ci riferiamo alla puntuale attuazione della politica dei primi cento giorni, che ha visto già il varo di importantissimi decreti-legge che ci auguriamo possano essere presto convertiti in legge e che daranno impulso notevolissimo alla ripresa.
I contratti di lavoro a tempo determinato, l'emersione dell'economia nascosta, la legge per il rilancio delle opere pubbliche, la detassazione degli utili reinvestiti in beni strumentali nell'esercizio dell'attività produttiva, la liberalizzazione delle strutture immobiliari, la sottoscrizione del capitale sociale con l'utilizzo di polizze di assicurazione, la garanzia sulle proprietà delle invenzioni realizzate costituiscono un insieme di provvedimenti che eliminano burocrazie, uniformano alle direttive europee, rilanciano settori economici asfittici, agiscono da moltiplicatore dell'economia. Gli altri provvedimenti già annunziati sul mercato dei capitali, quali la liberalizzazione dei fondi pensione e la modifica del regime sui fondi immobiliari, unitamente a norme di revisione del nuovo diritto societario, completeranno efficacemente un intervento legislativo poderoso del quale non vi è memoria nei primi cento giorni di qualunque altro precedente Governo.
La strategia di politica economica delineata dal DPEF è finalizzata alla creazione di presupposti perché l'Italia realizzi tassi di crescita superiori al 3 per cento per il prossimo quinquennio, attraverso riforme strutturali, nel quadro di una previsione di generale rilancio delle economie dei paesi sviluppati, che vede il suo avvio negli Stati Uniti d'America tra l'inverno del 2001 e la primavera del 2002. Il predetto piano di ripresa economica è


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finalizzato ad accrescere la competitività del sistema Italia ed è perseguibile solo a condizione che le regioni del Mezzogiorno siano pienamente coinvolte sulla strada della crescita economica e dello sviluppo produttivo. A questo fine, appare importante che la maggior parte degli investimenti previsti nel piano delle opere pubbliche interessi le regioni del Mezzogiorno, non solo per la giusta creazione di migliori condizioni di vita, ma anche per il forte conseguente rilancio della domanda interna, che potrebbe finalmente creare un circuito virtuoso in grado di risollevare quell'economia.
Questo DPEF raggiungerà i suoi obiettivi se la maggioranza parlamentare sarà all'altezza del compito cui è chiamata, con la leale e forte presenza e collaborazione di tutti i suoi componenti in aula e nelle Commissioni. In questo breve scorcio di legislatura abbiamo constatato che i parlamentari di maggioranza sono diligentemente presenti ai lavori: ci auguriamo che ciò si verifichi per l'intera legislatura; sarà il modo migliore per rispondere alla fiducia degli elettori e dare al Governo il giusto sostegno.
La minoranza di centrosinistra sembra invece lontana dagli interessi veri degli italiani e incapace di dare un suo contributo. Gli avvenimenti di questi giorni fanno assistere ad una pericolosa deriva istituzionale e politica della sinistra verso posizioni estreme e perdenti e sembra di assistere ad una sostanziale incapacità dei partiti della Margherita di incidere sulla linea politica, che per ora sembra essere dettata dai DS e che vuole puntare allo scontro e alla piazza. Nel breve volgere di pochi mesi qualche partito ha dimenticato gli sforzi intrapresi per anni, per accreditarsi quale forza politica rappresentante l'occidente e le istituzioni democratiche, spesso anche - e ciò gli faceva onore - in alternativa a movimenti di piazza. Non possiamo prevedere il corso dei prossimi mesi...

PRESIDENTE. Onorevole Alfredo Vito, la prego di concludere.

ALFREDO VITO. ...tuttavia dobbiamo attrezzarci come maggioranza per portare avanti, se necessario anche da soli, questo progetto di rilancio e di ammodernamento del paese, perché oggi l'Italia gioca la partita decisiva per rientrare tra gli Stati forti del pianeta (Applausi dei deputati dei gruppi di Forza Italia e di Alleanza nazionale)

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Sergio Rossi, al quale ricordo che ha 6 minuti a disposizione. Ne ha facoltà.

SERGIO ROSSI. Signor Presidente, signori rappresentanti del Governo, onorevoli colleghi, con questo documento di programmazione economico-finanziaria ci troviamo finalmente di fronte ad un cambiamento di rotta. Ormai è alle spalle la vecchia politica del contabile, quella basata sulla quadratura del bilancio pubblico solo per mezzo dell'aumento delle imposte e delle tasse, ma incapace di prevedere che l'aumento della pressione fiscale avrebbe portato, nel medio e lungo periodo, al regresso economico. In questo documento si può invece notare l'avvento della nuova mentalità, basata su misure volte ad incentivare lo sviluppo per poter giungere, attraverso un maggior prodotto interno lordo, ad incrementare le entrate e, quindi, risanare il bilancio pubblico, rispettando così gli impegni del patto di stabilità e di crescita dei prossimi anni.
La molta polvere nascosta sotto il tappeto dai precedenti governi di centrosinistra non deve in alcun modo condizionare la nuova linea di politica economica. Pertanto, condividiamo la decisione di non effettuare immediate manovre correttive dell'andamento dei conti pubblici di quest'anno, basate su un inasprimento delle imposte, dal momento che avrebbero solo effetti di indebolimento del ciclo economico. L'eventuale maggior deficit di quest'anno sarà da addebitare ai nostri predecessori ed a tutti gli altri organi nazionali, europei ed internazionali, i quali, da un lato, concordarono la manovra finanziaria dell'anno scorso e, dall'altro lato, si


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resero sordi alle nostre previsioni di sfondamento, in quanto quella fu - e lo dicemmo ripetutamente - una manovra finanziaria elettorale, priva di adeguata copertura finanziaria.
Nel documento di programmazione economico-finanziaria in discussione non si prevede uno studio per comparare i dati riguardanti la pressione fiscale nazionale con quelli degli altri paesi, soprattutto europei.
Poiché anche altri Stati sono impegnati in una politica di rilancio delle proprie economie, da attuare attraverso ambiziosi piani di riduzione della pressione fiscale, riteniamo necessario che la diminuzione della pressione fiscale nazionale dei prossimi anni risulti superiore a quella degli altri paesi. Diversamente, non vediamo come si possa recuperare la competitività e dare slancio alla nostra economia, considerato che oggi siamo la nazione con la più alta pressione fiscale reale.
Per quanto riguarda il Mezzogiorno, a cui viene dedicato un particolare spazio nel capitolo III del documento di programmazione economico-finanziaria, riteniamo si debba più correttamente parlare di sviluppo del Mezzogiorno anziché di rilancio, in quanto quest'ultimo termine presuppone l'esistenza di un precedente periodo virtuoso per quest'area - che non c'è mai stato - e l'esistenza di un attuale periodo di recessione da superare con i provvedimenti proposti.
Concordiamo sul fatto che lo sviluppo del Mezzogiorno rappresenti la chiave di svolta per rilanciare il nord e per liberarlo dal continuo depauperamento delle ricchezze prodotte, a tutto vantaggio delle regioni meridionali. Lo sviluppo del Mezzogiorno - in questo caso il documento di programmazione economico-finanziaria ci sembra carente - non può passare solo attraverso un piano di ingenti investimenti pubblici al fine di attrarre contemporaneamente capitali privati. I capitali privati oggi non sono attratti in quelle aree, non solo per la mancanza di infrastrutture - peraltro carenti anche al nord, dove in compenso lo sviluppo è stato ugualmente positivo -, ma soprattutto per la presenza della criminalità organizzata e del sistema giudiziario estremamente lento.
Per lo sviluppo del Mezzogiorno è necessario porre l'attenzione su due fattori. Il primo è rappresentato dalla corruzione all'interno delle amministrazioni pubbliche; questo fattore è suffragato dai frequenti scioglimenti e commissariamenti di enti pubblici locali. Reputiamo che gli investimenti pubblici possano essere inutili e controproducenti in un contesto in cui le amministrazioni locali siano corrotte ed i legami tra la criminalità organizzata e le autorità locali siano stretti. Il secondo problema è rappresentato dalle estorsioni; questo fattore è suffragato dai frequenti abbandoni da parte di quegli imprenditori che hanno osato pubblicamente dire basta ai ricatti.
Si sappia che il lavoro sommerso, che in quelle aree raggiunge anche punte del 40-45 per cento, risulta essere la conseguenza della presenza di organizzazioni criminali che hanno costruito una rete di esazione aggiuntiva a quella statale, tanto da azzerare ogni beneficio fiscale per le imprese.

PRESIDENTE. Onorevole Sergio Rossi, si avvii a concludere.

SERGIO ROSSI. Pertanto, il piano di riemersione del lavoro nero potrà avere successo solo se il Governo sarà in grado di mantenere nel Mezzogiorno un clima di sufficiente legalità.
Concludo con una nota positiva riguardo alla devolution. Ci fa piacere vedere finalmente scritto in un atto parlamentare, precisamente a pagina 41 del documento in discussione che la devoluzione fa parte del triangolo lungo il quale corre la strategia di politica economica che compone il trampolino di base dal quale il paese può proiettarsi verso un futuro migliore per tutti.

PRESIDENTE. Onorevole Sergio Rossi, la prego di concludere.

SERGIO ROSSI. Avremmo gradito che nel documento fossero descritti i tempi di


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attuazione della devoluzione (Applausi dei deputati dei gruppi della Lega nord Padania e di Forza Italia).

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Sanza, il quale ha a disposizione due minuti. Per lei valgono le stesse raccomandazioni fatte all'onorevole Onnis. Ne ha facoltà.

ANGELO SANZA. Signor Presidente, vorrei svolgere pochissime considerazioni sul DPEF. Signor ministro, la Tremonti-bis spiazza il bonus del sud poichè l'agevolazione fiscale generalizzata per gli investimenti rende meno competitivo l'incentivo per le aree depresse; fa quindi in modo che perda di interesse e di incentivo per quelle regioni del sud, anche se non sottovaluto la grande opportunità che la Tremonti-bis offre alle medie e piccole aziende ed ai lavoratori autonomi (essa andrebbe comunque accumulata con il credito di imposta).
Desidero, inoltre, richiamare la sua attenzione sul fatto che qualsiasi iniziativa di sviluppo nel Mezzogiorno è stata sempre accompagnata da strumenti idonei a promuovere una competizione tra i territori. Alcuni strumenti potrebbero tornare, quindi, utili per monitorare i territori, onde evitare finanziamenti a pioggia o finanziamenti di progetti scadenti come hanno fatto i precedenti governi. Bisogna, pertanto, valutare con attenzione se l'agenzia Sviluppo Italia possa essere utilizzata in direzione di finanza di impresa, di finanza di progetto per le infrastrutture e la creazione di servizi a rete, nonché a sostegno di prestiti d'onore per la creazione di imprese formate da giovani imprenditori. È tutto un mondo di microfinanza di cui il sud ha ancora bisogno.
Vi è, inoltre, molta attesa per la scelta di destinare al sud il 45 per cento degli investimenti pubblici totali. Il DPEF conferma questo impegno del Governo; esso potrebbe rappresentare l'occasione per compensare il sud per la sua grave carenza infrastrutturale.
Tali investimenti, se effettuati in tempi rapidi, sarebbero una risposta - concludo signor Presidente - ad un'economia stagnante, alimentata negli ultimi tempi solo con fondi europei e con fondi nazionali speciali, mentre il grosso della spesa ordinaria ha sempre preso la via del nord.

PRESIDENTE. Constato l'assenza dell'onorevole Cusumano, iscritto a parlare: si intende che vi abbia rinunciato.
È iscritto a parlare l'onorevole Paolone, a cui ricordo che ha a disposizione cinque minuti di tempo. Ne ha facoltà.

BENITO PAOLONE. Signor Presidente, pensavo di poter intervenire più tardi.

PRESIDENTE. Un oratore iscritto a parlare è risultato assente.

BENITO PAOLONE. Posso allora disporre di un tempo aggiuntivo per il mio intervento?

PRESIDENTE. No, onorevole Paolone. I tempi rimangono invariati.

BENITO PAOLONE. Signor Presidente, l'andamento tendenziale della finanza pubblica per il 2001, contenuto a norma di legge nel DPEF 2002-2006 oggi all'esame della Camera, evidenza un notevole scostamento in negativo tra gli obiettivi previsti nel precedente DPEF e la situazione che emerge dalla verifica condotta dalla Ragioneria generale dello Stato l'11 luglio scorso. Emerge così che il fabbisogno di cassa ammonta a 93 mila miliardi, mentre nella relazione trimestrale di cassa dell'aprile scorso era stimato in 74 mila 800 miliardi.
Per quanto riguarda l'indebitamento netto, la stessa verifica della Ragioneria generale dello Stato, che lo rileva nella sua fase di formazione, lo indica in 44 mila 500 miliardi, pari all'1,9 per cento del PIL, mentre la Banca d'Italia, che lo rileva con riferimento alla sua copertura, lo indica addirittura in 65 mila miliardi, pari al 2,6 per cento del PIL, contro una previsione del Governo Amato dello 0,8 per cento. In tale misura è stato fissato nel patto di stabilità e sviluppo dell'Unione europea.


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Tali saldi finanziari del 2001 sono saltati per effetto di una finanziaria elettorale del Governo Amato. Ricordo che nella discussione di quella legge finanziaria sostenni che si trattava di una finanziaria palesemente elettorale, che avrebbe prodotto notevoli buchi nella finanza pubblica che sarebbero emersi, però, ad elezioni concluse.
Così è stato. Così si è verificato: in pratica è stata finanziata una campagna elettorale, in termini di propaganda, a spese dell'economia del paese. I famosi bonus fiscali e l'aumento delle spese correnti disposte con i provvedimenti dell'ultima fase della legislatura si sono dimostrati privi di copertura, come avevamo denunciato, per cifre che vanno dai 25 mila 700 miliardi del 2001 ai 73 mila miliardi del 2004.
Anche la Corte dei conti nella sua relazione quadrimestrale sulla copertura delle leggi di spesa ha espresso notevoli preoccupazioni e perplessità in ordine alla copertura di quelle disposizioni della legge finanziaria approvata dal Governo Amato. Nonostante questi elementi decisamente negativi, il Governo Berlusconi ha confermato, in sede europea, il patto di stabilità e sviluppo e gli impegni assunti dal precedente Governo, dimostrando alto senso di responsabilità nei confronti dell'Europa e della nazione.
In questo documento di programmazione economico finanziaria si manifesta l'intenzione di ricondurre per quanto possibile l'indebitamento netto verso la percentuale dello 0,8 per cento del prodotto interno lordo, con un avanzo primario del 5,4 per cento e di raggiungere il pareggio del bilancio entro il 2003, nonostante l'andamento tendenziale dimostri come tale pareggio non potrebbe realizzarsi nemmeno nel 2006, anno in cui si avrebbe ancora un indebitamento netto dello 0,4 per cento. Ottenere questo rientro nei parametri previsti sarà certamente difficilissimo, tenuto conto del breve tempo a disposizione sino alla fine dell'anno.
Non si varerà alcuna manovra correttiva, sia essa fiscale, con aumenti delle tasse, sia essa sociale, con tagli alla sanità e alla previdenza. Questo è assolutamente certo. Non vi saranno altri sacrifici per i cittadini.
Nel documento di programmazione economico e finanziaria 2001-2006 in esame sono chiaramente ed analiticamente indicate le iniziative che saranno assunte per ricondurre l'indebitamento alle dimensioni preventivate. Sarà contenuto l'andamento dei flussi di spesa, saranno maggiormente responsabilizzate le regioni per il contenimento della spesa sanitaria, vi sarà un miglior utilizzo della disponibilità di tesoreria e si adotteranno provvedimenti amministrativi per contenere le spese correnti.
A queste azioni immediate si affianca l'adozione di un ampio piano a favore della ripresa economica che produrrà un aumento del gettito tributario, con un incremento dell'IVA, per effetto dei maggiori investimenti che saranno indotti dall'attuazione della cosiddetta legge Tremonti-bis.
Su questa azione di risanamento per il 2001 si incardina l'attuazione della politica economico finanziaria per il prossimo quinquennio 2002-2006. L'arco temporale di questo documento di programmazione economico-finanziaria è per la prima volta coincidente con quello dell'intera legislatura.
È prevista una serie di azioni e di provvedimenti per avviare un circolo virtuoso che, autoalimentandosi, crei le condizioni per un processo di crescita sostenuta. La spesa propulsiva che sarà impressa all'economia con l'adozione dei provvedimenti cosiddetti dei cento giorni e con quelli previsti successivamente potrà creare le condizioni per un miglioramento strutturale e permanente dei ritmi di sviluppo del paese, determinando una crescita del prodotto interno lordo superiore alla percentuale del 3 per cento annuo per l'intera legislatura.

PRESIDENTE. Onorevole Paolone, la invito a concludere.

BENITO PAOLONE. L'azione che il Governo intende creare... Signor Presidente


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mi consenta di rifiatare perché ero affannato.

PRESIDENTE. Io?

BENITO PAOLONE. ...e mantenere un clima di fiducia nella società civile ed economica del paese che è indispensabile perché si assicuri la scelta del piano di sviluppo cui tende questo Governo. Citerò soltanto alcuni dei provvedimenti previsti per dare un'idea degli sforzi che il Governo si appresta ad affrontare: la normativa sui contratti a tempo determinato per favorire lo sviluppo dell'occupazione; l'emersione dell'economia sommersa con provvedimenti che producono effetti duraturi e rendono realmente conveniente l'emersione per portare alla luce una economia che produce un valore aggiunto valutato fra i 300 mila e i 320 mila miliardi; la detassazione degli utili reinvestiti in beni strumentali allargando il campo degli interventi rispetto alla prima legge Tremonti che pure ha già dato ottimi risultati; gli investimenti in opere pubbliche, intervenendo sia con la legge obiettivo sia prevedendo investimenti per 100 mila miliardi per l'intera legislatura, di cui il 50 per cento in capitale privato per mezzo del project financing; per effetto della riforma fiscale, la famiglia potrà disporre di maggiori mezzi, così sostenendo la domanda interna; si avrà una riduzione del carico fiscale del 1 per cento per ciascun anno a partire dal 2000 e sino al 2006, accompagnato da una riduzione della pressione dei tributi previdenziali...

PRESIDENTE. Onorevole Paolone, la invito a concludere.

BENITO PAOLONE. ...anch'essa dell'1 per cento. Signor Presidente, mi avvio a concludere.

PRESIDENTE. Onorevole Paolone, il tempo a sua disposizione è terminato da più di un minuto e mezzo. È il più indisciplinato di tutti gli oratori!

GIANCARLO GIORGETTI. È il solito!

BENITO PAOLONE. Signor Presidente, mi si perdoni l'indisciplina. C'è stata la nuvola vulcanica che mi ha portato a ritardare. Ero convinto di poter parlare domani.

PRESIDENTE. Onorevole Paolone, le concedo ancora qualche secondo. Giunga alle conclusioni.

BENITO PAOLONE. Si ridurranno pertanto le imposte e le tasse da ottocento a otto. La riduzione delle aliquote a due: quella del 23 per cento per i redditi entro i 200 milioni, quella del 33 per cento per quelli oltre il limite e l'esenzione per i redditi fino a 22 milioni in funzione del nucleo familiare.
Per le società, l'aliquota dell'IRPEG sarà del 33 per cento, con l'abolizione dell'IRAP, prevedendo una partecipazione in relazione al gettito. Le pensioni sociali più basse saranno elevate ad un milione al mese.
Altro importantissimo campo di intervento è quello del Mezzogiorno, che si concepisce come motore di sviluppo e di propulsione strategico per tutta la nazione, con la riaccelerazione degli investimenti pubblici, la realizzazione di infrastrutture e un volume appropriato di risorse finanziarie nazionali ed europei.

PRESIDENTE. Onorevole Paolone, temo debba rinunciare a quelle ultime pagine, perché ha utilizzato quasi il doppio del tempo che aveva disposizione.

BENITO PAOLONE. Chiedo alla Presidenza di autorizzare la pubblicazione in calce delle considerazioni integrative del mio intervento.

PRESIDENTE. La Presidenza la autorizza senz'altro.

BENITO PAOLONE. Signor Presidente, mi dispiace molto di non essere stato avvertito che era stato modificato il tempo a mia disposizione e, conseguentemente, di avere assunto un tono che non voleva assolutamente indisporla.


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PRESIDENTE. La ringrazio, onorevole Paolone.
Constato l'assenza dell'onorevole Fiori, iscritto a parlare a titolo personale: si intende vi abbia rinunziato.
È iscritto a parlare, a titolo personale, l'onorevole Nicolosi, cui do la parola pregandolo di restare nei tempi. Ne ha facoltà.

NICOLÒ NICOLOSI. Signor Presidente, sarò rispettoso dei limiti temporali, anche in considerazione del fatto che sono l'unico rappresentante di una forza politica a dimensione regionale - seppure alleata con la Casa delle libertà - che si chiama Nuova Sicilia. Pertanto, anche il mio intervento avrà caratteristiche che fanno riferimento agli interessi e alle esigenze della regione siciliana.
Per raggiungere gli obiettivi che il DPEF indica per le aree meridionali e le isole, occorre, per quel che riguarda la regione siciliana, porre particolare attenzione alla necessità di portare a soluzione il complesso delle questioni irrisolte nei rapporti finanziari intrattenuti con lo Stato, nella convinzione che si tratti di un passaggio fondamentale per il raggiungimento degli obiettivi di sviluppo e la definizione dei rispettivi ruoli istituzionali.
Signor ministro, il riferimento - tale questione sarà sicuramente sviluppata nella finanziaria - è in particolare al meccanismo di applicazione delle riserve erariali sui tributi di spettanza della regione siciliana, meccanismo che ha fortemente penalizzato la certezza delle risorse della regione, così come configurata dalle norme statutarie. Mi riferisco anche alla definizione dei trasferimenti connessi al fondo di solidarietà nazionale (articolo 38 dello statuto) e alla situazione dei trasferimenti di cassa dalla tesoreria centrale alla struttura di gestione, sottolineando in tale contesto il tardivo trasferimento delle somme inerenti ai contributi comunitari e statali, relativi alle opere realizzate nell'ambito del POP 1994-1999, che determina non pochi problemi nella gestione della liquidità del bilancio della regione Sicilia.
Mi preme ancora segnalare che, in tema di equilibri finanziari, la prospettata ridefinizione contenuta nel DPEF della struttura delle aliquote fiscali e la soppressione di taluni tributi - per esempio, della tassa di successione, che pure è condivisa dal sottoscritto - prefigurano riduzioni di gettito tributario per regione siciliana che oggi, difficilmente, possono trovare un corrispettivo nella riduzione della spesa regionale, dato il livello di rigidità ormai raggiunto dalla stessa. Effetti di squilibrio sono tanto più probabili se si pensa che la prospettata soppressione dell'IRAP - i cui proventi coprono parte della spesa sanitaria - non troverebbe compensazione, secondo quanto ipotizzato nel DPEF, nella devoluzione alla Sicilia di parte del gettito IRPEG, perché tale tributo è già destinato al bilancio regionale.
Signor ministro, per quel che attiene ai provvedimenti che il Governo ha indicato nel DPEF come importanti per raggiungere obiettivi di sviluppo nella nostra realtà nazionale, ho voluto segnalare in particolare due aspetti che hanno riflessi sulla realtà meridionale, su quella siciliana in particolare: l'agricoltura e il sistema agroalimentare. Credo che tutto ciò, per quanto riguarda la condizione della Sicilia, abbia un particolare valore. E intendo sottolinearlo con riferimento specifico alla realtà della nostra agricoltura, per quanto riguarda i prodotti tipici e di alta qualità. In particolare, mi richiamo a quanto detto successivamente dal Governo quando, al fine di potenziare questo settore, fa riferimento all'opportunità che i prodotti tipici e i prodotti di qualità arrivino rapidamente sul mercato, per raggiungere quelli internazionali.
Ebbene, un dato è chiaro: vaste zone della regione siciliana dove è presente un'agricoltura naturale e di pregio - mi riferisco all'area del Belice, della valle del Sosio e della valle del Triona che riguarda tre province importanti della Sicilia, ossia il palermitano, il trapanese e l'agrigentino - dove si producono eccezionali prodotti agricoli di rilevanza particolare - quale il pomodoro di Corleone, le pesche di Bivona, i fichi d'India di Santa Margherita di


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Belice - e con grandi opportunità di sviluppo sono assolutamente prive di comunicazioni con i mercati e con i luoghi in cui c'è il trasporto marittimo, aereo, eccetera.
È essenziale, dunque, onorevole sottosegretario, che venga posta particolare attenzione agli interventi di collegamento di queste aree - riguardanti, appunto, tre province importanti della Sicilia - perché alcuni dati specifici indicati possano trovare una soluzione attraverso grandi opere di collegamento, in queste zone, con i mercati.
Vorrei fare una considerazione che ritengo importante anche in termini politici. In queste zone vi sono comuni sorti nei primi anni del 1300 - ce ne sono tanti in Italia - nei quali si trovano pregevoli opere archeologiche, storiche e culturali di grandissimo valore che possono legare la fruizione di uno sviluppo agricolo con la fruizione dei territori specifici. Quindi, un intervento che valorizzi l'ambiente è di particolare rilevanza. Mi riferisco a Contessa Entellina, dove gli Elimi hanno costruito le città, mi riferisco a Santa Maria del Bosco, dove un'importante abbazia testimonia il valore della cultura nel tempo in tali zone, e a Giugliana con la presenza della famiglia dei Peralta nel periodo delle contee e ancora a Corleone...

PRESIDENTE. Onorevole Nicolosi, la invito a concludere.

NICOLÒ NICOLOSI. ...sorto nel 1237, come colonia di lombardi insediati da Federico II, chiamando Ottone di Camerana, insediati. Parlo di zone con grandi pregi anche umani, che hanno vissuto una fase pericolosa, che noi vogliamo allontanare, di grande recesso e devianza sociale ma che possono cogliere questi obiettivi di sviluppo soltanto se, alla declamazione di alcune lotte che dobbiamo fare, seguirono provvedimenti specifici per il superamento dell'emergenza e per il rilancio dello sviluppo economico di quei territori.

PRESIDENTE. Non vi sono altri iscritti a parlare e pertanto dichiaro chiusa la discussione.
Il seguito del dibattito è rinviato ad altra seduta.

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